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Appunti di Analisi matematica

Paolo Acquistapace
2 aprile 2009
Indice
1 Numeri 1
1.1 Alfabeto greco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.3 Funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.4 Il sistema dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.5 Assioma di completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.6 Numeri naturali, interi, razionali . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.7 La formula del binomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
1.8 Radici n-sime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
1.9 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
1.10 La funzione esponenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
1.11 Geometria nel piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
1.12 Numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
2 Successioni 112
2.1 Limiti di successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
2.2 Serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124
2.3 Successioni monotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129
2.4 Criteri di convergenza per le serie . . . . . . . . . . . . . . . . 137
2.5 Assoluta convergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146
2.6 Successioni di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153
2.7 Serie di potenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
2.8 Riordinamento dei termini di una serie . . . . . . . . . . . . . 171
2.9 Moltiplicazione di serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180
3 Funzioni 185
3.1 Spazi euclidei R
m
e C
m
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185
3.2 Funzioni reali di m variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200
i
3.3 Limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209
3.4 Propriet`a delle funzioni continue . . . . . . . . . . . . . . . . . 224
3.5 Asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237
4 Calcolo dierenziale 239
4.1 La derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239
4.2 Derivate parziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255
4.3 Propriet`a delle funzioni derivabili . . . . . . . . . . . . . . . . 266
4.4 Condizioni sucienti per la dierenziabilit`a . . . . . . . . . . 275
4.5 Dierenziabilit`a di funzioni composte . . . . . . . . . . . . . . 278
4.6 Derivate successive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 282
4.7 Confronto di innitesimi e inniti . . . . . . . . . . . . . . . . 288
4.8 Formula di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297
4.9 Massimi e minimi relativi per funzioni di una variabile . . . . 310
4.10 Forme quadratiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313
4.11 Massimi e minimi relativi per funzioni di pi` u variabili . . . . . 319
4.12 Convessit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 325
5 Calcolo integrale 334
5.1 Lintegrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 334
5.2 Propriet`a dellintegrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343
5.3 Alcune classi di funzioni integrabili . . . . . . . . . . . . . . . 349
5.4 Il teorema fondamentale del calcolo integrale . . . . . . . . . . 355
5.5 Metodi di integrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360
5.6 Formula di Stirling . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 370
5.7 Integrali impropri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374
6 Equazioni dierenziali 385
6.1 Generalit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 385
6.2 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine . . . . . . . . . . . . 399
6.3 Equazioni lineari del secondo ordine . . . . . . . . . . . . . . . 406
Indice analitico 413
ii
Capitolo 1
Numeri
1.1 Alfabeto greco
Un ingrediente indispensabile per lo studente che aronta un corso di analisi
matematica `e la conoscenza dellalfabeto greco, di cui verranno usate a vario
titolo gran parte delle lettere (minuscole e maiuscole). Eccolo:
alfa A iota I ro P
beta B cappa K sigma
gamma lambda tau T
delta mu (mi) M iupsilon Y
epsilon E nu (ni) N
zeta Z csi chi X
eta H omicron o O psi
teta pi omega
Esercizi 1.1
1. Scrivere il proprio nome e cognome in lettere greche.
1.2 Insiemi
Il concetto di insieme `e un concetto primitivo, quindi non si pu`o denire se
non ricorrendo a circoli viziosi; comunque in modo vago ma ecace possiamo
dire che un insieme `e una collezione di elementi. Indicheremo gli insiemi con
lettere maiuscole A, B, . . . e gli elementi di un insieme con lettere minuscole
1
a, b, x, t, . . . .
Per evitare paradossi logici, `e bene parlare di insiemi solo dopo aver ssa-
to un insieme universo X, che `e lambiente dentro al quale lavoriamo, e
considerarne i vari sottoinsiemi(cio`e gli insiemi A contenuti in X). La scelta
dellambiente X va fatta di volta in volta e sar`a comunque chiara dal conte-
sto.
Come si descrive un insieme? Se esso `e nito (ossia ha un numero nito di
elementi), e questi elementi sono pochi, ci`o pu`o avvenire elencandoli; ma
se linsieme ha molti elementi, o ne ha addirittura una quantit`a innita (si
dice allora che linsieme `e innito), esso si pu`o descrivere individuando una
propriet`a p(x) che gli elementi x delluniverso X possono possedere o no, e
che caratterizza linsieme che interessa. Per esempio, linsieme
A = 1, 2, 3, 4, 6, 12
`e altrettanto bene descritto dalla propriet`a
p(x) = x `e divisore di 12,
la quale, allinterno dei numeri naturali (che in questo caso costituiscono il
nostro universo), contraddistingue esattamente gli elementi dellinsieme A.
Introduciamo alcuni simboli che useremo costantemente nel seguito.
x A signica: x appartiene ad A, ovvero x `e un elemento di A.
A B, B A signicano: A `e contenuto in B, ovvero B contiene
A, ovvero ogni elemento di A `e anche elemento di B, o anche A `e
sottoinsieme di B.
A = B signica: A coincide con B, ovvero A e B hanno gli stessi
elementi, ovvero A B e B A.
A B, B A signicano: A `e strettamente contenuto in B, ovvero A
`e sottoinsieme proprio di B, ovvero ogni elemento di A `e elemento di
B ma esiste almeno un elemento di B che non `e elemento di A, ovvero
A B ma A non coincide con B.
Per negare le propriet`a precedenti si mette una sbarretta sul simbolo corri-
spondente: ad esempio, x / A signica che x non appartiene allinsieme A,
A = B signica che gli insiemi A e B non hanno gli stessi elementi (e dunque
2
vi `e almeno un elemento che sta in A ma non in B, oppure che sta in B ma
non in A), eccetera.
Sia X un insieme e siano A, B sottoinsiemi di X. Deniamo:
AB = unione di A e B, ossia linsieme degli x X che appartengono
ad A oppure a B (oppure ad entrambi).
A B = intersezione di A e B, ossia linsieme degli x X che
appartengono sia ad A che a B.
A` B = dierenza fra A e B, ossia linsieme degli x X che apparten-
gono ad A, ma non a B.
A
c
= X ` A = complementare di A in X, ossia linsieme degli x X
che non appartengono ad A.
= insieme vuoto, ossia lunico insieme privo di elementi.
Si noti che A B = B A, A B =
BA, ma in generale A`B = B`A. Se
A B = , gli insiemi A e B si dicono
disgiunti.
Vi sono altre importanti propriet`a degli insiemi e delle operazioni su di es-
si, di cui non ci occupiamo qui: ne parleremo di volta in volta quando ci
occorreranno. Introduciamo ora alcuni insiemi importanti:
N = insieme dei numeri naturali = 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, . . ..
N
+
= insieme dei numeri naturali diversi da 0 = 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, . . ..
3
Z = insieme dei numeri interi = 0, 1, 1, 2, 2, 3, 3, 4, 4, . . ..
Q = insieme dei numeri razionali, cio`e di tutte le frazioni
p
q
con p Z,
q N
+
.
R = insieme dei numeri reali: su questo insieme ci soermeremo a
lungo; esso contiene Q, ma anche numeri rrazionali come , e,

2,

3.
C = insieme dei numeri complessi, cio`e i numeri della forma a + ib,
con a, b R; la quantit`a i si chiama unit`a immaginaria e verica
luguaglianza i
2
= 1: essa non `e un numero reale. Anche su questo
insieme avremo molto da dire.
Notiamo che valgono le inclusioni
N
+
N Z Q R C.
Nelle nostre formule useremo alcuni altri simboli che sono delle vere e proprie
abbreviazioni stenograche, e che andiamo ad elencare.
Il simbolo signica per ogni: dunque dire che x B x A
equivale a dichiarare che ogni elemento di A sta anche in B, cio`e che
A B.
Il simbolo signica esiste almeno un: dunque aermare che x A
tale che x B vuol dire che c`e almeno un elemento di A che sta anche
in B, ossia che A B non `e vuoto. i due simboli , exists vengono
detti quanticatori esistenziali.
Il simbolo ! signica esiste un unico: dunque la frase ! x A
tale che x B indica che c`e uno ed un solo elemento di A che sta in
B, ossia che A B `e costituito da un solo elemento.
Il simbolo : signica tale che: dunque laermazione ! x A : x
B ha lo stesso signicato dellenunciato del punto precedente.
Il simbolo = signica implica: quindi la frase x A = x B
vuol dire che se x A allora x B, ossia A B.
Il simbolo signica se e solo se: si tratta della doppia implica-
zione, la quale ci dice che i due enunciati a confronto sono equivalenti.
Ad esempio la frase x A x B indica che A = B.
4
Nel nostro corso non ci occuperemo di questioni di logica formale e non parle-
remo di predicati, proposizioni, variabili, tabelle di verit`a, eccetera; cerchere-
mo di ragionare secondo il nostro buon senso, anato (si spera) dalle passate
esperienze scolastiche, rimandando al corso di logica la sistemazione rigorosa
di questi aspetti. Ci limitiamo ad osservare che la pulizia formale `e sempre
utile ma non determinante: laermazione di poco sopra x A : x B `e
formalmente perfetta ma, se ad esempio
A = n N : n 5, B = n N : n
2
> 25,
essa risulta inesorabilmente falsa.
Come si fa a negare unaermazione della forma x A y B tale che
x = y? Dobbiamo formulare lesatto contrario dellenunciato precedente:
dunque, a lume di naso, ci sar`a almeno un x A per il quale, comunque
si scelga y B, sar`a sempre x = y; ovvero, existsx A tale che y B
risulta x = y. Si noti come i quanticatori e si siano scambiati di posto.
Unaltra importante operazione fra due insiemi X, Y `e il prodotto cartesiano
X Y : esso `e denito come linsieme di tutte le coppie (x, y) con x X e
y Y . Pu`o anche succedere che Y = X, ed in tal caso scriveremo spesso
X
2
in luogo di X X; in questo caso si noti che entrambe le coppie (x, y) e
(y, x) appartengono allinsieme X
2
, e che esse sono diverse luna dallaltra.
Esercizi 1.2
1. Sia A R. Scrivere la negazione delle seguenti aermazioni:
(i) y R : x < y x A,
(ii) x A y A : x < y,
(iii) y, z R : y < x < z x A,
(iv) x A y, z A : y < x < z.
5
2. Elencare gli elementi di ciascuno dei seguenti insiemi:
A =

k Z :
1
k
Z

;
B = k Z : h Z : k = 6h;
C = n N : m N : m 10, n = 6m;
D =

n N :
1
n+2
N

;
E = n N : m N : n = 3
m
;
F = n N : n + m > 25 m N.
3. Dimostrare che

x R :
x
2
5x + 6
x
2
3x + 2
> 0

=] , 1[[3, +[.
4. Sono vere le seguenti aermazioni?
(i) 1 x R : x
2
< 1, (ii) 0 x R : x
2
< 1,
(iii) 1 x R : x
2
= 1, (iv) 2 x R : x
2
4.
5. Disegnare i seguenti sottoinsiemi di R
2
:
A = (x, y) R
2
: y = 2x,
B = (y, x) R
2
: y = 2x,
C = (x, y) R
2
: x = 2y.
6. Siano A, B, C, D sottoinsiemi di un insieme X. Provare le seguenti
relazioni (formule di de Morgan:
(i) (A B) (C D) = (A C) (B D),
(ii) (A B) (C D) = (A C) (B D),
(iii) (A B) (C D) (A C) (B D),
(iv) (A B) ` C = (A ` C) (B ` C),
(v) (A B) ` C = (A ` C) (B ` C).
6
1.3 Funzioni
Uno dei concetti pi` u importanti della matematica, e non solo dellanalisi, `e
quello di funzione. Una funzione f `e una corrispondenza (di qualunque na-
tura) fra due insiemi X e Y , con lunica regola di associare ad ogni elemento
x di X uno e un solo elemento di Y , che viene indicato con f(x). Si suole
scrivere f : X Y (si legge f da X in Y ) e si dice che f `e denita
su X, a valori in Y . Linsieme X `e il dominio di f, mentre limmagine, o
codominio, di f `e il sottoinsieme f(X) di Y costituito da tutti i punti di Y
che sono immagini mediante f di punti di X, cio`e sono della forma f(x)
per qualche x X. Pu`o benissimo capitare che uno stesso y sia immagine
di diversi punti di X, ossia che si abbia y = f(x) = f(x

) per x, x

X e
x = x

; quello che non pu`o succedere `e che ad un x X vengano associati


due distinti elementi di Y , cio`e che risulti f(x) = y e f(x) = y

con y = y

.
Esempi di funzioni appaiono dappertutto: a ciascun membro dellinsieme
S degli studenti che sostengono un esame si pu`o associare il relativo voto:
questa `e una funzione S N. Ad ogni citt`a dItalia si possono associare le
temperature minima e massima di una data giornata: questa `e una funzione
dallinsieme C delle citt`a capoluogo italiane nel prodotto cartesiano Z
2
. Ad
ogni corridore che porta a termine una data corsa ciclistica si pu`o associare
il tempo impiegato, misurato ad esempio in secondi: avremo una funzione a
valori in R (se teniamo conto dei decimi, centesimi, millesimi, eccetera).
Il graco di una funzione f :
X Y `e il sottoinsieme del pro-
dotto cartesiano X Y costitui-
to da tutte le coppie della for-
ma (x, f(x)), cio`e da tutte e so-
le le coppie (x, y) X Y che
risolvono lequazione y = f(x).
Le funzioni si possono comporre: se f : X Y e g : Y Z sono fun-
zioni, ha senso considerare la funzione composta g f : X Z, denita da
g f(x) = g(f(x)) per ogni x X. Naturalmente, anche la composizione
abbia senso, occorre che il codominio di f sia contenuto nel dominio di g.
Una funzione si dice iniettiva se a punti distinti vengono associate immagini
distinte, ovvero se
f(x) = f(x

) = x = x

.
7
Una funzione si dice surgettiva se si ha f(X) = Y , cio`e se ogni y Y `e
immagine di almeno un x X.
Una funzione si dice bigettiva, o invertibile, o biunivoca, se `e sia iniettiva che
surgettiva: in tal caso, per ogni y Y vi `e un unico x X tale che f(x) = y.
In questo caso `e denita la funzione inversa f
1
(si legge f alla meno uno);
f
1
`e denita su Y , a valori in X, e ad ogni y Y associa quellunico x per
cui f(x) = y. Si dice allora che f denisce una corrispondenza biunivoca fra
gli insiemi X e Y . In particolare, se f `e bigettiva si ha f
1
(f(x)) = x per
ogni x X ed anche f(f
1
(y)) = y per ogni y Y : in altre parole, risulta
f
1
f = I
X
, f f
1
= I
Y
, avendo indicato con I
X
e I
Y
le funzioni identit`a,
denite da I
X
(x) = x per ogni x X e I
Y
(y) = y per ogni y Y .
Osservazione 1.3.1 Se f : X X `e una funzione invertibile e f
1
: X
X `e la sua funzione inversa, le equazioni y = f(x) e x = f
1
(y) sono equi-
valenti e descrivono entrambe il graco di f. Invece, scambiando fra loro le
variabili x, y (ossia eettuando una simmetria rispetto alla retta y = x nel
piano cartesiano XX), la seconda equazione diventa y = f
1
(x) e descrive
il graco di f
1
, il quale `e dunque il simmetrico del graco di f rispetto alla
bisettrice del primo quadrante.
8
Si noti che `e sempre possibile supporre che una data funzione f : X Y
sia surgettiva: basta pensarla come funzione da X in f(X). Il problema `e
che nei casi concreti `e spesso dicile, se non impossibile, caratterizzare il
sottoinsieme f(X) di Y .
Vedremo innumerevoli esempi di funzioni e di graci nel seguito del corso.
Esercizi 1.3
1. Posto f : R R, f(x) = 3x 1, e g : R R, g(t) = t
2
, scrivere
esplicitamente le funzioni composte
g f(x) = g(f(x)), x R, f g(t) = f(g(t)), t R.
2. Quali di queste funzioni a valori in R sono iniettive, quali surgettive e
quali invertibili?
(i) f(x) = 1/x, x R ` 0; (ii) f(x) = x
3
x, x R;
(iii) f(x) =
1
x
2
+1
, x R; (iv) f(k) = (1)
k
, k Z;
(v) f(s) = s
2
, s R; (vi) f(x) =

x
2
se x 0
x
2
se x < 0.
3. Sia f(x) = 2x 1, x R. Tracciare il graco delle seguenti funzioni:
(i) f(x); (ii) f(x);
(iii) maxf(x), f(x); (iv) f(f(x));
(v)
f(x)f(x)
2
; (vi)
f(x)+f(x)
2
;
(vii) minf(x), 0; (viii) maxf(x), 0.
1.4 Il sistema dei numeri reali
Denire in modo rigoroso che cosa siano i numeri reali `e un compito tuttaltro
che elementare anche per un matematico di professione: non `e il caso quindi
di addentrarsi in questa problematica allinizio di un corso di analisi. Ma
anche senza avere pretese fondazionali, per lavorare coi numeri reali occorre
conoscerne le propriet`a, e riettere per un momento sul signicato dei simboli
e delle formule che siamo abituati a manipolare pi` u o meno meccanicamente
n dalle scuole elementari.
Le propriet`a dei numeri reali si possono classicare in tre gruppi:
9
(a) propriet`a algebriche, riguardanti le operazioni che si possono eseguire tra
numeri reali;
(b) propriet`a di ordinamento, relative alla possibilit`a di confrontare tra loro
i numeri reali per identicarne il maggiore;
(c) propriet`a di continuit`a, pi` u profonde e nascoste, legate allidea che devo-
no esistere abbastanza numeri per rappresentare grandezze che va-
riano con continuit`a, quali il tempo o la posizione di un punto su una
retta.
Tutte queste propriet`a caratterizzano il sistema R dei numeri reali, nel senso
che esse si possono assumere come assiomi che deniscono ed individuano in
modo unico il sistema R. Noi non entreremo in questa questione, limitandoci
pi` u modestamente a mettere in rilievo il fatto che le propriet`a (a) e (b) sono
alla base di tutte le regole di calcolo che abbiamo imparato ad usare n
dallinfanzia.
Propriet`a algebriche
Nellinsieme R sono denite due operazioni, laddizione e la moltiplicazione,
le quali associano ad ogni coppia a, b di numeri reali la loro somma, che
indichiamo con a+b, e il loro prodotto, che indichiamo con a b od anche con
ab. Valgono le seguenti propriet`a:
1. Associativit`a: a + (b +c) = (a +b) +c, a(bc) = (ab)c per ogni a, b, c R.
2. Commutativit`a: a + b = b + a, ab = ba per ogni a, b R.
3. Distributivit`a: a(b + c) = ab + ac per ogni a, b, c R.
4. Esistenza degli elementi neutri: esistono (unici) due numeri reali distinti,
che indichiamo con 0 e 1, tali che a + 0 = a, a 1 = a per ogni a R.
5. Esistenza degli opposti: per ogni a R esiste un (unico) b R tale che
a + b = 0; tale numero b si dice opposto di a e si indica con a.
6. Esistenza dei reciproci: per ogni a R ` 0 esiste un (unico) b R tale
che ab = 1; tale numero b si dice reciproco di a e si indica con
1
a
od
anche con a
1
.
10
Dalle propriet`a precedenti seguono facilmente tutte le regole usuali dellalge-
bra elementare, quali:
il fatto che a 0 = 0 per ogni a R;
la semplicazione per laddizione: se a + b = a + c, allora b = c;
la semplicazione per la moltiplicazione: se ab = ac e a = 0, allora
b = c;
la denizione di sottrazione: per ogni a, b R esiste un unico c R
tale che a + c = b, e tale numero c, detto dierenza fra b e a, si indica
con b a;
la denizione di divisione: per ogni a, b R con a = 0 esiste un unico
c R tale che ac = b, e tale numero c si indica con
b
a
;
la legge di annullamento del prodotto: se ab = 0 allora deve essere a = 0
oppure b = 0 (oppure entrambi).
Provate a dimostrare qualcuno degli enunciati precedenti utilizzando gli as-
siomi 1-6!
Propriet`a di ordinamento
Nellinsieme dei numeri reali esiste un sottoinsieme P, i cui elementi sono
detti numeri positivi, dotato delle propriet`a seguenti:
7. Se a, b sono numeri positivi, anche a + b e ab sono positivi.
8. Per ogni a R vale una e una sola di queste tre possibilit`a: a `e positivo,
oppure a `e positivo, oppure a = 0.
Si noti che, per lassioma 8, il numero reale 0 non pu`o essere positivo. I
numeri diversi da 0 e non positivi si dicono negativi: dunque un numero
reale a `e negativo se e solo se a `e positivo. Si scrive a > 0 quando a `e
positivo, e b > a (o equivalentemente a < b) quando b a `e positivo, cio`e
b a > 0; in particolare, x < 0 signica x > 0, cio`e x negativo. Si scrive
poi a 0 quando a `e positivo o uguale a 0, e b a (o equivalentemente
a b) quando b a 0. Si osservi che
a b e a b a = b.
Dagli assiomi 7-8 discendono i seguenti altri fatti (esercizi 1.4.2 e 1.4.3).
11
Il prodotto di due numeri negativi `e positivo; in particolare, se x `e un
numero reale diverso da 0, il suo quadrato x
2
, che `e denito come x x,
`e sempre positivo:
x
2
= x x > 0 x R ` 0.
Il numero 1 `e positivo (e quindi N
+
P).
Inoltre si deducono facilmente tutte le usuali regole di calcolo con le disugua-
glianze. Provate a dedurne qualcuna!
Introduciamo adesso alcuni speciali sottoinsiemi di R deniti mediante lor-
dinamento: gli intervalli. Se a, b R ed a b, poniamo:
[a, b] = x R : a x b = intervallo chiuso di estremi a, b;
]a, b[ = x R : a < x < b = intervallo aperto di estremi a, b;
[a, b[ = x R : a x < b = intervallo semiaperto a destra di estremi
a, b;
]a, b] = x R : a < x b = intervallo semiaperto a sinistra di
estremi a, b;
] , b] = x R : x b = semiretta chiusa di secondo estremo b;
] , b[ = x R : x < b = semiretta aperta di secondo estremo b;
[a, +[ = x R : a x = semiretta chiusa di primo estremo a;
]a, +[ = x R : a < x = semiretta aperta di primo estremo a;
] , +[ = R = retta reale.
(I simboli , + si leggono pi` u innito, meno innito e non sono
numeri reali.)
Esercizi 1.4
1. Provare che se u `e un elemento di R tale che a u = u, ove a `e un ssato
numero reale diverso da 1, allora u = 0.
2. Provare che il prodotto di due numeri negativi `e positivo.
12
3. Provare che 1 `e un numero positivo.
4. Sia a b. Dimostrare che se c 0 allora ac bc, mentre se c < 0 si
ha ac bc.
5. Dimostrare le uguaglianze
[a, b] =

n=1

a
1
n
, b

, ]a, b] =

n=1

a +
1
n
, b

.
1.5 Assioma di completezza
Le propriet`a 1-8 sin qui viste non sono prerogativa esclusiva di R, dato che
sono ugualmente vere nellinsieme dei numeri razionali Q. Ci`o che davvero
caratterizza R `e la propriet`a di continuit`a, che si esprime con il corrispon-
dente assioma di continuit`a, detto anche assioma di completezza. Prima di
enunciarlo in una delle sue numerose formulazioni equivalenti, conviene dare
alcune denizioni.
Denizione 1.5.1 Sia A R. Diciamo che A `e limitato superiormente
se esiste m R tale che m a per ogni a A. Tale numero m si dice
maggiorante dellinsieme A.
Denizione 1.5.2 Sia A R. Diciamo che A `e limitato inferiormente se
esiste R tale che a per ogni a A. Tale numero si dice minorante
dellinsieme A.
Denizione 1.5.3 Sia A R. Diciamo che A `e limitato se `e sia limitato
superiormente, sia limitato inferiormente.
`
E chiaro che se A `e limitato superiormente e m `e un maggiorante di A, allora
ogni numero reale x m `e ancora un maggiorante di A; analogamente, se
A `e limitato inferiormente e `e un minorante di A, allora ogni numero reale
x `e ancora un minorante di A.
Ad esempio, se A = [0, 1] linsieme dei minoranti di A `e la semiretta ] , 0]
mentre linsieme dei maggioranti di A `e la semiretta [1, +[. Se A =]0, 1[,
oppure [0, 1[, oppure ]0, 1], succede esattamente lo stesso. Invece, se A =
[0, +[, allora A non ha maggioranti, mentre sono minoranti di A tutti i
numeri non positivi.
13
Denizione 1.5.4 Sia A R un insieme limitato superiormente. Diciamo
che A ha massimo m se:
(i) m `e un maggiorante di A,
(ii) m A.
In tal caso, si scrive m = max A.
Denizione 1.5.5 Sia A R un insieme limitato inferiormente. Diciamo
che A ha minimo se:
(i) `e un minorante di A,
(ii) A.
In tal caso, si scrive = min A.
Non `e detto che un insieme limitato superiormente abbia massimo: per esem-
pio, [0, 1[ non ha massimo, perche esso `e disgiunto dallinsieme dei suoi mag-
gioranti. Analogamente, non `e detto che un insieme limitato inferiormente
abbia minimo. Notiamo anche che se A ha massimo, allora max A `e il mini-
mo dellinsieme dei maggioranti di A, e che se A ha minimo, allora min A `e
il massimo dellinsieme dei minoranti di A.
Denizione 1.5.6 Due sottoinsiemi non vuoti A, B R si dicono separati
se si ha
a b a A, b B.
Esempi 1.5.7 Sono coppie di insiemi separati:
] , 0], [0, [; ] , 0], ]0, [; ] , 0[, ]0, [;
[0, 1[, [2, 3]; [2, 1], N; 0, 3; 0, 0.
Sono coppie di insiemi non separati:
1/2, Z; Q, R`Q; [0, 2], [1, 3]; x R : x
2
< 2, x R : x
2
> 2.
Osserviamo inoltre che:
se A, B sono insiemi separati, allora ogni elemento b B `e un maggio-
rante di A e ogni elemento a A `e un minorante di B;
14
se A `e non vuoto e limitato superiormente, e se M `e linsieme dei
maggioranti di A, allora A e M sono separati;
similmente, se A`e non vuoto e limitato inferiormente, e se N `e linsieme
dei minoranti di A, allora N e A sono separati.
Lassioma di completezza di R asserisce la possibilit`a di interporre un numero
reale fra gli elementi di qualunque coppia di insiemi separati: in sostanza,
esso ci dice che i numeri reali sono in quantit`a suciente a riempire tutti i
buchi fra coppie di insiemi separati. Lenunciato preciso `e il seguente:
9. Per ogni coppia A, B di sottoinsiemi di R non vuoti e separati, esiste
almeno un elemento separatore, cio`e un numero reale tale che
a b a A, b B.
Questo assioma sembra avere un carattere abbastanza intuitivo: in eetti `e
facile determinare esplicitamente gli elementi separatori in tutti i casi degli
esempi 1.5.7 in cui essi esistono. Tuttavia, come vedremo, le conseguenze
dellassioma di completezza sono di larghissima portata.
Si osservi che in generale lelemento separatore fra due insiemi separati A e B
non `e unico. Per`o se A `e un insieme non vuoto limitato superiormente e sce-
gliamo come B linsieme dei maggioranti di A, allora vi `e un unico elemento
separatore fra A e B: infatti ogni elemento separatore deve soddisfare la
relazione
a b a A, b B;
in particolare, la prima disuguaglianza dice che `e maggiorante per A, ossia
B; la seconda ci dice allora che = min B. Poiche il minimo di B `e
unico, ne segue lunicit`a dellelemento separatore.
In modo analogo, se B `e non vuoto e limitato inferiormente e prendiamo come
A linsieme dei minoranti di B, allora vi `e un unico elemento separatore fra
A e B: il massimo dei minoranti di B.
Denizione 1.5.8 Sia A R non vuoto e limitato superiormente, sia M
linsieme dei maggioranti di A. Lunico elemento separatore fra A e M si
dice estremo superiore di A e si denota con sup A.
Il numero reale sup A`e dunque il minimo dei maggioranti di A. In particolare,
esso coincide con max A quando questultimo numero esiste.
15
Denizione 1.5.9 Sia A R non vuoto e limitato inferiormente, sia N
linsieme dei minoranti di A. Lunico elemento separatore fra N e A si dice
estremo inferiore di A e si denota con inf A.
Il numero reale inf A `e dunque il massimo dei minoranti di A e coincide con
min A quando questultimo numero esiste.
Lestremo superiore di un insieme A (non vuoto e limitato superiormen-
te), la cui esistenza `e conseguenza diretta dellassioma di completezza, si
caratterizza in questo modo:
Proposizione 1.5.10 Sia A R non vuoto e limitato superiormente, e sia
m R. Si ha m = sup A se e solo se m verica le seguenti due propriet`a:
(i) m a per ogni a A;
(ii) per ogni > 0 esiste a A tale che m < a m.
Dimostrazione Se m = sup A, allora m `e il minimo dei maggioranti di A:
quindi vale (i). Daltra parte, per ogni > 0 il numero reale m non `e
un maggiorante per A: quindi c`e almeno un elemento a A per il quale
m < a, il che implica la condizione (ii).
Viceversa, se m verica (i) e (ii), allora m `e maggiorante di A mentre per
ogni > 0 il numero m non pu`o esere maggiorante di A. Ne segue che
m `e il minimo dei maggioranti di A, ossia m = sup A.
Una caratterizzazione analoga, la cui dimostrazione viene omessa essendo
identica alla precedente, vale per lestremo inferiore:
Proposizione 1.5.11 Sia A R non vuoto e limitato inferiormente, e sia
R. Si ha = inf A se e solo se verica le seguenti due propriet`a:
(i) a per ogni a A;
(ii) per ogni > 0 esiste a A tale che a < + .
Esempi 1.5.12 (1) Se A = [0, 1], si ha sup A = max A = 1, inf A =
min A = 0.
(2) Se A = [0, 1[, si ha ancora inf A = min A = 0, sup A = 1, mentre max A
non esiste.
(3) Se A = 1, 7, 8, si ha inf A = min A = 1, sup A = max A = 8.
16
(4) Questo esempio mostra limportanza dellassioma di completezza: esso
permette di costruire, nellambito dei reali, il numero

2. Sia
A = x R : x
2
< 2;
ovviamente A non `e vuoto, perche 1 A. Mostriamo che A `e limitato
superiormente: a questo scopo basta far vedere che sono maggioranti di A
tutti i numeri positivi t tali che t
2
> 2. Infatti se t > 0 e t
2
> 2, e se ci fosse
x A con x > t, allora avremmo anche x > 0 e quindi 2 < t
2
< xt < x
2
< 2,
il che `e assurdo. Dunque A `e limitato superiormente e per lassioma di
completezza esiste m = sup A. Poiche 1 A, si ha m 1; aermiamo che
m
2
= 2.
Infatti, non pu`o essere m
2
< 2, poiche in tal caso, scrivendo per ogni ]0, 1[
(m + )
2
= m
2
+
2
+ 2m < m
2
+ + 2m,
avremmo (m + )
2
< 2 pur di scegliere
< min

1,
2 m
2
2m + 1

:
tale scelta `e sempre possibile, prendendo ad esempio come la met`a del
numero a secondo membro. Ci`o signicherebbe che m + appartiene ad
A, contro il fatto che m `e uno dei maggioranti di A. Daltra parte non pu`o
nemmeno essere m
2
> 2, poiche in tal caso avremmo per ogni ]0, m[
(m)
2
= m
2
+
2
2m > m
2
2m,
e dunque (m)
2
> 2 pur di scegliere
<
m
2
2
2m
.
Ci` o signicherebbe, per quanto osservato allinizio, che m `e un maggio-
rante di A; ma allora m non pu`o essere il minimo dei maggioranti di A, e ci`o
`e assurdo. Pertanto lunica possibilit`a `e che sia m
2
= 2.
Si noti che m`e lunica radice reale posi-
tiva dellequazione x
2
= 2; tale numero
si dice radice quadrata di 2 e si scrive
m =

2; lequazione x
2
= 2 ha poi
unaltra radice reale che `e negativa, ed
`e

2.
17
Osservazione 1.5.13 Si vede facilmente che il numero reale

2 non pu`o
essere un numero razionale: infatti supponiamo che sia

2 =
p
q
con p, q N
+
,
e che la frazione sia stata ridotta ai minimi termini: allora si ha
p
2
q
2
= 2, ossia
p
2
= 2q
2
. Ci`o implica che p
2
, e quindi anche p, `e un numero pari: sar`a
dunque p = 2k, con k N
+
. Ma allora 4k
2
= p
2
= 2q
2
, da cui 2k
2
= q
2
:
ne segue che q
2
`e pari e pertanto anche q `e pari. Ci`o per`o `e assurdo, perche
la frazione sarebbe ulteriormente semplicabile, cosa che era stata esclusa.
Dunque

2 non `e un numero razionale.


In modo assolutamente analogo (esercizio 1.5.2) si prova lesistenza della
radice quadrata di un arbitrario numero positivo x, che sar`a in generale un
numero irrazionale.
In denitiva, imponendo lassioma 9 siamo necessariamente usciti dallambito
dei numeri razionali, che sono troppo pochi per rappresentare tutte le
grandezze: per misurare la diagonale del quadrato di lato unitario occorre il
numero irrazionale

2. In altre parole, nellinsieme Q non vale lassioma di


completezza.
Osservazione 1.5.14 Nel seguito del corso useremo massicciamente, pi` u
che lassioma di completezza in se, il fatto che ogni insieme non vuoto e
limitato superiormente `e dotato di estremo superiore. Notiamo a questo
proposito che se, invece, A R non `e limitato superiormente, A non ha
maggioranti e dunque lestremo superiore non esiste; in questo caso si dice
per convenzione che A ha estremo superiore + e si scrive sup A = +.
Analogamente, se A non `e limitato inferiormente, si dice per convenzione
che A ha estremo inferiore e si scrive inf A = . In questo modo,
tutti i sottoinsiemi non vuoti di R possiedono estremo superiore ed inferiore,
eventualmente inniti. Per linsieme vuoto, invece, non c`e niente da fare!
Esercizi 1.5
1. Provare che

2 = inf x R : x
2
< 2.
2. Provare che per ogni numero reale a > 0, lequazione x
2
= a ha esat-
tamente due soluzioni reali, una lopposta dellaltra; quella positiva si
chiama radice quadrata di a e si indica con

a. Si provi inoltre che

a = sup x R : x
2
< a,

a = inf x R : x
2
< a.
18
Cosa succede quando a = 0? E quando a < 0?
3. Determinare linsieme delle soluzioni reali delle seguenti equazioni:
(i)

x
2
= x , (ii) (

x)
2
= x , (iii)

x)
2
=

x
2
.
4. Dimostrare che

3 `e un numero irrazionale.
5. Sia n N. Dimostrare che

n `e un numero razionale se e solo se n `e
un quadrato perfetto.
[Traccia: Si consideri dapprima il caso in cui n `e un numero primo;
si ricordi poi che ogni numero naturale n ha ununica scomposizione in
fattori primi.]
6. Siano m, n N e supponiamo che almeno uno dei due non sia un
quadrato perfetto. Provare che il numero

m +

n `e irrazionale.
7. Provare che per ogni n N
+
il numero

4n 1 `e irrazionale.
8. Stabilire se i seguenti sottoinsiemi di R sono separati e determinarne
eventualmente gli elementi separatori:
(i) [0, 1], [1, 7];
(ii) [0, 2[, 2, 3;
(iii) x R : x
3
< 2, x R : x
3
> 2;
(iv) n N : n < 6, n N : n 6;
(v) r Q : r
2
< 2, ]

2, +[;
(vi) x R : x
2
< 1, x R : x
4
> 1.
9. Una sezione di R `e una coppia (A, B) di sottoinsiemi separati di R, tali
che A B = R, A B = . Si dimostri che lenunciato
per ogni sezione (A, B) di R esiste un unico elemento separatore fra
A e B
`e equivalente allassioma di completezza di R.
10. Si provi che esistono sezioni (A, B) di Q prive di elemento separatore
in Q.
[Traccia: si considerino A = x Q : x 0x Q : x > 0, x
2
< 2
e B = Q` A.]
19
11. Provare che se A B R e A = , allora
inf B inf A sup A sup B;
si forniscano esempi in cui una o pi` u disuguaglianze sono strette.
12. Sia A un sottoinsieme non vuoto e limitato di R, e poniamo
B = x : x A.
Si provi che
sup B = inf A, inf B = sup A.
13. Provare che se A, B sono sottoinsiemi non vuoti e limitati di R si ha
sup A B = maxsup A, sup B, inf A B = mininf A, inf B.
14. Provare che se A, B sono sottoinsiemi di R con a B = , allora
sup A B minsup A, sup B, inf A B maxinf A, inf B;
si verichi che le disuguaglianze possono essere strette.
15. Siano A, B sottoinsiemi di ]0, [. Se esiste K > 0 tale che xy K per
ogni x A e per ogni y B, si provi che
sup A sup B K.
16. Calcolare lestremo superiore e lestremo inferiore dei seguenti sottoin-
siemi di R, specicando se si tratta di massimi o di minimi:
(i)

2x
x
2
+1
: x R

; (ii) x
2
+ y
2
: x, y [1, 1], x < y;
(iii)

x +
1
x
: x > 0

; (iv) x
2
y
2
: 0 < x < y < 4;
(v)

n1
n
: n N
+

; (vi)

1
1+x
2
: x R

;
(vii)

(1)
k
k
: k N
+

; (viii)

1
k
3
: k Z ` 0

.
17. Siano a, b, c, d Q. Mostrare che:
(i) a + b

2 = 0 a = b = 0;
(ii) a + b

2 + c

3 = 0 a = b = c = 0;
(iii) a + b

2 + c

3 + d

5 = 0 a = b = c = d = 0.
18. Per quali x R sono vere le seguenti asserzioni?
(i) (x) x
2
> x; (ii)

x
2
= x; (iii) (x
2
)
2
> 16.
20
1.6 Numeri naturali, interi, razionali
A partire dagli assiomi di R, ed in particolare dallassioma di continuit`a,
possiamo ora rivisitare in maniera pi` u rigorosa alcuni concetti che abbiamo
conosciuto e adoperato su base intuitiva n dalla scuola dellobbligo. Comin-
ciamo ad esaminare linsieme N dei numeri naturali e le sue apparentemente
ovvie propriet`a.
Ci occorre anzitutto la seguente
Denizione 1.6.1 Un insieme A R si dice induttivo se verica le seguenti
condizioni:
(i) 0 A,
(ii) per ogni x A si ha x + 1 A.
Ad esempio sono insiemi induttivi R, [a, +[ per ogni a 0, ]b, +[ per
ogni b < 0. Si noti che se A, B R sono induttivi, anche la loro intersezione
AB lo `e; anzi, dato un qualunque insieme di indici I e presa una arbitraria
famiglia di insiemi induttivi A
i

iI
, la loro intersezione

iI
A
i
= x R : x A
i
i I
`e un insieme induttivo: infatti 0 A
i
per ogni i I in quanto ciascun A
i
`e induttivo, e se x A
i
per ogni i I, lo stesso si ha per x + 1, sempre a
causa dellinduttivit`a di ciascun A
i
.
Denizione 1.6.2 Chiamiamo insieme dei numeri naturali, e denotiamo
con N, lintersezione di tutti i sottoinsiemi induttivi di R.
Da questa denizione segue subito che N `e il pi` u piccolo insieme induttivo:
infatti se A R `e induttivo, esso viene a far parte della famiglia di insiemi
di cui N `e lintersezione, cosicche N A. Dunque in N c`e il minimo
indispensabile di numeri che occorre per essere induttivo: perci`o ci sar`a
0, ci sar`a 1 = 0 + 1, ci sar`a 2 = 1 + 1, ci sar`a 3 = 2 + 1, e cos` via.
Questa denizione di N `e stata per`o introdotta proprio per evitare di far uso
della locuzione ...e cos` via: a questo scopo conviene introdurre il seguente
fondamentale
21
Teorema 1.6.3 (principio di induzione) Sia A N un insieme denito
da una certa propriet`a p(n), ossia A = n N : p(n). Supponiamo di
sapere che
(i) p(0) `e vera, ovvero 0 A;
(ii) p(n) implica p(n +1) per ogni n N, ovvero se n A allora n +1 A.
Allora p(n) `e vera per ogni n N, ovvero A = N.
Dimostrazione Si tratta di una immediata conseguenza della denizione
di N. In eetti, per ipotesi A `e contenuto in N; le condizioni (i) e (ii) ci dicono
daltronde che linsieme A `e induttivo, e quindi A contiene N per denizione
di N: se ne deduce che A = N.
Il principio di induzione `e importante non solo come metodo dimostrativo,
come vedremo, ma anche perche consente di introdurre denizioni ricorsive
in modo non ambiguo.
Esempi 1.6.4 (1) (Fattoriale) Consideriamo la sequenza di numeri cos`
deniti:

a
0
= 1,
a
n+1
= (n + 1)a
n
n N.
Si vede subito che a
1
= 1, a
2
= 2 1, a
3
= 3 2 1, a
4
= 4 3 2 1, e cos`
via; ssato n N, il numero a
n
cos` introdotto si chiama fattoriale di n e si
scrive a
n
= n! (si legge n fattoriale).
(2) (Somme nite) Data una famiglia innita di numeri reali a
n

nN
,
consideriamo la sequenza di numeri cos` denita:

s
0
= a
0
s
n+1
= a
n+1
+ s
n
n N.
Si ha chiaramente
s
1
= a
0
+ a
1
s
2
= a
0
+ a
1
+ a
2
s
3
= a
0
+ a
1
+ a
2
+ a
3
s
4
= a
0
+ a
1
+ a
2
+ a
3
+ a
4
22
e cos` via; per il numero s
n
, che `e la somma di a
0
, a
1
, a
2
, eccetera, no ad
a
n
, si usa il simbolo
s
n
=
n

k=0
a
k
.
Si noti che la variabile k dentro il simbolo di somma `e muta: ci`o signica
che s
n
`e un numero che dipende solo dallestremo n della somma, e non da k, il
quale `e solo una lettera per denotare gli addendi della somma. In particolare,
potremmo usare qualunque altro simbolo al posto di k senza alterare il valore
di s
n
:
n

k=0
a
k
=
n

i=0
a
i
=
n

&=0
a
&
=
n

pippo=0
a
pippo
.
Naturalmente, `e anche lecito considerare somme nite il cui primo estremo
sia un numero diverso da 0: ad esempio
34

k=30
k = 30 + 31 + 32 + 33 + 34 = 160.
(3) (Prodotti niti) In modo analogo al caso delle somme, data una famiglia
a
n

nN
di numeri reali si denisce la seguente sequenza di numeri:

p
0
= a
0
p
n+1
= a
n+1
p
n
n N;
si ha p
1
= a
0
a
1
, p
2
= a
0
a
1
a
2
, p
3
= a
0
a
1
a
2
a
3
, e per il numero p
n
si usa il
simbolo
p
n
=
n

k=0
a
k
,
ove nuovamente k `e una variabile muta. Si noti che, in particolare,
n! =
n

k=1
k n N
+
.
(4) Sia q un numero reale. La somma
1 + q + q
2
+ q
3
+ ... + q
n
=
n

k=0
q
k
23
si dice progressione geometrica di ragione q. (Naturalmente, q
k
signica 1 se
k = 0, mentre se k > 0 denota il prodotto di k fattori uguali a q.)
Proviamo che si ha
n

k=0
q
k
=

n + 1 se q = 1
1q
n+1
1q
se q = 1
n N,
dove il simbolo q
k
nel caso speciale k = 0 e q = 0 deve intendersi come 1.
Se q = 1, la dimostrazione `e banale e si lascia per esercizio. Supposto q = 1,
indichiamo con p(n) lenunciato seguente:
p(n) = vale luguaglianza
n

k=0
q
k
=
1 q
n+1
1 q
.
Allora p(0) `e vera in quanto
0

k=0
q
k
= q
0
= 1 =
1 q
1
1 q
;
Supponiamo adesso che p(n) sia vera per un dato n N, e proviamo a dedurre
p(n +1) (il che, di per se, non signicher`a che p(n) e p(n +1) siano vere per
davvero!). Si pu`o scrivere, isolando lultimo addendo,
n+1

k=0
q
k
=
n

k=0
q
k
+ q
n+1
,
e poiche stiamo supponendo vera p(n), otteniamo
n+1

k=0
q
k
=
1 q
n+1
1 q
+ q
n+1
=
1 q
n+1
+ (1 q)q
n+1
1 q
=
1 q
n+2
1 q
,
che `e proprio p(n + 1). Abbiamo cos` provato che p(n) implica p(n + 1) per
ogni n N. Poiche p(0) `e vera, dal principio di induzione segue che p(n) `e
vera per ogni n N.
(5) Proviamo la disuguaglianza
2
n
(n + 1)! n N.
24
Posto p(n) =2
n
(n + 1)!, si ha che p(0) `e vera in quanto 2
0
= 1 `e
eettivamente non superiore a 1! = 1. Supposto ora che p(n) sia vera, si pu`o
scrivere
2
n+1
= 2 2
n
2 (n + 1)! ;
da qui ricaviamo, essendo ovviamente 2 n + 2 per ogni n N,
2
n+1
(n + 2)(n + 1)! = (n + 2)! ,
il che mostra che vale p(n+1). Abbiamo cos` provato che p(n) implica p(n+1)
per ogni n N: essendo anche p(0) vera, per il principio di induzione p(n) `e
vera per ogni n N.
(6) Proviamo la disuguaglianza
n
2
2
n
n N, n 4.
Posto p(n) =n
2
2
n
, osserviamo che p(0), p(1) e p(2) sono vere mentre
p(3) `e falsa; inoltre p(4) `e vera. Proviamo adesso che p(n) = p(n + 1) per
ogni n N con n 4: usando lipotesi induttiva, si ha
2
n+1
= 2 2
n
2n
2
> n
2
+ 2n + 1 = (n + 1)
2
;
la seconda disuguaglianza `e vera in quanto equivale a n
2
2n + 1 > 2, ossia
a (n1)
2
> 2, e questultima `e vericata addirittura per ogni n 3. Poiche
p(4) `e vera e p(n) implica p(n+1) per ogni n 4, per il principio di induzione
(applicato, per essere precisi, non a p(n) ma a q(n) = p(n + 4)) segue che
p(n) `e vera per ogni n 4.
Propriet`a di N, Z, Q
Anzitutto deniamo rigorosamente gli insiemi Z e Q.
Denizione 1.6.5 Linsieme dei numeri interi Z `e N n : n N;
linsieme dei numeri razionali Q `e
m
n
: m Z, n N
+
(ricordiamo che
N
+
= N ` 0).
Dalla denizione di N seguono abbastanza facilmente alcune sue propriet`a.
Proposizione 1.6.6 N `e illimitato superiormente.
25
Dimostrazione Supponiamo per assurdo che N sia limitato superiormente:
in tal caso L = sup N `e un numero reale, che per la proposizione 1.5.10
verica
(a) n L per ogni n N,
(b) per ogni ]0, 1[ esiste N tale che L < L.
Avendo scelto < 1, da (b) segue che il numero naturale + 1 verica
L < + < + 1,
il che contraddice (a). Dunque L = +.
Di conseguenza, Z e Q sono illimitati sia superiormente che inferiormente.
Proposizione 1.6.7 (propriet`a di Archimede) Per ogni coppia a, b di
numeri reali positivi esiste n N tale che na > b.
Dimostrazione Poiche sup N = +, il numero
b
a
non `e un maggiorante
di N; quindi esiste n N per cui risulta n >
b
a
. Moltiplicando per a, che `e
positivo, ne segue la tesi.
Una conseguenza della propriet`a di Archimede `e il fatto che linsieme dei
numeri razionali `e denso in R: ci`o signica che in ogni intervallo ]a, b[ R
cade almeno un numero razionale (e quindi inniti: vedere lesercizio 1.6.4).
Si ha infatti:
Corollario 1.6.8 Per ogni coppia a, b di numeri reali con a < b, esiste r Q
tale che
a < r < b.
Dimostrazione Supponiamo dapprima a 0. Per la propriet`a di Archi-
mede, esiste n N tale che n(b a) > 1, ossia
1
n
< b a.
Consideriamo ora linsieme
A =

m N :
m
n
a

;
esso `e ovviamente limitato superiormente (n a ne `e un maggiorante) e non
vuoto (0 A). Posto L = sup A, e ssato ]0, 1[, dalla proposizione 1.5.10
26
segue che esiste A tale che L < L, ossia L < + < +1;
pertanto A mentre + 1 / A (essendo + 1 > sup A). Si ha allora

n
a <
+ 1
n
=

n
+
1
n
< a + (b a) = b.
Il numero razionale r =
+1
n
soddisfa dunque la tesi.
Supponiamo ora a < 0. Se b > 0, si ha la tesi scegliendo r = 0. Se invece
b 0, per quanto gi`a provato esiste un razionale r tale che b < r < a, e
dunque il numero razionale r appartiene ad ]a, b[. La tesi `e provata.
Osservazione 1.6.9 Non `e dicile dimostrare che il numero L della di-
mostrazione precedente `e in realt`a un massimo. Si dimostra anzi che ogni
sottoinsieme limitato di N ha massimo (esercizio 1.6.2).
Vi `e un risultato di densit`a pi` u ne, che `e il seguente:
Teorema 1.6.10 Sia un numero reale. Linsieme
E = k + h : k, h Z
`e denso in R se e solo se `e irrazionale.
Dimostrazione Se Q, =
m
n
, allora
E =

km + hn
n
: k, h Z

p
n
: p Z

e quindi i punti di E distano fra loro almeno


1
n
: pertanto E non pu`o essere
denso in R.
Supponiamo invece R ` Q: proveremo la densit`a di E in R mostrando
che per ogni x R e per ogni > 0 esistono k, h Z tali che
x < k + h < x + .
`
E chiaramente suciente provare la tesi per > 0. Sia dunque ]0, [ e
cominciamo con il caso x = 0. Fissiamo N N e poniamo
E
N
= k + h : k, h Z [N, N].
Poiche `e irrazionale, gli elementi di E
N
sono tutti distinti e sono esatta-
mente (2N + 1)
2
. Inoltre
E
N
[N(1 +), N(1 +)].
27
Consideriamo adesso, per 1 m

4N(1+)

+1, gli intervalli chiusi adiacenti


I
m
=

N(1 + ) + (m1)

2
, N(1 +) + m

,
la cui unione ricopre lintervallo [N(1 + ), N(1 + )], e quindi E
N
. Sce-
gliamo N abbastanza grande, in modo che

4N(1 + )

+ 1 < (2N + 1)
2
:
ci`o `e certamente possibile, risolvendo la disequazione pi` u forte
(2N + 1)
2
>
4N(1 + )

+ 1,
o quella ancora pi` u forte, ma pi` u facile,
(2N + 1)
2
> (2N + 1)
2(1 + )

+ (2N + 1).
Allora, necessariamente, almeno uno fra gli intervalli I
m
dovr`a contenere
due diversi elementi di E
N
(questo `e il cosiddetto principio dei cassetti: se
mettiamo p oggetti in q cassetti vuoti, e se p > q, allora esiste almeno un
cassetto che contiene pi` u di un oggetto). Quindi esistono quattro interi p
1
,
p
2
, q
1
, q
2
, non superiori a N in valore assoluto, tali che
p
1
+ q
1
, p
2
+ q
2
I
m
per un opportuno m. In particolare, poiche I
m
ha ampiezza minore di ,
< (p
1
p
2
) + (q
1
q
2
) < ,
e ci`o prova la tesi nel caso x = 0.
Sia ora x > 0: per quanto gi`a provato, esistono m, n Z tali che
< m + n < ,
e rimpiazzando eventualmente m, n con m, n possiamo supporre che
0 < m + n < .
28
Adesso scegliamo p N tale che
p(m + n) x < (p + 1)(m + n)
(sar`a quindi p =

x
m+n

). Si ha allora
x < x (m + n) < p(m + n) x
e quindi abbiamo la tesi con k = pm, h = pn.
Inne, se x < 0, per quanto dimostrato esistono m, n Z tali che
x < m + n < x + ,
e dunque si ha la tesi con k = m, h = n.
Esercizi 1.6
1. Dimostrare, sulla base della denizione di N, i seguenti enunciati:
(i) Non esiste alcun numero naturale minore di 0.
(ii) Se p, q N, allora p + q, pq N.
(iii) Se p N
+
, allora p 1 N.
(iv) Se p, q N e p > q, allora p q N.
(v) Se p, q N e p > q, allora p q N
+
.
[Traccia: per (ii), mostrare che S = p N : p + q N e P = p :
pq N sono insiemi induttivi; per (iii), mostrare che T = 0 p
N : p 1 N `e induttivo; per (iv), mostrare che A = p N : p q
N q N [0, p[ `e induttivo; inne (v) segue da (iv).]
2. Si provi che ogni sottoinsieme limitato di N ha massimo.
3. Dati a, b R con a < b, trovare un numero irrazionale c tale che
a < c < b.
4. Siano a, b R con a < b. Provare che esistono inniti numeri razionali
compresi fra a e b.
5. Un numero intero k si dice pari se esiste m Z tale che k = 2m, si
dice dispari se k + 1 `e pari. Dimostrare che:
29
(i) nessun intero `e simultaneamente pari e dispari;
(ii) ogni numero intero `e o pari, o dispari;
(iii) la somma e il prodotto di numeri pari sono numeri pari;
(iv) la somma di due numeri dispari `e pari mentre il prodotto `e dispari.
6. Sia b N, b 2. Provare che linsieme delle frazioni in base b, ossia

m
b
n
: m Z, n N
+

,
`e denso in R.
7. Quanti sono i sottoinsiemi distinti di un ssato insieme di n elementi?
8. Per quali n N
+
risulta 2
n
n! n
n
?
9. Si consideri la seguente forma modicata del principio di induzione:
Sia A = n N : p(n). Supponiamo che valgano i seguenti fatti:
(a) p(0) `e vera,
(b) se vale p(k) per ogni k N con k n, allora vale p(n + 1).
Allora p(n) `e vera per ogni n N, ossia A = N.
(i) Si provi che questo enunciato implica il principio di induzione.
(ii) Si provi che questo enunciato `e implicato dal principio di induzione.
[Traccia: Per (ii), si applichi il principio di induzione allaermazione
q(n) denita da q(n) =p(k) per ogni k N con k n.]
10. Si provi che ogni insieme non vuoto E N ha minimo.
[Traccia: se cos` non fosse, posto p(n) =n / E, si applichi a p(n) il
principio di induzione nella forma dellesercizio 1.6.9.]
11. Si dimostri che ogni n N
+
`e scomponibile in fattori primi.
[Traccia: Utilizzare il principio di induzione nella forma dellesercizio
1.6.9.]
12. Provare che:
(i)

n
k=1
k =
n(n+1)
2
per ogni n N
+
;
30
(ii)

n
k=1
(2k 1) = n
2
per ogni n N
+
;
(iii)

n
k=1
k
2
=
n(n+1)(2n+1)
6
per ogni n N
+
;
(iv)

n
k=1
k
3
=
n
2
(n+1)
2
4
per ogni n N
+
.
13. Siano a, b, c, d reali positivi. Provare che
min

a
c
,
b
d

a + b
c + d
max

a
c
,
b
d

.
14. Stabilire se sono vere o false le seguenti aermazioni:
(i) la somma di due irrazionali `e irrazionale;
(ii) il prodotto di due irrazionali `e irrazionale;
(iii) la somma di un razionale e di un irrazionale `e irrazionale;
(iv) il prodotto di un razionale e di un irrazionale `e irrazionale.
15. Siano a, b R. Provare che se 0 < a < b allora 0 < a
n
< b
n
per ogni
n N
+
.
16. Provare che:
(i) n k(n + 1 k)
1
4
(n + 1)
2
per ogni k N con 1 k n;
(ii) (n!)
2
=

n
k=1
k(n + 1 k) per ogni n N
+
;
(iii) n
n
(n!)
2

n+1
2

2n
per ogni n N
+
.
17. Siano a
1
, . . . , a
n
, b
1
, . . . , b
n
numeri reali. Denotiamo con a
k
il riordi-
namento crescente e con a
k
il riordinamento decrescente della sequen-
za a
k
, e similmente per b
k
. Si provino le disuguaglianze seguenti:
(i)

n
k=1
a
k

b
k

n
k=1
a
k
b
k

n
k=1
a
k

b
k
,
(ii)

n
k=1
a
k

b
k

1
n
(

n
k=1
a
k
) (

n
k=1
b
k
)

n
k=1
a
k
b
k
.
[Traccia: si pu`o supporre che b
k
sia gi`a riordinata in modo crescente.
Consideriamo le due disuguaglianze di destra: per (i), si verichi che
se i < j e a
i
> a
j
, allora risulta a
i
b
i
+ a
j
b
j
< a
j
b
i
+ a
i
b
j
; per (ii), si
decomponga la quantit`a

n
k,h=1
(a
k
a
h
)(

b
k

b
h
) e si noti che essa `e non
negativa. Le disuguaglianze di sinistra si ottengono applicando quelle
di destra a a
k
e a b
k
.]
31
1.7 La formula del binomio
Per ogni n, k N con n k deniamo i coecienti binomiali

n
k

(si leggen
su k) nel modo seguente:

n
k

=
n!
k!(n k)!
.
Si noti che

n
k

= 1 quando k = n e quando k = 0; negli altri casi si ha

n
k

=
n(n 1) (n k + 1)
k!
,
e questa espressione si prester`a ad ulteriori generalizzazioni nel seguito del
corso. Dalla denizione seguono subito queste propriet`a:
(simmetria)

n
k

n
nk

,
(legge del triangolo di Tartaglia)

n
k1

n
k

n+1
k

.
1
1 1
1 2 1
1 3 3 1
1 4 6 4 1
1 5 10 10 5 1
1 6 15 20 15 6 1
1 7 21 35 35 21 7 1
1 8 28 56 70 56 28 8 1

Il triangolo di Tartaglia ha tutti 1 sui lati obliqui ed ogni suo elemento al-
linterno `e la somma dei due elementi ad esso soprastanti. Gli elementi del
triangolo sono appunto i coecienti binomiali:

n
k

si trova al posto k-simo


nella riga n-sima (cominciando sempre a contare da 0).
La denominazione coeciente binomiale nasce dal fatto che questi numeri
saltano fuori come coecienti nella formula di Newton che d`a lo sviluppo del
32
binomio (a +b)
n
, formula che adesso dimostreremo. Ricordiamo preliminar-
mente che se x R`0 e n N, la potenza x
n
, il cui signicato `e comunque
ovvio, andrebbe denita rigorosamente nel seguente modo:

x
0
= 1
x
n+1
= x x
n
n N;
se invece x = 0, si pone 0
n
= 0 per ogni n N
+
, mentre 0
0
non si denisce.
Ci` o posto, si ha:
Teorema 1.7.1 Se a, b R ` 0 e n N
+
, si ha
(a + b)
n
=
n

k=0

n
k

a
k
b
nk
.
Dimostrazione Utilizziamo il principio di induzione. Se n = 1 la formula
`e vera perche
a + b =

1
0

a
0
b
1
+

1
1

a
1
b
0
= b + a.
Supponiamo vera la formula per un binomio di grado n e proviamola per un
binomio di grado n + 1. Si ha
(a + b)
n+1
= (a + b)(a + b)
n
= (per ipotesi induttiva)
= (a + b)
n

k=0

n
k

a
k
b
nk
=
=
n

k=0

n
k

a
k+1
b
nk
+
n

k=0

n
k

a
k
b
n+1k
=
(ponendo h = k + 1 nella prima somma e h = k nella seconda)
=
n+1

h=1

n
h 1

a
h
b
n+1h
+
n

h=0

n
h

a
h
b
n+1h
=
(isolando lultimo addendo nella prima somma e il primo addendo
nella seconda)
=

n
n

a
n+1
b
0
+

n
0

a
0
b
n+1
+
n

h=1

n
h 1

a
h
b
n+1h
+
+
n

h=1

n
h

a
h
b
n+1h
=
33
= a
n+1
+ b
n+1
+
n

h=1

n
h 1

n
h

a
h
b
n+1h
=
(per la legge del triangolo di Tartaglia)
= a
n+1
+ b
n+1
+
n

h=1

n + 1
h

a
h
b
n+1h
=
n+1

h=0

n + 1
h

a
h
b
n+1h
.
Per il principio di induzione la formula `e vera per ogni n N
+
.
Osservazioni 1.7.2 (1) La formula del binomio vale pi` u in generale per
a, b R e n N, se in tale formula si conviene di interpretare il simbolo 0
0
come 1.
(2) Scelti a = 1, b = 1, n N
+
si ottiene
0 = (1 + 1)
n
=
n

k=0

n
k

(1)
k
1
nk
,
cio`e
n

k=0
(1)
k

n
k

= 0 n N
+
.
(3) Scelti a = 1, b = 1, n N si ottiene
n

k=0

n
k

= 2
n
n N.
Questa uguaglianza ha una interpretazione combinatoria: 2
n
`e il nume-
ro di sottoinsiemi distinti di un ssato insieme con n elementi (esercizio
1.6.refsotto), mentre

n
k

`e il numero di sottoinsiemi distinti aventi k ele-


menti di un insieme con n elementi (esercizio 1.7.2). Si tratta dunque di
contare tutti i sottoinsiemi raggruppandoli per numero di elementi.
(4) Un altro modo di enunciare la propriet`a dellesercizio 1.7.2 `e il seguente:

n
k

`e il numero di modi in cui si possono sistemare k palline indistinguibili


in n scatole distinte, una per scatola: infatti ogni distribuzione di palline
individua un sottoinsieme di k scatole (sulle n complessive). In termini pro-
babilistici si pu`o anche dire: data unurna contenente k palline bianche e
n k palline nere, la probabilit`a di estrarre le k palline bianche nelle prime
34
k estrazioni (intesa come rapporto tra gli esiti favorevoli e gli esiti possibili)
`e pari a
1

n
k
.
Infatti nella prima estrazione ci sono k esiti favorevoli su n possibili, nella
seconda k 1 su n 1, e cos` via, nche nella k-sima si ha un solo esito
favorevole su n k + 1 possibili: dunque la probabilit`a `e
k
n

k 1
n 1

1
n k + 1
=
1

n
k
.
Ad esempio la probabilit`a di fare 6 al Superenalotto `e
1

90
6
=
1
622.614.630
0.000000016
(qui le palline bianche sono i 6 numeri prescelti e il simbolo signica
circa uguale a).
(5) Dalla formula del binomio segue subito la seguente disuguaglianza di
Bernoulli:
(1 +x)
n
1 + nx x 0, n N
(basta osservare che tutti gli addendi nello sviluppo del binomio (1+x)
n
sono
non negativi); una versione pi` u generale di questa disuguaglianza `e enunciata
nellesercizio 1.7.5. Si pu`o anche osservare che risulta
(1 +x)
n
1 + nx +
n(n 1)
2
x
2
x 0, n N.
Esercizi 1.7
1. Provare che:
(i) k

n
k

= n

n1
k1

per ogni n, k N con n k 1;


(ii)

n
k=1
k

n
k

= n 2
n1
per ogni n N
+
;
(iii)

n
k=1
k
2

n
k

= n(n + 1) 2
n2
per ogni n N
+
;
(iv)

n
m=k

m
k

n+1
k+1

per ogni n, k N con n k.


2. Provare che un insieme di n elementi ha

n
k

sottoinsiemi distinti con k


elementi (0 k n).
35
3. Calcolare la probabilit`a di fare un terno al lotto.
4. Calcolare la probabilit`a di fare 5 + 1 al Superenalotto.
5. (Disuguaglianza di Bernoulli) Provare che risulta
(1 +x)
n
1 + nx x 1, n N
+
.
6. Provare che
sup

1
x
n
2

n
: n N
+

= 1 x 0.
[Traccia: utilizzare la disuguaglianza di Bernoulli.]
7. Si generalizzi la formula del binomio al caso di tre addendi.
1.8 Radici n-sime
Proviamo adesso unaltra conseguenza dellassioma di continuit`a, vale a dire
lesistenza della radice n-sima di qualunque numero reale non negativo.
Teorema 1.8.1 Sia n N
+
. Per ogni numero reale a 0 esiste un unico
numero reale r 0 tale che r
n
= a; tale numero si chiama radice n-sima di
a, e si scrive r =
n

a oppure r = a
1
n
.
Dimostrazione Supporremo n 2, dato che per n = 1 la tesi `e ovvia. Se
a = 0, allora lunica soluzione dellequazione x
n
= 0 `e il numero 0 in virt` u
della legge di annullamento del prodotto. Supponiamo dunque a > 0.
Proviamo dapprima lunicit`a della radice n-sima: se vi fossero due numeri
r e , entrambi non negativi ed entrambi soluzioni dellequazione x
n
= a,
uno dei due, ad esempio , sarebbe maggiore dellaltro; ma da r < segue
(esercizio 1.6.15) che a = r
n
<
n
= a, il che `e assurdo. Dunque r = e
lunicit`a `e provata.
Per dimostrare lesistenza della radice n-sima, consideriamo linsieme
A = x 0 : x
n
< a
(ovviamente non vuoto, dato che 0 A) e mostriamo:
(a) che A `e limitato superiormente,
36
(b) che r = sup A `e il numero che stiamo cercando, ossia che r
n
= a.
Proviamo (a): se a 1, facciamo vedere che il numero a `e un maggiorante
di A, mentre se 0 < a < 1 facciamo vedere che il numero 1 `e un maggiorante
di A. Sia a 1: se per un x A risultasse x > a, moltiplicando questa disu-
guaglianza per x e per a avremmo x
2
> ax > a
2
; essendo a 1, dedurremmo
x
2
> a
2
a. Procedendo per induzione, avremmo x
n
> a, contraddicendo il
fatto che x A: dunque si ha x a per ogni x A. Sia ora 0 < a < 1: se
per un x A risultasse x > 1, procedendo analogamente troveremmo x
n
> 1;
essendo 1 > a, otterremmo x
n
> a, nuovamente contraddicendo il fatto che
x A. Se ne conclude che linsieme A ha maggioranti, e quindi `e limitato
superiormente.
Proviamo (b). Notiamo anzitutto che r = sup A > 0. Infatti A contiene
elementi non nulli: ad esempio, se a > 1 si ha 1 A in quanto 1
n
= 1 < a,
mentre se 0 < a < 1 si ha a A poiche a
n
< a; inne se a = 1 si ha
1
2
A
dato che

1
2

n
<
1
2
< 1 = a.
Dobbiamo mostrare che r
n
= a, e lo faremo provando che sono assurde en-
trambe le relazioni r
n
> a e r
n
< a. Supponiamo che sia r
n
> a: vogliamo
mostrare che, di conseguenza, deve essere
(r )
n
> a
per ogni positivo e sucientemente piccolo; ci`o implicherebbe che linter-
vallo ]r , r[ `e costituito da maggioranti di A, contraddicendo il fatto che
r `e il minimo dei maggioranti di A. Invece di ricavare dalla disuguaglian-
za (r )
n
> a, che non sappiamo risolvere, ne dedurremo unaltra pi` u
restrittiva, ma pi` u facile da risolvere. A questo scopo osserviamo che per
]0, r[ si ha, grazie alla disuguaglianza di Bernoulli (esercizio 1.7.5; si noti
che

r
> 1)
(r )
n
= r
n

1

r

n
r
n

1 n

;
se ne deduce (r )
n
> a purche risulti
r
n

1 n

> a.
Questa disuguaglianza, che segue da quella originale ed `e quindi pi` u restrit-
tiva di essa, si risolve subito: essa `e vericata se e solo se
<
r
n

1
a
r
n

,
37
e dunque si deduce, come volevamo, che
(r )
n
> a

0,
r
n

1
a
r
n

]0, r[;
di qui, come si `e detto, segue lassurdo.
Supponiamo ora che sia r
n
< a: vogliamo analogamente dedurre che
(r + )
n
< a
per ogni positivo ed abbastanza piccolo; da ci`o seguir`a che A contiene
numeri maggiori di r, contraddicendo il fatto che r `e un maggiorante di A.
Trasformiamo la disuguaglianza che ci interessa: si ha
(r + )
n
= r
n

1 +

r

n
< a
1
r
n

1 +

r

n
>
1
a
;
daltronde, applicando nuovamente la disuguaglianza di Bernoulli (si noti che

r
1+

r
> 1), risulta
1

1 +

r

n
=

r
1 +

r

n
> 1 n

r
1 +

r
> 1 n

r
;
quindi al posto della disuguaglianza (r +)
n
> a si ottiene la disuguaglianza
pi` u restrittiva
1
r
n

1 n

r

>
1
a
che `e vera se e solo se
0 < <
r
n

1
r
n
a

]0, r[.
Dunque si ottiene, come si voleva,
(r + )
n
< a

0,
r
n

1
r
n
a

,
e quindi, come si `e osservato, lassurdo.
In denitiva, non resta che dedurre luguaglianza r = a.
38
Disuguaglianza delle medie
Un risultato molto importante, utilissimo in svariate situazioni, `e la disugua-
glianza tra media geometrica e media aritmetica di n numeri non negativi. Se
a
1
, a
2
, . . . , a
n
sono numeri non negativi, la loro media geometrica `e il numero
reale
G =
n

k=1
a
k
,
mentre la loro media aritmetica `e il numero reale
A =
1
n
n

k=1
a
k
.
Si ha allora:
Teorema 1.8.2 Se n N
+
e se a
1
, . . . , a
n
sono numeri non negativi, allora
n

k=1
a
k

1
n
n

k=1
a
k
;
inoltre vale il segno di uguaglianza se e solo se gli a
k
sono tutti uguali fra
loro.
Dimostrazione Anzitutto, `e chiaro che se gli a
k
sono tutti uguali fra loro
allora G = A. Per provare il viceversa, mostreremo che se gli a
k
non sono
tutti uguali allora risulta G < A; ci`o `e ovvio se qualcuno degli a
k
`e nullo,
perche in tal caso si ha G = 0 < A. Possiamo dunque supporre gli a
k
strettamente positivi e non tutti uguali. Proveremo la disuguaglianza G < A
per induzione.
Se n = 2, la tesi `e vera perche

a
1
a
2
<
1
2
(a
1
+ a
2
) (

a
2

a
1
)
2
> 0,
ed essendo a
1
= a
2
, la relazione a destra `e vera.
Supponiamo che la disuguaglianza stretta sia vera per ogni n-pla di numeri
positivi non tutti uguali, con n 2, e dimostriamola nel caso di n + 1
numeri. Prendiamo dunque n + 1 numeri positivi a
1
, . . . , a
n
, a
n+1
non tutti
uguali: allora ce ne sar`a almeno uno diverso dalla media aritmetica A; per
39
simmetria, o meglio per denizione stessa di media aritmetica, di numeri
diversi da A ce ne dovranno essere due, a
i
e a
j
, dei quali uno sar`a maggiore
ed uno sar`a minore di A. Quindi, a meno di riordinare gli a
k
, non `e restrittivo
supporre che risulti
a
n
< A < a
n+1
.
Il fatto che A `e la media aritmetica degli a
k
si pu`o riscrivere cos`:
n1

k=1
a
k
+ (a
n
+ a
n+1
A) = n A
(ricordiamo che n + 1 3 e quindi la prima somma contiene almeno un
addendo). Questa relazione ci dice che A `e anche la media aritmetica degli
n numeri non negativi a
1
, . . . , a
n1
, a
n
+ a
n+1
A; per ipotesi induttiva, la
loro media geometrica `e non superiore ad A, ossia
n

(a
n
+ a
n+1
A)
n1

k=1
a
k
A.
Elevando alla n-sima potenza e moltiplicando per A si ricava allora
A (a
n
+ a
n+1
A)
n1

k=1
a
k
A
n+1
.
Daltra parte risulta
a
n
a
n+1
< A(a
n
+ a
n+1
A)
in quanto
A(a
n
+ a
n+1
A) a
n
a
n+1
= (A a
n
)(a
n+1
A) > 0;
quindi a maggior ragione otteniamo
n+1

k=1
a
k
< A (a
n
+ a
n+1
A)
n1

k=1
a
k
A
n+1
.
La disuguaglianza per n + 1 numeri `e dunque stretta se essi non sono tutti
uguali.
Per il principio di induzione, la tesi `e provata.
40
Esempi 1.8.3 (1) Applicando la disuguaglianza delle medie si dimostra
questa basilare propriet`a delle radici n-sime:
inf
nN
+
a
1
n
= 1 a 1, sup
nN
+
a
1
n
= 1 a ]0, 1].
(Si osservi la notazione: inf
nN
+ a
1
n
signica inf a
1
n
: n N
+
, e analoga-
mente sup
nN
+ a
1
n
denota sup a
1
n
: n N
+
.)
Infatti la propriet`a `e evidente quando a = 1, poiche 1
1
n
= 1 per ogni
n N
+
. Supponiamo adesso a > 1: allora, ssato n 2 e prendendo
a
1
= = a
n1
= 1 e a
n
= a, dalla disuguaglianza delle medie si ha
1 < a
1
n
<
1
n
(n 1 + a) = 1 +
a 1
n
n 2,
da cui
1 inf
nN
+
a
1
n
inf
nN
+

1 +
a 1
n

= 1.
Ci` o prova la tesi quando a > 1.
Se a < 1, si ha
1
a
> 1 e, per quanto visto,
1 <

1
a
1
n
< 1 +
1
a
1
n
= 1 +
1 a
na
n 2,
da cui
1
1 +
1a
na
< a
1
n
< 1 n 2;
ne segue
1 = sup
nN
+
1
1 +
1a
na
sup
nN
+
a
1
n
1.
(2) Dimostriamo la seguente importante disuguaglianza:

1 +
x
n

n
<

1 +
x
n + 1

n+1
x R ` 0, n N
+
con n > x.
Essa segue dalla disuguaglianza delle medie, scegliendo a
1
= = a
n
= 1+
x
n
e a
n+1
= 1: infatti

1 +
x
n

n
=
n+1

k=1
a
k
<

1
n + 1
n+1

k=1
a
k

n+1
=
41
=

1
n + 1

1 +
x
n

+ 1

n+1
=
=

n + x + 1
n + 1

n+1
=

1 +
x
n + 1

n+1
.
Esercizi 1.8
1. Provare che per ogni numero reale a > 0 e per ogni intero pari n 2
lequazione x
n
= a ha le due soluzioni reali x = a
1
n
; si provi inoltre
che
a
1
n
= inf x R : x
n
< a.
2. Provare che per ogni a R e per ogni intero dispari n 1, lequazione
x
n
= a ha esattamente una soluzione reale, e cio`e:
x =

a
1
n
se a 0,
(a)
1
n
se a < 0;
questo permette di estendere la denizione di radice n-sima, quando n
`e dispari, a tutti i numeri a R.
3. Si dimostri la formula risolutiva per le equazioni di secondo grado.
[Traccia: data lequazione ax
2
+ bx + c = 0, si osservi che non `e re-
strittivo supporre a > 0; si completi il quadrato a primo membro
scrivendola nella forma

a x +
b
2

2
=
b
2
4ac
4a
,
e si analizzi il segno del discriminante b
2
4ac. . . ]
4. Sia n N
+
. Si provi la seguente disuguaglianza tra media armonica e
media geometrica di n numeri positivi:
n

n
k=1
1
a
k

k=1
a
k
.
42
1.9 Valore assoluto
In geometria la retta `e un concetto primitivo, ossia non se ne fornisce la de-
nizione ma la si considera come un ente intrinsecamente noto. Il sistema dei
numeri reali costituisce il modello matematico dellidea intuitiva di retta: si
assume che ad ogni punto della retta corrisponda uno ed un solo numero reale
(che viene detto ascissa del punto). Questo `e un vero e proprio assioma, ma
`e peraltro un enunciato del tutto ragionevole; per realizzare tale corrispon-
denza, si ssa sulla retta un sistema di riferimento, costituito da unorigine,
a cui associamo il numero reale 0, da ununit`a di misura, che ci permette
di identicare i punti a cui associare i numeri interi, e da unorientazione,
allo scopo di distinguere i punti corrispondenti a numeri positivi da quelli
corrispondenti a numeri negativi.
Per misurare la grandezza di un numero, a prescindere dal fatto che esso
sia positivo oppure negativo, `e fondamentale la seguente
Denizione 1.9.1 Il valore assoluto, o modulo, di un numero reale x `e il
numero non negativo [x[ cos` denito:
[x[ =

x
2
=

x se x 0,
x se x < 0.
Si noti che risulta
[x[ x [x[ x R,
od equivalentemente
[x[ = maxx, x x R.
Si noti anche che
[x[ a a x a
e. pi` u generalmente,
[x u[ a u a x u + a.
Rappresentando R come retta orientata, [x[ `e la distanza del numero reale x
dallorigine 0, e analogamente [a b[ `e la distanza fra i due numeri reali a e
b.
43
La proposizione che segue riassume le principali propriet`a del valore assoluto.
Proposizione 1.9.2 Valgono i seguenti fatti:
(i) [x[ 0 per ogni x R, e [x[ = 0 se e solo se x = 0;
(ii) [x[ [y[ = [xy[ per ogni x, y R;
(iii) (subadditivit`a) [x + y[ [x[ +[y[ per ogni x, y R;
(iv) [[x[ [y[[ [x y[ per ogni x, y R;
(v)

1
x

=
1
|x|
per ogni x R ` 0;
(vi)

x
y

=
|x|
|y|
per ogni x R e y R ` 0.
Dimostrazione La propriet`a (i) `e evidente. Per (ii) si osservi che dalla
denizione segue subito x
2
= [x[
2
per ogni x R; quindi
([x[ [y[)
2
= [x[
2
[y[
2
= x
2
y
2
= (xy)
2
= [xy[
2
,
da cui la tesi estraendo la radice quadrata: infatti
t R,

t
2
= t t 0.
Proviamo (iii): usando (i) e (ii), si ha
[x + y[
2
= (x + y)
2
= x
2
+ y
2
+ 2xy [x[
2
+[y[
2
+ 2[xy[ =
= [x[
2
+[y[
2
+ 2[x[[y[ = ([x[ +[y[)
2
,
da cui la tesi estraendo la radice quadrata.
La (iv) `e conseguenza della subadditivit`a: infatti
[x[ = [(x y) + y[ [x y[ +[y[,
44
da cui [x[ [y[ [x y[; scambiando i ruoli di x e y si ottiene anche
[y[ [x[ [y x[ = [x y[, e quindi
[[x[ [y[[ = max[x[ [y[, [y[ [x[ [x y[.
Dimostriamo (v): da (ii) segue
[x[

1
x

x
1
x

= [1[ = 1,
quindi

1
x

`e linverso di [x[, ossia vale la tesi.


Inne (vi) `e conseguenza evidente di (ii) e (v).
Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz
Unaltra importante disuguaglianza, che come si vedr`a ha un rilevante signi-
cato geometrico, `e la seguente:
Teorema 1.9.3 Fissato n N
+
, siano a
1
, . . . , a
n
, b
1
, . . . , b
n
numeri reali.
Allora si ha
n

i=1
a
i
b
i

i=1
a
2
i

i=1
b
2
i
.
Dimostrazione Fissato t R, consideriamo la quantit`a, certamente non
negativa,

n
i=1
(a
i
+ tb
i
)
2
. Si ha
0
n

i=1
(a
i
+ tb
i
)
2
=
n

i=1
a
2
i
+ 2t
n

i=1
a
i
b
i
+ t
2
n

i=1
b
2
i
t R.
Questa espressione `e un trinomio di secondo grado nella variabile reale t. Il
fatto che esso sia sempre non negativo implica che il discriminante
= 4

i=1
a
i
b
i

2
4
n

i=1
b
2
i
n

i=1
a
2
i
deve essere non positivo (esercizio 1.8.3). La condizione 0 implica la
tesi.
45
Esercizi 1.9
1. Determinare sotto quali condizioni sui numeri reali x, y valgono le
uguaglianze:
(i) [x[ [y[ = [x y[; (ii) [x + y[ = [x y[;
(iii) [x[ [y[ = x y; (iv) [x[ [y[ = x + y;
(v) [[x[ [y[[ = [x + y[; (vi) [[x[ [y[[ = [x y[;
(vii) [[x[ [y[[ = x + y; (viii) [[x[ [y[[ = x y.
2. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni:
(i) [x[ + 1 = [x + 1[, (ii) [x[ x
2
= [[x[ + x[,
(iii) [x + 3[ < [2x 3[, (iv) [[x 1[ + 1[ < 1,
(v)
1
|x|

1
|x+3|
>
1
|x+4|
, (vi) [[2x 1[ [x + 3[[ < [4x + 5[.
3. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni:
(i) [x 1[ < 3; (ii) [2 + 3x[ = [4 x[;
(iii) [10 3x[ = 4; (iv) [1 + 2x[ 1;
(v) [x + 2[ 5x; (vi) [5 + x
1
[ < 1;
(vii) [x
2
2[ 1; (viii) x < [x
2
12[ < 4x;
(ix)
15x 3
x
2
5
3 ; (x)

x + 1 > 1
3x + 4 > 2
;
(xi)
[x
2
2[ + 3
3x + 1
1; (xii)
[x + 2[ 2x
x
2
2x
1;
(xiii)
2
x + 2
>
2x
x
2
1
; (xiv) x
2
5[x[ + 6 0.
4. Siano a, b R con b 0. Vericare che
[x a[ < b a b < x < a + b.
5. Determinare un numero reale M tale che si abbia
[x[ 1 = [x
2
x[ M.
46
6. Risolvere le seguenti disequazioni:
(i)

x + 1
x + 3
2; (ii)

[x + 2[
[x 1[
> 1;
(iii)

4x
2
1 < x 3; (iv)

3x
2
1 >

x
2
3;
(v) [x[

1 2x
2
> 2x
2
1; (vi)
[x[ 3

x 2
>

x.
7. Provare che per ogni a R si ha
maxa, 0 =
a +[a[
2
, mina, 0 = maxa, 0 =
a [a[
2
.
8. Si dimostri la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz utilizzando il principio
di induzione.
1.10 La funzione esponenziale
Vogliamo denire la funzione esponenziale a
x
per ogni base a > 0 e per
ogni esponente x R, naturalmente preservando le propriet`a usuali, noto-
riamente vere quando gli esponenti sono numeri naturali. A questo scopo
procederemo in vari passi.
Prima di cominciare, enunciamo un lemma che useremo a pi` u riprese.
Lemma 1.10.1 (dellarbitrariet`a di ) Siano a, b numeri reali e M, nu-
meri reali positivi. Supponiamo che risulti
a b + M ]0, [;
allora si ha necessariamente a b.
Dimostrazione Se fosse a > b, scegliendo

0, min

,
a b
M

si otterrebbe a > b + M, contro lipotesi.


