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Volume : 3 Numero: 67 Data: Marzo 2012 Sede: Gruppo Alternativa Liguria Di: Asta Paolo, Martini Claudio

Alternativa news
In collaborazione con: Megachip

IN QUESTO NUMERO
1 - No alla precariet, s al futuro
Di: Anna Lami (pag. 1/2 )

No alla precariet, s al futuro di: Anna Lami


Evidentemente la Fiom ha ancora molto da dire, e soprattutto molto da fare, o per lo meno lo credono le decine di migliaia di persone che ieri [9 marzo 2012] hanno sfilato a Roma da Piazza della Repubblica a San Giovanni. Lavoratori del settore metalmeccanico e cittadini che, come ha sottolineato il Segretario Maurizio Landini, hanno rinunciato ad un giorno di stipendio per scioperare ed essere presenti. Peggio ancora chi il lavoro lha perso, come i lavoratori della Jabil, azienda di Cassina De Pecchi di Milano, con una storia cinquantennale alle spalle, che tre anni fa era uno stabilimento modello ed a dicembre ha licenziato tutti i 325 dipendenti. Ma gli operai non si sono arresi e hanno deciso di occupare la fabbrica, per impedire che l'azienda porti via tutto. In questi mesi sono divenuti il simbolo di una conflittualit radicale e non rassegnata. Roberto Malanca, Rsu, dice che lo sciopero di oggi stato fantastico. Io sono un lavoratore licenziato di una fabbrica che stata chiusa non per mancanza di lavoro ma per un mero interesse economico, perch oggi conviene pi chiudere le fabbriche che farle produrre. Con me oggi ci sono parenti ed amici, anche loro licenziati. Noi siamo in presidio da mesi, abbiamo occupato la fabbrica che era stata chiusa, stiamo facendo produzione ed andremo avanti su questa strada perch quella fabbrica non ce la potranno portare via e noi la vogliamo riaprire. Ma non pu essere sempre e solo la Fiom a lottare, speriamo che tutti i lavoratori, aldil dellappartenenza sindacale, capiscano che non c pi tempo da perdere oggi. Marco Barile, del direttivo provinciale della Fiom di Modena, operaio Ferrari, sostiene che oggi abbiamo rivendicato il diritto alla democrazia nei luoghi di lavoro, la libert sindacale, siamo venuti qui contro lart. 8 fatto dal precedente governo che deve essere cancellato, ma anche e soprattutto contro il proposito di Monti di rimuovere lultima delle grandi conquiste operaie che ci rimasta, lart. 18. Per questo oggi stato importante essere in tanti ma adesso che la Fiom ha dimostrato di avere ancora decine di migliaia di lavoratori con s, deve dimostrare anche di essere coerente e rompere in modo netto con la linea ambigua della Camusso e mettere in campo un conflitto reale. Lo pretendiamo dai nostri dirigenti. Non a caso il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, che ha dovuto sostituire Susanna Camusso impegnata a New York, stato duramente fischiato e contestato per tutta la durata del suo intervento. Tantissime le bandiere del movimento No Tav: anche questa la risposta dei lavoratori allassenza del Pd, che non ha gradito linvito a parlare dal palco di un esponente della comunit montana valsusina, peraltro esponente dello stesso Pd. Unassenza che pesa soprattutto per le tv nazionali, un po meno per i lavoratori in piazza oggi che a dire il vero, quando chiediamo loro cosa ne pensano, affermano unanimemente che stato meglio cos, che non volevano esponenti di un partito che sostiene Monti e apprezza Marchionne. Tutti preferiscono la presenza dei valsusini a quella dei piddini. Incassando la solidariet dei metalmeccanici, Ezio Bertok, del movimento No Tav, sottolinea che la resistenza della Val di Susa si unisce nei contenuti alla resistenza della Fiom. La resistenza No Tav un no allo spreco di ingenti risorse pubbliche che vengono sottratte al lavoro, alla scuola, alla sanit. Inoltre si posto un problema di democrazia, tanto in Val di Susa sulla questione Tav, che per la Fiom nei luoghi di lavoro, a cui rispondiamo fianco a fianco. Presente anche il movimento per lacqua pubblica, perch quello che fa la Fiom nei luoghi di lavoro una battaglia per i diritti e per la democrazia e democrazia e partecipazione
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2 - Il mondo nuovo di Blackrock e la terza ondata della crisi Di: Gaetano


Colonna (pag. 2/3)

3 - IMU: la tassa che "costringe" al sistema - Di: Debora Billi (pag. 3) 4 - Vediamoci e cominciamo a fare insieme Di: Redazione Megachip (pag.
4)

5 - Si scrive No Tav e si legge democrazia Di: Giovanna Tin (pag.