1
o
passo (esponenti naturali) Ricordiamo che per n N e a R la
47
potenza a
n
`e stata denita allinizio del paragrafo 1.7; `e facile vericare che
se a, b > 0 valgono i seguenti fatti:
(i) a
n
> 0 n N, a
0
= 1;
(ii) a
n+m
= a
n
a
m
n, m N;
(iii) a
nm
= (a
n
)
m
n, m N;
(iv) (ab)
n
= a
n
b
n
n N;
(v) a < b = a
n
< b
n
n N
+
;
(vi)

a < 1 = a
n
< 1
a > 1 = a
n
> 1
n N
+
;
(vii)

a < 1 = a
m
< a
n
a > 1 = a
m
> a
n
m, n N
+
con m > n.
Le propriet`a (i)-(vi) si vericano per induzione su n (esercizio 1.10.1), mentre
la (vii) segue banalmente da (vi) scrivendo a
m
= a
n
a
mn
.
2
o
passo (radici n-sime) Per n N
+
e a > 0 la quantit`a a
1/n
`e stata
denita nel paragrafo 1.8 come lunica soluzione positiva dellequazione x
n
=
a; dunque per denizione si ha
(a
1
n
)
n
= a n N
+
.
Risulta anche
a
1
nm
= (a
1
n
)
1
m
n, m N
+
(perche, per (iii), i due membri risolvono entrambi lequazione x
mn
= a),
(a
1
n
)
m
= (a
m
)
1
n
n, m N
+
(perche, per (iii), i due membri risolvono entrambi lequazione x
n
= a
m
),
(ab)
1
n
= a
1
n
b
1
n
n N
+
(perche, per (iv), i due membri risolvono entrambi lequazione x
n
= ab),

a < 1 = a
1
n
< 1
a > 1 = a
1
n
> 1
n N
+
48
(per lesercizio 1.10.2),

a < 1 = a
1
n
< a
1
m
a > 1 = a
1
n
> a
1
m
n, m N
+
con m > n
(elevando entrambi i membri alla potenza mn ed usando (iii), (vii)).
3
o
passo (esponenti razionali) Se r Q, sar`a r =
p
q
con p Z, q N
+
;
se a > 0 poniamo allora, per denizione,
a
p
q
=

a
1
q

p
se p 0
1

a
1
q

p
se p < 0.
Occorre per`o vericare che questa `e una buona denizione, nel senso che essa
non deve dipendere dal modo di rappresentare in frazione il numero razionale
r: in altri termini, bisogna controllare che se r =
p
q
=
m
n
, cio`e m = kp, n = kq
con k N
+
, allora risulta a
p
q
= a
m
n
. Ed infatti, supposto ad esempio p 0,
utilizzando le propriet`a precedenti si trova
a
m
n
= (a
1
kq
)
kp
= [((a
1
q
)
1
k
)
k
]
p
= (a
1
q
)
p
= a
p
q
;
il discorso `e del tutto analogo se p < 0.
Si ottengono allora facilmente le estensioni delle propriet`a (i)-(vii) al caso di
esponenti razionali (vedere esercizio 1.10.3):
(i) a
r
> 0 r Q, a
0
= 1;
(ii) a
r+s
= a
r
a
s
r, s Q;
(iii) a
rs
= (a
r
)
s
r, s Q;
(iv) (ab)
r
= a
r
b
r
r Q;
(v) a < b = a
r
< b
r
r Q con r > 0;
(vi)

a < 1 = a
r
< 1
a > 1 = a
r
> 1
r Q con r > 0;
(vii)

a < 1 = a
r
< a
s
a > 1 = a
r
> a
s
r, s Q con r > s.
49
4
o
passo (esponenti reali) Manco a dirlo, nellestensione da Q a R `e
essenziale lassioma di continuit`a. Prima di denire la quantit`a a
x
per x R,
dimostriamo il seguente risultato che ci illuminer`a sul modo di procedere.
Proposizione 1.10.2 Siano a, x R con a > 0, e poniamo
A = a
r
: r Q, r < x, B = a
s
: s Q, s > x.
Allora gli insiemi A e B sono separati; in particolare, se a 1 si ha sup A =
inf B, mentre se a 1 risulta inf A = sup B.
Dimostrazione Supponiamo a 1 e poniamo = sup A, = inf B; questi
numeri , sono niti (esercizio 1.10.4). Da (vii) segue che
a
r
< a
s
r, s Q con r < x < s,
quindi risulta . Dobbiamo provare che = . Se fosse invece < ,
dal fatto che
inf
nN
+
a
1
n
= 1
(esempio 1.8.3 (1)) segue che possiamo scegliere n N
+
tale che
1 < a
1
n
<

.
Scelto poi r Q tale che x
1
n
< r < x, il che `e lecito per la densit`a dei
razionali in R (corollario 1.6.8), si ha r +
1
n
> x; dunque, usando (ii),
a
r+
1
n
= a
r
a
1
n
a
1
n
<

= .
Ci` o `e assurdo e pertanto = .
Supponiamo adesso 0 < a 1 e poniamo L = inf A, M = sup B; nuo-
vamente, questi numeri L, M sono niti (esercizio 1.10.4). Da (vii) segue
stavolta
a
r
> a
s
r, s Q con r < x < s,
cosicche L M. Se fosse L > M, preso n N
+
tale che
M
L
< a
1
n
< 1
50
(lecito, essendo sup
nN
+ a
1
n
= 1) e scelto s Q con x < s < x +
1
n
, si ha
s
1
n
< x e dunque, per (ii),
L a
s
1
n
=
a
s
a
1
n

M
a
1
n
< M
L
M
= L.
Ci` o `e assurdo e pertanto L = M.
La precedente proposizione ci dice che la nostra scelta per denire a
x
`e
obbligata: se vogliamo mantenere la propriet`a (vii) siamo forzati a dare
questa
Denizione 1.10.3 Siano a, x R con a > 0. Indichiamo con a
x
il numero
reale seguente:
a
x
=

supa
r
: r Q, r < x = infa
s
: s Q, s > x se a 1
infa
r
: r Q, r < x = supa
s
: s Q, s > x se 0 < a 1.
Non `e dicile vericare che nel caso in cui x `e razionale questa denizione
concorda con la precedente (esercizio 1.10.4).
Osservazioni 1.10.4 (1) Dalla denizione segue subito che 1
x
= 1 per
ogni x R.
(2) Per ogni a > 0 e per ogni x R risulta a
x
=
1
a
x
. Infatti, supposto ad
esempio a 1, si ha
a
x
= supa
r
: r Q, r < x = (posto s = r)
= supa
s
: s Q, s > x = (per denizione nel caso
di esponente razionale)
= sup

1
a
s
: s Q, s > x

= (per lesercizio 1.10.5)


=
1
infa
s
: s Q, s > x
=
1
a
x
;
il discorso `e analogo se 0 < a 1.
Estendiamo adesso le propriet`a (i)-(vii) al caso di esponenti reali. La (i) `e
evidente. Per la (ii) si ha:
Proposizione 1.10.5 Per ogni a > 0 si ha
a
x+y
= a
x
a
y
x, y R.
51
Dimostrazione Supponiamo ad esempio a 1. Poiche
a
x+y
= supa
q
: q Q, q < x + y,
per ogni r, s Q con r < x e s < y si ha r + s < x + y e quindi
a
r
a
s
= a
r+s
a
x+y
.
Passando allestremo superiore separatamente rispetto a r e rispetto a s,
otteniamo (esercizio 1.5.15)
a
x
a
y
a
x+y
.
In modo del tutto analogo, usando il fatto che
a
x+y
= infa
q
: q Q, q > x + y,
si prova che a
x
a
y
a
x+y
. La tesi `e cos` provata quando a 1.
Nel caso 0 < a 1 si procede esattamente come sopra: lunica dierenza `e
che dalla relazione
a
x+y
= infa
q
: q Q, q < x + y
segue che a
x
a
y
a
x+y
, mentre dalla relazione
a
x+y
= supa
q
: q Q, q < x + y
segue che a
x
a
y
a
x+y
.
Proviamo ora (iv) e (iii); per le propriet`a (v), (vi), (vii) si rimanda agli
esercizi 1.10.6, 1.10.7 e 1.10.8.
Proposizione 1.10.6 Per ogni a, b > 0 si ha
(ab)
x
= a
x
b
x
x R.
Dimostrazione Supponiamo a, b 1. Usando la caratterizzazione di a
x
,
b
x
, (ab)
x
mediante gli estremi superiori, si vede che per ogni r Q con r < x
si ha
a
r
b
r
= (ab)
r
(ab)
x
.
Daltra parte ssato > 0 esistono r, r

Q con r < x e r

< x tali che


a
x
< a
r
a
x
, b
x
< b
r

b
x
;
52
quindi posto = maxr, r

si ha a maggior ragione
a
x
< a

a
x
, b
x
< b

b
x
.
Ne segue, scegliendo 0 < < mina
x
, b
x
,
(a
x
)(b
x
) < a

= (ab)

(ab)
x
da cui, essendo
2
> 0,
a
x
b
x
(b
x
+ a
x
) < (ab)
x
ossia
a
x
b
x
< (ab)
x
+ (a
x
+ b
x
) ]0, mina
x
, b
x
[;
per il lemma dellarbitrariet`a di si deduce che a
x
b
x
(ab)
x
.
Utilizzando invece le caratterizzazioni di a
x
, b
x
, (ab)
x
mediante gli estremi
inferiori, si ottiene in modo analogo che a
x
b
x
(ab)
x
. La tesi `e cos` provata
quando a, b 1.
Se a, b 1 si procede in modo simmetrico: usando le caratterizzazioni con
gli estremi superiori si trova che a
x
b
x
(ab)
x
, usando quelle con gli estremi
inferiori si trova laltra disuguaglianza.
Inne se a > 1 > b e, ad esempio, ab 1, allora usando le caratterizzazioni
con gli estremi superiori avremo:
a
r
b
r
= (ab)
r
(ab)
x
r Q con r < x,
e per ogni > 0 esistono r

, s

Q, con r

< x, s

> x, tali che


a
x
< a
r

a
x
, b
x
< b
s

b
x
;
dunque se 0 < < mina
x
, b
x
si ricava, ricordando che b
s

1,
0 < (a
x
)(b
x
) < a
r

b
s

a
r

b
r

= (ab)
r

(ab)
x
,
da cui, procedendo come prima, a
x
b
x
(ab)
x
. Similmente, usando le carat-
terizzazioni con gli estremi inferiori, si arriva alla disuguaglianza opposta. Se
a > 1 > b e ab 1, la procedura `e la stessa, mutatis mutandis, e lasciamo
i dettagli al lettore.
53
Osservazione 1.10.7 Dalla proposizione precedente segue, in particolare,
che
a
x

1
a

x
= 1
x
= 1 a > 0, x R,
cio`e, ricordando losservazione 1.10.4,
1
a
x
= a
x
=

1
a

x
a > 0, x R.
Proposizione 1.10.8 Per ogni a > 0 si ha
(a
x
)
y
= a
xy
x, y R.
Dimostrazione
`
E suciente considerare il caso x, y 0: infatti, provata
la tesi in questo caso, se minx, y < 0 ci si riconduce ad esso nel modo
seguente:
(a
x
)
y
=

1
a
x

y
=
1
a
(x)y
= a
xy
se x < 0 y;
(a
x
)
y
=
1
(a
x
)
y
=
1
a
xy
= a
xy
se y < 0 x;
(a
x
)
y
=
1
(a
x
)
y
=
1

1
a
x

y
=
1
1
a
(x)(y)
= a
(x)(y)
= a
xy
se x, y < 0.
Siano dunque x, y 0: se x = 0 oppure y = 0 la tesi `e evidente, dunque
possiamo assumere x, y > 0. Consideriamo dapprima il caso a 1: in
particolare avremo anche a
x
1. Usando la caratterizzazione con gli estremi
superiori, si ha che
(a
r
)
s
= a
rs
a
xy
r, s Q con r < x e s < y,
e per ogni ]0,
1
2
[ esistono r

, s

Q tali che 0 < r

< x, 0 < s

< y e
a
x
(1 ) < a
r

a
x
, (a
x
)
y
(1 ) < (a
x
)
s

(a
x
)
y
.
Dunque, facendo uso della proposizione 1.10.8 e tenendo conto che s

0 e
0 < r

< xy, si ottiene


(a
x
)
y
<
(a
x
)
s

1
=
(a
x
)
s

(1 )
s

(1 )
s

+1
=
[a
x
(1 )]
s

(1 )
s

+1

a
r

(1 )
s

+1

a
xy
(1 )
s

+1
.
54
Da qui, scegliendo n N tale che s

+1 n, e osservando che da <


1
2
segue
1
1
< 1 + 2, concludiamo che
(a
x
)
y
<
a
xy
(1 )
s

+1
< a
xy
(1 + 2)
n
.
Daltra parte, dalla formula del binomio (teorema 1.7.1) e dallosservazione
1.7.2 (3) segue che
(1 + 2)
n
= 1 +
n

k=1

n
k

(2)
k
< 1 + 2
n

k=1

n
k

< 1 + 2
n+1
,
da cui nalmente
(a
x
)
y
< a
xy
+ a
xy
2
n+1

0,
1
2

,
e dunque (a
x
)
y
a
xy
in virt` u dellarbitrariet`a di .
In modo analogo, usando la caratterizzazione con gli estremi inferiori, si prova
la disuguaglianza opposta: ci`o conclude la dimostrazione nel caso a 1.
Se 0 < a 1 si procede in modo analogo: la caratterizzazione con gli estremi
superiori implicher`a che (a
x
)
y
a
xy
, mentre quella con gli estremi inferiori
porter`a alla disuguaglianza opposta. La tesi `e cos` provata.
Logaritmi
Abbiamo visto che la funzione esponenziale di base a (con a numero positivo
e diverso da 1) `e denita per ogni x R ed `e a valori in ]0, [. Essa `e
strettamente monot`ona, ossia verica (esercizio 1.10.8)
x < y = a
x
< a
y
se a > 1, x < y = a
x
> a
y
se a < 1 :
se a > 1 `e dunque una funzione strettamente crescente su R, se a < 1 `e
strettamente decrescente su R. In particolare, essa `e iniettiva: ci`o signica
che ad esponenti distinti corrispondono potenze distinte, ossia
a
x
= a
y
= x = y.
Inoltre la funzione esponenziale ha per codominio la semiretta ]0, [, vale
a dire che ogni numero positivo `e uguale ad una potenza di base a, per un
opportuno esponente x R; ci`o `e garantito dal seguente risultato:
55
Teorema 1.10.9 Se a `e un numero positivo diverso da 1, allora per ogni
y > 0 esiste un unico x R tale che a
x
= y; tale numero x si chiama
logaritmo in base a di y e si indica con x = log
a
y.
Dimostrazione Lunicit`a di x `e conseguenza delliniettivit`a della funzione
esponenziale. Proviamo lesistenza. Trattiamo dapprima il caso a > 1, y > 1:
consideriamo linsieme
A = t R : a
t
< y,
che `e certamente non vuoto, essendo 0 A. Notiamo che A `e anche limi-
tato superiormente. Infatti esiste n N tale che a
n
> y, dato che per la
disuguaglianza di Bernoulli (esercizio 1.7.5) si ha a
n
> 1 +n(a 1) > y non
appena n >
y1
a1
; quindi risulta a
n
> y > a
t
per ogni t A, da cui n > t per
ogni t A, ossia ognuno di tali n `e un maggiorante di A. Poniamo allora
x = sup A, e mostriamo che a
x
= y.
Se fosse a
x
> y, scelto n N in modo che a
1/n
< a
x

1
y
, il che `e possibile
grazie allesempio 1.8.3 (1), avremmo a
x1/n
> y > a
t
per ogni t A, da cui
x
1
n
> t per ogni t A: ne seguirebbe che x
1
n
sarebbe un maggiorante
di A, il che contraddice la denizione di x. Se fosse a
x
< y, scelto n in
modo che a
1/n
< y a
x
, avremmo a
x+1/n
< y, cio`e x +
1
n
A, nuovamente
contraddicendo la denizione di x. Perci`o a
x
= y, e la tesi `e provata nel caso
a > 1, y > 1.
Se a > 1, y = 1 allora chiaramente x = 0. Se a > 1, 0 < y < 1, allora
1
y
> 1,
cosicche per quanto gi`a visto esiste un unico x

R tale che a
x

=
1
y
; quindi,
posto x = x

, si ha a
x
= a
x

= y.
Inne, se 0 < a < 1 e y > 0, per quanto visto esiste un unico x

R tale che
(1/a)
x

= y; posto x = x

, ne segue a
x
= y.
La funzione esponenziale (con base positiva e diversa da 1) `e dunque inver-
tibile: la funzione inversa, che ad ogni y > 0 associa lunico esponente x R
per il quale si ha a
x
= y, `e il logaritmo di base a:
a
x
= y x = log
a
y.
La funzione logaritmo `e denita su ]0, [, a valori in R, ed `e ovviamente
anchessa bigettiva: dunque per ogni x R esiste un unico y > 0 tale che
log
a
y = x, e tale y `e precisamente a
x
. Si hanno dunque le relazioni
a
log
a
y
= y y > 0, log
a
a
x
= x x R.
56
Dalle propriet`a dellesponenziale seguono le corrispondenti propriet`a dei lo-
garitmi:
log
a
(bc) = log
a
b + log
a
c b, c > 0, a ]0, [`1
(conseguenza di a
x+y
= a
x
a
y
, scegliendo x = log
a
b, y = log
a
c);
log
a
1
c
= log
a
c c > 0, a ]0, [`1
(conseguenza di a
x
=
1
a
x
, scegliendo x = log
a
c);
log
a
c = log
a
b log
b
c c > 0, a, b ]0, [`1
(conseguenza di (a
x
)
y
= a
xy
, scegliendo x = log
a
b, y = log
b
c). In particolare:
log
a
b
c
= log
a
b log
a
c b, c > 0, a ]0, [`1,
log
a
1 = 0 a ]0, [`1,
log
a
b
c
= c log
a
b c R, b > 0, a ]0, [`1,
log
a
b =
1
log
b
a
a, b ]0, [`1.
I graci approssimativi delle funzioni a
x
, log
a
x sono riportati di seguito.
57
Landamento qualitativo del graco di a
x
`e giusticato dalle seguenti consi-
derazioni: se a > 1, lincremento della quantit`a a
x
nel passaggio da 0 a `e
pari a a

1, mentre nel passaggio da t a t + `e pari a a


t+
a
t
, ossia a
a
t
(a

1). Dunque `e lo stesso di prima, dilatato o contratto di un fattore a


t
(che `e maggiore di 1 se t > 0, minore di 1 se t < 0). Se 0 < a < 1, vale lo
stesso discorso, ma rovesciato: si hanno incrementi dilatati se t < 0, contratti
se t > 0.
Il graco qualitativo di log
a
x si ottiene da quello di a
x
per riessione rispetto
alla retta y = x, come sempre accade per le funzioni inverse (osservazione
58
1.3.1).
Esercizi 1.10
1. Dimostrare le regole di calcolo con esponenti naturali, ossia le propriet`a
(i)-(vi) enunciate nel 1
o
passo.
2. Si provi che
a 1 a
1/n
1 n N
+
;
0 < a 1 a
1/n
1 n N
+
.
3. Dimostrare le regole di calcolo con esponenti razionali, ossia le propriet`a
(i)-(vii) enunciate nel 3
o
passo.
4. Per a > 0 poniamo
A = a
r
: r Q, r < x, B = a
s
: s Q, s > x.
Si provi che A e B sono limitati inferiormente, e che:
(i) se a 1, A `e limitato superiormente, mentre se a 1, B `e limitato
superiormente;
(ii) supposto x =
p
q
Q, se a 1 si ha a
p/q
= sup A = inf B, mentre
se a 1 si ha a
p/q
= inf A = sup B.
5. Sia A un insieme non vuoto contenuto nella semiretta ]0, [. Si provi
che
sup

1
x
: x A

+ se inf A = 0
1
inf A
se inf A > 0,
inf

1
x
: x A

0 se sup A = +
1
sup A
se sup A < +.
6. Siano a, b > 0 e x > 0. Si provi che se a < b allora a
x
< b
x
.
7. Siano a, x > 0. Si provi che se a < 1 allora a
x
< 1, mentre se a > 1
allora a
x
> 1.
59
8. Siano a > 0 e x, y R con x < y. Si provi che se a < 1 allora a
x
> a
y
,
mentre se a > 1 allora a
x
< a
y
.
9. Dimostrare che lequazione 37
x
= (0.58)
x
3
non ha soluzioni reali diverse
da 0.
10. Risolvere le seguenti equazioni:
(i)

8
x
=
1
4
; (ii) 9
1/(x1)
= 3
1/(3x1)
;
(iii) 7
x
2
5x+9
= 343; (iv)
(5
2x
)
3+x
25
x1
=
(5
x2
)
2x3
25
2x
125
3
;
(v)

x + y = 4
3
xy
= 27
; (vi)

x
2
+ y
2
= 17
5
x+y
= 125
;
(vii) 8
5x
2
3
x
2
+1
= 2
153x
2
3x
2
+1
; (viii) 81
2x1
+ 2 9
4x
+ 711 = 81
2x+1
+
1
9
.
11. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni:
(i) 7
x+1
+ 7
x1
= 5
x
; (ii)

4
x
15
4

4
x
= 16;
(iii) 3
x+1
5
1x
; (iv)
1
2
< [2
x
1[ < 2;
(v) log
3
x log
1/3
x > 2; (vi) log
1/2
(2x + 3) 3;
(vii) [log
10
[x[[ = 100; (viii) (3 2
x
)(5
x/2
2) > 0;
(ix) log
3

log
4
(x
2
5)

< 0 ; (x) log


2
[x[ 3 log
4
[x[;
(xi) log
4
x
2
log
8

x =
5
3
; (xii) log
2x
x <
1
2
;
(xiii)

y
x
= 10
4
y
1/x
= 10
(xiv)

xy = 1/2
x
log
2
y
=
1
4
.
12. Dimostrare che
[a
x
1[ a
|x|
1 a 1, x R.
1.11 Geometria nel piano
In geometria il piano, come la retta, `e un concetto primitivo. Lassioma che
permette di identicare una retta orientata con linsieme dei numeri reali ci
60
consente anche di rappresentare univocamente i punti del piano con coppie
di numeri reali. Per fare ci`o, si deve ssare il sistema di riferimento, che `e
costituito da tre oggetti: (a) un punto origine O, (b) due direzioni, ossia
due rette orientate (non coincidenti e non opposte) passanti per O, e inne
(c) unorientazione: si deve decidere quale sia la prima direzione e quale la
seconda; la prima retta si chiama asse delle ascisse, o asse x e la seconda asse
delle ordinate, o asse y. Si dice che il sistema `e orientato positivamente se,
partendo dal lato positivo dellasse x e girando in verso antiorario, si incontra
il lato positivo dellasse y prima di quello negativo. Il sistema `e orientato
negativamente nel caso opposto. Noi considereremo soltanto sistemi di rife-
rimento orientati positivamente.
A questo punto si proietta P su ciascuna retta parallelamente allaltra: alle
sue due proiezioni A sullasse x e B sullasse y corrispondono univocamente
(per quanto visto) due numeri reali a, b, che si chiamano coordinate di P (ri-
spettivamente, ascissa e ordinata). La coppia (a, b) determina allora in modo
unico il punto P: si noti che se a = b le coppie (a, b) e (b, a) individuano punti
diversi. In denitiva, il piano si pu`o identicare con il prodotto cartesiano
R
2
= R R. Nel seguito questa identicazione sar`a sistematica.
`
E comodo, anche se per nulla necessario, utilizzare sistemi di riferimento or-
togonali, nei quali cio`e le due direzioni sono perpendicolari fra loro; `e anche
utile (ma talvolta controindicato) scegliere la stessa unit`a di misura per le
ascisse e per le ordinate: si parla allora di coordinate cartesiane ortogonali
monometriche.
61
I punti di R
2
si possono sommare fra loro e moltiplicare per una costante
reale, utilizzandone la rappresentazione in coordinate: se P = (x
P
, y
P
) e
Q = (x
Q
, y
Q
) sono punti di R
2
, la loro somma P +Q `e il punto di coordinate
(x
P
+x
Q
, y
P
+y
Q
); se P = (x
P
, y
P
) R
2
e `e un numero reale, il prodotto
P `e il punto di coordinate (x
P
, y
P
). Scriveremo in particolare P in
luogo di (1)P, e questo permette di denire la sottrazione: P Q signi-
ca P + (1)Q e dunque ha coordinate (x
P
x
Q
, y
P
y
Q
). La somma e la
sottrazione si possono rappresentare gracamente per mezzo della cosiddetta
regola del parallelogrammo.
Per queste operazioni valgono le usuali propriet`a della somma e del prodotto
ordinari (associativit`a, commutativit`a, distributivit`a, eccetera). La possibi-
lit`a di eettuare queste operazioni sui punti del piano denisce in R
2
una
struttura di spazio vettoriale, e per questo i punti di R
2
sono anche detti
vettori.
62
Distanza in R
2
Il passo successivo `e quello di rappresentare, e quindi denire mediante i
numeri reali, le principali propriet`a ed entit`a geometriche. Cominciamo con
la fondamentale nozione di distanza euclidea nel piano.
Denizione 1.11.1 Siano P = (x
P
, y
P
), Q = (x
Q
, y
Q
) due punti di R
2
. La
distanza euclidea fra P e Q `e il numero non negativo
PQ =

(x
P
x
Q
)
2
+ (y
P
y
Q
)
2
.
Elenchiamo le propriet`a di cui gade la distanza euclidea:
(i) (positivit`a) PQ 0 e PQ = 0 se e solo se P = Q;
(ii) (simmetria) PQ = QP per ogni P, Q R
2
;
(iii) (disuguaglianza triangolare) PQ PR + RQ per ogni P, Q, R R
2
.
Le propriet`a (i) e (ii) sono ovvie per denizione;
proviamo la (iii). Poniamo, al solito,
P = (x
P
, y
P
), Q = (x
Q
, y
Q
), R = (x
R
, y
R
)
ed anche, per comodit`a,
u = x
P
x
R
, v = y
P
y
R
,
w = x
R
x
Q
, z = y
R
y
Q
.
Dobbiamo dimostrare che

(u + w)
2
+ (v + z)
2

u
2
+ v
2
+

w
2
+ z
2
.
In eetti si ha, utilizzando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz (teorema
1.9.3),
(u + w)
2
+ (v + z)
2
= u
2
+ w
2
+ v
2
+ z
2
+ 2(uw + vz)
u
2
+ v
2
+ w
2
+ z
2
+ 2

u
2
+ v
2

w
2
+ z
2
=
= (

u
2
+ v
2
+

w
2
+ z
2
)
2
.
La distanza euclidea ha unaltra fondamentale propriet`a: linvarianza per
traslazioni. Una traslazione `e una trasformazione del piano (cio`e una funzione
63
da R
2
in R
2
) che manda ogni punto P nel punto P + U, ove U `e un ssato
punto di R
2
. Dalla denizione di distanza `e evidente il fatto che
(P + U)(Q + U) = PQ P, Q, U R
2
,
il quale esprime appunto linvarianza per traslazioni della distanza euclidea.
Invece la trasformazione del piano che manda ogni punto P di R
2
nel punto
P, ove `e un ssato numero reale, si dice omotetia; il comportamento della
distanza rispetto alle omotetie `e il seguente:
(P)(Q) = [[PQ P, Q R
2
, R .
La distanza fra due punti `e anche, come suggerisce lintuizione, invariante
rispetto a rotazioni e simmetrie del piano (esercizi 1.11.22 e 1.11.23).
Osservazione 1.11.2 La distanza euclidea PQ fra due punti P e Q coin-
cide, come abbiamo visto, con la distanza di P Q dallorigine O, cio`e con
O(P Q). In luogo di questultima notazione si usa spessissimo la seguente:
[P Q[ = PQ =

(x
P
x
Q
)
2
+ (y
P
y
Q
)
2
P, Q R
2
;
se Q = O, si scriver`a pi` u semplicemente [P[ in luogo di [P O[ (si dice che
[P[ `e il modulo del vettore P). Con questa notazione si pu`o scrivere, in modo
pi` u naturale,
[(P + U) (Q + U)[ = [P Q[ P, Q, U R
2
,
[P Q[ = [[ [P Q[ P, Q R
2
, R.
Alla distanza euclidea si associa-
no in modo naturale alcuni spe-
ciali sottoinsiemi del piano: i di-
schi e le circonferenze. Siano P =
(a, b) R
2
e r > 0. Il disco, o
cerchio, di centro P e raggio r `e
linsieme
B(P, r) = X R
2
: [X P[ < r = (x, y) R
2
: (x a)
2
+(y b)
2
< r
2
;
il disco chiuso di centro P e raggio r `e
B(P, r) = X R
2
: [X P[ r = (x, y) R
2
: (x a)
2
+(y b)
2
r
2
;
la circonferenza di centro P e raggio r `e
S(P, r) = X R
2
: [X P[ = r = (x, y) R
2
: (x a)
2
+(y b)
2
= r
2
.
64
Rette
Tutti i sottoinsiemi del piano, in linea di principio, possono essere descritti in
termini delle coordinate dei propri punti, tramite equazioni e disequazioni.
Vediamo come si rappresentano le rette in R
2
.
Se una retta `e orizzontale (parallela allasse x), i suoi punti avranno ordinata
y costante e quindi la retta sar`a descrittadallequazione
y = k,
ove k `e un ssato numero reale. Analogamente, una retta verticale (parallela
allasse y) `e costituita da punti di ascissa costante e quindi la sua equazione
sar`a
x = h
con h ssato numero reale.
Consideriamo ora una retta r obliqua, ossia non parallela agli assi coordinati.
Fissiamo due punti distinti P e Q in r. Siano poi r

la retta per P parallela


allasse x e r

la retta per Q parallela allasse y: tali rette sono perpendicolari


fra loro e quindi si incontrano in un punto T. Il triangolo PTQ `e rettangolo,
di cateti PT e QT.
Se prendiamo due altri punti distinti P

e Q

su r, e ripetiamo la stessa co-


struzione, otteniamo un altro triangolo rettangolo P

, di cateti P

e
Q

, il quale `e simile al precedente. Quindi fra le lunghezze dei rispettivi


cateti vale la proporzione
QT : PT = Q

: P

.
65
Dato che, per costruzione, T = (x
Q
, y
P
) e Q

= (x
Q
, y
P
), la proporzione
sopra scritta diventa, dopo un cambiamento di segno,
y
P
y
Q
x
P
x
Q
=
y
P
y
Q

x
P
x
Q

.
Questa relazione `e valida per ogni coppia P

, Q

di punti (distinti) di r. Ad
esempio, scegliendo P

= P, pensando P sso e facendo variare Q, si ottiene


che
y
P
y
Q
x
P
x
Q
=
y
P
y
Q

x
P
x
Q

Q, Q

r,
ossia il rapporto m =
y
P
y
Q
x
P
x
Q
`e indipendente da Q quando Q varia in r. La
quantit`a m sopra denita si chiama pendenza o coeciente angolare della
retta r. Se la retta `e orizzontale si ha m = 0; se la semiretta (di tale retta)
corrispondente alle y positive forma con la direzione positiva dellasse x un
angolo acuto, si ha m > 0, mentre se tale angolo `e ottuso si ha m < 0. Per
le rette verticali il coeciente angolare non `e denito, ma si suole dire che
esse hanno pendenza innita.
Come abbiamo visto, se X = (x, y) `e un punto di R
2
si ha X r se e solo se
y
P
y
x
P
x
= m;
dunque lequazione cartesiana della retta (obliqua) r `e la seguente:
y y
P
= m(x x
P
),
o anche, posto q = y
P
+ mx
P
,
y = mx + q.
Il numero reale q `e lordinata del punto di incontro di r con lasse y.
Riepilogando ed unicando tutti i casi sopra visti, otteniamo che la pi` u
generale equazione cartesiana di una retta `e
ax + by + c = 0
con a, b, c numeri reali tali che a e b non siano entrambi nulli. Se b = 0 la
retta `e verticale (di equazione x =
c
a
), se a = 0 la retta `e orizzontale (di
equazione y =
c
b
), e se a e b sono entrambi non nulli la retta `e obliqua
66
(di equazione y =
a
b
x
c
b
). Notiamo anche che una retta di equazione
ax+by +c = 0 passa per lorigine se e solo se il suo termine noto c `e nullo.
Si noti che lequazione cartesiana di una retta `e unica a meno di un fattore
di proporzionalit`a non nullo: se = 0, le equazioni
ax + by + c = 0, ax + by + c = 0
individuano la stessa retta.
Inne, la retta passante per due punti distinti assegnati P e Q ha equazione
(x
Q
x
P
)(y y
P
) = (y
Q
y
P
)(x x
P
)
e, se si sa che x
Q
= x
P
, si pu`o scrivere
equivalentemente
y y
P
=
y
Q
y
P
x
Q
x
P
(x x
P
).
Semirette, segmenti, semipiani
Se invece di una retta occorre descrivere una semiretta, baster`a delimitare
linsieme di variabilit`a della x o della y: per esempio, la semiretta bisettrice
del primo quadrante (x, y) R
2
: x, y 0 `e descritta dallequazione
y = x, x 0, oppure y = x, x > 0
a seconda che si consideri la semiretta chiusa, ossia comprendente il suo
estremo, oppure aperta, cio`e senza lestremo.
Analogamente, il segmento (chiuso) di estremi P e Qsulla retta r di equazione
ax + by + c = 0 `e descritto (supponendo x
P
< x
Q
) dalle condizioni
ax + by + c = 0, x
P
x x
Q
.
(Se risultasse x
P
> x
Q
si scriver`a invece x
Q
x x
P
; se poi x
P
= x
Q
, sar`a
necessariamente y
P
< y
Q
oppure y
P
> y
Q
e scriveremo allora le limitazioni
y
P
y y
Q
oppure y
Q
y y
P
.)
67
Se il segmento lo si vuole aperto, o semichiuso a destra, o semichiuso a
sinistra, occorrer`a rendere strette una o laltra o entrambe le disuguaglianze.
Se una retta r ha equazione ax + by + c = 0 e se P / r, si ha ovviamente
ax
p
+ by
P
+ c = 0. I due insiemi

+
= (x, y) R
2
: ax +by +c 0,

= (x, y) R
2
: ax +by +c 0
sono i due semipiani (chiusi) delimitati da r (se li si vuole aperti basta met-
tere le disuguaglianze strette). Per disegnarli, basta tracciare la retta r, poi
scegliere un punto P fuori di r e vedere il segno dellespressione ax
P
+by
P
+c:
se `e positivo, il semipiano contenente P sar`a
+
, se `e negativo sar`a

. Ad
esempio, il semipiano
+
relativo alla retta
10x 6y + 7 = 0 `e quello che sta al di
sotto: infatti la retta incontra lasse y nel
punto (0,
7
6
) e quindi lorigine, che appartie-
ne a
+
, sta sotto la retta.
Lintersezione di due rette non parallele `e un
punto, le cui coordinate si ottengono metten-
do a sistema le equazioni delle due rette: il
fatto che le pendenze delle rette siano diverse
garantisce la risolubilit`a del sistema.
Se invece le rette sono parallele, il sistema
avr`a innite soluzioni o nessuna soluzione a
seconda che le rette siano coincidenti o no.
Lintersezione di due semipiani `e un angolo convesso, cio`e minore dellango-
lo piatto; un angolo concavo (maggiore dellangolo piatto) si ottiene invece
facendo lunione di due semipiani. Un triangolo si ottiene intersecando tre
68
(opportuni) semipiani; ogni poligono convesso di n lati si ottiene come inter-
sezione di n semipiani. I poligoni non convessi si realizzano tramite opportune
unioni e intersezioni di semipiani.
Rette e segmenti in forma parametrica
Consideriamo il segmento S di estremi (distinti) A = (x
A
, y
A
) e B = (x
B
, y
B
)
e supponiamo, per ssare le idee, che sia x
A
< x
B
e y
B
= y
A
. Come sappiamo,
si ha
S =

(x, y) R
2
: y y
A
=
y
B
y
A
x
B
x
A
(x x
A
), x [x
A
, x
B
]

.
Se P = (x, y) S, si ha, per ragioni di similitudine,
[P A[
[B A[
=
x x
A
x
B
x
A
=
y y
A
y
B
y
A
[0, 1].
Poniamo
t =
[P A[
[B A[
:
poiche P S, si ha t [0, 1]. Le coordinate x, y di P vericano allora

x = x
A
+ t(x
B
x
A
)
y = y
A
+ t(y
B
y
A
).
Quindi ogni P S si rappresenta nella forma sopra descritta, con un oppor-
tuno t [0, 1]. Viceversa, sia P = (x, y) dato dal sistema sopra scritto, per
un certo t [0, 1]: allora si ha
xx
A
x
B
x
A
=
yy
A
y
B
y
A
= t, cosicche P appartiene
alla retta passante per A e B; daltra parte, essendo x x
A
= t(x
B
x
A
),
si ha 0 x x
A
x
B
x
A
, ossia x [x
A
, x
B
]. Pertanto P appartiene al
segmento S.
Il sistema

x = x
A
+ t(x
B
x
A
)
y = y
A
+ t(y
B
y
A
),
t [0, 1]
fornisce le equazioni parametriche del segmento S. Alle stesse equazioni si
perviene, come `e facile vericare, quando x
A
> x
B
(basta scambiare i ruoli
di A e B ed eettuare la sostituzione s = (1 t)), ed anche quando y
A
= y
B
69
(segmento orizzontale) oppure x
A
= x
B
e y
A
= y
B
(segmento verticale). In
forma vettoriale si pu`o scrivere, in modo equivalente,
S = P R
2
: P = A + t(B A), t [0, 1].
In modo analogo, il sistema

x = x
A
+ t(x
B
x
A
)
y = y
A
+ t(y
B
y
A
),
t R,
ovvero, in forma vettoriale,
P = A + t(B A), t R,
d`a le equazioni parametriche della retta per A e B. Il vettore B A pu`o
essere interpretato come la velocit`a di avanzamento lungo la retta, mentre il
parametro t rappresenta il tempo di percorrenza: allistante t = 0 ci troviamo
in A, allistante t = 1 transitiamo in B, per valori t > 1 ci spingiamo oltre
B mentre per t < 0 siamo dallaltra parte, oltre A.
Parallelismo e perpendicolarit`a
Due rette r, r

sono parallele se e solo se hanno lo stesso coeciente angola-


re, cosicche le rispettive equazioni cartesiane, a parte uneventuale costante
moltiplicativa, dieriscono solamente per il termine noto. Se le rette hanno
equazioni ax + by + c = 0 e a

x + b

y + c

= 0, esse sono parallele se e solo


se il sistema costituito dalle due equazioni non ha soluzioni (in tal caso le
rette sono parallele e distinte) oppure ne ha innite (e allora le due rette
coincidono). Ci`o equivale alla condizione
ab

ba

= 0
(esercizio 1.11.1), la quale esprime appunto il fatto che il sistema costituito
dalle equazioni delle due rette non `e univocamente risolubile.
Se le due rette sono scritte in forma parametrica:
r = X = P + tQ, t R, r

= X = A + tB, t R,
esse risultano parallele se e solo se esiste R ` 0 tale che Q = B
(esercizio 1.11.13).
Due segmenti PQ, AB, dunque di equazioni parametriche
PQ = X = P+t(QP), t [0, 1], AB = X = A+t(BA), t [0, 1],
70
sono paralleli se le rette che li contengono sono parallele: quindi se e solo se
QP `e proporzionale a B A.
Una retta r `e parallela ad un segmento PQ se `e parallela alla retta che lo
contiene.
Scriviamo ora lequazione cartesiana di una retta r

perpendicolare ad una
retta r assegnata.
`
E chiaro che se r `e orizzontale allora r

`e verticale, e se r `e
verticale allora r

`e orizzontale. Supponiamo r obliqua: se P e Q sono punti


distinti di r, sappiamo che la pendenza di r `e m =
y
P
y
Q
x
P
x
Q
; se ora P

e Q

sono punti distinti di r

, costruiamo i punti T e T

di intersezione delle rette


parallele agli assi passanti rispettivamente per P, Q e per P

, Q

, come si `e
fatto in precedenza. I triangoli rettangoli PTQ e P

sono ancora simili,


ma le coppie di cateti sono scambiate e si ha
QT : PT = P

: Q

,
da cui
y
Q
y
P

x
Q
x
P

=
x
Q
x
P
y
Q
y
P
=
1
m
,
e in denitiva la pendenza di r

`e m

=
1
m
.
Di conseguenza, se r ha equazione del tipo ax + by + c = 0, le rette per-
pendicolari a r hanno equazioni della forma bx + ay + k = 0, con k R
arbitrario.
Vediamo ora come si esprime la perpendicolarit`a fra segmenti. Consideria-
mo due segmenti OP, OQ con un vertice nellorigine O, ove P = (x
P
, y
P
) e
Q = (x
Q
, y
Q
) sono punti distinti e diversi da O. Il fatto che OP sia perpendi-
colare ad OQ si pu`o descrivere in termini di distanza: signica che O, fra tutti
71
i punti della retta r contenente OQ, `e quello situato a minima distanza da P.
Traduciamo questo in termini di coordina-
te: poiche i punti tQ, al variare di t R,
descrivono la retta r, deve aversi
[P[ [P tQ[ t R.
Elevando al quadrato i due membri si ricava,
per denizione di distanza,
x
2
P
+ y
2
P
(x
P
tx
Q
)
2
+ (y
P
ty
Q
)
2
=
= x
2
P
+ y
2
P
2t(x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
) + t
2
(x
2
Q
+ y
2
Q
) t R,
ovvero
t
2
(x
2
Q
+ y
2
Q
) 2t(x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
) 0 t R.
Ci` o `e possibile se e solo se il discriminante di questo polinomio di secondo
grado `e non positivo: dunque deve essere
(x
p
x
Q
+ y
P
y
Q
)
2
0,
ossia
x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
= 0.
Questa condizione `e pertanto equivalente alla perpendicolarit`a dei segmenti
OP e OQ. Essa dipende solo dalle coordinate di P e di Q: dunque esprime
una propriet`a che riguarda intrinsecamente i punti P e Q, e che `e naturale
prendere come denizione di ortogonalit`a fra vettori di R
2
(e non pi` u fra
segmenti di R
2
).
Denizione 1.11.3 Diciamo che due vettori P = (x
P
, y
P
) e Q = (x
Q
, y
Q
)
di R
2
sono fra loro ortogonali, se i segmenti OP e OQ sono perpendicolari,
ossia se risulta
x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
= 0.
Due segmenti qualunque PQ e AB sono perpendicolari se e solo se i vettori
QP e B A sono ortogonali, ossia se e solo se
(x
Q
x
P
)(x
B
x
A
) + (y
Q
y
P
)(y
B
y
A
) = 0.
Consideriamo ancora due rette r, r

, scritte stavolta in forma parametrica:


r = X = P + tQ, t R, r

= X = A + tB, t R.
72
Allora la direzione di r `e quella del vettore Q e la direzione di r

`e quella del
vettore B: perci`o esse sono perpendicolari se e solo se Q e B sono vettori
ortogonali, vale a dire se e solo se x
Q
x
B
+ y
Q
y
B
= 0.
Supponiamo invece, nuovamente, che r, r

siano scritte in forma cartesiana:


r = (x, y) : ax + by + c = 0, r

= (x, y) : a

x + b

y + c

= 0,
e consideriamo le rette ,

parallele a r ed a r

e passanti per lorigine:


= (x, y) : ax + by = 0,

= (x, y) : a

x + b

y = 0.
Dalla denizione 1.11.3 segue subito che `e linsieme dei vettori che sono
ortogonali al vettore dei suoi coecienti (a, b), mentre

`e, analogamente,
linsieme dei vettori che sono ortogonali a (a

, b

); se ne deduce che e

(e
quindi anche r e r

) sono fra loro perpendicolari se e solo se i vettori (a, b) e


(a

, b

) sono fra loro ortogonali, cio`e se e solo se


aa

+ bb

= 0.
Ritroviamo cos` il fatto che le equazioni di r e r

sono, a meno di un fattore


di proporzionalit`a, della forma
r = (x, y) : ax + by + c = 0, r

= (x, y) : bx ay + c

= 0.
Si noti che comunque si ssi U = (u, v) r, la retta r descrive linsieme
dei vettori X = (x, y) tali che X U `e ortogonale al vettore dei coecienti
A = (a, b): infatti, essendo U r si ha c = (au + bv), da cui
(x u)a + (y v)b = ax + by + c = 0.
Esempio 1.11.4 La retta r di
equazione x y = 0 `e la bi-
settrice degli assi coordinati. La
perpendicolare a r passante per
(2, 5) `e la retta r

di equazione
(x + 2) (y 5) = 0, ovvero,
pi` u semplicemente, x + y 3 =
0. La parallela a r passante per
(1, 4) `e la retta r

di equazio-
ne (x + 1) (y + 4) = 0, ossia
x y 3 = 0.
73
Prodotto scalare
In R
2
, oltre alla somma ed al prodotto per scalari, `e denita unaltra ope-
razione fra vettori: il prodotto scalare, che a due vettori assegnati fa cor-
rispondere una quantit`a scalare, vale a dire un numero reale, e che come
vedremo ha un rilevante signicato geometrico.
Denizione 1.11.5 Siano P = (x
P
, y
P
), Q = (x
Q
, y
Q
) punti di R
2
. La
quantit`a
x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
si chiama prodotto scalare fra P e Q e si indica con P Q.
Le propriet`a del prodotto scalare sono le seguenti: per ogni P, Q, R R
2
si
ha
(i) P P = [P[
2
;
(ii) P Q = Q P;
(iii) (P + Q) R = P R + Q R;
(iv) [P Q[ [P[ [Q[.
Le prime tre propriet`a sono immediata conseguenza della denizione; la quar-
ta `e una riformulazione della disuguaglianza di Cauchy-Schwarz.
Vale anche il seguente sviluppo del binomio:
[P Q[
2
= [P[
2
+[Q[
2
2 P Q P, Q R
2
(esercizio 1.11.8).
Dalla denizione di prodotto scalare e dalla denizione 1.11.3 segue che due
vettori P e Q sono fra loro ortogonali se e solo se P Q = 0.
Ma il signicato geometrico del prodotto scalare non `e tutto qui: data una
retta r per lorigine, di equazione ax+by = 0, il vettore Q = (a, b) appartiene
al semipiano
+
= (x, y) R
2
: ax + by 0, come si verica immedia-
tamente. Poiche il segmento OQ `e perpendicolare alla retta, si deduce che

+
`e linsieme dei vettori P tali che i segmenti OP e OQ formano un angolo
acuto, mentre

= (x, y) R
2
: ax + by 0 `e linsieme dei vettori P
tali che langolo fra i segmenti OP e OQ `e ottuso. Daltra parte, si ha, per
denizione di prodotto scalare,

+
= P R
2
: P Q 0,

= P R
2
: P Q 0;
74
se ne deducono le equivalenze

QOP acuto P Q > 0,

QOP retto P Q = 0,

QOP ottuso P Q < 0.


Distanza di un punto da una retta
Sia r una retta di equazione ax +by +c = 0, e sia U = (x
U
, y
U
) un punto di
R
2
. Vogliamo calcolare la distanza del punto U dalla retta r, ossia il minimo
delle distanze UP al variare di P r; denoteremo tale distanza con d(U, r).
Supponiamo naturalmente U / r, altrimenti la distanza cercata `e 0. Con-
sideriamo la retta r

passante per U e perpendicolare a r: essa intersecher`a


r in un punto Q, le cui coordinate (x, y) si determinano, come sappiamo,
risolvendo il sistema

ax + by + c = 0
b(x x
U
) + a(y y
U
) = 0,
`
E facile, anche se un po laborioso, dedurre che
x
Q
=
ac + b
2
x
U
aby
U
a
2
+ b
2
, y
Q
=
bc abx
U
+ a
2
y
U
a
2
+ b
2
.
Dato che la minima distanza UP si ottiene per P = Q, ci baster`a determinare
UQ. Sviluppando con pazienza i calcoli, si trova
UQ
2
= (x
U
x
Q
)
2
+ (y
U
y
Q
)
2
=
=
1
(a
2
+ b
2
)
2

x
U
(a
2
+ b
2
) + ac b
2
x
U
+ aby
U

2
+
+

y
U
(a
2
+ b
2
) + bc + abx
U
a
2
y
U

=
=
1
(a
2
+ b
2
)
2

a
2
(ax
U
+ by
U
+ c)
2
+ b
2
(ax
U
+ by
U
+ c)
2

=
=
(ax
U
+ by
U
+ c)
2
a
2
+ b
2
,
75
da cui
d(U, r) = UQ =
[ax
U
+ by
U
+ c[

a
2
+ b
2
.
Quindi, ad esempio, la distanza del punto (32, 48) dalla retta di equazione
x 2y 99 = 0 `e semplicemente
[32 96 99[

1 + 4
=
163

5
.
Lineare indipendenza
Siano A, B R
2
. Come sappiamo, la somma A+B `e il vettore di componenti
(x
A
+y
A
, x
B
+y
B
), e la sua posizione nel piano si determina mediante la regola
del parallelogrammo, il cui nome deriva dal fatto che nel parallelogrammo di
lati OA e OB il quarto vertice `e A + B. Consideriamo linsieme
M = P R
2
: , R : P = A + B,
che `e il luogo dei quarti vertici di tutti i parallelogrammi costruiti su multipli
dei vettori A e B. Le espressioni A+B, al variare di , R, si chiamano
combinazioni lineari dei vettori A e B: quindi M `e linsieme dei vettori P
che sono combinazioni lineari di A e B.
`
E chiaro che O M: per ottenere O
basta scegliere = = 0. A seconda di come si ssano A e B, pu`o capitare
che questo sia lunico modo di ottenere O, o possono invece esistere altri
valori (non nulli) di e tali che A + B = O.
Denizione 1.11.6 Due vettori A, B di R
2
si dicono linearmente indipen-
denti se ogni combinazione lineare nulla di A e B ha necessariamente en-
trambi i coecienti nulli: in altre parole, se vale limplicazione
A + B = O = = = 0.
I due vettori si dicono linearmente dipendenti se non sono linearmente indi-
pendenti, ossia se esistono , R, non entrambi nulli, tali che A+B =
O.
`
E chiaro che A e B sono linearmente dipendenti se e solo se sono allineati con
lorigine; in questo caso linsieme M coincide con la retta per A e B. Quando
invece A e B non sono allineati con O (e in particolare sono entrambi non
nulli), si pu`o agevolmente mostrare che M = R
2
. Sia infatti P = (x, y) R
2
76
e proviamo che esistono e tali che P = A+B. Questa uguaglianza si
pu` o tradurre nel sistema

x
A
+ x
B
= x
y
A
+ y
B
= y
le cui incognite sono e . Risolvendo si
trovano e :
=
yx
B
xy
B
x
B
y
A
y
B
x
A
, =
xy
A
yx
A
x
B
y
A
y
B
x
A
,
il che dimostra che P M, a patto per`o che risulti x
B
y
A
y
B
x
A
= 0. Ma
se fosse x
B
y
A
y
B
x
A
= 0, posto C = (y
B
, x
B
) avremmo A C = 0, nonche
B C = 0. Di conseguenza, sia A che B apparterrebbero alla retta di equa-
zione y
B
x + x
B
y = 0, cio`e sarebbero allineati con lorigine: ci`o `e assurdo.
In denitiva, data una qualunque coppia di vettori A, B linearmente indipen-
denti, le combinazioni lineari di tali vettori generano tutto il piano R
2
; in tal
caso ogni P R
2
si pu`o scrivere in uno ed un sol modo come combinazione
lineare di A e B (esercizio 1.11.24).
Esercizi 1.11
1. Dimostrare che il sistema

ax + by + c = 0
a

x + b

y + c

= 0
`e risolubile univocamente se e solo se risulta ab

ba

= 0; in tal caso
se ne scriva la soluzione (x, y).
2. Determinare la retta passante per (2, 1) e perpendicolare alla retta di
equazione 4x 3y + 12 = 0.
3. Determinare la retta passante per (0, 0) e per il centro della circonfe-
renza di equazione x
2
+ y
2
2x + y = 0.
4. Si calcoli la distanza del punto (3, 2) dalla retta di equazione 4x
3y + 12 = 0.
5. Si suddivida il segmento di estremi (1, 2) e (2, 1) in quattro parti di
egual lunghezza mediante i tre punti P, Q, R. Si calcolino le coordinate
di tali punti.
77
6. Dati P = (2, 5) e Q = (4, 13), trovare le coordinate di un punto R sul
segmento PQ tale che [P R[ = 2 [QR[.
7. Sia R = (2, 3) il punto medio del segmento PQ, ove P = (7, 5).
Determinare le coordinate di Q.
8. Dimostrare che per ogni P, Q R
2
si ha
[P Q[
2
= [P[
2
+[Q[
2
2 P Q.
9. Provare che il triangolo di vertici (2, 1), (4, 2) e (5, 1) `e isoscele.
10. Provare che il triangolo di vertici (3, 3), (1, 3) e (11, 1) `e rettangolo.
11. Calcolare la lunghezza della mediana uscente dal punto A relativa al
triangolo ABC, ove A = (1, 1), B = (0, 6), C = (10, 2).
12. Scrivere lequazione dellasse del segmento di estremi (0, 2) e (2, 1) (las-
se di un segmento `e il luogo dei punti che sono equidistanti dai vertici
del segmento).
13. Si provi che le rette di equazioni parametriche X = P + tQ, t R e
X = A + sB, s R sono fra loro parallele se e solo se esiste R,
non nullo, tale che Q = B.
14. Si provi che le rette di equazioni ax + by + c = 0 e a

x + b

y + c

= 0
sono fra loro parallele se e solo se esiste R ` 0 tale che a

= a e
b

= b.
15. Si provi che le rette di equazioni ax+by +c = 0 e a

x+b

y +c

= 0 sono
fra loro perpendicolari se e solo se esiste R` 0 tale che a = b

,
b = a

.
16. Si provi che le rette di equazioni X = P + tQ, t R, e ax + by + c =
0 sono fra loro perpendicolari se e solo se i vettori Q e (a, b) sono
proporzionali, e sono parallele se e solo se i vettori Q e (b, a) sono
proporzionali.
78
17. Si considerino i luoghi dei punti di R
2
descritti dalle seguenti equazioni:
(i) x
2
+ y
2
1 = 0, (v) x
2
+ y
2
+ xy = 0,
(ii) x
2
+ y
2
= 0, (vi) x
2
y
2
= 0,
(iii) x
2
+ y
2
+ 1 = 0, (vii) x
2
+ y
2
+ 2x + 2y + 2 = 0,
(iv) x
2
+ y
2
+ 2xy = 0, (viii) (x
2
1)
2
+ y
2
= 0,
e si riconosca quale delle precedenti equazioni rappresenta:
(a) nessun punto, (d) una retta,
(b) un punto, (e) due rette,
(c) due punti, (f) una circonferenza.
18. Si verichi che ogni angolo convesso `e lintersezione di due semipiani.
19. Si provi che ogni triangolo in R
2
`e lintersezione di tre semipiani.
20. Si provi che ogni quadrilatero in R
2
`e lintersezione di quattro semipiani.
21. Vericare che gli insiemi
A = (x, y) R
2
: [x[ 1, [y[ 1, B = (x, y) R
2
: [x[ +[y[ 1
sono quadrati; determinarne i vertici e le lunghezze dei lati.
22. Siano a, b R tali che a
2
+ b
2
= 1. La funzione R : R
2
R
2
, denita
da
R(x, y) = (, ), = ax + by, = bx + ay,
denisce una rotazione del piano (attorno allorigine). Si provi che:
(i) si ha
2
+
2
= x
2
+ y
2
per ogni (x, y) R
2
;
(ii) posto U = R(1, 0), V = R(0, 1), le rette per O, U e per O, V for-
mano un sistema di coordinate ortogonali monometriche orientato
positivamente;
(iii) posto (

) = R(x

, y

), si ha (

)
2
+ (

)
2
= (x x

)
2
+
(y y

)
2
per ogni (x, y), (x

, y

) R
2
.
23. Siano a, b R tali che a
2
+ b
2
= 1. La funzione S : R
2
R
2
, denita
da
S(x, y) = (, ), = ax + by, = bx ay,
denisce una simmetria del piano (rispetto a una retta). Si provi che:
79
(i) si ha
2
+
2
= x
2
+ y
2
per ogni (x, y) R
2
;
(ii) posto U = S(1, 0), V = S(0, 1), le rette per O, U e per O, V for-
mano un sistema di coordinate ortogonali monometriche orientato
negativamente;
(iii) posto (

) = S(x

, y

), si ha (

)
2
+ (

)
2
= (x x

)
2
+
(y y

)
2
per ogni (x, y), (x

, y

) R
2
;
(iv) i punti (x, y) della bisettrice dellangolo formato dallasse x e dalla
retta bx ay = 0 soddisfano la relazione S(x, y) = (x, y).
24. Si provi che se A, B sono vettori linearmente indipendenti in R
2
, allora
per ogni P R
2
esiste ununica coppia di numeri reali , tali che
P = A + B.
1.12 Numeri complessi
Una delle possibili motivazioni per ampliare il campo dei numeri reali con lin-
troduzione dei numeri complessi `e il fatto che nellambito di R non `e possibile
risolvere certe equazioni algebriche (cio`e equazioni della forma P(x) = 0, con
P(x) polinomio a coecienti reali e x variabile reale). Ad esempio, lequa-
zione x
2
1 = 0 ha le soluzioni reali x = 1, ma lequazione x
2
+1 = 0 non
`e risolubile in R. Per risolvere questa ed altre equazioni algebriche occorre
dunque aggiungere nuovi numeri allinsieme dei numeri reali: il primo di essi
`e la quantit`a (certamente non reale) che indichiamo con i, a cui attribuiamo
per denizione la propriet`a seguente:
i
2
= 1.
Il numero i `e detto unit`a immaginaria (per pure ragioni storiche: non `e me-
no reale di

2, ne pi` u immaginario di

3). Si osservi allora che lequazione


x
2
+ 1 = 0 ha le soluzioni x = i.
Se per`o vogliamo che anche con laggiunta di questo nuovo numero sia pos-
sibile fare addizioni e moltiplicazioni e restino valide le regole di calcolo vere
in R, dovremo anche aggiungere tutti i numeri che si generano facendo inte-
ragire il numero i con se stesso o con i numeri reali mediante tali operazioni:
dunque nellinsieme allargato di numeri dovremo includere quelli della forma
a + ib (a, b R),
80
ed anche, pi` u generalmente,
a
0
+ a
1
i + a
2
i
2
+ + a
n
i
n
(a
0
, a
1
, a
2
, . . . , a
n
R; n N),
cio`e tutti i polinomi P(x) a coecienti reali calcolati nel punto x = i.
Fortunatamente, le regole di calcolo e la denizione di i ci dicono che
i
0
= 1 i
1
= i, i
2
= 1 i
3
= i,
i
4
= 1, i
5
= i, i
6
= 1, i
7
= i,
i
4n
= 1, i
4n+1
= i, i
4n+2
= 1, i
4n+3
= i n N,
e quindi `e suciente prendere polinomi di grado al pi` u 1. In denitiva,
introduciamo linsieme dei numeri complessi C, denito da
C = a + ib : a, b R;
in altre parole, assegnare un numero complesso a + ib equivale ad assegnare
una coppia (a, b) di numeri reali. La quantit`a i, meglio scritta come 0 + i1,
appartiene a C perche corrisponde alla scelta (a, b) = (0, 1).
Introduciamo in C le operazioni di somma e prodotto in modo formalmente
identico a R:
(a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d),
(a + ib) (c + id) = ac + iad + ibc + i
2
bd = (ac bd) + i(ad + bc).
Si vede subito che gli assiomi di R relativi a somma e prodotto valgono
ancora; in particolare lelemento neutro per la somma `e 0 + 0i, lelemento
neutro per il prodotto `e 1 + 0i, lopposto di a + ib `e (a) + i(b), ovvero
a ib. Vale la legge di annullamento del prodotto:
(a + ib)(0 + i0) = (a 0 b 0) + i(a 0 + b 0) = 0 + i0 a + ib C.
La corrispondenza che ad ogni numero reale a associa la coppia (a, 0) = a+
i0 `e chiaramente biunivoca tra R e il sottoinsieme di C costituito dalle coppie
con secondo elemento nullo; inoltre essa preserva la somma e il prodotto, nel
senso che (a) + (a

) = (a + a

) e (a)(a

) = (aa

) per ogni a, a

R.
`
E naturale allora identicare le coppie (a, 0) = a + i0 con i corrispondenti
numeri reali a, ottenendo la rappresentazione semplicata a + i0 = a per
ogni a R; analogamente scriveremo ib anziche 0+ib. Si noti che la legge di
annullamento del prodotto in C ci dice che, nelle notazioni semplicate, deve
essere i0 = 0. In questa maniera si pu`o scrivere R C, o pi` u precisamente
R = a + ib C : b = 0.
81
Se a + ib = 0 (cio`e `e non nullo a, oppure `e non nullo b, od anche sono non
nulli entrambi), si pu`o agevolmente vericare che il reciproco di a + ib `e
1
a + ib
=
a ib
(a + ib)(a ib)
=
a ib
a
2
i
2
b
2
=
a ib
a
2
+ b
2
=
a
a
2
+ b
2
i
b
a
2
+ b
2
.
In denitiva, in C valgono le stesse propriet`a algebriche di R.
Non altrettanto si pu`o dire delle propriet`a di ordinamento: in C non `e possi-
bile introdurre un ordinamento che sia coerente con le regole di calcolo valide
per R. Infatti, se ci`o fosse possibile, per il numero i si avrebbe i > 0, op-
pure i < 0 (non i = 0, in quanto i
2
= 1): in entrambi i casi otterremmo
1 = i
2
> 0, il che `e assurdo. Per questa ragione non ha senso scrivere disu-
guaglianze tra numeri complessi, ne parlare di estremo superiore o inferiore
di sottoinsiemi di C.
Dal momento che assegnare un numero complesso equivale ad assegnare una
coppia di numeri reali, vi `e una ovvia corrispondenza biunivoca fra C e R
2
,
che associa ad a + ib la coppia (a, b).
`
E naturale allora rappresentare i nu-
meri complessi su un piano cartesiano: il piano complesso, o piano di Gauss.
Lasse delle ascisse `e detto asse reale, quello delle ordinate `e detto asse im-
maginario. Visualizzeremo i numeri complessi z = a + ib C come vettori
di coordinate (a, b); nel seguito faremo sistematicamente uso di questa iden-
ticazione. Essa, fra laltro, ci permette di rappresentare la somma di due
numeri complessi, ed anche il prodotto z, con R e z C, esattamente
come si `e fatto in R
2
(paragrafo 1.11).
Invece la rappresentazione graca del prodotto z w, con z, w C, non ha
un analogo in R
2
; come vedremo, tale rappresentazione sar`a possibile con
luso della forma trigonometrica dei numeri complessi, che introdurremo pi` u
avanti.
Se z = a+ib C, il numero reale a `e detto parte reale di z, mentre il numero
82
reale b `e detto parte immaginaria di z; si scrive
a = Rez, b = Imz,
da cui
z = Rez + i Imz z C.
Se z = a + ib C, il coniugato di z `e il numero complesso z denito da
z = a ib. Si ha quindi
Rez = Rez, Imz = Imz,
cio`e
z = Rez i Imz z C.
Dunque z `e il simmetrico di z rispetto allas-
se reale. Invece, il simmetrico di z rispetto
allasse immaginario `e il numero z.
Invertendo le relazioni di z e z in funzione di Rez e Imz, si ricava
Rez =
z + z
2
, Imz =
z z
2i
,
ed in particolare
z R Imz = 0 z = z = Rez,
z = 0 Rez = Imz = 0.
Vediamo le propriet`a delloperazione di coniugio, la dimostrazione delle quali
`e una semplice verica:
z = z, z + w = z + w, zw = z w,

1
z

=
1
z
,

z
w

=
z
w
.
Ad esempio, si ha
i = i, i = i, 1 = 1,
1 = 1, 5 3i = 5 + 3i,

1
i

=
1
i
= i.
83
Se in C non vi `e un buon ordinamento, c`e per`o il modo di valutare quanto
un numero complesso sia grande: si pu`o misurare la sua distanza, intesa nel
senso di R
2
, dallorigine, cio`e dal punto 0.
Denizione 1.12.1 Il modulo di un numero complesso z = a + ib `e il
numero reale non negativo
[z[ =

a
2
+ b
2
=

(Rez)
2
+ (Imz)
2
.
Il modulo di z `e dunque la distanza del punto (a, b) R
2
dal punto (0, 0)
R
2
; ovvero, `e la lunghezza del segmento di estremi 0 e z del piano complesso,
cio`e dellipotenusa del triangolo rettangolo di vertici 0, Rez, z. Dalla deni-
zione segue subito, per ogni z C,
[z[ Rez [z[, [z[ Imz [z[.
Si noti che queste sono disuguaglianze
tra numeri reali, non tra numeri com-
plessi!
In particolare, lequazione [z[ = 1 rap-
presenta la circonferenza di centro 0 e
raggio 1 nel piano complesso.
Vediamo le propriet`a del modulo di
numeri complessi:
Proposizione 1.12.2 Risulta per ogni z, w C:
(i) z z = [z[
2
;
(ii) [z[ 0, e [z[ = 0 se e solo se z = 0;
(iii) [z[ = [z[ = [ z[;
(iv) [z[ [w[ = [zw[;
(v) (subadditivit`a) [z + w[ [z[ +[w[;
(vi) [[z[ [w[[ [z w[;
(vii) se z = 0, allora

1
z

=
1
[z[
e

w
z

=
[w[
[z[
.
84
Dimostrazione Per (i) si ha
z z = (a + ib)(a ib) = a
2
i
2
b
2
= a
2
+ b
2
= [z[
2
.
Le propriet`a (ii) e (iii) sono evidenti.
Proviamo (iv): usando (i) si ha
[zw[
2
= z w z w = (zz) (ww) = [z[
2
[w[
2
,
da cui la tesi estraendo la radice quadrata.
Dimostriamo (v): usando (i) e (iv), si ha
[z + w[
2
= (z + w)(z + w) = zz + wz + zw + ww =
= [z[
2
+ 2Re(zw) +[w[
2
[z[
2
+ 2[zw[ +[w[
2
=
= [z[
2
+[w[
2
+ 2[z[[w[ = ([z[ +[w[)
2
,
da cui la tesi estraendo la radice quadrata.
Per (vi) osserviamo che, grazie a (v), si ha
[z[ = [(z w) + w[ [z w[ +[w[, [w[ = [(w z) + z[ [z w[ +[z[,
cosicche
[z w[ [z[ [w[ [z w[;
ne segue la tesi, per lesercizio 1.9.4.
Proviamo (vii): si ha

1
z

2
=
1
z

1
z

=
1
zz
=
1
[z[
2
,
da cui la prima uguaglianza; la seconda segue da (iv) e dalla prima.
Il numero
Prima di introdurre la forma trigonometrica dei numeri complessi, conviene
parlare, appunto, di trigonometria. Preliminare a tutta la questione `e il pro-
blema di dare una denizione il pi` u possibile rigorosa del numero reale .
Il nostro punto di partenza sar`a larea dei triangoli, che supponiamo ele-
mentarmente nota (met`a del prodotto base per altezza!), insieme con le sue
basilari propriet`a, e cio`e:
85
se un triangolo `e incluso in un altro triangolo, allora larea del primo `e
non superiore allarea del secondo;
se due triangoli sono congruenti, allora essi hanno la stessa area;
larea di una gura costituita da due triangoli disgiunti o adiacenti `e
pari alla somma delle aree dei due triangoli.
Fissato un intero n 3, consideriamo un poligono regolare { di n lati,
inscritto nel cerchio B(0, 1) del piano complesso. I vertici di { sono numeri
complessi w
0
, w
1
, . . . , w
n1
di modulo unitario. Denotiamo con O, W
i
,W

i
,
Z
i
i punti del piano corrispondenti ai numeri complessi 0, w
i
, w

i
=
w
i
+w
i1
2
,
z
i
=
w
i
+w
i1
|w
i
+w
i1
|
.
Calcoliamo larea a({) di {: il triangolo OW
i1
W
i
`e isoscele con base W
i
W
i1
e altezza OW

i
; quindi
a({) =
n

i=1
a(OW
i1
W
i
) =
=
n

i=1
1
2
[w

i
[ [w
i
w
i1
[ =
=
n

i=1
1
4
[w
i
w
i1
[ [w
i
+ w
i+1
[.
Invece il perimetro ({) del poligono { `e semplicemente la somma delle
lunghezze dei segmenti W
i1
W
i
: quindi
({) =
n

i=1
[w
i
w
i1
[.
Si noti che, essendo

w
i
+w
i1
2

< 1, si ha
2a({) < ({).
Daltra parte, detto {

il poligono regolare inscritto di 2n lati, di vertici w


0
,
z
0
, w
1
, z
1
, . . . , w
n1
, z
n1
, w
n
w
0
, si riconosce facilmente che larea di {

`e data dalla somma delle aree degli n quadrilateri OW


i1
Z
i
W
i
; poiche
a(OW
i1
Z
i
W
i
) = 2a(OZ
i
W
i
) = 2

1
2
[w
i
w
i1
[
2
[z
i
[

=
1
2
[w
i
w
i1
[,
86
si ottiene
a({

) =
1
2
({).
In particolare, si deduce facilmente:
Proposizione 1.12.3 Risulta
supa({) : { poligono regolare inscritto in B(0, 1) =
=
1
2
sup({) : { poligono regolare inscritto in B(0, 1).
Consideriamo ora un poligono regolare O di n lati circoscritto al cerchio
B(0, 1). Indichiamo con v
0
, v
1
, . . . , v
n1
i vertici di O e con z
0
, z
1
, . . . , z
n1
i
punti in cui O tocca la circonferenza S(0, 1). Come prima, denotiamo con O,
V
i
, Z
i
i punti del piano corrispondenti ai numeri complessi 0, v
i
, z
i
. Larea
di O `e data da
a(O) =
n

i=1
a(OV
i1
V
i
) =
n

i=1
1
2
[z
i
[ [v
i
v
i1
[ =
n

i=1
1
2
[v
i
v
i1
[,
mentre il perimetro di O `e
semplicemente
(O) =
n

i=1
[v
i
v
i1
[.
Dunque
a(O) =
1
2
(O).
Pertanto:
Proposizione 1.12.4 Risulta
infa(O) : O poligono regolare circoscritto a B(0, 1) =
=
1
2
inf(O) : O poligono regolare circoscritto a B(0, 1).
Adesso notiamo che per ogni poligono regolare { inscritto in B(0, 1) e per
ogni poligono regolare O circoscritto a B(0, 1) si ha, evidentemente, {
B(0, 1) O e quindi a({) < a(O). Ci`o mostra che i due insiemi numerici
a({) : { poligono regolare inscritto in B(0, 1),
87
a(O) : O poligono regolare circoscritto a B(0, 1)
sono separati: quindi per lassioma di completezza esiste almeno un elemento
separatore fra i due insiemi. Proveremo adesso che i due insiemi sono anche
contigui, e che quindi lelemento separatore `e in eetti unico.
Proposizione 1.12.5 Per ogni > 0 esistono due poligoni regolari { e O,
uno inscritto e laltro circoscritto a B(0, 1), tali che
a(O) a({) < .
Dimostrazione Fissato n 2,
siano {
n
e O
n
poligoni regola-
ri di 2
n
lati, il primo inscritto e
il secondo circoscritto al cerchio
B(0, 1). Denotando con v
i
i ver-
tici di {
n
e con v

i
quelli di O
n
,
possiamo supporre che la posizio-
ne di O
n
rispetto a {
n
sia tale
che risulti
v

i
|v

i
|
= v
i
per ciascun
vertice.
Allora utilizzando le formule precedenti in questo caso si trova
a({
n
) = 2
n
[v
i
v
i1
[ [v
i
+ v
i1
[
4
, a(O
n
) = 2
n
[v
i
v
i1
[
[v
i
+ v
i1
[
,
da cui
a(O
n
) a({
n
) = 2
n
[v
i
v
i1
[ [v
i
+ v
i1
[

4
[v
i
+ v
i1
[
2
1

=
= 4a({
n
)

4
[v
i
+ v
i1
[
2
1

.
Osserviamo adesso che, indicando con
n
la lunghezza del lato del poligono
regolare inscritto {
n
, si ha
n
= [v
i
v
i1
[ e quindi, essendo [v
1
[ = [v
i1
[ = 1,
[v
i
+v
i1
[
2
= 2+2 Re v
i
v
i1
= 2+(2[v
i
v
i1
[
2
) = 4[v
i
v
i1
[
2
= 4
2
n
;
di conseguenza
a(O
n
) a({
n
) = 4a({
n
)

2
n
4
2
n
< a(O
2
)
4
2
n
4
2
n
.
88
Al crescere di n, il lato
n
`e sempre pi` u piccolo e, in particolare,
inf
n2

n
= 0;
ne segue che, ssato ]0, 4[, esiste 2 sucientemente grande in modo
che
2

< /2 < 2; se ne deduce allora


a(O

) a({

) < a(O
2
)
4
2

4
2

< 4
/2
4 2
= .
Ci` o prova la tesi.
Dalle proposizioni precedenti segue che esiste un unico numero reale, che de-
notiamo con , il quale `e lunico elemento separatore fra linsieme delle aree
di tutti i poligoni regolari inscritti e linsieme delle aree di tutti i poligoni re-
golari circoscritti al cerchio B(0, 1). Si noti che, a maggior ragione, `e anche
lelemento separatore fra linsieme delle aree di tutti i poligoni inscritti (non
necessariamente regolari) e linsieme delle aree di tutti i poligoni circoscritti
al cerchio B(0, 1) (non necessariamente regolari). Ovvie considerazioni geo-
metriche ci inducono a denire larea di B(0, 1) attribuendole il valore . In
altre parole:
Denizione 1.12.6 Il numero reale `e larea del cerchio B(0, 1), ed `e
quindi dato da
= a(B(0, 1)) = supa({) : { poligono inscritto in B(0, 1) =
= infa(O) : O poligono circoscritto a B(0, 1).
Si noti che `e compreso fra 2 e 4 (le aree del quadrato inscritto e di quello
circoscritto).
Dal fatto che larea di un poligono regolare circoscritto al cerchio B(0, 1) `e
la met`a del suo perimetro, anche linsieme dei perimetri dei poligoni regolari
inscritti in B(0, 1) e quello dei perimetri dei poligoni regolari circoscritti a
B(0, 1) hanno un unico elemento separatore, il quale coincide esattamente
con 2 in virt` u della proposizione 1.12.4. A maggior ragione, 2 `e anche
lelemento separatore fra linsieme dei perimetri dei poligoni inscritti (non
necessariamente regolari) e quello dei perimetri dei poligoni circoscritti a
B(0, 1) (non necessariamente regolari). Nuovamente, evidenti considerazio-
ni geometriche ci portano a denire il perimetro della circonferenza S(0, 1)
attribuendole il valore 2. Si ha dunque:
89
Corollario 1.12.7 Il perimetro della circonferenza S(0, 1) `e dato da
(S(0, 1)) = sup({) : { poligono inscritto in B(0, 1) =
= inf(O) : O poligono circoscritto a B(0, 1) = 2.
Osservazione 1.12.8 In modo del tutto analogo, per ogni r > 0 si deni-
scono larea del cerchio B(0, r) come
a(B(0, r)) = supa({) : { poligono inscritto in B(0, r) =
= infa(O) : O poligono circoscritto a B(0, r)
e il perimetro della circonferenza S(0, r) come
(S(0, r)) = sup({) : { poligono inscritto in B(0, r) =
= inf(O) : O poligono circoscritto a B(0, r).
Se { `e un poligono inscritto o circoscritto con
vertici v
i
, e {
r
`e il poligono i cui vertici sono
rv
i
, per ovvie ragioni di similitudine risulta
a({
r
) = r
2
a({), ({
r
) = r ({);
pertanto si ha
a(B(0, r)) = r
2
a(B(0, 1)) = r
2
,
(S(0, r)) = r (S(0, 1)) = 2r.
Dunque il cerchio B(0, r) ha area r
2
e perimetro 2r, come era da aspettarsi.
Area dei settori e lunghezza degli archi
Ogni coppia di numeri complessi v, w non nulli individua sulla circonferenza
S(0, 1) due punti, V e W, corrispondenti ai numeri complessi
v
|v|
e
w
|w|
; questi
punti formano con lorigine O due angoli. Prescindendo dallampiezza, attri-
buiamo unorientazione a tali angoli: diciamo che V OW `e positivo se larco
`e percorso da V a W in verso antiorario; diciamo che V OW `e negativo se
larco `e percorso da V a W in verso orario.
`
E chiaro che V OW `e positivo se
e solo se WOV `e negativo.
90
Denotiamo le intersezioni di S(0, 1) con le regioni interne ai due angoli ri-
spettivamente con
+
(v, w) e

(v, w); si tratta evidentemente di due archi:

+
(v, w) va da V a W in verso antiorario, cio`e con orientazione positiva,
mentre

(v, w) va da V a W in verso orario, cio`e con orientazione negati-


va. Agli archi positivamente orientati attribuiremo una lunghezza positiva,
a quelli negativamente orientati una lunghezza negativa. Analogamente, ai
corrispondenti settori circolari

+
(v, w) = z C : z = t, t [0, 1],
+
(v, w),

(v, w) = z C : z = t, t [0, 1],

(v, w),
attribuiremo unarea rispettivamente positiva e negativa.
Notiamo esplicitamente che, per denizione,

(v, w) =

v
[v[
,
w
[w[

(v, w) =

v
[v[
,
w
[w[

v, w C ` 0 :
quindi non sar`a restrittivo riferirsi ad archi

(v, w) relativi a numeri v, w C


con [v[ = [w[ = 1.
Fissiamo dunque v, w S(0, 1). Considereremo linee spezzate inscritte o cir-
coscritte a
+
(v, w). Una linea spezzata `e formata da una sequenza nita
ordinata di vertici e dai segmenti che li congiungono; ci limiteremo a spez-
zate con primo vertice v e ultimo vertice w. Una tale spezzata `e inscritta in

+
(v, w) se tutti i suoi vertici appartengono a
+
(v, w); `e invece circoscritta
se tutti i suoi vertici, tranne il primo e lultimo, sono esterni a B(0, 1) e tutti i
suoi segmenti sono tangenti esternamente a
+
(v, w), ossia toccano tale arco
senza attraversarlo. Considereremo anche i settori
P
associati a spezzate
91
P inscritte o circoscritte: detti v
0
v, v
1
, . . . , v
n1
, v
n
w i vertici di P,
il settore
P
`e lunione degli n triangoli OV
i1
V
i
(ove al solito O, V
i
sono i
punti del piano corrispondenti ai numeri complessi 0, v
i
).
Ci` o premesso, con considerazioni analoghe a quelle svolte per il cerchio
B(0, 1) e per la circonferenza S(0, 1), si ottiene che
supa(
P
) : P spezzata inscritta in
+
(v, w) =
=
1
2
sup(P) : P spezzata inscritta in
+
(v, w) =
=
1
2
inf(Q) : Q spezzata circoscritta a
+
(v, w) =
= infa(
Q
) : Q spezzata circoscritta a
+
(v, w).
Siamo cos` indotti alla seguente
Denizione 1.12.9 Siano v, w C ` 0. La lunghezza dellarco positiva-
mente orientato
+
(v, w) `e il numero reale non negativo
(
+
(v, w)) = sup(P) : P spezzata inscritta in
+
(v, w) =
= inf(Q) : Q spezzata circoscritta a
+
(v, w).
Larea del settore positivamente orientato
+
(v, w) `e il numero reale non
negativo
a(
+
(v, w)) = supa(
P
) : P spezzata inscritta in
+
(v, w) =
= infa(
Q
) : Q spezzata circoscritta a
+
(v, w) =
=
1
2
(
+
(v, w)).
La lunghezza dellarco negativamente orientato

(v, w) `e il numero reale


non positivo
(

(v, w)) = 2 + (
+
(v, w)).
Larea del settore negativamente orientato

(v, w) `e il numero reale non


positivo
a(

(v, w)) = + a(
+
(v, w)).
Una fondamentale propriet`a delle lunghezze e delle aree sopra denite `e la
loro additivit`a. A questo proposito vale la seguente
92
Proposizione 1.12.10 Siano v, w, z C ` 0. Se
z
|z|

+
(v, w), allora
(
+
(v, w)) = (
+
(v, z)) + (
+
(z, w)),
a(
+
(v, w)) = a(
+
(v, z)) + a(
+
(z, w)).
Dimostrazione Fissiamo > 0. Per denizione, esistono due spezzate
P, P

, luna inscritta in
+
(v, z) e laltra inscritta in
+
(z, w), tali che
(
+
(v, z)) < (P) (
+
(v, z)), (
+
(z, w)) < (P

) (
+
(z, w)),
Detta P

la spezzata i cui vertici sono tutti quelli di P seguiti da tutti quelli


di P

, `e chiaro che P

`e inscritta in
+
(v, w); inoltre si ha (P) + (P

) =
(P

) (
+
(v, w)). Quindi
(
+
(v, z)) + (
+
(z, w) 2 < (P

) (
+
(v, w)).
Larbitrariet`a di prova che
(
+
(v, z)) + (
+
(z, w) (
+
(v, w)).
Per provare la disuguaglianza inversa, sia > 0 e sia P una spezzata inscritta
a
+
(v, w) tale che
(
+
(v, w)) < (P) (
+
(v, w)).
Se la spezzata P non ha come vertice il punto z, esisteranno due vertici
consecutivi v
i1
, v
i
tali che z
+
(v
i1
, v
i
); allora, sostituendo al segmento
V
i1
V
i
i due segmenti V
i1
Z e ZV
i
, si ottiene una nuova spezzata P

inscritta
a
+
(v, w) tale che (P

) > (P). Inoltre tale spezzata `e lunione di due


spezzate P

e P

, luna formata da tutti i vertici fra v e z (inclusi) e inscritta


in
+
(v, z), laltra formata da tutti i vertici fra z e w (inclusi) e inscritta in

+
(z, w). Si ha allora
(
+
(v, w)) < (P) < (P

) = (P

) + (P

) (
+
(v, z)) + (
+
(z, w)).
Nuovamente, larbitrariet`a di prova che
(
+
(v, w)) (
+
(v, z)) + (
+
(z, w)).
La prima parte della tesi `e provata. La seconda parte segue subito ricordando
che larea di un settore `e la met`a della lunghezza dellarco corrispondente.
93
Corollario 1.12.11 Se v, w
+
(1, i), allora
[v w[ < [(
+
(1, v)) (
+
(1, w))[

2[v w[.
Dimostrazione Anzitutto notiamo che si ha v
+
(1, w) oppure w

+
(1, v); se siamo ad esempio nel secondo caso, allora per la proposizione
1.12.10
(
+
(1, v)) (
+
(1, w)) = (
+
(w, v)),
cosicche la prima disuguaglian-
za `e banale. Per provare la se-
conda, denotiamo, al solito, con
O, V, W, Z i punti corrispondenti
ai numeri complessi 0, v, w, v +w,
e tracciamo la bisettrice dellan-
golo V OW; sia U il punto di in-
tersezione delle perpendicolari ai
segmenti OV e OW condotte da
V e W rispettivamente. La spez-
zata P di vertici V, U, W `e allo-
ra circoscritta a
+
(v, w) e la sua
lunghezza `e
(P) = [v u[ +[u w[ = 2[u v[ = 2
[v w[
[v + w[
;
ma poiche [v + w[ `e la lunghezza della diagonale maggiore OZ del rombo
OV ZW, tale quantit`a `e certamente non inferiore a

2 (la diagonale del


quadrato di lato OV ). Si ottiene allora
(
+
(v, w)) (P)

2[v w[.
Il corollario appena dimostrato ci permette di enunciare il seguente fonda-
mentale risultato, che `e conseguenza dellassioma di completezza di R.
Teorema 1.12.12 Per ogni [0, 2[ esiste un unico numero complesso
w, di modulo unitario, tale che
(
+
(1, w)) = 2a(
+
(1, w)) = .
La funzione g(w) = (
+
(1, w)) `e bigettiva da S(0, 1) in [0, 2[ ed `e surgettiva
da C`0 in [0, 2[. Se w C`0, il numero = (
+
(1, w)) si dice misura
in radianti dellangolo individuato dai punti 0, 1,
w
|w|
.
94
Dimostreremo il teorema 1.12.12 pi` u
avanti nel corso, utilizzando la teoria
delle funzioni continue.
Un radiante `e quindi, per denizione,
la misura dellunico angolo (orientato
in verso antiorario) il cui corrisponden-
te arco della circonferenza unitaria ha
lunghezza 1; un angolo misura ra-
dianti se e solo se larco corrispondente
su S(0, 1) ha lunghezza e il settore
corrispondente ha area

2
.
In particolare, allora, langolo piatto misura (radianti), langolo retto

2
, langolo sotteso da un lato del poligono regolare di N lati misura
2
N
;
il segno davanti alla misura dipende dal verso di rotazione.
Naturalmente, facendo pi` u di un giro in verso antiorario le aree e le lunghezze
darco crescono di 2, 4, eccetera, mentre se il verso `e orario esse decrescono
di 2, 4, eccetera. Daltra parte dopo una rotazione di + 2k, con
k intero arbitrario, lestremo dellarco `e lo stesso di quello relativo ad una
rotazione di : ad ogni w C` 0 corrispondono dunque le innite misure
+ 2k, k Z. Possiamo allora dare la seguente
Denizione 1.12.13 Sia w C`0, e sia [0, 2[ la misura in radianti
dellarco
+
(1, w). Ognuno degli inniti numeri + 2k, k Z, si chiama
argomento del numero complesso w e si denota con arg w; il numero , cio`e
lunico fra gli argomenti di w che appartiene a [0, 2[, si chiama argomento
principale di w.
Si osservi che arg w denota uno qualsiasi degli inniti argomenti di w, quindi
`e una quantit`a denita a meno di multipli interi di 2.
Funzioni trigonometriche
Sulla base del teorema 1.12.12 e della conseguente denizione 1.12.13, siamo
in grado di introdurre le funzioni trigonometriche. Infatti, ssato [0, 2[,
tale risultato ci permette di scegliere w C ` 0 tale che arg w = ; in
particolare,
w
|w|
`e lunico elemento di S(0, 1) il cui argomento `e , cio`e che
verica
l

1,
w
[w[

= 2a

1,
w
[w[

= .
95
Le coordinate di
w
|w|
, vale a dire Re
w
|w|
e Im
w
|w|
, sono quindi funzioni di . Ha
senso perci`o la seguente denizione delle funzioni coseno e seno:
Denizione 1.12.14 Per ogni [0, 2[ si pone
cos = Re
w
[w[
, sin = Im
w
[w[
,
ove w C`0 `e un qualsiasi nu-
mero complesso tale che arg w =
.
In particolare, un generico nume-
ro complesso non nullo w si pu`o
scrivere in forma trigonometrica:
w = (cos + i sin ),
ove = [w[ e = arg w.
Poiche ad un numero complesso z di argomento principale [0, 2[ corri-
spondono anche gli argomenti +2k, occorre che le funzioni coseno e seno
siano periodiche di periodo 2: esse cio`e devono vericare le relazioni
cos( + 2) = cos , sin( + 2) = sin R.
Immediata conseguenza della denizione sono poi le seguenti propriet`a:
[ cos [ 1, [ sin [ 1, cos
2
+ sin
2
= 1 R.
Poiche i punti z e z sono simmetrici rispet-
to allasse reale, ad essi corrispondono angoli
opposti: dunque il seno ed il coseno di angoli
opposti devono vericare
cos () = Re
z
[z[
= Re
z
[z[
= cos ,
sin () = Im
z
[z[
= Im
z
[z[
= sin .
96
Si verica poi facilmente, utilizzando le simmetrie illustrate nelle gure sot-
tostanti, che
cos

= sin , sin

= cos R,
cos

2
+

= sin , sin

2
+

= cos R,
cos ( ) = cos , sin ( ) = sin R,
cos ( + ) = cos , sin ( + ) = sin R.
Pi` u in generale si ha:
Proposizione 1.12.15 Per ogni , R valgono le formule di addizione
cos ( ) = cos cos + sin sin ,
cos ( + ) = cos cos sin sin ,
sin ( ) = sin cos cos sin ,
sin ( + ) = sin cos + cos sin .
97
Dimostrazione Siano z, w numeri complessi di modulo 1, con arg z = e
arg w = : ci`o signica che nel piano il punto z ha coordinate (cos , sin )
mentre il punto w ha coordinate (cos , sin ). Calcoliamo la quantit`a [zw[
2
:
si ha
[z w[
2
= (cos cos )
2
+ (sin sin )
2
.
Daltra parte, [z w[ rappresenta la lunghezza del segmento di estremi z e w,
quindi tale quantit`a non cambia se cambiamo sistema di riferimento. Sceglia-
mo due nuovi assi ortogonali x

, y

tali che la semiretta positiva dellasse x

coincida con la semiretta uscente da 0 che contiene w. Dato che [z[ = [w[ = 1,
le coordinate di w in questo nuovo sistema sono (1, 0) mentre quelle di z sono
(cos ( ), sin ( )). Pertanto
[z w[
2
= (cos ( ) 1)
2
+ (sin ( ))
2
.
Confrontando fra loro le due espressioni e svolgendo i calcoli, si ricava facil-
mente la prima uguaglianza.
La seconda uguaglianza segue dalla prima scambiando con :
cos ( ()) = cos cos () + sin sin () = cos cos sin sin .
Per la terza e quarta uguaglianza si osservi che, per quanto gi`a provato,
sin ( ) = cos

+

2

=
= cos

+

2

cos sin

+

2

sin =
= sin cos cos sin ,
98
sin ( + ) = cos

+ +

2

=
= cos

+

2

cos + sin

+

2

sin =
= sin cos + cos sin .
I graci delle funzioni coseno e seno sono illustrati qui sotto.
Si noti che il graco del seno si ottiene da quello del coseno mediante una tra-
slazione di +

2
lungo lasse x, dato che, come sappiamo, cos = sin ( +

2
).
Osservazione 1.12.16 Ovvie considerazioni di similitudine implicano che,
poiche il generico punto di S(0, 1) corrisponde al numero complesso cos +
i sin , al generico punto di S(0, r) corrisponder`a il numero r cos +ir sin .
Completiamo queste brevi note
di trigonometria introducendo la
funzione tangente.
Denizione 1.12.17 Se R
e =

2
+ k, k Z, poniamo
tan =
sin
cos
.
Questa funzione non `e denita nei
punti dove si annulla il coseno, ed
`e periodica di periodo ; il suo
graco `e riportato qui accanto.
99
Vale questa importante disuguaglianza:
Proposizione 1.12.18 Risulta
cos x <
sin x
x
< 1 x

2
,

2

` 0;
di conseguenza si ha
sup
nN
+
sin
a
n
a
n
= 1 a R ` 0.
Dimostrazione Fissiamo x

0,

2

e siano O lorigine ed E, B i punti


corrispondenti ai numeri 1 e cos x +i sin x; sia poi T il punto di incontro tra
la perpendicolare ad OE passante per E ed il prolungamento di OB, e H il
punto dincontro con OE della perpendicolare ad OE passante per B. Dato
che i triangoli OHB e OET sono simili, si ha
[H[ : [E[ = [B H[ : [T E[,
da cui
[T E[ =
[B H[ [E[
[H[
=
sin x
cos x
= tan x.
Daltra parte, il triangolo OEB `e contenuto nel settore di vertici O,E,B il
quale a sua volta `e contenuto nel triangolo OET: ne segue, calcolando le tre
aree,
1
2
sin x <
1
2
x <
1
2
tan x,
da cui la tesi quando x

0,

2

.
Se x

2
, 0

, per quanto gi`a visto si ha


cos x = cos (x) <
sin (x)
x
< 1;
dato che
sin (x)
x
=
sin x
x
, si ha la tesi anche in questo caso. Inne, se x =

2
la tesi `e banale.
Sia ora a > 0. Essendo
0 1 cos
2
a
n
= sin
2
a
n
<
a
2
n
2
n N
+
,
100
si ottiene (dato che cos
a
n
> 0 per n >
2a

)
1 sup
nN
+
sin
a
n
a
n
sup
nN
+
cos
a
n
sup
n>2a/

1
a
2
n
2
1
2
= 1.
Seno e coseno in coordinate
Fissiamo due punti P, Q R
2
, diversi dallorigine O. Consideriamo langolo
convesso

POQ, orientato da P a Q: la sua ampiezza, misurata in radian-
ti, `e un numero
PQ
[, ]. Vogliamo esprimere i numeri reali cos
PQ
,
sin
PQ
, che denoteremo direttamente con cos

POQ e sin

POQ, in termini
delle coordinate di P e Q.
Supponiamo dunque P = (x
P
, y
P
) e Q =
(x
Q
, y
Q
), e poniamo per comodit`a E = (1, 0).
Siano
P
e
Q
le misure in radianti degli an-
goli convessi orientati

EOP,

EOQ; `e facile
vericare che risulta

PQ
=

P
se [
Q

P
[ < ,

P
+ 2 se
Q

P
,

P
2 se
Q

P
.
Di conseguenza, utilizzando le formule di addizione (proposizione 1.12.15), si
ottiene
cos

POQ = cos (
Q

P
) =
= cos
Q
cos
P
+ sin
Q
sin
P
=
101
=
x
Q

x
2
Q
+ y
2
Q
x
P

x
2
P
+ y
2
P
+
y
Q

x
2
Q
+ y
2
Q
y
P

x
2
P
+ y
2
P
,
sin

POQ = sin (
Q

P
) =
= sin
Q
cos
P
cos
Q
sin
P
=
=
y
Q

x
2
Q
+ y
2
Q
x
P

x
2
P
+ y
2
P

x
Q

x
2
Q
+ y
2
Q
y
P

x
2
P
+ y
2
P
.
Queste sono le espressioni del coseno e del seno che cercavamo. Si noti che,
di conseguenza,
cos

POQ =
P Q
[P[ [Q[
, sin

POQ =
1
[P[ [Q[
det

x
P
x
Q
y
P
y
Q

,
ove il determinante della matrice

a
b

`e, per denizione, il numero a b.


Vale allora la seguente importante
Proposizione 1.12.19 Siano P, Q R
2
` O.
(i) Risulta
P Q = [P[ [Q[ cos

POQ;
(ii) detto { il parallelogrammo di vertici O, P, Q e P +Q, la sua area a({)
`e data da
a({) = [P[ [Q[ [ sin

POQ[ = [x
P
y
Q
y
P
x
Q
[.
Dimostrazione (i) Segue dai discorsi precedenti.
(ii) La base di { misura [P[ e la sua altezza misura [Q[ sin [

POQ[; poiche
[

POQ[ , si ha sin [

POQ[ = [ sin

POQ[, da cui la tesi.
Se ne deduce immediatamente:
Corollario 1.12.20 Se P, Q R
2
, il triangolo T di vertici O, P, Q ha area
a(T ) =
1
2
[x
P
y
Q
y
P
x
Q
[.
102
Naturalmente, per traslazione si vede
che, se P, Q, R sono punti di R
2
, larea
del triangolo T di vertici P, Q, R `e data
da
a(T ) =
1
2

det

x
Q
x
P
x
R
x
P
y
Q
y
P
y
R
y
P

.
Forma trigonometrica dei numeri complessi
Se z = a + ib `e un numero complesso non nullo, esso pu`o essere individua-
to, oltre che dalle sue coordinate cartesiane (a, b), anche per mezzo del suo
modulo e del suo argomento (denizione 1.12.13): infatti, ricordando la de-
nizione 1.12.14, posto = [z[ e = arg z vale la relazione
z = (cos + i sin ).
Questa `e la scrittura di z in forma tri-
gonometrica. Si noti che, noti e , si
ha

a = cos
b = sin ,
mentre, noti a e b, si ha
=

a
2
+ b
2
,

cos =
a

sin =
b

,
il che equivale, come `e giusto, a determinare a meno di multipli interi di
2.
La forma trigonometrica dei numeri complessi `e utile per rappresentare geo-
metricamente il prodotto in C. Siano infatti z, w C: se uno dei due numeri
`e 0, allora il prodotto fa 0 e non c`e niente da aggiungere. Se invece z, w sono
entrambi non nulli, scrivendoli in forma trigonometrica,
z = (cos + i sin ), w = r(cos + i sin ),
otteniamo che
zw = r(cos + i sin )(cos + i sin ) =
103
= r[(cos cos sin sin ) + i(sin cos + cos sin )] =
= r[cos ( + ) + i sin ( + )].
Dunque zw `e quel numero complesso che ha per modulo il prodotto dei
moduli e per argomento la somma degli argomenti. In particolare si ha la
formula
arg (zw) = arg z + arg w + 2k, k Z.
Ovviamente si ha anche
zw = r[cos ( ) + i sin ( )];
scelto poi w = z, troviamo
z
2
= r
2
(cos 2 + i sin 2),
e pi` u in generale vale la formula di de Moivre:
z
n
= r
n
(cos + i sin )
n
= r
n
(cos n + i sin n) R, n N.
Da questa formula, utilizzando lo sviluppo di Newton per il binomio (valido
ovviamente anche in campo complesso, trattandosi di una relazione algebrica)
`e possibile dedurre delle non banali relazioni trigonometriche che esprimono
sin n e cos n in termini di sin e cos (esercizio 1.12.13).
Altre formule trigonometriche, che seguono facilmente dalle formule di addi-
zione, sono illustrate negli esercizi 1.12.6, 1.12.7 e 1.12.8.
Radici n-sime di un numero complesso
Fissato w C, vogliamo trovare tutte le soluzioni dellequazione z
n
= w
(con n intero maggiore di 1). Ricordiamo che proprio lesigenza di risolvere
le equazioni algebriche ci ha motivato ad introdurre i numeri complessi.
Se w = 0, naturalmente lunica soluzione `e z = 0; se w = 0, risulta ancora
utile usare la forma trigonometrica. Scriviamo w = r(cos + i sin ), e sia
z = (cos + i sin ) lincognita: anche sia z
n
= w bisogner`a avere

n
= r (uguagliando i moduli),
n = + 2k, k Z (uguagliando gli argomenti),
cio`e

= r
1
n
(radice n-sima reale positiva)
=
+2k
n
, k Z.
104
Sembra dunque che vi siano innite scelte per , cio`e innite soluzioni z.
Per`o, mentre le prime n scelte di k (k = 0, 1, . . . , n 1) forniscono n valori
di compresi fra 0 e 2 (ossia
0
=

n
,
1
=
+2
n
, . . . ,
n1
=
+2(n1)
n
), le
scelte k n e k 1 danno luogo a valori di che si ottengono da quelli
gi`a trovati traslandoli di multipli interi di 2: infatti

n
=
+ 2
n
=
0
+ 2,
n+1
=
+ 2(n + 1)
n
=
1
+ 2,
ed in generale per j = 0, 1, . . . , n 1

mn+j
=
+ 2(mn + j)
n
=
j
+ 2m m Z.
In denitiva, le innite scelte possibili per forniscono solo n scelte distinte
per z, e cio`e
z
j
= r
1
n

cos
+ 2j
n
+ i sin
+ 2j
n

, j = 0, 1, . . . , n 1.
Quindi ogni numero complesso
w = 0 ha esattamente n radici
n-sime distinte z
0
, z
1
, . . . , z
n1
che sono tutte e sole le soluzioni
dellequazione z
n
= w. I nume-
ri z
0
, . . . ,z
n1
giacciono tutti sul-
la circonferenza di centro 0 e rag-
gio [w[
1
n
; ciascuno forma un an-
golo di
2
n
con il precedente, co-
sicche essi sono i vertici di un po-
ligono regolare di n lati inscritto
nella circonferenza.
Largomento del primo vertice z
0
si trova dividendo per n largomento princi-
pale di w, cio`e lunico che sta in [0, 2[. Se, in particolare, w `e reale positivo,
si avr`a arg z
0
=
1
n
arg w = 0, quindi z
0
`e reale positivo ed `e la radice n-sima
reale positiva di w. Dunque, se w `e reale positivo, la sua radice n-sima reale
positiva w
1
n
`e una delle n radici n-sime complesse di w (e tra queste ci sar`a
anche w
1
n
se n `e pari).
105
Esercizi 1.12
1. Calcolare le quantit`a
(1 i)
24
,

1
i

67
,

1 + i
1 i

45
,

i + 2i
1 2i

5
,
1 + i
[1 + i[
.
2. Quanti gradi sessagesimali misura un angolo di 1 radiante?
3. Calcolare le aree del poligono regolare di n lati inscritto nella circonfe-
renza di raggio 1 e di quello circoscritto alla medesima circonferenza.
4. Dimostrare che:
(i) (

(v, w)) = (
+
(w, v)) per ogni v, w C ` 0;
(ii) (

(1, w)) = (
+
(1, w) per ogni w C ` 0;
(iii) (
+
(i, w)) = (
+
(1, iw)) per ogni w
+
(i, 1);
(iv) (
+
(1, w)) = (
+
(1, w)) per ogni w
+
(1, 1).
5. Completare la seguente tabella:
x 0

6

2
2
3
3
4
5
6
cos x
sin x
tan x
x
7
6
5
4
4
3
3
2
5
3
7
4
11
6
cos x
sin x
tan x
106
6. Dimostrare le formule di bisezione:
cos
2
x
2
=
1 + cos x
2
, sin
2
x
2
=
1 cos x
2
x R.
7. Dimostrare le formule di duplicazione:
cos 2x = cos
2
x sin
2
x, sin 2x = 2 sin x cos x x R.
8. (i) Dimostrare le formule di Werner:

sin ax sin bx =
1
2
[cos(a b)x cos(a + b)x]
cos ax cos bx =
1
2
[cos(a b)x + cos(a + b)x]
sin ax cos bx =
1
2
[sin(a b)x + sin(a + b)x].
a, b, x R.
(ii) Dedurre le formule di prostaferesi:

cos + cos = 2 cos


+
2
cos

2
cos cos = 2 sin
+
2
sin

2
sin + sin = 2 sin
+
2
cos

2
sin sin = 2 cos
+
2
sin

2
.
, R.
9. Provare che
[ cos cos [ [ [, [ sin sin [ [ [ , R.
10. Dimostrare le relazioni
tan( + ) =
tan +tan
1tan tan
, tan( ) =
tantan
1+tan tan
,
tan
2
2
=
1cos
1+cos
, tan 2 =
2 tan
1tan
2

per tutti gli , R per i quali le formule hanno senso.


11. Dimostrare che se R ` (2k + 1)
kZ
si ha
sin =
2 tan

2
1 + tan
2
2
cos =
1 tan
2
2
1 tan
2
2
.
107
12. Provare che
tan + tan =
sin(+)
cos cos
, tan tan =
sin()
cos cos
,
1
tan
+
1
tan
=
sin(+)
sin sin
,
1
tan

1
tan
=
sin()
sin sin
per tutti gli , R per i quali le formule hanno senso.
13. Utilizzando la formula del binomio, dimostrare che per ogni R e
per ogni n N
+
si ha
cos n =
[
n
2
]

h=0

n
2h

(1)
h
sin
2h
cos
n2h
,
sin n =
[
n1
2
]

h=0

n
2h + 1

(1)
h
sin
2h+1
cos
n2h1
,
ove [x] denota la parte intera del numero reale x, cio`e [x] = maxk
Z : k x.
14. Dimostrare che
1
2
+
N

n=1
cos nx =
sin

N +
1
2

x
2 sin
x
2
x R ` 0, N N
+
.
[Traccia: usare le formule di Werner con a =
1
2
e b = n.]
15. Calcolare:
cos

12
, sin
5
12
, tan

8
, cos
5
8
, sin
7
8
, tan
11
12
.
16. (Teorema di Carnot) Sia ABC un triangolo. Detto langolo opposto
al vertice A, si provi che
a
2
= b
2
+ c
2
2bc cos .
17. (Teorema dei seni) Sia ABC un triangolo. Detti , e gli angoli
opposti ai vertici A, B e C, si provi che
a
sin
=
b
sin
=
c
sin
.
108
18. Risolvere le equazioni:
(i) 3 sin x

3 cos x = 0, (ii) sin x + (2 +

3) cos x = 1,
(iii) 2 sin
2
x sin x = 1, (iv) sin
4
x 4 sin
2
x cos
2
x + 3 cos
4
x = 0,
(v) sin x + 3[ sin x[ = 2, (vi) cos
4
x 4 sin
2
x cos
2
x + 3 sin
4
x = 0.
19. Risolvere le disequazioni:
(i) sin x <
1
2
, (ii) 4 sin x tan x
3
cos x
> 0,
(iii) cos x >
1

2
, (iv)

tan x >

3
sin x >
1
2
,
(v)

2 sin x 1

2 sin x + 1
> 0, (vi) sin x + (

2 1) cos x >

2 1.
20. Determinare larea dei triangoli di vertici:
(i) (0, 0), (2, 5), (4, 2), (ii) (1, 1), (2, 6), (1, 3).
21. Scrivere in forma trigonometrica i numeri complessi:
1 + i, 3 3i,

2,

3 + i, 1 +

3i,
1 i

3 i
,
7
1 + i
.
22. Calcolare:
(i) le radici seste di 1; (ii) le radici quadrate di i;
(iii) le radici quarte di 1 +

3i; (iv) le radici ottave di i.


23. Dimostrare che se z R le radici n-sime di z sono a due a due coniugate.
24. Siano z
1
, . . . , z
n
le radici n-sime di 1 che sono diverse da 1. Provare che
tali numeri sono le soluzioni dellequazione
n1

k=0
z
k
= 0.
109
25. Provare che la somma delle n radici n-sime di un qualunque numero
complesso z `e uguale a 0.
26. Risolvere in C le seguenti equazioni:
(i) z
4
2iz
2
+ 3 = 0, (ii) z
4
= z
3
,
(iii) z
3
izz, (iv) z[z[ 2Rez = 0,
(v) [z + 2[ [z 2[ = 2, (vi) z
3
= arg z +

6
,
(vii) z[z[
2
+[z[z
2
zz
2
= 1, (viii) z
2
= i[z[

2,
(ix) [z
2
+ 1[
2
+[z
2
1[
2
= 8z
2
6, (x) z +[z[ = 3i + 2,
(xi) z
5
iz
3
z = 0, (xii) z
6
= arg z + arg z
2
.
27. Risolvere in C i seguenti sistemi:
(i)

[z
2
+ 1[ = 1
Rez =
1
2
[z[
2
,
(ii)

zw
2
= 1
z
2
+ w
4
= 2,
(iii)

[z + i 1[ = 2
[z[
2
3[z[ + 2 = 0,
(iv)

z
2
w
3
= 1 + i
z
4
[w[
2
= 3i,
(v)

z
2
w = i 1
[z[w
2
+ 2z = 0,
(vi)

z
3
w
3
1 = 0
z
2
w + 1 = 0.
28. Si provi che se z
1
, z
2
, z
3
C, se [z
1
[ = [z
2
[ = [z
3
[ = 1 e z
1
+z
2
+z
3
= 0,
allora i punti z
1
, z
2
, z
3
sono i vertici di un triangolo equilatero. Cosa
succede nel caso di quattro punti soggetti ad analoghe condizioni?
29. Provare che larea del triangolo di vertici 0, z, w `e data da
1
2
Im(zw).
[Traccia: ridursi con una rotazione al caso arg w = 0.]
30. Provare che le equazioni della forma
z + z + c = 0, C, c R,
rappresentano le rette nel piano complesso.
31. Provare che le equazioni della forma
[z[
2
z z + c = 0, C, c R, c < [[
2
,
rappresentano le circonferenze nel piano complesso.
110
32. Siano a, b C: disegnare il luogo dei numeri z C tali che
[z a[ >
1
2
[z b[.
33. Sia z C con [z[ = 1. Si verichi che (z 1)(z + 1) `e immaginario
puro e si interpreti geometricamente questo fatto.
111
Capitolo 2
Successioni
2.1 Limiti di successioni
Si usa il termine successione per indicare una sequenza interminabile di
elementi presi ordinatamente da un certo insieme. Pi` u precisamente:
Denizione 2.1.1 Sia X un insieme. Una successione a valori in X `e una
funzione a : N X. Gli elementi a(0), a(1), a(2), eccetera, si dicono termini
della successione e si denotano pi` u brevemente con a
0
, a
1
, a
2
, e cos` via. Nel
termine generico a
n
`e contenuta la legge di formazione della successione. La
successione a : N X si denota con a
n

nN
o anche semplicemente con
a
n
, confondendola impropriamente con linsieme dei suoi termini.
A noi interesseranno per lo pi` u successioni a valori reali o complessi. Molto
spesso sar`a utile considerare successioni denite non su tutto N ma solo per
tutti i numeri naturali maggiori di un intero ssato, cio`e funzioni a : n
N : n n
0
X.
Esempi 2.1.2 (1)
1
n
`e una successione reale, denita solo per n N
+
: si
ha a
1
= 1, a
2
= 1/2, a
3
= 1/3, . . . , a
n
= 1/n per ogni n N
+
.
(2) Se q C `e un numero ssato, q
n
`e una successione complessa (reale se
q R) ed i suoi termini sono 1, q, q
2
, q
3
, eccetera. In particolare: se q = 1
la successione vale costantemente 1; se q = 1 la successione prende solo i
valori 1 e 1 alternativamente, innite volte; se q = i, analogamente, a
n

assume ciclicamente i quattro valori 1, i, 1, i.


(3) n! `e la successione reale 1, 1, 2, 6, 24, 120, 720, 5040, 40320, . . . , che
112
cresce molto rapidamente al crescere dellindice n.
(4) a
n
=

n
k=0
q
k
, con q C ssato, `e una successione i cui termini, come
sappiamo, sono (esempio 1.6.4 (4))
a
n
=

1q
n+1
1q
se q = 1,
n se q = 1.
(5) La legge di formazione di una successione pu`o essere data induttivamente
anziche in modo esplicito: ad esempio

a
0
= 1 se n = 0
a
n
= 1 +
1
a
n1
se n 1,
`e una successione denita per ricorrenza, ove ciascun elemento (salvo a
0
) `e
denito in termini del precedente; si ha
a
0
= 1, a
1
= 2, a
2
=
3
2
, a
3
=
5
3
, a
4
=
8
5
, a
5
=
13
8
, a
6
=
21
13
,
e possiamo calcolarne quanti vogliamo, ma non `e facile determinare una legge
esplicita che esprima il termine generale a
n
in funzione solo di n.
A noi interesser`a il comportamento di una data successione per valori molto
grandi di n. A questo scopo `e fondamentale la nozione di limite:
Denizione 2.1.3 Sia a
n
C, sia L C. Diciamo che L `e il limite
della successione a
n
al tendere di n a +, oppure che la successione a
n

converge a L per n che tende a +, se vale la condizione seguente:


> 0 N : [a
n
L[ < n > .
Ci` o signica che comunque si ssi un margine di errore > 0, si pu`o trovare
una soglia al di l`a della quale per ogni indice n il corrispondente elemento
a
n
dierisce da L (in modulo) per meno di . In tal caso scriveremo
lim
n
a
n
= L, oppure a
n
L per n .
Osservazioni 2.1.4 (1) Se la successione a
n
`e reale e L `e reale, la deni-
zione di limite non cambia di una virgola: naturalmente il modulo [a
n
L[
diventa un valore assoluto.
113
(2) Nella denizione non cambia nulla se si concede alla soglia di essere
un numero reale anziche un numero naturale: limportante `e che per tutti
gli indici n N che sono maggiori di valga la disuguaglianza [a
n
L[ < .
In particolare, non `e aatto necessario scegliere il minimo possibile: ci`o
oltretutto pu`o complicare terribilmente i conti.
(3) La condizione [a
n
L[ < `e tanto pi` u vincolante e signicativa quan-
to pi` u `e piccolo; minore `e , pi` u saremo costretti a scegliere una soglia
grande. Si noti che la condizione, apparentemente meno forte,
esiste un numero K > 0 tale che per ogni > 0 si pu`o trovare una soglia
per cui risulta [a
n
L[ < K per ogni n >
`e equivalente a dire che lim
n
a
n
= L: infatti il numero K `e un arbitrario
numero positivo esattamente come lo era , per cui non c`e perdita di gene-
ralit`a.
Nel caso di successioni reali, c`e anche la nozione di successione divergente a
+ oppure :
Denizione 2.1.5 Sia a
n
R. Diciamo che la successione a
n
ha limite
+ per n +, ovvero che essa diverge positivamente per n +, se
M > 0 N : a
n
> M n > .
Analogamente, diciamo che la successione a
n
ha limite per n +,
ovvero essa diverge negativamente per n +, se
M > 0 N : a
n
< M n > .
In altre parole, la successione `e divergente se, ssato un numero M arbitra-
riamente grande, esiste sempre una soglia al di l`a della quale tutti i termini
della successione sono ancora pi` u grandi di M (se il limite `e +), ovvero
ancora pi` u piccoli di M (se il limite `e ).
Esempi 2.1.6 (1) lim
n
1
n
= 0. Infatti, ssato > 0, la relazione [
1
n
0[ =
1
n
< `e vericata non appena n >
1

. Quindi la denizione `e soddisfatta se


si sceglie =
1

; se si vuole N, si potr`a prendere =

+ 1.
(2) lim
n
n
n10
= 1 (questa successione `e denita per n 11). Infatti, dato
> 0 si ha

n
n 10
1

<
n
n 10
1 < n > 10

1 +
1

,
114
per cui basta scegliere = 10

1 +
1

, o anche =
20

(purche sia 1).


(3) Se q C e [q[ < 1, allora lim
n
q
n
= 0. Infatti dato > 0 si ha
[q
n
[ = [q[
n
< se e solo se n > log
|q|
(si ricordi che la funzione log
|q|
`e
decrescente essendo [q[ < 1). Se, invece, [q[ 1 e q / [1, +[, la successione
q
n
non ha limite (esercizio 2.1.7). Osserviamo per`o che se q R e q 1
lim
n
q
n
=

1 se q = 1
+ se q > 1.
Ci` o `e evidente se q = 1; se q > 1 basta osservare che q
n
> M se e solo se
n > log
q
M, dato che la funzione log
q
stavolta `e crescente.
(4) Per ogni q C con [q[ < 1 si ha lim
n

n
k=0
q
k
=
1
1q
. Infatti

k=0
q
k

1
1 q

1 q
n+1
1 q

1
1 q

=
[q[
n+1
[1 q[
,
quindi

k=0
q
k

1
1 q

=
[q[
n+1
[1 q[
< n + 1 > log
|q|
([1 q[).
Ma anche senza questo calcolo esplicito, che oltretutto non `e sempre possi-
bile, si poteva osservare che, per lesempio 2.1.6 (3), si ha lim
n
q
n
= 0;
quindi esiste certamente un tale che [q
n+1
[ < [1 q[ per ogni n > . Di
conseguenza risulta, per tutti gli n superiori a quel ,

k=0
q
k

1
1 q

=
[q[
n+1
[1 q[
< .
(5) lim
n
n! = +. Infatti, ovviamente n! > M non appena, ad esempio,
n > M.
(6) Si ha
lim
n
log
b
n =

+ se b > 1
se 0 < b < 1.
Infatti se M > 0 risulta

log
b
n > M n > b
M
se b > 1,
log
b
n < M n > b
M
se 0 < b < 1.
115
(7) Se a > 0, si ha lim
n
a
1/n
= 1. La cosa `e evidente se a = 1, perche
in tal caso addirittura [a
1/n
1[ = [1 1[ = 0 per ogni n N
+
. Se a > 1,
ricordando lesempio 1.8.3 (1) abbiamo che inf
nN
+ a
1/n
= 1; dunque, dato
> 0 esiste N tale che
1 < a
1/
< 1 + .
Daltra parte, essendo a > 1 si ha a
1/n
< a
1/
per n > : dunque a maggior
ragione
[a
1/n
1[ = a
1/n
1 < n > ,
che `e la tesi. Inne se 0 < a < 1 si ha
1
a
> 1 e quindi, per quanto gi`a provato,
per ogni > 0 esiste tale che

1
a

1/n
1

1
a

1/n
1 < n > ;
dunque, moltiplicando per a
1/n
,
[1 a
1/n
[ = 1 a
1/n
< a
1/n
< n > ,
e la tesi `e provata anche in questo caso.
(8) Non `e chiaro a priori se la successione n
1/n
abbia limite per n :
lesponente tende a rimpicciolire il numero, la base tende ad accrescerlo.
Osserviamo intanto che n
1/n
1 per ogni n N
+
; daltra parte, se per
ogni n 2 applichiamo la disuguaglianza delle medie (teorema 1.8.2) agli n
numeri positivi a
1
= . . . = a
n2
= 1, a
n1
= a
n
=

n, si ottiene
n
1
n
=

k=1
a
k
1
n
<
1
n
n

k=1
a
k
= 1 +
2

n

2
n
< 1 +
2

n
.
Da qui segue che, per ogni ssato > 0, risulta
n
1
n
< 1 + purche
2

n
< ,
ossia purche n > 4/
2
. In conclusione,
lim
n
n
1/n
= 1.
116
Osservazione 2.1.7 Se una certa propriet`a p(n) `e vericata per ogni nume-
ro naturale maggiore di una data soglia (ossia, in altri termini, se essa vale
per tutti i naturali salvo al pi` u un numero nito), diremo che tale propriet`a
`e vera denitivamente. Cos`, nellesempio 2.1.6 (8) si ha per ogni > 0
2

n
< denitivamente,
in quanto, come si `e visto, tale condizione `e vera per tutti gli n > 4/
2
.
Analogamente, la denizione di limite pu`o essere riformulata come segue: si
ha lim
n
a
n
= L se e solo se per ogni > 0 risulta [a
n
L[ < denitiva-
mente, e si ha lim
n
a
n
= + oppure lim
n
a
n
= se per ogni M > 0
risulta a
n
> M denitivamente, oppure a
n
< M denitivamente.
Successioni limitate
Unimportante classe di successioni `e quella delle successioni limitate (che
non signica dotate di limite!).
Denizione 2.1.8 (i) Sia a
n
una successione reale o complessa. Diciamo
che a
n
`e limitata se esiste M > 0 tale che
[a
n
[ M n N.
(ii) Sia a
n
una successione reale. Diciamo che a
n
`e limitata superior-
mente (oppure limitata inferiormente) se esiste M R tale che
a
n
M n N oppure a
n
M n N.
Ovviamente, una successione reale `e limitata se e solo se `e limitata sia
superiormente che inferiormente. Inoltre, ricordando che
max[Rez[, [Imz[ [z[ [Rez[ +[Imz[ z C,
deduciamo che una successione complessa a
n
`e limitata se e solo se le due
successioni reali Rea
n
, Ima
n
sono entrambe limitate.
Proposizione 2.1.9 Ogni successione convergente `e limitata; il viceversa `e
falso.
117
Dimostrazione Sia lim
n
a
n
= L. Allora, scelto = 1, esiste N tale
che
[a
n
L[ < 1 n > ;
quindi se n > si ha
[a
n
[ = [a
n
L + L[ [a
n
L[ +[L[ < 1 +[L[,
mentre se n = 0, 1, 2, . . . , risulta evidentemente
[a
n
[ max[a
k
[ : k N, k .
In denitiva tutti i numeri [a
n
[ sono non superiori alla quantit`a
M = max1 +[L[, [a
0
[, [a
1
[, . . . , [a

[.
La successione (1)
n
mostra che il viceversa `e falso.
Per le successioni reali divergenti si ha un risultato della stessa natura (eser-
cizio 2.1.8).
Propriet`a algebriche dei limiti
Proviamo anzitutto lunicit`a del limite:
Proposizione 2.1.10 Il limite di una successione reale o complessa, se esi-
ste, `e unico.
Dimostrazione Supponiamo per assurdo che a
n
converga a L ed anche
a M, con L = M; supponiamo L e M entrambi niti. Fissato tale che
0 < <
1
2
[L M[, si ha per ipotesi
[a
n
L[ < denitivamente, [a
n
M[ < denitivamente;
quindi, scegliendo un n che superi la maggiore delle due soglie, si ha anche
[L M[ = [L a
n
+ a
n
M[ [L a
n
[ +[a
n
M[ < 2 < [L M[,
e questo `e assurdo. Pertanto deve essere L = M.
Lasciamo al lettore diligente lanalisi dei casi in cui L, o M, `e .
Vediamo ora come si comportano i limiti rispetto alle operazioni algebriche.
118
Teorema 2.1.11 Siano a
n
, b
n
successioni reali o complesse. Se a
n
L
e b
n
M per n , con L e M niti, allora:
(i) a
n
+ b
n
L + M per n ;
(ii) a
n
b
n
L M per n .
Supposto inoltre M = 0, si ha:
(iii)
1
b
n

1
M
per n ;
(iv)
a
n
b
n

L
M
per n .
Dimostrazione (i)-(ii) Fissato > 0, si ha
[a
n
L[ < denitivamente, [b
n
M[ < denitivamente;
quindi risulta denitivamente
[a
n
+ b
n
L M[ [a
n
L[ +[b
n
M[ < 2,
e ci`o prova (i), tenuto conto dellosservazione 2.1.4 (3). Inoltre
[a
n
b
n
LM[ = [a
n
b
n
Lb
n
+ Lb
n
LM[
[a
n
L[ [b
n
[ +[L[ [b
n
M[ < ([b
n
[ +[L[).
Daltra parte, la successione b
n
, essendo convergente, `e limitata da una
costante K > 0, in virt` u della proposizione 2.1.9; ne segue
[a
n
b
n
LM[ < (K +[L[) denitivamente,
il che prova (ii), tenuto nuovamente conto dellosservazione 2.1.4 (3).
(iii) Osserviamo anzitutto che b
n
`e denitivamente diversa da 0 essendo
M = 0, ed anzi si ha [b
n
[ C > 0 denitivamente (esercizio 2.1.9). Quindi
per ogni > 0 si ha

1
b
n

1
M

=
[M b
n
[
[b
n
[ [M[
<

C[M[
denitivamente,
da cui la tesi.
(iv) Segue da (ii) e (iii).
Per un analogo risultato nel caso di successioni (reali) divergenti si rimanda
allesercizio 2.1.18.
119
Limiti e ordinamento
Vediamo adesso come si comportano i limiti rispetto alla struttura dordine
di R.
Teorema 2.1.12 (di confronto) Siano a
n
, b
n
successioni reali. Se
a
n
L e b
n
M per n , e se
a
n
b
n
denitivamente,
allora si ha L M.
Dimostrazione Supponiamo, per ssare le idee, che L, M R e, per as-
surdo, che L > M; scegliamo 0 < <
1
2
(L M). Sia la soglia tale
che
a
n
b
n
, [L a
n
[ < , [M b
n
[ < n > .
Per tali n si ha anche
L < a
n
b
n
< M + ,
da cui 0 < L M < 2 per ogni > 0. Ci`o `e assurdo, per il lemma
dellarbitrariet`a di (lemma 1.10.1).
Il caso L = oppure M = `e analogo.
Esercizi 2.1
1. Si provi che si ha lim
n
a
n
= L, con L C, se e solo se risulta
lim
n
(a
n
L) = 0.
2. Sia a
n
C. Si provi che a
n
ha limite L C se e solo se le due
successioni reali Rea
n
e Ima
n
convergono entrambe, con limiti ReL
e ImL rispettivamente.
3. Si provi che se a
n
L, allora [a
n
[ [L[.
`
E vero il viceversa?
4. Si provi che se a
n
0 e b
n
`e limitata, allora a
n
b
n
0.
5. Dimostrare che se a
n
L, allora
lim
n
(a
n+1
a
n
) = 0.
`
E vero il viceversa?
120
6. Dimostrare che se a
n
L e L = 0, allora
lim
n
a
n+1
a
n
= 1.
`
E vero il viceversa? Che succede se L = 0?
7. Si dimostri che se q C, [q[ 1 e q = 1 allora la successione q
n
non
ha limite.
8. Provare che se a
n
`e una successione reale divergente, allora a
n
non
`e limitata, ma che il viceversa `e falso.
9. (Teorema della permanenza del segno) Sia a
n
C. Provare che:
(i) se lim
n
a
n
= 0, allora esiste > 0 tale che
[a
n
[ denitivamente;
(ii) se a
n
R e se lim
n
a
n
> 0, allora esiste > 0 tale che
a
n
denitivamente.
10. Provare che
lim
n
n
a
n
= 0 a > 1,
e dedurre che
lim
n
n
b
a
n
= 0 a > 1, b R.
11. Provare che
lim
n
log
a
n
n
= 0 a > 0, a = 1,
e dedurre che
lim
n
log
a
n
n
b
= 0 a > 0, a = 1, b > 0.
12. Provare che
lim
n
a
n
n!
= 0 a > 1.
121
13. Provare che
lim
n
n!
n
n
= 0.
14. Provare che
lim
n
n

n
a
= 1 a R.
15. Provare che
lim
n
n

n! = +.
[Traccia: ricordare lesercizio 1.6.16.]
16. Calcolare, se esistono:
(i) lim
n
n

2
n
+ 3
n
, (ii) lim
n
n

(2)
n
+ 3
n
, (iii) lim
n
n

2
n
+ (1)
n+1
.
17. Calcolare, se esiste, lim
n
a
n
, ove a
n
= 1 se n `e pari e a
n
= 2
n
se n
`e dispari.
18. Siano a
n
e b
n
successioni reali. Dimostrare che:
(i) se a
n
+ e b
n
`e limitata inferiormente, allora a
n
+ b
n
+;
(ii) se a
n
e b
n
`e limitata superiormente, allora a
n
+b
n
;
(iii) se a
n
+ e b
n
K > 0 denitivamente, allora a
n
b
n
+;
(iv) se a
n
+ e b
n
K < 0 denitivamente, allora a
n
b
n
;
(v) se a
n
e b
n
K > 0 denitivamente, allora a
n
b
n
;
(vi) se a
n
e b
n
K < 0 denitivamente, allora a
n
b
n
+;
(vii) se a
n
+ oppure a
n
, allora 1/a
n
0;
(viii) se a
n
0 e a
n
= 0 denitivamente, allora 1/[a
n
[ + (questo
vale anche se a
n
C);
(ix) se a
n
0 e a
n
> 0 denitivamente, allora 1/a
n
+;
(x) se a
n
0 e a
n
< 0 denitivamente, allora 1/a
n
;
(xi) negli altri casi, cio`e per le cosiddette forme indeterminate seguenti:
(a) + (per il limite di a
n
+ b
n
quando a
n
+ e b
n

),
(b) 0 () (per il limite di a
n
b
n
quando a
n
0 e b
n
),
122
(c)

(per il limite di
an
bn
quando a
n
e b
n
),
(d)
0
0
(per il limite di
an
bn
quando a
n
0 e b
n
0),
si mostri con esempi che il corrispondente limite pu`o essere un
numero reale qualunque, oppure , oppure pu`o non esistere.
19. (Teorema dei carabinieri) Siano a
n
, b
n
, c
n
successioni reali tali
che a
n
b
n
c
n
denitivamente. Si provi che se a
n
L e c
n
L
(con L R oppure L = ), allora b
n
L.
20. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
(i) lim
n

4n sin 3
n
8

, (ii) lim
n
ncos
1
n
,
(iii) lim
n

n + 1

, (iv) lim
n
nsin
2
1

n
,
(v) lim
n

2n
n

, (vi) lim
n
2
n
2
n!,
(vii) lim
n
(4
n
+ 10
n
11
n
), (viii) lim
n

3
n+1
3

n
2
+1

.
21. Dimostrare che se a
n
R, a
n
L e L > 0, allora
lim
n
k

a
n
=
k

L k N
+
, lim
n
n

a
n
= 1.
22. Si provi che se a
n
L, L C, allora
lim
n
1
n
n1

k=0
a
k
= L.
`
E vero il viceversa? Che succede se a
n
R e L = ?
23. Si provi che se a
n
]0, [ e a
n
L, con L [0, [, allora
lim
n
n

n1

k=0
a
k
= L.
`
E vero il viceversa? Che succede se L = +?
24. Sia b
n
una successione di numeri positivi tale che b
n
b, con b > 0.
Si provi che b
x
n
b
x
per ogni x R.
123
2.2 Serie
Le serie numeriche sono semplicemente successioni reali o complesse di tipo
particolare, che per`o, per la loro importanza pratica e teorica, meritano una
trattazione a parte.
Data una successione a
n
reale o complessa, andiamo a costruire una nuova
successione s
n
in questo modo:

s
0
= a
0
s
n+1
= s
n
+ a
n+1
n N.
Si ha dunque
s
n
=
n

k=0
a
k
n N.
Denizione 2.2.1 La successione s
n
sopra denita si chiama serie degli
a
k
e si indica con il simbolo

a
k
(o, pi` u pedantemente, con

k=0
a
k
, quando
si voglia precisare qual `e lindice iniziale: si possono infatti considerare anche
serie del tipo

k=1
a
k
,

k=50
a
k
,

k=p
a
k
con p N ssato ad arbitrio).
I numeri a
k
si dicono termini della serie ed i numeri s
n
si dicono somme
parziali della serie.
Si noti che nel denire una serie ed il simbolo che la indica non si `e fatto
alcun riferimento alla convergenza della successione s
n
, che pu`o benissimo
non vericarsi.
Denizione 2.2.2 Si dice che la serie

a
k
`e convergente ad un numero
(reale o complesso) L se la successione delle sue somme parziali s
n
`e con-
vergente ed ha limite L; in tal caso il numero L si dice somma della serie e
si scrive
L = lim
n
n

k=0
a
k
=

k=0
a
k
.
Come si vede, c`e una certa ambiguit`a, perche lo stesso simbolo

k=0
a
k
viene usato sia per indicare la serie (convergente o no), sia per indicarne la
somma (se convergente). Purtroppo si tratta di una notazione di uso ormai
consolidato, e non possiamo evitare di adottarla; sar`a comunque chiaro di
volta in volta dal contesto del discorso in quale dei due sensi va inteso il
simbolo

k=0
a
k
.
124
Osservazione 2.2.3 Una serie `e dunque una particolare successione, co-
struita a partire da unaltra successione assegnata. Per`o il punto di vista
si pu`o anche capovolgere: ogni successione a
n
pu`o essere vista come una
serie

b
k
, con b
n
opportuna. Basta infatti denire

b
0
= a
0
b
n+1
= a
n+1
a
n
n N,
ed `e facile vericare che allora
a
n
=
n

k=0
b
k
n N,
cio`e a
n
coincide con la serie

b
k
.
Successioni e serie sono dunque concetti del tutto equivalenti. Tuttavia le
serie si presentano spesso in modo naturale nelle applicazioni (geometriche,
siche, meccaniche, ecc.); inoltre la teoria delle serie `e per molti aspetti pi` u
maneggevole ed articolata di quella delle successioni. Ad esempio, vi sono
svariati criteri di uso molto semplice che garantiscono la convergenza delle
serie, i cui analoghi per le successioni non sono altrettanto comodi dal punto
di vista pratico.
Nel caso di serie reali si pu`o dare anche la nozione di serie divergente:
Denizione 2.2.4 Diciamo che la serie reale

b
k
`e divergente positiva-
mente, oppure divergente negativamente, se le sue somme parziali s
n
forma-
no una successione che tende a +, oppure a , per n . In tal caso
si scrive

k=0
a
k
= +, oppure

k=0
a
k
= .
Denizione 2.2.5 Diciamo che la serie

a
k
(reale o complessa) `e inde-
terminata se la successione delle sue somme parziali s
n
non ha limite per
n .
Esempi 2.2.6 (1) (Serie geometrica) Sia q C. Se [q[ < 1, allora

k=0
q
k
=
1
1 q
(esempio 2.1.6 (4)). Se [q[ 1 e q = 1, la serie `e indeterminata in virt` u
dellesercizio 2.1.7, mentre se q = 1 la serie diverge positivamente.
125
(2) Risulta

k=1
1
k(k+1)
= 1. Infatti
s
n
=
n

k=1
1
k(k + 1)
=
n

k=1

1
k

1
k + 1

= 1
1
n + 1
1 per n .
Questo `e un esempio di serie telescopica: sono telescopiche le serie che si
presentano nella forma

(b
k
b
k+1
), cosicche s
n
= b
0
b
n+1
. Ci`o in eet-
ti accade sempre, tenuto conto dellosservazione 2.2.3, ma si parla di serie
telescopiche soltanto quando questo modo di vederle porta ad una concreta
semplicazione della situazione.
(3) (Serie armonica) La serie

k=1
1
k
si chiama serie armonica perche cia-
scun termine (salvo il primo) `e la media armonica del predecessore e del
successore (la media armonica di due numeri positivi a,b `e il numero
2
1/a+1/b
;
si veda anche lesercizio 1.8.4). Osservando che i termini
1
k
sono positivi e
decrescenti, si ha
s
2n
s
n
=
2n

k=n+1
1
k

n
2n
=
1
2
n N
+
.
Ne segue che la serie armonica non pu`o essere convergente, perch`e in tal caso
esisterebbe L R tale che [s
n
L[ <
1
4
denitivamente; ma allora, scelto n
abbastanza grande, dedurremmo
1
2
s
2n
s
n
[s
2n
L[ +[L s
n
[ <
1
4
+
1
4
=
1
2
,
il che `e assurdo. In eetti la stima precedente mostra che per ogni ssato
m N e per ogni n 2
m
si ha
s
n
s
2
m = s
1
+ (s
2
s
1
) + (s
4
s
2
) + (s
8
s
4
) + + (s
2
m s
2
m1) =
= 1 +
m

k=1
(s
2
k s
2
k1) 1 +
m

k=1
1
2
= 1 +
m
2
,
e ci`o prova che s
n
(denizione 2.2.4), ossia che la serie armonica `e
divergente positivamente.
Osservazione 2.2.7 Sia

k=0
a
k
una serie convergente con somma L. Al-
lora sottraendo s
m
ad entrambi i membri delluguaglianza

k=0
a
k
= L si
126
ottiene che per ogni m N la serie

k=m+1
a
k
`e convergente e

k=m+1
a
k
= L s
m
m N.
In particolare, facendo tendere m a +, si deduce che per ogni serie

a
k
convergente si ha
lim
m

k=m
a
k
= 0.
La serie

k=m
a
k
si chiama resto m-simo della serie

k=0
a
k
.
Vediamo ora una condizione necessaria per la convergenza di una serie.
Proposizione 2.2.8 Se

a
k
`e una serie convergente, allora i suoi termini
a
n
formano una successione innitesima, ossia risulta a
n
0 per n ;
il viceversa `e falso.
Dimostrazione Se L `e la somma della serie, ssato > 0 esiste N tale
che [s
n
L[ < per ogni n > . Quindi
[a
n
[ = [s
n
s
n1
[ [s
n
L[ +[L s
n1
[ < 2 n > + 1,
cio`e a
n
0 per n .
La serie armonica (esempio 2.2.6 (3)) `e una serie che non converge, benche i
suoi termini
1
n
formino una successione innitesima.
Osservazione 2.2.9 Lanalogo della proposizione precedente per le succes-
sioni si pu`o enunciare nel modo seguente (vedere esercizio 2.1.5): se a
n
`e
una successione convergente, allora
lim
n
(a
n
a
n+1
) = 0,
ma il viceversa `e falso, come mostra la successione

n.
Esercizi 2.2
1. Provare che se

a
n
e

b
n
sono serie convergenti, anche la serie

(a
n
+ b
n
) `e convergente e

n=0
(a
n
+ b
n
) =

n=0
a
n
+

n=0
b
n
;
127
si provi anche che per ogni C la serie

(a
n
) `e convergente e

n=0
(a
n
) =

n=0
a
n
.
Si generalizzino questi enunciati, per quanto possibile, al caso di serie
reali divergenti.
2. (criterio del confronto) Siano

a
n
e

b
n
serie reali tali che 0 a
n

b
n
per ogni n N.
(i) Si provi che se

b
n
converge, allora

a
n
converge e

n=0
a
n

n=0
b
n
; in quale caso vale luguaglianza?
(ii) Si provi che se

a
n
diverge, allora

b
n
diverge.
3. Sia

a
n
una serie a termini reali non negativi. Si dimostri che

n=0
a
n
< +

n=0
a
n
1 + a
n
< +.
4. Sia

a
n
una serie a termini reali non negativi. Si dimostri che se

a
n
`e convergente, allora

(a
n
)
p
`e convergente per ogni p 1.
5. Sia a
n
C. Si provi che se

a
2m
e

a
2m+1
sono convergenti, allora

a
n
`e convergente e

n=0
a
n
=

m=0
a
2m
+

m=0
a
2m+1
;
`e vero il viceversa?
6. Sia a
n
C. Si provi che se

[a
n
[
2
`e convergente, allora

an
n
`e
convergente, ma che il viceversa `e falso.
7. (i) Si provi che ogni numero razionale ha uno sviluppo decimale perio-
dico (eventualmente di periodo nullo).
128
(ii) Viceversa, sia x un numero reale con sviluppo decimale periodico, il
cui antiperiodo sia un intero a = a
1
. . . a
p
di p cifre e il cui periodo
sia un intero b = b
1
. . . b
q
con q cifre. Si provi che
x [x] =
a
10
p
+
b
10
p

n=1
1
10
qn
;
dedurre che x `e un numero razionale, il quale si pu`o scrivere sotto
forma di frazione (la frazione generatrice di x), il cui denominatore
`e fatto da q cifre 9 seguite da p cifre 0, e il cui numeratore `e la
dierenza fra lintero a
1
. . . a
p
b
1
. . . b
q
e lintero b
1
. . . b
q
.
2.3 Successioni monotone
Unimportante classe di successioni reali `e quella delle successioni monot`one
(e non mon`otone!).
Denizione 2.3.1 Sia a
n
R. Diciamo che a
n
`e monotona crescente
se si ha
a
n+1
a
n
n N.
Diciamo che a
n
`e monotona decrescente se si ha
a
n+1
a
n
n N.
Diciamo che a
n
`e strettamente crescente o strettamente decrescente se
la corrispondente disuguaglianza `e stretta per ogni n N. In entrambi i
casi precedenti, la successione si dir`a strettamente monot`ona. Inne di-
ciamo che a
n
`e denitivamente monotona (crescente o decrescente) se la
corrispondente disuguaglianza `e vera soltanto da una certa soglia in poi.
Esempi 2.3.2 (1)
1
n
, n sono successioni strettamente decrescenti.
(2) (n + 1)!,
n1
n
sono successioni strettamente crescenti.
(3)

1 +
x
n

n
`e una successione crescente per ogni x 1 (strettamente,
se x = 0), ed `e denitivamente crescente per x < 1 (esempio 1.8.3 (2)).
(4) Le somme parziali di una serie a termini di segno costante formano
una successione monotona: crescente se il segno `e positivo, decrescente se `e
negativo.
129
Il comportamento allinnito delle successioni monotone `e particolarmente
semplice. Si ha infatti:
Proposizione 2.3.3 Sia a
n
R una successione monotona. Allora essa
ha limite e si ha
lim
n
a
n
=

sup
nN
a
n
] , +] se a
n
`e crescente,
inf
nN
a
n
[, +[ se a
n
`e decrescente.
In particolare, una successione monotona `e convergente se e solo se `e limi-
tata.
Dimostrazione Proveremo la tesi solamente nel caso in cui a
n
`e de-
crescente, lasciando laltro caso al lettore. Sia L lestremo inferiore della
successione a
n
, e supponiamo dapprima che L R: allora, come sappiamo
(proposizione 1.5.10), si ha
L a
n
n N,
> 0 N : L a

< L + .
Poiche a
n
`e decrescente, deduciamo
L a
n
a

< L + n ,
da cui segue che a
n
L per n +. Se invece L = , allora a
n
non
ha minoranti e quindi
M > 0 N : a

< M;
per la decrescenza di a
n
segue che
a
n
a

< M n ,
cio`e a
n
per n +.
Lultima propriet`a `e banale: se a
n
`e monotona e limitata, allora ha estremo
superiore ed estremo inferiore niti, e quindi ha limite nito coincidente
con uno dei due, cio`e `e convergente; viceversa, ogni successione convergente
`e limitata per la proposizione 2.1.9 (si noti che questo `e vero anche se la
successione non `e monotona).
Tornando alle serie, la proposizione precedente ci dice che per provare la
convergenza delle serie a termini positivi `e suciente far vedere che le somme
parziali sono limitate superiormente: e questo `e spesso abbastanza facile.
130
Esempi 2.3.4 (1) (Serie armonica generalizzata) Per > 0 consideriamo
la serie

n=1
1
n

.
Se = 1, essa si riduce alla serie armonica e, come si `e visto nellesempio
2.2.6 (3), `e divergente (positivamente). Dunque per ogni ]0, 1[ si ha a
maggior ragione
s
n
=
n

k=1
1
k

>
n

k=1
1
k
+ per n +,
cio`e la serie diverge positivamente. Se = 2, tenuto conto dellesempio 2.2.6
(2), si ha
s
n
=
n

k=1
1
k
2
< 1 +
n

k=2
1
k(k 1)
= 1 +
n1

h=1
1
h(h + 1)
2 per n +,
e per il teorema di confronto (teorema 2.1.12) la serie converge ed ha somma
inferiore a 2. Se > 2, a maggior ragione,
s
n
=
n

k=1
1
k

<
n

k=1
1
k
2
e, per confronto con il caso = 2, la serie converge (con somma minore di
2).
Resta il caso ]1, 2[: analogamente a quanto fatto per la serie armonica,
andiamo a stimare la dierenza s
2n
s
n
: si ha
s
2n
s
n
=
2n

k=n+1
1
k


n
(n + 1)

n N
+
;
quindi, ssato m N
+
e scelto n = 2
m
, la disuguaglianza precedente implica
s
n
= s
2
m = 1 +
m

k=1
(s
2
k s
2
k1) 1 +
m

k=1
2
k1
(2
k1
+ 1)

<
< 1 +
m

k=1
1
2
(k1)(1)
< 1 +
1
1 2
(1)
.
131
Dato che m 2
m
per ogni m N, si conclude che
s
m
s
2
m < 1 +
1
1 2
(1)
m N
+
,
e pertanto la serie `e convergente. In denitiva, la serie armonica generalizzata
ha il seguente comportamento:

n=1
1
n

converge se > 1
diverge a + se 1.
(2) (Serie esponenziale) Consideriamo la serie

n=0
1
n!
,
che `e convergente in quanto
s
n
=
n

k=0
1
k!
2 +
n

k=2
1
k(k 1)
3 per n +.
Questa serie `e un caso particolare della serie esponenziale

z
n
n!
, z C, che
verr`a analizzata in seguito.
Stabiliamo adesso unimportante relazione che ci dar`a modo di denire il
fondamentale numero reale e.
Proposizione 2.3.5 Risulta

k=0
1
k!
= lim
n

1 +
1
n

n
.
Dimostrazione Notiamo che il limite a destra esiste perche la successione
(1 +
1
n
)
n
`e crescente (esempio 1.8.3 (2)). Inoltre si ha, utilizzando la formula
di Newton (teorema 1.7.1),

1 +
1
n

n
=
n

k=0

n
k

1
n
k
n N
+
;
132
quindi, per ogni n N
+
,

1 +
1
n

n
= 1 +
n

k=1
n(n 1) . . . (n k + 1)
k! n
k
=
= 1 +
n

k=1
1
k!

n
n

n 1
n
. . .
n k + 1
n

n

k=0
1
k!
,
da cui, per il teorema di confronto (teorema 2.1.12),
lim
n

1 +
1
n

k=0
1
k!
.
Daltra parte, per ogni ssato m N
+
si ha
m

k=0
1
k!
= 1 +
m

k=1
1
k!
lim
n

n
n
n 1
n
. . .
n k + 1
n

=
= 1 + lim
n
m

k=1
1
k!
n
n
n 1
n
. . .
n k + 1
n
= lim
n
m

k=0

n
k

1
n
k
;
aumentando nellultimo termine il numero degli addendi da m (che `e sso)
a n (che `e pi` u grande, dato che sta tendendo a +) si ottiene
m

k=0
1
k!
lim
n
n

k=0

n
k

1
n
k
= lim
n

1 +
1
n

n
m N
+
,
da cui nalmente, facendo tendere anche m a +,

k=0
1
k!
lim
n

1 +
1
n

n
,
il che prova luguaglianza richiesta.
Denizione 2.3.6 Indichiamo con e il numero reale denito dalla proposi-
zione 2.3.5, ossia poniamo
e =

k=0
1
k!
= lim
n

1 +
1
n

n
.
133
Il numero e si chiama numero di Nepero e riveste unimportanza fondamentale
in tutta la matematica. Esso `e un irrazionale (esercizio 2.3.1) ed `e compreso
fra 2 e 3: infatti
2 =
1

k=0
1
k!
<

k=0
1
k!
< 2 +

k=2
1
k(k 1)
= 3.
Il logaritmo in base e si dice logaritmo naturale e si scrive indierentemente
log
e
x = log x = ln x.
Esercizi 2.3
1. Provare che

n=m+1
1
n!
<
1
m m!
m N
+
,
e dedurne che e `e irrazionale.
[Traccia: se fosse e = p/q con p, q N
+
primi tra loro, avremmo per
ogni m N la disuguaglianza 0 <
p
q

m
n=0
1
n!
<
1
mm!
; moltiplicando
per q m! e scegliendo m > q, si deduca un assurdo.]
2. Dimostrare che se b > 1 si ha

n=2
1
nlog
b
n
= +,

n=2
1
n(log
b
n)

< + > 1.
[Traccia: stimare s
2n
s
n
per n = 2
k
, analogamente a quanto fatto
per la serie armonica e per la serie armonica generalizzata negli esempi
2.2.6 (3) e 2.3.4 (1).]
3. Sia a
n
una successione decrescente di numeri positivi. Provare che
se

a
n
`e convergente, allora lim
n
n a
n
= 0, ma che il viceversa `e
falso.
4. Si provi che le successioni

1 +
1
n

n+1
e

1
1
n+1

n
sono decrescenti e
se ne calcolino i limiti.
5. Calcolare, se esistono,
lim
n

1 +
1
n
2

n
, lim
n

1 +
1
n

n
2
.
134
6. Provare che
lim
n

n
2
1
n(1 +n
2
)
1

n
= 1.
7. Dimostrare le disuguaglianze
1
n + 1
< log

1 +
1
n

<
1
n
,
1
n 1
< log

1
1
n

<
1
n
n N
+
,
e dedurre che
lim
n
log

1 +
1
n

1
n
= 1, lim
n
log

1
1
n

1
n
= 1.
8. (identit`a di Abel) Siano a
1
, . . . , a
n
, b
1
, . . . , b
n
, b
n+1
numeri complessi.
Posto s
k
=

k
h=1
a
h
, si provi che
n

k=1
a
k
b
k
= s
n
b
n+1

k=1
s
k
(b
k+1
b
k
).
9. Determinare il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=1

1 cos
1
n

, (ii)

n=1
sin
1
n
, (iii)

n=1
log n
n
3
,
(iv)

n=0
n(n 1)
(n + 1)(n + 2)
2
, (v)

n=2
1
(log n)
log n
, (vi)

n=1
n
n
(n!)
2
,
(vii)

n=1
[7 + 3(1)
n
]
n
2
3n
, (viii)

n=0
1
4

1 + n
3
, (ix)

n=0
n + 2
n
1 + n
3
,
(x)

n=1

n + 1
n(1 +n
2
)

n
, (xi)

n=1

n 1

n
, (xii)

n=1
(1)
n
40
1
n
.
10. Si verichi lidentit`a
n!
(n + k)!
=
1
k 1

n!
(n + k 1)!

(n + 1)!
(n + k)!

n N, k 2,
135
e se ne deduca che

n=0
n!
(n + k)!
=
1
(k 1)(k 1)!
k 2,
ossia

n=0
1

n+k
n
= 1 +
1
k 1
k 2.
11. Si provi che se a > 1 la serie

(a
1/n
2
1) `e convergente mentre la serie

(a
1/n
1) `e divergente. Che succede se 0 < a 1?
[Traccia: si utilizzi lidentit`a (a
1/k
1)

k1
h=0
a
h/k
= a 1.]
12. Sia a
n
denita per ricorrenza dalle relazioni

a
0
= 1
a
n+1
=
a
n
+ a
n
n N,
ove `e un ssato numero positivo. Si provi che a
n
`e decrescente e se
ne calcoli il limite; si deduca che la serie

a
n
`e convergente se > 1
e divergente se 0 < 1.
[Traccia: si trovi unespressione esplicita per a
n
.]
13. Sia F
n
la successione dei numeri di Fibonacci, deniti da

F
0
= 0, F
1
= 1,
F
n+2
= F
n+1
+ F
n
n N;
si determini il comportamento della serie

1
Fn
.
14. Si provi che risulta
1
n + 1
<

k=n+1
1
k
2
<
1
n
n N
+
.
136
2.4 Criteri di convergenza per le serie
Come si `e gi`a accennato in precedenza, spesso `e facile accertare la convergenza
di una serie senza conoscerne la somma. Ci`o `e reso possibile da alcuni comodi
criteri che forniscono condizioni sucienti per la convergenza delle serie. I pi` u
semplici di questi criteri riguardano le serie reali a termini di segno costante,
ad esempio positivi; il pi` u semplice in assoluto `e il criterio del confronto, una
versione del quale si trova nellesercizio 2.2.2:
Proposizione 2.4.1 (criterio del confronto) Siano

a
n
,

b
n
due se-
rie reali, e supponiamo che risulti
0 a
n
b
n
denitivamente;
in tal caso, se

b
n
converge allora

a
n
converge, mentre se

a
n
diverge
a + allora

b
n
diverge a +.
Dimostrazione Sia N tale che 0 a
n
b
n
per ogni n : allora
0

n=m
a
n

n=m
b
n
m ,
cosicche i due enunciati seguono facilmente tenendo conto dellosservazione
2.2.7.
Si ha poi:
Proposizione 2.4.2 (criterio del rapporto) Sia

a
n
una serie con ter-
mini denitivamente positivi. Se esiste ]0, 1[ tale che
a
n+1
a
n
denitivamente,
allora la serie

a
n
`e convergente. Il viceversa `e falso.
Dimostrazione Sia N tale che a
n
> 0 per ogni n ed inoltre
a
n+1
a
n
n ;
allora si ha
a
n
= a


n1

k=
a
k+1
a
k
a


n1

k=
= a


n
n ,
137
cio`e
a
n

a


n
n .
Dal criterio del confronto, essendo ]0, 1[, segue che

a
n
`e convergente.
Viceversa, la serie

1/n
2
`e una serie convergente, e malgrado ci`o non verica
le ipotesi del criterio del rapporto: infatti
a
n+1
a
n
=
n
2
(n + 1)
2
1 per n +,
e quindi non esiste alcun ]0, 1[ che possa soddisfare lipotesi richiesta.
Osservazione 2.4.3 Si noti che nellipotesi del criterio del rapporto non
basta richiedere che sia
a
n+1
a
n
< 1 denitivamente:
infatti questa condizione `e meno restrittiva ed esistono serie divergenti che
la soddisfano: per esempio la serie armonica

1
n
.
Esempi 2.4.4 (1) La serie

n!
n
n
`e convergente: infatti
a
n+1
a
n
=
(n+1)!
(n+1)
n+1
n!
n
n
=

n
n + 1

n
=
1

1 +
1
n

n

1
e
per n +,
cosicche si ha denitivamente
a
n+1
a
n
<
1
e
+ < 1
pur di scegliere 0 < < 1
1
e
.
(2) La serie

b
n
`e convergente per ogni R e per ogni b [0, 1[: infatti
a
n+1
a
n
=

n + 1
n

b b per n ,
e quindi si ha denitivamente
a
n+1
a
n
b + < 1
138
pur di scegliere 0 < < 1 b.
(3) La serie esponenziale

x
n
n!
`e convergente per ogni x > 0: infatti
a
n+1
a
n
=
x
n + 1
0 per n +,
cosicch`e per qualunque ]0, 1[ si ha
a
n+1
a
n
denitivamente.
(4) La serie

n=0

n + k
k

1/2
`e a termini positivi, ma luso del criterio del rapporto non d`a informazioni
sul suo comportamento: infatti
a
n+1
a
n
=

n + 1
n + k + 1

1/2
1 per n +,
quindi la serie potrebbe convergere o divergere. Tuttavia se k 3 si ha
a
n
=

k!n!
(n + k)!

k!
(n + k)(n + k 1)(n + k 2)

k!
n
3/2
n N
+
,
quindi la serie converge per il criterio del confronto; se invece k = 2, e a
maggior ragione se k = 0 o k = 1, si vede subito che la serie diverge per
confronto con la serie armonica.
Proposizione 2.4.5 (criterio della radice) Sia

a
n
una serie a termini
non negativi. Se esiste ]0, 1[ tale che
n

a
n
denitivamente,
allora la serie

a
n
`e convergente; se invece esistono inniti valori di n per
i quali
n

a
n
1,
allora la serie

a
n
`e positivamente divergente.
139
Dimostrazione Dalla prima ipotesi segue che si ha
a
n

n
denitivamente,
quindi

a
n
converge per il criterio del confronto, essendo ]0, 1[.
Se invece vale la seconda ipotesi, allora si ha a
n
1 per inniti valori di n:
quindi la serie

a
n
diverge a +.
Osservazione 2.4.6 Si noti che, come per il criterio del rapporto, nellipo-
tesi del criterio della radice non basta richiedere che sia
n

a
n
< 1 denitivamente,
in quanto questa condizione meno restrittiva `e vericata da alcune serie
divergenti: per esempio la serie armonica

1
n
.
Esempi 2.4.7 (1) La serie

3
n
4
n
1
`e convergente, perche

3
n
4
n
1
1
n
=
3
4

1
1 4
n
1
n

3
4
per n +,
cosicche, scelto 0 < <
1
4
, si ha

3
n
4
n
1
1
n
<
3
4
+ < 1 denitivamente.
(2) La serie

1
1
n

n
2
`e convergente: infatti, essendo

1
1
n

n
crescente,

1
1
n

n
2
1
n
=

1
1
n

1
e
n N
+
.
(3) La serie

3
4
+
1
2
cos n

n
`e a termini positivi e diverge a + perche il
termine generale a
n
`e
a
n
=

3
4

n
se n `e dispari,

5
4

n
se n `e multiplo di 4,

1
4

n
se n `e pari ma non `e multiplo di 4,
cosicche
n

a
n
1 per inniti indici n.
140
(4) La serie

n=1

n
2
1
n(1 +n
2
)

n
`e a termini positivi ma il criterio della radice non d`a informazioni sulla
convergenza, in quanto
n

a
n
=

n
2
1
n(1 +n
2
)
1

n
1 per n
(esercizio 2.3.6); quindi per ogni ]0, 1[ si ha denitivamente
<
n

a
n
< 1.
Tuttavia, in virt` u del criterio del confronto la serie `e convergente poiche

n
2
1
n(1 +n
2
)

1
n

1
n
2
n 4.
Il criterio di convergenza di uso pi` u facile e frequente `e il seguente:
Proposizione 2.4.8 (criterio del confronto asintotico) Siano

a
n
e

b
n
due serie a termini denitivamente positivi, e supponiamo che esista
L = lim
n
a
n
b
n
[0, +].
Allora:
(i) se L ]0, +[, le due serie hanno lo stesso comportamento;
(ii) se L = 0, la convergenza di

b
n
implica la convergenza di

a
n
;
(iii) Se L = +, la divergenza di

b
n
implica la divergenza di

a
n
.
Dimostrazione (i) Sia L > 0 e sia ]0, L[. Allora si ha
0 < L <
a
n
b
n
< L + denitivamente,
quindi
b
n
(L ) < a
n
< b
n
(L + ) denitivamente,
e la tesi segue dal criterio del confronto.
(ii) Fissato > 0 si ha denitivamente a
n
b
n
, da cui la tesi.
(iii) Fissato M > 0, si ha denitivamente Mb
n
< a
n
, da cui la tesi.
141
Esempi 2.4.9 (1) La serie

n=1
n
2
+ 3

n 4
2n
3

n + 1
converge perche confrontandola con

n
3/2
, che `e convergente, si ha
lim
n
n
2
+3

n4
2n
3

n+1
1
n
3/2
=
1
2
.
(2) La serie

1
n
(cos n
2
+

n) `e divergente a + perche confrontandola con

n
1/2
, che `e divergente, si ha
lim
n
cos n
2
+

n
= 1.
(3) La serie

n
3+(1)
n
`e convergente perche a confronto con

n
3/2
d`a
lim
n
n
3/2
n
3(1)
n
= 0.
(4) Consideriamo la serie

n=2
1
n(log n)

,
ove 1. Notiamo che si ha, per ogni > 0,
1
n
1+
<
1
n(log n)

<
1
n
denitivamente
in quanto lim
n
n

(log n)

= + (esercizio 2.1.11). Quindi siamo in un caso


intermedio fra

1
n
(divergente) e

1
n
1+
(convergente), ed il criterio del
confronto asintotico non d`a alcun aiuto. Tuttavia le somme parziali della
serie vericano
s
2n
s
n
=
2n

k=n+1
1
k(log k)


n
(n + 1)(log(n + 1))


1
(log n)

n 2,
s
2n
s
n
=
2n

k=n+1
1
k(log k)


n
2n(log(2n))

=
1
2
1
(log(2n))

n 2;
142
di conseguenza, con lo stesso ragionamento usato per la serie armonica e per
la serie armonica generalizzata (esempi 2.2.6 (3) e 2.3.4 (1)), se 1 si ha
per ogni m 2 e per ogni n 2
m
s
n
s
2
m =
1
2(log 2)

+
m

k=2
(s
2
k s
2
k1)

1
2(log 2)

+
1
2
m

k=2
1
(log 2
k
)

=
1
2(log 2)

k=1
1
k

,
mentre se > 1 si ha per ogni n 2
s
n
s
2
n =
1
2(log 2)

+
n

k=2
(s
2
k s
2
k1)

1
2(log 2)

+
1
2
n

k=2
1
(log 2
k1
)

=
1
(log 2)

1
2
+
n1

h=1
1
h

.
Dal comportamento della serie armonica generalizzata si deduce che

n=2
1
n(log n)

converge se > 1,
diverge a + se 1.
Esercizi 2.4
1. Determinare il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=1
1
n
1+1/n
, (ii)

n=1
1
(n!)
1/n
, (iii)

n=2
1
log n!
,
(iv)

n=0
e

n
, (v)

n=1
log

1 +
1
n
2

, (vi)

n=2
log

1
1
n
2

,
(vii)

n=0
2
n
e

n
, (viii)

n=2
2

n
(log n)
n
, (ix)

n=1
tan
2
1
n
,
(x)

n=1
n

n! n

n
, (xi)

n=1
n

n
(

n)
n
, (xii)

n=1
10
n!n
n
.
143
2. (criterio di Raabe) Sia

a
n
una serie a termini positivi. Si provi che
se esiste K > 1 tale che
n

a
n
a
n+1
1

K n N
+
,
allora la serie converge, mentre se risulta
n

a
n
a
n+1
1

1 n N
+
,
allora la serie diverge a +.
[Traccia: nel primo caso, posto d = K 1, si mostri che a
n+1

1
d
(na
n
(n + 1)a
n+1
), e che quindi le somme parziali

n
k=1
a
k+1
non
superano
a
1
d
; nel secondo caso si verichi che a
n+1

a
1
n+1
.]
3. Si determini il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=1
1 4 7 . . . (3n 2)
3 6 9 . . . (3n)
, (ii)

n=1

1 4 7 . . . (3n 2)
3 6 9 . . . (3n)

2
.
[Traccia: utilizzare il criterio di Raabe.]
4. Vericare che il criterio di Raabe implica la divergenza della serie
armonica.
5. Si provi che esiste un numero reale ]0, 1[, detto costante di Eulero,
tale che
lim
n

k=1
1
k
log n

= .
[Traccia: utilizzare il risultato dellesercizio 2.3.7.]
6. Quanti addendi occorre sommare anche risulti
n

k=1
1
k
100?
7. Siano a
0
< a
1
< a
2
< . . . i numeri naturali che, scritti in cifre decimali,
non contengono la cifra 0. Provare che
n

k=1
1
a
k
< 90.
144
[Traccia: si determini quanti sono i numeri di n cifre fra le quali non
c`e lo 0, e si osservi che essi sono tutti maggiori di 10
n1
. . .]
8. Si provi che
n

k=1
cos
x
2
k
=
sin x
2
n
sin
x
2
n
n N
+
, x R ` 0,
e di conseguenza si calcoli la somma della serie

k=1
log cos
x
2
k
, x R.
9. Si consideri la successione denita da

a
0
=
a
n+1
= max
1
2
a
n
, a
n
1 n N.
ove R.
(i) Si provi che a
n
`e monotona e innitesima per ogni R.
(ii) Si determini il comportamento della serie

a
n
al variare di in
R.
10. Discutere la convergenza della serie

n=1
a
log n
n
al variare del parametro
a > 0.
11. Provare che

n=3
1
n(log n)(log log n)

converge se > 1,
diverge a + se 1.
12. Sia a
n
]0, +[. Si provi che
lim
n
a
n+1
a
n
= L = lim
n
n

a
n
= L,
e se ne deduca che il criterio della radice implica il criterio del rapporto.
145
2.5 Assoluta convergenza
Per le serie a termini complessi, o a termini reali di segno non costante,
i criteri di convergenza sin qui visti non sono applicabili. Lunico criterio
generale, rozzo ma ecace, `e quello della convergenza assoluta.
Denizione 2.5.1 Sia

a
n
una serie a termini reali o complessi. Diciamo
che la serie `e assolutamente convergente se la serie

[a
n
[ `e convergente.
Si noti che per vericare la convergenza assoluta di una serie i criteri visti in
precedenza sono tutti validi perche

[a
n
[ `e una serie a termini positivi. Na-
turalmente, come suggerisce il loro nome, le serie assolutamente convergenti
sono convergenti: vale infatti la seguente
Proposizione 2.5.2 Ogni serie assolutamente convergente `e convergente.
Dimostrazione Sia

[a
n
[ convergente, e supponiamo dapprima che gli a
n
siano tutti reali. Poniamo
b
n
= [a
n
[ a
n
n N :
chiaramente si ha 0 b
n
2[a
n
[ per ogni n, cosicche

b
n
`e convergente per
il criterio del confronto. Essendo
a
n
= [a
n
[ b
n
n N,
la serie

a
n
converge perche dierenza di serie convergenti (esercizio 2.2.1).
Supponiamo adesso che gli a
n
siano numeri complessi. Dalle relazioni
[Rez[ [z[, [Imz[ [z[ z C
segue, per il criterio del confronto, che le due serie reali

Rea
n
e

Ima
n
sono assolutamente convergenti; quindi, per quanto gi`a dimostrato, esse con-
vergono. Dunque, applicando alle somme parziali

n
k=0
a
k
il risultato delle-
sercizio 2.1.2, si ottiene che la serie

a
n
=

Rea
n
+i

Ima
n
`e convergente.
Come vedremo fra poco, il viceversa della proposizione precedente `e falso:
esistono serie convergenti che non sono assolutamente convergenti.
Per le serie a termini reali di segno alterno c`e uno speciale criterio di con-
vergenza.
146
Proposizione 2.5.3 (criterio di Leibniz) Sia a
n
una successione reale
decrescente ed innitesima. Allora la serie

(1)
n
a
n
`e convergente e si ha

n=m+1
(1)
n
a
n

a
m+1
m N.
Dimostrazione Siano s
n
le somme parziali della serie

n=0
(1)
n
a
n
; se n
`e pari, n = 2m, dalla decrescenza di a
n
segue che
s
2m+2
= s
2m
a
2m+1
+ a
2m+2
s
2m
s
2
s
0
,
mentre se n `e dispari, n = 2m + 1, si ha analogamente
s
2m+1
= s
2m1
+ a
2m
a
2m+1
s
2m1
s
3
s
1
.
Inoltre per la positivit`a degli a
n
s
2m+1
= s
2m
a
2m+1
s
2m
m N;
in denitiva
s
1
s
2m1
s
2m+1
s
2m
s
2m2
s
0
m N
+
.
Dunque le successioni s
2m+1

mN
e
s
2m

mN
sono monotone (crescente la
prima e decrescente la seconda) e li-
mitate; quindi convergono entrambe e,
posto
D = lim
m
s
2m+1
, P = lim
m
s
2m
,
dal teorema di confronto (teorema
2.1.12) si ha s
1
D P s
0
.
Daltra parte, essendo s
2m+1
s
2m
= a
2m+1
per ogni m N, dallipotesi
che a
n
`e innitesima, passando al limite per m , si ottiene D = P.
Poniamo allora S = D = P, e proviamo che la serie

n=0
(1)
n
a
n
ha somma
S. Per ogni > 0 si ha
[s
2m
S[ < denitivamente, [s
2m+1
S[ < denitivamente;
147
quindi se n `e abbastanza grande, pari o dispari che sia, risulter`a [s
n
S[ < ,
e pertanto s
n
S per n .
Notiamo poi che si ha
s
2m+1
S s
2m+2
s
2m
m N,
da cui se n `e pari, n = 2m,
0 s
n
S = s
2m
S s
2m
s
2m+1
= a
2m+1
= a
n+1
,
mentre se n `e dispari, n = 2m + 1,
0 S s
n
= S s
2m+1
s
2m+2
s
2m+1
= a
2m+2
= a
n+1
;
in ogni caso
[s
n
S[ a
n+1
n N,
e ci`o prova la tesi.
Osservazione 2.5.4 Il criterio di Leibniz `e ancora vero per le serie che ne
vericano le ipotesi soltanto denitivamente: ad esempio, la serie potreb-
be essere a termini di segno alterno solo da un certo indice in poi, ed i
termini stessi, in valore assoluto, potrebbero essere decrescenti solo da un
certo altro indice in poi. In questo caso, per`o, la stima [s
n
S[ a
n+1
va
opportunamente modicata.
Esempi 2.5.5 (1) La serie

(1)
n
n
`e convergente perche
1
n
`e una succes-
sione decrescente ed innitesima. Questo `e un esempio di serie convergente
ma non assolutamente convergente (dato che la serie dei valori assoluti `e la
serie armonica).
(2) La serie

(1)
n
n
100
2
n
`e convergente perche n
100
2
n
`e innitesima e
denitivamente decrescente (esercizio 2.5.6).
(3) La serie

(1)
n 10
n
n
10
n+1
non converge: il suo termine generale non `e in-
nitesimo.
(4) La serie

sin nx
n
2
converge per ogni x R: infatti `e assolutamente con-
vergente, per confronto con la serie

1
n
2
.
(5) Quando nessun criterio di convergenza `e applicabile, non rimane che ten-
tare uno studio diretto della serie e delle sue somme parziali, con il quale,
148
in certi casi, si riesce a determinarne il comportamento. Consideriamo ad
esempio la serie

n=1
(1)
n(n+1)
2
n
,
che non `e assolutamente convergente. Essa non `e a segni alterni: infatti si
ha
n(n+1)
2
=

n
k=1
k (esercizio 1.6.12), per cui la parit`a dellesponente di 1
cambia quando si somma un intero dispari e non cambia quando si somma
un intero pari. Il risultato `e che la sequenza dei segni `e 1, 1, 1, 1, 1,
1, 1, 1, 1, 1, 1, 1, . . .
Per studiare il comportamento della serie, analizziamone direttamente le som-
me parziali: se N `e pari, N = 2m, si ha (dato che gli interi
2m(2m+1)
2
=
2m
2
+ m e
(2m1)2m
2
= 2m
2
m hanno la stessa parit`a di m)
s
2m
=
2m

n=1
(1)
n(n+1)
2
n
=
= 1
1
2
+
1
3
+
1
4

1
5

1
6
+ +
(1)
m
2m1
+
(1)
m
2m
=
=
m

h=1
(1)
h

1
2h 1

1
2h

.
Questultima espressione `e la somma parziale m-sima di una serie che verica
le ipotesi del criterio di Leibniz e quindi `e convergente. Perci`o la successione
s
2m
converge ad un numero reale S. Se ora N `e dispari, N = 2m+1, si ha
s
2m+1
= s
2m
+
(1)
(2m+1)(2m+2)
2
2m + 1
S per m ;
quindi s
2m+1
converge anchessa a S. Se ne deduce, come nella dimostra-
zione del criterio di Leibniz, che lintera successione s
n
converge a S, e che
quindi la serie data `e convergente.
(6) Come ultimo esempio consideriamo la serie

n=1
z
n
n
, ove z `e un para-
metro complesso: utilizzando il criterio del rapporto si vede subito che essa
converge assolutamente quando [z[ < 1, mentre certamente non converge,
non essendo innitesimo il suo termine generale, quando [z[ > 1. Quando
[z[ = 1 non vi `e convergenza assoluta, ma la serie potrebbe convergere in certi
punti: ci`o `e vero, come sappiamo (esempio 2.5.5 (1)), per z = 1, mentre
149
non `e vero per z = 1. Cosa succede per gli altri z di modulo unitario?
Consideriamo le somme parziali
s
n
=
n

k=1
z
k
k
, n N
+
,
ove z C e [z[ = 1. Utilizziamo lidentit`a di Abel (esercizio 2.3.8), secondo
la quale se n N
+
e se a
1
, . . . , a
n
, b
1
, . . . , b
n
, b
n+1
sono numeri complessi,
allora
n

k=1
a
k
b
k
=
n
b
n+1

k=1

k
(b
k+1
b
k
),
ove
k
=

k
h=1
a
h
. Scegliamo
a
k
= z
k
, b
k
=
1
k
,
ed osserviamo che se z = 1 si ha

k
=
k

h=1
z
h
=
z(1 z
k
)
1 z
, [
k
[
2
[1 z[
k N
+
;
quindi la successione
k

kN
+ `e limitata. Sostituendo nellidentit`a di Abel
otteniamo per [z[ = 1, z = 1,
s
n
=
n

k=1
z
n
n
=

n
n + 1

n

k=1

1
k + 1

1
k

=

n
n + 1
+
n

k=1

k
k(k + 1)
.
Il primo addendo nellultimo membro tende a 0 per n , in virt` u della
limitatezza delle
k
; il secondo addendo `e la somma parziale di una serie as-
solutamente convergente, per confronto con la serie

1
k(k+1)
. Se ne conclude
che le somme parziali s
n
formano una successione convergente, e in denitiva
la serie

z
n
n
converge per ogni z di modulo unitario ad eccezione del punto
z = 1.
150
Esercizi 2.5
1. Determinare il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=0
n(1)
n
n
2
+ 1
, (ii)

n=5
(1)
n
2n 101
, (iii)

n=47
(1)
n
2 + sin n
,
(iv)

n=1
(1)
n
n
3/7
, (v)

n=1
(1)
n
(
n

3 1), (vi)

n=1
2 + (1)
n
n
2
,
(vii)

n=1
(1)
n
n
1/n
, (viii)

n=0
(sin(sin n))
n
, (ix)

n=0

sin(n + 1)
n
2
+ 1

n
.
2. Determinare per quali x R convergono, e per quali x R convergono
assolutamente, le seguenti serie:
(i)

n=0
x
n
n + 1
, (ii)

n=1
x
n
sin
1
n
, (iii)

n=0
n
n + 1
(x 1)
n
,
(iv)

n=1
sin
n
x
n
, (v)

n=0
(2)
n
e
nx
, (vi)

n=1
(log x)
n
2

n
,
(vii)

n=1
x
1/n
n
1+1/n
, (viii)

n=0
x

n
, (ix)

n=0
log

1 +
x
n
2

,
(x)

n=1
(n!)
3
x
n
n(3n)!
, (xi)

n=0
n
3
(4x)
n
2

n!
, (xii)

n=0
sin
3x
n
2
+ 1
.
3. Quanti addendi occorre sommare per approssimare la somma della serie

n=0
(1)
n
2n+1
con un errore minore di
1
100
?
4. Provare che la serie

n=1
(1)
n 2n+1
n(n+1)
`e convergente e calcolarne la
somma.
5. Per quali R la serie
1
1
2

+
1
3

1
4

+
1
5

1
6

+ +
1
2n 1

1
(2n)

+
`e convergente?
151
6. Si provi che la successione n

n
`e denitivamente decrescente per
ogni R e > 1.
7. Sia x un numero reale. Si provi che:
lim
n
sin nx x = k, k Z;
lim
n
cos nx x = 2k, k Z.
[Traccia: si supponga che L = lim
n
sin nx esista: usando la formula
di duplicazione per il seno si mostri dapprima che L = 0 oppure L =

3
2
; poi, usando la formula di addizione per sin(n+1)x, si deduca che
se L = 0 allora x `e multiplo di , mentre se L = 0 allora cos x =
1
2
: da
qui si ricavi un assurdo.]
8. Si consideri la successione denita per ricorrenza da

a
0
= 0
a
n+1
= (a
n
)
2
+
1
4
n N.
(i) Provare che a
n
`e crescente e limitata e calcolarne il limite L.
(ii) Provare che la serie

(L a
n
)
2
`e convergente e determinarne la
somma.
(iii) Discutere il comportamento per n della successione a
n

quando il valore di a
0
`e un numero > 0 qualsiasi, anziche 0.
9. Descrivere il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=0
1
n + i
, (ii)

n=1
sin(n/4)
n
, (iii)

n=0
(1)
n
i
n
2n + 1
, (iv)

n=1

n + in
n
2
in
.
10. Stabilire il comportamento della serie

n=1
z
n

n
sul bordo del cerchio di
convergenza.
[Traccia: utilizzare il procedimento dellesempio 2.5.5 (6).]
152
2.6 Successioni di Cauchy
Unimportante propriet`a delle successioni reali o complesse, strettamente
legata alla nozione di limite, `e quella espressa dalla denizione che segue.
Denizione 2.6.1 Sia a
n
una successione reale o complessa. Diciamo
che a
n
`e una successione di Cauchy se vale la condizione seguente:
N : [a
n
a
m
[ < n, m > .
Come si vede, la condizione di Cauchy `e molto vicina alla denizione di suc-
cessione convergente: invece che chiedere ai numeri a
n
di essere denitiva-
mente vicini al limite L, si chiede loro di avvicinarsi gli uni agli altri (sempre
denitivamente). Ma il legame con la nozione di limite `e strettissimo; infatti:
Proposizione 2.6.2 Sia a
n
una successione reale o complessa. Allora
a
n
`e una successione di Cauchy se e solo se essa `e convergente.
Dimostrazione Se a
n
converge al numero complesso L allora, per de-
nizione,
> 0 N : [a
n
L[ <

2
n > .
Quindi per ogni n, m > si ha
[a
n
a
m
[ [a
n
L[ +[L a
m
[ <

2
+

2
= ,
e quindi vale la condizione di Cauchy. Viceversa, supponiamo che valga la
condizione di Cauchy: allora, scelto = 2
k
, con k N, si ha che
k N
k
N : [a
n
a
m
[ < 2
k
n, m
k
,
e non `e restrittivo supporre che
k
>
k1
per ogni k 1: basta eventualmen-
te sostituire la k-sima soglia
k
con la soglia

k
= 1 + max
j
: 0 j k.
In particolare, avremo
[a

k+1
a

k
[ < 2
k
k N.
Di conseguenza la serie

(a

h+1
a

h
) `e assolutamente convergente; pertanto
lim
k
a

k
= lim
k

0
+
k1

h=0

h+1
a

= a

0
+

h=0
(a

h+1
a

h
) = L;
153
in altre parole, la sottosuccessione a

k
, ottenuta da a
n
prendendo solo
gli indici n della forma
k
e scartando tutti gli altri, `e convergente.
Proviamo adesso che lintera successione a
n
converge a L: ssato > 0, e
scelto k in modo che risulti [a

k
L[ <

2
ed anche 2
k
<

2
, dalla condizione
di Cauchy segue che
[a
n
L[ [a
n
a

k
[ +[a

k
L[ < 2
k
+

2
<

2
+

2
= n >
k
,
da cui la tesi.
Osservazioni 2.6.3 (1) Nel caso di una serie

a
n
di numeri reali o com-
plessi, la condizione di Cauchy si applica alle sue somme parziali ed equivale,
per quanto visto, alla convergenza della serie. Essa ha la forma
> 0 N : [s
n
s
m
[ =

k=m+1
a
k

< n > m ,
ovvero
> 0 N :

m+p

k=m+1
a
k

< m , p N
+
.
(2) Lequivalenza tra la condizione di Cauchy e la convergenza `e una pro-
priet`a legata allinsieme ambiente: `e vera per successioni in R o in C, ma
non `e vera in generale. Ad esempio, se ci limitiamo allambiente dei numeri
razionali, ci sono successioni a
n
Q le quali sono di Cauchy, ma non con-
vergono in Q. (Naturalmente ci`o non toglie che esse abbiano limite in R!)
Un facile esempio `e la successione

1 +
1
n

n
, che converge al numero reale e,
il quale non `e razionale (esercizio 2.3.1).
Esercizi 2.6
1. Si provi che ogni successione di Cauchy `e limitata, ma che il viceversa
`e falso.
2. Si provi che se una successione di Cauchy ha una sottosuccessione con-
vergente ad un certo valore L C, allora lintera successione ha limite
L.
154
3. Data una successione reale a
n
, per ogni k N poniamo L
k
=
sup
nk
a
n
e
k
= inf
nk
a
n
. Provare che:
(i) L
k

kN
`e decrescente,
k

kN
`e crescente, e
h
L
k
+
per ogni h, k N.
(ii) Posto L = lim
k
L
k
e = lim
k

k
, si ha L +;
i numeri L e sono chiamati massimo limite e minimo limite della
successione a
n
; si scrive L = maxlim
n
a
n
e = minlim
n
a
n
,
o anche L = limsup
n
a
n
e = liminf
n
a
n
.
(iii) Si ha L = se e solo se esiste = lim
n
a
n
, e in tal caso
= L = ;
(iv) limsup
n
a
n
= r R se e solo se
(a) per ogni > 0 esiste N tale che a
n
< r + per ogni n ,
(b) per ogni > 0 si ha r < a
n
per inniti numeri n N.
(v) liminf
n
a
n
= R se e solo se
(a) per ogni > 0 esiste N tale che a
n
> per ogni n ,
(b) per ogni > 0 si ha + > a
n
per inniti numeri n N.
4. Provare che da ogni successione reale a
n
si possono estrarre due sotto-
successioni che tendono rispettivamente al massimo limite e al minimo
limite di a
n
.
2.7 Serie di potenze
Una serie di potenze `e una serie della forma

n=0
a
n
z
n
,
ove a
n
`e una arbitraria successione reale o complessa (ssata) e z `e un
parametro complesso (variabile). Quindi per ogni scelta di z C si ha una
serie numerica che potr`a convergere oppure no; la somma della serie sar`a
dunque una funzione di z, denita sullinsieme dei numeri z tali che la serie
`e convergente. Le somme parziali
s
n
(z) =
n

k=0
a
k
z
k
155
sono quindi polinomi nella variabile z (cio`e combinazioni lineari nite di
monomi, vale a dire di potenze di z). I numeri a
k
si dicono coecienti della
serie di potenze.
Osservazione 2.7.1 Quando z = 0, il primo termine della serie di potenze,
a
0
0
0
, non ha senso; per z = 0 esso `e a
0
1 = a
0
. Allora conveniamo di porre
a
0
z
0
= a
0
anche quando z = 0; avremo quindi, per denizione,

n=0
a
n
z
n
= a
0
+ a
1
z + a
2
z
2
+ . . . + a
n
z
n
+ . . . z C.
Chiaramente allora ogni serie di potenze converge quando z = 0, con somma
a
0
. Il nostro obiettivo `e trovare condizioni che implichino la convergenza
della serie di potenze in altri punti z = 0, e caratterizzare linsieme di tali z.
Osservazione 2.7.2 Pi` u in generale si possono considerare serie di potenze
della forma

n=0
a
n
(z z
0
)
n
,
con z
0
C ssato; ma con il cambiamento di variabile y = z z
0
ci si
riconduce immediatamente al caso in cui z
0
= 0, e quindi basta considerare
questo caso.
Lambito naturale delle serie di potenze `e il campo complesso; ci`o non toglie
che talvolta sia interessante considerare serie di potenze reali, cio`e di variabile
reale: per queste ultime verr`a usata la variabile x al posto della z, scrivendole
nella forma

n=0
a
n
x
n
.
Esempi 2.7.3 (1) La serie geometrica

n=0
z
n
`e una serie di potenze (ove
a
n
= 1 per ogni n N) che converge assolutamente per [z[ < 1 con somma
1
1z
e non converge per [z[ 1.
(2) Ogni polinomio

N
n=0
a
n
z
n
`e una serie di potenze in cui a
n
= 0 per ogni
n > N, e ovviamente tale serie converge per ogni z C.
(3) La serie esponenziale

n=0
z
n
n!
converge assolutamente per ogni z C
grazie al criterio del rapporto; calcoleremo la sua somma fra breve.
(4) La serie

n=0
n!z
n
converge per z = 0 e non converge per alcun z
C ` 0.
156
(5) La serie

n=1
z
n
n
converge per tutti gli z C tali che [z[ 1 e z = 1,
mentre non converge per z = 1 e per [z[ > 1 (esempio 2.5.5 (6)).
Vediamo qualche criterio di convergenza.
Proposizione 2.7.4 Se i termini a
n
z
n
di una serie di potenze sono limitati
per [z[ = R, ossia esiste K > 0 per cui risulta
[a
n
[R
n
K n N,
allora

a
n
z
n
`e assolutamente convergente in ogni punto z C con [z[ < R.
Dimostrazione Se [z[ < R possiamo scrivere
[a
n
z
n
[ = [a
n
[R
n

[z[
R

n
K

z
R

n
n N,
da cui la tesi per confronto con la serie geometrica di ragione
|z|
R
< 1.
Corollario 2.7.5 Se una serie di po-
tenze

n=0
a
n
z
n
converge in un pun-
to z
1
C ` 0, essa converge asso-
lutamente in ogni punto z C con
[z[ < [z
1
[; se la serie non converge in
un punto z
2
C, essa non converge (ed
anzi la serie dei moduli diverge a +)
in ogni z C con [z[ > [z
2
[.
Dimostrazione La prima parte dellenunciato segue dalla proposizione pre-
cedente, perche, per ipotesi, la successione a
n
z
n
1
`e innitesima e quindi limi-
tata. Se poi la serie convergesse in un punto z con [z[ > [z
2
[, per la parte gi`a
dimostrata avremmo la convergenza assoluta nel punto z
2
, il che `e assurdo.
Esempi 2.7.6 (1) I termini della serie di potenze

n=0
n1
n+1
z
n
sono limitati
per [z[ = 1. Quindi la serie converge assolutamente per [z[ < 1. Daltra
parte essa non pu`o convergere per [z[ 1 perche il termine generale non `e
innitesimo.
157
(2) La serie

n=0
nz
n
, pur non avendo i termini limitati per [z[ = 1, `e
assolutamente convergente per [z[ < 1, come mostra il criterio del rapporto,
mentre non converge per [z[ 1.
I risultati e gli esempi precedenti fanno pensare che linsieme dei numeri
z C tali che la serie

a
n
z
n
`e convergente somigli ad un cerchio di centro
lorigine, e motivano la seguente
Denizione 2.7.7 Il raggio di convergenza di una serie di potenze

a
n
z
n
`e il numero (appartenente a [0, +])
R = sup

[z[ : z C e

n=0
a
n
z
n
`e convergente

.
Il cerchio di convergenza della serie `e il cerchio di centro 0 e raggio pari al
raggio di convergenza:
B
R
= z C : [z[ < R.
Si noti che B

= C e B
0
= . Se la serie `e reale, si parla di intervallo di
convergenza ] R, R[; risulta ovviamente ] R, R[= B
R
R.
Teorema 2.7.8 Sia R il raggio di convergenza della serie di potenze

a
n
z
n
.
Allora:
(i) se R = 0, la serie converge solo per z = 0;
(ii) se R = +, la serie converge assolutamente per ogni z C;
(iii) se 0 < R < +, la serie converge assolutamente per ogni z B
R
e
non converge per ogni z C con [z[ > R;
(iv) nulla si pu`o dire in generale sulla convergenza della serie nei punti
z C con [z[ = R.
Dim (i) Se la serie convergesse in z = 0 avremmo R = 0 < [z[, contro la
denizione di raggio di convergenza.
(ii) Sia
A =

[z[ : z C e

n=0
a
n
z
n
`e convergente

,
158
cosicche sup A = R = +. Sia z C; poiche [z[ non `e un maggiorante di A,
esiste z
1
C tale che [z
1
[ > [z[ e [z
1
[ A, ossia

a
n
z
n
1
`e convergente. Dal
corollario 2.7.5 segue che

[a
n
z
n
[ `e convergente, cio`e la tesi.
(iii) Sia A denito come prima. Fissiamo z C con [z[ < R; poiche [z[ non
`e un maggiorante di A, esiste z
1
C tale che [z[ < [z
1
[ < R e [z
1
[ A, ossia

a
n
z
n
1
`e convergente. Dal corollario 2.7.5 segue che

[a
n
z
n
[ `e convergente.
Fissiamo ora z C con [z[ > R: se la serie convergesse nel punto z, avremmo
z A e quindi [z[ R, il che `e assurdo.
(iv) Lultima aermazione `e provata dai seguenti esempi: le tre serie

n=0
z
n
,

n=1
z
n
n
2
,

n=1
z
n
n
hanno tutte raggio di convergenza 1; tuttavia:


z
n
non converge in alcun punto z C con [z[ = 1,


z
n
n
2
converge assolutamente in tutti gli z C con [z[ = 1,


z
n
n
converge (non assolutamente) in ogni z C con [z[ = 1, salvo
che in z = 1 (esempio 2.5.5 (6)).
Come si determina il raggio di convergenza di una serie di potenze? Spesso
`e utile il seguente criterio:
Proposizione 2.7.9 Sia

a
n
z
n
una serie di potenze. Se esiste il limite
lim
n
n

[a
n
[ = L,
allora il raggio di convergenza della serie `e
R =

+ se L = 0
1/L se 0 < L <
0 se L = +.
Dimostrazione Sia, al solito, A = [z[ : z C e

a
n
z
n
`e convergente.
Utilizziamo il criterio della radice: per n si ha
n

[a
n
z
n
[ =
n

[a
n
[[z[ L[z[.
159
Dunque se L = 0 la serie `e assolutamente convergente per ogni z C, cio`e
A = [0, +[ e pertanto R = +. Se L = +, la serie non converge per
nessun z C ` 0, quindi A = 0 e R = 0. Se 0 < L < +, la serie `e
assolutamente convergente per gli z C tali che [z[ <
1
L
, mentre non converge
per gli z C tali che [z[ >
1
L
; la prima asserzione dice che [0, 1/L[ A,
la seconda dice che A]1/L, [= . Perci`o [0, 1/L[ A [0, 1/L], ossia
R = 1/L.
La pi` u generale versione della proposizione 2.7.9 `e esposta nellesercizio 2.7.1.
Esempi 2.7.10 (1) La serie

z
n
ha raggio di convergenza 1 qualunque
sia R: infatti
lim
n
n

= 1 R.
(2) Se b > 0, la serie

(bz)
n
ha raggio di convergenza 1/b: infatti ovviamente
lim
n
n

b
n
= b.
(3) Per calcolare il raggio di convergenza della serie

(nz)
n
n!
il criterio prece-
dente `e poco utile, perche richiede di calcolare il non facile limite
lim
n
n

n
n
n!
= lim
n
n
n

n!
.
Utilizziamo invece il criterio del rapporto: dato che (denizione 2.3.6)
lim
n
n! (n + 1)
n+1
[z[
n+1
(n + 1)! n
n
[z[
n
= lim
n

n + 1
n

n
[z[ = e[z[,
avremo che la serie converge assolutamente per tutti gli z C per cui ri-
sulta e[z[ < 1, mentre non potr`a convergere, essendo il suo termine generale
denitivamente crescente in modulo, per gli z C tali che e[z[ > 1. Se ne
deduce che R = 1/e.
Si noti che dalla relazione
lim
n
n! (n + 1)
n+1
(n + 1)! n
n
= e
e dallesercizio 2.4.12 segue che
n
n

n!
e, ossia
lim
n
n

n!
n
=
1
e
:
si confronti questo risultato con la stima dellesercizio 1.6.16.
160
La serie esponenziale
Come sappiamo, la serie esponenziale

n=0
z
n
n!
converge assolutamente in
ogni punto z C; ci proponiamo di calcolarne la somma. Ricordiamo che se
z = 1 la somma della serie `e, per denizione, il numero e.
Teorema 2.7.11 Per ogni z = x + iy C si ha:
lim
n

1 +
z
n

n
=

n=0
z
n
n!
= e
x
(cos y + i sin y).
In particolare risulta
cos y =

h=0
(1)
h
y
2h
(2h)!
, sin y =

h=0
(1)
h
y
2h+1
(2h + 1)!
y R.
Dimostrazione Fissiamo z = x + iy C. Possiamo scrivere

1 +
z
n

n
=

1 +
x
n
+ i
y
n

n
=
=

1 +
x
n

1 + i
y
n
1 +
x
n

n
=

1 +
x
n

1 + i
y
n + x

n
.
1
o
passo: calcoliamo il limite della successione reale

1 +
x
n

n
per un
arbitrario x R.
Come sappiamo, tale successione `e sicuramente crescente non appena n >
[x[ (esempio 1.8.3 (2)).
`
E chiaro che se x = 0 la successione ha limite 1.
Supponiamo x > 0 e poniamo
k
n
=

n
x

, n N;
chiaramente k
n
k
n+1
e k
n
+ per n . Possiamo scrivere

1 +
x
n

n
=

1 +
1
n/x

n/x

x
,
e osservando che k
n
n/x < k
n
+ 1, deduciamo

1 +
1
k
n
+ 1

kn
<

1 +
1
n/x

n/x
<

1 +
1
k
n

kn+1
n N.
161
Per il teorema dei carabinieri, ricaviamo
lim
n

1 +
1
n/x

n/x
= e;
dallesercizio 2.1.24 segue allora
lim
n

1 +
1
n/x

n/x

x
= e
x
x > 0.
Sia ora x < 0. Possiamo scrivere

1 +
x
n

n
=

1
1
n/[x[

n/|x|

|x|
,
e ponendo stavolta k
n
=

n
|x|

si ha

1
1
k
n

kn+1
<

1
1
n/[x[

n/|x|
<

1
1
k
n
+ 1

kn
n N,
da cui
lim
n

1
1
n/[x[

n
=
1
e
e, per lesercizio 2.1.24,
lim
n

1
1
n/[x[

n/|x|

|x|
=

1
e

|x|
= e
x
x < 0.
In denitiva
lim
n

1 +
x
n

n
= e
x
x R.
2
o
passo: calcoliamo il limite della successione complessa
b
n
=

1 + i
y
n + x

n
.
Poniamo
c
n
= 1 + i
y
n + x
= [c
n
[(cos
n
+ i sin
n
)
162
ove
n
] /2, /2[ dato che la parte reale di c
n
`e positiva. Allora dalla
formula di de Moivre (paragrafo 1.12) si ottiene
b
n
= [c
n
[
n
(cos n
n
+ i sin n
n
).
Valutiamo il modulo di b
n
, cio`e [c
n
[
n
: si ha per n sucientemente grande (in
modo che n + x n/2)
1 [b
n
[ =

1 +
y
2
(n + x)
2
n
2

1 +
y
2
(n/2)
2
n
2
=

1 +
4y
2
n
2

n
2
1
2n

e
4y
2
1
2n
,
e per il teorema dei carabinieri
lim
n
[c
n
[
n
= 1.
Valutiamo ora largomento di b
n
, cio`e n
n
: anzitutto, dato che
[c
n
[ cos
n
= 1, [c
n
[ sin
n
=
y
n + x
,
si ha tan
n
=
y
n+x
0 per n .
Notiamo adesso che dalla proposizione 1.12.18 segue che
cos x
[ sin x[
[x[
1 x ] /2, /2[`0;
inoltre ricordiamo che (esercizio 1.12.9)
[ cos x 1[ [x[ x R.
Dal fatto che tan
n
`e innitesima si ricava allora

n
0, cos
n
1,

n
tan
n
1 per n ,
e di conseguenza
n
n
= (ntan
n
)

n
tan
n
=
ny
n + x


n
tan
n
y per n ,
163
da cui nalmente
cos n
n
+ i sin n
n
cos y + i sin y per n .
Pertanto si conclude che
lim
n
b
n
= lim
n
[c
n
[
n
(cos n
n
+ i sin n
n
) = cos y + i sin y.
Dai primi due passi della dimostrazione deduciamo che
lim
n

1 +
z
n

n
= e
x
(cos y + i sin y).
3
o
passo: mostriamo che la somma della serie

n=0
z
n
n!
coincide col prece-
dente limite.
Ripeteremo, con qualche modica, la dimostrazione della proposizione 2.3.5.
Fissiamo m N: allora si ha
lim
n
1
n
k

n
k

= lim
n
n(n 1) . . . (n k + 1)
n
k
k!
=
1
k!
per k = 0, 1, 2, . . . , m.
Quindi se z C possiamo scrivere
m

k=0
z
k
k!
= lim
n
m

k=0

n
k

z
k
n
k
m N.
Daltra parte se n > m si ha, per la formula del binomio (teorema 1.7.1)
m

k=0

n
k

z
k
n
k
=
n

k=0

n
k

z
k
n
k

n

k=m+1

n
k

z
k
n
k
=

1 +
z
n

k=m+1

n
k

z
k
n
k
,
quindi per n > m si deduce

k=0

n
k

z
k
n
k

1 +
z
n

k=m+1

n
k

z
k
n
k

k=m+1

n
k

[z[
k
n
k
=
n

k=m+1
[z[
k
k!
n
n

n 1
n
. . .
n k + 1
n

k=m+1
[z[
k
k!
;
164
pertanto quando n segue che

k=0
z
k
k!
lim
n

1 +
z
n

lim
n
m

k=0

n
k

z
k
n
k
lim
n

1 +
z
n

=
= lim
n

k=0

n
k

z
k
n
k

1 +
z
n

k=m+1
[z[
k
k!
m N
+
.
Adesso facciamo tendere anche m a +: tenuto conto dellosservazione 2.2.7,
si ottiene

k=0
z
k
k!
lim
n

1 +
z
n

lim
m

k=m+1
[z[
k
k!
= 0,
cio`e la tesi del 3
o
passo. Il teorema `e completamente dimostrato.
La funzione complessa z = x + iy e
x
(cos y + i sin y) `e una estensione a C
della funzione esponenziale reale e
x
. Essa si chiama esponenziale complessa
e si indica con e
z
. Dunque, per denizione e per quanto dimostrato,
e
z
= e
Rez
(cos Imz + i sin Imz) =

n=0
z
n
n!
= lim
n

1 +
z
n

n
z C.
In particolare, scegliendo z = iy immaginario puro, si ha la formula di Eulero
e
iy
= cos y + i sin y y R,
ed anche
e
iy
=

n=0
i
n
y
n
n!
= lim
N
2N

n=0
i
n
y
n
n!
y R;
poiche i
2h
= (1)
h
e i
2h+1
= i(1)
h
, decomponendo la somma in indici pari
ed indici dispari si trova
e
iy
= lim
N

h=0
(1)
h
y
2h
(2h)!
+ i
N1

h=0
(1)
h
y
2h+1
(2h + 1)!