4)

6 - L'epoca delle rivolte borghesi - Di:


Slavoj iek (pag. 5/6)

7 - La guerra dei due mondi - Di:


Guido Viale (pag. 7/8)

8 - Due pesi e due mar - Di: Massimo


Fini (pag. 8)

sono da sempre le parole dordine del movimento per lacqua. Ci ricorda Marco del comitato romano. In piazza anche tanti studenti medi ed universitari. Decine di loro si staccano dal corteo per andare sotto la sede dellInps di Amba Aradam, dove attaccano uno striscone con scritto: inventateve na proposta seria. Unicommon chiede reddito per tutti, e respinge la lotta tra poveri ed il ricatto della precariet. Alessandro Mustillo, di Senza Tregua, afferma: quello che sta facendo il governo in questo momento riguarda il nostro futuro: quando si parla di togliere larticolo 18, di estendere precariato, tutto questo passa a nostro danno, perch gli studenti di oggi sono i lavoratori di domani e quello che fanno ai lavoratori di oggi riguarda noi lavoratori di domani. Hanno spacciato il governo Monti per governo tecnico mentre in realt un governo politico e che fa politiche di destra. comunque necessario dare unalternativa politica al governo delle banche e sono gli studenti ed i lavoratori a doverla costruire assieme. Numeroso lo spezzone del Comitato No Debito, che si prepara gi per il prossimo importante evento, quello milanese del 31 marzo, Occupyamo Piazza Affari. Appuntamento su cui scommette anche Giorgio Cremaschi, Presidente del Comitato Centrale della Fiom. Maurizio Landini dal palco grida che non facilitando i licenziamenti che si risolver il problema nel mercato del lavoro: si augura che sia possibile trovare un accordo sulla riforma, ma si attende che si cancellino tutte le forme inutili di precariet. E "se da luned non si avvier una trattativa seria e non ci saranno risposte - promette - da questa piazza arriva la disponibilit ad una nuova mobilitazione anche fino allo sciopero generale. In serata, arrivano le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Napolitano, che chiede ai manifestanti di avere un' atteggiamento aperto verso le modifiche, che sono mature, nel sistema delle relazioni contrattuali. Linquilino del colle non si smentisce mai

Il mondo nuovo di Blackrock e la terza ondata della crisi di: Gaetano Colonna
Sar capitato anche a voi in questi giorni di trovare sui maggiori
quotidiani italiani delle pagine intere con un annuncio pubblicitario intitolato " un mondo nuovo". una gigantesca, e assai costosa, campagna di Blackrock, uno dei masters of the universe della speculazione finanziaria, come sa chi ci ha letto sulle pagine di clarissa.it . "Come devo investire i miei soldi?", si domanda al posto vostro Blackrock. E parla di un mondo nuovo, appunto, in realt ormai ben noto: quello per il quale "anche la liquidit ha dei costi", per cui conviene dare ascolto alla propria "propensione al rischio" e investire in fonti di rendita diversi dalle obbligazioni governative oggi a basso rendimento; occorre "valutare gli investimenti non tradizionali", come quelli "nelle materie prime e nei prodotti a rendimento assoluto" o come gli ETF, uno dei ritrovati della speculazione, che scommettono su indici azionari o obbligazionari. Infatti, "l'innalzamento della speranza di vita significa che i risparmi dovranno durare pi a lungo rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto", per cui, si noti, bene "continuare ad essere esposti a mercati rischiosi, come ad esempio quelli azionari, anche una volta in pensione". Il livello della speculazione finanziaria mondiale risalita fino a tornare ai livelli prima della "prima ondata", quella dei mutui subprime del 2007-2008, per intendersi. Il comunicato della Blackrock il segno che la lezione non bastata. Siamo infatti di nuovo a circa un milione di miliardi di dollari l'anno, rispetto ad un prodotto mondiale lordo intorno ai settanta mila miliardi di dollari - il che vuol dire un'economia virtuale che vale quasi 15 volte l'economia reale e con tale peso gigantesco gli si sovrappone, dirigendola e condizionandola. Dietro questo rapporto c', intatta, la bolla speculativa sul cui valore effettivo gli esperti si interrogano da oramai un quinquennio e che prima o poi dovr venire a galla. La "seconda ondata", quella dell'attacco speculativo ai titoli di Stato europei nel 2011, vorremmo tutti che fosse passata. In questi giorni la stampa ci vuole persuadere che il peggio passato, la UE si grosso modo accordata, lo spread rientrato nei limiti, la Grecia ha forse raggiunto un accordo con i suoi creditori dell'alta finanza mondiale. Vorremmo tutti che fosse cos, vorremmo credere a queste sirene ottimistiche che devono incantarci per rassicurarci. Ma sappiamo che non cos, e dobbiamo dunque dirlo chiaramente. La Federal Reserve americana e la BCE europea

non hanno fatto altro in questi anni che guadagnare tempo per evitare il crollo delle grandi banche, dei grandi investitori istituzionali, dei cosiddetti "conglomerati" della finanza - quelli, in breve, che operano controllando banche, pacchetti azionari delle grandi multinazionali, dei grandi servizi finanziari come quelli assicurativi e dei fondi pensione. Hanno iniettato nel sistema della circolazione finanziaria migliaia di miliardi di dollari e di euro, a tassi stracciati, ottenendo in cambio in garanzia titoli sulla cui affidabilit i dubbi sono molti, in quanto molti di essi stanno proprio dentro la bolla speculativa di cui abbiamo parlato. Queste iniezioni di liquidit non sono affatto destinate, come abbiamo gi spiegato, ad aumentare la circolazione del denaro, il credito e gli investimenti nel sistema produttivo: sono in realt destinati a rallentare per almeno un triennio il venire a galla della bolla speculativa, ossia l'affiorare di titoli che non valgono pi nulla e le relative perdite annidate nei bilanci delle maggiori aziende mondiali. Si tratta di una disperata corsa contro il tempo: in questo triennio si spera infatti che le misure di spaventoso rigore che si sono adottate contro i cittadini americani ed europei riescano a drenare ulteriori risorse per il sistema finanziario globale, passando attraverso le finanze pubbliche, in questo caso - in maniera da dare il tempo alle banche di accumulare nuove risorse con cui alimentare il circolo vizioso avviatosi da un paio di decenni. L'annuncio della Blackrock sulla stessa linea, rivolgendosi ai risparmiatori: "credete ancora in noi, dateci ancora i vostri soldi", altro che mondo nuovo! Il problema di fondo che la crisi strutturale, per ragioni che si possono descrivere abbastanza rapidamente. Il capitalismo occidentale non ha pi i livelli di investimento e di produttivit che ne hanno rappresentato la forza propulsiva per circa una settantina d'anni, dagli anni Novanta del XIX secolo agli anni Sessanta del XX, grazie anche a due guerre mondiali, che hanno favorito la "distruzione creativa" di cui il sistema necessitava. A questo calo fisiologico, legato fra l'altro al fatto che le societ post-industriali sono ormai focalizzate per il 70% almeno del proprio prodotto interno lordo sui servizi, notoriamente assai meno produttivi del settore primario e di quello industriale - si aggiunge un continuo invecchiamento della popolazione, con i ben noti effetti sul costo complessivo della vita sociale. Nel frattempo, l'enorme fame di energia di un sistema che presuppone uno sviluppo infinito ha instaurato un circolo vizioso fra consumo di energia, costo delle materie prime agricole (cibo) e distruzione delle risorse primarie terrestri (aria, acqua, suolo) - con costi enormi che cominciano ad essere considerati solo da una ventina d'anni. Il modello del capitalismo occidentale ha dunque trovato con la mondializzazione i propri inevitabili limiti materiali: di capacit