,
e dato che le somme parziali a secondo membro si riferiscono a due serie che
sono entrambe assolutamente convergenti per ogni y R, si deduce
cos y + i sin y =

h=0
(1)
h
y
2h
(2h)!
+ i

h=0
(1)
h
y
2h+1
(2h + 1)!
y R.
165
Inne, uguagliando fra loro parti reali e parti immaginarie, si ottengono gli
sviluppi in serie per le funzioni seno e coseno:
cos y =

h=0
(1)
h
y
2h
(2h)!
y R,
sin y =

h=0
(1)
h
y
2h+1
(2h + 1)!
y R.
Il teorema `e completamente dimostrato.
Esercizi 2.7
1. Sia

a
n
z
n
una serie di potenze. Si provi che, posto
L = limsup
n
n

[a
n
[
(si veda lesercizio 2.6.3, il raggio di convergenza R della serie `e dato
da
R =

+ se L = 0
1/L se 0 < L <
0 se L = +.
2. Determinare il raggio di convergenza delle seguenti serie di potenze:
(i)

n=0
z
n!
, (ii)

n=0
z
n
n + 2
n
, (iii)

n=0

i
2 + i

n
z
n
,
(iv)

n=0
2
n
2
z
n
, (v)

n=1
3
n
7
n
4
n
3
n
z
n
, (vi)

n=0

n
2n + 1

2n1
z
n
,
(vii)

n=1
z
n
n
n
n
, (viii)

n=0
3

n
z
n
, (ix)

n=0
[(2)
n
+ 1]z
n
,
(x)

n=0
n!
n
n
z
n
, (xi)

n=0
(n!)
2
(2n)!
z
n
2
, (xii)

n=1
(2n 1) . . . 3 1
2n . . . 4 2
z
n
.
166
3. Dimostrare le seguenti uguaglianze, specicando per quali z C sono
vere:
(i)

n=0
(1)
n
z
n
=
1
1 + z
; (ii)

n=0
z
2n
=
1
1 z
2
;
(iii)

n=0
(1)
n
z
2n
=
1
1 + z
2
; (iv)

n=1
i
n
z
2n
=
iz
2
1 iz
2
.
4. Sia

a
n
una serie convergente: si provi che il raggio di convergenza
della serie di potenze

a
n
z
n
`e non inferiore a 1.
5. (i) Trovare il raggio di convergenza R della serie

n=0
(n + 1)z
2n
.
(ii) Posto R
n
(z) =

k=n
(k + 1)z
2k
, si verichi che
(1 z
2
)R
n
(z) = nz
2n
+
z
2n
1 z
2
z C con [z[ < R.
(iii) Si calcoli per [z[ < R la somma della serie.
6. (i) Determinare il raggio di convergenza R della serie di potenze

n=1
1
n
3 5 7 . . . (4n 1) (4n + 1)
4
2
8
2
. . . (4n 4)
2
(4n)
2
x
n
;
(ii) vericare che
1
n

3(4n + 1)
4(4n)
< a
n
<
1
n
n N
+
;
(iii) descrivere il comportamento della serie nei punti x = R e x = R.
7. Sia F
n
la successione dei numeri di Fibonacci (esercizio 2.3.13).
(i) Determinare il raggio di convergenza R della serie

n=0
F
n
z
n
.
(ii) Detta S(z) la somma della serie, provare che (1 z z
2
)S(z) = z,
ossia
S(z) =
z
1 z z
2
z C con [z[ < R.
167
8. Trovare due serie di potenze nella variabile z che abbiano come som-
me, nei rispettivi cerchi di convergenza di cui si troveranno i raggi, le
funzioni
F(z) =
1
z
2
+ 4z + 3
, G(z) =
1
z
2
+ z + 1
.
9. Sia R il raggio di convergenza di

n=0
a
n
z
n
: provare che anche le serie

n=1
1
n
a
n
z
n
,

n=0
na
n
z
n
,

n=0
a
n+m
z
n
(con m N ssato)
hanno raggio di convergenza R.
10. Trovare il raggio di convergenza della serie

a
n
z
n
, ove a
n
`e data da

a
0
= 1/2
a
n+1
= a
n
(1 a
n
) n N.
11. Le funzioni coseno iperbolico e
seno iperbolico sono denite da
cosh x =
e
x
+ e
x
2
, x R,
sinh x =
e
x
e
x
2
, x R.
Provare che
cosh x =

n=0
x
2n
(2n)!
x R,
sinh x =

n=0
x
2n+1
(2n + 1)!
x R.
168
12. Si provino le seguenti relazioni che legano fra
loro le funzioni iperboliche sinh x e cosh x, e che
sono valide per ogni x, y R:
(i) cosh
2
x sinh
2
x = 1;
(ii) cosh(x + y) = cosh x cosh y + sinh x sinh y,
(iii) sinh(x + y) = sinh x cosh y + cosh x sinh y.
13. Calcolare la somma delle seguenti serie, specicando per quali z C
esse sono convergenti:
(i)

n=0
(1)
n
z
2n
n!
, (ii)

n=0
z
3n+2
n!
, (iii)

n=1
z
n1
(n + 1)!
.
14. Calcolare la somma delle seguenti serie, specicando per quali x R
esse sono convergenti:
(i)

n=0
(1)
n
x
n
(2n)!
, (ii)

n=0
(1)
n
x
4n
(2n + 1)!
, (iii)

n=2
x
3n
(2n 3)!
.
15. Siano , R. Si provi che se x ] 1, 1[ si ha

n=0
x
n
cos( + n) =
cos x cos( )
1 2x cos + x
2
,

n=0
x
n
sin( + n) =
sin x sin( )
1 2x cos + x
2
.
169
16. Calcolare la somma delle seguenti serie, ove , R:
(i)

n=0
cos( + n)
n!
, (ii)

n=0
sin( + n)
n!
,
(iii)

n=0
(1)
n
cos( + n)
(2n)!
, (iv)

n=0
(1)
n
sin( + n)
(2n)!
,
(v)

n=0
cos( + n)
(2n + 1)!
, (vi)

n=0
sin( + n)
(2n + 1)!
,
(vii)

n=0
(5i)
n
cos( 3n)
(2n + 2)!
, (viii)

n=0
(5i)
n
sin( 3n)
(2n + 2)!
.
17. Determinare la parte reale e la parte immaginaria dei seguenti numeri:
e
1i
, e
32i
, e
(1+i)
4
, ie
|1+2i|
, e
i(i1)
.
18. Determinare il luogo dei punti z C in cui ciascuna delle due funzioni
f(z) = e
z
, g(z) = e
z
2
assume valori reali, ed il luogo ove ciascuna assume valori puramente
immaginari.
19. Determinare il luogo dei punti z C in cui ciascuna delle due funzioni
g(z) = e
z
2
, h(z) = e
z
3
ha modulo unitario.
20. Fissato k N
+
, si consideri la serie

n=0
e
2in/k
z
n+1+(1)
n
e se ne determini linsieme di convergenza. Qual`e la somma?
170
2.8 Riordinamento dei termini di una serie
Cosa succede se si modica lordine degli addendi di una serie? Le propriet`a
di convergenza si mantengono o si alterano?
Intanto bisogna intendersi sul signicato di questa operazione: ad esempio,
sommare i termini in ordine inverso ha senso solo per somme nite. Andia-
mo allora a chiarire con una denizione ci`o che intendiamo quando parliamo
di riordinamento dei termini di una serie.
Denizione 2.8.1 a termini reali o complessi, e sia : N N una funzione
bigettiva, cio`e sia iniettiva che surgettiva: in altre parole, per ogni k N
esiste uno ed un solo n N tale che (n) = k. Posto b
n
= a
(n)
per ogni
n N, la serie

n=0
b
n
si dice riordinamento della serie

n=0
a
n
.
Osservazioni 2.8.2 (1) Nella serie

n=0
b
n
ciascun termine a
k
compare
esattamente una volta, e cio`e quando n =
1
(k), ossia quando n assume
lunico valore n
k
N tale che (n
k
) = k. Quindi

n=0
b
n
ha esattamente
gli stessi addendi di

k=0
a
k
.
(2) Se

n=0
b
n
`e un riordinamento di

n=0
a
n
(costruito mediante la cor-
rispondenza biunivoca ), allora, viceversa,

n=0
a
n
`e un riordinamento di

n=0
b
n
(mediante la corrispondenza biunivoca
1
, inversa di ).
Il risultato che segue risponde alla domanda iniziale.
Teorema 2.8.3 (di Dirichlet) Sia

a
n
una serie reale o complessa asso-
lutamente convergente. Allora ogni suo riordinamento

b
n
`e assolutamente
convergente ed ha la stessa somma:

n=0
a
n
=

n=0
b
n
.
Se

a
n
non `e assolutamente convergente, allora nessun riordinamento lo `e.
Si osservi che, di conseguenza, per ogni serie

a
n
e per ogni suo riordina-
mento

b
n
si ha

n=0
[a
n
[ =

n=0
[b
n
[
(questo valore potr`a essere nito o +).
171
Dimostrazione Con le stesse considerazioni fatte alla ne della dimostra-
zione della proposizione 2.5.2, si verica che possiamo limitarci al caso di
serie a termini reali. Supponiamo dapprima a
n
0 per ogni n N, e siano
S =

n=0
a
n
, s
n
=
n

k=0
a
k
,
n
=
n

k=0
b
k
.
Per ipotesi, si ha s
n
S per ogni n N; inoltre, posto
m
n
= max(0), (1), . . . , (n),
si ha

n
=
n

k=0
a
(k)

mn

h=0
a
h
= s
mn
S n N,
cosicche

b
n
`e convergente ed ha somma non superiore a S. Daltra par-
te, essendo

a
n
a sua volta un riordinamento di

b
n
, con ragionamento
simmetrico si ha che
S

n=0
b
n
,
e dunque si ha luguaglianza.
Passiamo ora al caso generale: come si `e fatto nella dimostrazione della
proposizione 2.5.2, poniamo

n
= [a
n
[ a
n
,
n
= [b
n
[ b
n
n N,
cosicche
0
n
2[a
n
[, 0
n
2[b
n
[ n N.
La serie

n
`e a termini positivi e converge per il criterio del confronto;
dunque, per la parte gi`a dimostrata, il suo riordinamento

n
`e convergente
e si ha luguaglianza

n=0

n
=

n=0

n
.
Inoltre, sempre in virt` u della parte gi`a dimostrata, poiche la serie

[a
n
[ `e
convergente, il suo riordinamento

[b
n
[ `e convergente e

n=0
[a
n
[ =

n=0
[b
n
[,
172
cosicche

b
n
`e assolutamente convergente. Ne segue

n=0
b
n
=

n=0
[b
n
[

n=0

n
=

n=0
[a
n
[

n=0

n
=

n=0
a
n
.
Notiamo inne che se

a
n
non `e assolutamente convergente, non pu`o esserlo
nemmeno

b
n
, perche se fosse

[b
n
[ < +, per la parte gi`a dimostrata
dedurremmo

[a
n
[ =

[b
n
[ < +, essendo

a
n
un riordinamento di

b
n
.
Osservazione 2.8.4 Per le serie

a
n
assolutamente convergenti si ha una
propriet`a di riordinamento ancora pi` u forte di quella espressa dal teorema di
Dirichlet: se A e B sono sottoinsiemi disgiunti di N, la cui unione `e tutto N,
allora

n=0
a
n
=

nA
a
n
+

nB
a
n
(esercizio 2.8.1). Si noti che questa propriet`a non pu`o valere senza lipotesi
di assoluta convergenza: se A `e linsieme dei numeri naturali pari e B quello
dei numeri naturali dispari, la serie

n=0
(1)
n
n+1
si decomporrebbe in due serie
divergenti a + ed a , la cui addizione non avrebbe senso.
Se una serie

a
n
`e convergente, ma non assolutamente convergente, lope-
razione di riordinamento pu`o alterare il valore della somma, come `e mostrato
dal seguente
Esempio 2.8.5 La serie

n=0
(1)
n
n+1
`e convergente ad un numero reale S
(che `e uguale a log 2, come vedremo pi` u avanti), ma non `e assolutamente
convergente. Si ha quindi
1
1
2
+
1
3

1
4
+
1
5

1
6
+
1
7

1
8
+ . . . = S,
e dividendo per 2
1
2

1
4
+
1
6

1
8
+
1
10

1
12
+
1
14

1
16
+ . . . =
S
2
.
Consideriamo ora la serie

n=0
c
n
= 0 +
1
2
+ 0
1
4
+ 0 +
1
6
+ 0
1
8
+ 0 +. . . ;
173
il suo termine generale `e dunque
c
n
=

0 se n `e pari

(1)
(n+1)/2
n + 1
se n `e dispari
.
Tale serie `e convergente con somma S/2, in quanto le sue somme parziali di
indice 2N + 1 coincidono con quelle di indice N della serie
1
2

(1)
n
n+1
: ossia
0 +
1
2
+ 0
1
4
+ 0 +
1
6
+ 0
1
8
+ 0 +
1
10
+ 0
1
12
+ 0 +. . . =
S
2
.
Sommando ora questa serie con la serie

n=0
(1)
n
n+1
si trova
(0 + 1) +

1
2

1
2

0 +
1
3

1
4

1
4

0 +
1
5

+
+

1
6

1
6

0 +
1
7

1
8

1
8

+ . . . =

S
2
+ S

,
ovvero
1 + 0 +
1
3

1
2
+
1
5
+ 0 +
1
7

1
4
+
1
9
+ 0 +
1
11

1
6
+
1
13
+ 0 +. . . =
3S
2
.
Adesso notiamo che la serie

b
n
che si ottiene da questa sopprimendo i
termini nulli (che sono quelli di indici 1, 5, 9, . . . , 4n + 1, . . . ) converge alla
stessa somma
3S
2
: infatti, le sue somme parziali di indice 3N + 1 coincidono
con le somme parziali di indice 4N +1 della serie contenente anche i termini
nulli. Tuttavia la serie

b
n
, cio`e
1 +
1
3

1
2
+
1
5
+
1
7

1
4
+
1
9
+
1
11

1
6
+
1
13
+ . . . ,
`e evidentemente un riordinamento della serie

n=0
(1)
n
n+1
, che convergeva a
S. Non `e dicile vericare che la corrispondenza biunivoca fra gli indici
delle due serie `e data da

(3n) = 4n
(3n + 1) = 4n + 2
(3n + 2) = 2n + 1
n N.
Per le serie non assolutamente convergenti vale questo risultato ancora pi` u
drastico:
174
Teorema 2.8.6 (di Riemann) Sia

a
n
una serie reale convergente, ma
non assolutamente convergente. Allora:
(i) per ogni L R esiste un riordinamento di

a
n
che ha somma L;
(ii) esiste un riordinamento di

a
n
che diverge positivamente;
(iii) esiste un riordinamento di

a
n
che diverge negativamente;
(iv) esiste un riordinamento di

a
n
che `e indeterminato.
Dimostrazione (i) Osserviamo anzitutto che la serie

a
n
contiene inniti
termini strettamente positivi e inniti termini strettamente negativi, altri-
menti essa avrebbe termini denitivamente a segno costante e quindi, essendo
convergente, sarebbe anche assolutamente convergente. Poniamo
p
n
= maxa
n
, 0, q
n
= maxa
n
, 0 n N,
cosicche
p
n
0, q
n
0, p
n
q
n
= a
n
, p
n
+ q
n
= [a
n
[ n N;
inoltre a
n
coincide o con p
n
(e allora q
n
= 0), o con q
n
(e allora p
n
= 0).
Essendo in particolare
N

n=0
a
n
=
N

n=0
p
n

n=0
q
n
,
N

n=0
[a
n
[ =
N

n=0
p
n
+
N

n=0
q
n
N N,
dallipotesi sulla serie

a
n
si deduce

n=0
p
n
=

n=0
q
n
= +
(altrimenti, se entrambe queste due serie fossero convergenti, otterremmo che

[a
n
[ converge, mentre se convergesse solo una delle due otterremmo che

a
n
diverge).
Daltra parte, essendo 0 p
n
[a
n
[ e 0 q
n
[a
n
[ per ogni n N, si ha
anche
lim
n
p
n
= lim
n
q
n
= 0.
Ci` o premesso, ssiamo L R. Costruiremo adesso una serie, che si otterr`a
riordinando i termini di

a
n
, e che soddisfer`a la tesi: essa sar`a formata da
175
un certo numero di p
n
, seguiti da un certo numero di q
n
, poi ancora da un
po di p
n
, poi di nuovo da un po di q
n
, e cos` di seguito, in modo da oscil-
lare attorno al valore L prescelto. A questo scopo andiamo a costruire due
opportune successioni crescenti di indici, m
n

nN
+ e k
n

nN
+, e formiamo
la serie
m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+
m
2

n=m
1
+1
p
n

k
2

n=k
1
+1
q
n
+ . . . +
m
h

m
h1
+1
p
n

k
h

n=k
h1
+1
q
n
+ . . . ;
denoteremo con s
n
la sua n-sima somma parziale.
Fissiamo due successioni
n
e
n
, entrambe convergenti a L e tali che

n
< L <
n
: ad esempio prenderemo senzaltro
n
= L
1
n
e
n
= L +
1
n
.
Deniamo adesso gli indici m
n
e k
n
: m
1
`e il minimo numero naturale m
per cui

m
n=0
p
n
> L + 1, mentre k
1
`e il minimo numero naturale k per cui

m
1
n=0
p
n

k
n=0
q
n
< L 1. Questi indici esistono per la divergenza delle
serie

p
n
e

q
n
. In generale, avendo costruito m
h
e k
h
come i minimi indici
maggiori rispettivamente di m
h1
e k
h1
tali che

m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+ . . . +
m
h

m
h1
+1
p
n
> L +
1
h
,
m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+ . . . +
m
h

m
h1
+1
p
n

k
h

n=k
h1
+1
q
n
< L
1
h
,
deniremo m
h+1
e k
h+1
come i minimi indici maggiori rispettivamente di m
h
e k
h
tali che

m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+ . . . +
m
h+1

m
h
+1
p
n
> L +
1
h + 1
,
m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+ . . . +
m
h+1

m
h
+1
p
n

k
h+1

n=k
h
+1
q
n
< L
1
h + 1
.
Nuovamente, tali indici esistono in virt` u della divergenza di

p
n
e

q
n
.
Indichiamo con
n
e
n
le somme parziali della serie cos` costruita, cio`e s
n
,
i cui ultimi termini sono rispettivamente p
mn
e q
kn
: in altre parole,

n
= s
m
1
+k
1
+...+mn
,
n
= s
m
1
+k
1
+...+mn+kn
.
176
Allora otteniamo, per la minimalit`a di m
n
e k
n
,

n
p
mn
L +
1
n
<
n
,
n
< L
1
n

n
+ q
kn
,
cosicche
n
L e
n
L per n . Daltra parte, consideriamo una
generica somma parziale s
n
: esister`a un unico indice h tale che sia vera una
delle due relazioni
m
1
+ k
1
+ . . . m
h
n m
1
+ k
1
+ . . . + m
h
+ k
h
,
oppure
m
1
+ k
1
+ . . . m
h
+ k
h
n m
1
+ k
1
+ . . . + m
h
+ k
h
+ m
h+1
;
ne segue

h
s
n

h
, oppure
h
s
n

h+1
,
e dunque anche s
n
converge a L per n . Ci`o prova (i).
(ii)-(iii)-(iv) Questi enunciati si provano in modo del tutto simile: basta
scegliere le successioni
n
e
n
entrambe divergenti a +, o entrambe
divergenti a , o convergenti a due valori L
1
e L
2
con L
1
< L
2
.
Raggruppamento dei termini di una serie
Vale la propriet`a associativa per i termini di una serie? Si possono mettere
le parentesi per racchiudere un numero nito di addendi, senza alterare la
somma? Vediamo.
Denizione 2.8.7 Sia

n=0
a
n
una serie reale o complessa. Sia inoltre
k
n
una successione strettamente crescente di numeri naturali. Posto
b
0
=
k
0

h=0
a
h
, b
n
=
kn

h=k
n1
+1
a
h
n N
+
,
si dice che la serie

b
n
`e ottenuta da

a
n
raggruppandone i termini.
Esempio 2.8.8 La serie

n=1
1
2n(2n1)
`e ottenuta da

n=1
(1)
n+1
n
raggrup-
pandone i termini a due a due: in questo caso k
n
`e denita da k
n
=
2n.
177
Il risultato che segue stabilisce che il raggruppamento dei termini di una serie
`e unoperazione del tutto lecita.
Teorema 2.8.9 Sia

a
n
una serie reale o complessa, e sia

b
n
una serie
ottenuta da

a
n
raggruppandone i termini. Se

a
n
`e convergente, allora
anche

b
n
lo `e e in tal caso le due serie hanno la stessa somma. Se

a
n
`e assolutamente convergente, allora anche

b
n
lo `e e in tal caso si ha

n=0
[b
n
[

n=0
[a
n
[.
Dimostrazione Per m, n N poniamo s
m
=

m
k=0
a
k
e
n
=

n
k=0
b
k
; si
ha allora, per denizione di b
h
,

n
= s
k
0
+
n

h=1

s
k
h
s
k
h1

= s
kn
n N.
Poiche s
n
`e per ipotesi convergente ad un numero S, dato > 0 si avr`a
[s
n
S[ < per tutti gli n maggiori di un certo . Ma allora, essendo k
n
n,
sar`a anche [
n
S[ = [s
kn
S[ < per ogni n > , cio`e
n
S per n .
Se poi

n=0
[a
n
[ < , allora a maggior ragione, per la parte gi`a dimostrata,

n=0
[b
n
[
k
0

h=0
[a
h
[ +

n=1
kn

h=k
n1
+1
[a
h
[ =

h=0
[a
h
[ < +.
Osservazioni 2.8.10 (1) Il teorema vale anche nel caso di serie reali diver-
genti (esercizio 2.8.2).
(2) Non mantiene la convergenza, al contrario, loperazione inversa al rag-
gruppamento, che consiste nelleliminare eventuali parentesi presenti: ad
esempio, la serie
(1 1) + (1 1) + (1 1) + (1 1) + . . .
converge ed ha somma 0, mentre la serie
1 1 + 1 1 + 1 1 + 1 1 + . . .
`e indeterminata. In generale, si pu`o scrivere luguaglianza

n=0
(a
n
+ b
n
) =

n=0
a
n
+

n=0
b
n
178
solo quando ciascuna delle due serie

a
n
e

b
n
`e convergente; in tal caso
luguaglianza `e conseguenza dellesercizio 2.2.1. Pi` u generalmente, si veda
lesercizio 2.8.3 .
Esercizi 2.8
1. Sia

a
n
una serie assolutamente convergente. Si provi che se A e B
sono sottoinsiemi disgiunti di N tali che A B = N, allora

n=0
a
n
=

nA
a
n
+

nB
a
n
.
2. Provare il teorema 2.8.9 nel caso di due serie reali divergenti a +
oppure divergenti a .
3. Sia

n=0
a
n
una serie reale o complessa, sia k
n
N una successione
strettamente crescente e siano
b
0
=
k
0

h=0
a
h
, b
n
=
kn

h=k
n1
+1
a
h
n N.
Si provi che se

n=0
b
n
`e convergente, e se
lim
n
kn

h=k
n1
+1
[a
h
[ = 0,
allora

n=0
a
n
`e convergente.
4. (i) Per n, k N
+
siano a
nk
numeri non negativi. Si dimostri che se

n=1

k=1
a
nk

= S,
allora si ha anche

k=1

n=1
a
nk

= S.
179
(ii) Vericare che il risultato di (i) `e falso se gli a
nk
hanno segno
variabile, utilizzando i seguenti a
nk
:
a
nk
=

1 se k = n, n N
+

2
n1
1
2
n
1
se k = n + 1, n N
+
0 altrimenti.
2.9 Moltiplicazione di serie
A prima vista il problema di moltiplicare fra loro due serie sembra irrilevante.
Fare il prodotto di due serie signica moltiplicare tra loro le successioni delle
rispettive somme parziali; se queste convergono a S
1
e S
2
, il loro prodotto
converger`a a S
1
S
2
. Dov`e il problema?
Il punto `e che noi vogliamo ottenere, come risultato del prodotto di due serie,
una nuova serie. Il motivo di questo desiderio `e legato alla teoria delle serie
di potenze: due serie di potenze hanno per somma una funzione denita
sul cerchio di convergenza di ciascuna serie; il prodotto di tali funzioni `e
una nuova funzione, denita sul pi` u piccolo dei due cerchi di convergenza, e
della quale si vorrebbe conoscere uno sviluppo in serie di potenze che ad essa
converga. Dunque si vuole trovare una serie di potenze che sia il prodotto
delle due serie di potenze date, ed abbia per somma il prodotto delle somme.
Scrivendo il prodotto di due polinomi

N
n=0
a
n
z
n
e

M
n=0
b
n
z
n
(con N M) `e
naturale raggruppare i termini con la stessa potenza z
n
: quindi si metteranno
insieme i prodotti a
0
b
n
, a
1
b
n1
, . . . , a
n1
b
1
, a
n
b
0
. Il polinomio prodotto sar`a
quindi (ponendo a
n
= 0 per n = N + 1, . . . , M)
N

n=0

k=0
a
k
b
nk

z
n
.
Passando dai polinomi alle serie di potenze o, pi` u in generale, parlando di
serie numeriche, siamo indotti alla seguente
Denizione 2.9.1 Date due serie

n=0
a
n
e

n=0
b
n
reali o complesse, la
serie

n=0
c
n
, ove
c
n
=
n

k=0
a
k
b
nk
n N,
si dice prodotto di Cauchy delle due serie.
180
Si potrebbe sperare di dimostrare che se

n=0
a
n
e

n=0
b
n
sono convergenti,
allora la serie prodotto

n=0
c
n
`e convergente, magari con somma uguale al
prodotto delle somme. Ma non `e cos`, come mostra il seguente esempio: se
a
n
= b
n
=
(1)
n

n + 1
n N,
allora
c
n
= (1)
n
n

k=0
1

k + 1

n k + 1
n N,
e quindi
[c
n
[
n

k=0
1

n + 1

n + 1
=
n + 1
n + 1
= 1 n N,
per cui c
n
non `e innitesima e

c
n
non pu`o convergere. Si ha per`o questo
risultato:
Teorema 2.9.2 (di Cauchy) Se le serie

n=0
a
n
e

n=0
b
n
sono assoluta-
mente convergenti, allora il loro prodotto di Cauchy

n=0
c
n
`e assolutamente
convergente; inoltre

n=0
c
n
=

n=0
a
n

n=0
b
n

.
Dimostrazione Si consideri la serie

n=0
d
n
, la cui legge di formazione `e
illustrata dallo schema che segue:
a
0
b
0
a
1
b
0
a
2
b
0
a
n
b
0


a
0
b
1
a
1
b
1
a
2
b
1
a
n
b
1


a
0
b
2
a
1
b
2
a
2
b
2
a
n
b
2



a
0
b
n
a
1
b
n
a
2
b
n
a
n
b
n


181
Si ha dunque

n=0
d
n
= a
0
b
0
+ a
0
b
1
+ a
1
b
1
+ a
1
b
0
+ a
0
b
2
+ a
1
b
2
+ a
2
b
2
+ a
2
b
1
+ a
2
b
0
+
+ . . . + a
0
b
n
+ a
1
b
n
+ . . . + a
n
b
n
+ a
n
b
n1
+ . . . + a
n
b
1
+ a
n
b
0
+ . . .
Tale serie converge assolutamente, in quanto per ogni n 2 si ha
n

k=0
[d
k
[
n
2
1

k=0
[d
k
[ =

n1

k=0
[a
k
[

n1

k=0
[b
k
[

k=0
[a
k
[

k=0
[b
k
[

< .
Dunque

k=0
d
k
`e convergente ad un numero S. Daltra parte, posto A =

k=0
a
k
e B =

k=0
b
k
, considerando la somma parziale della serie

d
k
di
indice n
2
1 si ha per n
n
2
1

k=0
d
k
=

n1

k=0
a
k

n1

k=0
b
k

A B.
Ne segue S = AB perche ogni sottosuccessione di una successione conver-
gente deve convergere allo stesso limite.
Dalla serie

k=0
d
k
, riordinando i termini per diagonali, si ottiene la serie
a
0
b
0
+a
0
b
1
+a
1
b
0
+a
0
b
2
+a
1
b
1
+a
2
b
0
+. . . +a
0
b
n
+a
1
b
n1
+. . . +a
n
b
0
+. . . ,
la quale per il teorema di Dirichlet (teorema 2.8.3) `e assolutamente conver-
gente ed ha somma AB. Ma raggruppandone opportunamente i termini si
ottiene proprio la serie prodotto di Cauchy di

k=0
a
k
e

k=0
b
k
, che dunque
per il teorema 2.8.9 `e una serie assolutamente convergente con somma AB.
Osservazione 2.9.3 Se le serie

a
n
e

b
n
hanno indice iniziale 1, anziche
0, nella denizione di prodotto di Cauchy occorrer`a prendere
c
n
=
n

k=1
a
k
b
nk+1
n N
+
, anziche c
n
=
n

k=0
a
k
b
nk
n N.
Esempi 2.9.4 (1) Moltiplicando per se stessa la serie geometrica
1
1 z
=

n=0
z
n
, [z[ < 1,
182
si ottiene, sempre per [z[ < 1,
1
(1 z)
2
=

n=0

k=0
z
k
z
nk

n=0
(n + 1)z
n
;
da qui si ricava anche

n=0
nz
n
=

n=0
(n+1)z
n

n=0
z
n
=
1
(1 z)
2

1
1 z
=
z
(1 z)
2
, [z[ < 1.
(2) Come sappiamo si ha, posto z = x + iy,
e
z
= e
x+iy
= e
x
(cos y + i sin y) =

n=0
z
n
n!
z C.
Calcoliamo e
z
e
w
con la regola della moltiplicazione di serie: il termine
generale della serie prodotto ha la forma
n

k=0
1
k!
1
(n k)!
z
k
w
nk
=
1
n!
n

k=0

n
k

z
k
w
nk
=
(z + w)
n
n!
;
dunque
e
z
e
w
=

n=0
(z + w)
n
n!
= e
z+w
z, w C.
Pertanto lesponenziale complessa mantiene le propriet`a algebriche delle-
sponenziale reale. Si noti che e
z
= e
z+2i
per ogni z C, cio`e la funzione
esponenziale `e periodica di periodo 2i; in particolare, e
z
non `e una funzione
iniettiva su C.
Esercizi 2.9
1. Provare che se

n=0
a
n
z
n
= f(z) per [z[ < 1, allora posto A
n
=

n
k=0
a
k
si ha

n=0
A
n
z
n
=
f(z)
1 z
per [z[ < 1.
183
2. Dimostrare che se [z[ < 1 si ha

n=0

n + k
k

z
n
=
1
(1 z)
k+1
k N.
[Traccia: utilizzare lesercizio 1.7.1 (iv).]
3. Vericare che per [z[ < 1 si ha

k=0
n
2
z
n
=
z
2
+ z
(1 z)
3
.
4. Poniamo per ogni n N

n
= a
0
b
n
+ . . . a
n
b
n
+ a
n
b
n1
+ . . . + a
n
b
1
+ a
n
b
0
.
Si provi che se

n=0
a
n
= A e

n=0
b
n
= B, allora

n=0

n
= AB.
5. Per y R si verichi la relazione sin 2y = 2 sin y cos y, utilizzando gli
sviluppi in serie di potenze del seno e del coseno.
[Traccia: si verichi preliminarmente che risulta
2
2n
= (1 + 1)
2n
(1 1)
2n
=
n

k=0

2n + 1
2k

n N.]
6. Dimostrare, usando le serie di potenze, le relazioni
cos
2
x + sin
2
x = 1 x R,
sin(x + y) = sin x cos y + sin y cos x x, y R.
7. Determinare il prodotto di Cauchy della serie

(1)
n
n+1
per se stessa. La
serie che cos` si ottiene `e convergente?
8. Sia

n=0
c
n
= (

n=0
2
n
) (

n=0
3
n
): calcolare esplicitamente c
n
e
provare che
3
n
c
n
2
n
n N.
184
Capitolo 3
Funzioni
3.1 Spazi euclidei R
m
e C
m
Inizia qui la seconda parte del corso, in cui si passa dal discreto al conti-
nuo: lo studio delle successioni e delle serie lascer`a il posto allanalisi delle
propriet`a delle funzioni di variabile reale o complessa. Ci occuperemo comun-
que ancora, qua e l`a, di successioni e serie, in particolare di serie di potenze.
Fissiamo m N
+
e consideriamo gli insiemi R
m
e C
m
, cio`e i prodotti
cartesiani di R e C per se stessi m volte:
R
m
= x = (x
1
, . . . , x
m
) : x
i
R, i = 1, . . . , m,
C
m
= z = (z
1
, . . . , z
m
) : z
i
C, i = 1, . . . , m.
Introduciamo un po di terminologia. Indicheremo in neretto (x, z, a, b,
eccetera) i punti generici, o vettori, di R
m
e di C
m
. Su tali insiemi sono de-
nite le operazioni di somma e di prodotto per scalari che li rendono entrambi
spazi vettoriali:
a +b = (a
1
+ b
1
, . . . , a
m
+ b
m
) a, b R
m
(oppure a, b C
m
),
a = (a
1
, . . . , a
m
) R, a R
m
(oppure C, a C
m
).
Naturalmente, per m = 2 lo spazio R
m
si riduce al piano cartesiano R
2
mentre per m = 1 lo spazio C
m
si riduce al piano complesso C. Come
sappiamo, R
2
`e identicabile con C mediante la corrispondenza biunivoca
z = x +iy; similmente, per ogni m 1 possiamo identicare gli spazi R
2m
e
185
C
m
, associando al generico punto x = (x
1
, x
2
, . . . , x
2m1
, x
2m
) R
2m
il punto
z = (z
1
, . . . z
m
) C
m
, ove
z
j
= x
2j1
+ ix
2j
j = 1, . . . , m.
Estenderemo a m dimensioni tutta la struttura geometrica di R
2
.
Prodotto scalare
In R
m
e in C
m
`e denito un prodotto scalare fra vettori:
a b =
m

i=1
a
i
b
i
a, b R
m
,
a b =
m

i=1
a
i
b
i
a, b C
m
.
Si noti che, essendo R
m
C
m
e x = x per ogni x reale, il prodotto scalare
dello spazio C
m
, applicato a vettori di R
m
, coincide col prodotto scalare dello
spazio R
m
. Dunque il prodotto scalare associa ad ogni coppia di vettori di
C
m
un numero complesso e ad ogni coppia di vettori di R
m
un numero reale.
Se a b = 0, i due vettori a e b si dicono ortogonali. Il signicato geometrico
del prodotto scalare, nel caso reale, `e illustrato nellesercizio 3.1.1.
Notiamo che il prodotto scalare di R
m
`e una applicazione lineare nel primo
e nel secondo argomento, ossia risulta

(a + b) c = a c + b c
a (b + c) = a b + a c
, R, a, b, c R
m
;
invece il prodotto scalare di C
m
`e lineare nel primo argomento ed antilineare
nel secondo argomento, ossia

(a + b) c = a c + b c
a (b + c) = a b + a c
, C, a, b, c C
m
(le veriche sono ovvie).
186
Norma euclidea
La norma euclidea di un vettore z C
m
`e il numero reale non negativo
[z[
m
=

i=1
[z
i
[
2
=

z z,
essendo z = (z
1
, . . . , z
m
); la norma di un vettore x R
m
`e la stessa cosa,
ossia
[x[
m
=

i=1
[x
i
[
2
=

x x.
La norma `e lanalogo del modulo in C e del valore assoluto in R. Le propriet`a
fondamentali della norma sono le seguenti:
(i) (positivit`a) [z[
m
0 per ogni z C
m
, e [z[
m
= 0 se e solo se z = 0;
(ii) (omogeneit`a) [z[
m
= [[ [z[
m
per ogni C e z C
m
;
(iii) (subadditivit`a) [z +w[
m
[z[
m
+[w[
m
per ogni z, w C
m
.
Le prime due propriet`a sono ovvie dalla denizione; la terza `e meno evidente,
e per dimostrarla `e necessario premettere la seguente
Proposizione 3.1.1 (disuguaglianza di Cauchy-Schwarz) Risulta
[a b[ [a[
m
[b[
m
a, b C
m
.
Dimostrazione Ripetiamo largomentazione svolta nella dimostrazione del
teorema 1.9.3. Per ogni a, b C
m
e per ogni t R si ha
0 [a + tb[
2
m
=
m

j=1
(a
j
+ tb
j
)(a
j
+ tb
j
) =
=
m

j=1
a
j
a
j
+ 2tRe
m

j=1
a
j
b
j
+ t
2
m

j=1
b
j
b
j
=
= a a + 2tRe a b + t
2
b b = [a[
2
m
+ 2tRe a b + t
2
[b[
2
m
;
dal momento che il trinomio di secondo grado allultimo membro `e sempre
non negativo, il suo discriminante deve essere non positivo, cio`e
(Re a b)
2
[a[
2
m
[b[
2
m
a, b C
m
.
187
Passando alle radici quadrate, ci`o prova la tesi nel caso del prodotto scalare
di R
m
, poiche in tal caso Re a b = a b. Nel caso del prodotto scalare di C
m
osserviamo che il numero complesso a b avr`a un argomento [0, 2[, e si
potr`a dunque scrivere, ricordando la denizione di esponenziale complessa,
a b = [a b[(cos + i sin ) = [a b[e
i
;
ma allora sostituendo a con e
i
a avremo, per la linearit`a del prodotto scalare
nel primo argomento,
(e
i
a) b = e
i
(a b) = [a b[
m
,
e pertanto, per quanto dimostrato sopra,
[a b[
2
m
= (Re [a b[
m
)
2
=

Re

(e
i
a) b

[e
i
a[
2
m
[b[
2
m
= [e
i
[
2
[a[
2
m
[b[
2
m
= [a[
2
m
[b[
2
m
a, b C
m
,
cio`e la tesi.
Dimostriamo la subadditivit`a della norma: per la disuguaglianza di Cauchy-
Schwarz si ha
[a +b[
2
m
= [a[
2
m
+ 2Re a b +[b[
2
m
[a[
2
m
+ 2[a b[ +[b[
2
m

[a[
2
m
+ 2[a[
m
[b[
m
+[b[
2
m
= ([a[
m
+[b[
m
)
2
.
Osservazione 3.1.2 Si noti che se a, b R
m
, allora vale luguaglianza
[a +b[
2
m
= [a[
2
m
+[b[
2
m
se e solo se a e b sono vettori fra loro ortogonali.
Distanza euclidea
Tramite la norma si pu`o dare la nozione di distanza fra due vettori di R
m
o
di C
m
.
Denizione 3.1.3 Una distanza, o metrica, su un insieme non vuoto X `e
una funzione d : X X [0, [ con queste propriet`a:
(i) (positivit`a) d(x, y) 0 per ogni x, y X, d(x, y) = 0 se e solo se x = y;
188
(ii) (simmetria) d(x, y) = d(y, x) per ogni x, y X;
(iii) (disuguaglianza triangolare) d(x, y) d(x, z) +d(z, y) per ogni x, y, z
X.
Se su X `e denita una distanza d, la coppia (X, d) `e detta spazio metrico.
La nozione di spazio metrico `e molto importante e generale, e la sua portata
va molto al di l`a del nostro corso. Si pu`o vericare assai facilmente che la
funzione
d(x, y) = [x y[
m
x, y C
m
(oppure x, y R
m
)
`e una distanza su C
m
(oppure su R
m
), che si chiama distanza euclidea: le
propriet`a (i), (ii) e (iii) sono evidenti conseguenze delle condizioni (i), (ii) e
(iii) relative alla norma euclidea. La distanza euclidea gode inoltre di altre
due propriet`a legate alla struttura vettoriale di R
m
e C
m
:
(iv) (invarianza per traslazioni) d(x +v, y +v) = d(x, y) per ogni x, y, v
C
m
(oppure R
m
),
(v) (omogeneit`a) d(x, y) = [[d(x, y) per ogni C e x, y C
m
(oppure
R e x, y R
m
).
Notiamo che d(0, x) = [x[
m
per ogni x C
m
; inoltre se m = 1, come gi`a
sappiamo, posto z = x + iy per ogni z C, si ha [z[ =

x
2
+ y
2
= [(x, y)[
2
,
ossia C e R
2
, dal punto di vista metrico, sono la stessa cosa.
Per un qualunque spazio metrico si denisce la palla di centro x
0
X e
raggio r > 0 come linsieme B(x
0
, r) = x X : d(x, x
0
) < r; quindi la
palla di centro x
0
R
m
e raggio r `e
B(x
0
, r) = x R
m
: [x x
0
[
m
< r,
mentre analogamente la palla di centro z
0
C
m
e raggio r > 0 sar`a
B(z
0
, r) = z C
m
: [z z
0
[
m
< r.
Nel caso m = 1 la palla B(x
0
, r) di R `e lintervallo ]x
0
r, x
0
+ r[ mentre la
palla B(z
0
, r) di C `e il disco z C : [z z
0
[ < r. Un intorno di un punto
x
0
in R
m
o in C
m
`e un insieme U tale che esista una palla B(x
0
, r) contenuta
in U. Ogni palla di centro x
0
`e essa stessa un intorno di x
0
; talvolta per`o
`e comodo usare intorni di x
0
pi` u generali delle palle (ad esempio intorni di
189
forma cubica, se m = 3).
Una successione x
n
R
m
(oppure C
m
) converge ad un elemento x R
m
(o C
m
) se
lim
n
[x
n
x[
m
= 0,
cio`e se per ogni > 0 esiste N tale che x
n
B(x, ) per ogni n . Si
noti che, essendo
[x
i
n
x
i
[ [x
n
x[
m

m

j=1
[x
j
n
x
j
[, i = 1, . . . , m,
la condizione lim
n
x
n
= x equivale alle m relazioni
lim
n
x
i
n
= x
i
, i = 1, 2, . . . , m.
Aperti e chiusi
Deniremo adesso alcune importanti classi di sottoinsiemi di R
m
. Tutto ci`o
che verr`a detto in questo paragrafo si pu`o ripetere in modo completamente
analogo per C
m
.
Denizione 3.1.4 Sia A R
m
. Diciamo che A `e un insieme aperto se `e
intorno di ogni suo punto, ossia se per ogni x
0
A esiste r > 0 tale che
B(x
0
, r) A (il raggio r dipender`a ovviamente dalla posizione di x
0
in A).
Gli insiemi aperti formano una famiglia chiusa rispetto a certe operazioni
insiemistiche:
Proposizione 3.1.5 Lunione di una famiglia qualsiasi di aperti `e un aper-
to. Lintersezione di una famiglia nita di aperti `e un aperto.
Dimostrazione Se A
i

iI
`e una famiglia di aperti, e x

iI
A
i
, vi sar`a
un indice j I tale che x A
j
; quindi esiste r > 0 tale che B(x, r) A
j

iI
A
i
. Pertanto

iI
A
i
`e un aperto.
Se A
1
, . . . , A
k
`e una famiglia nita di aperti e x

k
i=1
A
i
, allora per ogni
i fra 1 e k vi sar`a r
i
> 0 tale che B(x, r
i
) A
i
; posto r = minr
1
, . . . , r
k
, si
ha r > 0 e B(x, r)

k
i=1
B(x, r
i
)

k
i=1
A
i
.
190
Esempi 3.1.6 (1) Sono aperti in R:
, R, ]a, b[, ] , a[, ]b, +[, R ` 34, R ` Z,
]0, 1[]2, 4[, ]0, 1[`
1
n

nN
+;
non sono aperti in R:
N, Z, Q, R ` Q, [a, b[, [a, b], ]a, b], ] , a], [b, +[,

1
n

nN
+, [0, 1] `
1
n

nN
+.
(2) Sono aperti in R
2
:
R
2
, , (x, y) R
2
: y > 0, (x, y) R
2
: [x[ +[y[ < 1,
R
2
` (0, 0), B((x, y), r);
non sono aperti in R
2
:
R 0, (0, y) : y > 0, (x, y) R
2
: y 0,
(x, y) R
2
: x y, (x, y) R
2
: 1 x
2
+ y
2
< 2.
Denizione 3.1.7 Sia F R
m
. Diciamo che F `e un insieme chiuso in R
m
se il suo complementare F
c
`e un aperto.
Si ha subito la seguente propriet`a:
Proposizione 3.1.8 Lintersezione di una famiglia qualsiasi di chiusi `e un
chiuso. Lunione di una famiglia nita di chiusi `e un chiuso.
Dimostrazione Se F
i

iI
`e una famiglia di chiusi, allora tutti i comple-
mentari F
c
i
sono aperti, quindi per la proposizione precedente

iI
F
i

c
=

iI
F
c
i
`e un aperto e dunque

iI
F
i
`e chiuso. Se F
1
, . . . , F
k
`e una
famiglia nita di chiusi, allora per la proposizione precedente si ha che

k
i=1
F
i

c
=

k
i=1
F
c
i
`e un aperto e quindi

k
i=1
F
i
`e chiuso.
Gli insiemi chiusi hanno una importante caratterizzazione che `e la seguente:
Proposizione 3.1.9 Sia F R
m
. Allora F `e chiuso se e solo se per ogni
successione x
n
F, convergente ad un punto x R
m
, risulta x F.
191
Dimostrazione Supponiamo che F sia chiuso e sia x
n
F tale che
x
n
x per n ; si deve provare che x F. Se fosse x F
c
, dato che
F
c
`e aperto esisterebbe una palla B(x, r) contenuta in F
c
; ma siccome x
n
tende a x, denitivamente si avrebbe x
n
B(x, r) F
c
, contro lipotesi che
x
n
F per ogni n. Dunque x F.
Supponiamo viceversa che F contenga tutti i limiti delle successioni che sono
contenute in F, e mostriamo che F
c
`e aperto. Se non lo fosse, vi sarebbe
un punto x F
c
per il quale ogni palla B(x, r) interseca (F
c
)
c
, cio`e F;
quindi, scegliendo r = 1/n, per ogni n N
+
esisterebbe un punto x
n

B(x, 1/n) F. La successione x
n
, per costruzione, sarebbe contenuta in
F, e convergerebbe a x dato che [x x
n
[
m
< 1/n. Ma allora, per ipotesi,
il suo limite x dovrebbe stare in F: assurdo perche x F
c
. Dunque F
c
`e
aperto e F `e chiuso.
Esempi 3.1.10 (1) Sono chiusi in R:
R, , [a, b], [a, +[, ] , b],

1
n

nN
+
0, 65, N, Z;
non sono chiusi in R:
[a, b[, ]a, b[, ]a, b], ] , a[, ]b, +[,

1
n

nN
+
, Q, R ` Q.
(2) Sono chiusi in R
2
:
R
2
, , (x, y) R
2
: x
2
+ y
2
1, R 0,
(x, y) R
2
: x = 0, y 0, (x, y) R
2
: 1 [x[ +[y[ 3;
non sono chiusi in R
2
:
(x, y) R
2
: 0 < x
2
+ y
2
1, (x, y) R
2
: x = 0, y > 0,
(x, y) R
2
: 1 [x[ +[y[ < 3, Q
2
, R
2
` Q
2
.
Si noti che esistono insiemi aperti ma non chiusi, insiemi chiusi ma non
aperti, insiemi ne aperti ne chiusi ed insiemi sia aperti che chiusi (vedere
per`o lesercizio 3.1.18).
192
Punti daccumulazione
Nella teoria dei limiti di funzioni `e di basilare importanza la denizione che
segue.
Denizione 3.1.11 Sia E R
m
, sia x
0
R
m
. Diciamo che x
0
`e un
punto daccumulazione per E se esiste una successione x
n
E ` x
0
che
converge a x
0
.
La condizione che x
n
non prenda mai il valore x
0
serve ad evitare il caso in cui
x
n
`e denitivamente uguale a x
0
; si vuole cio`e che intorno a x
0
si accumulino
inniti punti distinti della successione. E infatti `e immediato vericare che
x
0
`e un punto daccumulazione per E se e solo se ogni palla B(x
0
, r) contiene
inniti punti di E. Notiamo anche che un punto di accumulazione per E pu`o
appartenere o non appartenere a E: ad esempio, 0 `e punto di accumulazione
per
1
n

nN
+, ma 0 =
1
n
per ogni n, mentre 1/2 `e punto daccumulazione per
linsieme [0, 1] al quale appartiene.
Mediante i punti daccumulazione si pu`o dare unaltra caratterizzazione degli
insiemi chiusi:
Proposizione 3.1.12 Sia E R
m
. Allora E `e chiuso se e solo se E
contiene tutti i propri punti daccumulazione.
Dimostrazione Se E `e chiuso, e x `e un punto daccumulazione per E, allora
esiste x
n
E ` x E tale che x
n
x per n ; per la proposizione
3.1.9 si ottiene x E.
Viceversa, supponiamo che E contenga tutti i suoi punti daccumulazione e
prendiamo una successione x
n
E convergente a x: dobbiamo mostrare
che x E, e la tesi seguir`a nuovamente dalla proposizione 3.1.9. Il fatto che
x E `e evidente nel caso in cui x
n
`e denitivamente uguale a x; in caso
contrario esisteranno inniti indici n per i quali si ha x
n
= x: i corrispon-
denti inniti valori x
n
sono dunque una successione contenuta in E ` x e
convergente a x. Perci`o x `e punto daccumulazione per E, e di conseguenza
x E.
Il fondamentale teorema che segue garantisce lesistenza di punti daccumu-
lazione per una vastissima classe di insiemi. Diamo anzitutto la seguente
Denizione 3.1.13 Un insieme E R
m
si dice limitato se esiste K 0
tale che
[x[
m
K x E.
193
Dunque un insieme E R
m
`e limitato se e solo se esiste una palla B(0, K)
che lo contiene.
Teorema 3.1.14 (di Bolzano-Weierstrass) Ogni sottoinsieme innito e
limitato di R
m
possiede almeno un punto daccumulazione.
Dimostrazione Supponiamo dapprima m = 1. Faremo uso del seguente
risultato:
Proposizione 3.1.15 Da ogni successione reale `e possibile estrarre una sot-
tosuccessione monotona.
Dimostrazione Sia a
n
R una successione. Poniamo
G = n N : a
m
< a
n
m > n;
allora G sar`a nito (eventualmente vuoto) oppure innito.
Supponiamo G nito: allora esiste n
0
N tale che n / G per ogni n n
0
,
ossia risulta
n n
0
m > n : a
m
a
n
.
Perci`o, essendo n
0
/ G, esiste n
1
> n
0
tale che a
n
1
a
n
0
e in particolare
n
1
/ G; esister`a allora n
2
> n
1
tale che a
n
2
a
n
1
, e cos` induttivamente si
costruisce una sequenza crescente di interi n
k
tale che a
n
k+1
a
n
k
per ogni
k N. La corrispondente sottosuccessione a
n
k
a
n
, per costruzione, `e
monotona crescente.
Supponiamo invece che G sia innito: poiche ogni sottoinsieme di N ha
minimo (esercizio 1.6.10), possiamo porre successivamente
n
0
= min G, n
1
= min(G`n
0
), . . . , n
k+1
= min(G`n
0
, n
1
, . . . , n
k
), . . .
ottenendo una sequenza crescente di interi n
k
G e dunque tali che a
m
< a
n
k
per ogni m > n
k
; in particolare a
n
k+1
< a
n
k
per ogni k. La corrispondente
sottosuccessione a
n
k
a
n
`e perci`o monotona decrescente.
Corollario 3.1.16 Ogni successione limitata in R ha una sottosuccessione
convergente.
Dimostrazione La sottosuccessione monotona della proposizione preceden-
te `e limitata per ipotesi, dunque convergente (proposizione 2.3.3).
Il corollario appena dimostrato prova anche il teorema nel caso m = 1: se
194
un insieme E `e innito e limitato, esso contiene una successione limitata e
costituita tutta di punti distinti, la quale, per il corollario, ha una sottosuc-
cessione convergente; il limite di questa sottosuccessione `e evidentemente un
punto daccumulazione per E.
Passiamo ora al caso m > 1. Sia x
n
una successione (costituita tutta di
punti distinti) contenuta in E e proviamo che esiste una sottosuccessione che
converge: il suo limite sar`a il punto daccumulazione cercato.
Poiche x
n
`e limitata, le successioni reali x
1
n
, x
2
n
,. . . , x
m
n
sono li-
mitate. Allora, per il caso m = 1 gi`a visto, esiste una sottosuccessione
x
n,(1)
x
n
tale che x
1
n,(1)
converge ad un limite x
1
R; da x
n,(1)

possiamo estrarre una ulteriore sottosuccessione x


n,(2)
tale che x
1
n,(2)
x
1
(perch`e estratta dalla successione x
1
n,(1)
che gi`a convergeva a x
1
) ed inoltre
x
2
n,(2)
converge ad un limite x
2
R. Continuando ad estrarre ulteriori sotto-
successioni x
n,(3)
x
n,(2)
, x
n,(4)
x
n,(3)
, . . . , dopo m passi otterre-
mo una sottosuccessione x
n,(m)
di tutte le precedenti, tale che x
1
n,(m)
x
1
,
x
2
n,(m)
x
2
, . . . , x
m
n,(m)
x
m
in R. Ne segue che, posto x = (x
1
, . . . , x
m
),
la successione x
n,(m)
, che `e una sottosuccessione di x
n
, converge a x in
R
m
.
Osservazioni 3.1.17 (1) Il punto daccumulazione costruito nel teorema di
Bolzano-Weierstrass non `e in generale unico!
(2) I punti daccumulazione di un insieme E sono i limiti delle successioni di
E che non sono denitivamente costanti.
Esempi 3.1.18 (1) Linsieme N `e innito ma non limitato in R, ed `e privo
di punti di accumulazione.
(2) 1 `e un insieme limitato in R ma non innito, ed `e privo di punti di
accumulazione.
(3) La successione (1)
n
+
1
n
costituisce un insieme innito e limitato in
R che ha i due punti daccumulazione +1 e 1.
Dal teorema di Bolzano-Weierstrass segue la seguente importante caratteriz-
zazione dei sottoinsiemi chiusi e limitati di R
m
.
Teorema 3.1.19 Sia E R
m
. Allora E `e chiuso e limitato se e solo se
da ogni successione contenuta in E si pu`o estrarre una sottosuccessione che
converge ad un elemento di E.
195
Dimostrazione Sia E limitato e chiuso. Sia x
n
una successione contenu-
ta in E; se essa gi`a converge ad un punto x R
m
, ogni sua sottosuccessione
converger`a ancora a x, il quale apparterr`a al chiuso E in virt` u della propo-
sizione 3.1.9. Se non converge, essa `e comunque limitata: per il teorema di
Bolzano-Weierstrass avr`a una sottosuccessione x
n
convergente ad un ele-
mento x R
m
; poiche E contiene x
n
ed `e chiuso, deve essere x E.
Viceversa, se ogni successione contenuta in E ha una sottosuccessione che
converge ad un punto di E, allora in particolare E contiene il limite di ogni
successione convergente in esso contenuta, e quindi E `e chiuso per la proposi-
zione 3.1.9. Inoltre se E non fosse limitato allora per ogni n N
+
esisterebbe
x
n
E tale che [x
n
[
m
> n; ma nessuna sottosuccessione della successione
x
n
cos` costruita potrebbe convergere, essendo illimitata. Ci`o contraddice
lipotesi fatta su E, e quindi E `e limitato.
Osservazione 3.1.20 Gli insiemi E tali che ogni successione contenuta in E
ha una sottosuccessione che converge ad un elemento di E si dicono compatti;
quindi il teorema precedente caratterizza i sottoinsiemi compatti di R
m
.
Esempi 3.1.21 Sono compatti in R:
3, [a, b], [a, b] [c, d], 0

1
n

nN
+
, (1)
nN
;
non sono compatti in R:
] , a], ]a, b], ]a, b[, [b, +[,

1
n

nN
+
, Q [0, 1], N, Z.
Esercizi 3.1
1. Si provi che se a, b R
m
` 0 allora a b = [a[
m
[b[
m
cos , ove `e
langolo convesso fra i due vettori.
[Traccia: Dati a, b in R
m
` 0
e detto liperpiano (m 1)-
dimensionale ortogonale a b e
passante per a, si osservi che se
0 il piano interseca il seg-
mento di estremi 0 e b in un pun-
to della forma b con 0, e si
avr`a (a b) b = 0.
196
Dunque, da una parte si ha a b = [b[
2
m
e dallaltra [b[
m
= [a[
m
cos .
Discorso analogo se 0, lavorando con b al posto di b.]
2. Provare che |x|
1
=

m
i=1
[x
i
[ e |x|

= max[x
i
[ : i = 1, . . . , m
sono norme in R
m
e in C
m
, ossia sono funzioni positive, omogenee e
subadditive a valori in [0, +[.
3. Descrivere le palle B(0, r) per le distanze
d
1
(a, b) = |a b|
1
e d

(a, b) = |a b|

,
ove le norme | |
1
e | |

sono quelle dellesercizio precedente.


4. Si provi che se x
0
R
m
e r 0 linsieme
B(x
0
, r) = x R
m
: [x x
0
[
m
r
`e chiuso in R
m
(esso si chiama palla chiusa di centro x
0
e raggio r).
5. Si provi che ogni sottoinsieme di R chiuso e limitato inferiormente ha
minimo, e che ogni sottoinsieme di R chiuso e limitato superiormente
ha massimo. Vi `e un risultato analogo in R
m
e C
m
?
6. Provare che se A `e aperto in C, allora A R `e aperto in R. Vale il
viceversa?
7. Provare che se F `e chiuso in C allora F R `e chiuso in R. Vale il
viceversa?
8. Sia x
n
R
m
. Dimostrare o confutare i seguenti enunciati:
(i) se esiste x = lim
n
x
n
, allora x `e punto daccumulazione per x
n
;
(ii) se x `e punto daccumulazione per x
n
, allora esiste lim
n
x
n
= x.
9. Sia E R un insieme limitato superiormente e sia x = sup E. Provare
che se x / E allora x `e punto daccumulazione per E. Cosa pu`o
succedere se x E?
10. Se E R
m
(oppure E C
m
) e x E, diciamo che x `e interno a E
se E `e un intorno di x. Linsieme dei punti interni a E si chiama parte
interna di E e si indica con

E.
197
(i) Si provi che

E `e il pi` u grande insieme aperto contenuto in E.


(ii) Determinare

E quando E = z C : 1 [z[ 2, [arg z[ /3.


11. Se E R
m
e x R
m
(oppure E C
m
e x C
m
), diciamo che x
`e aderente a E se ogni palla B(x, r) interseca E. Linsieme dei punti
aderenti a E si chiama chiusura di E e si indica con E.
(i) Si provi che E `e il pi` u piccolo insieme chiuso contenente E.
(ii) Si provi che E contiene tutti i punti daccumulazione per E.
(iii) Determinare E quando E = i, i z = re
i/4
: 0 < r <

2.
12. Se E R
m
(oppure E C
m
), si chiama frontiera di E, e si indica con
E, linsieme dei punti aderenti a E che non sono interni a E: in altre
parole, si denisce E = E `

E.
(i) Si provi che E = EE
c
, che E `e chiuso e che risulta E = EE,

E = E ` E.
(ii) Determinare E quando E = i, i z = re
i/4
: 0 < r <

2.
13. Se E R
m
(oppure E C
m
) e x E, x si dice punto isolato per E
se esiste una palla B(x, r) tale che B(x, r) E = x. Provare che un
punto aderente a E o `e punto daccumulazione per E, oppure `e punto
isolato per E.
14. Sia E =

kN

k
1
k+1
, k +
1
k+1

. Determinare:
(i) la chiusura di E,
(ii) la frontiera di E,
(iii) la parte interna di E.
15. Se E R
m
(oppure E C
m
), il diametro di E `e denito da
diam E = sup[x y[
m
: x, y E.
Posto Q
m
= x R
m
: 0 x
i
1 per i = 1, . . . , m, provare che
diam Q
m
=

m.
16. Dimostrare che risulta E =


(E
c
)

c
,

E=

E
c

c
.
198
17. (i) Esibire una successione x
n
Q che sia limitata e che non abbia
alcuna sottosuccessione convergente in Q.
(ii) Esibire un sottoinsieme di Q innito, limitato e privo di punti
daccumulazione in Q.
18. Dimostrare che gli unici sottoinsiemi di R
m
che sono simultaneamente
aperti e chiusi sono R
m
e .
[Traccia: per assurdo, sia A aperto e chiuso in R
m
tale che A = e
A = R
m
; allora B = A
c
verica le stesse condizioni. Scelti a A e
b B, siano
C = t R : a + t(b a) A, D = t R : a + t(b a) B;
allora C e D sono non vuoti, C D = R e C D = . Si provi che C
e D sono aperti, e quindi anche chiusi, in R. In questo modo ci siamo
ricondotti al caso m = 1. Adesso poniamo M = t 0 : [0, t] C.
Si provi che M `e non vuoto, contenuto in C e limitato superiormente;
posto = sup M, si provi che deve essere C D, il che `e assurdo.]
19. Sia E = x R : p(x), ove p(x) `e una generica propriet`a. Si dimostri
che:
(i) linsieme E `e chiuso se e solo se per ogni x
n
che converge a x vale
limplicazione
p(x
n
) denitivamente vera = p(x) vera;
(ii) linsieme E `e aperto se e solo se per ogni x
n
che converge a x
vale limplicazione
p(x) vera = p(x
n
) denitivamente vera.
20. Sia A R
m
. La proiezione di A lungo lasse x
i
`e linsieme
A
i
= x R : y A : y
i
= x.
Si provi che A `e limitato se e solo se le sue proiezioni A
1
, . . . , A
m
sono
insiemi limitati in R.
21. Sia E R
m
. Il derivato di E `e linsieme di tutti i punti di accumula-
zione per E; esso si indica con E.
199
(i) Si provi che E `e un insieme chiuso.
(ii) Si determinino E e E`

E
quando E =

kN

k
1
k+1
, k +
1
k+1

.
22. (Insieme di Cantor) Dividiamo [0, 1] in tre parti uguali ed asportiamo
lintervallo aperto centrale di ampiezza 1/3. Dividiamo ciascuno dei due
intervalli chiusi residui in tre parti uguali e rimuoviamo i due intervalli
aperti centrali di ampiezza 1/9. Per ciascuno dei quattro intervalli resi-
dui ripetiamo la stessa procedura: al passo n-simo, avremo 2
n
intervalli
chiusi I
k,n
(k = 1, . . . , 2
n
), di ampiezza 3
n
, di cui elimineremo le parti
centrali aperte J
k,n
di ampiezza 3
n1
. Linsieme
C = [0, 1] `

n=0
2
n

k=1
J
k,n
si chiama insieme ternario di Cantor.
(i) Si provi che C `e chiuso e privo di punti interni.
(ii) Si dimostri che tutti i punti di C sono punti daccumulazione per
C.
(iii) Si calcoli la lunghezza complessiva degli intervalli J
k,n
rimossi.
3.2 Funzioni reali di m variabili
Sia A un sottoinsieme di R
m
, oppure di C
m
; considereremo funzioni f de-
nite su A a valori reali. Introduciamo anzitutto un po di terminologia, che
daltronde `e analoga a quella usata per le successioni.
Denizione 3.2.1 Diciamo che una funzione f : A R `e limitata supe-
riormente in A se linsieme immagine di f, cio`e
f(A) = t R : x A : f(x) = t
`e limitato superiormente; in ogni caso si pone
sup
A
f =

sup f(A) se f(A) `e limitato superiormente,


+ se f(A) non `e limitato superiormente.
200
Similmente, diciamo che f `e limitata inferiormente in A se linsieme f(A) `e
limitato inferiormente; in ogni caso si pone
inf
A
f =

inf f(A) se f(A) `e limitato inferiormente,


se f(A) non `e limitato inferiormente.
Diciamo inne che f `e limitata in A se `e sia limitata superiormente che
inferiormente in A.
Potr`a accadere che sup
A
f, quando `e un numero reale, sia un valore assunto
dalla funzione, cio`e sia un elemento di f(A), oppure no; se esiste x A
tale che f(x) = sup
A
f, diremo che x `e un punto di massimo per f in A, e
scriveremo f(x) = max
A
f. Analogamente, se inf
A
f `e un elemento di f(A),
cio`e esiste x A tale che f(x) = inf
A
f, diremo che x `e un punto di minimo
per f in A, e scriveremo f(x) = min
A
f.
Esempi 3.2.2 (1) La funzione f : R R denita da f(x) =
|x|
1+|x|
`e limitata:
infatti si ha 0 f(x) 1 per ogni x R. Risulta anzi 0 = inf
R
f e
1 = sup
R
f; si noti che 0 `e il minimo, raggiunto nel punto di minimo 0, mentre
1 non appartiene a f(R) e la funzione f non ha massimo. Osserviamo anche
che f `e pari, ossia f(x) = f(x) per ogni x R: il suo graco `e quindi
simmetrico rispetto allasse y.
(2) La funzione f : R R denita da f(x) =
x
1+|x|
coincide con la precedente
per x 0, mentre `e la precedente cambiata di segno per x < 0: si tratta di
una funzione dispari, ossia f(x) = f(x) per ogni x R, ed il suo graco
`e simmetrico rispetto allorigine.
201
Risulta in particolare 1 = sup
R
f, 1 = inf
R
f e f non ha ne massimo ne
minimo.
(3) La funzione f(x, y) =

x
2
+ y
2
`e denita su R
2
, `e illimitata supe-
riormente ed `e limitata inferiormente da 0. Si ha sup f = +, mentre
inf f = min f = 0.
(4) La funzione parte intera, denita per ogni x R da
[x] = maxk Z : k x,
non `e limitata ne inferiormente, ne superiormente, cosicche sup f = + e
inf f = ; il suo graco presenta dei salti di ampiezza 1 in corrispon-
denza di ciascun punto di ascissa intera.
(5) La funzione f(x) =
x
|x|
`e denita per x reale non nullo e assume solo
i valori 1. Quindi 1 = max f = sup f, 1 = min f = inf f. Si noti che
questa funzione ha inniti punti di massimo e inniti punti di minimo.
(6) La funzione f(x) =

1 [x[
2
m
`e denita sulla palla unitaria di R
m
, cio`e
B = x R
m
: [x[
m
1,
a valori in R. Essa ha massimo 1 (raggiunto per x = 0) e minimo 0 (raggiunto
nei punti della frontiera di B).
202
Funzioni continue
La nozione di funzione continua `e strettamente legata allidea intuitiva della
consequenzialit`a fra causa ed eetto. Ci aspettiamo che piccole variazioni di
input provochino piccole variazioni di output: ad esempio, quando si pigia il
pedale dellacceleratore, piccoli incrementi di pressione del piede producono
piccoli aumenti di velocit`a della macchina. Comunque nella nostra esperien-
za ci sono anche esempi di fenomeni di tipo impulsivo: piccoli aumenti di
pressione del dito su un interruttore causano, oltre una certa soglia, un dra-
stico aumento dellintensit`a della luce presente in una stanza. Chiameremo
continue quelle funzioni y = f(x) per le quali variando di poco la grandezza
x si ottiene una piccola variazione della quantit`a y. Pi` u precisamente:
Denizione 3.2.3 Sia A un sottoinsieme di R
m
, oppure di C
m
, sia f : A
R e sia x
0
A. Diciamo che f `e continua nel punto x
0
se per ogni > 0
esiste un > 0 tale che
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < .
Diciamo che f `e continua in A se `e continua in ogni punto di A.
Osservazioni 3.2.4 (1) La continuit`a di una funzione `e un fatto locale: essa
pu` o esserci o no a seconda del punto x
0
che si considera. Per un generico
punto x
0
A i casi sono due: o x
0
`e punto daccumulazione per A (denizione
3.1.11), oppure x
0
`e punto isolato di A, nel senso che esiste un intorno B(x
0
, )
di x
0
tale che A B(x
0
, ) = x
0
(esercizio 3.1.13). Nel secondo caso, ogni
funzione f : A R `e continua in x
0
, poiche qualunque sia > 0 risulta
x A, [x x
0
[
m
< = x = x
0
= [f(x) f(x
0
)[ = 0 < .
203
Nel primo caso, che `e lunico interessante, la denizione di continuit`a di una
funzione si riconduce a quella pi` u generale di limite di funzione, che daremo
fra poco.
(2) Se f : R
2
R `e continua in un punto (x
0
, y
0
), allora le funzioni x
f(x, y
0
) e y f(x
0
, y) sono continue rispettivamente nei punti x
0
e y
0
. Si
noti per`o che il viceversa `e falso: esistono funzioni f(x, y) tali che f(, y) `e
continua per ogni y, f(x, ) `e continua per ogni x, ma f non `e continua per
ogni (x, y) (si veda lesercizio 3.2.10).
Non tutte le funzioni pi` u importanti sono continue! Vediamo qualche esempio
di funzione continua e discontinua.
Esempi 3.2.5 (1) Tutte le funzioni ani sono continue. Si tratta delle
funzioni f : R
m
R della forma
f(x) = a x + b =
m

i=1
a
i
x
i
+ b,
ove a R
m
e b R sono assegnati. Fissato x
0
R
m
e scelto > 0, si ha
[f(x) f(x
0
)[ = [a x + b a x
0
b[ = [a (x x
0
)[;
utilizzando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz (proposizione 3.1.1) si ot-
tiene
[f(x) f(x
0
)[ [a[
m
[x x
0
[
m
.
204
Quindi se a = 0 basta prendere 0 < <

|a|m
per avere
[x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ [a[
m
[x x
0
[
m
< [a[
m
< ;
daltronde se a = 0 si ha f(x) = b per ogni x R
m
, e la continuit`a `e ovvia.
(2) La somma di una serie di potenze con raggio di convergenza R > 0 `e
una funzione continua sul disco B(0, R) = z C : [z[ < R. Sia infatti
f(z) =

n=0
a
n
z
n
per [z[ < R: ssati z
0
con [z
0
[ < R e > 0, scegliamo un
numero positivo < R[z
0
[, cosicche risulta B(z
0
, ) B(0, R). Allora per
ogni z B(z
0
, ) si ha
[f(z) f(z
0
)[ =

n=0
a
n
z
n

n=0
a
n
z
n
0

n=1
a
n
(z
n
z
n
0
)

=
=

n=1
a
n
(z z
0
)(z
n1
+ z
n2
z
0
+ . . . + zz
n2
0
+ z
n1
0
)

n=1
[a
n
[[z z
0
[([z[
n1
+[z[
n2
[z
0
[ + . . . +[z[[z
0
[
n2
+[z
0
[
n1
)

n=1
[a
n
[[z z
0
[

n([z
0
[ + )
n1

=
[z z
0
[
[z
0
[ +

n=1
n[a
n
[([z
0
[ + )
n
.
Dato che la serie di potenze

na
n
z
n
ha ancora raggio di convergenza R
(esercizio 2.7.9), otteniamo che la serie allultimo membro `e convergente, con
somma uguale a un numero che dipende da z
0
e da , cio`e da z
0
e da R; in
particolare, esiste K > 0 tale che
[f(z) f(z
0
)[ K[z z
0
[ z B(z
0
, ).
Adesso basta scegliere positivo e minore sia di che di /K, e si ottiene
[z z
0
[ < = [f(z) f(z
0
)[ < ,
e ci`o prova la continuit`a di f in z
0
.
(3) Come conseguenza dellesempio precedente, le funzioni trigonometriche
cos x e sin x sono continue su R, mentre lesponenziale e
z
`e continua su C (e
in particolare su R). Se a > 0, anche la funzione a
x
`e continua su R, essendo
a
x
= e
xlog a
=

n=0
(log a)
n
x
n
n!
x R.
205
(4) La funzione parte intera f(x) = [x] `e continua in ogni punto x / Z ed
`e discontinua in ogni punto x Z. Infatti, scelto x / Z, sia = minx
[x], [x + 1] x: allora qualunque sia > 0 si ha
[t x[ < = [t] = [x] = [[t] [x][ = 0 < .
Daltra parte se x Z allora, scelto ]0, 1] si ha
[[t] [x][ = [[t] x[ = 1 t ]x 1, x[,
quindi `e impossibile trovare un > 0 per cui si abbia
[t x[ < = [[t] [x][ < .
(5) Se b > 0 e b = 1, la funzione logaritmo di base b `e continua in ]0, +[.
Sia infatti x
0
> 0: se ]0, x
0
[ e [x x
0
[ < , si ha, supponendo ad esempio
x < x
0
:
[ log
b
x log
b
x
0
[ =

log
b
x
x
0

= [ log
b
e[ log
x
0
x
= [ log
b
e[ log

1 +

x
0
x
1

.
Notiamo ora che vale limportante disuguaglianza
log(1 + t) t t > 1 :
essa segue dalla crescenza del logaritmo e dal fatto, vericabile direttamente
se t 0 e con il criterio di Leibniz (proposizione 2.5.3) se 1 < t < 0, che
1 + t

n=0
t
n
n!
= e
t
t > 1.
Da tale disuguaglianza ricaviamo
[ log
b
x log
b
x
0
[ [ log
b
e[

x
0
x
1

= [ log
b
e[
x
0
x
x
[ log
b
e[

x
0

;
quindi, ssato > 0, baster`a prendere abbastanza piccolo per ottenere che
lultimo membro sia minore di . Nel caso in cui sia x
0
< x, il calcolo `e del
tutto simile.
206
Esercizi 3.2
1. Siano f : A R
m
R e g : B R R, con f(A) B; sia x
0
A e
sia y
0
= f(x
0
). Si provi che se f `e continua in x
0
e se g `e continua in
y
0
, allora la funzione composta g f(x) = g(f(x)) `e continua in x
0
.
2. Descrivere le funzioni f : A R
m
R che in un ssato punto
x
0
A vericano le seguenti propriet`a, parenti della denizione di
continuit`a:
(i) esiste > 0 tale che per ogni > 0 risulta
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < ;
(ii) esiste > 0 tale che per ogni > 0 risulta
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < ;
(iii) per ogni > 0 e per ogni > 0 risulta
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < ;
(iv) esistono > 0 e > 0 tali che risulta
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < .
3. (Permanenza del segno) Sia f : A R
m
R una funzione continua
in un punto x
0
A. Si provi che se f(x
0
) > 0, allora esiste una palla
B(x
0
, R) tale che f(x) > 0 per ogni x B(x
0
, R) A.
4. Si provi che la funzione
f(x) =

sin
1
x
se x R ` 0
se x = 0
`e discontinua nel punto 0, qualunque sia R.
5. Si provi che sono funzioni continue le combinazioni lineari di funzioni
continue ed i prodotti di funzioni continue.
207
6. Si provi che se f `e continua in x
0
e f(x
0
) = 0, allora
1
f
`e continua in
x
0
.
[Traccia: usare lesercizio 3.2.3.]
7. Sia R. Provare che la funzione f(x) = x

`e continua su [0, +[
(se 0) oppure su ]0, +[ (se < 0).
8. (Funzioni a valori vettoriali) Sia A un sottoinsieme di R
m
, sia x
0

A e sia f : A R
m
R
n
una funzione: la funzione (vettoriale) f
associa ad ogni vettore x = (x
1
, . . . , x
m
) A un altro vettore f (x) =
(f
1
(x), . . . , f
n
(x)) R
n
. Diciamo che f `e continua in x
0
se per ogni
> 0 esiste > 0 tale che
x A, [x x
0
[
m
< = [f (x) f (x
0
)[
n
< .
Provare che f `e continua in x
0
se e solo se le sue n componenti scalari
f
1
, . . . , f
n
sono continue in x
0
.
9. Sia B una palla di R
m
oppure di C
m
, sia f : B R una funzione
continua. Per ogni coppia di elementi ssati a, b B, provare che la
funzione
g(t) = f(ta + (1 t)b), t [0, 1],
`e ben denita e continua.
10. Sia f : R
2
R la funzione seguente:
f(x, y) =

4(x
2
y)(2y x
2
)
y
2
0 se y > 0
0 se y 0.
Si provi che:
(i) f `e continua in R
2
` (0, 0);
(ii) f `e discontinua in (0, 0);
(iii) per ogni y R, f(, y) `e continua su R;
(iv) per ogni x R, f(x, ) `e continua su R.
208
11. Sia A R
m
e siano f, g due funzioni reali limitate denite in A. Si
provi che
sup
A
(f + g) sup
A
f + sup
A
g, inf
A
(f + g) inf
A
f + inf
A
g,
sup
A
(f) =

sup
A
f se 0
inf
A
f se 0,
inf
A
(f) =

inf
A
f se 0
sup
A
f se 0.
3.3 Limiti
Estendiamo ora al caso delle funzioni reali la nozione di limite, che ci `e gi`a
nota nel caso delle successioni. Sia A un sottoinsieme di R
m
oppure di C
m
,
sia f : A R, sia x
0
un punto daccumulazione per A.
Denizione 3.3.1 Sia L R. Diciamo che L `e il limite di f(x) per x che
tende a x
0
in A, e scriviamo
lim
xx
0
, xA
f(x) = L,
se per ogni > 0 esiste > 0 tale che
x A ` x
0
, [x x
0
[
m
< = [f(x) L[ < .
Se, in particolare, L = 0, si dice che f `e innitesima per x x
0
.
Se linsieme A coincide con R
m
(o con C
m
), oppure `e sottinteso dal contesto,
si scrive pi` u semplicemente
lim
xx
0
f(x) anziche lim
xx
0
, xA
f(x).
Si noti che in generale x
0
non appartiene ad A, e che x
0
non `e tra i valori
di x che sono coinvolti nella denizione di limite. Quindi, anche se per caso
si avesse x
0
A, non `e lecito far prendere alla variabile x il valore x
0
. Ad
esempio, consideriamo la funzione
pippo(x) =

19 se x R ` 130
237 se x = 130 :
il punto 130 `e di accumulazione per R, e benche risulti pippo(130) = 237, si
ha
lim
x130
pippo(x) = 19.
Il limite di una funzione pu`o essere anche :
209
Denizione 3.3.2 Diciamo che f(x) tende a +, oppure a , per x
x
0
in A, se per ogni M > 0 esiste > 0 tale che
x A ` x
0
, [x x
0
[
m
< = f(x) > M,
oppure
x A ` x
0
, [x x
0
[
m
< = f(x) < M.
In tal caso scriviamo
lim
xx
0
, xA
f(x) = +, oppure lim
xx
0
, xA
f(x) = .
Nel caso m = 1 e A R, in particolare, si pu`o fare anche il limite destro, op-
pure il limite sinistro, per x x
0
; nella denizione 3.3.1 questo corrisponde
a prendere come A la semiretta ]x
0
, +[ oppure la semiretta ] , x
0
[. Si
scrive in tali casi
lim
xx
+
0
f(x) = L, oppure lim
xx

0
f(x) = ,
e ci`o corrisponde a dire che per ogni > 0 esiste > 0 tale che
x
0
< x < x
0
+ = [f(x) L[ < ,
oppure
x
0
< x < x
0
= [f(x) [ < .
Inne, sempre nel caso m = 1 e A R, se A `e illimitato superiormente,
oppure inferiormente, si pu`o fare il limite per x +, oppure per x :
si avr`a
lim
x+
f(x) = L, oppure lim
x
f(x) = ,
se per ogni > 0 esiste M > 0 tale che
x > M = [f(x) L[ < , oppure x < M = [f(x) [ < .
Esempi 3.3.3 (1) Si ha
lim
x+
a
x
=

+ se a > 1
1 se a = 1
0 se 0 < a < 1,
lim
x
a
x
=

0 se a > 1
1 se a = 1
+ se 0 < a < 1;
lim
x+
log
b
x =

+ se b > 1
se 0 < b < 1,
lim
x0
+
log
b
x =

se b > 1
+ se 0 < b < 1.
210
(2) Se x
0
Z, risulta
lim
xx

0
[x] = x
0
1, lim
xx
+
0
[x] = x
0
;
in particolare, se x
0
Z il limite di [x] per x x
0
non esiste (esercizio 3.3.3).
Si ha per`o
lim
x+
[x] = +, lim
x
[x] = .
(I lettori sono invitati a vericare tutte queste aermazioni!)
Osservazione 3.3.4 I limiti sono legati alla continuit`a nel modo seguente.
Sia f : A R, sia x
0
un punto di accumulazione per A. Il punto x
0
pu`o
appartenere o non appartenere ad A. Se x
0
A, si ha che
f continua in x
0
lim
xx
0
f(x) = L R e L = f(x
0
).
Se invece, caso pi` u interessante, x
0
/ A, allora il fatto che il limite esista nito
equivale a dire che possiamo estendere la funzione f allinsieme A x
0
in
modo che lestensione sia continua in x
0
: basta assegnarle in tale punto il
valore del limite. In altre parole, denendo
f(x) =

f(x) se x A
L se x = x
0
,
si ha che
lim
xx
0
f(x) = L f `e continua in x
0
(si confronti con losservazione 3.2.4 (1)).
Esempi 3.3.5 (1) Risulta
lim
x0
sin x
x
= 1;
ci`o segue dalle disuguaglianze
cos x
sin x
x
1 x R ` 0
211
e dal fatto che il primo e il terzo membro tendono a 1 per x 0 (esempio
3.2.5 (3); si veda anche lesercizio 3.3.8). Dunque la funzione
f(x) =

sin x
x
se x R ` 0
1 se x = 0
`e continua nel punto 0. Daltronde questo si poteva vedere anche ricordando
che, per il teorema 2.7.11,
sin x =

n=0
(1)
n
x
2n+1
(2n + 1)!
x R,
da cui
sin x
x
=

n=0
(1)
n
x
2n
(2n + 1)!
x R ` 0;
la serie di potenze a secondo membro ha raggio di convergenza innito, ed
in particolare ha somma uguale a 1 per x = 0. La sua somma in R `e dunque
la funzione f, la quale risulta continua in virt` u dellesempio 3.2.5 (2).
(2) Proviamo che
lim
x0
1 cos x
x
2
=
1
2
.
Si ha (teorema 2.7.11)
cos x =

n=0
(1)
n1
x
2n
(2n)!
x R,
da cui
1 cos x
x
2
=

n=1
(1)
n
x
2n2
(2n)!
x R ` 0.
La serie a secondo membro ha raggio di convergenza innito e nel punto 0
ha somma uguale a 1/2; ne segue che la somma della serie, cio`e la funzione
f(x) =