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produttiva, di risorse materiali e di tecnologia. Per tacere del sistema di vita che impone all'essere umano, delle ineguaglianze e dello sfruttamento che genera ed alimenta. Nemmeno l'innovazione introdotta dalle tecnologie web ha modificato di una virgola la questione: il capitalismo del web non altro che un sistema marketing in grado di raggiungere numeri enormi di utenti in tempi istantanei, ma solo una straordinaria manifestazione di capacit di promozione e, assai meno, di vendita. Non certo in grado di accrescere la produttivit globale o di generare nuovi prodotti o nuove capacit industriali. l'estrema propaggine della affluent society degli anni Sessanta: ipertecnologizzato e mondializzato quanto vogliamo, rimane un puro strumento consumistico. I dati di fondo della crisi non sono dunque cambiati. Il funzionamento del sistema non ha subito modifiche, per cui la speculazione finanziaria resta l'ultimo motore marciante: lo dimostra il fatto che nulla stato fatto in questo drammatico quinquennio in tema di regolamentazione dell'enorme mercato over the counter, quello per capirsi degli strumenti speculativi pi pericolosi e spregiudicati; nulla si fatto per regolamentare i sistemi di rating, che continuano ad avere un potere sovraordinato a quello degli Stati, senza alcuna fonte di legittimazione democraticamente riconosciuta; nulla si fatto nemmeno, nonostante i ripetuti annunci, in tema di tassazione della speculazione, nelle varie forme ipotizzate di Tobin tax e simili. Questa sconcertante inerzia su di un punto focale della crisi, ha confermato che l'intreccio, anch'esso oramai sistemico, fra potere economico e politica determina la soggezione dei sistemi di democrazia parlamentare occidentale alle grandi istituzioni finanziarie: i costi della politica, l'inefficienza degli Stati nazione contemporanei, tutto facilita la rude presa di quelle istituzioni sugli uomini degli apparati di partito e sulle burocrazie amministrative dei grandi Paesi industriali, fino ai livelli di regioni, province e comuni. La perdita del senso di comunit nazionale, di idealit patria, ha lasciato il varco a un controllo oramai diretto delle tecnocrazie espressione di quegli interessi finanziari sui governi nazionali, come dimostrato da ultimo dal caso della Grecia e dell'Italia. Ma le elezioni in corso negli Usa, da questo punto di vista, saranno non meno istruttive, se si guarda ai finanziamenti dei candidati in corsa. La prima ondata (2007-2008) dunque passata, portando povert e disoccupazione negli Usa ed allargandosi all'Europa. La seconda (2011) ha colpito qui durissimamente anche il cosiddetto "capitalismo sociale di mercato", con effetti profondi su milioni di cittadini europei, effetti di cui cominceremo ad accorgerci nei prossimi mesi. Se, come crediamo, i provvedimenti fin qui adottati servono a guadagnare tempo e non hanno toccato i dati di fondo per come li abbiamo sintetizzati - dobbiamo allora attenderci, in un arco di tempo assai breve, l'inevitabile terza ondata. Riteniamo che questa sar a quel punto pi grave delle precedenti, perch dovremo fare i conti con l'affiorare effettivo della bolla speculativa che si continua a cercare di mascherare, per non porre il sistema dell'alta finanza internazionale con le spalle al muro: questo significher portare allo scoperto le perdite sottostanti, il che vuol dire distruzione di ricchezza virtuale e riconduzione ai dati produttivi reali di un sistema in crisi strutturale. In poche parole, vuol dire "vedere" le carte delle speculazione in questa gigantesca partita a poker mondiale. A quel punto sar in gioco l'economia reale: vale a dire gli interessi quotidiani delle persone, rapportati all'arco temporale della vita di un essere umano - non pi a quello, virtualmente infinito, delle banche e degli Stati. Su questo punto, nessuna delle misure adottate in questi mesi ha nemmeno sfiorato la questione di fondo: essa centrata sul lavoro umano, sul suo valore, diverso da quello di pura merce, nell'organizzazione sociale, nel suo rapporto con l'economia da una parte e con il diritto dall'altra. Da qui si dovr muovere ad una considerazione diversa dell'organismo sociale nel suo complesso, e si dovr di conseguenza por mano realisticamente alla questione della moneta, dato che il suo modo di essere concepita si presta ad essere strumento per eccellenza della speculazione. Questa dunque la nuova questione sociale che la terza ondata porr poderosamente all'ordine del giorno, come gi avvenne alla fine dell'Ottocento, e lo far su dimensioni talmente estese da evidenziare in modo immediato l'insufficienza degli attuali uomini di potere, dei tecnocrati, delle classi dirigenti dei partiti, degli intellettuali prodotti dalle nostre universit. Per il manifestarsi di una simile questione sociale occorre, con umilt ma anche con decisione e con consapevolezza, attrezzarsi, vivendo nell'economia reale, cercando di ritrarne un quadro vivo ed efficace, raccogliendo uomini ed idee nuove, suscitando soprattutto forze morali senza le quali nessuna economia cos come nessuna organizzazione sociale pu pensare di affrontare il proprio avvenire. tardi, ma potrebbe ancora non essere troppo tardi.

IMU: la tassa che "costringe" al sistema


Di: Debora Billi - http://crisis.blogosfere.it

Si

paga per il solo fatto di avere in propriet una casa. Un migliaio di euro l'anno per un immobile che sulla carta vale meno di 300mila euro roba forte. come se lo Stato ci dicesse: o continuate a produrre reddito per pagare le tasse sulla casa oppure prima o poi la dovete vendere. Se ci pensate, qualunque tassa legata a quel che si guadagna, o a quel che si acquista. Le imposte sono quindi strettamente correlate al nostro inserimento nel sistema economico: si lavora, si spende, si partecipa insomma. E in un certo senso, pi partecipi a tutto il balletto pi paghi. In un momento di crisi, molti restano senza lavoro. Molti altri, per obbligo o per scelta, optano per uno stile di vita frugale. Nell'ipotesi pi estrema, tutt'altro che fantascienza visto quel che succede in Grecia e persino in Giappone, si finisce totalmente fuori dal sistema economico: niente servizi, niente energia, cibo autoprodotto o dalle mense pubbliche, scambio, baratto o riciclaggio di beni con altre persone nelle medesime condizioni. Si vive comunque, cos, si tira avanti. Ma la tassa sulla prima casa lo impedisce: dovete comunque mettere insieme quei mille euro l'anno in pi, altrimenti finite senzatetto. Siete quindi costretti a trovare un lavoro qualsiasi, sicuramente sfruttato, al nero, pagato una miseria, per restare almeno proprietari di casa vostra. Un paradosso? A qualcuno sembrer che chi ha una casa gi "fortunato" o "ricco" di suo. Beh, esattamente quel che pensa il governo: se avete una casa siete ricchi, quindi cacciate il quattrino. Peccato che questa sia una limitazione alla libert. Se uno, restando disoccupato, decidesse di scaldarsi a legna, vivere di orto, scambiare oggetti o abiti con altri, non potrebbe farlo: dovrebbe comunque trovarsi un padrone per continuare ad possedere la sua casa. Dovrebbe restare nel sistema economico, continuare a disperarsi ed a pregare, continuare a piegare la schiena, insomma tutta la trafila prevista per il disoccupato durante la crisi. Questa tassa, in un Paese dove l'80% dei cittadini proprietario di casa, sembra fatta apposta per mantenerti nel tritacarne anche qualora decidessi di mandare tutto al diavolo e renderti autosufficiente. Non credo siano cos astuti, proprio no, per il dubbio un po' viene.