1 cos x
x
2
se x R ` 0
1
2
se x = 0
212
`e continua per x = 0, e ci`o prova la tesi.
Si noti che la stessa conclusione si poteva ottenere pi` u semplicemente, osser-
vando che
1 cos x
x
2
=
1 cos
2
x
x
2
(1 + cos x)
=

sin x
x

2
1
1 + cos x
,
da cui, per lesempio precedente e per la continuit`a del coseno, esempio 3.2.5
(3),
lim
x0
1 cos x
x
2
=
1
2
.
(3) In modo analogo, utilizzando la serie esponenziale, si prova che
lim
x0
a
x
1
x
= log a a > 0.
I limiti per funzioni di m variabili (m > 1) costituiscono un problema al-
quanto dicile, pi` u che nel caso di una sola variabile: `e spesso pi` u facile
dimostrare che un dato limite non esiste, piuttosto che provarne lesistenza
quando esso esiste. Il motivo `e che in presenza di pi` u variabili il punto x
pu` o avvicinarsi al punto daccumulazione x
0
da varie direzioni, lungo una
qualunque retta o anche lungo traiettorie pi` u complicate. Gli esempi che
seguono illustrano alcune delle possibili situazioni.
Esempi 3.3.6 (1) Vediamo se esiste il limite
lim
(x,y)(0,0)
x
2
y
2
x
2
+ y
2
.
Osservato che x
2
x
2
+ y
2
per ogni (x, y) R
2
, risulta
x
2
y
2
x
2
+ y
2
y
2
[(x, y)[
2
2
e quindi il limite proposto esiste e vale 0.
(2) Esaminiamo ora lesistenza del limite
lim
(x,y)(0,0)
xy
x
2
+ y
2
.
213
In questo caso sia il numeratore che il denominatore sono polinomi di secondo
grado: se ci avviciniamo allorigine lungo la retta y = kx, si ottiene
xy
x
2
+ y
2
=
k
1 + k
2
.
Quindi la funzione che stiamo esaminando assume valore costante su ogni
retta per lorigine, ma la costante cambia da retta a retta: ci`o signica che
in ogni intorno dellorigine la funzione assume tutti i valori
k
1+k
2
con k R,
ossia tutti i valori compresi nellintervallo ] 1, 1[. Dunque essa non ha limite
per (x, y) (0, 0).
(3) Come si comporta la funzione
yx
2
y
2
+x
4
per (x, y) (0, 0)? Se, come
nellesempio precedente, ci restringiamo alle rette y = kx, otteniamo i valori
yx
2
y
2
+ x
4
=
kx
3
k
2
x
2
+ x
4
=
kx
k
2
+ x
2
i quali, per (x, y) (0, 0), tendono a 0 qualunque sia k R. Dunque il limite
della funzione per (x, y) (0, 0), se esiste, deve essere 0. Daltra parte, se
ci si restringe alle parabole y = mx
2
, si ottiene il valore costante
yx
2
y
2
+ x
4
=
m
m
2
+ 1
che varia da parabola a parabola. Di conseguenza, anche in questo caso, il
limite della funzione non esiste.
Dagli esempi precedenti si conclude che non esiste una ricetta sicura e uni-
versale per stabilire lesistenza o la non esistenza di un limite in pi` u variabili:
ogni caso va studiato a parte.
Osservazione 3.3.7 Nel caso speciale m = 2 esiste un metodo abbastanza
ecace in molti casi, basato sullutilizzo delle coordinate polari. Poniamo

x = r cos
y = r sin ,
r 0, [0, 2].
Geometricamente, nel piano xy la quantit`a r `e la distanza del punto (x, y)
dallorigine, mentre il numero `e lampiezza dellangolo che il segmento di
estremi (0, 0) e (x, y) forma con il semiasse positivo delle ascisse (orientato
in verso antiorario).
214
Si noti che la corrispondenza
(r, ) (x, y) non `e biunivo-
ca: tutte le coppie (0, ) rap-
presentano lorigine, e le coppie
(r, 0) e (r, 2) rappresentano lo
stesso punto sul semiasse posi-
tivo delle ascisse. Lapplicazio-
ne (r, ) (x, y) trasforma ret-
tangoli del piano r in settori di
corone circolari del piano xy.
Naturalmente, ricordando la corrispondenza (x, y) x + iy, denita fra R
2
e C, la quale `e bigettiva e preserva le distanze, si vede immediatamente
che la rappresentazione in coordinate polari `e la trasposizione in R
2
della
rappresentazione in forma trigonometrica dei numeri complessi.
Consideriamo allora un limite della forma
lim
(x,y)(0,0)
f(x, y),
ove f `e una funzione reale denita in un intorno di (0, 0), salvo al pi` u (0, 0).
Vale il seguente risultato:
Proposizione 3.3.8 Risulta
lim
(x,y)(0,0)
f(x, y) = L R
se e solo se valgono le seguenti condizioni:
215
(i) per ogni [0, 2] esiste il limite, indipendente da ,
lim
r0
+
f(r cos , r sin ) = L;
(ii) Tale limite `e uniforme rispetto a , vale a dire che per ogni > 0 esiste
> 0 tale che
[f(r cos , r sin ) L[ < r ]0, [, [0, 2].
Dimostrazione Supponiamo che f(x, y) L per (x, y) (0, 0): allora,
per denizione, ssato > 0 esiste > 0 tale che
[f(x, y) L[ < (x, y) B((0, 0), ).
Dato che (r cos , r sin ) B((0, 0), ) per ogni r ]0, [ e per ogni
[0, 2], otteniamo
[f(r cos , r sin ) L[ < r ]0, [, [0, 2],
cosiche valgono (i) e (ii).
Viceversa, per ogni punto (x, y) B((0, 0), ), posto r cos = x e r sin = y,
si ha r ]0, [ e dunque, per (i) e (ii),
[f(x, y) L[ = [f(r cos , r sin ) L[ < ;
ne segue f(x, y) L.
Esempi 3.3.9 (1) Consideriamo il limite
lim
(x,y)(0,0)
2(x
2
+ y
2
)
log[1 + (x
2
+ y
2
)]
.
Utilizzando le coordinate polari si ha
lim
r0
+
2r
2
ln(1 +r
2
)
= 2,
ed il limite `e ovviamente uniforme rispetto a , dato che tale variabile `e
sparita. Si conclude che il limite cercato `e 2.
216
(2) Consideriamo il limite molto simile
lim
(x,y)(0,0)
2(x
2
+ 3y
2
)
ln[1 + (4x
2
+ y
2
)]
.
Con la stessa procedura arriviamo a
lim
r0
+
2r
2
(cos
2
+ 3 sin
2
)
ln[1 + r
2
(4 cos
2
+ sin
2
)]
= 2
cos
2
+ 3 sin
2

4 cos
2
+ sin
2

= 2
1 + 2 sin
2

3 cos
2
+ 1
,
e questo limite dipende da . Ne segue che il limite proposto non esiste.
Il teorema-ponte
Il collegamento fra i limiti di successioni ed i limiti di funzioni `e fornito dal
teorema che segue, il quale ci dar`a modo di dedurre senza colpo ferire tutta
la teoria dei limiti di funzioni dai corrispondenti risultati gi`a dimostrati nel
capitolo 2 per le successioni.
Teorema 3.3.10 (teorema-ponte) Sia A un sottoinsieme di R
m
oppure
di C
m
, sia f : A R e sia x
0
un punto di accumulazione per A. Sia inoltre
L R oppure L = . Si ha
lim
xx
0
f(x) = L
se e solo se per ogni successione x
n
A ` x
0
, convergente a x
0
per
n , risulta
lim
n
f(x
n
) = L.
Dimostrazione (=) Sia ad esempio L R e supponiamo che f(x) L
per x x
0
; sia poi x
n
una successione contenuta in A ` x
0
che tende a
x
0
per n . Per ipotesi, ssato > 0, esiste > 0 tale che
x B(x
0
, ) (A ` x
0
) = [f(x) L[ < ;
daltra parte, poiche x
n
x
0
, esiste N tale che
n = [x
n
x
0
[
m
< .
Inoltre, dato che x
n
= x
0
per ogni n, si ha
x
n
B(x
0
, ) (A ` x
0
) n ,
217
e pertanto
[f(x
n
) L[ < n .
Ci` o prova che f(x
n
) L per n . Se L = la tesi si prova in modo
del tutto simile.
(=) Supponiamo che L R, e che si abbia lim
n
f(x
n
) = L per qualun-
que successione x
n
contenuta in A ` x
0
tendente a x
0
per n . Se,
per assurdo, non fosse vero che f(x) tende a L per x x
0
, esisterebbe > 0
tale che per ogni > 0 si troverebbe un punto x

A ` x
0
per il quale
avremmo
[x

x
0
[
m
< ma [f(x

) L[ .
Scegliendo = 1/n, potremmo allora costruire una successione x
n
A `
x
0
tale che
[x
n
x
0
[
m
<
1
n
ma [f(x
n
) L[ n N
+
.
Si avrebbe perci`o che x
n
A ` x
0
, x
n
x
0
ma f(x
n
) non tenderebbe
a L, contro lipotesi. Dunque
lim
xx
0
f(x) = L.
Il caso L = `e del tutto analogo.
Osservazioni 3.3.11 (1) Il teorema-ponte vale anche nel caso in cui m = 1,
A R e x (esercizio 3.3.11).
(2) Dal teorema-ponte si deduce che una funzione f : A R `e continua nel
punto x
0
A se e solo se per ogni successione x
n
A convergente a x
0
risulta
lim
n
f(x
n
) = f(x
0
).
Esempio 3.3.12 Calcoliamo il limite notevole
lim
y0
log
b
(1 + y)
y
,
ove b > 0, b = 1. Utilizzeremo il teorema-ponte. Sia y
n
una successione
innitesima tale che y
n
= 0 per ogni n. Posto, per ogni n, x
n
= log
b
(1 +y
n
),
risulta
y
n
= b
xn
1,
218
e quindi
log
b
(1 +y
n
)
y
n
=
x
n
b
xn
1
;
dalle propriet`a di y
n
segue (per la continuit`a del logaritmo, esempio 3.2.5
(5)) che x
n
`e innitesima e che x
n
= 0 per ogni n. Tenuto conto dellesem-
pio 3.3.5 (3) e del teorema-ponte, otteniamo
lim
n
log
b
(1 +y
n
)
y
n
= lim
n
x
n
b
xn
1
=
1
log b
,
e pertanto, ancora dal teorema-ponte,
lim
y0
log
b
(1 +y)
y
=
1
log b
.
Per un altro modo di calcolare tale limite si veda lesercizio 3.3.10.
Dal teorema-ponte e dai corrispondenti risultati esposti nel teorema 2.1.11
seguono le usuali propriet`a algebriche dei limiti:
Proposizione 3.3.13 Sia A un sottoinsieme di R
m
oppure di C
m
, sia x
0
un punto daccumulazione per A e siano f, g : A R funzioni tali che
lim
xx
0
f(x) = L, lim
xx
0
g(x) = M,
con L, M R. Allora:
(i) lim
xx
0
[f(x) + g(x)] = L + M;
(ii) lim
xx
0
[f(x)g(x)] = LM;
(iii) se M = 0, lim
xx
0
f(x)
g(x)
=
L
M
.
Si tenga ben presente che nei casi in cui L, oppure M, o entrambi, valgono 0
e , ci si pu`o imbattere in forme indeterminate del tipo +, 0(),
0/0, /; in tutti questi casi pu`o succedere letteralmente di tutto (esercizi
3.3.15, 3.3.16, 3.3.17 e 3.3.18).
219
Esercizi 3.3
1. Si provi che la funzione f(x) =
x
|x|
non ha limite per x 0 (in R); si
provi poi che, analogamente, la funzione f(x) =
x
|x|m
non ha limite per
x 0 (in R
m
).
2. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
lim
x2
x
2
, lim
x4
1
x
, lim
x0
1
x
, lim
x0
1
[x[
, lim
x0

1
x
, lim
x3
6
x
6
3
x 3
.
3. Sia f :]a, b[R, sia x
0
]a, b[. Provare che
lim
xx
0
f(x) = L lim
xx

0
f(x) = L e lim
xx
+
0
f(x) = L.
4. Dimostrare che
lim
xx
0
f(x) = L = lim
xx
0
[f(x)[ = [L[;
`e vero il viceversa?
5. In quali punti x
0
R la funzione
h(x) =

1 se x Q
0 se x R ` Q
ha limite?
6. Posto
f(x) =

x se x Q

[x[ se x R ` Q,
calcolare, se esistono, i limiti
lim
x+
f(x), lim
x
f(x).
7. (Teorema di permanenza del segno) Sia f : A R, sia x
0
un punto
daccumulazione per A. Si provi che se
lim
xx
0
f(x) > 0
allora esiste una palla B(x
0
, R) tale che
f(x) > 0 x B(x
0
, R) (A ` x
0
).
220
8. (Monotonia dei limiti) Siano f, g : A R, sia x
0
un punto daccumu-
lazione per A. Si provi che se f(x) g(x) in una palla B(x
0
, R) `x
0
,
allora si ha
lim
xx
0
f(x) lim
xx
0
g(x),
sempre che tali limiti esistano.
9. Provare che il limite di una funzione in un punto, se esiste, `e unico.
10. (Limiti di funzioni composte) Sia f : A R
m
R, sia x
0
un punto
daccumulazione per A e sia
lim
xx
0
f(x) = y
0
R.
Sia poi B R tale che B f(A) e supponiamo che y
0
sia punto
daccumulazione per B. Sia inne g : B R tale che
lim
yy
0
g(y) = L [, +].
Si provi che se vale una delle due condizioni seguenti:
(a) y
0
B e g `e continua in y
0
, oppure
(b) f(x) = y
0
in un intorno di x
0
,
allora
lim
xx
0
g(f(x)) = L.
Si provi inoltre che ci`o `e falso in generale se non valgono ne (a) ne (b).
11. Enunciare e dimostrare il teorema-ponte nel caso in cui A R sia
illimitato superiormente o inferiormente e x tenda a + oppure .
12. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
lim
x0
tan x
x
, lim
x0
1 cos x
sin
2
x
, lim
x0
sin x x
x
3
, lim
x0
sin x tan x
x
3
cos x
.
221
13. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
(i) lim
x1

x + 1
x 2

2
, (ii) lim
x2
sin x
x 2
, (iii) lim
x1

1
x + 1

1
(x + 1)
2

,
(iv) lim
x0
3x
1 e
2x
, (v) lim
x+
x
1/x
, (vi) lim
x

1
1
x

3x
,
(vii) lim
x+
3x
1 e
2x
, (viii) lim
x0
+
x
x
, (ix) lim
x+
log(1 + x
3
)
x
2
,
(x) lim
x0
+
sin

x
x
, (xi) lim
x0
+
x
1/x
, (xii) lim
x+

1
1
x

3x
.
14. Dimostrare che
lim
x0
+
x

log x = 0 > 0, lim


x+
log x
x

= 0 > 0.
15. Si costruiscano quattro coppie di funzioni f(x), g(x) tali che:
(a) valga lim
xx
0
f(x) = + e lim
xx
0
g(x) = ,
(b) per il limite della dierenza f(x) g(x) valga una delle seguenti
quattro situazioni:
lim
xx
0
[f(x) g(x)] = +, lim
xx
0
[f(x) g(x)] = ,
lim
xx
0
[f(x) g(x)] = R, lim
xx
0
[f(x) g(x)] non esiste.
16. Analogamente allesercizio 3.3.15, si forniscano esempi che illustrino
tutti i casi possibili per il limite di f(x)g(x) quando lim
xx
0
f(x) = 0
e lim
xx
0
g(x) = .
17. Analogamente allesercizio 3.3.15, si forniscano esempi che illustrino
tutti i casi possibili per il limite di
f(x)
g(x)
quando lim
xx
0
f(x) = 0 e
lim
xx
0
g(x) = 0.
18. Analogamente allesercizio 3.3.15, si forniscano esempi che illustrino
tutti i casi possibili per il limite di
f(x)
g(x)
quando lim
xx
0
f(x) = e
lim
xx
0
g(x) = .
222
19. Sia I un intervallo di R e sia f : I R una funzione. Diciamo che f `e
crescente in I se
x, x

I, x < x

= f(x) f(x

);
diciamo che f `e strettamente crescente in I se
x, x

I, x < x

= f(x) < f(x

).
Diciamo poi che f `e decrescente, oppure strettamente decrescente, in I,
se
x, x

I, x < x

= f(x) f(x

) oppure f(x) > f(x

).
Una funzione crescente, o decrescente, in I si dir`a monotona; una fun-
zione strettamente crescente, o strettamente decrescente, in I si dir`a
strettamente monotona. Si provi che se f `e monotona in I allora per
ogni x
0

I
esistono (niti) i limiti destro e sinistro
f(x
+
0
) = lim
xx
+
0
f(x), f(x

0
) = lim
xx

0
f(x),
e che

f(x

0
) f(x
0
) f(x
+
0
) se f `e crescente
f(x

0
) f(x
0
) f(x
+
0
) se f `e decrescente.
20. Sia A un sottoinsieme di R
m
o di C
m
, sia x
0
un punto di A e sia
f : A R una funzione. Il massimo limite ed il minimo limite di f
per x x
0
sono i numeri m, [, +] cos` deniti:
m = lim
r0
+
sup
xB(x
0
,r)
f(x), = lim
r0
+
inf
xB(x
0
,r)
f(x);
essi si denotano con le scritture
m = limsup
xx
0
f(x), = liminf
xx
0
f(x).
Si verichi che
(i) liminf
xx
0
f(x) limsup
xx
0
f(x);
223
(ii) si ha liminf
xx
0
f(x) = limsup
xx
0
f(x) se e solo se esiste, nito
o innito, lim
xx
0
f(x), ed in tal caso
liminf
xx
0
f(x) = limsup
xx
0
f(x) = lim
xx
0
f(x).
21. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
lim
(x,y)(0,0)
sin xy
x
2
+ y
2
, lim
(x,y)(0,0)
1 cos xy
x
2
+ y
2
, lim
(x,y)(0,0)
e
(x+y)
2
1

x
2
+ y
2
,
lim
(x,y)(0,0)
x
2
y
2
x
2
+ y
4
, lim
(x,y)(0,0)
x
2
y
x
2
y
, lim
(x,y)(0,0)
y
2
+ x + y
x
2
+ x + y
.
22. (i) Posto f(x, y) =
x
2
x
2
+y
2
, si provi che esistono, e sono diversi fra loro,
i due limiti
lim
y0

lim
x0
f(x, y)

, lim
x0

lim
y0
f(x, y)

.
(ii) Posto invece f(x, y) =
xy
x
2
+y
2
, si provi che i due limiti esistono e
sono uguali, ma che non esiste il
lim
(x,y)(0,0)
f(x, y).
(iii) Posto inne
f(x, y) =

y sin
1
x
+ x sin
1
y
se x = 0 e y = 0
0 se x = 0 oppure y = 0,
si provi che esiste il terzo limite, ma non i primi due.
3.4 Propriet`a delle funzioni continue
Le funzioni continue a valori reali hanno svariate propriet`a legate allordina-
mento di R. Il primo risultato riguarda funzioni denite su insiemi compatti
(osservazione 3.1.20), i quali, visto che consideriamo funzioni denite in R
m
o C
m
, sono limitati e chiusi (teorema 3.1.19).
224
Teorema 3.4.1 (di Weierstrass) Sia A R
m
(oppure A C
m
) un insie-
me compatto non vuoto, e sia f : A R una funzione continua. Allora f `e
limitata in A ed assume massimo e minimo su A.
Dimostrazione Sia L = sup
A
f; pu`o essere L = +, oppure L R. In
ogni caso dalle propriet`a dellestremo superiore segue che esiste y
n
f(A)
tale che y
n
L per n : infatti, se L = +nessun n N `e maggiorante
per f(A) e quindi esiste y
n
f(A) tale che y
n
> n, mentre se L R nessun
numero della forma L
1
n
`e maggiorante per f(A) e quindi esiste y
n
f(A)
tale che L
1
n
< y
n
L.
Poiche y
n
f(A), per ogni n esiste x
n
A tale che f(x
n
) = y
n
. La
successione x
n
`e dunque contenuta in A. Dato che A `e compatto, esiste
una sottosuccessione x
n
k
estratta da x
n
che converge per k ad un
punto x A: essendo f continua, si deduce che f(x
n
k
) = y
n
k
converge a
f(x) per k .
Daltra parte, poiche y
n
k
`e una sottosuccessione della successione y
n
che
convergeva a L, anche y
n
k
deve tendere a L per k . Per lunicit`a del
limite (esercizio 3.3.9), si ha L = f(x). In particolare, essendo f a valori in
R, si ha L R e dunque f `e limitata superiormente; inoltre L f(A), cio`e
L `e un massimo.
In modo del tutto analogo si prova che f `e limitata inferiormente e che ha
minimo in A.
Osservazioni 3.4.2 (1) Il pun-
to di massimo, cos` come quello
di minimo, non `e necessariamente
unico!
(2) Il teorema di Weierstrass `e
falso se togliamo una qualunque
delle sue ipotesi:
linsieme A = [0, [ `e chiuso ma non limitato e la funzione f(x) = x `e
continua in A ma non limitata;
linsieme A =]0, 1] `e limitato ma non chiuso e la funzione f(x) =
1
x
`e
continua ma non limitata;
nellinsieme compatto A = [0, 2] la funzione f(x) = x [x] non `e
continua e non ha massimo.
225
Il risultato che segue riguarda funzioni denite su una palla B(x
0
, R) di R
m
o di C
m
.
Teorema 3.4.3 (di esistenza degli zeri) Sia f : B(x
0
, R) R una fun-
zione continua, e supponiamo che esistano a
1
, b
1
B(x
0
, R) tali che f(a
1
) <
0, f(b
1
) > 0. Allora esiste almeno un punto x B(x
0
, R) tale che f(x) = 0.
Dimostrazione Supponiamo dapprima m = 1 e B(x
0
, R) R, cosicche
B(x
0
, R) =]x
0
R, x
0
+ R[ (il fatto che tale intervallo sia aperto non ha
comunque nessuna importanza nellargomento che segue). Si ha f(a
1
) < 0 <
f(b
1
) e possiamo anche supporre che a
1
< b
1
, perche in caso contrario basta
considerare f al posto di f.
Dividiamo in due parti uguali lintervallo [a
1
, b
1
] mediante il punto medio
1
2
(a
1
+ b
1
): se f si annulla proprio in tale punto abbiamo nito e la tesi `e
provata, altrimenti per uno (ed uno solo) dei due intervalli [a
1
,
1
2
(a
1
+ b
1
)],
[
1
2
(a
1
+b
1
), b
1
] si avr`a la stessa situazione di partenza, ossia la f sar`a negativa
nel primo estremo e positiva nel secondo. Indicheremo tale intervallo con
[a
2
, b
2
]: dunque abbiamo costruito un intervallo [a
2
, b
2
] tale che
[a
2
, b
2
] [a
1
, b
1
], b
2
a
2
=
1
2
(b
1
a
1
), f(a
2
) < 0 < f(b
2
).
In modo analogo si divide in due parti uguali lintervallo [a
2
, b
2
]: se f si
annulla nel punto medio
1
2
(a
2
+ b
2
) abbiamo nito, altrimenti si va avanti.
Ci sono due possibilit`a:
(1) dopo un numero nito di suddivisioni, si trova che la f si annulla proprio
nelln-simo punto medio
1
2
(a
n
+ b
n
) e in tal caso la tesi `e provata;
(2) per ogni n N
+
si costruisce un intervallo [a
n
, b
n
] tale che
[a
n
, b
n
] [a
n1
, b
n1
], b
n
a
n
=
1
2
(b
n1
a
n1
), f(a
n
) < 0 < f(b
n
).
Consideriamo, nel caso (2), le due successioni a
n
e b
n
: esse sono limita-
te, perche contenute in ]x
0
R, x
0
+ R[, e monotone, crescente la prima e
decrescente la seconda. Siano allora
= lim
n
a
n
, L = lim
n
b
n
:
poiche a
n
< b
n
per ogni n, sar`a L; dato che b
n
a
n
= 2
n+1
(b
1
a
1
) 0,
sar`a = L.
226
Poniamo x = = L e proviamo che x `e il punto cercato. Dalle disuguaglianze
f(a
n
) < 0 < f(b
n
) e dalla continuit`a di f otteniamo, per n , f(x)
0 f(x), ossia f(x) = 0. La tesi `e provata nel caso m = 1.
Se m > 1, o anche se m = 1 e B(x
0
, R) C, ci si riconduce al caso precedente
introducendo la funzione
g(t) = f(ta
1
+ (1 t)b
1
), t [0, 1].
I punti ta
1
+ (1 t)b
1
per t [0, 1] descrivono, come sappiamo (paragrafo
1.11), il segmento di estremi a
1
e b
1
: quindi sono contenuti in B(x
0
, R).
Inoltre g `e continua (esercizio 3.2.1), e verica g(0) = f(b
1
) > 0, g(1) =
f(a
1
) < 0. Per la parte gi`a dimostrata, esiste t

[0, 1] tale che g(t

) = 0;
posto allora x

= t

a
1
+(1 t

)b
1
, si ottiene x

B(x
0
, R) e f(x

) = 0. La
tesi `e provata.
Osservazione 3.4.4 Il teorema di esistenza degli zeri vale in ipotesi molto
pi` u generali sullinsieme di denizione di f: basta che esso sia connesso, cio`e
non fatto di due o pi` u pezzi staccati; pi` u rigorosamente, un sottoinsieme
E di R
m
o di C
m
`e connesso se non `e possibile trovare due aperti non vuoti e
disgiunti A e B tali che E = (AB)E. Si pu`o far vedere che un sottoinsieme
E di R
m
o di C
m
`e connesso se, dati due punti a, b E, ci si pu`o muovere
con continuit`a da a a b (non necessariamente in modo rettilineo) senza mai
uscire dallinsieme E.
Se f `e continua in A ma A non `e connesso, il teorema 3.4.3 `e ovviamente
falso: per esempio, la funzione f : [0, 1] [2, 3] R denita da
f(x) =

1 se 0 x 1
1 se 2 x 3
`e continua, prende valori sia positivi che negativi ma non `e mai nulla.
Dal teorema di esistenza degli zeri segue senza troppa fatica un risultato assai
pi` u generale:
Corollario 3.4.5 (teorema dei valori intermedi) Se A `e un sottoinsie-
me connesso di R
m
o di C
m
e se f : A R `e continua, allora f assume tutti
i valori compresi fra il suo estremo superiore e il suo estremo inferiore.
Dimostrazione Sia y ] inf
A
f, sup
A
f[; dobbiamo provare che esiste x
A tale che f(x) = y. Dato che inf
A
f < y < sup
A
f, per le propriet`a
dellestremo superiore e dellestremo inferiore esistono a, b A tali che
inf
A
f f(a) < y < f(b) sup
A
f.
227
Poniamo ora g(x) = f(x) y: la funzione g `e continua e verica g(a) < 0 <
g(b). Poiche A `e connesso, per il teorema di esistenza degli zeri esiste x A
tale che g(x) = 0, ossia f(x) = y. La tesi `e provata.
Siamo ora in grado di dimostrare il teorema 1.12.12 relativo alla misura
in radianti degli angoli orientati, enunciato nel paragrafo 1.12, e che qui
richiamiamo:
Teorema 1.12.12 Per ogni [0, 2[ esiste un unico numero complesso w,
di modulo unitario, tale che
(
+
(1, w)) = 2a(
+
(1, w)) = .
La funzione g(w) = (
+
(1, w)) `e bigettiva da S(0, 1) in [0, 2[ ed `e surgettiva
da C`0 in [0, 2[. Se w C`0, il numero = (
+
(1, w)) si dice misura
in radianti dellangolo individuato dai punti 0, 1,
w
|w|
.
Dimostrazione Useremo le notazioni stabilite nel paragrafo 1.12. Poniamo
g(w) = (
+
(1, w)) = 2 a(
+
(1, w)), w
+
(1, i).
Dal corollario 1.12.11 segue che
[v w[ < [(
+
(1, v)) (
+
(1, w))[

2[v w[ v, w
+
(1, i);
ci`o mostra che g :
+
(1, i) [0, /2] `e continua e iniettiva. Inoltre, larco

+
(1, i) `e un insieme connesso. In particolare,
g(1) = (
+
(1, 1)) = 0, g(i) = (
+
(1, i)) =
1
4
(S(0, 1)) =

2
;
quindi, per il teorema dei valori intermedi, g `e anche surgettiva. Notiamo che
la disuguaglianza sopra scritta ci dice che linversa g
1
: [0, /2]
+
(1, i) `e
pure continua.
La funzione g(w) = (
+
(1, w)) `e poi ben denita per ogni w S(0, 1), a
valori in [0, 2[; verichiamo che essa `e ancora continua (salvo che nel punto
1) e surgettiva. A questo scopo osserviamo che, in virt` u della proposizione
1.12.10 e dellesercizio 1.12.4, per w
+
(i, 1) si ha
g(w) = (
+
(1, w)) = (
+
(1, i)) + (
+
(i, w)) =
=

2
+ (
+
(1, iw)) =

2
+ g(iw).
228
Poiche iw
+
(1, i), per quanto gi`a dimostrato (e per la continuit`a di
w iw) la funzione w g(iw) `e continua, e vale /2 nel punto w = i;
dunque g `e continua su
+
(1, 1) e, in particolare, g(1) = .
Se, inne, w
+
(1, 1) ` 1, allora
g(w) = (
+
(1, w)) = (
+
(1, 1)) + (
+
(1, w)) =
= + (
+
(1, w)) = + g(w);
essendo w
+
(1, 1), la funzione w g(w) `e continua; dunque anche
g : S(0, 1) ` 1 [0, 2[ `e continua. Poiche inoltre g assume il valore nel
punto w = 1, si ricava
sup
wS(0,1)
g(w) = sup
z
+
(1,1)
g(z) + = 2.
Ci` o prova che g : S(0, 1) [0, 2[ `e surgettiva. Osserviamo che
lim
w

(1,i), w1
g(w) = 2, lim
w
+
(1,i), w1
g(w) = 0,
cosicche g `e discontinua nel punto 1 S(0, 1).
Il teorema 1.12.12 `e completamente dimostrato.
Funzioni continue invertibili
Consideriamo una funzione f : A R R continua e iniettiva; ci chiediamo
se anche la funzione inversa f
1
: f(A) A `e continua.
Si vede facilmente che in generale
la risposta `e no: ad esempio, sia
A = [0, 1]]2, 3] e sia
f(x) =

x se x [0, 1]
x 1 se x ]2, 3].
Chiaramente, f `e iniettiva e
f(A) = [1, 2]. Determiniamo la
funzione inversa f
1
risolvendo ri-
spetto a x lequazione y = f(x).
Si ha
y = f(x) =

x se x [0, 1]
x 1 se x ]2, 3].
x =

y se y [0, 1]
y + 1 se y ]1, 2],
229
e il graco di f
1
si ottiene per
simmetria rispetto alla bisettrice
y = x (osservazione 1.3.1). Si ri-
conosce allora che f `e continua
in tutti i punti, compreso x = 1,
mentre f
1
`e discontinua nel pun-
to x = f(1) = 1.
Sotto opportune ipotesi sullinsie-
me A, per`o, lesistenza e la con-
tinuit`a di f
1
sono garantite dal
seguente risultato.
Teorema 3.4.6 Sia I un intervallo di R (limitato o no). Se f : I R `e
continua e iniettiva, allora:
(i) f `e strettamente monotona;
(ii) f(I) `e un intervallo;
(iii) f
1
: f(I) I `e ben denita e continua.
Dimostrazione (i) Sia [a, b] un arbitrario sottointervallo di I. Confron-
tiamo f(a) e f(b): se si ha f(a) < f(b), proveremo che f `e strettamente
crescente in [a, b], mentre se f(a) > f(b) proveremo che f `e strettamente
decrescente in [a, b]; leventualit`a f(a) = f(b) `e vietata dalliniettivit`a di f.
Supponiamo ad esempio f(a) < f(b) (il caso opposto `e del tutto analogo).
Siano c, d punti di [a, b] tali che c < d e ammettiamo, per assurdo, che sia
f(c) f(d). Consideriamo le funzioni (ovviamente continue)
x(t) = a + t(c a), y(t) = b + t(d b), t [0, 1].
Osserviamo che
f(x(0)) = f(a) < f(b) = f(y(0)), f(x(1)) = f(c) f(d) = f(y(1)).
Quindi, introdotta la funzione
F(t) = f(y(t)) f(x(t)), t [0, 1],
F `e una funzione continua (esercizio 3.2.1) tale che F(0) > 0 F(1). Per
il teorema di esistenza degli zeri (teorema 3.4.3), esister`a allora un punto
230
t

]0, 1] tale che F(t

) = 0, ossia f(x(t

)) = f(y(t

)): essendo f iniettiva si


deduce x(t

) = y(t

), cio`e t

(d c) + (1 t

)(b a) = 0. Dato che b > a e


d > c, ci`o `e assurdo.
Pertanto f(c) < f(d) e dunque f `e strettamente crescente in [a, b].
Se ora [a
1
, b
1
] `e un intervallo tale che [a, b] [a
1
, b
1
] I, la f `e strettamente
crescente anche in [a
1
, b
1
]: se infatti fra a
1
e a vi fosse un punto x
1
con
f(x
1
) f(a), per il teorema dei valori intermedi f assumerebbe lo stesso
valore in un altro punto x a, violando cos` liniettivit`a. Per larbitrariet`a
di [a
1
, b
1
] I, si ottiene allora che f `e strettamente crescente in I.
(ii) Per il teorema dei valori intermedi (corollario 3.4.5) si ha

inf
I
f, sup
I
f

f(I),
mentre, per denizione di estremo superiore ed estremo inferiore,
f(I)

inf
I
f, sup
I
f

.
Dunque f(I) `e un intervallo (che indicheremo con J) di estremi inf
I
f e
sup
I
f: esso pu`o comprendere, o no, uno o entrambi gli estremi.
(iii) Anzitutto, f
1
`e ovviamente ben denita su J ed `e una funzione stretta-
mente monotona (crescente se f `e crescente, decrescente se f `e decrescente),
e f
1
(J) = I. Sia y
0
un punto interno a J, e poniamo
= lim
yy

0
f
1
(y), L = lim
yy
+
0
f
1
(y);
questi limiti esistono certamente poiche f
1
`e monotona. Inoltre si ha
(esercizio 3.3.19)
f
1
(y
0
) L se f `e crescente,
f
1
(y
0
) L se f `e decrescente.
Dimostriamo che = L: dato che f `e continua nei punti e L, si ha
f() = lim
yy

0
f(f
1
(y)) = lim
yy

0
y = y
0
, f(L) = lim
yy
+
0
f(f
1
(y)) = lim
yy
+
0
y = y
0
,
cosicche f() = f(L) e dunque, per liniettivit`a, = L = f
1
(y
0
), cio`e
lim
yy
0
f
1
(y) = f
1
(y
0
)).
231
Quindi f
1
`e continua in y
0
.
Se y
0
`e un estremo di J, largomento sopra esposto si ripete in modo ancor
pi` u semplice.
Osservazione 3.4.7 Il teorema precedente `e di gran lunga il caso pi` u im-
portante, ma la continuit`a di f
1
si ottiene anche nel caso in cui la funzio-
ne continua ed iniettiva f sia denita su un insieme A compatto: vedere
lesercizio 3.4.1.
Esempi 3.4.8 (1) La funzione f(x) = sin x `e continua ma non certo iniet-
tiva; tuttavia la sua restrizione allintervallo [/2, /2] `e iniettiva, essendo
strettamente crescente. La funzione inversa di tale restrizione si chiama ar-
coseno e si scrive f
1
(y) = arcsin y. Essa `e denita su [1, 1], `e a valori in
[/2, /2] ed `e continua per il teorema 3.4.6. Si noti che
sin(arcsin x) = x x [1, 1],
arcsin(sin x) = (1)
k
(x k) x

2
+ k,

2
+ k

, k Z.
(2) La restrizione della funzione cos x allintervallo [0, ] `e continua e stret-
tamente decrescente, quindi iniettiva. Linversa di tale restrizione si chiama
arcocoseno e si scrive arccos x; essa `e denita su [1, 1], `e a valori in [0, ] ed
`e continua per il teorema 3.4.6. Si noti che
cos(arccos x) = x x [1, 1],
arccos(cos x) = (1)
k
(x (k +
1
2
)) +

2
x [k, (k + 1)], k Z.
232
(3) La restrizione della funzione
tan x allintervallo ] /2, /2[ `e
continua e strettamente crescente,
quindi iniettiva (ed anche surgetti-
va su R). Linversa di tale restrizio-
ne si chiama arcotangente e si scrive
arctan x; essa `e denita su R, `e a va-
lori in ] /2, /2[ ed `e continua per
il teorema 3.4.6. Si noti che
tan(arctan x) = x x R,
arctan(tan x) = x k
x

2
+ k,

2
+ k

, k Z.
(4) Sia b > 0, b = 1. La funzione log
b
x, che `e linversa della funzione con-
tinua b
x
, `e continua per il teorema 3.4.6, ma lo sapevamo gi`a (esempio 3.2.5
(5)).
(5) Se n N, la funzione x
2n+1
`e continua e strettamente crescente su R,
dunque `e iniettiva (ed anche surgettiva su R). La funzione inversa `e quindi
233
denita e continua su R, a valori in R ed `e la funzione radice (2n + 1)-sima:
x = y
1
2n+1
y = x
2n+1
.
La radice (2n + 1)-sima ora denita `e il prolungamento a tutto R della fun-
zione y y
1
2n+1
, che fu introdotta per y 0 nel paragrafo 1.8.
Ricordiamo a questo proposito che in campo complesso le radici (2n+1)-sime
di un numero reale y sono 2n + 1: una `e reale, ed `e y
1
2n+1
, le altre 2n non
sono reali e sono a due a due coniugate (esercizio 1.12.23).
Esercizi 3.4
1. Sia f : R R continua e tale che
lim
x
f(x) < 0, lim
x+
f(x) > 0.
Provare che esiste x R tale che f(x) = 0.
2. Sia f una funzione continua denita in [0, 1] a valori in Q, tale che
f(0) = 23. Si calcoli f(e 2).
3. Sia f : [a, b] [a, b] continua. Si provi che f ha almeno un punto sso,
cio`e esiste x
0
[a, b] tale che f(x
0
) = x
0
.
234
4. Supponiamo che la temperatura allequatore sia, ad un dato istante,
una funzione continua della longitudine. Si dimostri che esistono in-
nite coppie di punti (P, P

) situati lungo lequatore, tali che la tempe-


ratura in P e la temperatura in P

siano uguali fra loro; si provi inoltre


che una almeno di tali coppie `e formata da due localit`a diametralmente
opposte.
5. Stabilire se le seguenti funzioni sono invertibili oppure no:
(i) f(x) = x + e
x
, x R; (ii) f(x) = e
x
x, x R;
(iii) f(x) = x
2
+ x, x R; (iv)f(x) = sin
x
1+|x|
, x R;
(v) f(x) = arctan
3
x, x R; (vi) f(x) = x
3
x, x R;
(vii) f(x) = sin
3
x, x [

2
,

2
], (viii) f(x) = sin x
3
, x [

2
,

2
].
6. Sia f : A R R continua e iniettiva. Se A `e compatto, si provi che
f
1
`e continua.
[Traccia: si mostri che per ogni y
n

nN
f(A), convergente ad un
ssato y f(A), risulta f
1
(y
n
) f
1
(y).]
7. Sia f(x) = x
3
+ x + 1, x R. Si provi che f : R R `e bigettiva e si
calcoli, se esiste, il limite
lim
y+
f
1

3y
y + 4

.
8. Provare che
arcsin x + arccos x =

2
x [1, 1],
arctan x + arctan
1
x
=

/2 se x > 0,
/2 se x < 0.
9. Dimostrare la relazione
arctan u arctan v = arctan
u v
1 + uv
per ogni u, v R con [ arctan u arctan v[ <

2
.
[Traccia: utilizzare la formula di sottrazione per la funzione tangente.]
235
10. Provare che
arctan
1
n
2
+ n + 1
= arctan
1
n
arctan
1
n + 1
n N
+
,
e calcolare di conseguenza la somma della serie

n=1
arctan
1
n
2
+n+1
.
11. (i) Trovare una funzione continua f : R R tale che per ogni c R
lequazione f(x) = c abbia esattamente tre soluzioni.
(ii) Provare che non esiste alcuna funzione continua f : R R tale
che per ogni c R lequazione f(x) = c abbia esattamente due
soluzioni.
(iii) Per quali n N `e vero che esiste una funzione continua f : R R
tale che per ogni c R lequazione f(x) = c abbia esattamente n
soluzioni?
12. (i) Provare che per ogni k Z lequazione tan x = x ha nellintervallo
]k /2, k + /2[ una e una sola soluzione x
k
.
(ii) Dimostrare che
lim
k

x
k
k +

2

= 0, lim
k+

x
k
k

2

= 0.
13. (i) Provare che per ogni n N
+
i graci delle due funzioni e
x
e x
n
si incontrano nel primo quadrante in un unico punto (x
n
, y
n
), con
x
n
, y
n
]0, 1[.
(ii) Provare che la successione x
n
`e crescente e che la successione
y
n
`e decrescente.
(iii) Calcolare i limiti
lim
n
x
n
, lim
n
y
n
.
14. Provare che la funzione f(x) = arccos
x1
x
`e iniettiva sullinsieme A dove
`e denita; determinare limmagine f(A) e scrivere la funzione inversa
f
1
.
15. (i) Vericare che le relazioni
tan x =
1
x
, k < x < (k + 1), k Z,
deniscono univocamente una successione reale x
k

kZ
.
236
(ii) Provare che
0 < x
k+1
x
k
< k N, lim
k+
(x
k
k) = 0.
(iii) Per quali > 0 la serie

k=0
(x
k
k)

`e convergente?
3.5 Asintoti
Sia [a, b] un intervallo di R e sia x
0
]a, b[. Data una funzione f : [a, b] `
x
0
R, si dice che la retta di equazione x = x
0
`e un asintoto verticale di
f per x x
+
0
, oppure per x x

0
, se risulta
lim
xx
+
0
f(x) = , oppure lim
xx

0
f(x) = .
Data una funzione reale f denita sulla semiretta ] , a], oppure sulla
semiretta [a, +[, si dice che la retta di equazione y = px + q `e un asintoto
obliquo di f (ovvero un asintoto orizzontale di f quando p = 0) per x ,
oppure per x +, se risulta
lim
x
[f(x) px q] = 0, oppure lim
x+
[f(x) px q] = 0.
Per scoprire se una data funzione f ha un asintoto obliquo, ad esempio, per
x +, bisogna controllare lesistenza di tre limiti, e cio`e vericare se:
(i) lim
x+
f(x) = ;
(ii) lim
x+
f(x)
x
= p R ` 0;
(iii) lim
x+
[f(x) px] = q R.
Se i tre limiti esistono, allora lasintoto `e la retta di equazione y = px + q.
Viceversa, se f ha, per x +, lasintoto obliquo di equazione y = px +q,
allora ovviamente valgono (i), (ii) e (iii).
Invece, per vedere se la funzione f ha un asintoto orizzontale per x +,
`e necessario e suciente che si abbia
lim
x+
f(x) = L R.
237
Esercizi 3.5
1. Determinare, se esistono, gli asintoti delle seguenti funzioni:
(i)

1 + x
2
, (ii) log x, (iii)
x
4
+ 1
x
3
, (iv) arcsin
x
2
x
2
+ 1
,
(v)

x + 1
x 1
, (vi) e
1/x
, (vii) [x 2[, (viii) arctan
e
x
e
x
1
,
(ix)
sin x
x
, (x) x log x, (xi)

[x
2
1[, (xii) arccos e
2|x|+x
.
2. Sia f : [a, +[ R tale che
f(x)
x
p per x +, con p R ` 0.
La funzione f ha necessariamente un asintoto obliquo per x +?
238
Capitolo 4
Calcolo dierenziale
4.1 La derivata
Sia f :]a, b[R una funzione e sia G R
2
il suo graco:
G = (x, y) R
2
: x [a, b], y = f(x).
Fissiamo x
0
]a, b[: vogliamo dare un
signicato preciso alla nozione intui-
tiva di retta tangente a G nel punto
P = (x
0
, f(x
0
)) (sempre che tale ret-
ta esista).
Consideriamo un altro punto Q = (x
0
+
h, f(x
0
+ h)) G, ove h `e un numero
reale abbastanza piccolo da far s` che
x
0
+h ]a, b[. Tracciamo la retta secan-
te il graco passante per P e Q: come
si verica facilmente, essa ha equazione
y = f(x
0
) +
f(x
0
+ h) f(x
0
)
h
(xx
0
).
Al tendere di h a 0, se f `e continua in x
0
il punto Q tende, lungo il graco
G, al punto P; dunque lintuizione geometrica ci dice che la retta secante
tende verso una posizione limite che `e quella della retta tangente a G in
P; ma lintuizione geometrica ci dice anche che questa posizione limite pu`o
non esistere.
239
Diamo allora la seguente denizione che ci permetter`a di attribuire un signi-
cato preciso al termine retta tangente.
Denizione 4.1.1 Sia f :]a, b[ R e sia x
0
]a, b[. Diciamo che f `e
derivabile nel punto x
0
se il rapporto incrementale di f in x
0
, ossia la
quantit`a
f(x
0
+ h) f(x
0
)
h
,
ha limite nito per h 0. Tale limite si chiama derivata di f in x
0
e si
indica col simbolo f

(x
0
), oppure Df(x
0
):
f

(x
0
) = Df(x
0
) = lim
h0
f(x
0
+ h) f(x
0
)
h
.
Diciamo poi che f `e derivabile in ]a, b[ se f `e derivabile in ogni punto di
]a, b[.
Osservazioni 4.1.2 (1) Con notazione equivalente, f `e derivabile nel punto
x
0
se e solo se esiste nito il limite
lim
xx
0
f(x) f(x
0
)
x x
0
.
(2) Dire che f `e derivabile nel punto x
0
]a, b[ `e equivalente alla seguente
aermazione: esistono un numero reale L ed una funzione h (h) denita
in un intorno U di 0, tali che
(a) lim
h0
(h) = 0, (b) f(x
0
+ h) f(x
0
) = Lh + h (h) per h U.
240
Infatti se f `e derivabile in x
0
basta porre L = f

(x
0
) e
(h) =
f(x
0
+ h) f(x
0
)
h
f

(x
0
)
per ottenere (a) e (b) con U =]a, b[; viceversa se valgono (a) e (b) allora,
dividendo in (b) per h e passando al limite per h 0, in virt` u di (a) si
ottiene che f `e derivabile in x
0
con f

(x
0
) = L.
Dallosservazione 4.1.2 (2) segue che se f `e derivabile in x
0
allora lincremento
di f, ossia la quantit`a f(x
0
+h) f(x
0
), `e somma di due addendi: il primo,
f

(x
0
)h, varia linearmente con h, mentre il secondo, h(h), `e un innitesimo
di ordine superiore per h tende ancora a 0.
La quantit`a h (h), che tende a 0
pi` u rapidamente di h per h 0,
`e lerrore che si commette volendo
approssimare, in un intorno di x
0
,
lincremento di f con la sua parte
lineare f

(x
0
)h. Questa approssi-
mazione corrisponde a sostituire
al graco di f, in un intorno di
(x
0
, f(x
0
)), quello della funzione
ane
g(x) = f(x
0
) + f

(x
0
)(x x
0
),
il cui graco `e la retta per (x
0
, f(x
0
)) di coeciente angolare f

(x
0
). Si noti
che questa retta, fra tutte le rette passanti per (x
0
, f(x
0
)), `e quella che rea-
lizza la miglior approssimazione rettilinea del graco di f nellintorno di tale
punto. Infatti, scelta una qualunque retta passante per (x
0
, f(x
0
)), quindi di
equazione
y = g
m
(x) = f(x
0
) + m(x x
0
)
e coeciente angolare m R, si verica facilmente che risulta
lim
xx
0
(f(x) g
m
(x)) = 0 m R,
ma che daltra parte si ha
lim
xx
0
f(x) g
m
(x)
x x
0
= f

(x
0
) m m R,
241
e che quindi
lim
xx
0
f(x) g
m
(x)
x x
0
= 0 m = f

(x
0
) g
m
(x) g(x).
Le considerazioni precedenti giusticano la seguente
Denizione 4.1.3 Sia f :]a, b[ R una funzione derivabile nel punto x
0

]a, b[. La retta di equazione y = f(x
0
) + f

(x
0
)(x x
0
) si chiama retta
tangente nel punto (x
0
, f(x
0
)).
La derivata f

(x
0
) `e dunque il coeciente angolare della retta che meglio
approssima il graco di f in (x
0
, f(x
0
)), e quindi ne misura la pendenza,
ossia la rapidit`a con cui f cresce o decresce intorno a tale punto.
Chiarito il signicato geometrico della derivata, vediamo ora il nesso fra
derivabilit`a e continuit`a.
Proposizione 4.1.4 Sia f :]a, b[ R e sia x
0
]a, b[. Se f `e derivabile in
x
0
, allora f `e continua in x
0
. Il viceversa `e falso.
Dimostrazione Dallosservazione 4.1.2 (2) segue subito che
lim
h0
f(x
0
+ h) = lim
xx
0
f(x) = f(x
0
),
e ci`o prova la continuit`a. Viceversa, la funzione f(x) = [x[ `e continua su R,
ma scelto x
0
= 0 si ha
f(h) f(0)
h
=
[h[ 0
h
=

1 se h > 0
1 se h < 0,
quindi il limite del rapporto incrementale di f nel punto 0 non esiste.
Esempi 4.1.5 (1) Sia n N e consideriamo la funzione f(x) = x
n
. Per
ogni x
0
R si ha
f(x) f(x
0
)
x x
0
=
x
n
x
n
0
x x
0
=

0 se n = 0
1 se n = 1
n1

k=0
x
nk
x
k
0
se n > 1,
242
cosicche quando x x
0
ricaviamo
f

(x
0
) =

0 se n = 0
1 se n = 1
nx
n1
0
se n > 1

= nx
n1
0
n N.
In denitiva, scrivendo x al posto di x
0
, troviamo che
Dx
n
= nx
n1
x R, n N
(intendendo, nel caso x = 0 e n = 1, che la derivata vale 1).
(2) La derivata `e unapplicazione lineare: ci`o signica che se f e g sono due
funzioni derivabili nel punto x, e se e sono due numeri reali, allora la
funzione f + g `e derivabile nel punto x e
(f + g)

(x) = f

(x) + g

(x).
In particolare, quindi, da (1) segue che ogni polinomio `e derivabile in R: se
P(x) =
N

k=0
a
k
x
k
, x R,
allora
P

(x) =
N

k=1
k a
k
x
k
x R.
(3) Prodotti e quozienti di funzioni derivabili (questi ultimi, naturalmente,
nei punti dove sono deniti) sono funzioni derivabili (esercizi 4.1.2, 4.1.3 e
4.1.4).
(4) Se n N
+
, la funzione f(x) = x
n
`e denita per x = 0 ed `e derivabile
in tutti questi punti. Infatti si ha per ogni x = 0 e h = 0 tale che x +h = 0:
(x + h)
n
x
n
h
=
x
n
(x + h)
n
h x
n
(x + h)
n
,
e per quanto visto nellesempio (1),
lim
h0
(x + h)
n
x
n
h
= lim
h0
(x + h)
n
x
n
h

1
(x + h)
n
x
n
=
nx
n1
x
2n
,
243
ossia
Dx
n
= n x
n1
x = 0.
(5) Fissato k N
+
, la funzione f(x) = x
1/k
`e denita per x 0 ed `e
derivabile per ogni x > 0. Infatti, per tutti gli h = 0 tali che x +h > 0 si ha
(x + h)
1/k
x
1/k
h
=
1

k1
j=0
(x + h)
(k1j)/k
x
j/k
,
da cui
Dx
1/k
= lim
h0
(x + h)
1/k
x
1/k
h
=
1
k x
(k1)/k
=
1
k
x
1
k
1
x > 0.
(6) Sia r Q ` 0. La funzione f(x) = x
r
, denita per x 0 se r > 0 e
per x > 0 se r < 0, `e derivabile in ogni punto x > 0. Infatti, supponiamo
dapprima r > 0: posto r = p/q, con p, q N
+
e primi fra loro, si ha per ogni
x > 0 e h = 0 tale che x + h > 0:
(x + h)
r
x
r
h
=
(x + h)
p/q
x
p/q
h
=
=
1
h
[(x + h)
1/q
x
1/q
]
p1

j=0
(x + h)
(p1j)/q
x
j/q
,
da cui, grazie a (5),
Dx
r
= lim
h0
(x + h)
r
x
r
h
=
1
q
x
1
q
1
p x
p1
q
=
p
q
x
p
q
1
= r x
r1
x > 0.
Se invece r < 0, possiamo scrivere, come in (4),
(x + h)
r
x
r
h
=
(x + h)
|r|
x
|r|
h
=
x
|r|
(x + h)
|r|
h(x + h)
|r|
x
|r|
da cui
lim
h0
(x + h)
r
x
r
h
=
[r[x
|r|1
x
2|r|
= [r[ x
|r|1
= r x
r1
x > 0.
Abbiamo perci`o
Dx
r
= r x
r1
x > 0, r Q.
244
(7) Fissato b > 0, la funzione esponenziale f(x) = b
x
`e derivabile in ogni
punto x R. Infatti per ogni h = 0 si ha
b
x+h
b
x
h
= b
x
b
h
1
h
,
da cui (esempio 3.3.5 (3))
Db
x
= b
x
log b x R,
e in particolare, se la base dellesponenziale `e il numero b = e,
De
x
= e
x
x R.
(8) Le funzioni seno e coseno sono derivabili in ogni punto di R: infatti, per
ogni x R e h = 0 si ha dalle formule di prostaferesi (esercizio 1.12.8)
sin(x + h) sin x
h
=
2
h
cos
2x + h
2
sin
h
2
,
cos(x + h) cos x
h
=
2
h
sin
2x + h
2
sin
h
2
,
da cui
Dsin x = cos x x R, Dcos x = sin x x R.
Per avere un quadro completo delle tecniche di derivazione occorre imparare
a derivare le funzioni composte e le funzioni inverse. Ci`o `e quanto viene
esposto nei risultati che seguono.
Teorema 4.1.6 (di derivazione delle funzioni composte) Siano f :
]a, b[ R e g :]c, d[ R funzioni derivabili, tali che f(]a, b[) ]c, d[. Allora
la funzione composta g f :]a, b[R `e derivabile e
(g f)

(x) = g

(f(x)) f

(x) x ]a, b[.


Dimostrazione Fissiamo x ]a, b[ e poniamo y = f(x). Poiche f `e
derivabile in x, si ha per [h[ abbastanza piccolo (osservazione 4.1.2 (2))
f(x + h) f(x) = f

(x) h + h (h), ove lim


h0
(h) = 0.
245
Similmente, poiche g `e derivabile in y, si ha per [k[ abbastanza piccolo
g(y + k) g(y) = g

(y) k + k (k), ove lim


k0
(k) = 0.
Fissiamo h (sucientemente piccolo), e scegliamo k = f(x +h) f(x): dato
che f `e continua in x (proposizione 4.1.4), risulta k 0 quando h 0; anzi,
essendo f derivabile in x, si ha pi` u precisamente che
k
h
f

(x) non appena


h 0. Quindi
g f(x + h) g f(x) = g(f(x + h)) g(f(x)) = g(y + k) g(y) =
= g

(y) k + k (k) = g

(y)(f(x + h) f(x)) + k (k) =


= g

(f(x)) (f

(x) h + h (h)) + k (k) =


= h

(f(x)) f

(x) + g

(f(x)) (h) +
k
h
(k)

.
Ora, ponendo
(h) = g

(f(x)) (h) +
k
h
(k),
si ha che
lim
h0
(h) = g

(f(x)) 0 + f

(x) 0 = 0,
e pertanto abbiamo ottenuto, per [h[ sucientemente piccolo,
g f(x + h) g f(x) = g

(f(x)) f

(x) h + h (h)
con (h) 0 per h 0. La tesi segue allora allosservazione 4.1.2 (2).
Esempi 4.1.7 (1) De
x
2
= e
x
2
(2x) = 2xe
x
2
per ogni x R.
(2) D

1 + x
2
= D(1 +x
2
)
1/2
=
1
2
(1 +x
2
)
1/2
(2x) =
x

1+x
2
per ogni x R.
(3) D

sin

e
cos x
2

= cos

e
cos x
2

e
cos x
2
(sin x
2
) 2x per ogni x R.
Teorema 4.1.8 (di derivazione delle funzioni inverse) Sia f :]a, b[
R strettamente monotona e derivabile. Se f

(x) = 0 in ogni punto x ]a, b[,


allora la funzione inversa f
1
: f(]a, b[) ]a, b[ `e derivabile e si ha
(f
1
)

(y) =
1
f

(f
1
(y))
y f(]a, b[).
246
Dimostrazione Ricordiamo anzitutto che f(]a, b[) `e un intervallo, che de-
notiamo con J, e che f
1
`e continua su J per il teorema 3.4.6, essendo per
ipotesi f derivabile e dunque continua in ]a, b[.
Ci` o premesso, siano y J e k = 0 tale che y + k J. Allora sar`a y = f(x)
e y + k = f(x + h) per opportuni punti x, x + h ]a, b[; avremo quindi
x = f
1
(y), x + h = f
1
(y + k) e dunque h = f
1
(y + k) f
1
(y); in
particolare, h = 0 essendo f
1
iniettiva. Potremo perci`o scrivere
f
1
(y + k) f
1
(y)
k
=
h
f(x + h) f(x)
,
e notiamo che da k = 0 segue f(x + h) = f(x), quindi la scrittura ha senso.
Se k 0, la continuit`a di f
1
implica che h 0, da cui
h
f(x + h) f(x)

1
f

(x)
;
se ne deduce che
lim
k0
f
1
(y + k) f
1
(y)
k
=
h
f(x + h) f(x)
=
1
f

(x)
=
1
f

(f
1
(y))
e la tesi `e provata.
Osservazione 4.1.9 Il teorema precedente ci dice che il coeciente ango-
lare della retta tangente al graco di f
1
(pensata come funzione della x,
dunque con x e y scambiati rispetto alle notazioni del teorema: y = f
1
(x)
invece che x = f
1
(y)), nel generico punto (f(a), a), `e il reciproco del coe-
ciente angolare della retta tangente al graco di f nel punto corrispondente
(a, f(a)). Ci`o `e naturale, dato che i due graci sono simmetrici rispetto alla
bisettrice y = x.
247
Esempi 4.1.10 (1) La funzione sin x `e bigettiva e derivabile nellintervallo

2
,

2

, ma la derivata si annulla agli estremi. Limmagine dellintervallo


aperto

2
,

2

`e ] 1, 1[; quindi, per il teorema 4.1.8, la funzione arcoseno `e


derivabile in ] 1, 1[ e si ha per x ] 1, 1[:
D(arcsin x) =
1
(Dsin)(arcsin x)
=
1
cos arcsin x
=
(poiche arcsin x `e un numero compreso fra /2 e /2)
=
1

1 sin
2
arcsin x
=
1

1 x
2
.
Similmente, poiche la funzione coseno ha derivata diversa da 0 nellintervallo
]0, [ la cui immagine `e ] 1, 1[, la funzione arcocoseno `e derivabile in tale
intervallo e si ha per x ] 1, 1[
D(arccos x) =
1
(Dcos)(arccos x)
=
1
sin arccos x
=
(poiche arccos x `e un numero compreso fra 0 e )
=
1

1 cos
2
arccos x
=
1

1 x
2
.
Tenuto conto dellesercizio 3.4.8, il secondo risultato era deducibile dal primo.
(2) Sia x R. Essendo
D(tan t) =
1
cos
2
t
= 1 + tan
2
t t

2
.

,
troviamo
D(arctan x) =
1
(Dtan)(arctan x)
=
1
1 + tan
2
arctan x
=
1
1 + x
2
.
(3) Sia b un numero positivo e diverso da 1. Allora per ogni x > 0 si ha,
indicando (per comodit`a di notazione) con exp
b
(x) la funzione esponenziale
b
x
,
D(log
b
x) =
1
(exp
b
)

(log
b
x)
=
1
b
log
b
x
log b
=
1
x log b
.
248
Ci`o si poteva ottenere anche direttamente, utilizzando lesempio 3.3.12:
lim
h0
log
b
(x + h) log
b
x
h
= lim
h0
1
h
log
b
x + h
x
=
1
x
lim
h0
log
b

1 +
h
x

h
x
=
=
1
x
lim
t0
log
b
(1 +t)
t
=
1
x log b
.
Osserviamo che, in particolare, per b = e si ha
D(log x) =
1
x
x > 0.
Derivazione delle serie di potenze
Unaltra importante classe di funzioni derivabili `e quella delle somme di serie
di potenze. Si ha infatti:
Teorema 4.1.11 Sia

n=0
a
n
x
n
una serie di potenze con raggio di conver-
genza R > 0. Detta f(x) la sua somma, la funzione f `e derivabile in ]R, R[
e risulta
f

(x) =

n=1
n a
n
x
n1
x ] R, R[.
Dunque le serie di potenze si derivano termine a termine, come se fossero dei
polinomi.
Dimostrazione Anzitutto osserviamo che la serie

n=1
na
n
x
n1
ha ancora
raggio di convergenza R (esercizio 2.7.9). Di conseguenza, anche la serie

n=2
n(n 1)a
n
x
n2
(che interverr`a nel seguito) ha raggio di convergenza
R.
Adesso, ssati x ]R, R[ e h R sucientemente piccolo in valore assoluto,
in modo che [x[ +[h[ <
1
2
([x[ +R) , calcoliamo il rapporto incrementale di f
nel punto x:
f(x + h) f(x)
h
=
1
h

n=0
a
n
[(x + h)
n
x
n
] =
(usando la formula di Newton, teorema 1.7.1)
=
1
h

n=1
a
n

k=0

n
k

x
k
h
nk
x
n

=
1
h

n=1
a
n

n1

k=0

n
k

x
k
h
nk

=
249
=

n=1
a
n

n1

k=0

n
k

x
k
h
nk1

(isolando nella somma interna lultimo termine, che `e anche lunico


quando n = 1)
=

n=1
n a
n
x
n1
+

n=2
a
n

n2

k=0

n
k

x
k
h
nk1

.
Poniamo

(
h) =

n=2
a
n
n2

k=0

n
k

x
k
h
nk1
, [h[ <
1
2
(R [x[) :
se proveremo che (h) 0 per h 0, seguir`a la tesi del teorema.
In eetti si ha
[(h)[

n=2
[a
n
[

n2

k=0

n
k

[x[
k
[h[
nk1

=
= [h[

n=2
[a
n
[

n2

k=0

n
k

[x[
k
[h[
nk2

,
e tenendo conto che per k = 0, 1, . . . , n 2 risulta

n
k

=
n(n 1)
(n k)(n k 1)

n 2
k

n(n 1)
2 1

n 2
k

,
si ottiene
[(h)[ [h[

n=2
[a
n
[

n2

k=0
n(n 1)
2

n 2
k

[x[
k
[h[
nk2

=
=
[h[
2

n=2
n(n 1)[a
n
[([x[ +[h[)
n2

[h[
2

n=2
n(n 1)[a
n
[

[x[ + R
2

n2
.
Dato che la serie allultimo membro `e convergente per quanto osservato
allinizio della dimostrazione, si deduce che (h) 0 per h 0.
250
Esempi 4.1.12 (1) Dagli sviluppi in serie di potenze di e
x
, sin x, cos x
(teorema 2.7.11), derivando termine a termine si ritrovano le note formule
(esempio 4.1.5 (8))
De
x
= e
x
, Dsin x = cos x, Dcos x = sin x x R.
(2) Similmente, dagli sviluppi in serie di cosh x e sinh x (esercizio 2.7.12), si
deducono facilmente le relazioni
Dsinh x = cosh x, Dcosh x = sinh x x R,
le quali del resto seguono ancor pi` u semplicemente dalle identit`a
sinh x =
e
x
e
x
2
, cosh x =
e
x
+ e
x
2
x R.
(3) Derivando la serie geometrica

n=0
x
n
, il teorema precedente ci dice che

n=1
nx
n1
=

n=0
Dx
n
= D

n=0
x
n
= D
1
1 x
=
1
(1 x)
2
x ] 1, 1[.
(4) Derivando la serie

n=1
nx
n1
, ancora per il teorema precedente si ha

n=2
n(n 1)x
n2
=

n=1
D(nx
n1
) = D

n=1
nx
n1
=
= D
1
(1 x)
2
=
2
(1 x)
3
x ] 1, 1[.
Iterando questo procedimento di derivazione, troviamo dopo m passi:

n=m
n(n 1) . . . (n m + 1)x
nm
=
m!
(1 x)
m+1
x ] 1, 1[.
Dividendo per m! otteniamo

n=m

n
m

x
nm
=
1
(1 x)
m+1
x ] 1, 1[,
e posto n m = h, si ha anche, equivalentemente,

h=0

m + h
h

x
h
=
1
(1 x)
m+1
x ] 1, 1[.
251
Esercizi 4.1
1. Sia f : R R una funzione pari, ossia tale che f(x) = f(x) per ogni
x R. Se f `e derivabile in 0, si provi che f

(0) = 0.
2. Si provi che se f e g sono funzioni derivabili in x
0
, allora fg `e derivabile
in x
0
e
(fg)

(x
0
) = f

(x
0
)g(x
0
) + f(x
0
)g

(x
0
).
[Traccia: si scriva il rapporto incrementale di fg in x
0
nella forma
f(x)f(x
0
)
xx
0
g(x) + f(x
0
)
g(x)g(x
0
)
xx
0
.]
3. Sia g derivabile in x
0
con g(x
0
) = 0. Si provi che
1
g
`e derivabile in x
0
e

1
g

(x
0
) =
g

(x
0
)
g(x
0
)
2
.
4. Siano f e g funzioni derivabili in x
0
con g(x
0
) = 0. Si provi che
f
g
`e
derivabile in x
0
e

f
g

(x
0
) =
f

(x
0
)g(x
0
) f(x
0
)g

(x
0
)
g(x
0
)
2
.
5. Data la funzione
f(x) =

x
2
se x 4
ax + b se x < 4,
determinare a, b R in modo che f sia derivabile nel punto x
0
= 4.
6. Sia f derivabile in ]a, b[. Si scriva lequazione della retta perpendicolare
al graco di f nel punto (x
0
, f(x
0
)).
7. Sia f derivabile in ]a, b[. Provare che la funzione g(x) = f(x + ) `e
derivabile in

,
b

e che
g

(x) = f

(x + ) x

,
b

.
252
8. Sia f : [0, [ R una funzione continua. Consideriamo il prolunga-
mento pari di f, denito da
F(x) =

f(x) se x 0,
f(x) se x < 0,
e il prolungamento dispari di f, denito da
G(x) =

f(x) se x 0,
f(x) se x < 0.
Provare che:
(i) F `e continua su R;
(ii) F `e derivabile in 0 se e solo se
lim
h0
+
f(h) f(0)
h
= 0,
e in tal caso F

(0) = 0;
(iii) G `e continua in 0 se e solo se f(0) = 0;
(iv) G `e derivabile in 0 se e solo se f(0) = 0 e inoltre
lim
h0
+
f(h) f(0)
h
= L R,
e in tal caso G

(0) = L.
9. Scrivere la derivata delle seguenti funzioni, nei punti dove essa esiste:
(i) f(x) = sin

x, (ii) f(x) = x
2
x[x[,
(iii) f(x) =

x
2
4, (iv) f(x) = log
x
3,
(v) f(x) = x[x
2
1[, (vi) f(x) = arcsin [2x [,
(vii) f(x) = e
|x|
, (viii) f(x) = [ cos x[,
(ix) f(x) = [[x + 2[ [x
3
[[, (x) f(x) =

[x[.
253
10. Le funzioni
f(x) = (x 2[x[)
2
, g(x) =

x sin
1
x
se x = 0
0 se x = 0
sono derivabili in R?
11. Sia f :]a, b[R monotona crescente e derivabile; si provi che f

(x) 0
per ogni x R. Se f `e strettamente crescente, `e vero che f

(x) > 0 in
R?
12. Si provi che f(x) = 4x + log x, x > 0, `e strettamente crescente ed ha
inversa derivabile, e si calcoli (f
1
)

(4).
13. Si verichi che la funzione sinh x `e bigettiva su R e se ne scriva la funzio-
ne inversa (che si chiama settore seno iperbolico per motivi che saranno
chiari quando sapremo fare gli integrali, e si indica con settsinh y). Si
provi poi che
D(settsinh y) =
1

1 + y
2
y R.
14. Si verichi che la restrizione della funzione cosh x allintervallo [0, +[
`e bigettiva fra [0, +[ e [1, +[, e se ne scriva la funzione inversa (che
si chiama settore coseno iperbolico e si indica con settcosh y). Si provi
poi che
D(settcosh y) =
1

y
2
1
y > 1.
15. Calcolare, dove ha senso, la derivata delle seguenti funzioni:
(i) f(x) = x
x
, (ii) f(x) = (x log x)
sin

x
,
(iii) f(x) = log sin

x, (iv) f(x) = 3
3
x
,
(v) f(x) = arccos

1x
2
x
2
, (vi) f(x) = log [ log [x[[,
(vii) f(x) = x
1/x
, (viii) f(x) =
sin x x cos x
cos x + x sin x
,
(ix) f(x) = log
x
(2
x
x
2
), (x) f(x) = arctan

1cos x
1+cos x
.
254
16. Scrivere lequazione della tangente allellisse denita da
x
2
a
2
+
y
2
b
2
= 1
(ove a e b sono ssati numeri reali non nulli) nel generico punto (x
0
, y
0
).
17. Scrivere lequazione della tangente alliperbole denita da
x
2
a
2

y
2
b
2
= 1
(ove a e b sono ssati numeri reali non nulli) nel generico punto (x
0
, y
0
).
18. Scrivere lequazione della tangente alla parabola denita da
y ax
2
= 0
(ove a `e un ssato numero reale) nel generico punto (x
0
, y
0
).
19. Si provi che per ogni a R lequazione x
3
+x
5
= a ha ununica soluzione
reale x = x
a
. Si provi poi che la funzione g(a) = x
a
`e continua su R,
e si dica in quali punti `e derivabile. Si calcolino inne, se esistono, i
valori g

(2) e g

(2).
4.2 Derivate parziali
Vogliamo estendere loperazione di derivazione alle funzioni di pi` u variabili.
Se A `e un aperto di R
m
e f : A R `e una funzione, il graco di f `e un
sottoinsieme di R
m+1
: vorremmo determinare quali condizioni assicurano che
esso sia dotato di piano tangente (m-dimensionale) in un suo punto.
Denizione 4.2.1 Sia A un aperto di R
m
, sia x
0
A, sia f : A R. La
derivata parziale i-sima di f nel punto x
0
(i = 1, . . . , m) `e il numero reale
lim
h0
f(x
0
+ he
i
) f(x
0
)
h
(ove e
i
`e il vettore con tutte le componenti nulle tranne la i-sima che vale 1),
sempre che tale limite esista nito. Indicheremo le derivate parziali di f in
x
0
con uno qualunque dei simboli
f
x
i
(x
0
), D
i
f(x
0
), f
x
i (x
0
) (i = 1, . . . , m).
255
Le regole di calcolo per le derivate parziali sono semplicissime: basta conside-
rare le altre variabili (quelle rispetto alle quali non si deriva) come costanti.
Esempio 4.2.2 Per ogni (x, y) R
2
con [x[ > [y[ si ha

x
2
y
2
=
x

x
2
y
2
,

y

x
2
y
2
=
y

x
2
y
2
.
Sfortunatamente, a dierenza di ci`o che accade con le funzioni di una sola
variabile, una funzione pu`o avere le derivate parziali in un punto senza essere
continua in quel punto. La ragione `e che lesistenza di D
1
f(x
0
),. . . ,D
m
f(x
0
)
fornisce informazioni sul comportamento della restrizione di f alle rette pa-
rallele agli assi x
1
,. . . ,x
m
e passanti per x
0
; daltra parte, come sappiamo
(esercizi 3.3.21 e 3.3.22), il comportamento di f pu`o essere molto dierente
se ci si avvicina a x
0
da unaltra direzione.
Esempio 4.2.3 Consideriamo in R
2
la parabola di equazione y = x
2
: posto
G = (x, y) R
2
: 0 < y < x
2
, H = (x, y) R
2
: y x
2
,
L = (x, y) R
2
: y 0,
ed osservato che G `e disgiunto da H L e che G H L = R
2
, deniamo
f(x, y) =

1 se (x, y) G
0 se (x, y) H L.
Questa funzione non `e continua nello-
rigine, poiche
f(0, 0) = 0, f

1
n
,
1
n
3

= 1 n N
+
.
Tuttavia le due derivate parziali di f
nellorigine esistono:
f
x
(0, 0) = lim
h0
f(h, 0) f(0, 0)
h
= 0,
f
y
(0, 0) = lim
h0
f(0, h) f(0, 0)
h
= 0.
Qual`e, allora, lestensione giusta della nozione di derivata al caso di funzio-
ni di pi` u variabili? Sotto quali ipotesi il graco di una funzione di 2,3,. . . ,m
variabili ha piano tangente in un suo punto?
256
Denizione 4.2.4 Sia A un aperto di R
m
, sia f : A R e sia x
0
A.
Diciamo che f `e dierenziabile nel punto x
0
se esiste a R
m
tale che
lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
) a h
[h[
m
= 0.
Diciamo che f `e dierenziabile in A se `e dierenziabile in ogni punto di A.
Osserviamo che in questa denizione lincremento h `e un (piccolo) vettore
non nullo di R
m
di direzione arbitraria: dunque linformazione fornita sul
comportamento di f intorno al punto x
0
`e ben pi` u completa di quella fornita
dallesistenza delle derivate parziali. E infatti:
Proposizione 4.2.5 Sia A un aperto di R
m
, sia f : A R e sia x
0
A.
Se f `e dierenziabile in x
0
, allora:
(i) f `e continua in x
0
(e il viceversa `e falso);
(ii) esistono le derivate parziali D
i
f(x
0
) e si ha
D
i
f(x
0
) = a
i
, i = 1, . . . , m
(e il viceversa `e falso).
Di conseguenza, il vettore a nella denizione 4.2.4 `e univocamente determi-
nato (quando esiste).
Dimostrazione (i) Si ha
f(x
0
+h) f(x
0
) = [f(x
0
+h) f(x
0
) a h] +a h;
per h 0 il primo termine `e innitesimo a causa della dierenziabilit`a,
mentre il secondo `e innitesimo per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz
(proposizione 1.9.3). Quindi lim
h0
[f(x
0
+h)f(x
0
)] = 0, ossia f `e continua
in x
0
.
(ii) Dalla denizione di dierenziabilit`a, prendendo h = t e
i
, si ricava
lim
t0
f(x
0
+ t e
i
) f(x
0
) t a e
i
[t[
= 0;
moltiplicando per la quantit`a limitata
|t|
t
(cio`e per 1), si ottiene
D
i
f(x
0
) = lim
t0
f(x
0
+ t e
i
) f(x
0
)
t
= a e
i
, i = 1, . . . , m.
257
La funzione f(x) = [x[
m
`e continua su tutto R
m
(in virt` u della disuguaglianza
[[x[
m
[x
0
[
m
[ [xx
0
[
m
, a sua volta conseguenza della propriet`a triangolare
della norma), ma non `e dierenziabile nellorigine: infatti, se esistesse a R
m
tale che
f(h) f(0) a h
[h[
m
=
[h[
m
a h
[h[
m
= 1 a
h
[h[
m
0 per h 0,
scegliendo h = te
i
con t > 0 otterremmo a
i
= 1, mentre scegliendo h = te
i
con t < 0 dedurremmo a
i
= 1. Ci`o `e contraddittorio e dunque il viceversa
di (i) `e falso.
La funzione dellesempio 4.2.3 mostra che il viceversa di (ii) `e anchesso falso:
tale funzione infatti ha le derivate parziali in (0, 0) ma, non essendo continua
in tale punto, a causa di (i) non pu`o essere ivi dierenziabile.
Denizione 4.2.6 Se f : A R ha le derivate parziali nel punto x
0
, il
vettore

f
x
1
(x
0
), . . . ,
f
x
m
(x
0
)

R
m
si chiama gradiente di f nel punto x
0
e si indica con gradf(x
0
), o con
f(x
0
).
Osservazione 4.2.7 La condizione che f sia dierenziabile in x
0
equivale
alla propriet`a seguente: esiste una funzione (h), denita in un intorno U di
0 e innitesima per h 0, tale che
f(x
0
+h) f(x
0
) gradf(x
0
) h = [h[
m
(h) h U.
Si noti che quando m = 1 la dierenziabilit`a in un punto x
0
equivale alla
derivabilit`a in x
0
(osservazione 4.1.2 (2)); in tal caso il gradiente `e un vettore
a una sola componente, cio`e una quantit`a scalare (vale a dire, `e un numero:
precisamente il numero f

(x
0
)).
Piano tangente
La nozione di dierenziabilit`a `e ci`o che ci vuole anche il graco di una
funzione abbia piano tangente.
258
Denizione 4.2.8 Sia A un aperto di R
m
, sia f : A R, e supponiamo
che f sia dierenziabile in un punto x
0
A. Il piano (m-dimensionale) in
R
m+1
, passante per (x
0
, f(x
0
)), di equazione
x
m+1
= f(x
0
) + gradf(x
0
) (x x
0
)
`e detto piano tangente al graco di f nel punto (x
0
, f(x
0
)).
Osservazione 4.2.9 Laggettivo tangente nella denizione `e giusticato
dal fatto seguente: il generico piano passante per (x
0
, f(x
0
)) ha equazione
x
m+1
=
a
(x) = f(x
0
) +a (x x
0
)
con a ssato vettore di R
m
. Quindi, per ciascuno di tali piani, ossia per ogni
a R
m
, vale la relazione
lim
xx
0
[f(x)
a
(x)] = 0.
Il piano tangente `e lunico fra questi piani per il quale vale la condizione pi` u
forte
lim
xx
0
f(x)
a
(x)
[x x
0
[
m
= 0.
Ci` o `e conseguenza della proposizione 4.2.5 (ii).
Esempio 4.2.10 Scriviamo lequazione del piano tangente al graco della
funzione
f(x, y) = x
2
+ y
2
nel punto (1, 2, f(1, 2)). Si ha
f(1, 2) = 5, e inoltre
f
x
(x, y) = 2x,
f
y
(x, y) = 2y,
da cui
f
x
(1, 2) = 2,
f
y
(1, 2) =
4. Ne deriva che il piano cercato ha
equazione
z = 5 2(x + 1) + 4(y 2),
ovvero z = 2x + 4y 5.
259
Derivate direzionali
Le derivate parziali di una funzione f in un punto x
0
sono i limiti dei rapporti
incrementali delle restrizioni di f alle rette per x
0
parallele agli assi coordi-
nati; ma queste m direzioni non hanno nulla di speciale rispetto alle innite
altre direzioni, ciascuna delle quali `e individuata da un vettore v R
m
di
norma unitaria (gli assi cartesiani corrispondono ai vettori v = e
i
). La retta
per x
0
parallela al vettore v `e linsieme dei punti di R
m
di coordinate
x = x
0
+ tv, t R.
Denizione 4.2.11 Sia A un aperto di R
m
, sia f : A R, sia x
0
A. La
derivata direzionale di f in x
0
secondo la direzione v (con v R ` 0) `e il
numero reale
lim
t0
f(x
0
+ tv) f(x
0
)
t
,
se tale limite esiste nito. Essa si indica con i simboli
f
v
(x
0
), D
v
f(x
0
).
260
La derivata D
v
f(x
0
) rappresenta la derivata in x
0
della restrizione di f alla
retta per x
0
parallela a v: essa dunque rappresenta la pendenza, nel punto
(x
0
, f(x
0
)), del graco di tale restrizione, cio`e dellintersezione del graco di
f con il piano parallelo allasse x
m+1
che contiene la retta per x
0
parallela a
v.
Osservazioni 4.2.12 (1) Se f `e dierenziabile in x
0
allora esiste in x
0
la
derivata di f secondo ogni direzione v, e si ha
f
v
(x
0
) = gradf(x
0
) v
(esercizio 4.2.8).
(2) Lesistenza di tutte le derivate direzionali di f in x
0
non implica la
dierenziabilit`a di f in x
0
. Ci`o segue nuovamente dallesempio 4.2.3: si vede
facilmente che quella funzione, discontinua in (0, 0), ha in tale punto tutte
le derivate direzionali nulle. Il motivo `e che le sue discontinuit`a hanno luogo
lungo la parabola y = x
2
, la quale attraversa tutte le rette per (0, 0) prima
che queste raggiungano lorigine.
(3) La nozione di derivata direzionale ha senso per ogni vettore v R
m
`0,
ma `e particolarmente signicativa quando v `e una direzione unitaria, ossia
quando [v[
m
= 1. Si noti che se v `e un vettore unitario e R ` 0, dalla
denizione 4.2.11 segue subito che
f
(v)
=
f
v
.
Esempio 4.2.13 La funzione f(x, y) =

x
2
y
2
ha derivate parziali nel-
laperto A = (x, y) R
2
: [x[ > [y[. Fissato v = (
1

5
,
2

5
), calcoliamo
D
v
f in un generico punto (x, y) A: si ha
D
v
f(x, y) = gradf(x, y) v =
1

5
f
x
(x, y)
2

5
f
y
(x, y) =
=
1

5
x

x
2
y
2

x
2
y
2

=
1

5
x + 2y

x
2
y
2
.
261
Curve di livello
Sia f : A R una funzione dierenziabile nellaperto Adi R
m
. Consideriamo
le curve di livello di f, cio`e gli insiemi (eventualmente, ma non sempre, vuoti)
Z
c
= x A : f(x) = c.
In realt`a si tratta di curve vere e proprie solo quando m = 2, ossia f `e una
funzione di due sole variabili; altrimenti si dovrebbe parlare di superci di
livello ((m1)-dimensionali).
Vogliamo far vedere che se Z
c
`e non vuoto e se il gradiente di f `e non nullo nei
punti di Z
c
, allora in tali punti esiste il piano (m1)-dimensionale tangente
a Z
c
e tale piano `e ortogonale al gradiente di f (se m = 2 esister`a ovviamente
la retta tangente a Z
c
, che sar`a ortogonale a gradf).
Anzitutto, osserviamo che fra tutti i vettori unitari v, la derivata direzio-
nale D
v
f(x
0
) `e massima quando v ha direzione e verso coincidenti con
gradf(x
0
), ed `e minima quando v ha direzione coincidente con gradf(x
0
)
ma verso opposto: infatti, dallosservazione 4.2.12 (1) e dalla disuguaglianza
di Cauchy-Schwarz segue che
[D
v
f(x)[ = [gradf(x) v[ [gradf(x)[
m
v R
m
con [v[
m
= 1,
e si ha [D
v
f(x)[ = [gradf(x)[
m
scegliendo rispettivamente
v =
gradf(x)
[gradf(x)[
m
e v =
gradf(x)
[gradf(x)[
m
.
Dunque, sempre che gradf(x) = 0, la direzione individuata da questo vettore
`e quella di massima pendenza del graco di f nel punto (x, f(x)).
Ci` o premesso, ssiamo x
0
Z
c
e consideriamo un qualunque piano (m
1)-dimensionale passante per x
0
, quindi di equazione
a (x x
0
) = 0,
con a R
m
` 0. Se x `e un altro punto di Z
c
, la sua distanza dal piano ,
che denotiamo con d(x, ), `e data da
d(x, ) = inf[x

x[
m
: x

= [x x
0
[
m
[ cos [,
ove `e langolo fra i vettori x x
0
e a, ossia (proposizione 1.12.19)
cos =
(x x
0
) a
[x x
0
[
m
[a[
m
;
262
quindi
d(x, ) =
[(x x
0
) a[
[a[
m
.
Se ne deduce che quando x Z
c
e x x
0
si ha
d(x, ) 0 a R
m
.
Ma se in particolare si sceglie a = gradf(x
0
), cosicche `e il piano per x
0
ortogonale al gradiente di f in x
0
, allora
d(x, ) =
[(x x
0
) gradf(x
0
)[
[gradf(x
0
)[
m
.
Daltra parte, poiche f `e dierenziabile in x
0
si ha
f(x) f(x
0
) = gradf(x
0
) (x x
0
) + (x x
0
),
ove la funzione `e denita in un intorno di 0 e verica
lim
h0
(h)
[h[
m
= 0,
da cui, essendo f(x) = f(x
0
) = c, otteniamo
d(x, )
[x x
0
[
m
=
[(x x
0
) gradf(x
0
)[
[x x
0
[
m
[gradf(x
0
)[
m
=
=
[(x x
0
)[
[x x
0
[
m
[gradf(x
0
)[
m
0 per x Z
c
e x x
0
.
Pertanto se a = gradf(x
0
) non solo la distanza fra x e `e innitesima quan-
263
do x x
0
in Z
c
, ma addirittura tale distanza resta innitesima quando viene
divisa per [x x
0
[
m
. Ci`o mostra, in accordo con losservazione 4.2.9, che il
piano (m1)-dimensionale per x
0
perpendicolare a gradf(x
0
) `e il piano tan-
gente a Z
c
in x
0
.
In particolare, gradf(x
0
) `e ortogonale a Z
c
in x
0
; di conseguenza, se v `e una
direzione tangente alla curva di livello Z
c
nel punto x Z
c
, si ha
f
v
(x) = gradf(x) v = 0
in quanto, come abbiamo visto, v `e ortogonale a gradf(x). Ci`o corrisponde
allintuizione: se ci muoviamo lungo una curva di livello, il valore di f resta
costante e quindi la derivata in una direzione tangente a tale curva deve
essere nulla.
Esercizi 4.2
1. Determinare i punti (x, y) R
2
in cui esistono le derivate parziali delle
seguenti funzioni:
(i) f(x, y) = [xy[, (ii) f(x, y) = [x y[(x + y),
(iii) f(x, y) =

x
2
+[y[, (iv) f(x, y) = x arcsin xy,
(v) f(x, y) = log

1 +

xy

, (vi) f(x, y) = sin


1
xy
,
(vii) f(x, y) = y
x
+ x
y
, (viii) f(x, y) = arctan
x + y
x y
,
(ix) f(x, y) =
xy
x
2
+ y
2
, (x) f(x, y) = tan e
|xy|
.
2. Determinare i punti (x, y) R
2
in cui le seguenti funzioni sono die-
renziabili:
(i) f(x, y) = [ log x
2
y[, (ii) f(x, y) =

xy

x
2
+y
2
se (x, y) = (0, 0)
0 se (x, y) = (0, 0),
(iii) f(x, y) = [xy[, (iv) f(x, y) = x

1 +[ sin y[.
3. Per quali > 0 la funzione [xy[

`e dierenziabile in (0, 0)?


264
4. Per quali , > 0 la funzione
f(x, y) =

[x[

[y[

x
2
+ y
2
se (x, y) = (0, 0)
0 se (x, y) = (0, 0)
`e dierenziabile in (0, 0)?
5. Scrivere le equazioni dei piani tangenti ai graci delle seguenti funzioni
nei punti a anco indicati:
(i) f(x, y) = arctan(x + 2y) in

1, 0,

4

,
(ii) f(x, y) = sin x cos y in

3
,

6
,
3
4

.
6. Determinare i punti del graco di f(x, y) = x
2
y
2
tali che il piano
tangente in tali punti passi per il punto (0, 0, 4).
7. Sia f : R
m
R denita da
f(x) = [x[
4
m
3x v,
ove v =

m
i=1
e
i
= (1, 1, . . . , 1). Si provi che f `e dierenziabile in R
m
e
se ne calcolino le derivate parziali D
i
f.
8. (i) Provare che se f `e una funzione dierenziabile nel punto x
0
allora
esiste
f
v
(x
0
) per ogni v R
m
` 0 e che
f
v
(x
0
) = gradf(x
0
) v.
(ii) Si calcolino le derivate direzionali sotto specicate:
(a) D
v
(x + y)
3
, ove v =

2
,
1

;
(b) D
v
x b, ove v = b (con b = 0).
9. Disegnare approssimativamente le curve di livello delle seguenti funzio-
ni:
(i) f(x, y) = x
2
y
2
, (ii) f(x, y) = e
xy
2
,
(iii) f(x, y) = sin(x
2
+ y
2
), (iv) f(x, y) =
xy
x
2
+ y
2
,
(v) f(x, y) =
y
2
x
2
y
2
+ x
2
, (vi) f(x, y) = log
[x[
[y[
.
265
4.3 Propriet`a delle funzioni derivabili
Esponiamo alcuni risultati relativi a funzioni derivabili denite su un inter-
vallo di R, risultati che, come vedremo, hanno svariate applicazioni.
Teorema 4.3.1 (di Rolle) Sia f : [a, b] R una funzione continua in
[a, b] e derivabile in ]a, b[. Se f(a) = f(b), allora esiste ]a, b[ tale che
f

() = 0.
Dunque, se f(a) = f(b) in almeno un punto (, f()) del graco di f la
tangente al graco `e orizzontale.
Dimostrazione Se f `e costante in [a, b], allora f

(x) = 0 per ogni x [a, b] e


la tesi `e provata. Supponiamo dunque che f non sia costante in [a, b]; poiche
f `e continua in [a, b], per il teorema di Weierstrass (teorema 3.1.14) f assume
massimo M e minimo m su [a, b], e si ha necessariamente m < M. Dato che
f(a) = f(b), almeno uno tra i valori m e M `e assunto in un punto interno
ad ]a, b[; se ad esempio si ha m = f(), allora, scelto h R in modo che
x + h [a, b], risulta
f( + h) f()
h

0 se h > 0
0 se h < 0,
dato che il numeratore `e sempre non negativo. Passando al limite per h 0,
si ottiene f

() = 0.
Corollario 4.3.2 (teorema di Cauchy) Siano f, g : [a, b] R funzioni
continue in [a, b] e derivabili in ]a, b[, con g

= 0 in ]a, b[. Allora esiste


266
]a, b[ tale che
f

()
g

()
=
f(b) f(a)
g(b) g(a)
.
Si noti che risulta g(b) g(a) = 0 in virt` u dellipotesi g

= 0 e del teorema
di Rolle.
Dimostrazione Basta applicare il teorema di Rolle alla funzione
h(x) = f(x)[g(b) g(a)] g(x)[f(b) f(a)].
Il risultato pi` u importante `e per`o il seguente:
Corollario 4.3.3 (teorema di Lagrange) Sia f : [a, b] R una funzione
continua in [a, b] e derivabile in ]a, b[. Allora esiste ]a, b[ tale che
f

() =
f(b) f(a)
b a
.
Dunque in almeno un punto
(, f()) del graco di f la tan-
gente al graco `e parallela al-
la retta passante per i punti
(a, f(a)) e (b, f(b)), lequazione
della quale `e
y = f(a) +
f(b) f(a)
b a
(x a).
Dimostrazione Basta applicare il teorema di Cauchy con g(x) = x.
Vediamo alcune applicazioni del teorema di Lagrange.
Proposizione 4.3.4 Sia f :]a, b[ R una funzione derivabile. Allora f `e
costante in ]a, b[ se e solo se risulta f

(x) = 0 per ogni x ]a, b[.


Dimostrazione Se f `e costante in ]a, b[ allora ovviamente f

= 0 in ]a, b[.
Viceversa, sia f

= 0 in ]a, b[. Fissiamo un punto x


0
in ]a, b[, ad esempio
x
0
=
a+b
2
, e sia x un altro punto di ]a, b[: per ssare le idee, supponiamo
x ]a, x
0
[. Per il teorema di Lagrange applicato nellintervallo [x, x
0
], esiste
]x, x
0
[ tale che
f

() =
f(x
0
) f(x)
x
0
x
;
267
ma per ipotesi f

() = 0, e quindi f(x) = f(x


0
) per ogni x ]a, x
0
[. In modo
perfettamente analogo si prova che f(x) = f(x
0
) per ogni x ]x
0
, b[. Dunque
f `e costante in ]a, b[.
Con laiuto della proposizione precedente possiamo scrivere alcune funzioni
elementari come somme di serie di potenze in opportuni intervalli.
Esempi 4.3.5 (1) (Serie logaritmica) La funzione log(1 +x) `e derivabile in
] 1, +[, e si ha
Dlog(1 + x) =
1
1 + x
x ] 1, +[;
daltra parte, come sappiamo (esempio 2.2.6 (1)),
1
1 + x
=

n=0
(1)
n
x
n
x ] 1, 1[.
Ora si riconosce subito che
(1)
n
x
n
= D
(1)
n
n + 1
x
n+1
n N, x R;
quindi dal teorema di derivazione delle serie di potenze (teorema 4.1.11)
otteniamo

n=0
(1)
n
x
n
= D

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1

x ] 1, 1[.
Pertanto possiamo scrivere
Dlog(1 + x) = D

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1

x ] 1, 1[.
La funzione derivabile
g(x) = log(1 + x)

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1
ha dunque derivata nulla in ] 1, 1[, e quindi per la proposizione precedente
`e costante in tale intervallo. Ma per x = 0 si ha g(0) = (log 1) 0 = 0,
cosicche g `e nulla su ] 1, 1[: in altre parole
log(1 + x) =

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1
=

k=1
(1)
k
k
x
k
x ] 1, 1[.
268
Si noti che la serie a secondo membro soddisfa, per x [0, 1[, le ipotesi del
criterio di Leibniz (proposizione 2.5.3); dunque

log(1 + x)
N

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1

x
N+1
N + 1

1
N + 1
x [0, 1[, n N.
Per x 1 si ricava allora

log 2
N

n=0
(1)
n
n + 1

1
N + 1
N N,
cosicche luguaglianza gi`a scritta vale anche per x = 1:
log(1 + x) =

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1
=

k=1
(1)
k1
k
x
k
x ] 1, 1].
(2) (Serie dellarcotangente) La funzione arctan x `e derivabile in R, e si ha
Darctan x =
1
1 + x
2
x R.
Si ha inoltre
1
1 + x
2
=

n=0
(1)
n
x
2n
= D

n=0
(1)
n
2n + 1
x
2n+1

x ] 1, 1[.
Procedendo come nellesempio precedente si deduce
arctan x =

n=0
(1)
n
2n + 1
x
2n+1
x ] 1, 1[,
ed applicando nuovamente il criterio di Leibniz si trova stavolta che la stessa
uguaglianza vale in entrambi gli estremi x = 1:
arctan x =

n=0
(1)
n
2n + 1
x
2n+1
x [1, 1].
(3) (Serie binomiale) Consideriamo la funzione (1+x)

, ove `e un parametro
reale ssato, la quale `e derivabile in ] 1, +[. Proveremo che
(1 + x)

n=0

x
n
x ] 1, 1[,
269
ove

1 se n = 0
(1)...(n+1)
n!
se n > 0.
I numeri

si chiamano coecienti binomiali generalizzati; se N essi


coincidono con gli usuali coecienti binomiali quando 0 n , mentre
sono tutti nulli quando n . La serie

x
n
`e detta serie binomiale e
quando N essa si riduce alla formula di Newton per il binomio (1 +x)

.
Per provare la formula sopra scritta cominciamo con losservare che il raggio
di convergenza della serie

x
n
`e 1, come si verica facilmente mediante
il criterio del rapporto. Sia g(x) la somma, per ora incognita, di tale serie in
] 1, 1[: dobbiamo provare che g(x) = (1 +x)

per ogni x ] 1, 1[.


Mostriamo anzitutto che
(1 + x)g

(x) = g(x) x ] 1, 1[.


In eetti, per il teorema di derivazione delle serie di potenze (teorema 4.1.11)
si ha
(1 + x)g

(x) = (1 + x)D

n=0

x
n

= (1 + x)

n=1
n

x
n1
=
=

n=1
n

x
n1
+

n=1
n

x
n
=
=

k=0
(k + 1)


k + 1

x
k
+

k=1
k

x
k
=
= +

k=1
(k + 1)


k + 1

x
k
+

k=1
k

x
k
=
= +

k=1

(k + 1)


k + 1

+ k

x
k
;
daltra parte risulta per ogni k 1
(k + 1)


k + 1

+ k

=
= (k + 1)
( 1) . . . ( k)
(k + 1)!
+ k
( 1) . . . ( k + 1)
k!
=
=
( 1) . . . ( k + 1)
k!
( k + k) =

,
270
cosicche
(1+x)g

(x) = +

k=1

x
k
=

1 +

k=1

x
k

= g(x) x ]1, 1[.


Consideriamo allora la derivata del prodotto g(x)(1 + x)

: si ha
D

g(x)(1 + x)

= g

(x)(1 + x)

g(x)(1 + x)
1
=
= (1 + x)
1
[(1 +x)g

(x) g(x)] = 0 x ] 1, 1[;


per la proposizione 4.3.4 si deduce
g(x)(1 + x)

= costante x ] 1, 1[,
e poiche g(0) = 1, si conclude che
(1 +x)

= g(x) =

n=0

x
n
x ] 1, 1[,
che `e ci`o che volevamo dimostrare.
Concludiamo il paragrafo illustrando uninteressante propriet`a di cui godono
tutte le funzioni derivate, ossia tutte le funzioni g : [a, b] R tali che
g = f

per qualche funzione f derivabile in [a, b]: tali funzioni, pur non
essendo necessariamente continue, hanno la propriet`a dei valori intermedi.
Vale infatti il seguente
Teorema 4.3.6 (di Darboux) Sia f : [a, b] R una funzione derivabile
e poniamo M = sup
[a,b]
f

, m = inf
[a,b]
f

. Allora per ogni k ]m, M[ esiste


x
0
[a, b] tale che f

(x
0
) = k.
Dimostrazione Fissato k ]m, M[, esistono y ]m, k[ e z ]k, M[ tali che
y = f

(c) e z = f

(d), con c, d [a, b]. Indichiamo con I lintervallo chiuso


di estremi c, d (non sappiamo se `e c < d o il contrario): ovviamente I `e
contenuto in [a, b]. Posto h(x) = f(x) kx, la funzione h `e derivabile e
quindi continua in I; quindi assume massimo e minimo in I, in due punti x
0
e
0
. Poiche
h

(c) = f

(c) k < 0, h

(d) = f

(d) k > 0,
se risulta c < d, utilizzand lesercizio 4.3.3 si deduce che il punto di massimo
x
0
non pu`o coincidere ne con c, ne con d; se invece `e c > d, analogamente
271
si ricava che il punto di minimo
0
non pu`o coincidere ne con c, ne con d.
In denitiva vi `e sempre un punto x, interno ad I, nel quale la funzione h
assume massimo oppure minimo: si ha dunque h

(x) = 0, ovvero f

(x) = k.
Esercizi 4.3
1. Sia f : R R una funzione derivabile tale che
lim
x+
f(x) lim
x
f(x) = R;
provare che esiste R tale che f

() = 0.
2. Siano f, g : [a, +[ R funzioni derivabili, con g

= 0 in [a, +[; se
esistono niti i limiti
lim
x+
f(x) = , lim
x+
g(x) = ,
si dimostri che esiste > a tale che
f

()
g

()
=
f(a)
g(a)
.
3. Sia f : [a, b] R una funzione derivabile. Se x
0
[a, b] `e un punto di
massimo per f e
0
`e un punto di minimo per f, si provi che
f

(x
0
)

0 se x
0
= a
= 0 se a < x
0
< b
0 se x
0
= b,
f

(
0
)

0 se
0
= a
= 0 se a <
0
< b
0 se
0
= b.
4. Sia f :]a, b[R una funzione derivabile. Se esiste nito il limite
lim
xa
+
f

(x) = ,
si provi che f `e prolungabile con continuit`a nel punto a, che f `e deri-
vabile in tale punto e che f

(a) = .
[Traccia: si provi che per ogni > 0 esiste > 0 tale che [f(x)
f(y)[ < per ogni x, y [a, a + [, e se ne deduca la continuit`a delle-
stensione di f; poi si provi che la stessa propriet`a vale per f

e se ne
deduca la derivabilit`a di f ed il fatto che f

(a) = .]
272
5. Sia f : R R una funzione derivabile tale che f(0) = 0 e [f

(x)[
[f(x)[ per ogni x R; provare che f `e identicamente nulla in R.
[Traccia: se x
0
`e punto di massimo per f in I = [
1
2
,
1
2
], si provi che
esiste I tale che [f

(x)[ [f

()[ [x
0
[ per ogni x I; se ne deduca
che f `e costante, quindi nulla, in I. Poi ci si allarghi a [1, 1], [
3
2
,
3
2
],
eccetera. . . ]
6. Si provi che lequazione x
1000
+ax +b = 0 ha al pi` u due soluzioni reali
per ogni scelta di a e b in R.
7. Si provi che lequazione x
999
+ ax + b = 0 ha al pi` u tre soluzioni reali
per ogni scelta di a e b in R, ed al pi` u una per ogni scelta di a 0 e
b R.
8. Si provi che
log

1 + x
1 x
=

n=0
x
2n+1
2n + 1
x ] 1, 1[;
scelto x =
1
2m+1
se ne deduca che
log
m + 1
m
=
2
2m + 1

n=0
1
2n + 1
1
(2m + 1)
2n
m N
+
.
9. Si provi che la serie

n=1

1 +
1
n

`e divergente, mentre la serie

n=1

1 +
1
n
2

n
2

`e convergente.
10. Si provi che

1 + x = 1 +

n=1
(1)
n1
(2n 3)!!
(2n)!!
x
n
x ] 1, 1[,
ove si `e indicato con m!! il prodotto di tutti i naturali fra 1 e m aventi
la stessa parit`a di m, e si `e posto m!! = 1 per m 0.
273
11. Determinare una serie di potenze la cui somma sia

2 x
2
in un
opportuno intervallo di centro 0.
12. Provare che valgono gli sviluppi in serie di potenze
arcsin x =

n=0

1/2
n

(1)
n
2n + 1
x
2n+1
=
=

n=0
(2n 1)!!
(2n)!!
(1)
n
2n + 1
x
2n+1
x [1, 1],
settsinh x = log

x +

1 + x
2

n=0

1/2
n

1
2n + 1
x
2n+1
=
=

n=0
(2n 1)!!
(2n)!!
1
2n + 1
x
2n+1
x ] 1, 1[.
[Traccia: ripetere il ragionamento fatto per log(1 +x) e arctan x negli
esempi 4.3.5.]
13. Sia R. Si provi che la serie binomiale

x
n
:
(i) converge assolutamente per x = 1, se 0;
(ii) converge puntualmente per x = 1 e non converge per x = 1, se
1 < < 0;
(iii) non converge per x = 1, se 1.
[Traccia: se 1 si provi che


n+1

; se 1 si provi
che


c
n(n1)
per ogni n sucientemente grande e c costante
opportuna; se [[ < 1 si osservi che


n+1

<

, e sfruttando le
relazioni


k1
< log

1

k

<

k
]0, 1[, k N
+
,
log
n
2
<

n
k=2
1
k
< log n n 2,
si deduca che

= [[

n
k=2

1
+1
k

e che c n
1
<

<
c

n
1
per ogni n 2 e per opportune costanti c, c

.]
274
14. Si verichi che
x
2
log(1+x) x per ogni x [0, 1]; se ne deduca, uti-
lizzando le disuguaglianze fra media armonica, geometrica e aritmetica
(teorema 1.8.2 ed esercizio 1.8.4), che

n
2 log(n + 1)

n
< n! <

n + 1
2

n
n N
+
.
Si confronti questo risultato con quello ottenuto nellesempio 2.7.10 (3).
4.4 Condizioni sucienti per la dierenziabi-
lit`a
Torniamo alle funzioni di pi` u variabili: con lausilio del teorema di Lagrange
si pu`o provare la dierenziabilit`a di unampia classe di tali funzioni.
Teorema 4.4.1 (del dierenziale totale) Sia A un aperto di R
m
, sia
x
0
A e sia f : A R una funzione con le seguenti propriet`a:
(i) vi `e una palla B(x
0
, r) A tale che esistano le derivate parziali D
i
f(x),
i = 1, . . . , m, in ogni punto x B(x
0
, r);
(ii) le derivate parziali D
i
f sono continue in x
0
.
Allora f `e dierenziabile nel punto x
0
.
Dimostrazione Facciamo la dimostrazione nel caso m = 2: il caso generale
`e del tutto analogo ma formalmente pi` u complicato (esercizio 4.4.2). Poniamo
dunque (x
0
, y
0
) = x
0
, (h, k) = h, e sia = [h[
2
. Se < r, ossia h
2
+k
2
< r
2
,
allora i punti (x
0
, y
0
+ k) e (x
0
+ h, y
0
+ k) appartengono ancora a B(x
0
, r).
Dobbiamo provare che
lim
0
1

f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
)
f
x
(x
0
, y
0
)h
f
y
(x
0
, y
0
)k

= 0.
Osserviamo che
f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
) =
= [f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
+ k)] + [f(x
0
, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
)] ,
275
ed applicando il teorema di Lagrange alle due funzioni
t f(t, y
0
+ k), t compreso fra x
0
e x
0
+ h,
t f(x
0
, t), t compreso fra y
0
e y
0
+ k,
otteniamo
f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
) =
f
x
(, y
0
+ k)h +
f
y
(x
0
, )k,
ove `e un punto opportuno compreso fra x
0
e x
0
+h, e `e un punto opportuno
compreso fra y
0
e y
0
+ k. Quindi
1

f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
)
f
x
(x
0
, y
0
)h
f
y
(x
0
, y
0
)k

[h[

f
x
(, y
0
+ k)
f
x
(x
0
, y
0
)

+
[k[

f
y
(x
0
, )
f
y
(x
0
, y
0
)

f
x
(, y
0
+ k)
f
x
(x
0
, y
0
)

f
y
(x
0
, )
f
y
(x
0
, y
0
)

;
quando 0 si ha h 0 e k 0, dunque x
0
e y
0
: perci`o lultimo
membro tende a 0 in virt` u della continuit`a delle derivate parziali di f nel
punto (x
0
, y
0
). Ne segue la tesi.
Osserviamo che il teorema precedente esprime una condizione suciente per
la dierenziabilit`a di f in x
0
: nellesercizio 4.4.1 si esibisce una funzione che
`e dierenziabile benche non soddis le ipotesi del teorema del dierenziale
totale.
Esercizi 4.4
1. Provare che la funzione
f(x, y) =

y
2
cos
1
y
se x R, y = 0
0 se x R, y = 0
`e dierenziabile nel punto (0, 0), ma non soddisfa in tale punto le ipotesi
del teorema del dierenziale totale.
2. Dimostrare il teorema del dierenziale totale nel caso generale (funzioni
di m variabili anziche di due).
276
3. Sia A un cono di R
m
(cio`e un insieme tale che se x A allora tx A
per ogni t > 0). Una funzione f : A R si dice omogenea di grado
R se verica lidentit`a
f(tx) = t

f(x) t > 0, x A.
Provare che:
(i) se f `e dierenziabile in A, allora le derivate parziali D
i
f sono
funzioni omogenee di grado 1;
(ii) vale lidentit`a di Eulero
gradf(x) x = f(x) x A.
4. Sia H una matrice reale e simmetrica mm. Si verichi che la funzione
(v) = Hv v `e una funzione omogenea di grado 2 su R
m
(essa si
chiama forma quadratica associata alla matrice H), e se ne calcoli il
gradiente.
5. Si consideri la funzione f : R
2
R cos` denita:
f(x, y) =

0 se x R, y = 0
y e
(
xy
y
)
2
se x R, y = 0.
(i) Si verichi che f `e continua in R
2
.
(ii) Si provi che esistono le derivate parziali di f in ogni punto di R
2
.
(iii) Si scriva il vettore gradf(0, 0).
(iv) Si dimostri che f non `e dierenziabile nellorigine, mentre lo `e negli
altri punti di R
2
.
6. Si consideri la funzione f : R
2
` (x, y) : y = 0 R cos` denita:
f(x, y) =

x log y
2
y
2
1
se x R, y = 1
x se x R, y = 1.
(i) Determinare linsieme dei punti ove f `e continua.
277
(ii) Determinare linsieme dei punti ove esistono le derivate parziali e
calcolare tali derivate.
(iii) Determinare linsieme dei punti ove f `e dierenziabile e calcolarne
il dierenziale.
7. Sia f una funzione dierenziabile con derivate parziali continue in R
2
,
e tale che
f(x, y) = 0 (x, y) ,
ove = (x, y) R
2
: x = y.
(i) Provare che
f
x
(x, y) =
f
y
(x, y) (x, y) .
(ii) Provare che la funzione
g(x, y) =
f(x, y)
x y
, (x, y) R
2
`
`e estendibile con continuit`a a R
2
.
4.5 Dierenziabilit`a di funzioni composte
Estenderemo al caso di funzioni di pi` u variabili il teorema di derivazione delle
funzioni composte (teorema 4.1.6). Cominciamo dal caso pi` u semplice: sia A
un aperto di R
m
, sia f : A R una funzione, e sia u : [a, b] A una funzione
a valori vettoriali: ci`o signica che u(t) `e un vettore (u
1
(t), . . . , u
m
(t)) di
R
m
, il quale appartiene ad A per ogni scelta di t [a, b]. Ha dunque senso
considerare la funzione composta F(t) = f(u(t)), che `e denita su [a, b] a
valori in R.
Teorema 4.5.1 Nelle ipotesi sopra dette, se f `e dierenziabile in A e u `e
derivabile in [a, b] (ossia le funzioni u
1
,. . . ,u
m
sono derivabili in [a, b]), allora
F = f u `e derivabile in [a, b] e si ha
F

(t) = ([gradf] u(t)) u

(t) =
m

i=1
(D
i
f)(u(t)) (u
i
)

(t) t [a, b].


278
Dimostrazione Le u
i
sono funzioni derivabili: quindi, ssato t [a, b], per
ogni k R tale che t + k [a, b] si pu`o scrivere
u
i
(t + k) u
i
(t) = (u
i
)

(t) k + k w
i
(k), i = 1, . . . , n,
ove le funzioni w
i
sono innitesime per k 0; ossia, in forma vettoriale,
u(t + k) u(t) = u

(t) k + k w(k),
ove [w(k)[
m
0 per k 0.
Daltra parte, essendo la funzione f dierenziabile nel punto u(t), dallos-
servazione 4.2.7 segue, prendendo come incremento vettoriale h la quantit`a
u(t + k) u(t), che
f(u(t + k)) f(u(t)) [gradf(u(t))] [u(t + k) u(t)] =
= [u(t + k) u(t)[
m
(u(t + k) u(t)),
ove (h) `e un innitesimo per h 0. Ne segue
F(t + k) F(t) [gradf(u(t))] u

(t) k =
= [gradf(u(t))] w(k) k +[u(t + k) u(t)[
m
(u(t + k) u(t)) =
= [gradf(u(t))] w(k) k +[(u

(t) +w(k)) k[
m
(u(t + k) u(t));
poiche
lim
k0

1
k
[gradf(u(t)) w(k) k +[(u

(t) +w(k)) k[
m
(u(t + k) u(t))]

lim
k0
[[gradf(u(t))[
m
[w(k)[
m
+[u

(t) +w(k)[
m
[(u(t + k) u(t))[] = 0,
si conclude che
lim
k0
F(t + k) F(t)
k
= [gradf(u(t))] u

(t).
Il risultato che segue prova la dierenziabilit`a delle funzioni composte nel
caso pi` u generale.
Teorema 4.5.2 Sia A un aperto di R
m
, sia B un aperto di R
p
e conside-
riamo due funzioni f : A R e g : B A. Se f `e dierenziabile in A
e se g `e dierenziabile in B (ossia le componenti scalari g
1
, . . . , g
m
di g
279
sono dierenziabili in B), allora la funzione composta F(x) = f(g(x)) =
f(g
1
(x), . . . , g
m
(x)) `e dierenziabile in A e risulta
F
x
j
(x) =
m

k=1
f
y
k
(g(x))
g
k
x
j
(x) x B, j = 1, . . . , p.
Dimostrazione Basta ripetere la dimostrazione precedente considerando le
funzioni x
j
g(x) e x f(x).
Esempi 4.5.3 (1) (coordinate polari in R
2
) Poniamo, come si `e fatto nel-
losservazione 3.3.7,

x = r cos
y = r sin ,
r 0, [0, 2].
Se f(x, y) `e una funzione dierenziabile, posto u(r, ) = f(r cos , r sin ) si
ha
u
r
(r, ) =
f
x
(r cos , r sin ) cos +
f
y
(r cos , r sin ) sin ,
u

(r, ) =
f
x
(r cos , r sin )r sin +
f
y
(r cos , r sin )r cos ,
e in particolare
[[gradf](r cos , r sin )[
2
2
=
=

u
r
(r, )

2
+
1
r
2

(r, )

2
r > 0, [0, 2].
(2) (coordinate polari in R
3
) Poniamo

x = r sin cos
y = r sin sin
z = r cos ,
r 0, [0, 2], [0, 2].
La quantit`a r rappresenta la distanza del punto P = (x, y, z) dallorigine
O; il numero `e la colatitudine, ossia langolo convesso che il segmento
OP forma con il segmento ON, ove N `e il polo nord (0, 0, r); inne, il
numero `e la longitudine, cio`e langolo (orientato) fra la semiretta delle
x 0 e la proiezione di OP sul piano xy. Come nel caso bi-dimensionale,
280
la corrispondenza (r, , ) = (x, y, z) non `e biunivoca poiche tutte le terne
(0, , ) rappresentano lorigine, tutte le terne (r, 0, ) e (r, 0, ) rappresenta-
no i due poli (0, 0, r) e (0, 0, r) rispettivamente, ed inne le terne (r, , 0)
e (r, , 2) rappresentano lo stesso punto sul piano xz. Lapplicazione tra-
sforma parallelepipedi dello spazio r in settori sferici dello spazio xyz.
Se f(x, y, z) `e una funzione dierenziabile e v = f , si puo vericare che
(omettendo, per brevit`a, la dipendenza delle funzione dalle variabili):
v
r
=

f
x

sin cos +

f
y

sin sin +

f
z

cos ,
v

f
x

r cos cos +

f
y

r cos sin

f
z

r sin ,
v

f
x

r sin sin +

f
y

r sin cos .
In particolare si verica facilmente che
[[gradf] [
2
3
=

v
r

2
+
1
r
2

2
+
1
r
2
sin
2

2
per ogni r > 0, ]0, [, [0, 2].
Esercizi 4.5
1. Scrivere la derivata rispetto a t delle funzioni composte f(u(t)) seguen-
ti:
(a) f(x, y) = x
2
+ y
2
, u(t) = (1 + t, 1 t);
(b) f(x, y) = (x
2
+ y
2
)
2
, u(t) = (cos t, sin t);
(c) f(x, y) = log(x
2
y
2
), u(t) = (cos t, sin t) con 0 < t <

4
;
(d) f(x, y) =
xy
x
2
+ y
4
, u(t) = (3t
2
, 2t) con t = 0.
2. Sia A un aperto di R
m
e sia f : A R una funzione dierenziabile. Se
x, y A, e se tutto il segmento I di estremi x e y `e contenuto in A, si
provi che
f(x) f(y) = gradf(v) (x y),
281
ove v `e un punto opportuno del segmento I.
[Traccia: si applichi il teorema di Lagrange alla funzione F(t) = f(x+
t(y x)), 0 t 1.]
3. Sia f : [0, [R una funzione derivabile; posto
u(x) = f

[x[
2
m

, x R
m
,
si provi che u `e dierenziabile in R
m
e se ne calcoli il gradiente.
4.6 Derivate successive
Sia f :]a, b[ R una funzione derivabile. Allora per ogni x ]a, b[ esiste la
derivata f

(x): dunque resta denita la funzione derivata f

:]a, b[ R. Se
questa funzione `e a sua volta derivabile in ]a, b[, la sua derivata (f

si dice
derivata seconda di f e si indica con i simboli
f

(x), D
2
f(x),
d
2
f
dx
2
(x)
(la f

, per analogia, si dir`a derivata prima di f). In particolare


f

(x) = lim
h0
f

(x + h) f

(x)
h
x ]a, b[.
Analogamente si deniscono, quando `e possibile, la derivata terza, quarta,
. . . , n-sima di f, che si indicano con f
(3)
, f
(4)
, . . . , f
(n)
; si ha
f
(k)
(x) = lim
h0
f
(k1)
(x + h) f
(k1)
(x)
h
x ]a, b[, k = 1, . . . , n.
In tal caso si dice che f `e derivabile n volte in ]a, b[.
Esempi 4.6.1 (1) Se f(x) = x
2
+ 3x + 2, si ha f

(x) = 2x + 3, f

(x) = 2,
f
(n)
(x) = 0 per ogni n > 2.
(2) Se f(x) = x[x[, si ha f

(x) = 2[x[ e
f

(x) =

2 se x > 0
2 se x < 0,
mentre f

(0) non esiste.


282
(3) Se f(x) = b
x
, si ha f
(n)
(x) = b
x
(log b)
n
per ogni n N
+
.
Per le funzioni di pi` u variabili valgono considerazioni analoghe. Sia f : A
R, ove A `e un aperto di R
m
; se f `e dierenziabile in A, allora esistono le m
derivate parziali prime D
i
f(x), i = 1, . . . , m. Se ciascuna di queste funzioni,
a sua volta, `e dierenziabile in A, esisteranno le m
2
derivate parziali seconde
D
j
(D
i
f)(x), i, j = 1, . . . , m; per tali funzioni useremo i simboli
D
j
D
i
f(x), f
x
j
x
i (x),

2
f
x
j
x
i
(x),
e se i = j
D
2
j
f(x), f
x
j
x
j (x),

2
f
x
j
2
(x).
In generale, f avr`a m
k
derivate parziali k-sime (se queste esistono tutte).
Denizione 4.6.2 Diciamo che una funzione f `e di classe C
k
in A, e scri-
viamo f C
k
(A), se f possiede tutte le derivate parziali no allordine k
incluso, e inoltre f e le sue derivate sono continue in A; in particolare,
denotiamo con C
0
(A), o semplicemente con C(A), linsieme delle funzioni
continue in A. Poniamo inoltre
C

(A) =

k=0
C
k
(A).
In modo analogo si denisce C
k
(]a, b[) nel caso di funzioni di una sola varia-
bile.
Esempi 4.6.3 (1) Ogni polinomio in m variabili `e una funzione di classe
C

(R
m
).
(2) La funzione f(x) = [x[
k+1/2
`e di classe C
k
, ma non di classe C
k+1
, su R.
(3) Le somme di serie di potenze reali sono funzioni di classe C

sullinter-
vallo aperto di convergenza. In generale possono esistere le derivate seconde
D
i
D
j
f e D
j
D
i
f di una funzione f di m variabili, ma queste due derivate
possono essere diverse fra loro: un esempio `e fornito nellesercizio 4.6.5. Tut-
tavia sotto ipotesi assai ragionevoli vale il seguente risultato sullinvertibilit`a
dellordine di derivazione:
Teorema 4.6.4 (di Schwarz) Sia A un aperto di R
m
, sia x
0
A e sia
f : A R una funzione tale che le derivate D
i
D
j
f e D
j
D
i
f esistano in un
intorno di x
0
e siano continue in x
0
. Allora risulta D
i
D
j
f(x
0
) = D
j
D
i
f(x
0
).
283
Dimostrazione Si vedano gli esercizi 4.6.6 e 4.6.7.
Di conseguenza, se f : A R `e di classe C
2
sullaperto A R
m
, la sua
matrice Hessiana, denita da
H(x) =

D
2
1
f(x) D
1
D
m
f(x)


D
m
D
1
f(x) D
2
m
f(x)

, x A,
`e una matrice mm reale e simmetrica; ritorneremo a parlare di essa quando
studieremo i massimi e i minimi di funzioni di pi` u variabili (paragrafo 4.11).
Principio di identit`a delle serie di potenze
Per i polinomi vale il principio di identit`a, ben noto in algebra, secondo il
quale due polinomi che coincidono per ogni valore della variabile devono avere
gli stessi coecienti. Le serie di potenze condividono questa fondamentale
propriet`a: in altre parole, i loro coecienti sono univocamente determinati
dalla somma della serie. Ci`o `e conseguenza del seguente
Teorema 4.6.5 Sia

n=0
a
k
x
k
una serie di potenze reale con raggio di con-
vergenza R > 0, e sia f(x) la sua somma per [x[ < R. Allora:
(i) f appartiene a C

(] R, R[) (cio`e esiste f


(n)
(x) per ogni n N e per
ogni x ] R, R[);
(ii) risulta
f
(n)
(x) =

k=n
k(k 1) . . . (k n + 1)a
k
x
kn
x ] R, R[;
(iii) in particolare,
a
n
=
f
(n)
(0)
n!
n N,
ove f
(0)
signica f.
Dimostrazione Dal teorema 4.1.11 sappiamo che f `e derivabile e che
f

(x) =

k=1
ka
k
x
k1
x ] R, R[.
284
Ma allora f

`e a sua volta somma di una serie di potenze in ] R, R[:


applicando nuovamente il teorema 4.1.11 segue che f

`e derivabile e che
f

(x) =

k=2
k(k 1)a
k
x
k2
x ] R, R[.
Iterando il procedimento si ottengono (i) e (ii). In particolare, scegliendo
x = 0 nella serie di f
(n)
, tutti gli addendi con k > n spariscono e pertanto
f
(n)
(0) = n(n 1) . . . (n n + 1)a
n
= n! a
n
.
Corollario 4.6.6 (principio di identit`a delle serie di potenze) Siano

n=0
a
n
x
n
e

n=0
b
n
x
n
due serie di potenze reali con raggi di convergenza
R, R

> 0. Posto r = minR, R

, se risulta

n=0
a
n
x
n
=

n=0
b
n
x
n
x ] r, r[,
allora si ha a
n
= b
n
per ogni n N.
Dimostrazione Basta applicare il teorema 4.6.5 alla serie dierenza, cio`e

(a
n
b
n
)x
n
, la quale per ipotesi ha somma 0 in ] r, r[.
Esercizi 4.6
1. Sia f :]a, b[ R e supponiamo che f sia derivabile due volte in ]a, b[.
Siano x
1
, x
2
, x
3
punti di ]a, b[, con x
1
< x
2
< x
3
e f(x
1
) = f(x
2
) =
f(x
3
). Si provi che esiste ]x
1
, x
3
[ tale che f

() = 0.
2. Sia f :]a, b[R derivabile due volte in ]a, b[. Si provi che
f

(x) = lim
h0
f(x + h) + f(x h) 2f(x)
h
2
x ]a, b[.
3. Calcolare f
(n)
(x) per ogni n N
+
nei casi seguenti:
(i) f(x) = log
b
x, (ii) f(x) = cos bx, (iii) f(x) = b
x
, (iv) f(x) = x
b
.
285
4. Si dimostri la formula di Leibniz per la derivata n-sima di un prodotto:
D
n
(fg)(x) =
n

k=0

n
k

D
k
f(x) D
nk
g(x).
[Traccia: si ragioni per induzione.]
5. Sia f : R
2
R la funzione cos` denita:
f(x, y) =

y
2
arctan
x
y
se y = 0, x R
0 se y = 0, x R.
Si provi che f
xy
(0, 0) = 0 e f
yx
(0, 0) = 1.
6. Sia A un aperto di R
2
, sia (x
0
, y
0
) A e sia f : A R tale che f
xy
e f
yx
esistano in un intorno di (x
0
, y
0
) e siano continue in tale punto.
Posto
A(h, k) = f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
+ h, y
0
) f(x
0
, y
0
+ k) + f(x
0
, y
0
),
si provi che esiste , intermedio fra x
0
e x
0
+ h, tale che
A(h, k) = h[f
x
(, y
0
+ k) f
x
(, y
0
)];
si provi poi che esiste , intermedio fra y
0
e y
0
+ k, tale che
A(h, k) = hk f
yx
(, ).
Inne, in modo analogo si verichi che esistono

, intermedio fra y
0
e
y
0
+ k, e

, intermedio fra x
0
e x
0
+ h, tali che
A(h, k) = hk f
xy
(

),
e se ne deduca il teorema di Schwarz nel caso m = 2.
[Traccia: si applichi opportunamente il teorema di Lagrange.]
7. Si generalizzi largomentazione dellesercizio precedente al caso di m
variabili, provando che se f : A R `e tale che D
i
D
j
f e D
j
D
i
f esistano
in un intorno di x
0
A e siano continue in tale punto, allora esse
coincidono nel punto x
0
.
[Traccia: ci si riconduca al caso di due variabili osservando che il
ragionamento coinvolge solo le due variabili x
i
e x
j
.]
286
8. Sia f C
k
(A), con A aperto di R
m
. Si verichi che le derivate distinte
di f di ordine k sono

n+k1
k

.
9. Sia
f(x, y) =

x y se x > 0, y R
x ye
x
2
se x 0, y R.
(i) Si verichi che f `e dierenziabile in R
2
.
(ii) Si calcolino f
xy
(0, 0) e f
yx
(0, 0).
10. Sia f : R R di classe C

. Se esiste n N
+
tale che f
(n)
0, si
provi che f `e un polinomio di grado non superiore a n.
11. Si provi che se
f(x) =

n=0
a
n
x
n
, x ] R, R[,
allora per ogni x
0
] R, R[ la funzione f `e somma di una serie di
potenze di centro x
0
in ]x
0
r, x
0
+ r[, ove r = R [x
0
[.
[Traccia: usando la formula di Newton per il binomio, si scriva x
n
=
[(x x
0
) + x
0
]
n
e
f(x) =

n=0
a
n
[(x x
0
) + x
0
]
n
=

n=0
a
n

k=0

n
k

x
nk
0
(x x
0
)
k
=
(poiche la somma `e estesa agli indici (k, n) N
2
con n k)
=

k=0

n=k
a
n

n
k

x
nk
0

(x x
0
)
k
=
=

k=0

n=k
n(n 1) . . . (n k + 1)a
n
x
nk
0

(x x
0
)
k
=
(per il teorema 4.6.5)
=

k=0
1
k!
f
(k)
(x
0
)(x x
0
)
k
.
Occorre per`o vericare la validit`a della terza uguaglianza: cio`e, bisogna
vericare che se a
nk
: n, k N, n k `e una famiglia di numeri reali
287
o complessi tali che

n=0

k=0
[a
nk
[

= L < +,
allora le serie

n=k
a
nk
per ogni k N,

n=0

k=0
a
nk

k=0

n=k
a
nk

sono assolutamente convergenti e si ha

n=0

k=0
a
nk

k=0

n=k
a
nk

.
A questo scopo si utilizzi lesercizio 2.8.4.]
4.7 Confronto di innitesimi e inniti
Nel calcolo di limiti di funzioni di una variabile, il pi` u delle volte ci si trova
a dover determinare leettivo comportamento di una forma indeterminata
del tipo 0/0 oppure /. A questo scopo `e utile la seguente terminologia.
Siano f, g funzioni denite in un intorno di x
0
, ove x
0
R oppure x
0
= ,
e innitesime per x x
0
, cio`e (denizione 3.3.1) tali che
lim
xx
0
f(x) = lim
xx
0
g(x) = 0.
Supporremo, per semplicit`a, che f e g siano diverse da 0 in un intorno di x
0
(salvo al pi` u x
0
).
Diremo che f `e un innitesimo di ordine superiore a g per x x
0
(oppure,
equivalentemente, che g `e un innitesimo di ordine inferiore a f per x x
0
)
se
lim
xx
0
f(x)
g(x)
= 0;
in tal caso useremo la scrittura
f(x) = o(g(x)) per x x
0
,
288
che si legge f `e o-piccolo di g per x x
0
.
Diciamo che f e g sono innitesimi dello stesso ordine per x x
0
se esiste
R ` 0 tale che
lim
xx
0
f(x)
g(x)
= .
Esempi 4.7.1 (1) sin
2
x `e un innitesimo per x 0 di ordine superiore a
x, dello stesso ordine di x
2
, e di ordine inferiore a x
3
, in quanto
lim
x0
sin
2
x
x
= 0, lim
x0
sin
2
x
x
2
= 1, lim
x0
x
3
sin
2
x
= 0.
(2) e
x
`e un innitesimo per x + di ordine superiore a x
n
qualunque
sia n N
+
, in quanto
lim
x+
e
x
x
n
= 0 n N
+
.
(3) 1/ log x `e un innitesimo per x 0
+
di ordine inferiore a x

qualunque
sia > 0, in quanto
lim
x0
+
x

log x = 0 > 0.
(4) Se f `e derivabile in x
0
, allora losservazione 4.1.2 (2) ci dice che
f(x) f(x
0
) f

(x
0
)(x x
0
) = o(x x
0
) per x x
0
.
(5) Dire che f(x) = o(1) per x x
0
signica semplicemente che f(x) `e un
innitesimo per x x
0
.
(6)
`
E facile costruire due innitesimi non confrontabili fra loro: tali sono ad
esempio, per x 0, le funzioni f(x) = x e g(x) = x(2 + sin
1
x
).
Osservazione 4.7.2 Accanto alla notazione o-piccolo esiste anche l O-
grande: se f e g sono innitesimi per x x
0
, la scrittura
f(x) = O(g(x)) per x x
0
(che si legge f(x) `e O-grande di g(x) per x x
0
) signica che esiste K > 0
tale che
[f(x)[ K[g(x)[ in un intorno di x
0
.
Dunque
f(x) = o(g(x)) per x x
0
= f(x) = O(g(x)) per x x
0
,
ma il viceversa `e falso: basta pensare a due innitesimi dello stesso ordine.
289
Il risultato che segue aiuta a semplicare il calcolo del limite di una forma
indeterminata 0/0.
Proposizione 4.7.3 (principio di sostituzione degli innitesimi) Sia-
no f, g, , funzioni innitesime per x x
0
, diverse da 0 per x = x
0
(con
x
0
R oppure x
0
= ). Se
(x) = o(f(x)) e (x) = o(g(x)) per x x
0
,
e se esiste (nito o innito) il limite
lim
xx
0
f(x)
g(x)
,
allora si ha anche
lim
xx
0
f(x) + (x)
g(x) + (x)
= lim
xx
0
f(x)
g(x)
.
Dimostrazione Basta osservare che
f(x) + (x)
g(x) + (x)
=
f(x)
g(x)

1 +
(x)
f(x)
1 +
(x)
g(x)
,
e che il secondo fattore tende a 1 per x x
0
.
Esempi 4.7.4 (1) Si ha, in base al principio di sostituzione,
lim
x0
sin x x
2
x + x

x
= lim
x0
sin x
x
= 1.
(2) Calcoliamo (se esiste) il limite
lim
x0
sin x x + log(1 + x
2
)
x
2
.
La funzione log(1 + x
2
) `e un innitesimo per x 0 di ordine superiore
sia rispetto a sin x, sia rispetto a x; tuttavia essa non `e un innitesimo di
ordine superiore a (sin x x), in quanto (sin x x) `e dello stesso ordine di
x
3
(esercizio 3.3.12) mentre log(1 + x
2
) `e dello stesso ordine di x
2
. Sarebbe
perci`o sbagliato concludere che il limite proposto coincide con
lim
x0
sin x x
x
2
= 0;
290
esso invece coincide con
lim
x0
log(1 + x
2
)
x
2
= 1.
Discorsi analoghi, come ora vedremo, valgono per gli inniti per x x
0
, cio`e
per le funzioni f denite in un intorno di x
0
(salvo al pi` u x
0
) e tali che
1
f(x)
sia innitesimo per x x
0
.
Siano f, g due inniti per x x
0
: diciamo che f `e un innito di ordine
superiore a g per x x
0
, ovvero che g `e un innito di ordine inferiore a f
per x x
0
, se
lim
xx
0
g(x)
f(x)
= 0;
in tal caso useremo ancora la scrittura
g(x) = o(f(x)) per x x
0
.
Diciamo che f e g sono inniti dello stesso ordine per x x
0
se esiste un
numero reale = 0 tale che
lim
xx
0
g(x)
f(x)
= .
Si noti che, in conseguenza delle denizioni di o-piccolo e O-grande, f `e
un innito di ordine superiore a g per x x
0
se e solo se 1/f `e un innitesimo
di ordine superiore a 1/g per x x
0
.
Esempi 4.7.5 (1)

1 + x
3
`e un innito di ordine superiore a x per x
+, in quanto
lim
x+
x

1 + x
3
= 0.
(2) tan x `e un innito dello stesso ordine di
1
+2x
per x

2
+
, in quanto
lim
x/2
+
( + 2x) tan x = lim
x/2
+
2

2
+ x

sin x
cos x
=
= lim
x/2
+
2

2
+ x

sin

2
+ x
sin x = 2.
(3) Le funzioni
1
x
e
1
x
(2 + sin
1
x
) sono inniti non confrontabili per x 0.
291
Proposizione 4.7.6 (principio di sostituzione degli inniti) Siano f,
g, , funzioni innite per x x
0
, ove x
0
R oppure x
0
= . Se
(x) = o(f(x)) e (x) = o(g(x)) per x x
0
,
e se esiste (nito o innito) il limite
lim
xx
0
f(x)
g(x)
,
allora si ha anche
lim
xx
0
f(x) + (x)
g(x) + (x)
= lim
xx
0
f(x)
g(x)
.
Dimostrazione Analoga a quella del principio di sostituzione degli inni-
tesimi.
Un utile strumento per lo studio delle forme indeterminate (non il pi` u im-
portante, per`o: spesso `e pi` u utile la formula di Taylor, come mostreranno
lesempio 4.8.4 (2) e lesercizio 4.8.7) `e il seguente
Teorema 4.7.7 (di de lHopital) Sia x
0
[a, b] e siano f, g funzioni de-
rivabili in ]a, b[`x
0
. Se:
(i) f e g sono entrambe innitesimi, oppure inniti, per x x
0
;
(ii) g

= 0 in un intorno di x
0
(salvo al pi` u in x
0
);
(iii) esiste, nito o innito, il limite
lim
xx
0
f

(x)
g

(x)
,
allora
lim
xx
0
f(x)
g(x)
= lim
xx
0
f

(x)
g

(x)
.
Dimostrazione Consideriamo il caso in cui
lim
xx
0
f(x) = lim
xx
0
g(x) = 0.
Anzitutto, prolunghiamo oppure ri-deniamo f e g nel punto x
0
ponendo
f(x
0
) = g(x
0
) = 0. (Ci`o `e necessario se f e g non sono denite in x
0
, come
292
ad esempio nel caso di
1cos x
x
nel punto 0, oppure se f e g sono denite in
x
0
con valori non nulli, e quindi sono discontinue in tale punto.) In questo
modo, f e g risultano continue in ]a, b[x
0
e derivabili in ]a, b[`x
0
.
Dobbiamo calcolare il limite di
f(x)
g(x)
per x x
0
. Detto il limite di
f

(x)
g

(x)
per
x x
0
, e supposto per ssare le idee R, per ogni > 0 esiste > 0 tale
che
0 < [x x
0
[ < =

(x)
g

(x)

< .
Sia x ]a, b[ tale che 0 < [x x
0
[ < , e supponiamo ad esempio x < x
0
:
allora f e g soddisfano le ipotesi del teorema di Cauchy (teorema 4.3.2)
nellintervallo [x, x
0
]; quindi esiste ]x, x
0
[ tale che
f(x)
g(x)
=
f(x) f(x
0
)
g(x) g(x
0
)
=
f

()
g

()
.
Ma [ x
0
[ < [x x
0
[ < e dunque

f(x)
g(x)

()
g

()

< .
Ci` o prova che
f(x)
g(x)
converge a per x x
0
. Discorso analogo se = e
se x > x
0
.
Passiamo ora a considerare il caso in cui f e g sono inniti per x x
0
. In
questo caso la dimostrazione `e meno semplice.
Proveremo la tesi solamente nel caso in cui R; per il caso = si
rimanda allesercizio 4.7.4.
Fissati due punti distinti x, ]a, b[`x
0
, entrambi minori o entrambi mag-
giori di x
0
, per il teorema di Cauchy possiamo scrivere
f(x) f()
g(x) g()
=
f

()
g

()
,
con opportuno punto intermedio fra x e . Questa scrittura ha senso se i
punti x, sono sucientemente vicini a x
0
: in tal caso infatti vale lipotesi
(ii), che assicura liniettivit`a di g. La relazione sopra scritta equivale, con
facili calcoli, a
f(x)
g(x)
=
1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
f

()
g

()
,
293
scrittura che a sua volta ha senso per x sucientemente vicino a x
0
, visto
che f e g tendono a per x x
0
.
Sia ora > 0 e sia

]0, 1[ un altro numero, che sseremo in seguito. Per


lipotesi (iii), esiste > 0 tale che

(u)
g

(u)

<

per u ]a, b[, 0 < [u x


0
[ < .
Scegliamo = x
0


2
, a seconda che sia x > x
0
o x < x
0
. Allora quando
0 < [x x
0
[ < si avr`a anche 0 < [ x
0
[ < , e dunque

()
g

()

<

.
Adesso osserviamo che, con la nostra scelta di , si ha
lim
xx
0
1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
= 1,
e dunque esiste ]0, ] tale che

1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
1

<

per 0 < [x x
0
[ < .
Valutiamo allora

f(x)
g(x)

quando 0 < [x x
0
[ < : si ha

f(x)
g(x)

1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
f

()
g

()

1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
1

()
g

()

()
g

()

([[ +

) +

.
Essendo

< 1, deduciamo

f(x)
g(x)

< ([[ + 2)

per 0 < [x x
0
[ < ,
294
e scegliendo inne



||+2
si conclude che

f(x)
g(x)

< per 0 < [x x


0
[ < ,
che `e la tesi.
Osservazioni 4.7.8 (1) Il teorema di de LHopital vale anche nel caso di
rapporti di innitesimi, o di inniti, per x x
+
0
, o per x x

0
, o anche per
x . Le dimostrazioni sono essenzialmente analoghe (esercizio 4.7.4).
(2) La soppressione di una qualunque delle tre ipotesi rende falso il teorema:
si vedano gli esercizi 4.7.2 e 4.7.3.
(3) In pratica la sostituzione di
f
g
con
f

porta sovente ad unulteriore forma


indeterminata. In questi casi, se le tre ipotesi (i)-(ii)-(iii) sono ancora sod-
disfatte, si pu`o applicare il teorema di de LHopital alle funzioni f

e g

, e
considerare i limiti per x x
0
di
f

, poi di
f
(3)
g
(3)
, eccetera, nche non si trova
un n N
+
tale che
lim
xx
0
f
(n)
(x)
g
(n)
(x)
= ;
si avr`a allora (e solo allora, cio`e solo quando tale limite esiste)
lim
xx
0
f
(n1)
(x)
g
(n1)
(x)
= lim
xx
0
f
(n2)
(x)
g
(n2)
(x)
= . . . = lim
xx
0
f(x)
g(x)
= .
Esempio 4.7.9 Si ha, usando due volte il teorema di de LHopital,
lim
x0
cos 2x cos x
x
2
= lim
x0
2 sin 2x + sin x
2x
= lim
x0
4 cos 2x + cos x
2
=
3
2
.
Esercizi 4.7
1. Nellenunciato del teorema di de LHopital, nel caso del confronto di
due innitesimi non si fa lipotesi che la funzione g sia diversa da 0 in
un intorno di x
0
(salvo al pi` u x
0
): si provi che ci`o `e conseguenza delle
altre ipotesi del teorema.
2. Posto f(x) = log x e g(x) = x, si verichi che
lim
x0
+
f(x)
g(x)
= lim
x0
+
f

(x)
g

(x)
.
Come mai?
295
3. Calcolare, se esistono, i limiti
(a) lim
x+
x + sin x
x
, (b) lim
x0
x
2
sin 1/x
sin x
.
4. Dimostrare il teorema di de LHopital nel caso in cui
f

(x)
g

(x)
per
x x
0
, e nel caso di forme indeterminate 0/0 e / per x .
5. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
(i) lim
x0
+
(arctan x)
tan x
; (ii) lim
x/4

2 sin x cos x
log sin 2x
;
(iii) lim
x0
+
log
x
(e
x
1); (iv) lim
x+
log(1 + 2e
x
)

1 + x
2
;
(v) lim
x1
x x
x
1 x log x
; (vi) lim
x0
tan x log sin x;
(vii) lim
x0

1
x

tanx
; (viii) lim
x0

1
1 cos x

2
x
2

;
(ix) lim
x0
arcsin x x
x arctan x
; (x) lim
x1
+
(log x) log log x;
(xi) lim
x0
+
(tan x)e
1/x
; (xii) lim
x0

1
x
2

1
tan
2
x

;
(xiii) lim
x0
(1 +x
2
)
1
sin
2
x
; (xiv) lim
x0
(1 +x)
1/x

1 + x e
x
2
;
(xv) lim
x0
+

log x
x

x
; (xvi) lim
x1
(1 x) tan
x
2
;
(xvii) lim
x0
+
(e
x
1)
x
; (xviii) lim
x1

(log x)
2/3
+ (1 x
2
)
3/4
(sin(x 1))
2/3
;
(xix) lim
x0

tan x
x

1/x
; (xx) lim
x0
log(1 + x + x
2
) + log(1 x + x
2
)
sin
2
x
.
6. Sia f : [a, b] R una funzione continua, sia x
0
]a, b[ e supponiamo che
f sia derivabile in ]a, b[`x
0
. Si provi che se esiste lim
xx
0
f

(x) = R,
allora f `e derivabile anche nel punto x
0
, con f

(x
0
) = .
296
7. Sia f : [a, +[R una funzione derivabile. Si provi che se
lim
x+
f

(x) = a R, lim
x
(f(x) ax) = b R.
allora f ha lasintoto obliquo di equazione y = ax +b per x +.
`
E
vero il viceversa?
4.8 Formula di Taylor
Consideriamo una funzione f :]a, b[R e ssiamo un punto x
0
]a, b[. Come
sappiamo, se f `e continua allora
f(x) f(x
0
) = o(1) per x x
0
,
mentre se f `e derivabile allora
f(x) f(x
0
) f

(x
0
)(x x
0
) = o(x x
0
) per x x
0
.
Il risultato che segue generalizza questa propriet`a di approssimabilit`a.
Teorema 4.8.1 (formula di Taylor) Sia f una funzione derivabile k volte
in ]a, b[, ove k N, e sia x
0
]a, b[. Allora esiste un unico polinomio P
k
(x)
di grado al pi` u k, tale che
f(x) P
k
(x) = o

(x x
0
)
k

per x x
0
;
tale polinomio `e
P
k
(x) =
k

n=0
1
n!
f
(n)
(x
0
)(x x
0
)
n
e si chiama k-simo polinomio di Taylor di f di centro x
0
.
Dimostrazione Se k = 0 si vede immediatamente che P
0
(x) = f(x
0
) `e
lunico polinomio che verica la tesi. Possiamo quindi supporre k 1.
Tutto il ragionamento `e basato sul seguente lemma:
Lemma 4.8.2 Sia g :]a, b[ R una funzione derivabile k volte, con k 1,
e sia x
0
]a, b[. Si ha
g(x) = o

(x x
0
)
k

per x x
0
se e solo se
g(x
0
) = g

(x
0
) = g

(x
0
) = . . . = g
(k)
(x
0
) = 0.
297
Dimostrazione del lemma (=) Poiche, per ipotesi, per h = 0, 1, . . . , k1
la funzione g
(h)
(x) `e innitesima per x x
0
, usando ripetutamente il teorema
di de LHopital (teorema 4.7.7) si ha la catena di implicazioni
lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
k
= =
= lim
xx
0
g

(x)
k(x x
0
)
k1
= = . . . = lim
xx
0
g
(k1)
(x)
k!(x x
0
)
= ;
ma questultimo limite vale 0, poiche, per denizione di derivata k-sima,
g
(k1)
(x)
k!(x x
0
)
=
1
k!
g
(k1)
(x) g
(k1)
(x
0
)
x x
0

1
k!
g
(k)
(x
0
) = 0 per x x
0
.
(=) Deniamo
Z = h N : 0 h k, g
(h)
(x
0
) = 0 :
dobbiamo provare che Z = . Dallipotesi
lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
k
= 0
si deduce in particolare che g(x) deve essere innitesima per x x
0
, quindi
g(x
0
) = 0 e pertanto 0 / Z. Supponiamo per assurdo che Z non sia vuoto:
allora esso avr`a un minimo p 1, e si avr`a dunque
g(x
0
) = g

(x
0
) = = g
(p1)
(x
0
) = 0, g
(p)
(x
0
) = 0.
Consideriamo allora la forma indeterminata g(x)/(x x
0
)
p
: per il teorema
di de lHopital,
lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
p
= lim
xx
0
g

(x)
p(x x
0
)
p1
= = lim
xx
0
g
(p1)
(x)
p!(x x
0
)
=
g
(p)
(x
0
)
p!
= 0,
mentre invece, per ipotesi,
lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
p
= lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
k
(x x
0
)
kp
= 0.
Ci` o `e assurdo e pertanto Z = .
298
Dimostriamo ora la formula di Taylor. Sia P(x) un arbitrario polinomio di
grado k, che possiamo sempre scrivere nella forma
P(x) =
k

n=0
a
n
(x x
0
)
n
(esercizio 4.8.1). Applicando il lemma 4.8.2 alla funzione f(x)P(x), avremo
f(x) P(x) = o

(x x
0
)
k

per x x
0

f
(n)
(x
0
) = P
(n)
(x
0
) per n = 0, 1, . . . , k;
daltra parte si vede subito che
P(x
0
) = a
0
, P

(x
0
) = a
1
, P

(x
0
) = 2a
2
. . . , P
(k)
(x
0
) = k! a
k
,
e dunque
f(x) P(x) = o

(x x
0
)
k

per x x
0

a
n
=
1
n!
f
(n)
(x
0
) per n = 0, 1, . . . , k,
cio`e P(x) P
k
(x).
Osservazioni 4.8.3 (1) Il grado del k-simo polinomio di Taylor P
k
(x) `e al
pi` u k; `e esattamente k se e solo se f
(k)
(x
0
) = 0.
(2) Il (k + 1)-simo polinomio di Taylor (ammesso che esista, cio`e che f sia
derivabile k + 1 volte) si ottiene dal k-simo semplicemente aggiungendo un
termine:
P
k+1
(x) = P
k
(x) +
1
(k + 1)!
f
(k+1)
(x
0
)(x x
0
)
k+1
.
(3) Se f `e derivabile k + 1 volte in ]a, b[, si pu`o precisare meglio il modo di
tendere a 0 del resto di Taylor, ossia della dierenza f(x)P
k
(x) per x x
0
:
si ha in tal caso
f(x) P
k
(x) =
1
(k + 1)!
f
(k+1)
()(x x
0
)
k+1
,
ove `e un opportuno punto compreso fra x e x
0
. Questo risultato potrebbe
chiamarsi teorema di Lagrange di grado k+1. Se in particolare la funzione
f
(k+1)
`e limitata, esso ci dice che
f(x) P
k
(x) = O

(x x
0
)
k+1

per x x
0
.
299
Per provare il teorema di Lagrange di grado k +1, basta applicare ripetu-
tamente il teorema di Cauchy (teorema 4.3.2):
f(x) P
k
(x)
(x x
0
)
k+1
=
f

(
1
) P

k
(
1
)
(k + 1)(
1
x
0
)
k
= . . . =
=
f
(k)
(
k
) P
(k)
k
(
k
)
(k + 1)!(
k
x
0
)
=
f
(k+1)
()
(k + 1)!
,
ove
1
`e intermedio fra x e x
0
,
2
`e intermedio fra
1
e x
0
, . . . ,
k
`e intermedio
fra
k1
e x
0
, e inne `e intermedio fra
k
e x
0
; nellultimo passaggio si `e
usato il fatto che P
k
ha grado non superiore a k e dunque P
(k+1)
k
0.
(4) Per scrivere il k-simo polinomio di Taylor di una data funzione f non `e
sempre obbligatorio calcolare le derivate di f nel punto x
0
; talvolta conviene
invece far uso della sua propriet`a di miglior approssimazione: se riusciamo
a trovare un polinomio P, di grado non superiore a k, tale che
f(x) P(x) = o

(x x
0
)
k

per x x
0
,
necessariamente esso sar`a il k-
simo polinomio di Taylor cerca-
to. Ad esempio, data f(x) =
sin x
5
, chi `e il suo quattordicesi-
mo polinomio di Taylor di centro
0? Ricordando che
lim
t0
sin t t
t
3
=
1
6
(esercizio 3.3.12), avremo anche
lim
x0
sin x
5
x
5
x
15
=
1
6
(esercizio 3.3.10); in particolare
sin x
5
x
5
= O(x
15
) = o(x
14
)
per x 0, e dunque P
14
(x) = x
5
. Naturalmente si ha anche P
13
(x) =
P
12
(x) = . . . = P
5
(x) = x
5
, mentre, essendo
sin x
5
= O(x
5
) = o(x
4
) per x 0,
300
si ha P
4
(x) = P
3
(x) = P
2
(x) = P
1
(x) = P
0
(x) = 0.
Vediamo adesso quali sono le strettissime relazioni che intercorrono fra la
somma f(x) di una serie di potenze, la serie stessa e i polinomi di Taylor
della funzione f. Supponiamo che risulti
f(x) =

n=0
a
n
x
n
, x ] R, R[,
ove R ]0, +]. Come sappiamo (teorema 4.1.11), si ha
a
n
=
1
n!
f
(n)
(0) n N,
e dunque per ogni k N la somma parziale k-sima della serie coincide con il
k-simo polinomio di Taylor di f di centro 0. Abbiamo perci`o per ogni k N,
in virt` u della formula di Taylor,
f(x) P
k
(x) =

n=k+1
a
n
x
n
= o(x
k
) per x 0.
Le somme parziali di una serie di potenze godono quindi di una duplice
propriet`a:
(a) in quanto tali, esse vericano, per denizione di serie convergente,
lim
k

f(x)
k

n=0
a
n
x
n

= 0 x ] R, R[,
cio`e forniscono unapprossimazione globale del graco di f in ] R, R[
tanto pi` u accurata quanto pi` u k `e grande;
(b) in quanto polinomi di Taylor di centro 0, vericano
lim
xx
0
1
x
k

f(x)
k

n=0
a
n
x
n

= 0 k N,
cio`e forniscono unapprossimazione locale del graco di f nellintorno
di 0 tanto pi` u accurata quanto pi` u x `e vicino a 0.
301
Si noti che esistono funzioni di classe C

, per le quali dunque i P


k
(x) sono
deniti per ogni k N, e (per denizione) soddisfano la condizione
lim
xx
0
f(x) P
k
(x)
(x x
0
)
k
= 0 k N,
e che tuttavia vericano per ogni x = x
0
lim
k
[f(x) P
k
(x)] = 0
(esercizio 4.8.8).
Osserviamo inne che luso della formula di Taylor `e utilissimo nel calcolo
dei limiti di forme indeterminate, come mostrano i seguenti esempi.
Esempi 4.8.4 (1) Per calcolare il limite
lim
x0
e
x
2
/2
cos x x
2
x
2
si pu`o osservare che per x 0 risulta
e
x
2
/2
= 1 +
x
2
2
+ o(x
2
), cos x = 1
x
2
2
+ o(x
3
),
e che dunque
e
x
2
/2
cos x x
2
= o(x
2
) per x 0;
pertanto
lim
x0
e
x
2
/2
cos x x
2
x
2
= lim
x0
o(x
2
)
x
2
= 0.
Invece per calcolare il limite
lim
x0
e
x
2
/2
cos x x
2
x
4
occorre scrivere anche i termini del quarto ordine: poiche
e
x
2
/2
cos x x
2
=
=

1 +
x
2
2
+
x
4
8
+ o(x
4
)

1
x
2
2
+
x
4
24
+ o(x
5
)

x
2
=
=
x
4
12
+ o(x
4
),
302
si ha
lim
x0
e
x
2
/2
cos x x
2
x
4
= lim
x0
x
4
12
+ o(x
4
)
x
4
=
1
12
.
(2) Per il limite
lim
x0

1 + sin
2
x

1 + x
2
sin x
4
luso del teorema di de LHopital appare poco pratico, perche derivando nu-
meratore e denominatore compaiono espressioni alquanto complicate. Invece,
usando la formula di Taylor, per x 0 risulta (esempio 4.3.5 (3))
sin x
4
= x
4
+ o(x
11
),

1 + x
2
= 1 +
1
2
x
2

1
8
x
4
+ O(x
5
),

1 + sin
2
x = 1 +
1
2
sin
2
x
1
8
sin
4
x + o(sin
5
x) =
= 1 +
1
2

x
1
6
x
3
+ o(x
4
)

1
8

x + o(x
2
)

4
=
= 1 +
1
2

x
2

1
3
x
4

1
8
x
4
+ o(x
5
) =
= 1 +
1
2
x
2

7
24
x
4
+ o(x
5
),
e pertanto, grazie al principio di sostituzione degli innitesimi,
lim
x0

1 + sin
2
x

1 + x
2
sin x
4
= lim
x0

7
24

1
8

x
4
+ o(x
5
)
x
4
+ o(x
11
)
=
1
6
.
Formula di Taylor per funzioni di pi` u variabili
La formula di Taylor si pu`o enunciare anche per le funzioni di m variabili.
A questo scopo occorre introdurre alcune comode notazioni. Un vettore p a
componenti intere non negative, ossia un elemento di N
m
, si chiama multi-
indice. Dato un multi-indice p, di componenti (p
1
, ..., p
m
), si deniscono
loperatore di derivazione D
p
D
p
= D
p
1
1
D
p
2
2
. . . D
pm
m
,
303
ed il monomio x
p
x
p
= (x
1
)
p
1
. . . (x
m
)
pm
.
Inoltre si pone
p! = p
1
! . . . p
m
! .
Altre notazioni di uso comune sono quelle che seguono: se p, q N
m
, si
scrive q p se risulta q
i
p
i
per i = 1, . . . , m; in tal caso si denisce

p
q

p
1
q
1

. . .

p
m
q
m

.
Ci` o premesso, vale un risultato del tutto analogo al caso delle funzioni di una
sola variabile (teorema 4.8.1).
Teorema 4.8.5 (formula di Taylor in pi` u variabili) Sia f una funzio-
ne di classe C
k
denita in un aperto A di R
m
, ove k N, e sia x
0
A.
Allora esiste un unico polinomio P
k
(x) di grado al pi` u k, tale che
f(x) P
k
(x) = o

[x x
0
[
k
m

per x x
0
;
tale polinomio `e
P
k
(x) =

|p|k
1
p!
D
p
f(x
0
)(x x
0
)
p
e si chiama k-simo polinomio di Taylor di f di centro x
0
.
Dimostrazione Se k = 0 non c`e niente da dimostrare: il polinomio P
0
`e
la costante f(x
0
). Sia dunque k 1. Fissata una generica direzione v, per
> 0 sucientemente piccolo `e certamente ben denita la funzione
F(t) = f(x
0
+ tv), t [, ].
Essa `e di classe C
k
e si ha
F

(t) =
m

i=1
D
i
f(x
0
+ tv)v
i
,
F

(t) =
m

i,j=1
D
j
D
i
f(x
0
+ tv)v
i
v
j
,
304
e in generale, per 1 h k,
F
(h)
(t) =
m

i
1
,...,i
h
=1
D
i
1
. . . D
i
h
f(x
0
+ tv)v
i
1
. . . v
i
h
.
La seconda somma si pu`o scrivere nella forma
F

(t) =

|p|=2
2!
p!
D
p
f(x
0
+ tv)v
p
:
infatti, in virt` u del teorema di Schwarz (teorema 4.6.4), le derivate D
i
D
j
,
ossia le D
p
con p = e
i
+e
j
, compaiono due volte, mentre le D
2
i
, ossia le D
p
con p = 2e
i
, compaiono una volta sola. Similmente, per 1 h k risulta
F
(h)
(t) =

|p|=h
h!
p!
D
p
f(x
0
+ tv)v
p
:
questo si vede osservando che, se [p[ = h, la quantit`a h!/p! `e il numero dei
modi in cui si pu`o ripartire un insieme di k elementi in m sottoinsiemi aventi
rispettivamente p
1
, . . . , p
m
elementi (infatti, il problema `e analogo a quello
di distribuire h palline in m urne, mettendone p
1
nelle prima urna, p
2
nella
seconda, . . . , p
m
nellm-sima: possiamo metterne p
1
nella prima urna in

h
p
1

modi, p
2
nella seconda urna in

hp
1
p
2

modi, . . . , p
m1
nella penultima urna
in

hp
1
...p
m2
p
m1

modi, e inne ci resta un solo modo di mettere le residue p


m
palline nellultima urna. Il numero di modi complessivo `e allora il prodotto
dei binomiali, cio`e
m1

j=1
(h p
1
. . . p
j1
)!
(p
j
)!(h p
1
. . . p
j1
p
j
)!
=
h!
(p
1
)!(p
2
)! (p
m
)!
=
h!
p!
.
Scriviamo adesso la formula di Taylor per F nel punto t = 0: per il teorema
4.8.1 risulta
F(t) =
k

h=0
F
(h)
(0)
h!
t
h
+ R
k
(t), t [, ],
dove R
k
(t) `e una funzione tale che
lim
t0
R
k
(t)
t
k
= 0.
305
Sostituendo le espressioni trovate per le derivate di F, e ponendo x = x
0
+tv
con [t[ , otteniamo
f(x) = F(t) =
k

h=0
t
h
h!

|p|=h
h!
p!
D
p
f(x
0
)

x x
0
t

p
+ R
k
(t),
ovvero
f(x) =

|p|h
1
p!
D
p
f(x
0
)(x x
0
)
p
+ R
k
([x x
0
[
m
).
Proviamo lunicit`a del k-simo polinomio di Taylor di f: sia P(x) un altro
polinomio di grado al pi` u k, sviluppato secondo le potenze di x x
0
, che
verica la tesi. Allora, posto Q = P
k
P, possiamo scrivere
Q(x) =

|p|k
c
p
(x x
0
)
p
, lim
xx
0
Q(x)
[x x
0
[
k
m
= 0.
Ne deduciamo che, posto x = x
0
+ tv,
lim
t0
Q(x
0
+ tv)
t
k
= 0 v R
m
con [v[
m
= 1.
Si ha dunque, per ogni v R
m
con [v[
m
= 1,
0 = lim
t0
Q(x
0
+ tv)
t
k
= lim
t0
k

h=0

|p|=h
c
p
t
hk
v
p
,
e questo implica, come `e immediato vericare,

|p|=h
c
p
v
p
= 0 v R
m
con [v[ = 1, h 0, 1, . . . , k,
da cui, per omogeneit`a,

|p|=h
c
p
x
p
= 0 x R
m
, h 0, 1, . . . , k.
Da queste relazioni segue
q! c
q
= D
q

|p|=h
c
p
x
p
= 0 q N
m
con [q[ = h, h 0, 1, . . . , k,
ossia Q(x) 0. Ci`o prova che P = P
k
.
306
Esercizi 4.8
1. Sia P(x) =

k
n=0
a
n
x
n
un polinomio. Si provi che per ogni x
0
R
esistono unici b
0
, b
1
,. . . ,b
k
R tali che
P(x) =
k

h=0
b
h
(x x
0
)
h
x R.
[Traccia: scrivere x = (x x
0
) +x
0
e usare la formula di Newton per
il binomio.]
2. Scrivere il decimo polinomio di Taylor di centro 0 per le funzioni:
(a) x sin x
2
; (b) x sin
2
x; (c) log(1 + 3x
3
); (d)

1 2x
4
.
3. Scrivere il k-simo polinomio di Taylor di centro

4
per le funzioni sin x
e cos x.
4. Sia f(x) = x + x
4
; scrivere tutti i polinomi di Taylor di f di centro 1.
5. Si calcoli una approssimazione di sin 1 a meno di 10
4
.
6. Scrivere il secondo polinomio di Taylor di centro 0 per la funzione
f(x) = log(1 + e
x
)
x
2
, e calcolare il limite
lim
x0
f(x) P
2
(x)
x
4
.
307
7. Calcolare, usando la formula di Taylor, i seguenti limiti:
(i) lim
x0
log cos x
x
2
; (ii) lim
x0
+
x sin
2

x sin
2
x
x
2
;
(iii) lim
x0

1
x tan x

1
x
2

; (iv) lim
x0
1 cos x + log cos x
x
4
;
(v) lim
x0
cosh
2
x 1 x
2
x
4
; (vi) lim
x0
1
x
2

sin x
x

x
sin x

;
(vii) lim
x0

sin 2x
2x
1
x
2
; (viii) lim
x0
sin x(5
x
2
x
)
sin x log(1 x)
;
(ix) lim
x0
e
sin x
1 x
x
2
; (x) lim
x+

2x
2
x
3
log

1 + sin
2
x

;
(xi) lim
n
n
2/n
1
log n
1/n
; (xii) lim
n
n
2

1
1 + e
1/n

2n 1
4n

;
(xiii) lim
n
n
1/n
1
log n
1/n
; (xiv) lim
n

(n
4
+ n
3
+ 1)
1/4
n

;
(xv) lim
x0
+
(cos x)
log x
; (xvi) lim
x1
x
1
1x
e
x
x 1
.
8. Sia f : R R la funzione denita da
f(x) =

1
x
2
se x = 0
0 se x = 0.
Provare che:
(i) f `e innite volte derivabile in R;
(ii) per ogni k N il k-simo polinomio di Taylor di f di centro 0 `e
P
k
(x) 0;
308
(iii) per ogni R > 0 non esiste alcuna serie di potenze cha abbia somma
uguale a f(x) in ] R, R[.
[Traccia: si provi per induzione che
f
(n)
(x) =

Q
n
(x)e

1
x
2
se x = 0
0 se x = 0,
ove Q
n
(x) `e unopportuna funzione razionale, cio`e `e il quoziente di due
polinomi.]
9. Sia f C
k
[a, b] una funzione invertibile; provare che f
1
`e di classe
C
k
.
10. Posto f(x) = x + e
x
, si verichi che la funzione inversa f
1
esiste e
se ne scrivano esplicitamente il secondo e terzo polinomio di Taylor di
centro 1.
11. Si determini il terzo polinomio di Taylor di centro (0, 0) per le funzioni
f
1
(x, y) =
cos x
cos y
, f
2
(x, y) = ye
xy
, f
3
(x, y) = log
1 + x
2
1 + y
2
.
12. Provare che se f `e una funzione di classe C
k+1
in un aperto A di R
m
, e
se x
0
A, allora il k-simo resto di Taylor di f pu`o essere scritto nella
forma
f(x) P
k
(x) =

|p|=k+1
D
p
f(u)(x x
0
)
p
,
ove u `e un punto del segmento di estremi x
0
e x.
[Traccia: applicare il teorema di Lagrange di grado k + 1 alla
funzione F(t) = f(x
0
+ t(x x
0
)).]
13. Dimostrare la formula di Leibniz per la derivata di ordine p N
m
del
prodotto di due funzioni:
D
p
(fg) =

qp

p
q

D
q
fD
pq
g.
[Traccia: Ragionare per induzione su [p[...]
309
4.9 Massimi e minimi relativi per funzioni di
una variabile
La forma del graco di una funzione f nellintorno di un punto `e strettamente
legata al comportamento delle derivate di f in tale punto. Andiamo ad
analizzare la questione, cominciando dal caso delle funzioni di una variabile.
Proposizione 4.9.1 Sia f : [a, b] R una funzione derivabile. Allora:
(i) f `e crescente in [a, b] se e solo se f

0 in [a, b];
(ii) f `e decrescente in [a, b] se e solo se f

0 in [a, b];
(iii) se f

> 0 in [a, b] allora f `e strettamente crescente in [a, b], ma il


viceversa `e falso;
(iv) se f

< 0 in [a, b] allora f `e strettamente decrescente in [a, b], ma il


viceversa `e falso.
Dimostrazione (i) Se f `e crescente in [a, b], allora ssato x
0
[a, b] si
ha f(x) f(x
0
) se x > x
0
e f(x) f(x
0
) se x < x
0
; quindi il rapporto
incrementale di f in x
0
`e sempre non negativo. Facendone il limite per
x x
0
si ottiene f

(x
0
) 0 per ogni x
0
[a, b].
Viceversa, sia f

0 in [a, b] e siano x

, x

[a, b] con x

< x

. Applicando il
teorema di Lagrange (teorema 4.3.3) nellintervallo [x

, x

] si trova che esiste


]x

, x

[ tale che
f(x

) f(x

)
x

= f

() 0,
da cui segue f(x

) f(x

). Quindi f `e crescente.
(ii) Segue da (i) applicata a f.
(iii) Si ottiene ragionando come nel viceversa di (i), osservando che stavolta
si ha f

() > 0.
(iv) Segue da (iii) applicata a f.
Inne, il viceversa di (iii) e (iv) `e falso perche le funzioni x
3
sono stretta-
mente monotone in R ma hanno derivata prima che si annulla in 0.
Denizione 4.9.2 Sia A un sottoinsieme di R
m
, ove m N
+
, e sia f : A
R una funzione qualunque; sia x
0
A. Diciamo che x
0
`e punto di massimo
310
relativo (oppure punto di minimo relativo) per f, se esiste un intorno U di
x
0
in R
m
tale che
f(x) f(x
0
) x U A (oppure f(x) f(x
0
) x U A).
Naturalmente, i punti di
massimo (minimo) di f so-
no anche punti di massimo
(minimo) relativo, mentre il
viceversa non `e vero. La -
gura accanto illustra il caso
m = 1, A = [a, b].
Teorema 4.9.3 (di Fermat) Sia f : [a, b] R una funzione derivabile, e
sia x
0
]a, b[. Se x
0
`e punto di massimo o di minimo relativo per f, allora
f

(x
0
) = 0. Il viceversa `e falso.
Dimostrazione Si ragiona come nella dimostrazione del teorema di Rolle
(teorema 4.3.1): se x
0
`e punto di massimo relativo esiste un intorno I di x
0
tale che
f(x) f(x
0
)
x x
0

0 se x I]a, x
0
[
0 se x I]x
0
, b],
quindi passando al limite per x x
0
si trova f

(x
0
) = 0. Lesempio f(x) =
x
3
, con x
0
= 0, mostra che il viceversa `e falso.
Discorso analogo per i punti di minimo relativo.
Osserviamo che se il punto di massimo o di minimo relativo `e un estremo
dellintervallo, la precedente proposizione non vale (esercizio 4.9.6).
Il seguente risultato caratterizza i punti di massimo e di minimo relativo per
funzioni di una variabile.
Teorema 4.9.4 Sia f : [a, b] R una funzione derivabile due volte, e sia
x
0
]a, b[. Valgono i seguenti fatti:
(i) se x
0
`e punto di massimo relativo per f, allora f

(x
0
) = 0 e f

(x
0
) 0,
ma il viceversa `e falso;
(ii) se x
0
`e punto di minimo relativo per f, allora f

(x
0
) = 0 e f

(x
0
) 0,
ma il viceversa `e falso;
311
(iii) se f

(x
0
) = 0 e f

(x
0
) < 0, allora x
0
`e punto di massimo relativo per
f, ma il viceversa `e falso;
(iv) se f

(x
0
) = 0 e f

(x
0
) > 0, allora x
0
`e punto di minimo relativo per f,
ma il viceversa `e falso.
Dimostrazione (i) Gi`a sappiamo (proposizione 4.9.3) che f

(x
0
) = 0; pro-
viamo che f

(x
0
) 0. Supponendo, per assurdo, che f

(x
0
) > 0, per il
teorema di permanenza del segno (esercizio 3.2.3) risulta
f

(x) f

(x
0
)
x x
0
=
f

(x)
x x
0
> 0
in un intorno I di x
0
, e dunque
f

(x)

< 0 se x I [a, x
0
[
> 0 se x I]x
0
, b].
Ma allora, per la proposizione 4.9.1, f decresce in I [a, x
0
[ e cresce in
I]x
0
, b[, cosicche x
0
non pu`o essere un punto di massimo relativo per f.
(ii) Analogo a (i).
(iii) Lo stesso ragionamento di (i) mostra che se f

(x
0
) < 0 e f

(x
0
) = 0,
allora f cresce in I [a, x
0
[ e decresce in I [x
0
, b[, e quindi x
0
`e punto di
massimo relativo.
(iv) Analogo a (iii).
Inne, la funzione f(x) = x
4
nel punto 0 verica f

(0) = 0 e f

(0) = 0,
ma 0 non `e punto di massimo relativo (il che rende falso il viceversa di (i)),
ed `e, anzi, punto di minimo assoluto, il che rende falso il viceversa di (iv).
La funzione f(x) = x
4
nel punto 0 rende falsi i viceversa degli altri due
enunciati.
Esercizi 4.9
1. Determinare, se esistono, il massimo ed il minimo delle seguenti funzioni
sugli insiemi indicati:
(i) [x
2
1[, x [2, 12]; (ii)

1 + sin e
x
, x 0;
(iii) log(e
x
x), x [1, 1]; (iv) 14x
2/3
x
2
, x [5, 5];
(v) e
x
4
sin x
1/4
, x 0; (vi) arctan x
x
1 + x
2
, x R.
312
2. Fra tutti i rettangoli inscritti in una circonferenza, determinare quello
di area massima.
3. Fra tutti i cilindri a base rotonda inscritti in una sfera, determinare
quello di volume massimo.
4. Dimostrare che per ogni x, y 0 si ha
(x+y)
p
2
p1
(x
p
+y
p
) se p 1, (x+y)
p
x
p
+y
p
se 0 p 1.
5. Provare che:
(i) x e

1/x
> 1 x > 0;
(ii) 2 sin x + tan x > 3x x ]0, /2[;
(iii)
2x
2 x
2
> tan x x ]0,

2[;
(iv) 0
arctan x
x

1
1 + x
2

x
2
1 + x
2
x R.
6. Provare che se f C
1
[a, b] e se f ha un massimo (minimo) relativo nel-
lestremo a, allora f

(a) 0 (f

(a) 0). Enunciare lanalogo risultato


nel caso in cui f ha un massimo (minimo) relativo nellestremo b.
4.10 Forme quadratiche
Nel caso delle funzioni di pi` u variabili, le condizioni perche un punto x
0
sia di massimo o di minimo relativo per una funzione f sono opportune
generalizzazioni di quelle del teorema 4.9.4, e coinvolgono, in luogo di f

e
di f

, il gradiente di f e la matrice Hessiana (cio`e la matrice delle derivate


seconde) di f nel punto x
0
; per enunciare tali condizioni, `e per`o necessario
uno studio preliminare delle cosiddette forme quadratiche in R
m
.
Data una matrice A = a
ij
, m m, reale e simmetrica, la funzione :
R
m
R denita da
(v) = Av v =
m

i,j=1
a
ij
v
i
v
j
, v R
m
,
`e detta forma quadratica associata ad A.
Una forma quadratica `e dunque un polinomio di secondo grado in m variabili,
313
privo di termini di grado inferiore; viceversa, un qualunque polinomio di
questo tipo `e una forma quadratica la cui matrice associata A = a
ij
`e
univocamente determinata dai coecienti del polinomio (esercizio 4.10.4).
In particolare, risulta
(tv) = t
2
(v) t R, v R
m
,
cosicche `e una funzione omogenea di grado 2 (esercizio 4.4.3). Inoltre,
ovviamente, si ha C

(R
m
); verichiamo che risulta
grad(v) = 2Av v R
m
.
In eetti, indicato con
ij
il generico elemento della matrice identit`a I (co-
sicche
ij
= 0 se i = j e
ij
= 1 se i = j), se k = 1, 2, . . . , m si ha per ogni
v R
m
:
D
k
(v) =
m

i,j=1
a
ij
D
k
(v
i
v
j
) =
m

i,j=1
a
ij

ik
v
j
+ v
i

jk

=
=
m

j=1
a
kj
v
j
+
m

i=1
a
ik
v
i
=
m

j=1
a
kj
v
j
+
m

j=1
a
jk
v
j
= 2
m

j=1
a
jk
v
j
= 2(Av)
k
.
Denizione 4.10.1 Una forma quadratica : R
m
R si dice:
denita positiva, se (v) > 0 per ogni v R
m
` 0;
denita negativa, se (v) < 0 per ogni v R
m
` 0;
semidenita positiva, se (v) 0 per ogni v R
m
;
semidenita negativa, se (v) 0 per ogni v R
m
;
indenita, se assume sia valori positivi che negativi.
Esempi 4.10.2 Poniamo
A
1
=

1 0
0 1

, A
2
=

1 0
0 1

, A
3
=

0 0
0 1

,
A
4
=

1 0
0 0

, A
5
=

1 0
0 1

,
314
e indichiamo con
1
,
2
,
3
,
4
e
5
le forme quadratiche corrispondenti:

1
(x, y) = x
2
+ y
2
,
2
(x, y) = x
2
y
2
,
3
(x, y) = y
2
,

4
(x, y) = x
2
,
5
(x, y) = x
2
+ y
2
.
Allora
1
`e denita positiva,
2
`e denita negativa,
3
`e semidenita positiva,

4
`e semidenita negativa,
5
`e indenita.
Qualunque sia la matrice A reale e simmetrica, la forma quadratica associata
ad A, essendo una funzione di classe C

, per il teorema di Weierstrass assume


massimo M
0
e minimo m
0
sulla frontiera della palla unitaria di R
m
, la quale
`e un insieme compatto. Esistono dunque v
0
, w
0
tali che
m
0
= (v
0
) (v) (w
0
) = M
0
v .
Dato che `e una funzione omogenea di grado 2, possiamo scrivere
(v) = [v[
2
m

v
[v[
m

v R
m
` 0,
e di conseguenza si ottiene
m
0
[v[
2
m
(v) M
0
[v[
2
m
v R
m
.
Osserviamo ora che un numero complesso si dice autovalore per la matrice
A se esiste un vettore x C
m
` 0 (detto autovettore relativo allautovalore
) tale che Ax = x. Dato che tale equazione vettoriale `e un sistema lineare
omogeneo nelle incognite x
1
, . . . , x
m
, lesistenza di una sua soluzione x = 0,
ossia il fatto che sia autovalore per la matrice A, equivale alla condizione
det(A I) = 0. Quindi gli autovalori di A sono le m soluzioni (in C,
ciascuna contata con la sua molteplicit`a) dellequazione det(A I) = 0.
Si vede facilmente, per`o, che se A `e reale e simmetrica tutti i suoi autovalori
sono reali: infatti se Ax = x con x C
m
` 0, allora moltiplicando
scalarmente per x (rispetto al prodotto scalare di C
m
) si ha, essendo A reale
e simmetrica:
[x[
2
m
= Ax x = x A

x = x Ax = Ax x,
ove A

= b
ij
`e la matrice i cui elementi sono b
ij
= a
ji
. In particolare Ax x
`e un numero reale e quindi =
Ax x
|x|
2
m
`e reale. Si noti che, di conseguenza,
lautovettore x appartiene a R
m
dato che il sistema Ax = x `e a coecienti
reali.
315
Proposizione 4.10.3 Sia A una matrice m m reale e simmetrica e sia
la forma quadratica associata ad A. I numeri m
0
= (v
0
) = min

e
M
0
= (w
0
) = max

, ove = v R
m
: [v[
m
= 1, sono rispettivamente
il minimo ed il massimo autovalore di A. In particolare si ha
m
0
[v[
2
m
(v) M
0
[v[
2
m
v R
m
.
Dimostrazione Consideriamo la funzione F : R
m
R denita da
F(v) =
(v)
[v[
2
m
.
In virt` u dellomogeneit`a di , si ha
m
0
= F(v
0
) F(v) F(w
0
) = M
0
v R
m
` 0.
Dallesercizio 4.11.3 segue che
gradF(v
0
) = gradF(w
0
) = 0;
daltra parte se k = 1, . . . , m si ha per ogni v R
m
` 0:
D
k
F(v) =
D
k
(v)[v[
2
m
(v)D
k
[v[
2
m
[v[
4
m
=
= 2
(Av)
k
[v[
2
m

(v) 2v
k
[v[
4
m
=
2
[v[
2
m

(Av)
k
F(v)v
k

,
ossia
gradF(v) =
2
[v[
2
m
(Av F(v)v) v R
m
` 0.
Dunque, ricordando che v
0
, w
0
,
0 = gradF(v
0
) = Av
0
F(v
0
)v
0
= Av
0
m
0
v
0
,
0 = gradF(w
0
) = Aw
0
F(w
0
)w
0
= Aw
0
M
0
w
0
.
Ci` o prova che m
0
, M
0
sono autovalori di A. Resta da far vedere che se `e
autovalore di A risulta m
0
M
0
: sia u
0
R
m
`0 tale che Au
0
= u
0
;
moltiplicando scalarmente per u
0
otteniamo
(u
0
) = Au
0
u
0
= [u
0
[
2
m
e pertanto
m
0
[u
0
[
2
m
(u
0
) = [u
0
[
2
m
M
0
[u
0
[
2
m
.
Dato che u
0
= 0, ne segue la tesi.
316
Corollario 4.10.4 La forma quadratica , generata da una matrice reale e
simmetrica A, `e:
denita positiva, se e solo se tutti gli autovalori di A sono positivi;
denita negativa, se e solo se tutti gli autovalori di A sono negativi;
semidenita positiva, se e solo se tutti gli autovalori di A sono non
negativi;
semidenita negativa, se e solo se tutti gli autovalori di A sono non
positivi;
indenita, se e solo se A ha sia autovalori positivi, sia autovalori
negativi.
Dimostrazione Se `e denita positiva, si ha (v) > 0 per ogni v
R
m
` 0; in particolare m
0
= min

`e positivo, e quindi tutti gli autovalori


di A, che per la proposizione 4.10.3 sono non inferiori a m
0
, sono positivi.
Viceversa, se tutti gli autovalori di A sono positivi, il minimo m
0
della forma
quadratica su `e positivo in quanto, sempre per la proposizione 4.10.3,
m
0
`e un autovalore di A. Per omogeneit`a, si ha allora (v) m
0
[v[
2
m
> 0
per ogni v R
m
` 0, ossia `e denita positiva.
Discorso analogo per le altre propriet`a.
Osservazione 4.10.5 Una forma quadratica `e semidenita positiva e non
denita positiva se e solo se il minimo autovalore di A `e esattamente 0. Simil-
mente, una forma quadratica `e semidenita negativa e non denita negativa
se e solo se il massimo autovalore di A `e esattamente 0.
Due criteri pratici per stabilire la natura di una forma quadratica senza
calcolare gli autovalori della matrice (impresa dicoltosa quando m > 2)
sono descritti negli esercizi 4.10.2 e 4.10.3.
Esercizi 4.10
1. Sia A = a
ij
una matrice m m, sia v C
m
. Provare che [Av[
m

|A| [v[
m
, ove
|A| =

i,j=1
[a
ij
[
2
.
[Traccia: utilizzare la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz.]
317
2. Sia A =

a b
b c

con a, b, c R, e sia la forma quadratica associata


ad A:
(x, y) = ax
2
+ 2bxy + cy
2
.
Si provi che:
(i) `e denita positiva se e solo se ac b
2
> 0, a > 0, c > 0;
(ii) `e denita negativa se e solo se ac b
2
> 0, a < 0, c < 0;
(iii) `e semidenita positiva se e solo se ac b
2
0, a 0, c 0;
(iv) `e semidenita negativa se e solo se ac b
2
0, a 0, c 0;
(v) `e indenita se e solo se ac b
2
< 0.
3. Sia A una matrice m m reale e simmetrica, siano
1
, . . . ,
m
i suoi
autovalori (non necessariamente tutti distinti). Si provi che:
(i) risulta
(1)
m
det(A I) =
m

i=1
(
i
) =
m
+
m

i=1
a
i

mi
C,
ove
a
1
=
m

i=1

i
, a
2
=

1i<jm

j
,
a
3
=

1i<j<hm

h
, . . . a
m
= (1)
m
m

i=1

i
;
(ii) la forma quadratica (v) = Av v `e:
denita negativa se e solo se a
i
> 0 per i = 1, . . . , m;
denita positiva se e solo se (1)
i
a
i
> 0 per i = 1, . . . , m;
semidenita negativa se e solo se a
i
0 per i = 1, . . . , m;
semidenita positiva se e solo se (1)
i
a
i
0 per i = 1, . . . , m;
indenita in tutti gli altri casi.
4. Sia P(v) un polinomio di secondo grado in R
m
, privo di termini di
grado inferiore. Provare che P(v) `e la forma quadratica associata alla
matrice A di coecienti a
ij
=
1
2
D
i
D
j
P.
318
5. Determinare, al variare del parametro a R, la natura delle seguenti
forme quadratiche:
(i) (x, y, z) = x
2
+ 2axy + y
2
+ 2axz + z
2
,
(ii) (x, y, z, t) = 2x
2
+ ay
2
z
2
t
2
+ 2xz + 4yt + 2azt.
4.11 Massimi e minimi relativi per funzioni
di pi` u variabili
Per le funzioni di pi` u variabili la ricerca dei massimi e dei minimi relativi si
basa su risultati che sono in stretta analogia con quelli validi per funzioni di
una variabile (teorema 4.9.4). Si ha infatti:
Teorema 4.11.1 Sia f C
2
(A), ove A `e un aperto di R
m
, e sia x
0
A.
Valgono i seguenti fatti:
(i) se x
0
`e un punto di massimo relativo per f, allora gradf(x
0
) = 0 e la
forma quadratica associata alla matrice Hessiana H(x
0
) `e semidenita
negativa, ma il viceversa `e falso;
(ii) se x
0
`e un punto di minimo relativo per f, allora gradf(x
0
) = 0 e la
forma quadratica associata alla matrice Hessiana H(x
0
) `e semidenita
positiva, ma il viceversa `e falso;
(iii) se gradf(x
0
) = 0 e se la forma quadratica associata a H(x
0
) `e denita
negativa, allora x
0
`e punto di massimo relativo per f, ma il viceversa
`e falso;
(iv) se gradf(x
0
) = 0 e se la forma quadratica associata a H(x) `e denita
positiva, allora x
0
`e punto di minimo relativo per f, ma il viceversa `e
falso.
Premettiamo alla dimostrazione del teorema due risultati che useremo ripe-
tutamente anche in seguito.
319
Lemma 4.11.2 Sia B(x
0
, r) una palla
di R
m
e sia f C
2
(B(x
0
, r)). Fissato
un punto x B(x
0
, r), la funzione F :
[1, 1] R denita da
F(t) = f (x
0
+ t(x x
0
))
`e di classe C
2
e risulta
F