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Vediamoci e cominciamo a fare insieme


di:

Redazione Megachip
al Presidente di Alternativa Giulietto Chiesa. Gentile Giulietto Chiesa, siamo dei giovani della citt di Siracusa con dei valori ancora saldi, forse un p demoralizzati in verit, ma mai arresi. Proprio perch non ci siamo arresi abbiamo preso a riunirci per intraprendere un percorso alternativo. Crediamo sia oggi una vera e propria necessit quella di abbracciare la politica. Una politica veramente diversa, per, da quella praticata a palazzo. Ci stiamo ponendo domande molto profonde ma spesso anche materiali. Per esempio ci chiedamo cosa succederebbe a quelle persone che lavorano nelle industrie se portassimo a compimento un programma ecosostenibile. Siamo molto vicini alle vostre soluzioni in ambito politico solo ci chiedevamo come si potrebbe attuare un programma radicale come il vostro senza una rappresentanza in parlamento. Saremmo dei validi sostenitori delle vostre idee qualora vi trovassimo tra le scelte in cabina elettorale ma a quanto pare non tra i vostri piani. Se, invece, il vostro obiettivo quello di risvegliare il senso civico sopito in ognuno di noi, state andando alla grande. Il nostro movimento, Movimento A, al momento formato da una trentina di persone che, concordi su alcuni concetti base, si stanno mobilitando per aumentare la propria conoscenza dei fatti e creare informazione per cercare di capire un metodo per reagire. Vorremmo sapere la vostra opinione riguardo ad alcune correnti. Ad esempio ci chiedevamo cosa ne pensate riguardo il movimento a 5 stelle di Grillo, il Venus Project e Zeitgest Movement. La ringraziamo per la pazienza accordataci. Cordiali Saluti IL MOVIMENTO A Andrea Ancona

Lettera

e andranno create. Crearle significa studiare. Collettivamente. Significa unire le diversit. Quelle concettuali, quelle umane, quelle culturali. Tutto questo noi pensiamo che sia lavoro politico, nel piu' alto dei suoi significati. Questo lavoro non prevede scorciatoie, semplificazioni. Noi pensiamo che siamo all'inizio di una svolta epocale che pu essere drammatica e alla quale occorre preparare milioni di persone, perch siano in grado di affrontare una "transizione" da questa societ a un'altra, qualitativamente diversa. Tutto questo significa organizzazione. Senza di essa non si potr fare nulla. Quale organizzazione? Quella che, insieme, riterremo la pi funzionale nell'attuale fase storica. Cosa pensiamo degli altri esperimenti in corso in Italia e fuori? Che nessuno di quelli che compredono la necessit del cambiamento nostro avversario. Ciascuno porta elementi positivi. Il problema che noi affrontiamo (e che ci differenzia da tutti gli altri) che noi puntiamo alla creazione di un nuovo soggetto politico, capace di offrire una nuova rappresentanza democratica alle aspirazioni della gente. Fare tutto questo difficile, anche perch, anche tra i movimenti, molti non comprendono che occorre, per tutto questo, costruire una forza comune. Alternativa nata per costruire questa "maniglia comune". Dunque arrivederci al pi presto. Giulietto Chiesa