(t) = gradf (x
0
+ t(x x
0
)) (x x
0
) t [1, 1],
F

(t) = H (x
0
+ t(x x
0
)) (x x
0
) (x x
0
) t [1, 1].
Dimostrazione Poiche f `e di classe C
2
in A, per il teorema di derivazione
delle funzioni composte (teorema 4.1.6) si ha F C
2
[1, 1] e
F

(t) =
m

i=1
f
x
i
(x
0
+ t(x x
0
)) (x
i
x
i
0
) =
= gradf (x
0
+ t(x x
0
)) (x x
0
),
F

(t) =
m

i,j=1

2
f
x
i
x
j
(x
0
+ t(x x
0
)) (x
i
x
i
0
)(x
j
x
j
0
) =
= H (x
0
+ t(x x
0
)) (x x
0
) (x x
0
).
Ci` o prova la tesi.
Lemma 4.11.3 Sia B(x
0
, r) una palla di R
m
e sia f C
2
(B(x
0
, r)). Per
ogni x B(x
0
, r) esiste ]0, 1[ tale che
f(x) = f(x
0
) + gradf(x
0
) +
1
2
H(x
0
+ (x x
0
))(x x
0
) (x x
0
).
Dimostrazione Consideriamo nuovamente la funzione F : [1, 1] R
denita da
F(t) = f (x
0
+ t(x x
0
)) .
Per il teorema di Lagrange di grado 2 (osservazione 4.8.3 (3)) esiste ]0, 1[
tale che
F(1) = F(0) + F

(0) +
1
2
F

().
320
Sostituendo in questa espressione i valori di F, F

e F

forniti dal lemma


4.11.2, si ha la tesi.
Dimostrazione del teorema 4.11.1 (i) Sia x
0
un punto di massimo rela-
tivo per f e sia B(x
0
, r) una palla contenuta in A. Fissato arbitrariamente
x B(x
0
, r), la funzione
F(t) = f (x
0
+ t(x x
0
)) , t [1, 1],
`e di classe C
2
e ha massimo nel punto t = 0: per il teorema 4.9.1 si ha dunque
F

(0) = 0, F

(0) 0. Dal lemma 4.11.2 otteniamo


F

(0) = gradf(x
0
) (x x
0
) = 0, F

(0) = H(x
0
)(x x
0
) (x x
0
) 0.
Dato che x era stato scelto arbitrariamente in B(x
0
, r), il vettore v = xx
0
`e un arbitrario elemento di B(0, r); moltiplicando per [0, [, e scrivendo
nuovamente v al posto di v, le due relazioni precedenti equivalgono a
gradf(x
0
) v = 0, H(x
0
)v v 0 v R
m
.
La prima di queste due condizioni, scelto v = gradf(x
0
), dice che f ha gra-
diente nullo nel punto x
0
; la seconda condizione dice che la forma quadratica
associata a H(x
0
) `e semidenita negativa. Ci`o prova (i).
(ii) Analoga a (i).
(iii) Sia gradf(x
0
) = 0 e H(x
0
)v v < 0 per ogni v R
m
` 0. Allora gli
autovalori di H(x
0
) sono tutti negativi ed in particolare, detto il massimo
di essi, si ha (proposizione 4.10.3)
H(x
0
)v v [v[
2
m
v R
m
.
Sia r > 0 tale che B(x
0
, r) A: proviamo che se r `e abbastanza piccolo si
ha anche
H(x)v v

2
[v[
2
m
v R
m
, x B(x
0
, r).
Infatti se x B(x
0
, r) abbiamo
H(x)v v = [H(x) H(x
0
)]v v + H(x
0
)v v

[H(x) H(x
0
)]v v

[v[
2
m
;
321
daltra parte, utilizzando lesercizio 4.10.1, si trova

[H(x) H(x
0
)]v v

|H(x) H(x
0
)| [v[
2
m
,
ove
|H(x) H(x
0
)| =

i,j=1
[D
i
D
j
f(x) D
i
D
j
f(x
0
)[
2
.
Dunque, per la continuit`a delle derivate seconde di f, lultimo membro `e
minore di

2
[v[
2
m
se r `e sucientemente piccolo.
Fissato ora arbitrariamente x B(x
0
, r), per il lemma 4.11.3 possiamo
scrivere, ricordando che gradf(x
0
) = 0,
f(x) f(x
0
) =
1
2
H(x
0
+ (x x
0
))(x x
0
) (x x
0
),
ove `e un punto opportuno fra 0 e 1: dunque x
0
+(xx
0
) B(x
0
, r). Per
come abbiamo scelto r si ha allora
H(x
0
+ (x x
0
))(x x
0
) (x x
0
)

2
[x x
0
[
2
m
,
e pertanto si ottiene
f(x) f(x
0
) <

4
[x x
0
[
2
m
< 0 x B(x
0
, r).
Ci` o prova che x
0
`e punto di massimo relativo.
(iv) Analogo a (iii).
Inne, il viceversa di (ii) `e falso: infatti la funzione f(x, y) = x
2
y
4
ha
gradiente nullo nellorigine e Hessiana H(0, 0) =

2 0
0 0

, cosicche la forma
quadratica associata `e semidenita positiva, ma lorigine non `e punto di
minimo relativo perche f(0, 0) = 0 e f(0, y) < 0 per ogni y R ` 0. La
funzione f rende falso il viceversa di (i). Le funzioni (x
4
+ y
4
) rendono
falsi i viceversa di (iv) e (iii), in quanto nellorigine hanno rispettivamente
minimo e massimo assoluto pur avendo le matrici Hessiane nulle.
Osservazione 4.11.4 Un punto x
0
tale che gradf(x
0
) = 0 si dice punto
stazionario per f. Se x
0
`e stazionario per f, il piano tangente al graco
322
di f in (x
0
, f(x
0
)) `e orizzontale, ossia ortogonale allasse x
n+1
. Un punto
stazionario pu`o non essere ne di massimo ne di minimo relativo: in tal caso
esso si dice punto di sella. Ci`o accade se la forma H(x
0
)v v `e indenita, ma
non solo, come mostra lesempio della funzione f(x, y) = x
2
y
4
visto sopra,
in cui la forma `e semidenita.
Esempio 4.11.5 Sia f(x, y) = 2x
3
+ x
2
+ y
2
, (x, y) R
2
. Cerchiamo gli
eventuali massimi e minimi relativi di f. I punti stazionari si ottengono dal
sistema

f
x
(x, y) = 6x
2
+ 2x = 0
f
y
(x, y) = 2y = 0,
le cui soluzioni sono (x, y) = (0, 0) oppure (x, y) = (
1
3
, 0). Poiche f
xx
(x, y) =
12x + 2, f
xy
(x, y) = f
yx
(x, y) = 0, f
yy
(x, y) = 2, si ha
H(0, 0) =

2 0
0 2

, H

1
3
, 0

2 0
0 2

;
quindi le rispettive forme quadratiche sono denita positiva la prima e inde-
nita la seconda. Conclusione: (0, 0) `e punto di minimo relativo e (
1
3
, 0) `e
punto di sella.
Esercizi 4.11
1. Dato un foglio rettangolare di cartone, ritagliare da esso 4 quadrati in
modo da costruire una scatola parallelepipeda di volume massimo.
2. Fra tutti i coni circolari circoscritti ad una sfera, determinare quello di
supercie laterale minima.
3. Provare che se A `e un aperto di R
m
, se f : A R `e una funzione
dierenziabile e se f ha un massimo o minimo relativo in x
0
A,
allora x
0
`e punto stazionario per f, cio`e gradf(x
0
) = 0; si mostri anche
che il viceversa `e falso.
4. (Teorema di Rolle multidimensionale) Sia K R
m
un insieme compat-
to con parte interna non vuota e sia f continua su K e dierenziabile
nei punti interni di K. Provare che se f `e costante su K allora esiste
un punto stazionario per f interno a K.
[Traccia: adattare la dimostrazione del teorema di Rolle (teorema
4.3.1).]
323
5. Determinare, se esistono, i massimi ed i minimi relativi delle seguenti
funzioni:
(i) f(x, y) = [y[ arctan(xe
y
) in A = (x, y) R
2
: max[x[, [y[ 1;
(ii) f(x, y) = x
2
y
2
sul chiuso delimitato dal triangolo di vertici (0, 0),
(3, 1), (1, 3).
6. Determinare il triangolo inscritto in un cerchio che ha area massima.
7. Dati tre punti A, B, C ai vertici di un triangolo equilatero, determinare
un quarto punto P in modo che la somma delle distanze di P da A, B, C
sia minima.
8. Dati k punti (x
i
, y
i
) R
2
con ascisse distinte, trovare una retta y =
ax + b tale che lerrore quadratico totale
E(a, b) =
k

j=1
[ax
j
+ b y
j
[
2
sia minimo.
9. Determinare la minima distanza in R
3
del punto (1, 2, 3) dalla retta r
di equazioni
x =
y
3
=
z
2
.
10. Determinare la minima distanza fra le rette r
1
e r
2
di R
3
denite
rispettivamente da
x 1 =
y 2
3
=
z 2
2
,
x
4
= y =
z
2
.
11. Trovare i massimi relativi ed assoluti (se esistono) delle seguenti fun-
324
zioni:
(i) x
2
(x y), (ii) x
4
+ y
4
4xy,
(iii) (x
2
+ y
2
)e
x
2
y
2
, (iv) cos x sinh y,
(v) sin(x + y) cos(x y), (vi) x
2
(y 1)
3
(z + 2)
2
,
(vii)
1
x
+
1
y
+
1
z
+ xyz (con x, y, z > 0), (viii)
1 + x y

1 + x
2
+ y
2
,
(ix) cos x + cos y + cos(x + y), (x) xy

1 x
2
y
2
,
(xi) x +
y
2
4x
+
x
2
y
+
2
z
(con x, y, z > 0), (xii) e
x3y
e
y+2x
,
(xiii) x
2
log(1 + y) + x
2
y
2
, (xiv) (x
2
+ 3xy
2
+ 2y
4
)
2
,
(xv) 2x
4
x
2
e
y
+ e
4y
, (xvi)
x
2
+ 2y
x
2
+ y
2
+ 1
.
4.12 Convessit`a
Unimportante propriet`a geometrica degli insiemi di R
m
, che si descrive bene
analiticamente, `e quella della convessit`a.
Denizione 4.12.1 Un sottoinsieme K di R
m
oppure di C
m
si dice convesso
se per ogni coppia di punti u, v K si ha (1t)u+tv K per ogni t [0, 1].
In altre parole: K `e convesso se e solo se, dati due punti di K, il segmento
che li unisce `e interamente contenuto in K.
Ad esempio, sono convesse le palle B(x
0
, r), sia aperte che chiuse. Se K R
`e facile vedere che K `e convesso se e solo se K `e un intervallo (limitato o no,
o eventualmente ridotto a un solo punto).
La nozione di convessit`a si applica anche alle funzioni f : K R, ove K `e
un sottoinsieme convesso di R
m
o di C
m
.
Denizione 4.12.2 Sia K un convesso di R
m
o di C
m
. Una funzione f :
K R si dice convessa se risulta
f ((1 t)u + tv) (1 t)f(u) + tf(v) t [0, 1], u, v K.
La funzione f si dice concava se f `e convessa; dunque f `e concava in K se
e solo se
f ((1 t)u + tv) (1 t)f(u) + tf(v) t [0, 1], u, v K.
325
Linterpretazione geometrica `e la se-
guente: per ogni t [0, 1], il punto
(x, y) R
m+1
di coordinate x = (1
t)u+tv, y = (1t)f(u)+tf(v) appar-
tiene al segmento di estremi (u, f(u),
(v, f(v)); la condizione di convessit`a
dice che il valore f(x) non supera y.
Quindi il graco della restrizione di f al
segmento di estremi u e v sta al di sot-
to della retta che congiunge gli estremi
(u, f(u)) e (v, f(v)) del graco.
Osservazioni 4.12.3 (1) Si vede facilmente che f `e convessa se e solo se il
suo sopragraco
E = (x, y) R
m+1
: x K, y f(x)
`e un insieme convesso. Infatti se f `e convessa e (u, ), (v, ) E, allora per
ogni t [0, 1]
f ((1 t)u + tv) (1 t)f(u) + tf(v) (1 t) + t,
cio`e il punto (1 t)(u, ) + t(v, ) appartiene ad E; dunque E `e convesso.
Viceversa, se E `e convesso allora, scelti in particolare due punti del tipo
(u, f(u)) e (v, f(v)), per ogni t [0, 1] il punto (1 t)(u, f(u)) +t(v, f(v))
deve stare in E: quindi
(1 t)f(u) + tf(v) f ((1 t)u + tv) ,
cio`e f `e convessa.
(2) Una funzione convessa su K `e necessariamente continua nei punti interni
a K (se esistono). Dimostriamo questo fatto per m = 1, rinviando alleserci-
zio 4.12.9 per il caso generale.
Sia dunque K = [a, b] e sia x
0
]a, b[: se ad esempio x > x
0
, esistono unici
t, s ]0, 1[ tali che
x = (1 t)x
0
+ tb, x
0
= (1 s)x + sa;
infatti risulta
t =
x x
0
b x
0
, s =
x
0
x
a x
.
326
Dalla denizione di convessit`a si ha
f(x) (1 t)f(x
0
) + tf(b), f(x
0
) (1 s)f(x) + sf(a),
o, equivalentemente,
f(x) f(x
0
) t (f(b) f(x
0
)) , f(x
0
) f(x)
s
1 s
(f(a) f(x
0
)) .
Daltronde, quando x x
+
0
si ha anche t 0
+
e s 0
+
, e quindi f(x)
f(x
0
).
Il discorso `e del tutto analogo se x < x
0
. Ci`o prova la continuit`a di f.
Se la funzione f : K R ha un po pi` u di regolarit`a, si possono dare altre
caratterizzazioni della convessit`a.
Teorema 4.12.4 Sia f una funzione reale dierenziabile, denita su un
insieme convesso K R
m
. Allora f `e convessa se e solo se
f(x) f(x
0
) + gradf(x
0
) (x x
0
) x, x
0
K.
In altre parole, f `e convessa se e solo se
il suo graco sta sopra tutti i suoi piani
(m-dimensionali) tangenti.
Dimostrazione (=) Supponiamo
che valga la disuguaglianza sopra scrit-
ta. Siano x
1
e x
2
due punti distinti di K
e sia x
0
= tx
1
+(1 t)x
2
con t [0, 1].
Posto h = x
1
x
0
, risulta
x
2
=
x
0
tx
1
1 t
= x
0

t
1 t
h.
Dalle relazioni, vere per ipotesi,
f(x
1
) f(x
0
) + gradf(x
0
) h,
f(x
2
) f(x
0
) + gradf(x
0
)

t
1 t
h

,
segue, moltiplicando la prima per t e sommandola alla seconda moltiplicata
per 1 t:
tf(x
1
) + (1 t)f(x
2
) f(x
0
),
327
che `e la denizione di convessit`a.
(=) Supponiamo f convessa. Siano x, x
0
K. Posto h = x x
0
, per
lipotesi di convessit`a si ha
f(x
0
+ th) = f((1 t)x
0
+ tx) (1 t)f(x
0
) + tf(x) =
= f(x
0
) + t (f(x
0
+h) f(x
0
)) t [0, 1],
da cui, sempre per t [0, 1],
f(x
0
+th) f(x
0
) t gradf(x
0
) h t (f(x
0
+h) f(x
0
) gradf(x
0
) h) .
Dividendo per t ]0, 1] segue
f(x
0
+ th) f(x
0
) t gradf(x
0
) h
t
f(x
0
+h) f(x
0
) gradf(x
0
) h,
e inne dalla dierenziabilit`a, facendo tendere t a 0, si ricava
0 f(x
0
+h) f(x
0
) gradf(x
0
) h,
che `e la tesi.
Teorema 4.12.5 Sia f una funzione reale di classe C
2
, denita su un in-
sieme convesso K R
m
. Allora f `e convessa se e solo se, detta H(x) la
matrice Hessiana di f, la forma quadratica associata (v) = H(x)v v `e
semidenita positiva per ogni x K.
Dimostrazione (=) Supponiamo che sia semidenita positiva per ogni
x K. Poiche f `e di classe C
2
, dal lemma 4.11.3 si ricava
f(x) f(x
0
) gradf(x
0
) (xx
0
) =
1
2
H (x
0
+ (x x
0
)) (xx
0
) (xx
0
),
ove `e un opportuno punto fra 0 e 1. Per ipotesi, il secondo membro `e non
negativo per ogni x, x
0
K, e dunque
f(x) f(x
0
) gradf(x
0
) (x x
0
) 0 x, x
0
K.
Dal teorema 4.12.4 segue che f `e convessa.
(=) Viceversa, sia f convessa in K e supponiamo dapprima che K sia
un aperto. Se, per assurdo, in un punto x
0
K la forma (v) non fosse
328
semidenita positiva, esisterebbe un vettore v = 0 tale che H(x
0
)v v <
0. Poiche le derivate seconde di f sono continue, ragionando come nella
dimostrazione del teorema 4.11.1 (iii) troveremmo una palla B(x
0
, r) K
tale che
H(x)v v < 0 x B(x
0
, r).
Poniamo
h =
r
2[v[
m
v;
allora h B(0, r), quindi posto x = x
0
+h si ha:
x
0
+ (x x
0
) B(x
0
, r) ]0, 1[,
x x
0
=
r
2[v[
m
v,
e pertanto
H (x
0
+ (x x
0
)) (x x
0
) (x x
0
) =
=

r
2[v[
m

2
H (x
0
+ (x x
0
)) v v < 0 ]0, 1[.
Ne segue, applicando nuovamente il lemma 4.11.3, che
f(x) f(x
0
) gradf(x
0
) (x x
0
) =
=
1
2
H (x
0
+ (x x
0
)) (x x
0
) (x x
0
) < 0,
e per il teorema 4.12.4 ci`o contraddice la convessit`a di f.
Se K non `e aperto, con largomentazione precedente si prova che la forma
H(x)v v `e semidenita positiva per ogni x interno a K. Daltra parte se
x K esiste una successione di punti x
n
interni a K che converge a x; dato
che
H(x
n
)v v 0 v R
m
, n N,
al limite per n si ottiene
H(x)v v 0 v R
m
,
cio`e la forma `e semidenita positiva, In denitiva si ha che la forma `e
semidenita positiva in tutti i punti di K, interni o no.
329
Osservazione 4.12.6 Se m = 1 il teorema precedente vale assumendo so-
lamente lesistenza, e non la continuit`a, della derivata seconda di f. In altre
parole, se f : [a, b] R `e derivabile due volte, allora f `e convessa se e solo
se f

0 in [a, b]. Infatti, se f `e convessa allora dal teorema 4.12.4 segue,


per ogni x, x
0
[a, b],
f(x) f(x
0
) + f

(x
0
)(x x
0
), f(x
0
) f(x) + f

(x)(x
0
x),
e sommando queste due relazioni si deduce
f

(x
0
)(x x
0
) + f

(x)(x
0
x) 0 x, x
0
[a, b],
ossia
(f

(x) f

(x
0
)) (x x
0
) 0 x, x
0
[a, b].
In particolare, se x < x
0
allora f

(x) f

(x
0
), ossia f

`e crescente. Per la
proposizione 4.9.1, ci`o equivale a dire che f

0 in [a, b].
Viceversa, sia f

0 in [a, b], cosicche per la proposizione 4.9.1 f

`e crescente;
allora per il teorema di Lagrange si ha, per un opportuno punto compreso
fra x e x
0
,
f(x) f(x
0
) = f

()(x x
0
).
Pertanto se x > x
0
si ha > x
0
e dunque f

() f

(x
0
), da cui
f(x) f(x
0
) f

(x
0
)(x x
0
);
se invece x < x
0
, si ha < x
0
e dunque f

() f

(x
0
), da cui segue nuova-
mente la precedente disuguaglianza. Dal teorema 4.12.4 segue allora che f `e
convessa in [a, b].
Notiamo che una funzione reale f, di classe
C
2
, denita su [a, b], pu`o cambiare la con-
cavit`a (cio`e passare da concava a convessa o
viceversa) soltanto nei punti in cui f

`e nul-
la. I punti in cui f cambia la concavit`a, nei
quali quindi il graco di f attraversa la retta
tangente, si dicono punti di esso.
Dunque, se f `e di classe C
2
e x
0
`e punto di esso per f, allora f

(x
0
) = 0. Si
noti che il viceversa `e falso: la funzione f(x) = x
4
ha derivata seconda nulla
nel punto 0, eppure `e convessa in R e quindi 0 non `e punto di esso per f.
330
Esercizi 4.12
1. Si provi che esistono funzioni convesse in [a, b] discontinue nei punti
estremi.
2. Sia f : [a, b] R. Si provi che:
(i) f `e convessa se e solo se per ogni u, v, w [a, b] con u < v < w
risulta
f(v)
w v
w u
f(u) +
v u
w u
f(w);
(ii) f `e convessa se e solo se per ogni u, v, w [a, b] con u < v < w
risulta
f(v) f(u)
v u

f(w) f(u)
w u

f(w) f(v)
w v
;
(iii) f `e convessa se e solo se per ogni x [a, b] il rapporto incrementale
h
f(x + h) f(x)
h
, h [a x, 0[]0, b x],
`e una funzione crescente.
3. Se f : [a, b] R `e convessa, si provi che per ogni x ]a, b[ esistono la
derivata destra e la derivata sinistra
D

f(x) = lim
h0

f(x + h) f(x)
h
, D
+
f(x) = lim
h0
+
f(x + h) f(x)
h
;
si verichi che D

f(x) D
+
f(x) e si mostri con un esempio che tali
numeri possono essere diversi fra loro.
4. Sia f : [a, b] R continua. Si provi che f `e convessa se e solo se
f

u + v
2

1
2
(f(u) + f(v)) u, v [a, b].
[Traccia: una parte dellenunciato `e ovvia. Per laltra, si deduca che
vale la denizione di convessit`a per ogni t della forma k2
h
con h N e
k = 0, 1, . . . , 2
h
; si passi al caso generale t [0, 1] usando la continuit`a.]
331
5. Siano p, q > 1 tali che
1
p
+
1
q
= 1. Si provi che
xy
x
p
p
+
x
q
q
x, y 0.
Traccia: per x, y > 0 si scriva xy = e
log xy
e si sfrutti la convessit`a
della funzione esponenziale.]
6. Sia f : [a, b] R convessa e derivabile. Se ]a, b[ `e un punto tale che
f

() = 0, si provi che `e un punto di minimo assoluto per f in [a, b].


Il punto `e necessariamente unico?
7. Sia f : R R convessa e tale che
lim
x+
f(x) = +, lim
x
f(x) = +.
Si provi che f ha minimo su R. Il punto di minimo `e necessariamente
unico? Che succede se f `e continua ma non convessa?
8. Sia f : K R convessa, ove K R
m
`e un insieme convesso. Provare
che per ogni c R linsieme di sottolivello K
c
= x K : f(x) c,
se non vuoto, `e convesso.
9. Sia f una funzione convessa, denita su un insieme K R
m
convesso.
(i) Sia x
0
un punto interno a K e sia C un cubo m-dimensionale di
centro x
0
e lato 2 contenuto in K; sia poi V linsieme dei 2
m
vertici di C. Posto M = max
vV
f(v), si provi che f(x) M per
ogni x C.
(ii) Se x B(x
0
, ), siano x
0
u i punti a distanza da x
0
sulla retta
per x
0
e x: si provi che, posto t =
1
[x x
0
[
m
, risulta
f(x) tM + (1 t)f(x
0
), f(x
0
)
1
1 + t
(f(x) + tM) .
(iii) Se ne deduca che f `e continua in x
0
.
10. Sia f : [0, [ R una funzione convessa di classe C
1
, con f

(0) > 0.
Si provi che f(x) + per x +, e che esiste nito il limite
lim
x+
x
f(x)
.
332
11. (Disuguaglianza di Jensen) Sia f : R R una funzione convessa. Si
provi che per ogni n N
+
e per ogni x
1
, x
2
, . . . , x
n
R risulta
f

x
1
+ x
2
+ . . . + x
n
n

f(x
1
) + f(x
2
) + . . . + f(x
n
)
n
.
[Traccia: si provi dapprima la disuguaglianza per n = 2
k
; nel caso
generale si ponga m = 2
k
n: per quanto gi`a dimostrato si ha
f

x
1
+ x
2
+ . . . + x
n
+ mx
2
k

f(x
1
) + f(x
2
) + . . . + f(x
n
) + mf(x)
2
k
per ogni x
1
, . . . , x
n
, x R. Si scelga x =
x
1
+...+xn
n
.]
12. Tracciare un graco qualitativo delle seguenti funzioni, considerando
linsieme di denizione A, i limiti alla frontiera di A, la crescenza, la
convessit`a, i punti di massimo e di minimo relativo, i punti di esso,
gli asintoti, il valore di f

nei punti limite e nei punti di esso:


(i) [[x
3
[ 1[, (ii)
[x + 3[
3
x
2
, (iii)
2[x[ x
2
+ x
x + 1
,
(iv) e
x

x 1, (v)

x
2

8
x
, (vi)

5 +
1
x
2

8
x
3
,
(vii)

[x
2
10x[, (viii)
log x
1 + log x
, (ix) x
2/3
(x 1)
1/3
,
(x) log
x
2
[x
2
+ 2[
, (xi) x e
1
log x
, (xii) log x log
2
x,
(xiii) e
x(log |x|1)
, (xiv) e
x
x1
, (xv) maxx
2
, 5x 4,
(xvi) arccos
1
1 x
, (xvii) x
1
x
1
, (xviii) x + 4 arctan

[x 1[,
(xix)

[x[ 1
x
2
+ 1
, (xx) sin

x
2
+ 1
, (xxi) log(x + sin x),
(xxii)
[1 log x[
x
, (xxiii) e
1/x
, (xxiv) x + arcsin
2x
x
2
+ 1
.
333
Capitolo 5
Calcolo integrale
5.1 Lintegrale
Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Vogliamo determinare larea con
segno della regione del piano xy delimitata dal graco di f e dallasse x,
considerando cio`e positiva larea della parte sopra lasse x e negativa larea
della parte sotto lasse x. Esplicitamente, considereremo positiva larea della
regione
(x, y) R
2
: x [a, b], f(x) 0, y [0, f(x)],
e negativa larea della regione
(x, y) R
2
: x [a, b] : f(x) 0, y [f(x), 0].
Prima di tutto, per`o, oc-
correr`a dare un senso a ci`o
che si vuole calcolare: riu-
sciremo a denire larea del-
le regioni sopra descritte per
mezzo di un procedimento
di approssimazione della re-
gione che ci interessa me-
diante unioni nite di ret-
tangoli adiacenti (per i qua-
li larea `e quella elemen-
tarmente denita: base per
altezza).
334
Il primo passo da compiere a questo scopo `e quello di introdurre la nozione
di suddivisione dellintervallo [a, b].
Denizione 5.1.1 Una suddivisione, o partizione, dellintervallo [a, b] `e un
insieme nito di punti = x
0
, x
1
, . . . , x
N
tale che
a = x
0
< x
1
< . . . < x
N1
< x
N
= b.
I punti x
i
si dicono nodi della suddivisione .
Gli intervalli [x
i1
, x
i
], delimitati da due nodi consecutivi di una ssata sud-
divisione di [a, b], saranno le basi dei rettangoli che useremo per le nostre
approssimazioni.
Date due suddivisioni

di [a, b], diciamo che

`e pi` u ne di

se si ha

, cio`e se

si ottiene da

aggiungendo altri nodi. Naturalmente, in


generale, data una coppia di suddivisioni

, nessuna delle due sar`a pi` u -


ne dellaltra: pensiamo per esempio a

= a,
a+b
2
, b e

= a,
2a+b
3
,
a+2b
3
, b.
Per`o, ssate

, `e sempre possibile trovare una terza suddivisione che


`e pi` u ne di entrambe: basta prendere =

.
Esempio 5.1.2 Le pi` u semplici suddivisioni di [a, b] sono quelle equispazia-
te: per N N
+
ssato, si ha

N
= x
i
, 0 i N, ove x
i
= a +
i
N
(b a);
in particolare, se N = 1 si ha la suddivisione banale
1
= a, b.
Introduciamo adesso le nostre aree approssimate per eccesso e per difetto.
Denizione 5.1.3 Sia f : [a, b] R limitata. La somma superiore di f
relativa alla suddivisione di [a, b] `e il numero
S(f, ) =
N

i=1
M
i
(x
i
x
i1
), ove M
i
= sup
[x
i1
,x
i
]
f.
La somma inferiore di f relativa alla suddivisione di [a, b] `e il numero
s(f, ) =
N

i=1
m
i
(x
i
x
i1
), ove m
i
= inf
[x
i1
,x
i
]
f.
335
Osserviamo che S(f, ) e s(f, ) sono numeri reali ben deniti grazie al fatto
che stiamo supponendo f limitata: altrimenti qualcuno fra i numeri M
i
o m
i
potrebbe essere innito.
Ci aspettiamo che inttendo sempre di pi` u i nodi, le somme superiori ed in-
feriori forniscano una approssimazione sempre pi` u accurata dellarea della
regione che ci interessa. E in eetti si ha:
Proposizione 5.1.4 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Se

sono suddivisioni di [a, b], e `e una terza suddivisione pi` u ne di entrambe,


allora
s(f,

) s(f, ) S(f, ) S(f,

).
Dimostrazione La disuguaglianza centrale `e evidente, per denizione di
somma superiore e inferiore. Proviamo la prima (la terza `e analoga). Il pas-
saggio da

a consiste nellaggiungere un numero nito di nuovi nodi, il che


si pu`o vedere come una sequenza nita di aggiunte di un singolo nodo. Dun-
que baster`a provare che se si ottiene da

= x
0
, x
1
, . . . , x
N
aggiungendo
il nodo x ]x
k1
, x
k
[, allora s(f,

) s(f, ). La quantit`a a secondo mem-


bro si ottiene da quella al primo membro rimpiazzandone il k-simo addendo
m
k
(x
k
x
k1
) con i due addendi
inf
[x
k1
,x]
f (x x
k1
) + inf
[x,x
k
]
f (x
k
x);
daltra parte, per denizione di m
k
si ha
m
k
inf
[x
k1
,x]
f, m
k
inf
[x,x
k
]
f,
e quindi
m
k
(x
k
x
k1
) = m
k
(x
k
x + x x
k1
)
inf
[x
k1
,x]
f (x x
k1
) + inf
[x,x
k
]
f (x
k
x),
336
da cui s(f,

) s(f, ).
Il fatto che le approssimazioni migliorino sempre quando si inttiscono i nodi
ci porta a denire le approssimazioni ottimali per eccesso e per difetto
dellarea che ci interessa.
Denizione 5.1.5 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. L integrale
superiore di f su [a, b] `e il numero
I
+
(f) = inf

S(f, ).
L integrale inferiore di f su [a, b] `e il numero
I

(f) = sup

s(f, ).
Osservazione 5.1.6 Gli integrali superiore ed inferiore di f sono numeri
reali ben deniti, e si ha
inf
[a,b]
f (b a) I

(f) I
+
(f) sup
[a,b]
f (b a).
Infatti, indicata con
1
la suddivisione banale a, b, per la proposizione
precedente si ha, per qualunque coppia di suddivisioni

,
inf
[a,b]
f (b a) = s(f,
1
) s(f,

) S(f,

) S(f,
1
) = sup
[a,b]
f (b a),
da cui la tesi passando allestremo superiore rispetto a

e allestremo infe-
riore rispetto a

.
Arrivati a questo punto, sarebbe bello che le approssimazioni ottimali per
eccesso e per difetto coincidessero: questo ci permetterebbe di denire in
modo non ambiguo larea (con segno) della regione
(x, y) R
2
: x [a, b], f(x) 0, y [0, f(x)]
(x, y) R
2
: x [a, b], f(x) 0, y [f(x), 0].
Sfortunatamente, in generale si ha I

(f) < I
+
(f), come mostra il seguente
337
Esempio 5.1.7 Si consideri la funzione di Dirichlet
(x) =

1 se x [0, 1] Q,
0 se x [0, 1] ` Q.
Questa funzione, il cui graco non `e disegnabile, `e limitata in [0, 1] e per ogni
suddivisione = x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [0, 1] si ha, in virt` u della densit`a in R di
Q e di R ` Q:
m
k
= inf
[x
k1
,x
k
]
= 0, M
k
= sup
[x
k1
,x
k
]
= 1, k = 1, . . . , N;
quindi per ogni suddivisione si ha s(, ) = 0, S(, ) = 1 e pertanto
I

() = 0, I
+
() = 1.
La nostra procedura di approssimazione non `e quindi applicabile a tutte le
funzioni limitate, ma soltanto a quelle che vericano la propriet`a descritta
nella seguente fondamentale denizione.
Denizione 5.1.8 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Diciamo che f
`e integrabile secondo Riemann in [a, b], e scriveremo f 1(a, b), se risulta
I

(f) = I
+
(f).
In tal caso, l integrale di f su [a, b] `e il numero reale I

(f) = I
+
(f), che si
indicher`a con il simbolo

b
a
f(x)dx:

b
a
f(x) dx = I

(f) = I
+
(f).
Il senso di questo simbolo `e quello di ricordarci che si fa il limite di somme
nite (da cui il segno

, che `e una S stilizzata) di aree di rettangolini,


la cui base `e un intervallo dellasse x centrato nel punto x di ampiezza pic-
colissima pari a dx, e la cui altezza `e un intervallo dellasse y di lunghezza
pari a [f(x)[, presa col segno di f(x).
Come si `e visto, esistono funzioni limitate non integrabili: sorge quindi le-
sigenza di determinare esempi, e possibilmente intere classi, di funzioni inte-
grabili; analizzeremo questo problema nel paragrafo 5.3.
Prima di tutto conviene fornire un criterio di integrabilit`a di grande utilit`a,
che segue direttamente dalla denizione.
338
Proposizione 5.1.9 Sia f : [a, b] R una funzione limitata: f `e integrabile
secondo Riemann in [a, b] se e solo se per ogni > 0 esiste una suddivisione
di [a, b] tale che
S(f, ) s(f, ) < .
Dimostrazione (=) Fissato > 0, per denizione di estremo superiore
ed estremo inferiore esistono due suddivisioni

di [a, b] tali che

b
a
f(x) dx

2
< s(f,

b
a
f(x) dx S(f,

) <

b
a
f(x) dx +

2
;
scelta allora una suddivisione pi` u ne di

, si ha per la proposizione
5.1.4

b
a
f(x) dx

2
< s(f, )

b
a
f(x) dx S(f, ) <

b
a
f(x) dx +

2
,
e ci`o implica la tesi.
(=) Fissato > 0 e scelta una suddivisione come nellipotesi, si ha
0 I
+
(f) I

(f) S(f, ) s(f, ) < ,


da cui I
+
(f) = I

(f) per larbitrariet`a di .


Si noti che il criterio precedente permette di stabilire se una funzione `e inte-
grabile, ma non d`a informazioni su quanto valga il suo integrale: il problema
del calcolo esplicito degli integrali verr`a arontato pi` u avanti (paragrafo 5.5).
Dimostriamo adesso unimportante caratterizzazione dellintegrabilit`a che ha
interesse sia teorico che pratico. Premettiamo una denizione:
Denizione 5.1.10 Data una suddivisione = x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b],
l ampiezza di `e il numero
[[ = max
1iN
(x
i
x
i1
).
`
E chiaro che se

`e una suddivisione pi` u ne di , allora risulta [

[ [[; il
viceversa naturalmente non `e vero (se
3
e
4
sono suddivisioni equispaziate
con 3 e 4 nodi rispettivamente, allora [
4
[ < [
3
[ ma nessuna delle due `e pi` u
ne dellaltra).
339
Teorema 5.1.11 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Si ha f 1(a, b)
se e solo se esiste un numero reale A dotato della propriet`a seguente: per ogni
> 0 si pu`o trovare un > 0 tale che
[[ < = [S(f, ) A[ < , [s(f, ) A[ < .
In tal caso, si ha A =

b
a
f(x) dx.
Dimostrazione (=) Fissato > 0, dallipotesi segue per ogni suddivisione
con [[ <
0 S(f, ) s(f, ) [S(f, ) A[ +[A s(f, )[ < 2,
e quindi f `e integrabile in virt` u della proposizione 5.1.9; inoltre, scelta una
suddivisione con [[ < , avremo
[I
+
(f) A[ [I
+
(f) S(f, )[ +[S(f, ) A[ < 2,
da cui A = I
+
(f) =

b
a
f(x) dx.
(=) Poiche f `e integrabile, ssato > 0 esiste una suddivisione
0
=
x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b] tale che

b
a
f(x) dx

2
< s(f,
0
) S(f,
0
) <

b
a
f(x) dx +

2
.
Poniamo K = sup
[a,b]
[f[ e ssiamo =

4NK
. Sia = t
0
, t
1
, . . . , t
m
una
qualunque suddivisione di [a, b] tale che [[ < . Supponiamo (per semplicit`a)
che nessun nodo x
j
di
0
coincida con qualcuno dei nodi t
i
di . Consideriamo
gli insiemi
A = i 1, . . . , m : ]t
i1
, t
i
[ non contiene alcun nodo x
j
,
B = i 1, . . . , m : ]t
i1
, t
i
[ contiene almeno un nodo x
j
,
e osserviamo che B ha al pi` u N elementi. Consideriamo poi la suddivisione

=
0
, i cui nodi sono i t
i
e gli x
j
: tali nodi delimitano intervalli del tipo
[t
i1
, t
i
] (quando lindice i appartiene ad A), oppure dei tipi [t
i1
, x
j
], [x
j
, t
i
]
ed eventualmente [x
j
, x
j+1
] (quando lindice i appartiene a B). Denotiamo
con I
ij
gli intervalli corrispondenti ad indici i B, indicando con
ij
la loro
340
ampiezza (per ogni i B ce ne sar`a un certo numero nito k
i
); poniamo
inoltre
M
i
= sup
[t
i1
, t
i
]
f, M
ij
= sup
I
ij
f.
Si ha allora
S(f,

) =

iA
M
i
(t
i
t
i1
) +

iB
k
i

j=1
M
ij

ij
.
Daltra parte, gli intervalli I
ij
con i B ssato e j = 1, . . . , k
i
ricoprono
[t
i1
, t
i
]: quindi

iB
k
i

j=1
M
ij

ij

iB
K(t
i
t
i1
) K

iB
KN =

4
,
da cui

iA
M
i
(t
i
t
i1
) = S(f,

iB
k
i

j=1
M
ij

ij
S(f,

) +

4
.
Pertanto possiamo scrivere
S(f, ) =

iA
M
i
(t
i
t
i1
) +

iB
M
i
(t
i
t
i1
)
S(f,

) +

4
+

iB
K(t
i
t
i1
) S(f,

) +

2

S(f,
0
) +

2

b
a
f(x) dx + .
In modo analogo si prova che
s(f, )

b
a
f(x) dx ,
e quindi il numero A =

b
a
f(x) dx verica la condizione richiesta.
Corollario 5.1.12 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Si ha f
1(a, b) se e solo se per ogni > 0 esiste N
+
tale che
S(f,
N
) s(f,
N
) < N ,
ove
N
`e la suddivisione equispaziata con nodi x
k
= a +
k
N
(b a), k =
0, 1, . . . , N.
341
Dimostrazione (=) La tesi segue dal teorema 5.1.11 quando [
N
[ =
ba
N
<
.
(=) Fissato > 0, dallipotesi si deduce, scelto N ,
I
+
(f) I

(f) S(f,
N
) s(f,
N
) < ,
e dunque I
+
(f) = I

(f).
Osservazione 5.1.13 Dal corollario precedente segue che in eetti per ca-
ratterizzare lintegrale di Riemann sono sucienti le suddivisioni equispazia-
te, e si ha

b
a
f(x) dx = lim
N
S(f,
N
) = lim
N
s(f,
N
) f 1(a, b).
Di conseguenza, se per ogni i = 1, . . . , N si ssa a piacere un numero t
i

[x
i1
, x
i
], la quantit`a
N

i=1
f(t
i
)(x
i
x
i1
),
che `e detta somma di Riemann di f, converge a

b
a
f(x) dx per N , gra-
zie al teorema dei carabinieri (esercizio 2.1.19). Su questo fatto si basano le
pi` u semplici formule di quadratura per il calcolo approssimato degli integrali.
Esercizi 5.1
1. Si provi che

b
a
x dx =

2
(b
2
a
2
),

b
a
x
2
dx =

3
(b
3
a
3
).
2. (Teorema della media) Si provi che se f 1(a, b), allora
inf
[a,b]
f
1
b a

b
a
f(x) dx sup
[a,b]
f,
e che se f `e anche continua in [a, b] allora esiste [a, b] tale che
f() =
1
b a

b
a
f(x) dx.
342
3. Sia f 1(a, b) e sia g una funzione che dierisce da f soltanto in
un numero nito di punti di [a, b]. Si provi che g 1(a, b) e che gli
integrali di f e di g in [a, b] coincidono. Che succede se f e g dieriscono
su un insieme numerabile x
n
, n N [a, b]?
4. Utilizzando solo la denizione di (denizione 1.12.6), dedurre che

1
1

1 x
2
dx =

2
.
[Traccia: si verichi che la met`a
dellarea del poligono regolare di 2n
lati inscritto nel cerchio di raggio
1 `e compresa fra s(

1 x
2
,
n
) e
S(

1 x
2
,
n
), ove
n
`e la suddi-
visione di [1, 1] i cui nodi sono le
proiezioni sullasse x dei vertici del
poligono.]
5. Sia f una funzione limitata in [a, b], tale che [f[ 1(a, b); `e vero che
f 1(a, b)?
5.2 Propriet`a dellintegrale
Lintegrabilit`a `e una propriet`a stabile rispetto alle operazioni algebriche fra
funzioni. Per provare questo fatto, `e utile introdurre la nozione di oscilla-
zione di una funzione in un intervallo.
Denizione 5.2.1 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Se I `e un
intervallo contenuto in [a, b], l oscillazione di f in I `e il numero reale
osc(f, I) = sup
I
f inf
I
f.
Osservazioni 5.2.2 (1) Il criterio di integrabilit`a espresso nella proposizio-
ne 5.1.9 si pu`o riformulare nel modo seguente: f `e integrabile in [a, b] se e
solo se per ogni > 0 esiste una suddivisione = x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b]
tale che
N

i=1
osc(f, [x
i1
, x
i
]) (x
i
x
i1
) < .
343
(2) Anche la denizione di continuit`a di una funzione (denizione 3.2.3) pu`o
essere espressa tramite loscillazione. Si ha in eetti che f `e continua in un
punto x
0
[a, b] se e solo se, posto I

= [x
0
, x
0
+ ] [a, b], risulta
lim
0
+
osc(f, I

) = 0.
(3) Si verica facilmente che se f, g sono funzioni limitate in [a, b] e `e un
numero reale, allora per ogni intervallo I [a, b] si ha, come conseguenza
dellesercizio 3.2.11,
osc(f + g, I) osc(f, I) + osc(g, I), osc(f, I) = [[osc(f, I).
Dallultima delle osservazioni precedenti si deduce la linearit`a dellintegrale:
Proposizione 5.2.3 Siano f, g 1(a, b) e sia R. Allora f + g, f
1(a, b) e

b
a
(f +g)(x) dx =

b
a
f(x) dx+

b
a
g(x) dx,

b
a
(f)(x) dx =

b
a
f(x) dx.
Dimostrazione Poiche f e g sono integrabili, ssato > 0 esistono due
suddivisioni

di [a, b] tali che


S(f,

) s(f,

) < , S(g,

) s(g,

) < .
Scelta unaltra suddivisione pi` u ne di entrambe, si ha a maggior ragione
(proposizione 5.1.4)
S(f, ) s(f, ) < , S(g, ) s(g, ) < ,
da cui, per losservazione 5.2.2(3),
S(f + g, ) s(f + g, ) =
N

i=1
osc(f + g, [x
i1
, x
i
]) (x
i
x
i1
)

i=1
osc(f, [x
i1
, x
i
]) (x
i
x
i1
) +
N

i=1
osc(g, [x
i1
, x
i
]) (x
i
x
i1
) =
= S(f, ) s(f, ) + S(g, ) s(g, ) < 2,
mentre
S(f, ) s(f, ) = [[[S(f, ) s(f, )] < [[.
344
Ne segue che f + g e f sono integrabili. Adesso notiamo che

b
a
(f + g)(x) dx

b
a
f(x) dx

b
a
g(x) dx
S(f + g, ) s(f, ) s(g, )
S(f, ) + S(g, ) s(f, ) s(g, ) < 2,

b
a
(f + g)(x) dx

b
a
f(x) dx

b
a
g(x) dx
s(f + g, ) S(f, ) S(g, )
s(f, ) + s(g, ) S(f, ) S(g, ) > 2,
il che ci fornisce la maggiorazione

b
a
(f + g)(x) dx

b
a
f(x) dx

b
a
g(x) dx

< 2 > 0,
ossia

b
a
(f + g)(x) dx =

b
a
f(x) dx +

b
a
g(x) dx.
Similmente, osservando che
S(f, ) =

S(f, ) se 0
s(f, ) se 0,
s(f, ) =

s(f, ) se 0
S(f, ) se 0,
`e immediato dedurre che, qualunque sia R,

b
a
(f)(x) dx

b
a
f(x) dx

< [[ > 0,
e che quindi

b
a
(f)(x) dx =

b
a
f(x) dx R.
Utilizzando le propriet`a delloscillazione, si ottiene anche la seguente
Proposizione 5.2.4 Siano f, g 1(a, b). Si ha:
345
(i) f g 1(a, b);
(ii) se inf
[a,b]
[g[ > 0, allora
f
g
1(a, b);
(iii) f g, f g 1(a, b), ove f g(x) = maxf(x), g(x), f g(x) =
minf(x), g(x).
Dimostrazione Si rimanda agli esercizi 5.2.1, 5.2.2 e 5.2.3.
Unaltra importante propriet`a dellintegrale `e la sua monotonia:
Proposizione 5.2.5 Siano f, g 1(a, b). Se si ha f(x) g(x) per ogni
x [a, b], allora

b
a
f(x) dx

b
a
g(x) dx.
Dimostrazione Basta notare che, per ipotesi, per ogni suddivisione di
[a, b] si ha
s(f, ) s(g, ),
e poi passare allestremo superiore rispetto a .
Corollario 5.2.6 Se f 1(a, b), allora [f[ 1(a, b) e

b
a
f(x) dx

b
a
[f(x)[ dx.
Dimostrazione Si verica facilmente che [f(x)[ = f(x) 0 f(x) 0 per
ogni x [a, b]; quindi [f[ 1(a, b) per la proposizione 5.2.4. Essendo poi
[f(x)[ f(x) [f(x)[, per monotonia (proposizione 5.2.5) si ottiene

b
a
[f(x)[ dx

b
a
f(x) dx

b
a
[f(x)[ dx,
da cui la tesi.
Proviamo inne ladditivit`a dellintegrale rispetto allintervallo di integrazio-
ne:
Proposizione 5.2.7 Sia f : [a, b] R una funzione limitata e sia c ]a, b[
un punto ssato. Allora
f 1(a, b) f 1(a, c) 1(c, b),
e in tal caso

b
a
f(x) dx =

c
a
f(x) dx +

b
c
f(x) dx.
346
Dimostrazione La dimo-
strazione `e ovvia, se si pen-
sa al signicato geometri-
co dellintegrale come area
con segno. Per una dimo-
strazione formale si rimanda
allesercizio 5.2.5.
Per i discorsi che seguiranno, `e utile dare senso allintegrale

b
a
f(x) dx anche
nel caso in cui a b.
Denizione 5.2.8 Sia f una funzione reale denita in un intervallo [c, d].
(i) Se a [c, d], poniamo

a
a
f(x) dx = 0.
(ii) Se a, b [c, d] con a > b, poniamo (notando che f 1(b, a) grazie alla
proposizione precedente)

b
a
f(x) dx =

a
b
f(x) dx.
Lutilit`a di questa convenzione sta nel seguente risultato di additivit`a:
Proposizione 5.2.9 Sia f 1(a, b). Allora

v
u
f(x) dx =

w
u
f(x) dx +

v
w
f(x) dx u, v, w [a, b].
Dimostrazione Si tratta di una noiosa ma facile verica che fa uso del-
la proposizione precedente e consiste nellanalizzare tutti i possibili casi:
u < v < w, v < w < u, w < u < v, u < w < v, v < u < w, w < v < u,
u = v, v = w, u = w.
Anche il risultato di monotonia espresso dal corollario 5.2.6 pu`o essere pre-
cisato alla luce della convenzione sopra descritta:
Corollario 5.2.10 Sia f 1(a, b). Allora

v
u
f(x) dx

v
u
[f(x)[ dx

u, v [a, b].
347
Dimostrazione Se u < v, il secondo membro `e

v
u
[f(x)[ dx e la tesi segue
dal corollario 5.2.6. Se u = v la disuguaglianza si riduce a 0 0, quindi `e
vera. Se u > v, il primo membro coincide con

u
v
f(x) dx

mentre il secondo
diventa

u
v
[f(x)[dx, e quindi ci si riduce al primo caso gi`a provato.
Osservazione 5.2.11 Sia A un sottoinsieme di R. La funzione
I
A
(x) =

1 se x A
0 se x / A
si chiama funzione caratteristica, o indicatrice, di A. Se A`e limitato, e se [a, b]
`e un qualunque intervallo contenente A, la funzione I
A
pu`o essere integrabile
secondo Riemann in [a, b] oppure no, come mostra lesempio 5.1.7. Se A `e un
intervallo [c, d], `e immediato vericare che I
A
1(a, b) e che

b
a
I
A
dx = dc.
Questo suggerisce un modo per attribuire una misura a una vasta classe
di sottoinsiemi limitati di R: quelli la cui corrispondente funzione indicatrice
`e integrabile, e che potremo chiamare insiemi misurabili. In altre parole, se
A `e limitato, se [a, b] A e se I
A
1(a, b), deniamo la misura di A come
segue:
m(A) =

b
a
I
A
dx.
Dato che I
A
`e nulla fuori di A, `e chiaro che questa denizione non dipende
dalla scelta dellintervallo [a, b]. Dalle propriet`a dellintegrale segue imme-
diatamente che m() = 0, che m `e additiva sugli insiemi misurabili disgiunti
(ossia m(A B) = m(A) + m(B)), e che in particolare m `e monotona (cio`e
m(A) m(B) se A B).
Esercizi 5.2
1. Si provi che se f, g 1(a, b) allora fg 1(a, b).
[Traccia: si verichi che
osc(fg, I) osc(f, I) sup
I
[g[ + osc(g, I) sup
I
[f[.]
2. Si provi che se f, g 1(a, b) e inf
[a,b]
[g[ = m > 0, allora
f
g
1(a, b).
[Traccia: grazie allesercizio precedente, basta provare la tesi quando
f 1; si provi che osc(1/g, I)
1
m
2
osc(g, I).]
348
3. Si verichi che per ogni f, g : [a, b] R si ha
f g = g + (f g) 0, f g = f + g f g;
dedurne che se f, g 1(a, b) allora f g, f g 1(a, b).
[Traccia: si osservi che basta vericare che f 0 1(a, b), e si provi
che risulta osc(f 0, I) osc(f, I).]
4. Se A `e un sottoinsieme di R
m
o di C
m
, una funzione f : A R
si dice lipschitziana (dal nome del matematico tedesco Lipschitz) se
esiste L > 0 tale che
[f(x) f(y)[ L[x y[
m
x, y A
(il pi` u piccolo numero L che soddisfa la denizione si chiama costante
di Lipschitz di f). Si provi che se f 1(a, b) e : R R `e una
funzione lipschitziana, allora f 1(a, b).
[Traccia: si provi che osc( f, I) L osc(f, I).]
5. Dimostrare la proposizione 5.2.7.
6. Si calcoli, se esiste, la misura dellinsieme
A =

n=0
[2
2n1
, 2
2n
[.
7. Dimostrare che linsieme ternario di Cantor (esercizio 3.1.22) `e misu-
rabile, e calcolarne la misura.
5.3 Alcune classi di funzioni integrabili
Utilizzando il criterio fornito dalla proposizione 5.1.9 si determina facilmente
una prima importante classe di funzioni integrabili: quella delle funzioni
monotone.
Teorema 5.3.1 Sia f : [a, b] R una funzione monotona. Allora f `e
integrabile su [a, b].
349
Dimostrazione Osserviamo anzitutto che f `e limitata, in quanto dalla
monotonia segue
f(x) [f(a), f(b)] se f `e crescente, f(x) [f(b), f(a)] se f `e decrescente.
Consideriamo le suddivisioni equispaziate
N
, con nodi x
i
= a +
i
N
(b a)
(esempio 5.1.2). Supponendo ad esempio f crescente, si ha
S(f,
N
) =
N

i=1
f(x
i
)(x
i
x
i1
), s(f,
N
) =
N

i=1
f(x
i1
)(x
i
x
i1
),
cosicche
S(f,
N
) s(f,
N
) =
N

i=1
[f(x
i
) f(x
i1
)](x
i
x
i1
) =
=
N

i=1
[f(x
i
) f(x
i1
)]
b a
N
= [f(b) f(a)]
b a
N
.
Quindi, ssato > 0, il criterio di integrabilit`a (proposizione 5.1.9) `e soddi-
sfatto se si sceglie N abbastanza grande.
Uniforme continuit`a
Il nostro prossimo obiettivo `e quello di dimostrare lintegrabilit`a delle funzioni
continue su un intervallo compatto. A questo scopo conviene introdurre la
nozione di uniforme continuit`a, la quale, come suggerisce il nome, `e una
propriet`a pi` u restrittiva della continuit`a.
Ricordiamo che se A `e un sottoinsieme di R
m
(oppure di C
m
) e f : A R `e
una funzione, dire che f `e continua in A signica che
x
0
A, > 0 > 0 : [f(x) f(x
0
)[ < x A con [xx
0
[
m
< .
Denizione 5.3.2 Sia A un sottoinsieme di R
m
(o di C
m
) e sia f : A R
una funzione. Diciamo che f `e uniformemente continua in A se
> 0 > 0 : [f(x) f(x
0
)[ < x A, x
0
A con [xx
0
[
m
< .
350
Come si vede, nella denizione di uniforme continuit`a si `e spostata la stringa
x
0
A dallinizio alla ne della frase. Questo fa s` che il numero di
cui si prescrive lesistenza sia sottoposto ad una richiesta pi` u forte: esso deve
garantire che sia [f(x) f(x
0
)[ < non solo per ogni x vicino ad un ssato
punto x
0
, ma per ogni coppia di punti x, x
0
fra loro vicini, in qualunque parte
di A essi si trovino. In denitiva: il numero deve dipendere da , ma non
da x
0
.
La denizione di uniforme continuit`a si esprime bene facendo intervenire
loscillazione di f (denizione 5.2.1): f `e uniformemente continua in A se e
solo se per ogni > 0 esiste > 0 tale che risulti
osc(f, B) = sup
B
f inf
B
f
per ogni palla B A che abbia raggio non superiore a , ovunque si trovi il
suo centro.
Esempi 5.3.3 (1) Siano A = [0, [ e f(x) = x
2
. Per ogni intervallo I
a
=
[a, a + ] si ha
osc(f, I
a
) = (a + )
2
a
2
= 2a +
2
;
dunque f, pur essendo continua in [0, [, non `e uniformemente continua in
tale semiretta in quanto, ssato > 0 e comunque preso > 0, risulta, per
valori di a sucientemente grandi,
osc(f, I
a
) = 2a +
2
.
(2) Ogni funzione lipschitziana in un insieme A `e uniformemente continua
in A: dato > 0, basta scegliere = /L, ove L `e la costante di Lipschitz di
f. In particolare, le funzioni f : R R derivabili con derivata limitata sono
uniformemente continue, in quanto per il teorema di Lagrange esse risultano
lipschitziane con costante L sup
R
[f

[. Si noti che in generale le funzioni


appartenenti a C
1
(R) non sono ne lipschitziane ne uniformemente continue,
come mostra lesempio della funzione f(x) = x
2
.
Luniforme continuit`a di una funzione f si pu`o interpretare geometricamente
nel modo seguente: si consideri un rettangolo R, di base 2 ed altezza 2,
centrato in un punto del graco di f; si ha continuit`a uniforme se per qua-
lunque > 0 vi `e una base > 0 tale che, facendo scorrere il rettangolo R
lungo il graco di f, il graco non intersechi mai i due lati orizzontali del
rettangolo.
351
Come abbiamo visto, non tutte le funzioni continue sono uniformemente
continue; tuttavia vale il seguente importante risultato:
Teorema 5.3.4 (di Heine-Cantor) Sia f una funzione reale, denita su
un sottoinsieme compatto A di R
m
o di C
m
. Se f `e continua in A, allora f
`e uniformemente continua in A.
Dimostrazione Supponiamo per assurdo che f non sia uniformemente con-
tinua in A: allora, negando la denizione 5.3.2, troviamo che esiste > 0
tale che, qualunque sia > 0, possiamo determinare due punti x, x
0
A che
vericano [x x
0
[
m
< , ma [f(x) f(x
0
)[
m
. Scegliendo allora = 1/k,
con k N
+
, per ogni k troveremo x
k
, x

k
A tali che
[x
k
x

k
[
m
<
1
k
, [f(x
k
) f(x

k
)[ .
Le due successioni x
k
e x

k
cos` costruite sono costituite da punti del
compatto A. Per denizione di insieme compatto (osservazione 3.1.20), esiste
una sottosuccessione x
kn
x
k
che converge ad un punto x A; la
corrispondente sottosuccessione x

kn
x

k
converge anchessa a x, dato
che [x
kn
x

kn
[
m
< 1/k
n
0 per n . Ma allora, essendo f continua nel
punto x, si deve avere f(x
kn
) f(x) e f(x

kn
) f(x) per n , il che `e
assurdo perche [f(x
kn
) f(x

kn
)[ per ogni n.
Osservazione 5.3.5 Il teorema di Heine-Cantor vale se A `e compatto, ossia
limitato e chiuso (teorema 3.1.19 e osservazione 3.1.20): il risultato `e falso
se A non `e limitato, come mostra lesempio 5.3.3 (1), ed anche se A non `e
chiuso, come mostra lesempio della funzione f(x) = 1/x, x ]0, 1] (si veda
lesercizio 5.3.4).
Integrabilit`a delle funzioni continue
Proviamo ora lintegrabilit`a delle funzioni continue su un intervallo [a, b].
Notiamo che ogni funzione continua f : [a, b] R `e necessariamente limitata
352
(per il teorema di Weierstrass) e uniformemente continua (per il teorema di
Heine-Cantor).
Teorema 5.3.6 Ogni funzione continua f : [a, b] R `e integrabile in [a, b].
Dimostrazione Sia > 0. Poiche f `e uniformemente continua, esiste > 0
tale che
x, x

[a, b], [x x

[ < = [f(x) f(x

)[ <

b a
.
Prendiamo, per ogni N N
+
, le suddivisioni equispaziate
N
i cui nodi sono
x
i
= a +
i
N
(b a), i = 0, 1, . . . , N. Se scegliamo N >
ba

, avremo
x
i
x
i1
=
b a
N
< , i = 1, . . . , N.
Valutiamo la quantit`a S(f,
N
) s(f,
N
): si ha
S(f,
N
) s(f,
N
) =
N

i=1

max
[x
i1
,x
i
]
f min
[x
i1
,x
i
]
f

(x
i
x
i1
) =
=
N

i=1
[f(
i
) f(
i
)]
b a
N
,
ove
i
e
i
sono rispettivamente punti di massimo e di minimo per f nel-
lintervallo [x
i1
, x
i
]. Poiche, ovviamente, [
i

i
[ x
i
x
i1
< , avremo
f(
i
) f(
i
) <

ba
, e dunque
S(f,
N
) s(f,
N
) <
N

i=1

b a

b a
N
= N >
b a

.
Per la proposizione 5.1.9 si conclude che f `e integrabile in [a, b].
Osservazione 5.3.7 Pi` u in generale, risultano integrabili in [a, b] le funzioni
che sono limitate in [a, b] e continue salvo che in un numero nito di punti
x
1
, . . . , x
k
[a, b]. La dimostrazione di questo fatto, benche formalmente
un po pesante, non `e aatto dicile, e per essa si rimanda allesercizio 5.3.5
La classe 1(a, b) `e considerevolmente ampliata dal seguente risultato:
353
Teorema 5.3.8 Sia f 1(a, b) e poniamo M = sup
[a,b]
f, m = inf
[a,b]
f. Se
: [m, M] R `e una funzione continua, allora f 1(a, b).
Dimostrazione Fissato > 0, sia ]0, [ tale che
t, s [m, M], [t s[ < = [(t) (s)[ < ;
tale esiste poiche `e uniformemente continua in [m, M] in virt` u del teorema
di Heine-Cantor.
Poiche f 1(a, b), esiste una suddivisione = x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b] tale
che
S(f, ) s(f, ) <
2
.
Posto I
i
= [x
i1
, x
i
], consideriamo gli insiemi
A = i 1, . . . , N : osc(f, I
i
) < ,
B = i 1, . . . , N : osc(f, I
i
) .
Si ha allora, posto K = sup
[m,M]
[[,
osc( f, I
i
) < i A, osc( f, I
i
) 2K i B,
Quindi

iB
(x
i
x
i1
)

iB
osc(f, I
i
)(x
i
x
i1
) S(f, ) s(f, ) <
2
ovvero

iB
(x
i
x
i1
) < .
Da ci`o segue
S( f, ) s( f, ) =
=

iA
osc( f, I
i
)(x
i
x
i1
) +

iB
osc( f, I
i
)(x
i
x
i1
)
(b a) + 2K < (b a + 2K),
cio`e la tesi.
354
Esercizi 5.3
1. Sia f : R R una funzione continua, e supponiamo che f abbia
asintoti obliqui per x . Provare che f `e uniformemente continua
in R.
2. Esibire una funzione f : R R limitata e di classe C

, ma non
uniformemente continua su R.
3. Si provi che [x

[ [x y[

per ogni x, y 0 e per ogni [0, 1];


se ne deduca che se [0, 1[ la funzione f(x) = x

`e uniformemente
continua in [0, [, ma non `e lipschitziana in tale semiretta.
4. Si provi che per ogni > 0 la funzione f(x) = x

non `e uniformemente
continua in ]0, 1].
5. Dimostrare che ogni funzione limitata in [a, b], e continua salvo che in
un numero nito di punti, `e integrabile in [a, b].
5.4 Il teorema fondamentale del calcolo inte-
grale
Se f `e una funzione integrabile secondo Riemann in un intervallo [a, b], sap-
piamo dalla proposizione 5.2.7 che si ha anche f 1(a, x) per ogni x [a, b].
Quindi possiamo denire la funzione
F(x) =

x
a
f(t) dt, x [a, b],
che si chiama funzione integrale della f. Si noti, di passaggio, che non `e
lecito scrivere

x
a
f(x) dx: la variabile di integrazione non va confusa con gli
estremi dellintervallo di integrazione, esattamente come nelle sommatorie si
scrive

n
k=0
a
k
e non

n
n=0
a
n
.
Analizziamo le propriet`a della funzione integrale F.
Proposizione 5.4.1 Se f 1(a, b), allora la sua funzione integrale F `e
continua, anzi lipschitziana, in [a, b], e risulta F(a) = 0.
355
Dimostrazione Ovviamente F(a) =

a
a
f(x) dx = 0. Proviamo che F `e
lipschitziana (esempio 5.3.3 (2)). Siano x, x

[a, b] con, ad esempio, x < x

:
per la proposizione 5.2.9 ed il corollario 5.2.10 si ha
[F(x) F(x

)[ =

x
a
f(t) dt

a
f(t) dt

x
x

f(t) dt

x
x

[f(t)[ dt

;
scelta la suddivisione banale
1
= x, x

dellintervallo I = [x, x

], si ottiene,
per denizione di integrale,
[F(x) F(x

)[

x
x

[f(t)[ dt

S([f[,
1
) = sup
I
[f[ [x x

[.
Ne segue la tesi.
Teorema 5.4.2 (teorema fondamentale del calcolo integrale) Sia f
una funzione continua in [a, b]. Allora la sua funzione integrale F `e derivabile
in [a, b] e si ha
F

(x) = f(x) x [a, b].


Dimostrazione Fissiamo x
0
[a, b]. Per ogni x [a, b] `x
0
consideriamo
il rapporto incrementale di F in x
0
:
F(x) F(x
0
)
x x
0
=
1
x x
0

x
x
0
f(t) dt.
Poiche f `e continua in x
0
, ssato > 0 esister`a > 0 tale che
[t x
0
[ < = [f(t) f(x
0
)[ < .
Quindi possiamo scrivere (essendo

x
x
0
c dt = c(x x
0
) per ogni costante c)
F(x) F(x
0
)
x x
0
=
1
x x
0

x
x
0
[f(t) f(x
0
) + f(x
0
)] dt =
=
1
x x
0

x
x
0
[f(t) f(x
0
)] dt + f(x
0
).
Se ora x x
0
, il primo termine allultimo membro `e innitesimo: infatti non
appena [x x
0
[ < avremo, per la monotonia dellintegrale,

1
x x
0

x
x
0
[f(t) f(x
0
)] dt


1
[x x
0
[

x
x
0
[f(t) f(x
0
)[ dt

1
[x x
0
[

x
x
0
dt

= .
356
Pertanto
lim
xx
0
F(x) F(x
0
)
x x
0
= f(x
0
) x
0
[a, b],
e ci`o prova la tesi.
Osservazioni 5.4.3 (1) La continuit`a di f `e essenziale nel teorema prece-
dente: vedere lesercizio 5.4.1.
(2) Nella dimostrazione precedente in eetti si `e provato un risultato pi` u
preciso: se f 1(a, b) e f `e continua in un punto x
0
, allora F `e derivabile
in quel punto, con F

(x
0
) = f(x
0
).
Perche il teorema fondamentale del calcolo integrale ha questo nome? Perche,
come presto scopriremo, per mezzo di esso `e possibile calcolare una gran
quantit`a di integrali: gi`a questo lo rende un teorema basilare. Ma la sua
importanza `e ancora maggiore per il fatto che esso mette in relazione fra
loro lintegrale e la derivata, cio`e due operazioni i cui signicati geometrici
sembrano avere ben poca relazione fra di loro: il calcolo di unarea delimitata
da un graco e la nozione di retta tangente a tale graco. In realt`a, in un
certo senso, lintegrazione e la derivazione sono due operazioni luna inversa
dellaltra.
Per capire meglio come stanno le cose, `e necessario introdurre la nozione di
primitiva di una data funzione.
Denizione 5.4.4 Sia f : [a, b] R una funzione qualunque. Diciamo
che una funzione G : [a, b] R `e una primitiva di f se G `e derivabile in
[a, b] e se risulta G

(x) = f(x) per ogni x [a.b]. Linsieme delle primitive


di una funzione f si chiama integrale indenito di f e si indica talvolta
con lambiguo simbolo

f(x) dx (il quale quindi rappresenta un insieme di


funzioni e non una singola funzione).
Non tutte le funzioni sono dotate di primitive (esercizio 5.4.1); per`o, se ne
esiste una allora ne esistono innite: infatti se G `e una primitiva di f, allora
G + c `e ancora una primitiva di f per ogni costante c R. Daltra parte,
sappiamo dal teorema fondamentale del calcolo integrale che ogni funzione f
continua su [a, b] ha una primitiva: la sua funzione integrale F.
Corollario 5.4.5 Se f `e continua in [a, b] e G `e unarbitraria primitiva di
f, allora si ha

y
x
f(t) dt = G(y) G(x) x, y [a, b].
357
Dimostrazione Sia F(x) =

x
a
f(t) dt la funzione integrale di f. Allora si
ha F

= G

= f in [a, b], e in particolare (F G)

= 0 in [a, b]. Quindi F G


`e una funzione costante in [a, b] (proposizione 4.3.4), ossia esiste c R tale
che G(x) = F(x) + c per ogni x [a, b]. Ne segue
G(y) G(x) = F(y) F(x) =

y
x
f(t) dt x, y [a, b].
Osservazioni 5.4.6 (1) Si suole scrivere [G(t)]
y
x
in luogo di G(y) G(x).
(2) La dimostrazione precedente mostra, pi` u in generale, che se f ha una
primitiva F, allora ogni altra primitiva G di f `e della forma G(x) = F(x)+c:
in altre parole, se F `e una assegnata primitiva di f si ha

f(x) dx = F + c, c R.
Dunque per calcolare lintegrale

y
x
f(t) dt occorre determinare una primitiva
G di f (per poi calcolarla negli estremi dellintervallo), il che corrisponde
essenzialmente a fare loperazione inversa della derivazione. Per questa ope-
razione non ci sono purtroppo ricette prestabilite, come invece accade per
il calcolo delle derivate: vi sono funzioni continue molto semplici, quali ad
esempio e
x
2
oppure
sin x
x
, le cui primitive (che esistono, per il teorema fon-
damentale del calcolo integrale) non sono esprimibili in termini di funzioni
elementari; il che, peraltro, non impedisce di calcolarne gli integrali con qua-
lunque precisione prestabilita, utilizzando formule di quadratura o scrivendo
le primitive come somme di opportune serie di potenze.
`
E utile a questo punto riportare la seguente tabella di primitive note:
358
integrando primitiva
x
p
(p = 1)
x
p+1
p + 1
x
1
log [x[
e
x
( = 0)
e
x

cos x sin x
sin x cos x
cosh x sinh x
sinh x cosh x
integrando primitiva

n=0
a
n
x
n

n=0
1
n + 1
a
n
x
n+1
1
1 + x
2
arctan x
1

1 x
2
arcsin x
1

1 + x
2
log

x +

1 + x
2

1
cos
2
x
tan x
1
sin
2
x

1
tan x
Esercizi 5.4
1. Si consideri la funzione segno di x, denita da
f(x) = sgn(x) =

1 se 0 < x 1
0 se x = 0
1 se 1 x < 0.
(i) Si calcoli

x
0
f(t) dt per ogni x [1, 1].
(ii) Si provi che f non ha primitive in [1, 1].
2. Provare che esistono funzioni f discontinue in R, ma dotate di primitive.
[Traccia: posto F(x) = x sin(1/x) per x = 0 e F(0) = 0, si verichi
che F `e derivabile e si prenda f = F

.]
3. Si dica sotto quali ipotesi si ha:
(i)
d
dx

x
a
f(t) dt = f(x), (ii)

x
a
f

(t) dt = f(x) f(a).


359
4. Sia f una funzione continua in R.
(i) Si provi che se e sono funzioni derivabili su R, allora
d
dx

(x)
(x)
f(t) dt = f((x))

(x) f((x))

(x) x R.
(ii) Calcolare
d
dx

2x
x
f(t) dt,
d
dx

x
2
x
f(t) dt,
d
dx
sin

3
x
2
x
f(t) dt

.
[Traccia: si tratta di derivare opportune funzioni composte.]
5. Sia f una funzione continua e non negativa in [a, b]. Si provi che se

b
a
f(x) dx = 0, allora f 0 in [a, b], e che la conclusione `e falsa se si
toglie una qualunque delle ipotesi.
6. Sia f : R R continua e tale che f(x) R per x . Si provi
che
lim
x
1
x

x
0
f(t) dt = .
7. Determinare le primitive delle funzioni arcsin x, arctan x, settsinh x.
8. Sia f : R R una funzione periodica di periodo T > 0, cio`e tale che
f(x + T) = f(x) per ogni x R. Provare che se f 1(0, T) allora
f 1(a, a + T) per ogni a R e

a+T
a
f(t) dt =

T
0
f(t) dt a R.
5.5 Metodi di integrazione
Non esiste una procedura standard per il calcolo delle primitive e quindi degli
integrali. I metodi che esporremo adesso servono a trasformare gli integrali
(e non a calcolarli), naturalmente con la speranza che dopo la trasformazione
lintegrale risulti semplicato e calcolabile.
360
Integrazione per parti
Il metodo di integrazione per parti nasce come conseguenza della formula per
la derivata di un prodotto: poiche
D(f(x)g(x)) = f

(x)g(x) + f(x)g

(x),
avremo
f

(x)g(x) = D(f(x)g(x)) f(x)g

(x),
cosicche, integrando i due membri su [a, b], si ottiene per ogni coppia di
funzioni f, g C
1
[a, b] la seguente formula di integrazione per parti:

b
a
f

(x)g(x) dx = [f(x)g(x)]
b
a

b
a
f(x)g

(x) dx.
Con questa formula, lintegrale

b
a
f

(x)g(x) dx si trasforma nellintegrale

b
a
f(x)g

(x) dx: se sappiamo calcolare questo, sapremo calcolare anche lal-


tro.
Esempi 5.5.1 (1) Consideriamo lintegrale

b
a
x sin x dx. Si ha, con f

(x) =
sin x e g(x) = x,

b
a
x sin x dx = [x(cos x)]
b
a

b
a
1 (cos x) dx = [x cos x + sin x]
b
a
,
e in particolare una primitiva di x sin x `e x cos x + sin x. In modo analogo
si calcola lintegrale

b
a
x cos x dx.
(2) Per il calcolo di

b
a
x
2
e
x
dx si ha, con f

(x) = e
x
, g(x) = x
2
,

b
a
x
2
e
x
dx =

x
2
e
x

b
a

b
a
2xe
x
dx =
(con unaltra integrazione per parti)
=

x
2
e
x
2xe
x

b
a
+ 2

b
a
e
x
dx =

x
2
e
x
2xe
x
+ 2e
x

b
a
,
e in particolare una primitiva di x
2
e
x
`e (x
2
2x + 2)e
x
.
361
(3) Calcoliamo

b
a
e
x
cos x dx. Si ha, con f

(x) = e
x
e g(x) = cos x,

b
a
e
x
cos x dx = [e
x
cos x]
b
a
+

b
a
e
x
sin x dx =
(integrando nuovamente per parti)
= [e
x
cos x + e
x
sin x]
b
a

b
a
e
x
cos x dx;
quindi
2

b
a
e
x
cos x dx = [e
x
cos x + e
x
sin x]
b
a
,
e inne

b
a
e
x
cos x dx =
1
2
[e
x
cos x + e
x
sin x]
b
a
.
In particolare, una primitiva di e
x
cos x `e
1
2
e
x
(cos x+sin x). Si noti che strada
facendo abbiamo indirettamente calcolato anche

b
a
e
x
sin x dx =
1
2
[e
x
cos x + e
x
sin x]
b
a
.
Osserviamo inoltre che avremmo potuto anche integrare per parti prendendo
g(x) = e
x
e f

(x) = cos x.
(4) Per lintegrale

b
a

1 x
2
dx notiamo prima di tutto che deve essere
[a, b] [1, 1] anche lintegrando sia ben denito. Si ha, con f

(x) = 1 e
g(x) =

1 x
2
,

b
a

1 x
2
dx =

1 x
2

b
a
+

b
a
x
2

1 x
2
dx =
=

1 x
2

b
a
+

b
a
x
2
1 + 1

1 x
2
dx =
=

1 x
2

b
a

b
a

1 x
2
dx +

b
a
1

1 x
2
dx;
quindi
2

b
a

1 x
2
dx =

1 x
2

b
a
+

b
a
1

1 x
2
dx =

1 x
2
+ arcsin x

b
a
362
e inne

b
a

1 x
2
dx =
1
2

1 x
2
+ arcsin x

b
a
.
In particolare, una primitiva di

1 x
2
`e
1
2

1 x
2
+ arcsin x

.
In modo analogo si pu`o calcolare lintegrale

b
a

1 + x
2
dx.
Osservazione 5.5.2 Se [a, b] = [1, 1], dallultimo degli esempi precedenti
segue

1
1

1 x
2
dx =
1
2
(arcsin 1 arcsin(1)) =

2
;
questa `e larea del semicerchio unitario, in accordo con la denizione del
numero (denizione 1.12.6). Si osservi che abbiamo ritrovato il risultato
dellesercizio 5.1.4.
Integrazione per sostituzione
Il metodo di integrazione per sostituzione `e glio della formula che fornisce
la derivata delle funzioni composte: poiche
D(g (x)) = g

((x))

(x),
scegliendo g(y) =

y
a
f(t) dt (con f funzione continua in [a, b]) si ha, per il
teorema fondamentale del calcolo integrale,
D

(x)
a
f(t) dt = f((x))

(x),
e quindi

v
u
f((x))

(x) dx =

(x)
a
f(t) dt

v
u
=

(v)
a
f(t) dt

(u)
a
f(t) dt.
Pertanto si ottiene per ogni coppia di funzioni f C[a, b], C
1
[c, d], con
a valori in [a, b], la seguente formula di integrazione per sostituzione:

v
u
f((x))

(x) dx =

(v)
(u)
f(t) dt u, v [c, d].
363
Il signicato `e il seguente: la variabile x [c, d] dellintegrale di sinistra
viene sostituita dalla variabile t [a, b] nellintegrale di destra, mediante
il cambiamento di variabile t = (x); le lunghezze innitesime dx e dt
sono legate dalla relazione dt =

(x)dx, la quale `e coerente col fatto che da


t = (x) segue
dt
dx
=

(x).
La formula di integrazione per sostituzione si pu`o leggere al contrario: se
: [c, d] [a, b] `e invertibile, si ha


1
(q)

1
(p)
f((x))

(x) dx =

q
p
f(t) dt p, q [a, b].
Si noti che, in realt`a, anche sia valida questa formula non `e aatto neces-
sario che sia invertibile: se u, v, w, z sono punti di [c, d] tali che (u) =
(w) = p, (v) = (z) = q (dunque non `e iniettiva), si ha

v
u
f((x))

(x) dx =

(x)
a
f(t) dt

v
u
=

(v)
(u)
f(t) dt =

q
p
f(t) dt =
=

(z)
(w)
f(t) dt =

(x)
a
f(t) dt

z
w
=

z
w
f((x))

(x) dx.
Esempi 5.5.3 (1) Nellintegrale

b
a
x
3

1 + x
2
dx poniamo x
2
= t, da cui
dt = 2xdx: si ha allora

b
a
x
3

1 + x
2
dx =

b
2
a
2
1
2
t

1 + t dt =
1
2

b
2
a
2
(t + 1 1)

1 + t dt =
=
1
2

b
2
a
2

(1 + t)
3/2
(1 +t)
1/2

dt =
1
2

2
5
(1 + t)
5/2

2
3
(1 +t)
3/2

b
2
a
2
=
=
1
2

2
5
(1 +x
2
)
5/2

2
3
(1 +x
2
)
3/2

b
a
.
(2) Nellintegrale

b
a
e

x
dx bisogna supporre [a, b] ]0, +[, in modo che
lintegrando sia ben denito e limitato. Posto

x = t, da cui dt =
1
2

x
dx, si
ha

b
a
e

x
dx =

a
2e
t
dt =

2e
t

a
=

2e

b
a
.
(3) Sappiamo gi`a calcolare lintegrale

1
0

1 x
2
dx (esempio 5.5.1 (4)), ma
ora useremo un altro metodo. Qui leggiamo la formula di integrazione per
364
sostituzione al contrario: poniamo x = sin t, da cui dx = cos t dt; quando x
descrive [0, 1], si ha t [0, /2], oppure t [/2, ], o anche t [, 5/2] (e
innite altre scelte sono possibili): se si `e scelto per la variabile t lintervallo
[0, /2], si ottiene

1
0

1 x
2
dx =

/2
0

1 sin
2
t cos t dt =
(essendo cos t > 0 in [0, /2])
=

/2
0
cos
2
t dt = (integrando per parti)
=
1
2
[t sin t cos t]
/2
0
=

4
.
Se invece scegliamo per la t lintervallo [/2, ], otteniamo la stessa cosa:

1
0

1 x
2
dx =

/2

1 sin
2
t cos t dt =
(essendo cos t < 0 in [/2, ])
=

/2

(cos
2
t) dt =


/2
cos
2
t dt =

4
.
Il lettore pu`o vericare per suo conto, prestando attenzione al segno di cos t,
che anche scegliendo per la t lintervallo [, 5/2] il risultato dellintegrazione
`e lo stesso.
(4) Nellintegrale

b
a

1 + x
2
dx poniamo x = sinh t, da cui dx = cosh t dt, e
ricordiamo che la funzione inversa del seno iperbolico `e settsinh x = log(x +

1 + x
2
), x R. Si ha allora

b
a

1 + x
2
dx =

settsinh b
settsinh a
cosh
2
t dt;
con due integrazioni per parti si ottiene

b
a

1 + x
2
dx =
1
2
[t + sinh t cosh t]
settsinh b
settsinh a
=
1
2

settsinh x + x

1 + x
2

b
a
.
In modo analogo si calcola lintegrale

b
a

x
2
1 dx, sempre che si abbia
[a, b]] 1, 1[= .
Nellesercizio 5.5.7 si fornisce una giusticazione dei nomi seno iperbolico,
coseno iperbolico e settore seno iperbolico.
365
Esercizi 5.5
1. Calcolare i seguenti integrali ([x] denota la parte intera di x):

11
4
[x] dx,

1
1
max

x,

x
1
2

dx,

5
10
x[x[ dx,

8
5
[[x] + x[ dx,

minsin x, cos x dx,

6
0
(x
2
[x
2
]) dx.
2. Calcolare

10
10
f(x) dx, ove
f(x) =

3 se x [10, 7]
1 se x ] 7, 1]
10 se x ]1, 5[
1000 se x = 5
8 se x ]5, 10].
3. Determinare larea della regione piana delimitata da:
(i) la retta y = x e la parabola y = x
2
;
(ii) le parabole y
2
= 9x e x
2
= 9y;
(iii) lellisse
x
2
9
+ 4y
2
= 1;
(iv) le rette y = x, y = x, y = 2x 5.
4. Calcolare le primitive di x
n
e
x
per ogni n N.
5. Calcolare i seguenti integrali

/2
/2
cos
2
9x dx,

/2
/2
sin
2
10x dx,

/4
0
tan x dx,

0
3
2
x
dx,

100
1
log x
x
dx,


0
sin x cos x dx,

10
0
x + 2
1 + x
2
dx,

2
0
8
x/3
dx.
366
6. Si provi che se m, n N
+
si ha

cos mx sin nx dx = 0,

cos mx cos nx dx =

sin mx sin nx dx =

0 se m = n
se m = n.
7. (i) Siano O = (0, 0), A = (1, 0) e P = (cos t, sin t). Si provi, calcolando
un opportuno integrale, che larea del settore circolare OAP della
gura a sinistra `e uguale a t/2.
(ii) Sia inoltre Q = (cosh t, sinh t). Si provi, analogamente, che larea
del settore iperbolico OAQ della gura a destra `e pari a t/2.
8. Provare che se f `e una funzione continua in [a, b] si ha

x
a

t
a
f(s) ds

dt =

x
a
(x s)f(s) ds.
9. Provare che se f 1(0, a) si ha

a
0
f(t) dt =

a
0
f(a t) dt,
e utilizzando questo risultato si calcoli lintegrale


0
x sin x
1 + cos
2
x
dx.
367
10. Sia

n=0
a
n
x
n
una serie di potenze con raggio di convergenza R > 0.
Provare che la serie `e integrabile termine a termine in ogni intervallo
[a, b] contenuto in ] R, R[, cio`e che risulta

b
a

n=0
a
n
x
n
dx =

n=0

b
a
a
n
x
n
dx =

n=0

1
n + 1
a
n
x
n+1

b
a
.
11. Calcolare i seguenti integrali:

3
2
2x + 1
3x 1
dx,

1
0
dx
x
2
+ x + 1
,

1
0
sinh
2
x dx,

/2
/4
dx
sin x
,

1
0

e
x
1 dx,

1
1/2
x log
2
x dx,

e
1

x log x dx,

1
1
e
e
x
+x
dx,

1
0
x arctan x
2
dx,

1
0
x arctan
2
x dx,

10
0
x
2
(1 +x
2
)
2
dx,

4
3
sin log x dx,

1
0
e
x
2
e
x
+ 1
dx,

2
2
x
7
cosh
3
x
4
dx,

2e
e
log log x
x
dx.
12. Dimostrare che se f `e una funzione continua e non negativa in [a, b],
allora
lim
n

b
a
f(x)
n
dx

1/n
= max
[a,b]
f.
13. Sia f : [a, b] R una funzione di classe C
m+1
. Si esprima il resto di
Taylor in forma integrale, ossia si dimostri che per ogni x, x
0
[a, b] si
ha
f(x) =
m

n=0
1
n!
f
(n)
(x
0
)(x x
0
)
n
+

x
x
0
(x t)
m
m!
f
(m+1)
(t) dt.
[Traccia: per x [a, b] ssato si consideri la funzione
g(t) = f(x)
m

n=0
1
n!
f
(n)
(t)(x t)
n
, t [a, b],
e si applichi la formula g(x) g(x
0
) =

x
x
0
g

(t) dt.]
368
14. Posto I
n
=

/2
0
sin
n
x dx, si provi che
I
n
=
n 1
n
I
n2
n 2;
se ne deduca che
I
2n
=
(2n 1)!!
(2n)!!

2
n N
+
, I
2n+1
=
(2n)!!
(2n + 1)!!
n N,
ove k!! denota il prodotto di tutti i numeri naturali non superiori a k
aventi la stessa parit`a di k.
15. (i) Sia f
n
una successione di funzioni integrabili secondo Riemann
su [a, b]. Provare che se esiste una funzione f : [a, b] R tale che
lim
n
sup
x[a,b]
[f
n
(x) f(x)[ = 0,
allora
lim
n

b
a
f
n
(x) dx =

b
a
f(x) dx.
(ii) Si verichi che
lim
n

1
0
nx
n
dx =

1
0
lim
n
nx
n
dx.
Come mai?
16. (Irrazionalit`a di ) Si consideri lintegrale
I
n
=
2
n!