Si scrive No Tav e si legge democrazia di: Giovanna Tin


Alla faccia di chi continua a descrivere quello
dei No Tav come il capriccio nimby di pochi che vogliono solo tenere pulito il cortile di casa propria. Sabato 3 marzo, ore 15. Piazzale Tiburtino a Roma gi gremito di persone che scandiscono a chiare lettere che la Val di Susa non un affare da cronaca di provincia o di ordine pubblico, ma un simbolo della legittima ostinazione di chi non vuole che politica e affari decidano sulla propria testa. No Tav Val di Susa ma anche Italia, Europa, mondo. evidente che questa presa di coscienza dal basso ha epicentro nella valle, ed una specifica battaglia che deve essere vinta, ma contemporaneamente si allarga fino a diventare simbolo e parte della pi ampia rivendicazione della dignit di chi vuole essere cittadino e non suddito. Non in mio nome dunque, e non sulla mia testa. Ma No Tav non soltanto un simbolo. chiaro che questo movimento sta catalizzando la mobilitazione dei cittadini rispetto allerosione di democrazia in corso su diversi fronti, e la sta trasformando in pratica politica dal basso (lo scrive perfino Eugenio Scalfari, per poi spiegarci perch gli studenti dovrebbero essere entusiasti sostenitori della TAV, e proseguire sulla produttivit e su unuscita dal tunnel ad opera di Napolitano e Monti). anche per questo, oltre che per una manifestazione riuscita, che grande la soddisfazione di vedere insieme tanti pezzi della societ civile: il comitato dellacqua (si scrive acqua, si legge democrazia, appunto), il comitato No Debito, e poi gli studenti, i centri sociali, tante compagne e tanti compagni con cui abbiamo condiviso la campagna referendaria antinucleare, i sindacati di base, gli attori e i musicisti di strada e non. Amiche e amici senza appartenenza alcuna, militanti di associazioni e movimenti politici tutti uniti sotto le sole bandiere No Tav. La colla che deve far riflettere opinione pubblica, politici e affaristi vari non quella che ieri ha sporcato gli abiti di una giornalista, bens quella costituita dal movimento No Tav verso chi, e sono/siamo sempre di pi, stufo di subire forzature sul proprio territorio, da quello fisico a quello della propria mente. I due episodi di nervosismo verso i giornalisti (spiacevoli, chiaro, oltre che inutili per la battaglia in corso), facili armi di distrazione di massa, stanno ora facendo il giro delle testate, fornendo come sempre lalibi per raccontare la storiella del corteo che non riesce ad evitare di terminare in modo violento. Non cos. Il corteo stato pacifico sia durante il percorso stabilito che nel fuori-programma della Tangenziale Est. cos difficile raccontare tutto questo, che gli occhi di ciascuno di noi presenti hanno visto? cos difficile essere liberi?

Caro Andrea e cari tutti del "Movimento A". Il terreno comune tra quello che ci dite e quello che noi ci proponiamo gi evidente dalle vostre parole. Bisogna incontrarci per vedere insieme dove andare e come andare, cosa scegliere e cosa lasciare. Alternativa un laboratorio politico, per il momento. Non sar cos, soltanto, quando saremo pi forti e pi presenti in tutto il paese. Ma l'idea di un laboratorio rester. Perche' noi stiamo cercando risposte "complesse". Queste risposte ancora non ci sono PAGINA 4 Alternativa news n67

L'epoca delle rivolte borghesi


Di: Slavoj iek - www.internazionale.it

Come ha fatto Bill Gates a diventare luomo pi ricco dAmerica?


La sua ricchezza non ha nulla a che fare con la produzione di software di qualit a prezzi inferiori a quelli della concorrenza o con uno sfruttamento pi efficace dei suoi dipendenti (la Microsoft paga uno stipendio relativamente alto ai lavoratori intellettuali). Il software della Microsoft continua a essere comprato da milioni di persone perch riuscito a imporsi come uno standard quasi universale, monopolizzando in pratica il settore, quasi una personificazione di quello che Marx chiamava intelletto generale, riferendosi al sapere collettivo in tutte le sue forme, dalla scienza al know how pratico. Bill Gates ha di fatto privatizzato parte dellintelletto generale ed diventato ricco intascando i profitti. La possibilit di privatizzare lintelletto generale non era stata prevista da Marx nei suoi scritti sul capitalismo (soprattutto perch ne aveva trascurato la dimensione sociale). Eppure proprio questo il nocciolo delle dispute odierne sulla propriet intellettuale: mano a mano che nel capitalismo postindustriale il ruolo dellintelletto generale basato sul sapere collettivo e la cooperazione sociale continua a crescere, la ricchezza si accumula in modo del tutto sproporzionato rispetto al lavoro speso per la sua produzione. Il risultato non , come sembrava aspettarsi Marx, lautodissoluzione del capitalismo, ma la graduale trasformazione del profitto generato dallo sfruttamento del lavoro in una rendita ottenuta grazie alla privatizzazione della conoscenza. Lo stesso vero per le risorse naturali, il cui sfruttamento una delle maggiori fonti di rendita del mondo. C una lotta permanente su chi debba aggiudicarsi questa rendita, se i cittadini del terzo mondo o le grandi multinazionali occidentali. Paradossalmente, spiegando la differenza tra il lavoro (che nelluso produce plusvalore) e altre merci (che consumano il loro valore nelluso), Marx parla proprio del petrolio come esempio di una merce ordinaria, il cui consumo diminuisce al crescere del prezzo. Oggi qualunque tentativo di collegare laumento e la diminuzione del prezzo del petrolio alla crescita o al calo dei costi di produzione o al costo della manodopera utilizzata non avrebbe senso: i costi di produzione sono trascurabili rispetto al prezzo che paghiamo per il petrolio, un prezzo che in realt la rendita di cui i proprietari della risorsa possono disporre grazie alla sua limitata disponibilit. Una conseguenza dellaumento di produttivit causato dallimpatto, in crescita esponenziale, della conoscenza collettiva il cambiamento nel ruolo della disoccupazione. il successo stesso del capitalismo (maggiore efficienza, crescita della produttivit) a generare disoccupazione, rendendo inutile un numero sempre maggiore di lavoratori: quella che dovrebbe essere una benedizione serve meno lavoro usurante diventa una maledizione. O, per dirla in termini diversi, lopportunit di essere sfruttati in un lavoro a lungo termine oggi viene percepita come un privilegio. Il mercato mondiale, come ha osservato Fredric Jameson, uno spazio in cui tutti un tempo sono stati lavoratori produttivi e in cui il lavoro ha cominciato dappertutto a essere troppo costoso per il sistema. Nel processo di globalizzazione capitalistica che stiamo vivendo, la categoria dei disoccupati non pi confinata a quello che Marx chiamava esercito industriale di riserva. Comprende anche, come osserva Jameson, quelle sterminate popolazioni di tutto il mondo che sono state deliberatamente escluse dai progetti modernizzatori del capitalismo del mondo sviluppato e messe da parte come casi disperati: i cosiddetti stati falliti (Congo, Somalia), vittime della carestie o di disastri ecologici, quelli intrappolati in lotte etniche pseudoarcaiche, al centro delle attenzioni di filantropi e ong, oppure bersagli della guerra al terrore. La categoria dei disoccupati si quindi ampliata fino a comprendere una gamma enorme di persone, dai

temporaneamente disoccupati ai non pi occupabili e permanentemente disoccupati, fino agli abitanti dei ghetti e degli slum (tutti quelli che Marx tendeva a liquidare definendoli lumpenproletariat) e a intere popolazioni escluse dal processo capitalistico globale, come gli spazi vuoti nelle mappe antiche. Alcuni sostengono che questa nuova forma di capitalismo offre nuove possibilit di emancipazione. Questa almeno la tesi di Moltitudine, di Michael Hardt e Antonio Negri, che cercano di radicalizzare la tesi di Marx secondo cui basterebbe tagliare la testa al capitalismo per ottenere il socialismo. Marx, a loro giudizio, subiva un condizionamento storico: pensava in termini di lavoro industriale centralizzato, automatizzato e gerarchicamente organizzato, quindi per lui lintelletto generale era qualcosa di simile a unagenzia centrale di pianificazione. Solo oggi, con laffermarsi del lavoro immateriale, secondo gli autori diventato oggettivamente possibile un capovolgimento rivoluzionario. Questo lavoro immateriale si estende tra due poli, dal lavoro intellettuale (la produzione di idee, testi, programmi per computer eccetera) al lavoro di cura (come quello svolto da medici, babysitter e assistenti di volo). Oggi il lavoro immateriale egemonico nel senso in cui Marx affermava che, nel capitalismo dellottocento, era egemonica la grande produzione industriale: non simpone con la forza dei numeri ma svolgendo il ruolo centrale, strutturale ed emblematico. Quello che emerge un dominio ampio e nuovo, definito comune: il sapere condiviso e nuove forme di comunicazione e cooperazione. I prodotti del lavoro immateriale non sono oggetti ma nuove relazioni sociali o interpersonali; la produzione immateriale biopolitica, la produzione della vita sociale. Hardt e Negri descrivono il processo che gli ideologi dellattuale capitalismo postmoderno celebrano come il passaggio dalla produzione materiale a quella simbolica, dalla logica centralisticogerarchica a quella dellauto-organizzazione e della cooperazione multicentrica. La differenza che Hardt e Negri sono fedeli a Marx: cercano di dimostrare che aveva ragione, che lemergere dellintelletto generale a lungo termine incompatibile con il capitalismo. Gli ideologi del capitalismo postmoderno sostengono esattamente il contrario: la teoria (e la pratica) marxista, affermano, rimane nei limiti della logica gerarchica del controllo statale centralizzato, quindi non pu misurarsi con gli effetti sociali della rivoluzione dellinformazione. Ci sono buone ragioni empiriche a supporto di questa tesi: quello che di fatto ha condannato i regimi comunisti stata la loro incapacit di adattarsi alla nuova logica sociale. Cercarono di governarla, di farne lennesimo progetto di pianificazione statale centralizzata su larga scala. Il paradosso che ci che Hardt e Negri celebrano come unopportunit per superare il capitalismo viene celebrato dagli ideologi della rivoluzione dellinformazione come lascesa di un nuovo capitalismo senza attriti. Lanalisi di Hardt e Negri ha alcuni punti deboli che ci aiutano a capire come il capitalismo sia riuscito a sopravvivere a quella che (nei classici termini marxisti) avrebbe dovuto essere una nuova organizzazione della produzione che lo rendeva obsoleto. I due studiosi sottovalutano la portata del successo del capitalismo di oggi nel privatizzare lintelletto generale, cos come il fatto che gli stessi operai, pi della borghesia, stanno diventando superflui (sono sempre di pi i lavoratori che si trovano a essere non solo temporaneamente disoccupati, ma strutturalmente non occupabili). Se idealmente il vecchio capitalismo presupponeva un imprenditore pronto a investire denaro (suo o preso in prestito) nella produzione che egli stesso organizzava e dirigeva per incassare un profitto, oggi si sta affermando un nuovo modello: non pi limprenditore che possiede limpresa, ma il manager esperto (o un consiglio di manager presieduto da un amministratore delegato) che dirige unimpresa in mano