2
0

2
4
t
2

n
cos t dt, n N.
(i) Si verichi che I
n
> 0 per ogni n N.
(ii) Si provi per induzione che I
n+1
= (4n + 2)I
n

2
I
n1
per ogni
n N
+
.
(iii) Se ne deduca che I
n
= P
n
(
2
), ove P
n
`e un opportuno polinomio,
di grado al pi` u n, a coecienti interi.
(iv) Supposto per assurdo che
2
sia un razionale della forma p/q, si
provi che q
n
P
n
(
2
) Z
+
e che, daltra parte, lim
n
q
n
I
n
= 0.
369
(v) Si concluda che `e irrazionale.
17. (Irrazionalit`a di , bis) Supposto che risulti =
p
q
, con p, q Q
+
, si
consideri per ogni n N il polinomio
P
n
(x) =
x
n
(p qx)
n
n!
.
(i) Si verichi che P
n
(x) > 0 per ogni x ]0, [.
(ii) Si mostri che D
k
P
n
(0) e D
k
P
n
() sono numeri interi per ogni k N.
(iii) Posto a
n
=

0
P
n
(x) sin x dx, si osservi che 0 < a
n
<
C
n
n!
per ogni
n N, ove C `e unopportuna costante;
(iv) integrando 2n volte per parti, si provi che a
n
Z per ogni n N,
ottenendo cos` un assurdo.
5.6 Formula di Stirling
La formula di Stirling `e una stima che descrive in modo molto preciso il
comportamento asintotico della successione n!
nN
, e che `e di grande im-
portanza sia teorica che applicativa. La sua dimostrazione, non banale ma
nemmeno troppo dicile, richiede luso di molti degli strumenti del calcolo
che abbiamo n qui analizzato. Naturalmente, il risultato espresso dalla for-
mula di Stirling implica quello dellesempio 2.7.10(3) e, a maggior ragione,
quello degli esercizi 1.6.16 e 4.3.14.
Teorema 5.6.1 (formula di Stirling) Risulta

2n

n
e

n
e
1
12(n+1)
< n! <

2n

n
e

n
e
1
12n
n N
+
.
Dimostrazione Dividiamo largomentazione in quattro passi.
1
o
passo Proviamo che esiste A > 0 tale che
A

n
e

n
e
1
12(n+1)
< n! < A

n
e

n
e
1
12n
n N
+
,
cosicche, in particolare
lim
n
n!

n
e

n
= A.
370
Consideriamo a questo scopo la successione
a
n
=
n!

e
n

n
, n N
+
,
e osserviamo anzitutto che, come `e immediato vericare,
a
n
a
n+1
=
1
e

1 +
1
n

n+
1
2
n N
+
.
Daltra parte, ricordando lesercizio 4.3.8, si ha
log

1 +
1
n

n+
1
2
=

n +
1
2

log

1 +
1
n

=
=
2n + 1
2
log
n + 1
n
=

k=0
1
2k + 1
1
(2n + 1)
2k
.
Ne segue (esempio 2.2.6 (1))
1+
1
3
1
(2n + 1)
2
< log

1 +
1
n

n+
1
2
< 1+
1
3

k=1
1
(2n + 1)
2k
= 1+
1
3
1
(2n+1)
2
1
1
(2n+1)
2
,
e dunque
e
1+
1
3
1
4n
2
+4n+1
<

1 +
1
n

n+
1
2
< e
1+
1
3
1
4n
2
+4n
;
in particolare, essendo 4(n + 1)(n + 2) > 4n
2
+ 4n + 1, otteniamo
e
1+
1
12(n+1)(n+2)
<

1 +
1
n

n+
1
2
< e
1+
1
12n(n+1)
.
Questa doppia diseguaglianza pu`o essere riscritta nella forma
e
1
12(n+1)
e
1
12(n+2)
<
a
n
a
n+1
<
e
1
12n
e
1
12(n+1)
.
Ci` o mostra che la successione a
n
e

1
12(n+1)
`e strettamente decrescente (oltre
che limitata, essendo positiva) e quindi ha limite A 0, mentre la successione
a
n
e

1
12n
`e strettamente crescente e converge necessariamente allo stesso
371
limite A, visto che e
1
12n
1: in particolare risulta A > 0 e si ha, come si
voleva,
Ae
1
12(n+1)
< a
n
< Ae
1
12n
n N
+
.
Per denizione di a
n
, ci`o prova il 1
o
passo.
2
o
passo Proviamo la relazione

2
= lim
n
(2n)!!
2
(2n + 1)!!(2n 1)!!
.
Consideriamo la successione

/2
0
sin
m
x dx

mN
: si verica agevolmente
(esercizio 5.5.14) che

/2
0
sin
m
x dx =
m1
m

/2
0
sin
m2
x dx m 2,
e da questa uguaglianza segue induttivamente, sempre per lesercizio 5.5.14,

/2
0
sin
2n
x dx =
(2n 1)!!
(2n)!!

2
n N
+
,

/2
0
sin
2n+1
x dx =
(2n)!!
(2n + 1)!!
n N.
Quindi, dividendo la prima equazione per la seconda e rimaneggiando i
termini, si ottiene

2
=
(2n)!!
2
(2n + 1)!!(2n 1)!!

/2
0
sin
2n
x dx

/2
0
sin
2n+1
x dx
n N
+
.
Daltra parte risulta per ogni n N
+
1 <

/2
0
sin
2n
x dx

/2
0
sin
2n+1
x dx
=
2n + 1
2n

/2
0
sin
2n
x dx

/2
0
sin
2n1
x dx

2n + 1
2n
= 1 +
1
2n
,
il che implica

2
= lim
n
(2n)!!
2
(2n + 1)!!(2n 1)!!

/2
0
sin
2n
x dx

/2
0
sin
2n+1
x dx
= lim
n
(2n)!!
2
(2n + 1)!!(2n 1)!!
.
372
Ci`o prova il 2
o
passo.
3
o
passo Dimostriamo che

= lim
n
2
2n
(n!)
2
(2n)!

n
.
Dal 2
o
passo deduciamo

2
= lim
n
2
2
4
2
. . . (2n 2)
2
(2n)
2
3
2
5
2
. . . (2n 1)
2
(2n + 1)
= lim
n
2
2
4
2
. . . (2n 2)
2
2n
3
2
5
2
. . . (2n 1)
2
,
e dunque

= lim
n

2
2 4 . . . (2n 2)

2n
3 5 . . . (2n 1)
=
= lim
n

2
2
2
4
2
. . . (2n 2)
2
(2n)
2
(2n)!

2n
= lim
n
2
2n
(n!)
2
(2n)!

n
.
Il 3
o
passo `e provato.
4
o
passo Concludiamo la dimostrazione: Dal 1
o
passo abbiamo
A = lim
n
n!

e
n

n
;
daltronde risulta, come `e facile vericare,
2
2n
(n!)
2
(2n)!

n
=
a
2
n
a
2n

2
,
e pertanto dai passi 3 e 1 segue

= lim
n
a
2
n
a
2n

2
=
A

2
,
ovvero A =

2.
Il 1
o
passo implica allora la validit`a della formula di Stirling.
Esercizi 5.6
1. Si calcoli
lim
n
n! e
n+
1
12n
n
n+
1
2
.
373
2. Di quante cifre `e formato (in base 10) il numero 1000! ?
[Traccia: detto N il numero di cifre cercato, si osservi che deve essere
10
N1
1000! < 10
N
e si faccia uso della formula di Stirling nonche di
una buona calcolatrice...]
5.7 Integrali impropri
La teoria dellintegrazione secondo Riemann si riferisce a funzioni limitate
su intervalli limitati di R. Se manca una di queste condizioni, si deve pas-
sare ai cosiddetti integrali impropri. Ci limiteremo a considerare tre casi:
(i) lintegrale su un intervallo limita-
to di funzioni non limitate (ad
esempio:

1
0
log x dx);
(ii) lintegrale su intervalli non limitati
di funzioni limitate (ad esempio:

0
e
x
dx);
(iii) le due cose insieme, ossia lin-
tegrale su intervalli non limita-
ti di funzioni non limitate (ad
esempio:

0
e

x
dx).
Denizione 5.7.1 (i) Sia f :]a, b] R tale che f 1(c, b) per ogni c
374
]a, b[. Se esiste il limite (nito o innito)
lim
ca
+

b
c
f(x) dx,
esso viene detto integrale improprio di f su [a, b] e indicato col simbolo

b
a
f(x) dx; in tal caso la funzione f viene detta integrabile in senso
improprio su [a, b]. Se lintegrale improprio di f `e nito, la funzioen f
si dice sommabile in [a, b].
(ii) Sia f : [a, [R tale che f 1(a, c) per ogni c > a. Se esiste il limite
(nito o innito)
lim
c

c
a
f(x) dx,
esso viene detto integrale improprio di f su [a, [ e indicato col simbolo

a
f(x) dx; in tal caso la funzione f viene detta integrabile in senso
improprio su [a, [. Se lintegrale improprio di f `e nito, la funzione
f si dice sommabile su [a, [.
In entrambi i casi (i) e (ii), lintegrale improprio di f, se esiste, si dice
convergente o divergente a seconda che sia nito o innito.
Modiche opportune di questa denizione permettono di trattare i casi in cui
f ha una singolarit`a nel punto b, anziche in a, oppure `e denita su ] , a],
anziche su [a, [.
Tutto questo riguarda i casi (i) e (ii). Per il caso (iii), ci limitiamo a dire
che lintegrale andr`a spezzato in due integrali di tipo (i) e (ii), e che esso
avr`a senso se e solo se: (a) hanno senso entrambi i gli integrali, e (b) ha
senso farne la somma. Ad esempio, lintegrale

0
e

x
dx va inteso come

b
0
e

x
dx+

b
e

x
dx, ove b `e un arbitrario numero positivo; naturalmente
il valore dellintegrale non dipender`a dal modo in cui `e stato spezzato, cio`e
non dipender`a dal punto b.
Esempio 5.7.2 Calcoliamo i tre integrali citati allinizio: si ha per ogni
c > 0

1
c
log x dx = (integrando per parti)
= [x log x]
1
c

1
c
1 dx = [x log x x]
1
c
= 1 c log c + c,
375
da cui

1
0
log x dx = lim
c0
+
(1 c log c + c) = 1.
Analogamente, per ogni c > 0 si ha

c
0
e
x
dx = [e
x
]
c
0
= e
c
+ 1,
cosicche


0
e
x
dx = lim
c+
(e
c
+ 1) = 1.
Inne, scelto b = 1 risulta per ogni c ]0, 1[ e per ogni d > 1:

1
c
e

x
dx =

2e

1
c
= 2e
1
+ 2e
c
,

d
1
e

x
dx =

2e

d
1
= 2e
d
+ 2e
1
;
dunque

1
0
e

x
dx = 2e
1
+ 2,


1
e

x
dx = 2e
1
,
da cui


0
e

x
dx = 2.
Si noti che se nel calcolo del terzo integrale avessimo scelto b = 37, avremmo
ottenuto ugualmente


0
e

x
dx = lim
c0
+

37
c
e

x
dx + lim
d+

d
37
e

x
dx =
= lim
c0
+

2e

37
c
+ lim
d+

2e

d
37
=
= lim
c0
+
(2e

37
+ 2e

c
) + lim
d+
(2e

d
+ 2e

37
) = 2.
Osservazioni 5.7.3 (1) Consideriamo un integrando f, denito in ]a, b] op-
pure in [a, [, e supponiamo che f sia integrabile secondo Riemann in ogni
sottointervallo chiuso e limitato contenuto nellintervallo di denizione. Sia
376
F una primitiva di f, anchessa denita in ]a, b] oppure in [a, [. Lesistenza
dellintegrale improprio di f in [a, b], o in [a, [, equivale allesistenza del
limite di F(c) per c a
+
o per c . Infatti, ad esempio,

b
a
f(x) dx = lim
ca
+

b
c
f(x) dx = lim
ca
+
[F(x)]
b
c
= F(b) lim
ca
+
F(c),
e laltro caso `e analogo. Nellesempio 5.7.2 quindi si poteva pi` u rapidamente
scrivere, sottintendendo la notazione [G(x)]
b
a
= lim
xb
G(x) lim
xa
G(x),

1
0
log x dx = [x log x x]
1
0
= 1,


0
e
x
dx =

e
x

0
= 1,


0
e

x
dx =

2e

0
= 2.
(2) Se f e g sono due funzioni sommabili su un intervallo limitato [a, b]
(oppure su una semiretta), allora anche f + g e f, per ogni R, sono
sommabili e per i relativi integrali impropri vale la relazione

b
a
[f(x)+g(x)] dx =

b
a
f(x) dx+

b
a
g(x) dx,

b
a
(f(x)) dx =

b
a
f(x) dx.
La verica `e immediata sulla base della denizione. Si noti che lanalogo
enunciato per funzioni soltanto integrabili in senso improprio `e falso: se ad
esempio

b
a
f(x) dx = + e

b
a
g(x) dx = , la funzione f + g non `e in
generale integrabile in senso improprio e comunque la prima delle relazioni
precedenti non ha senso. Lo stesso vale per la seconda relazione, nel caso
= 0.
Non sempre gli integrali impropri sono calcolabili esplicitamente: `e dunque
importante stabilire criteri sucienti a garantire lintegrabilit`a e la sommabi-
lit`a di una funzione. Si noti lanalogia con ci`o che succede con le serie, di cui
`e interessante conoscere la convergenza anche quando non se ne sa calcolare
la somma.
Anzitutto, se f ha segno costante, il suo integrale improprio ha sempre senso:
377
Proposizione 5.7.4 Sia f : [a, [ una funzione di segno costante. Se f
1(a, c) per ogni c > a, allora f `e integrabile in senso improprio su [a, [,
(con integrale convergente o divergente).
Dimostrazione Per ipotesi, la funzione integrale F(x) =

x
a
f(t) dt `e de-
nita per ogni x > a. Tale funzione `e monotona, in quanto se x < y si
ha
F(y) F(x) =

y
x
f(t) dt =

0 se f 0 in [a, [
0 se f 0 in [a, [.
Dunque esiste il limite
lim
c
F(c) = lim
c

c
a
f(t) dt,
cio`e f ha integrale improprio su [a, [.
Osservazione 5.7.5 Analogamente, una funzione f :]a, b] R, di segno
costante, tale che f 1(c, b) per ogni c ]a, b[, `e integrabile in senso im-
proprio su [a, b] (con integrale convergente o divergente). La dimostrazione
`e esattamente la stessa.
Lesempio che segue `e fondamentale per il successivo teorema di confronto.
Esempio 5.7.6 La funzione f :]0, [ R denita da f(x) = x

, ove
`e un ssato numero positivo, `e certamente integrabile in senso improprio in
]0, [, essendo sempre positiva. Verichiamo che tale integrale `e divergente,
decomponendolo in

1
0
x

dx +

1
x

dx. Si ha

1
0
x

dx =

[log x]
1
0
= +

x
1
1

1
0
=

1
1
+
se = 1
se 0 < < 1
se > 1.


1
x

dx =

[log x]

1
= +

x
1
1

1
=

+
1
1
se = 1
se 0 < < 1
se > 1.
Sommando i due addendi, lintegrale

0
x

dx diverge in tutti i casi. Si noti


tuttavia che

1
0
x

dx < < 1;


1
x

dx < > 1.
378
Le funzioni x

(e le loro analoghe (x a)

) si prestano assai bene come


termini di confronto per stabilire la sommabilit`a o la non sommabilit`a di
funzioni pi` u complicate. Tale possibilit`a `e garantita dal seguente
Teorema 5.7.7 (di confronto) Siano f, g : [a, [R funzioni integrabili
secondo Riemann in ogni intervallo [a, c] [a, [, e supponiamo che g sia
non negativa e sommabile su [a, [. Se risulta [f(x)[ g(x) per ogni x a,
allora anche f `e sommabile su [a, [ e si ha


a
f(x) dx


a
[f(x)[ dx


a
g(x) dx.
Dimostrazione Supponiamo dapprima f 0: allora, per ogni c > a, grazie
alla monotonia dellintegrale si ha
0

c
a
f(x) dx

c
a
g(x) dx.
Poiche f, essendo non negativa, ha certamente integrale improprio al pari di
g, al limite per c troviamo
0


a
f(x) dx


a
g(x) dx,
e dato che g `e sommabile, tale risulta anche f.
Supponiamo ora f di segno variabile. Per ogni c > a possiamo scrivere

c
a
f(x) dx

c
a
[f(x)[ dx

c
a
g(x) dx.
Basta ora provare che f `e sommabile: una volta fatto ci`o, infatti, la stima
precedente, passando al limite per c , ci dir`a che


a
f(x) dx


a
[f(x)[ dx


a
g(x) dx < .
A questo scopo `e suciente scrivere
f(x) = [f(x)[ ([f(x)[ f(x)),
e osservare che [f[ `e sommabile, come si `e visto, e che, per la parte gi`a
dimostrata, lo stesso vale per [f[ f, essendo 0 [f[ f 2[f[. La
sommabilit`a di f segue dunque dallosservazione 5.7.3 (2).
379
Osservazioni 5.7.8 (1) Un risultato analogo vale ovviamente nel caso di
funzioni denite su ]a, b] e integrabili in ogni [c, b] ]a, b].
(2) Se [f[ `e integrabile in senso improprio (su [a, [ o su [a, b]), allora anche
f lo `e: basta applicare il teorema precedente scegliendo g = [f[. Vale anche
il viceversa: se f `e integrabile in senso improprio, allora f, e quindi [f[,
`e integrabile secondo Riemann in ogni sottointervallo chiuso e limitato, e
dunque [f[, avendo segno costante, `e integrabile in senso improprio. Non
altrettanto si pu`o dire per la sommabilit`a: se [f[ `e sommabile, anche f lo `e,
sempre per il teorema precedente; per`o, come vedremo fra poco, il viceversa
`e falso.
Esempi 5.7.9 (1) Lintegrale

e
x
2
dx, che esiste certamente, per la pa-
rit`a dellintegrando `e uguale a 2

0
e
x
2
dx (esercizio 5.7.1). Inoltre
e
x
2

1 se 0 x 1
e
x
se x 1,
cosicche lintegrale proposto `e convergente:


0
e
x
2
dx

1
0
1 dx +


1
e
x
dx = 2.
(2) Nellintegrale

0
sin

x e
x
dx la funzione integranda non ha segno co-
stante, per`o si ha
[ sin

x e
x
[ e
x
x 0,
e la funzione e
x
`e sommabile in [0, [. Ne segue che lintegrale proposto
esiste nito.
(3) Proviamo che la funzione f(x) =
sin x
x
`e sommabile su [0, [, mentre
lintegrale improprio di [f[ in [0, [ `e divergente. Si noti che in questo caso
losservazione 5.7.8 (2) e il teorema di confronto non sono applicabili, e la
sommabilit`a di f va dimostrata in maniera diretta.
Anzitutto, come sappiamo (esempio 3.3.5 (1)), la funzione f `e prolungabile
con continuit`a in 0, col valore 1. Si ha, scegliendo 1 cos x come primitiva
di sin x, e integrando per parti:

c
0
sin x
x
dx =

1 cos x
x

c
0
+

c
0
1 cos x
x
2
dx =
1 cos c
c
+

c
0
1 cos x
x
2
dx
380
ove si `e usato il fatto che anche
1cos x
x
`e prolungabile con continuit`a in 0, col
valore 0 (esempio 3.3.5 (2)). Dunque per c si ha, essendo non negativo
lintegrando allultimo membro:
lim
c

c
0
sin x
x
dx =


0
1 cos x
x
2
dx.
Questo limite `e nito per il teorema di confronto, essendo
1 cos x
x
2

1/2 se 0 < x 1 (per il criterio di Leibniz)


2/x
2
se x > 1.
Daltra parte per lintegrale improprio di

sin x
x

, che esiste certamente, si ha

sin x
x

dx = lim
k

k
0

sin x
x

dx = lim
k
k

h=0

(h+1)
h
[ sin x[
x
dx =
=

h=0

(h+1)
h
[ sin x[
x
dx =

h=0


0
sin t
t + h
dt

h=0
1
(h + 1)


0
sin t dt =
2

h=0
1
h + 1
= .
Esercizi 5.7
1. Sia f integrabile secondo Riemann oppure sommabile su [a, a]. Si pro-
vi che se f `e una funzione pari, ossia f(x) = f(x), allora

a
a
f(x) dx =
2

a
0
f(x) dx, mentre se f `e una funzione dispari, ossia f(x) = f(x),
allora

a
a
f(x) dx = 0.
2. Discutere lesistenza e la convergenza dei seguenti integrali impropri:

1
0
e
sin(1/x)

x
dx,


0
arctan x
x

[1 x[
dx,

e
x
e
x
2

dx,

1 + x
2

1 + x
4
x
2
+ x
4
dx,

1
0
sin 2x
x(x 1/2)(x 1)
dx,


1
cos e
x
+ sin x
x

x 1
dx.
381
3. Discutere lesistenza ed eventualmente calcolare i seguenti integrali
impropri:


2
dx
x log x log log x
,

3/2
0
(tan x)
2/3
(sin x)
1/3
dx,

1
x

1
tan x

dx,

3/2
0
(tan x)
4/3
(sin x)
1/3
dx,

1
0
arccos x

(1 x
2
) arcsin x
dx,

1
1
3x
2
+ 2
x
5/3
dx,


1
log x

x(1 +

x)
2
dx,

3
0
dx

x
3
(3 x)
,

2
0
dx

x(2 x)
,


1
dx
x
2

x
2
1
,

3
0
x
x
3
+ 1
dx,

10
0

1 +
1
x
dx,


2
dx
x

x
2
4
,


1
dx
e
2x
e
x
,

dx
(1 +x
2
)
2
,

[x[
5
e
x
2
dx.
4. (Criterio integrale di convergenza per le serie) Sia f : [1, [ R una
funzione non negativa e decrescente. Si provi che lintegrale improprio

1
f(x) dx e la serie

n=1
f(n) sono entrambi convergenti o entrambi
divergenti.
5. Dimostrare che

1
0
arctan x
x
dx =

n=0
(1)
n
(2n + 1)
2
.
6. Dimostrare che

1
0
log x log(1 x) dx =

n=1
1
n(n + 1)
2
.
382
[Traccia: utilizzando lo sviluppo di Taylor di log(1 x), si verichi
che per ogni ]0, 1[ si ha

1
0
log x log(1 x) dx =

n=1

(1 )
n+1
n(n + 1)
2

(1 )
n+1
log(1 )
n(n + 1)

e poi si passi al limite per 0.]


7. Dimostrare che

n=N+1
1
n
2
<
1
N
N N
+
.
8. (Integrali di Fresnel) Provare che i due integrali impropri


0
sin(x
2
) dx,


0
cos(x
2
) dx
sono convergenti.
9. Provare che lintegrale improprio


0
x cos(x
4
) dx
`e convergente, benche lintegrando non sia nemmeno limitato in [0, [.
10. (Integrale di Frullani) Sia f una funzione continua in [0, [, tale che
lintegrale improprio


a
f(x)
x
dx
sia convergente per ogni a > 0. Provare che se , sono numeri positivi
si ha
lim
a0
+


a
f(x) f(x)
x
dx = f(0) log

;
dedurne che


0
e
x
e
x
x
dx = log


0
cos x cos x
x
dx = log

.
383
11. Calcolare

/2
0
log sin x dx,

/2
0
log cos x dx.
[Traccia: utilizzare le formule di duplicazione.]
12. (Funzione di Eulero) Si consideri la funzione :]0, [ R denita
dallintegrale improprio
(p) =


0
x
p1
e
x
dx.
(i) Vericare che (p) `e un numero reale e che (p + 1) = p(p) per
ogni p > 0.
(ii) Provare che `e derivabile in ]0, [, con

(p) =


0
x
p1
log x e
x
dx.
(iii) Provare che `e una funzione convessa di classe C

.
[Traccia: per (ii), si stimi la dierenza
(p + h) (p)
h


0
x
p1
log x e
x
dx
utilizzando il teorema di Lagrange; per (iii), si verichi che

(p) > 0.]


384
Capitolo 6
Equazioni dierenziali
6.1 Generalit`a
Una equazione dierenziale `e unidentit`a che lega fra di loro, per ogni valore
della variabile x in un dato insieme, i valori della funzione incognita y(x) e
quelli delle sue derivate y

(x), y

(x), eccetera. Unequazione dierenziale `e


detta ordinaria quando la variabile x appartiene a un intervallo di R, mentre
`e detta alle derivate parziali allorche la variabile x `e un elemento di R
m
(e in tal caso nellequazione compariranno le derivate parziali D
i
u, D
i
D
j
u,
eccetera). Non ci addentreremo comunque in questo vastissimo campo.
Unequazione dierenziale ordinaria `e dunque unequazione funzionale del
tipo
f(x, y(x), y

(x), y

(x), . . . , y
(m)
(x)) = 0, x I,
ove f `e una funzione continua nei suoi m + 2 argomenti, I `e un intervallo
(eventualmente illimitato) di R e y `e la funzione incognita. Lordine del-
lequazione dierenziale `e il massimo ordine di derivazione che vi compare:
nellesempio sopra scritto lordine `e m.
Unequazione dierenziale `e detta in forma normale se si presenta nella forma
y
(m)
(x) = g(x, y(x), y

(x), . . . , y
(m1)
(x)), x I,
cio`e se `e risolta rispetto alla derivata di grado massimo dellincognita y.
In particolare, unequazione del primo ordine in forma normale `e del tipo
y

(x) = g(x, y(x)), x I.


385
Perche si va ad esplorare lenorme universo delle equazioni dierenziali? Per-
che esse saltano fuori in modo naturale non appena si formula un qualunque
tipo, anche molto semplice, di modello matematico per descrivere fenomeni
sici, chimici, biologici, economici, eccetera.
Accanto alle equazioni `e utile considerare anche sistemi dierenziali
f(x, u(x), u

(x)) = 0, x I,
eventualmente in forma normale
u

(x) = g(x, u(x)), x I,


ove stavolta lincognita `e una funzione u : I R
m
. Il motivo di questo
allargamento del tiro `e il fatto che ogni equazione dierenziale di ordine m
pu` o essere trasformata, in modo equivalente, in un sistema di m equazioni
dierenziali del primo ordine, il quale `e, in linea generale, pi` u semplice da
trattare. Infatti, se y C
m
(I) risolve lequazione
f(x, y, y

, . . . , y
(m)
) = 0, x I
(`e consuetudine omettere dallincognita y la variabile indipendente x), intro-
ducendo le m funzioni
u
0
(x) = y(x), u
1
(x) = y

(x), . . . , u
m1
(x) = y
(m1)
(x),
si ottiene una funzione u = (u
0
, u
1
, . . . u
m1
) C
1
(I, R
m
) che risolve il
sistema dierenziale

(u
0
)

= u
1
(u
1
)

= u
2
. . . . . . . . .
(u
m2
)

= u
m1
f(x, u
0
, u
1
, . . . , u
m1
, (u
m1
)

) = 0.
Viceversa, se u = (u
0
, u
1
, . . . , u
m1
) C
1
(I, R
m
) `e soluzione del sistema, `e
facile vericare che, posto y = u
0
, si ha y C
m
(I) e tale funzione risolve
lequazione dierenziale originaria.
Si noti che se lequazione dierenziale era in forma normale,
y
(m)
= g(x, y, y

, . . . , y
(m1)
),
386
allora lultima equazione del sistema diventa
(u
m1
)

= g(x, u
0
, u
1
, . . . , u
m1
),
e quindi anche il sistema `e in forma normale.
Tutte le equazioni dierenziali sono risolubili? Naturalmente no! Un esempio
banale `e il seguente:
1 + y
2
+ (y

)
2
= 0.
Limportanza delle equazioni in forma normale sta nel fatto che, al contrario,
esse sono sempre risolubili ed anzi hanno uninnit`a di soluzioni: questo si
vede gi`a esaminando la pi` u semplice, e cio`e
y

= f(x), x [a, b],


le cui soluzioni sono
y(x) =

x
a
f(t) dt + c, x [a, b],
ove c `e una costante arbitraria.
Nel seguito, considereremo solamente equazioni e sistemi in forma normale.
Problema di Cauchy
Un modo per selezionare una delle innite soluzioni di una equazione dieren-
ziale in forma normale del primo ordine `e quello di prescrivere alla soluzione
di assumere, in un determinato punto x
0
I, un pressato valore y
0
R. Si
formula cos` il problema di Cauchy:

= g(x, y), x I,
y(x
0
) = y
0
.
Poiche assegnare g(x, y(x)) signica prescrivere il coeciente angolare della
retta tangente al graco della soluzione y(x) nel suo punto (x, y(x)), risolvere
il problema di Cauchy signica determinare una funzione il cui graco passi
per un ssato punto (x
0
, y
0
) e del quale sia prescritta punto per punto la
pendenza.
Per i sistemi del primo ordine in forma normale il problema di Cauchy ha la
forma seguente:

= g(x, y), x I,
y(x
0
) = y
0
.
387
Per unequazione dierenziale di ordine m, linsieme delle soluzioni dipender`a
in generale da m costanti arbitrarie: il problema di Cauchy `e in tal caso

y
(m)
= g(x, y, . . . , y
(m1)
), x I,
y(x
0
) = y
0
, y

(x
0
) = y
1
, . . . y
(m1)
(x
0
) = y
m1
,
ove y
0
, y
1
, . . . , y
m1
sono m numeri assegnati.
Il teorema di esistenza e unicit`a
Per equazioni e sistemi del primo ordine in forma normale vi `e un fonda-
mentale risultato che garantisce, perlomeno localmente, la risolubilit`a del
problema di Cauchy: in altre parole, si dimostra che vi `e ununica soluzione
locale, ovvero che la soluzione del problema `e denita almeno in un intorno
del punto iniziale x
0
.
Per formulare questo enunciato occorrono alcune premesse. Consideriamo il
sistema
u

= g(x, u), x I,
sotto le seguenti ipotesi:
(i) g : A R
m
`e una assegnata funzione continua, denita su un aperto
A R
m+1
;
(ii) la funzione g `e localmente lipschitziana in A rispetto alla variabile vet-
toriale u, uniformemente rispetto a x: pi` u precisamente, per ogni
compatto K A esiste una costante H
K
0 tale che
[g(x, y) g(x, u)[
m
H
K
[y u[
m
(x, y), (x, u) K.
Fissiamo un punto (x
0
, u
0
) A e consideriamo il problema di Cauchy

= g(x, u)
u(x
0
) = u
0
.
Dato che A `e aperto, esister`a un cilindro (m+ 1)-dimensionale compatto R,
di centro (x
0
, u
0
), tutto contenuto in A. Esso sar`a della forma
R = (x, u) R
m+1
: [x x
0
[ a, [u u
0
[
m
b.
388
Poiche g `e continua nel compatto R, in virt` u del teorema di Weierstrass
(teorema 3.4.1) esister`a M 0 tale che
[g(x, u)[
m
M (x, u) R;
inoltre, per (ii), esiste H 0 tale che
[g(x, y) g(x, u)[
m
H[y u[
m
(x, y), (x, u) R.
Si ha allora il seguente teorema di esistenza e unicit`a locale:
Teorema 6.1.1 Sotto le ipotesi (i) e (ii), sia (x
0
, u
0
) A, e siano R il
cilindro e M, H le costanti sopra denite. Allora esistono un intervallo
J = [x
0
h, x
0
+ h], con 0 < h a, e ununica funzione u : J R
m
di
classe C
1
, tali che
u

(x) = g(x, u(x)) x J, u(x


0
) = u
0
;
inoltre il graco di u `e tutto contenuto in R, cio`e si ha
[u(x) u
0
[
m
b x J.
Prima di dimostrare il teorema facciamo qualche considerazione. Anzitut-
to, le ipotesi di regolarit`a formulate sulla funzione g sono ottimali: infatti,
389
benche sia possibile provare lesistenza di soluzioni del problema di Cauchy
supponendo solamente g continua in A, `e facile vedere con esempi che in
mancanza dellipotesi di locale lipschitzianit`a viene a cadere lunicit`a della
soluzione.
Esempio 6.1.2 Sia m = 1. Il problema di Cauchy

= u
2/3
u(0) = 0
ha la soluzione u = 0, le innite
altre u

(x) = (x )
3
/27, come
`e facile vericare, ed altre anco-
ra. Il secondo membro g(x, u) =
u
2/3
, che `e denito su R
2
, `e ov-
viamente continuo ma non veri-
ca la propriet`a di locale lipschi-
tzianit`a. Sia infatti K un intorno
di (x
0
, 0) R
2
: se esistesse H 0
tale che
[y
2/3
u
2/3
[ H[y u[ (x, y), (x, u) K,
scelti (x, u) = (x
0
, 0) e (x, y) = (x
0
,
1
n
), con n N
+
, avremmo (x
0
,
1
n
) K
denitivamente, da cui
1
n
2/3

H
n
denitivamente,
cio`e n H
3
denitivamente, il che `e assurdo.
Dimostrazione del teorema 6.1.1 Ci limiteremo, per semplicit`a, a pro-
vare la tesi nel caso di una singola equazione (m = 1).
1
o
passo Trasformiamo il problema di Cauchy in una equazione integrale
equivalente.
Se u C
1
(J) risolve il problema di Cauchy

= g(x, u), x J,
u(x
0
) = u
0
,
390
allora ssato x J possiamo integrare i due membri fra x
0
e x, ottenendo
lequazione integrale
u(x) = u
0
+

x
x
0
g(t, u(t)) dt, x J.
Viceversa se u C
0
(J) risolve questa equazione, allora anzitutto u(x
0
) = u
0
;
inoltre, essendo g e u funzioni continue, il secondo membro `e di classe C
1
e
quindi u C
1
(J). Possiamo allora derivare entrambi i membri dellequazione
integrale, ottenendo
u

(x) = g(x, u(x)) x J.


Quindi u risolve il problema di Cauchy. Ci`o prova lequivalenza richiesta.
2
o
passo Risolviamo lequazione integrale con il metodo delle approssima-
zioni successive.
Sia h = mina, b/M. Deniamo la seguente successione di funzioni u
n
:

u
0
(x) u
0
,
u
n+1
(x) = u
0
+

x
x
0
g(t, u
n
(t)) dt n N,
x J.
Si vericano per induzione i seguenti fatti:
sup
xJ
[u
n
(x) u
0
[ b n N,
[u
n+1
(x) u
n
(x)[ M
H
n
(n + 1)!
[x x
0
[
n+1
x J, n N.
La prima relazione `e ovvia per n = 0; supponendo che essa valga per un certo
n, si ha (essendo (t, u
n
(t)) R per ogni t J)
sup
xJ
[u
n+1
(x) u
0
[ = sup
xJ

x
x
0
g(t, u
n
(t)) dt

sup
xJ
M[x x
0
[ Mh b.
Dunque la relazione vale per n+1 e pertanto, per induzione, `e vera per ogni
n N.
La seconda disuguaglianza vale per n = 0, dato che
[u
1
(x) u
0
[ =

x
x
0
g(t, u
0
) dt

M[x x
0
[ x J;
391
se poi essa vale per un certo n, allora risulta (essendo (t, u
n
(t)), (t, u
n1
(t))
R per ogni t J)
[u
n+1
(x) u
n
(x)[ =

x
x
0
[g(t, u
n
(t)) g(t, u
n1
(t))] dt

x
x
0
H[u
n
(t) u
n1
(t)[ dt

x
x
0
MH
n
[t x
0
[
n
n!
dt

=
= M
H
n
(n + 1)!
[x x
0
[
n+1
x J.
Dunque la disuguaglianza vale anche per n + 1, cosicche, per induzione, `e
vera per ogni n N.
In particolare, la relazione appena provata implica che
sup
xJ
[u
n+1
(x) u
n
(x)[ MH
n
h
n+1
(n + 1)!
n N,
e quindi, per ogni m > n,
sup
xJ
[u
m
(x) u
n
(x)[
m1

k=n
sup
xJ
[u
k+1
(x) u
k
(x)[ M
m1

k=n
H
k
h
k+1
(k + 1)!
.
Dato che la serie M

k=0
H
k
h
k+1
(k+1)!
`e convergente, la stima appena ottenuta
mostra che per ogni x J la successione numerica u
n
(x) `e di Cauchy in R
(denizione 2.6.1). Pertanto esiste
u(x) = lim
n
u
n
(x) x J,
e anzi la convergenza `e uniforme in J, nel senso che (esercizio 6.1.4)
lim
n
sup
xJ
[u
n
(x) u(x)[ = 0;
per di pi` u, nellesercizio 6.1.5 si dimostra che la funzione limite u `e continua
in J.
Adesso vogliamo passare al limite per n nella relazione che denisce la
successione u
n
. Il primo membro tende ovviamente a u(x); per il secondo
membro si ha, in virt` u delle ipotesi fatte su g,

x
x
0
g(t, u
n
(t)) dt

x
x
0
g(t, u(t)) dt

392

x
x
0
[g(t, u
n
(t)) g(t, u(t))[ dt

x
x
0
H[u
n
(t) u(t)[ dt

Hhsup
tJ
[u
n
(t) u(t)[,
e lultimo membro tende a 0 per n . In denitiva con il passaggio al
limite per n otteniamo che la funzione u risolve lequazione integrale
u(x) = u
0
+

x
x
0
g(t, u(t)) dt, x J.
Notiamo anche che dalla prima delle due disuguaglianze provate per induzio-
ne segue, al limite per n ,
sup
xJ
[u(x) u
0
[ b.
ci`o conclude la dimostrazione del 2
o
passo e del teorema 6.1.1.
Osservazioni 6.1.3 (1) La dimostrazione del teorema 6.1.1 nel caso dei
sistemi (m > 1) funziona in modo assolutamente analogo, facendo uso della
norma euclidea [ [
m
al posto del valore assoluto. Lunica novit`a sta nel
fatto che occorre scrivere lequazione integrale in forma vettoriale, e a questo
scopo `e necessario introdurre lintegrale di funzioni v a valori in R
m
. Esso si
denisce come segue:

x
x
0
v(t) dt =

x
x
0
v
1
(t) dt, . . . ,

x
x
0
v
m
(t) dt

R
m
.
Per questi integrali vettoriali vale la disuguaglianza

x
x
0
v(t) dt

x
x
0
[v(t)[
m
dt x
0
, x con x
0
< x.
Essa si dimostra cos`: per ogni y R
m
si ha, per denizione di prodotto
scalare (paragrafo 3.1):

x
x
0
v(t) dt y =
m

i=1

x
x
0
v
i
(t) dt y
i
=

x
x
0
m

i=1
v
i
(t)y
i
dt =

x
x
0
v(t) y dt;
quindi per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz (proposizione 3.1.1)

x
x
0
v(t) dt y

x
x
0
[v(t)[
m
[y[
m
dt y R
m
.
393
Scegliendo y =

x
x
0
v(t) dt, si conclude che

x
x
0
v(t) dt

2
m

x
x
0
[v(t)[
m
dt

x
x
0
v(t) dt

m
,
e quindi si ottiene la disuguaglianza cercata. Con questo strumento si pu`o
ripetere tutta la dimostrazione fatta nel caso m = 1 estendendola al caso dei
sistemi.
(2) Ai ni della risoluzione delle equazioni dierenziali, come vedremo, `e
utile estendere lintegrazione al caso di funzioni complesse, anziche reali. Sia
f : [a, b] C una funzione limitata. Allora le due funzioni reali Re f(x) e
Im f(x) sono limitate. Se queste funzioni sono integrabili su [a, b], diremo
che f `e integrabile su [a, b] e porremo per denizione

b
a
f(x) dx =

b
a
Re f(x) dx + i

b
a
Imf(x) dx.
Per lintegrale di funzioni complesse valgono tutte le usuali regole algebri-
che e di calcolo, ma non le propriet`a legate allordinamento. Vale per`o la
fondamentale relazione (fra numeri reali)

b
a
f(x) dx

b
a
[f(x)[ dx;
ricordando che C `e isomorfo ed isometrico a R
2
, questa relazione si dimostra
come nel caso di funzioni a valori vettoriali.
A titolo di esempio, calcoliamo lintegrale di e
ix
su [0, a]:

a
0
e
ix
dx =

a
0
cos x dx + i

a
0
sin x dx = sin a i(cos a 1) =
= i(e
ia
1) =
1
i
(e
ia
1) =

e
ix
i

a
0
.
Dipendenza continua dal dato iniziale
A complemento del teorema di esistenza e unicit`a conviene fare qualche ulte-
riore considerazione. Nelle applicazioni e in particolare nellapprossimazione
numerica delle soluzioni di equazioni e sistemi dierenziali `e di capitale im-
portanza che a piccole variazioni del dato iniziale u
0
(ad esempio causate
394
da errori di misura) corrispondano piccole variazioni della soluzione corri-
spondente, perche senza questa propriet`a verrebbe a mancare il presupposto
stesso del procedimento di approssimazione. Si vuole, in altre parole, che
la soluzione del problema di Cauchy dipenda con continuit`a dal valore ini-
ziale u
0
. In eetti, se (x
0
, u
0
) e (x
0
, y
0
) sono punti di A (di uguale ascissa)
sucientemente vicini, allora le soluzioni dei due problemi di Cauchy

= g(x, u), x J,
u(x
0
) = u
0

= g(x, y), x J

,
y(x
0
) = y
0
vericano la diseguaglianza
[u(x) y(x)[
m
C[u
0
y
0
[
m
x J

,
ove J

`e un opportuno intervallo di centro x


0
contenuto in J J

e C `e
unopportuna costante. Infatti, utilizzando le equazioni integrali equivalenti,
posto J

= [x
0
h, x
0
+ h] si ha
[u(x) y(x)[
m
=

u
0
y
0
+

x
x
0
[g(t, u(t)) g(t, y(t))] dt

[u
0
y
0
[
m
+ H

x
x
0
[u(t) y(t)[
m
dt

[u
0
y
0
[
m
+ Hh sup
tJ

[u(t) y(t)[
m
,
da cui
(1 hH) sup
tJ

[u(t) y(t)[
m
[u
0
y
0
[
m
e quindi la tesi quando h `e sucientemente piccolo in modo che hH < 1.
Prolungamento delle soluzioni
Il teorema 6.1.1 ha carattere locale, e non d`a informazioni su quanto grande
sia linsieme J di denizione della soluzione. Daltra parte, se il graco della
soluzione passa per un punto (x
1
, u
1
) A, tale punto pu`o essere preso come
nuovo punto iniziale e ancora il teorema 6.1.1 garantisce che la soluzione pu`o
essere prolungata ulteriormente in un intorno di x
1
. Si pu`o cos` pensare di
prolungare la soluzione procedendo per passi successivi. Si ha in eetti:
395
Teorema 6.1.4 Nelle ipotesi del teorema 6.1.1, sia R un arbitrario cilindro
chiuso e limitato incluso in A e contenente (x
0
, u
0
) come punto interno.
Allora la soluzione locale u del problema di Cauchy

= g(x, u),
u(x
0
) = u
0
pu`o essere univocamente estesa a un intervallo chiuso [x
1
, x
2
], con x
1
< x
0
<
x
2
, in modo che i punti (x
1
, u(x
1
)) e (x
2
, u(x
2
)) appartengano alla frontiera
di R.
Dimostrazione Sia Q un cilindro chiuso e limitato di R
m+1
tale che R
Q A, e siano M, H 0 tali che
[g(x, u)[
m
M (x, u) Q,
[g(x, y) g(x, u)[
m
H[y u[
m
(x, y), (x, u) Q.
Prendiamo poi a, b > 0 sucientemente piccoli in modo che
(x, u) R
m+1
: [x x
0
[ a, [u u
0
[
m
b Q (x
0
, u
0
) R,
e scegliamo inne un numero h > 0 tale che
h < min

a,
b
M

.
Allora si pu`o ripetere la dimostrazione del teorema 6.1.1 ottenendo, per ogni
punto iniziale (x
0
, u
0
) R una soluzione locale denita almeno nellintervallo
[x
0
h, x
0
+h]. Adesso osserviamo che il numero h non dipende dalla scelta
del punto (x
0
, u
0
) R: `e chiaro allora che procedendo per passi successivi
linsieme di denizione della soluzione del problema di Cauchy si allunga, ad
ogni passo, di h e che quindi dopo un numero nito di tappe intermedie il
graco della soluzione raggiunger`a la frontiera di R.
Lunicit`a del prolungamento `e poi ovvia.
Notiamo che nel teorema 6.1.4 `e essenziale che R sia un rettangolo chiuso e
limitato e non, ad esempio, una striscia innita o un semispazio. Per esempio,
se m = 1 il problema di Cauchy

= 1 + u
2
u(0) = 0,
396
che ha secondo membro regolare in tutto R
2
, ha come unica soluzione la
funzione u(x) = tan x, la quale non `e prolungabile al di fuori dellintervallo

2
,

2

. Quindi non avremmo potuto, nel teorema 6.1.4, prendere come R


la striscia

2
,

2

R.
Fino a che punto la soluzione locale del problema di Cauchy `e prolungabile?
In termini un po grossolani si pu`o dire che il prolungamento `e possibile no
a che il graco della soluzione giace nellaperto A ove `e denito il secondo
membro g. Per formalizzare questa idea, ssato (x
0
, u
0
) A, introduciamo
la famiglia .(x
0
, u
0
) costituita da tutti gli intervalli J contenenti x
0
come
punto interno, tali che il problema di Cauchy di punto iniziale (x
0
, u
0
) abbia
soluzione u
J
() denita su tutto J: il teorema 6.1.1 ci dice che questa famiglia
non `e vuota. Sia ora J
0
lintervallo unione di tutti gli intervalli J .(x
0
, u
0
),
e deniamo per x J
0
:
u(x) = u
J
(x) se x J e J .(x
0
, u
0
).
Questa denizione ha senso perche due soluzioni u
J
, u
I
coincidono su J I
per unicit`a. Resta cos` denita in tutto J
0
ununica soluzione del problema
di Cauchy che, per costruzione, non `e ulteriormente estendibile: essa viene
chiamata soluzione massimale.
Soluzione globale
Supponiamo che la funzione g(x, u) sia denita su una striscia [c, d] R
m
,
sia ivi continua e lipschitziana nella variabile u uniformemente rispetto a x,
ossia
[g(x, y) g(x, u)[
m
H[y u[
m
(x, y), (x, u) [c, d] R
m
.
Allora si ha:
Teorema 6.1.5 Nelle ipotesi sopra dette, per ogni (x
0
, u
0
) [c, d] R
m
la
soluzione del problema di Cauchy

= g(x, u)
u(x
0
) = u
0
`e globale, cio`e `e denita nellintero intervallo [c, d].
397
Dimostrazione Si ripete la dimostrazione del teorema 6.1.1, provando che
per ogni (x
0
, u
0
) [c, d] R
m
e per h sucientemente piccolo le approssima-
zioni successive u
n
(x) vericano
sup
xJ
[u
m
(x) u
n
(x)[
m
M
m1

kn
H
k
h
k
(k + 1)!
m > n,
ove M = max
x[c,d]
[g(x, u
0
)[
m
. Se ne deduce che le u
n
convergono ad una
funzione continua u denita su J, che risolve il problema di Cauchy. Essendo
h indipendente dalla scelta di (x
0
, u
0
), la soluzione si pu`o prolungare a tutto
[c, d] con un numero nito di iterazioni.
Questo risultato `e importante perche copre il caso dei sistemi lineari, in cui
g(x, u) = A(x)u +b(x),
con A(x) matrice mm a coecienti continui in [c, d] e b funzione continua
su [c, d]. Dunque le soluzioni di equazioni e sistemi dierenziali lineari di
qualsiasi ordine (a coecienti continui) esistono in tutto lintervallo su cui
sono deniti i coecienti.
Esercizi 6.1
1. Trasformare lequazione dierenziale
y

+ sin x y

cos x y

+ y = x
in un sistema di tre equazioni del primo ordine.
2. Trasformare il sistema

= 2u v + x
v

= 3u + v x
in una equazione dierenziale del secondo ordine.
3. Determinare tutte le soluzioni (di classe C
1
in qualche intervallo) del-
lequazione dierenziale (y

)
2
= 1.
398
4. Sia f
n
una successione di funzioni denite su un intervallo [a, b].
Supponiamo che
sup
x[a,b]
[f
n+1
(x) f
n
(x)[ a
n
n N,
e che la serie

n=0
a
n
sia convergente. Si provi che esiste una funzione
f : [a, b] R tale che f
n
f uniformemente in [a, b], ossia tale che
lim
n
sup
x[a,b]
[f
n
(x) f(x)[ = 0.
5. Sia f
n
una successione di funzioni continue denite su un intervallo
[a, b]. Supponiamo che esista una funzione f : [a, b] R tale che
f
n
f uniformemente in [a, b] (vedere lesercizio precedente). Si provi
che f `e continua in [a, b].
6.2 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine
Come risolvere le equazioni dierenziali? Come scriverne esplicitamente le
soluzioni? Una risposta esaustiva `e impossibile, ma per certe classi di equa-
zioni si pu`o fornire qualche metodo pratico. Esamineremo in dettaglio due
tipi di equazioni che sono i pi` u importanti nella pratica, rimandando lo studio
degli altri tipi agli esercizi 6.2.5, 6.2.6 e 6.2.7.
Equazioni a variabili separabili
Le equazioni a variabili separabili sono equazioni (non lineari, in generale)
della forma
y

= f(x)g(y), x I,
dove f `e una funzione continua sullintervallo I e g `e una funzione continua su
un altro intervallo J. Necessariamente, una soluzione y di questa equazione
dovr`a essere denita in I (o in un sottointervallo di I) a valori in J. La
tecnica risolutiva `e la seguente:
1
o
passo Si cercano gli eventuali punti y
0
J nei quali si ha g(y
0
) = 0: per
ciascuno di questi punti la funzione costante
y(x) = y
0
, x I,
399
`e soluzione dellequazione.
2
o
passo Si cercano le soluzioni non costanti y, denite in qualche sottoin-
tervallo I

I e a valori in qualche sottointervallo J

J nel quale si abbia


g = 0; se y(x) `e una di queste soluzioni, sar`a g(y(x)) = 0 per ogni x I

;
quindi dividendo lequazione per g(y(x)) si ottiene
1
g(y(x))
y

(x) = f(x), x I

.
3
o
passo Si calcolano le primitive dei due membri di tale identit`a: indicando
con F una primitiva di f in I

e con una primitiva di


1
g
in J

, si ricava
(y(x)) = F(x) + c, x I

,
dove c `e una costante arbitrariamente scelta.
4
o
passo Si osserva che

=
1
g
= 0 in J

per ipotesi, per cui `e strettamente


monotona in J

(proposizione 4.9.1). Se ne deduce, per il teorema 3.4.6, che


esiste la funzione inversa
1
, e la relazione precedente diventa
y(x) =
1
(F(x) + c), x I

.
Si noti che y(x) J

per ogni x I

, come richiesto, e che y verica


eettivamente lequazione dierenziale perche per ogni x I

si ha
y

(x) = (
1
)

(F(x) + c)F

(x) =
1

(
1
(F(x) + c))
f(x) =
= g(
1
(F(x) + c))f(x) = g(y(x))f(x).
Osserviamo che il 3
o
passo si pu`o meglio memorizzare se si utilizza la nota-
zione y

=
dy
dx
e si passa formalmente da
1
g(y)
dy
dx
= f(x) a
dy
g(y)
= f(x)dx, per
poi integrare i due membri il primo rispetto a y e il secondo rispetto a x.
Questo `e per`o un articio formale: a rigor di termini, si integrano entrambi
i membri rispetto a x, con la dierenza che a sinistra si fa il cambiamento di
variabile y = y(x).
Si badi bene che questo procedimento non esaurisce in generale linsieme del-
le soluzioni: vi possono essere altri tipi di soluzioni, come illustra il secondo
degli esempi che seguono.
Esempi 6.2.1 (1) Consideriamo lequazione y

= x(1 +y
2
). Qui le funzioni
f(x) = x e g(y) = 1 + y
2
sono denite su tutto R e la g non `e mai nulla.
400
Dividendo per 1 + y
2
si trova
y

1 + y
2
= x,
dy
1 + y
2
= x dx,
e integrando
arctan y(x) =
x
2
2
+ c.
Dunque
y(x) = tan

x
2
2
+ c

, c R.
Si osservi che ciascuna soluzione `e denita non su tutto R ma solo nel sot-
toinsieme descritto dalla disuguaglianza [
x
2
2
+ c[ <

2
, perche solo per tali x
la quantit`a
x
2
2
+ c appartiene allimmagine della funzione arcotangente. Ad
esempio, se c = 0 si ha x ]

[, mentre se c = si hanno i due in-


tervalli ]

3,

[ e ]

3[ (si tratta dunque di due distinte soluzioni,


denite su intervalli disgiunti).
(2) Nellequazione y

=

y si ha f(x) 1 in I = R e g(y) =

y in
J = [0, [. Lunica soluzione costante `e y(x) = 0, x R; le soluzioni a valori
in J

=]0, [ si ottengono dividendo per



y con i passaggi che seguono:
y

y
= 1,
dy

y
= dx,
2

y(x) = x + c
(il che implica x + c > 0); si trova dunque
y(x) =

x + c
2

2
, x ] c, +[.
Ma lequazione ha altre soluzioni: ad esempio, per ogni ssato R, la
funzione
y

(x) =

0 se x <

x +
2

2
se x
401
`e di classe C
1
in R e verica lequazione dierenziale su tutto R. Essa non fa
parte di quelle gi`a trovate, perche non `e identicamente nulla e non `e a valori
in ]0, [.
(3) Per lequazione y

= x/y, la funzione f(x) = x `e denita su R mentre


la g(y) = 1/y `e denita su R` 0: quindi cerchiamo soluzioni y(x) = 0. Col
solito metodo si trova
yy

= x,
y dy = x dx,
y
2
2
=
x
2
2
+ c,
y(x)
2
= x
2
+ 2c = x
2
+ c

;
ci`o implica c

= y
2
+ x
2
> 0. In conclusione,
y(x) =

x
2
, x ]

[.
Le soluzioni hanno per graci delle semicirconferenze di raggi

, con c

arbitrario numero positivo. Si osservi che, dopo aver scritto lequazione nella
forma simmetrica y dy = x dx, abbiamo ricavato x
2
+y
2
= c

, che `e lequa-
zione dellintera circonferenza di centro (0, 0) e raggio

. In eetti lequa-
zione in forma simmetrica `e risolta anche dalle funzioni x(y) =

y
2
,
y ]

[, ottenute esplicitando la variabile x in funzione della y. Le-


quazione x
2
+ y
2
= c

(in termini generali, lequazione (y) + F(x) = c


ottenuta nel 3
o
passo rappresenta una curva del piano la quale, localmen-
te (ossia nellintorno di ogni suo ssato punto), `e graco di una funzione
y(x), oppure x(y), ciascuna delle quali `e soluzione della forma simmetrica
dellequazione dierenziale.
Equazioni lineari del primo ordine
Le equazioni lineari del primo ordine, come sappiamo, hanno la forma se-
guente:
y

= a(x)y + b(x), x I,
ove a e b, detti coecienti dellequazione, sono funzioni continue in I. Sia
y una soluzione dellequazione: se A `e una primitiva della funzione a in I,
moltiplicando i due membri dellequazione per e
A(x)
si ottiene
e
A(x)
b(x) = e
A(x)
(y

(x) a(x)y(x)) =
d
dx

e
A(x)
y(x)

, x I;
402
dunque e
A(x)
y(x) `e una primitiva di e
A(x)
b(x) in I. Quindi, scelto arbitra-
riamente x
0
I, esister`a c R per cui
e
A(x)
y(x) =

x
x
0
e
A(t)
b(t) dt + c, x I,
ossia la funzione y(x) `e data da
y(x) = e
A(x)

x
x
0
e
A(t)
b(t) dt + c

, x I.
Viceversa, se y `e una funzione di questo tipo (con x
0
I e c R ssati),
allora per ogni x I si ha
y

(x) = a(x)e
A(x)

x
x
0
e
A(t)
b(t) dt + c

+ e
A(x)

e
A(x)
b(x)

=
= a(x)y(x) + b(x),
cio`e y risolve lequazione dierenziale.
Si noti che se b(x) 0 (nel qual caso lequazione si dice omogenea) linsieme
delle soluzioni `e ce
A(x)
, c R ed `e quindi uno spazio vettoriale di dimen-
sione 1, generato dallelemento e
A(x)
. Se b(x) 0, linsieme delle soluzioni
`e uno spazio ane, cio`e un traslato dello spazio vettoriale precedente: la
traslazione `e ottenuta sommando la funzione e
A(x)

x
x
0
e
A(t)
b(t) dt, che `e essa
stessa una soluzione dellequazione non omogenea.
Si osservi anche che la scelta di una diversa primitiva, A(x) + , di a, non
altera linsieme delle soluzioni. Analogamente, la scelta di un diverso punto
x
1
I come primo estremo nellintegrale ha leetto di modicare la costante
c, che diventa c +

x
1
x
0
e
A(t)
b(t) dt: ma dato che c varia in R, nuovamente
linsieme delle soluzioni non cambia.
Esempio 6.2.2 Consideriamo lequazione y

= 2xy + x
3
. Una primitiva
della funzione 2x `e x
2
. Moltiplichiamo lequazione per e
x
2
: si ottiene
d
dx

e
x
2
y(x)

= x
3
e
x
2
.
Calcoliamo una primitiva di x
3
e
x
2
: con facili calcoli

x
0
t
3
e
t
2
dt =
x
2
+ 1
2
e
x
2
+
1
2
.
403
Dunque
e
x
2
y(x) =
x
2
+ 1
2
e
x
2
+
1
2
+ c =
x
2
+ 1
2
e
x
2
+ c

,
e le soluzioni dellequazione proposta sono le funzioni
y(x) =
x
2
+ 1
2
+ ce
x
2
, c R.
Se imponiamo ad esempio la condizione di Cauchy y(33) = 700, troviamo
facilmente la corrispondente costante c:
c = 155e
1089
,
e dunque ununica soluzione, in accordo con il teorema 6.1.1.
Si osservi che non sempre i calcoli per risolvere unequazione dierenziale
possono essere esplicitamente svolti, perche talvolta le primitive non sono
esprimibili in forma chiusa: ad esempio la semplicissima equazione y

= e
x
2
ha le soluzioni y(x) = c +

x
0
e
t
2
dt.
Esercizi 6.2
1. Provare che il problema di Cauchy

1 y
2
y(0) = 1
ha innite soluzioni; disegnare il graco di alcune di esse.
2. Risolvere le seguenti equazioni dierenziali:
(i) y

= xy
2
, (ii) y

= y
2/3
, (iii) y

=
x
1 + log y
,
(iv) y

= log x sin y, (v) y

= x

1 +
1
y

, (vi) xyy

= y 1,
(vii) y

=
log x cos y
x sin 2y
, (viii) y

=
x xy
2
y + x
2
y
, (ix) y

= e
y+e
y
.
404
3. Determinare linsieme delle soluzioni delle seguenti equazioni dieren-
ziali:
(i) y

=
xy
1 + x
2
+ x 2, (ii) y

= 2xy + xe
x
,
(iii) y

= tan x y + sin x, (iv) y

=
2
x
y + x,
(v) y

=
y
1 x
2
+ 1 x, (vi) y

=
y
x

e
x
x
.
4. Sia y(x) una soluzione dellequazione dierenziale
y

= a(x)y + b(x), x > 0,


e si supponga che sia a(x) c < 0 e lim
x+
b(x) = 0. Si dimostri
che
lim
x+
y(x) = 0.
5. (Equazioni di Bernoulli) Si consideri lequazione dierenziale
y

= p(x)y + q(x)y

,
ove `e un numero reale diverso da 0 e da 1. Mediante la sostituzione
v(x) = y(x)
1
, si verichi che lequazione dierenziale diventa lineare
nellincognita v(x). Utilizzando questo metodo si risolvano le equazioni
(i) y

= 2y 3y
2
, (ii) y

= 2xy + x
3
y
3
, (iii) y

=
xy
3
+ x
2
y
2
.
6. (Equazioni non lineari omogenee) Utilizzando la sostituzione v(x) =
y(x)
x
, si verichi che unequazione dierenziale della forma y

= g(
y
x
),
con g assegnata funzione continua, diventa a variabili separabili nel-
lincognita v(x). Si utilizzi questo metodo per risolvere le equazioni
(i) y

= 2
x
y
, (ii) y

=
y
x
+

1 +
y
2
x
2
, (iii) x
2
y

= y
2
+ xy + 4x
2
.
7. (Equazioni di Riccati) Data lequazione dierenziale
y

= a(x)y
2
+ b(x)y + c(x), x I,
405
si supponga di conoscerne una soluzione (x). Si verichi che con la so-
stituzione y(x) = (x) +
1
v(x)
, lequazione diventa lineare nellincognita
v(x). Utilizzando questo metodo, si risolva lequazione
y

= y
2
xy + 1.
8. Risolvere i seguenti problemi di Cauchy:
(i)

= 3x
2
y
4
y(1) = 0,
(ii)

4x
3/2
yy

= 1 y
2
y(1) = 2,
(iii)

=
y
2
1
x
2
1
y(0) = 0,
(iv)

=
y
2
+ 1
x
2
+ 1
y(0) =

3,
(v)


xy

y sin

x = 0
y(
2
) = 9,
(vi)

= x(y
3
y)
y(0) = 1,
(vii)

2xyy

= y
2
x
2
+ 1
y(1) = 1,
(viii)

(1 + y)(1 + x
2
)
y(0) = 1.
6.3 Equazioni lineari del secondo ordine
Consideriamo unequazione dierenziale lineare del secondo ordine: essa ha
la forma
y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = f(x), x I,
dove a
0
, a
1
e f sono funzioni continue nellintervallo I R. Accanto a questa
equazione consideriamo anche lequazione omogenea
y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0, x I,
Come nel caso delle equazioni lineari del primo ordine, `e immediato vericare
che linsieme delle soluzioni dellequazione omogenea `e uno spazio vettoriale.
Esso, come vedremo, ha dimensione 2 (pari allordine dellequazione). Lin-
sieme delle soluzioni dellequazione non omogenea sar`a ancora uno spazio
ane, ottenibile dallo spazio vettoriale precedente per mezzo di una trasla-
zione. In eetti, detto V
f
linsieme delle soluzioni dellequazione con secondo
406
membro f, e detto V
0
linsieme delle soluzioni nel caso f = 0, si ha, avendo
ssato un elemento v V
f
,
V
f
= u
0
+ v : u
0
V
0
.
Infatti, se u V
f
allora u v V
0
, poiche
(u v)

+ a
1
(x)(u v)

+ a
0
(x)(u v) = f f = 0, x I;
dunque, posto u
0
= u v, si ha u = u
0
+ v con u
0
V
0
. Viceversa, se
u = u
0
+ v con u
0
V
0
, allora
u

+ a
1
(x)u

+ a
0
(x)u =
= (u
0
+ v)

+ a
1
(x)(u
0
+ v)

+ a
0
(x)(u
0
+ v) = 0 + f = f, x I,
cio`e u V
f
.
Pertanto, per determinare completamente V
f
baster`a caratterizzare comple-
tamente V
0
e trovare un singolo, arbitrario elemento di V
f
.
(a) Caratterizzazione di V
0
. Proviamo anzitutto che lo spazio vettoriale
V
0
ha dimensione 2. Fissato un punto x
0
I, consideriamo i due problemi
di Cauchy

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0
y(x
0
) = 1, y

(x
0
) = 0,

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0
y(x
0
) = 0, y

(x
0
) = 1.
Essi sono univocamente risolubili (per il teorema 6.1.1 e losservazione 6.1.3,
dopo averli trasformati in problemi di Cauchy per sistemi lineari del primo
ordine); inoltre le soluzioni sono denite su tutto lintervallo I in virt` u del
teorema 6.1.5. Denotiamo tali soluzioni con y
1
(x) e y
2
(x).
Dimostriamo che y
1
e y
2
sono linearmente indipendenti, ossia che se
1
e

2
sono costanti tali che
1
y
1
(x) +
2
y
2
(x) 0 in I, allora necessariamente

1
=
2
= 0. La funzione
1
y
1
(x) +
2
y
2
(x) `e lunica soluzione del problema
di Cauchy

+ a
1
(x)y
1
+ a
0
(x)y = 0
y(x
0
) =
1
, y

(x
0
) =
2
;
quindi se tale soluzione `e identicamente nulla, deve essere
1
= 0 e
2
= 0.
Proviamo ora che le funzioni y
1
e y
2
generano V
0
, ossia che ogni elemento
u V
0
`e combinazione lineare di y
1
e y
2
. Fissata una funzione u V
0
,
407
poniamo v(x) = u(x
0
)y
1
(x) + u

(x
0
)y
2
(x): allora v `e soluzione del problema
di Cauchy

+ a
1
(x)y
1
+ a
0
(x)y = 0
y(x
0
) = u(x
0
), y

(x
0
) = u

(x
0
),
problema che `e risolto anche da u: per unicit`a, deve essere u v, e pertanto
u
1
y
1
+
2
y
2
con
1
= u(x
0
) e
2
= u

(x
0
), ossia u `e combinazione lineare
di y
1
e y
2
. Le due funzioni y
1
e y
2
formano in denitiva una base dello spazio
vettoriale V
0
.
Abbiamo cos` individuato la struttura di V
0
: osserviamo per`o che in generale
non si riesce a determinare esplicitamente una base y
1
, y
2
di V
0
.
Se lequazione dierenziale lineare ha coecienti costanti, ossia a
0
(x) a
0
e
a
1
(x) a
1
, `e invece possibile, e anzi facile, trovare esplicitamente le funzioni
y
1
e y
2
, cercandole di forma esponenziale (perche le esponenziali x e
x
sono le uniche funzioni che hanno le proprie derivate multiple di loro stesse).
Sia dunque y(x) = e
x
, con numero da determinare: imponendo che y V
0
,
si ha
0 = y

+ a
1
y

+ a
0
y = e
x
(
2
+ a
1
+ a
0
),
e poiche e
x
= 0 si deduce che deve essere radice del polinomio caratteristico
P() =
2
+a
1
+a
0
, ossia deve essere
2
+a
1
+a
0
= 0. Si hanno allora tre
casi possibili:
1
o
caso: 2 radici reali distinte
1
e
2
.
Ci sono dunque due soluzioni e

1
x
e e

2
x
. Esse sono linearmente indipendenti
perche, supposto ad esempio
1
= 0, si ha
c
1
e

1
x
+ c
2
e

2
x
0 = e

1
x
(c
1
+ c
2
e

1
)x
) 0 =
= c
1
+ c
2
e
(
2

1
)x
0 = (derivando)
= c
1
(
2

1
)e
(
2

1
)x
0 = (essendo
2
=
1
)
= c
1
= 0 = c
1
= c
2
= 0.
Dunque
V
0
= c
1
e

1
x
+ c
2
e

2
x
: c
1
, c
2
R.
2
o
caso: una radice reale doppia (che `e uguale a a
1
/2).
Una soluzione `e e
x
; unaltra soluzione `e xe
x
: infatti
D(xe
x
) = e
x
(1 +x), D
2
(xe
x
) = e
x
(
2
x + 2),
408
da cui
D
2
(xe
x
) + a
1
D(xe
x
) + a
0
xe
x
=
= e
x

2
x + 2 + a
1
(1 +x) + a
0
x

=
= e
x

(
2
+ a
1
+ a
0
)x + (2 + a
1
)

=
(essendo 2 + a
1
= 0)
= e
x
0 = 0.
Le due soluzioni sono linearmente indipendenti perche
c
1
xe
x
+c
2
e
x
0 = e
x
(c
1
x+c
2
) 0 = c
1
x+c
2
0 = c
1
= c
2
= 0.
Dunque
V
0
= c
1
xe
x
+ c
2
e
x
: c
1
, c
2
R.
3
o
caso: due radici complesse coniugate
1
= a + ib e
2
= a ib.
Abbiamo due soluzioni e

1
x
e e

2
x
, che sono linearmente indipendenti (stesso
calcolo fatto nel 1
o
caso) ma sono a valori complessi, mentre a noi interessano
le soluzioni reali. Si osservi per`o che, essendo e
(aib)x
= e
ax
(cos bx i sin bx),
possiamo scrivere
c
1
e

1
x
+ c
2
e

2
x
= e
ax
(c
1
(cos bx + i sin bx) + c
2
(cos bx i sin bx)) =
= (c
1
+ c
2
)e
ax
cos bx + i(c
1
c
2
)e
ax
sin bx =
= c

1
e
ax
cos bx + c

2
e
ax
sin bx,
ove c

1
= c
1
+c
2
e c

2
= i(c
1
c
2
). Scegliendo le costanti c

1
e c

2
reali, si trovano
tutte le soluzioni reali. In denitiva
V
0
= c
1
e
ax
cos bx + c
2
e
ax
sin bx : c
1
, c
2
R.
(b) Determinazione di un elemento di V
f
. Sia y
1
, y
2
una base per
V
0
(comunque determinata). Cercheremo una soluzione dellequazione non
omogenea nella forma seguente:
v(x) = v
1
(x)y
1
(x) + v
2
(x)y
2
(x),
con v
1
e v
2
funzioni da scegliere opportunamente. Questo metodo, non a
caso, si chiama metodo di variazione della costanti arbitrarie: se v
1
e v
2
409
sono costanti, allora v V
0
; se sono funzioni, ossia costanti che variano, si
cerca di fare in modo che v V
f
.
Sostituendo v, v

e v

nellequazione dierenziale, bisogna imporre che


v

+ a
1
(x)v

+ a
0
(x)v = (v

1
y
1
+ 2v

1
y

1
+ v
1
y

1
+ v

2
y
2
+ 2v

2
y

2
+ v
2
y

2
)+
+a
1
(x)(v

1
y
1
+ v
1
y

1
+ v

2
y
2
+ v
2
y

2
) + a
0
(x)(v
1
y
1
+ v
2
y
2
) = f(x).
Da qui, utilizzando il fatto che y
1
, y
2
V
0
, si deduce
(v

1
y
1
+ 2v

1
y

1
+ v

2
y
2
+ 2v

2
y

2
) + a
1
(x)(v

1
y
1
+ v

2
y
2
) = f(x),
ossia

d
dx
(v

1
y
1
+ v

2
y
2
) + (v

1
y

1
+ v

2
y

2
)

+ a
1
(x)(v

1
y
1
+ v

2
y
2
) = f(x).
Questa equazione `e certamente soddisfatta se si impongono le seguenti due
condizioni:

v

1
y
1
+ v

2
y
2
= 0 in I,
v

1
y

1
+ v

2
y

2
= f in I.
Si tratta di un sistema algebrico lineare nelle incognite v

1
e v

2
, con coecienti
y
1
, y
2
, y

1
, y

2
. Il determinante di questo sistema `e
det

y
1
(x) y
2
(x)
y

1
(x) y

2
(x)

= y
1
(x)y

2
(x) y

1
(x)y
2
(x) = D(x).
Proviamo che D(x) = 0 per ogni x I: si ha D(x
0
) = y
1
(x
0
)y

2
(x
0
)
y

1
(x
0
)y
2
(x
0
) = 1, e
D

(x) = y

1
y

2
+ y
1
y

2
y

1
y
2
y

1
y

2
= y
1
y

2
y

1
y
2
=
= y
1
(a
1
(x)y

2
a
0
(x)y
2
) (a
1
(x)y

1
a
0
(x)y
1
)y
2
=
= a
1
(x)(y
1
y

2
y

1
y
2
) = a
1
(x)D(x);
quindi D(x) `e soluzione del problema di Cauchy

= a
1
(x)D
D(x
0
) = 1,
per cui D(x) = e
R
x
x
0
a
1
(t)dt
; in particolare, D(x) = 0 per ogni x I.
Dunque, per ogni x I il sistema sopra scritto ha determinante dei coef-
cienti non nullo e pertanto `e univocamente risolubile: ci`o ci permette di
410
determinare le funzioni v

1
e v

2
. Inne si scelgono due primitive arbitrarie
v
1
e v
2
, e la funzione v corrispondente, per costruzione, apparterr`a a V
f
. In
conclusione, otteniamo
V
f
= v + v
0
: v
0
V
0
= (c
1
+ v
1
)y
1
+ (c
2
+ v
2
)y
2
: c
1
, c
2
R.
Da questa descrizione di V
f
si vede anche che una diversa scelta delle primitive
di v

1
e v

2
non modica linsieme V
f
.
Esempio 6.3.1 Consideriamo lequazione dierenziale
y

+ y =
cos x
sin x
, x ]0, [.
Risolviamo dapprima lequazione dierenziale omogenea: il polinomio carat-
teristico `e
2
+ 1, e le sue radici sono i. Quindi
V
0
= c
1
cos x + c
2
sin x : c
1
, c
2
R.
Per trovare una soluzione dellequazione non omogenea che abbia la forma
v(x) = v
1
(x) cos x + v
2
(x) sin x
dobbiamo imporre le condizioni

1
(x) cos x + v

2
(x) sin x = 0
v

1
(x) sin x + v

2
(x) cos x =
cos x
sin x
.
Risolvendo il sistema si trova
v

1
(x) = cos x, v

2
(x) =
1
sin x
sin x.
Dunque, ad esempio,
v
1
(x) = sin x, v
2
(x) = log

tan
x
2

+ cos x
e inne
v(x) = sin x cos x +

log

tan
x
2

+ cos x

sin x = sin x log

tan
x
2

.
In denitiva, tutte le soluzioni dellequazione proposta sono date da
V
f
=

c
1
cos x +

c
2
+ log

tan
x
2

sin x : c
1
, c
2
R

.
411
Osservazione 6.3.2 Il metodo di variazione della costanti arbitrarie `e molto
importante dal punto di vista della teoria, ma sul piano pratico comporta
spesso calcoli lunghi e complessi. Un metodo pi` u ecace, anche se meno
generale, `e il metodo dei coecienti indeterminati, applicabile solo per
equazioni a coecienti costanti con secondi membri f di tipo speciale. Questo
metodo `e illustrato nellesercizio 6.3.1.
Esercizi 6.3
1. (Metodo dei coecienti indeterminati) Si consideri lequazione dieren-
ziale lineare a coecienti costanti
y

+ a
1
y

+ a
0
y = f(x) P(x)e
x
,
ove P `e un polinomio e C. Si cerchi un elemento v V
f
della
forma v(x) = x
m
Q(x)e
x
, dove Q `e un polinomio dello stesso grado
di P, mentre m vale 0, o 1, o 2 a seconda che non sia radice del
polinomio caratteristico, oppure sia radice semplice, oppure sia radice
doppia. Si osservi che il metodo copre anche i casi in cui f contiene
le funzioni seno e coseno. Si applichi il metodo per determinare le
soluzioni dellequazione
y

+ 2ky

+ y = x
2
e
x
,
con k ssato numero reale.
2. (Principio di sovrapposizione) Si verichi che se v V
f
e w V
g
, allora
v+w V
f+g
. Si utilizzi questo fatto per trovare linsieme delle soluzioni
dellequazione
y

2y

+ y = cos x + sin
x
2
.
[Traccia: si utilizzino le identit`a cos t =
e
it
+e
it
2
, sin t =
e
it
e
it
2i
e il
metodo dei coecienti indeterminati (esercizio 6.3.1).]
3. Risolvere le equazioni dierenziali seguenti:
(i) y

2y

+ 2y = 0, (ii) y

+ 4y = tan 2x,
(iii) y

y = xe
x
, (iv) y

+ 6y

+ 9y = e
x
/x,
(v) y

+ y = x cos x, (vi)y

+ 4y

+ 4y = e
x
+ e
x
,
(vii) y

2y

+ 2y = x cos x, (viii) y

3y

+ 2y = 2x
3
,
(ix) y

+ 4y

= x
2
+ 1, (x) y

+ y

+ y = e
x
.
412
4. (Equazioni di Eulero) Si provi che le equazioni della forma
x
2
y

+ xa
1
y

+ a
0
y = 0
hanno soluzioni del tipo y(x) = x

, con C. Si risolva con questo


metodo lequazione x
2
y

+ xy

y = 3.
413
Indice analitico
O-grande, 289
o-piccolo, 288, 290
o(1), 289
additivit`a
dellarea, 92
dellintegrale, 345
addizione, 10
alfabeto greco, 1
angolo
acuto, 74
concavo, 68
convesso, 68, 196, 280
orientato, 90, 280
ottuso, 74
aperto, 190
applicazione
antilineare, 186
lineare, 186, 243
arco
di circonferenza, 91
orientato, 91
area
con segno, 333
del cerchio, 89, 90
del semicerchio, 362
del triangolo, 102
di un poligono regolare, 86, 342
di un settore
circolare, 366
iperbolico, 366
orientato, 91, 92, 228
argomento, 95
principale, 95
ascissa, 43, 61
asintoto
obliquo, 237, 354
orizzontale, 237
verticale, 237
asse
delle ascisse, 61
delle ordinate, 61
di un segmento, 78
immaginario, 82
reale, 82
assioma
di completezza, 15, 17, 18
di continuit`a, 15
assiomi dei numeri reali, 10
assoluta convergenza, 146
autovalore, 315, 316
autovettore, 315
base
del logaritmo, 56
dellesponenziale, 47
di uno spazio vettoriale, 407
cerchio, 64
di convergenza, 158
chiuso, 191, 193
chiusura, 198
circonferenza, 64
codominio, 55
di una funzione, 7
coeciente
414
angolare, 66, 241
binomiale, 32
generalizzato, 270
coecienti
di una equazione dierenziale, 397,
401
di una serie di potenze, 156
colatitudine, 280
combinazione lineare, 76, 207
complementare, 3, 191
componenti scalari, 208
coniugato di un numero complesso, 83
coniugio, 83
cono, 276
convergenza
assoluta, 146
uniforme, 391
coordinate, 61
cartesiane, 61
polari
in R
2
, 214, 280
in R
3
, 280
coppia di numeri reali, 61, 81, 82
corrispondenza biunivoca, 8, 171
coseno, 96
in coordinate, 102
iperbolico, 168
costante
di Eulero, 144
di Lipschitz, 348
criterio
del confronto, 128, 137
del confronto asintotico, 141
del rapporto, 137, 145, 160
della radice, 139, 145, 159
di integrabilit`a, 338
di Leibniz, 147, 206, 269
di Raabe, 144
integrale, 381
curva di livello, 262
denitivamente, 117
densit`a
dei razionali, 26, 50
derivata, 240
n-sima, 282
destra, 330
direzionale, 260
prima, 282
seconda, 282
sinistra, 330
derivate
parziali, 255
k-sime, 283
seconde, 282
derivato, 199
determinante, 102, 409
diametro di un insieme, 198
dierenza, 11
fra insiemi, 3
direzione, 61
di massima pendenza, 262
unitaria, 261
disco, 64
discriminante, 42, 45, 72
distanza, 188, 197
di un punto da una retta, 75
euclidea, 189
euclidea in R
2
, 63
in R, 43
disuguaglianza
delle medie, 39, 116
di Cauchy-Schwarz, 45, 63, 187,
204, 317
di Bernoulli, 35, 36, 56
di Jensen, 332
triangolare, 63, 189
divisione, 11
dominio di una funzione, 7
elemento
415
di un insieme, 1
neutro, 10, 81
separatore, 15
ellisse, 255
equazione
algebrica, 80
di una retta, 66
dierenziale, 384
a coecienti costanti, 407, 411
a variabili separabili, 398
alle derivate parziali, 384
di Bernoulli, 404
di Eulero, 412
di Riccati, 404
in forma normale, 384
lineare del 1
o
ordine, 401
lineare del 2
o
ordine, 405
lineare non omogenea, 402, 408
lineare omogenea, 402, 405
non lineare omogenea, 404
ordinaria, 384
integrale, 389
equazioni parametriche
di un segmento, 69
di una retta, 70
errore quadratico, 323
esponente, 47
estensione di una funzione, 211
estremo
inferiore, 16
di una funzione, 201
superiore, 15, 16
di una funzione, 200
fattoriale, 22
forma
indeterminata, 122, 219, 288, 301
quadratica, 277, 313
denita negativa, 314, 316
denita positiva, 314, 316
indenita, 314, 316
semidenita negativa, 316
semidenita positiva, 314, 316,
327
semidenita negativa, 314
trigonometrica, 96, 103
di un numero complesso, 104
formula
del binomio, 33, 55, 104, 132, 249,
306
di de Moivre, 104, 163
di Eulero, 165
di Leibniz, 285, 309
di Stirling, 369
di Taylor, 297, 304
formule
di addizione, 97
di bisezione, 107
di de Morgan, 6
di duplicazione, 107
di prostaferesi, 107, 245
di quadratura, 341, 357
di Werner, 107
frazione
generatrice, 129
in base b, 30
frontiera, 198
funzione, 7, 200
di Eulero, 383
a valori vettoriali, 208, 278
ane, 204, 241
arcocoseno, 232
arcoseno, 232
arcotangente, 233
bigettiva, 8, 171
biunivoca, 8
caratteristica, 347
composta, 7, 207
concava, 325
continua, 203, 208
416
in un punto, 203, 343
convessa, 325
coseno, 96
coseno iperbolico, 168
crescente, 223, 309
decrescente, 223, 309
derivabile, 240
in un punto, 240
derivata, 282
di classe C
k
, 283
di classe C

, 283
di Dirichlet, 337
dierenziabile, 257
in un punto, 257
discontinua, 204
dispari, 201, 380
esponenziale, 47, 51, 183, 331
complessa, 165, 183, 188
identit`a, 8
indicatrice, 347
innita, 290
innitesima, 209, 288
iniettiva, 7, 55
integrabile
in senso improprio, 374
secondo Riemann, 337, 339
integrale, 354, 355
inversa, 8, 56, 229
invertibile, 8
limitata, 201, 333
inferiormente, 201
superiormente, 200
lipschitziana, 348, 354
localmente lipschitziana, 387
logaritmo, 56
monotona, 223, 348
omogenea, 276, 313
pari, 201, 380
parte intera, 202, 365
periodica, 96, 183, 359
primitiva, 356
radice (2n + 1)-sima, 234
razionale, 308
segno, 358
seno, 96
seno iperbolico, 168
settore coseno iperbolico, 254
settore seno iperbolico, 254
strettamente
crescente, 55, 223, 309
decrescente, 55, 223, 309
monotona, 55, 223
surgettiva, 8
tangente, 99
uniformemente continua, 349
vettoriale, 208
funzioni iperboliche, 169, 366
gradiente, 258
graco
di una funzione, 239
graco di una funzione, 7
identit`a
di Abel, 135, 150
di Eulero, 277
immagine, 7
di una funzione, 7
incremento, 241, 257
innitesimi
dello stesso ordine, 288
non confrontabili, 289
innitesimo, 288
di ordine
inferiore, 288
superiore, 241, 288
inniti dello stesso ordine, 291
innito, 290
di ordine
inferiore, 290
superiore, 290
417
insieme, 1
aperto, 190
chiuso, 191, 193, 197
chiuso e limitato, 195
compatto, 196, 232, 314, 351
complementare, 3, 191
connesso, 227
convesso, 324
degli interi, 4, 25
dei complessi, 4, 81
dei naturali, 3, 21
dei naturali non nulli, 3
dei razionali, 4, 25
dei reali, 4, 9
denso, 26
di Cantor, 200
di sottolivello, 331
nito, 2
immagine, 200
induttivo, 21
innito, 2, 194
limitato, 13, 193, 194
inferiormente, 13, 197
superiormente, 13, 197
misurabile, 347
ternario di Cantor, 200
universo, 2
vuoto, 3
insiemi
disgiunti, 3
separati, 14, 50
integrale, 337
di Fresnel, 382
di Frullani, 382
di funzioni vettoriali, 392
improprio, 374
convergente, 374
divergente, 374
indenito, 356
inferiore, 336
superiore, 336
integrazione
per parti, 360
per sostituzione, 362
intersezione, 3
intervallo, 12
di convergenza, 158
intorno, 189
invarianza per traslazioni, 63, 189
iperbole, 255
iperpiano, 196
ortogonale, 196
irrazionalit`a
di , 368, 369
di

2, 18
di e, 134
legge di annullamento del prodotto, 11
lemma dellarbitrariet`a di , 47
limite
allinnito, 210
destro, 210, 223
di una funzione, 209, 217
composta, 221
di una successione, 113, 190
sinistro, 210, 223
linea spezzata, 91
logaritmo, 56
naturale, 134
longitudine, 280
lunghezza
di un arco orientato, 92, 228
maggiorante, 13
massimo
di un insieme, 14, 197
di una funzione, 201
massimo limite
di una funzione, 223
di una successione, 155, 166
matrice, 102, 277
418
Hessiana, 283
media
aritmetica, 39
armonica, 42, 126
geometrica, 39, 42
metodo
dei coecienti indeterminati, 411
delle approssimazioni successive,
390
di variazione delle costanti arbitra-
rie, 408
metrica, 188
minimo
di un insieme, 14, 194, 197
di una funzione, 201
minimo limite
di una funzione, 223
di una successione, 155
minorante, 13
misura
di un insieme, 347
in radianti, 94, 228
modulo
di un numero complesso, 84
di un numero reale, 43
di un vettore, 64
moltiplicazione, 10
monomio, 156
monotonia
dellintegrale, 345
della misura, 347
multi-indice, 303
negazione, 5
nodi di una suddivisione, 334
norma, 197
di un vettore, 187
euclidea, 187
numero
0, 10
1, 10
, 89, 342, 362
e, 133, 161
complesso, 4, 81
di Fibonacci, 136, 167
di Nepero, 133, 161
dispari, 29
intero, 4, 25
irrazionale, 4, 31
naturale, 3, 21
negativo, 11
pari, 29
positivo, 11
razionale, 4, 25
reale, 4, 10
omogeneit`a
della distanza euclidea, 189
della norma, 187
omotetia, 64
opposto, 10, 81
ordinamento, 82
dei reali, 11
ordinata, 61
ordine di unequazione dierenziale, 384
orientazione, 43, 61
negativa, 61, 80
positiva, 61, 79
origine, 43, 61
ortogonalit`a, 72
oscillazione, 342, 350
palla, 189, 197
chiusa, 197
parabola, 255
parte
immaginaria, 83
intera, 202
interna, 197
reale, 82
partizione, 334
419
pendenza, 66, 242
perimetro
della circonferenza, 89, 90
di un poligono, 86
piano, 60
cartesiano, 8, 82, 185
complesso, 82, 185
di Gauss, 82
tangente, 259, 264
polinomio, 156, 243
caratteristico, 407
di Taylor, 297, 304
positivit`a
della distanza, 188
della norma, 187
potenza di un numero reale, 24, 33
primitiva, 356
principio
dei cassetti, 28
di identit`a
dei polinomi, 284
delle serie di potenze, 285
di induzione, 22, 30
di sostituzione
degli innitesimi, 289
degli inniti, 291
di sovrapposizione, 411
problema di Cauchy, 386, 406
prodotto
cartesiano, 5, 7, 61, 185
di Cauchy, 180
di numeri complessi, 81
di numeri reali, 10
per scalari, 62, 185
scalare, 74, 186, 392
progressione geometrica, 24
proiezione
di un insieme, 199
di un punto su una retta, 61
prolungamento
di una funzione, 234
dispari, 253
pari, 253
propriet`a
associativa, 10
commutativa, 10
dei numeri reali, 9
della distanza, 188
della norma, 187
di Archimede, 26
di miglior approssimazione, 300
distributiva, 10
punto
aderente, 198
daccumulazione, 193, 194, 203, 209,
217
di esso, 329
di frontiera, 198
di massimo, 201, 310
relativo, 310, 311, 318
di minimo, 201, 310
relativo, 310, 311, 319
di sella, 322
sso, 234
interno, 197
isolato, 198, 203
stazionario, 322
quadrato di un numero reale, 12
quanticatori esistenziali, 4
radiante, 95
radice
(2n + 1)-sima, 234
n-sima, 36, 48
di un numero complesso, 104
di un polinomio, 407
quadrata, 17, 18
raggio di convergenza, 158, 159, 166
raggruppamento dei termini di una se-
rie, 177, 182
420
rapporto incrementale, 240, 330
reciproco, 10, 82
regola del parallelogrammo, 62
resto
di Taylor, 299, 367
di una serie, 127, 165
restrizione di una funzione, 214, 232,
233, 256
retta, 43, 65
per due punti, 67
tangente, 242
rette
parallele, 70
perpendicolari, 71, 72
riordinamento di una serie, 171
rotazione, 64, 79
salto di una funzione, 202
segmenti
paralleli, 70
perpendicolari, 71, 72
segmento, 67, 281
semipiano, 68
semiretta, 67
seno, 96
in coordinate, 102
iperbolico, 168
serie, 124
armonica, 126, 143
generalizzata, 131, 143
binomiale, 269
convergente, 124
assolutamente, 146
del settore seno iperbolico, 274
dellarcoseno, 273
dellarcotangente, 269
di potenze, 155
divergente negativamente, 125
divergente positivamente, 125
esponenziale, 132, 139, 156, 161, 183
geometrica, 125, 156, 182
indeterminata, 125
logaritmica, 268
telescopica, 126
settore
associato a una spezzata, 92
circolare, 91, 366
orientato, 91
iperbolico, 366
sferico, 280
sezione di R, 19
simbolo
+, 12, 18
, 12, 18
di appartenenza, 2
di doppia implicazione, 4
di implicazione, 4
di inclusione, 2
di inclusione propria, 2
di non appartenenza, 2
di non uguaglianza, 2
di prodotto, 23
di somma, 22
di uguaglianza, 2
di uguaglianza approssimata, 35
simmetria, 64, 79
della distanza, 189
sistema
di riferimento, 43, 61
dierenziale, 385
del primo ordine, 385
in forma normale, 386
lineare, 397
lineare, 409
soluzione
globale, 396
locale, 387
massimale, 396
somma
di numeri complessi, 81
421
di numeri reali, 10
di Riemann, 341
di una serie, 124
di potenze, 205
di una serie di potenze, 249, 284,
357
di vettori, 62, 185
inferiore, 334
parziale, 124
di una serie di potenze, 301
superiore, 334
sopragraco, 325
sottoinsieme, 2
sottosuccessione, 154, 182, 194
sottrazione
fra numeri, 11
fra vettori, 62
spazio
C
m
, 185
R
m
, 185
ane, 402
metrico, 189
vettoriale, 62, 185
spezzata, 91
circoscritta, 91
inscritta, 91
subadditivit`a
del modulo, 84
del valore assoluto, 44
della norma, 187
successione, 112
convergente, 113, 190
crescente, 129
decrescente, 129
denita per ricorrenza, 113
denitivamente monotona, 129
di Cauchy, 153, 391
di Fibonacci, 136, 167
divergente negativamente, 114
divergente positivamente, 114
innitesima, 127
limitata, 117, 194
limitata inferiormente, 117
limitata superiomente, 117
monotona, 129, 194
strettamente crescente, 129
strettamente decrescente, 129
strettamente monotona, 129
suddivisione, 334
equispaziata, 334, 340, 349
pi` u ne, 334
tangente, 99
teorema
dei carabinieri, 123, 162, 341
dei seni, 108
dei valori intermedi, 227
del dierenziale totale, 275
della media, 341
di permanenza del segno, 121, 207,
220, 311
di Bolzano-Weierstrass, 194
di Carnot, 108
di Cauchy, 181, 266, 292, 299
di confronto
per integrali, 378
per serie, 131
di confronto per serie, 120, 133
di Darboux, 271
di de lHopital, 292, 295
di derivazione
delle funzioni composte, 245, 278
delle funzioni inverse, 246
delle serie di potenze, 249, 268,
270
di dierenziabilit`a
delle funzioni composte, 279
di Dirichlet, 171, 182
di esistenza degli zeri, 226
di esistenza e unicit`a locale, 388
422
di Fermat, 310
di Heine-Cantor, 351
di Lagrange, 267, 275, 309
di grado k + 1, 299, 320
di Pitagora, 188
di Riemann, 175
di Rolle, 266, 323
multidimensionale, 323
di Schwarz, 283, 286
di Weierstrass, 225, 314
di Weirestrass, 266
fondamentale del calcolo integrale,
355
ponte, 217, 221
termini
di una serie, 124
di una successione, 112
traslazione, 63, 402
triangolo di Tartaglia, 32
unicit`a del limite, 118, 221
unione, 3
unit`a
di misura, 43
immaginaria, 4, 80
valore assoluto, 43
vettore, 62, 82, 185
vettori
linearmente dipendenti, 76
linearmente indipendenti, 76
ortogonali, 72, 186
423

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