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alle banche (a loro volta guidate da manager che non ne sono proprietari) o a singoli investitori. In questo nuovo tipo ideale di capitalismo, la vecchia borghesia, diventata non funzionale, acquista una nuova funzionalit in quanto management salariato: gli esponenti della nuova borghesia percepiscono un salario, e anche se possiedono parte della loro impresa, ricevono azioni come integrazione del loro compenso (premi per il loro successo). Questa nuova borghesia continua ad appropriarsi del plusvalore, ma nella forma (mistificata) di quello che stato definito plussalario: sono pagati molto pi del salario minimo proletario (un punto di riferimento puramente mitico, il cui unico esempio reale nellodierna economia globale il salario degli operai sfruttati nelle fabbriche in Cina o in Indonesia), ed questa differenza rispetto ai proletari comuni a determinare il loro status. La borghesia in senso classico tende quindi a scomparire: i capitalisti ricompaiono come un sottoinsieme di lavoratori salariati, manager abilitati a guadagnare di pi in virt della loro competenza (ed per questo motivo che la valutazione pseudoscientifica diventa cruciale: legittima le disparit). La categoria dei lavoratori che guadagnano un plus-salario non si limita certo ai manager, ma si estende a ogni genere di esperti, amministratori, dipendenti pubblici, medici, avvocati, giornalisti, intellettuali e artisti. Il plus assume due forme: pi soldi (per i manager e simili), ma anche meno lavoro e pi tempo libero (per alcuni intellettuali, ma anche per amministratori statali eccetera). Il processo valutativo usato per decidere quali lavoratori debbano ricevere un plus-salario un meccanismo arbitrario del potere e dellideologia, senza nessun serio rapporto con la vera competenza. Il plus-salario non esiste per ragioni economiche, ma per motivi politici: serve per mantenere una classe media in funzione della stabilit sociale. Larbitrariet della gerarchia sociale non un errore, ma il vero punto della questione, e larbitrariet della valutazione svolge un ruolo analogo allarbitrariet del successo di mercato. La violenza minaccia di esplodere non quando c troppa contingenza nello spazio sociale, ma quando si cerca di eliminarla. In La marque du sacr Jean-Pierre Dupuy definisce la gerarchia come una delle quattro procedure (dispositivi simbolici) utilizzate per rendere non umiliante il rapporto di superiorit: la gerarchia (un ordine imposto dallesterno che mi consente di percepire la mia condizione sociale inferiore come indipendente dal mio valore personale); la demistificazione (il procedimento ideologico che dimostra come la societ non sia una meritocrazia ma il prodotto di oggettive lotte sociali, consentendomi cos di evitare la dolorosa conclusione che la superiorit di qualcuno sia il risultato del suo merito e dei suoi risultati); la contingenza (un meccanismo simile, che ci consente di capire come la nostra posizione nella scala sociale dipenda da una lotteria naturale e sociale: i fortunati sono quelli nati con i geni giusti in famiglie ricche); e la complessit (forze incontrollabili hanno conseguenze imprevedibili: per esempio, la mano invisibile del mercato pu portare al mio fallimento e al successo del mio vicino, anche se io lavoro molto di pi e sono molto pi intelligente). Malgrado le apparenze, questi meccanismi non contestano o minacciano la gerarchia, ma la rendono accettabile, perch a scatenare linvidia lidea che laltro meriti la sua fortuna e non lidea opposta, lunica che pu essere espressa apertamente. Da questa premessa Dupuy giunge alla conclusione che sia profondamente sbagliato credere che una societ ragionevolmente giusta, e che si percepisce come giusta, possa essere priva di rancore: al contrario, proprio in societ di questo tipo che chi occupa posizioni inferiori dar sfogo al suo orgoglio ferito con violente esplosioni di risentimento. A questo fenomeno collegata limpasse in cui si trova la Cina di

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oggi: lobiettivo ideale delle riforme di Deng Xiaoping era introdurre il capitalismo senza la borghesia (perch sarebbe diventata la nuova classe dirigente). Ma ora i leader cinesi fanno i conti con la dolorosa scoperta che il capitalismo senza la solida gerarchia resa possibile dallesistenza di una borghesia genera uninstabilit permanente. E allora che strada prender la Cina? Gli ex comunisti si stanno dimostrando i manager pi efficienti del capitalismo perch la loro inimicizia storica nei confronti della borghesia in quanto classe si adatta perfettamente alla tendenza del capitalismo attuale di diventare un capitalismo manageriale senza borghesia in entrambi i casi, come disse Stalin molto tempo fa, i quadri decidono tutto (una differenza interessante tra la Cina e la Russia di oggi: in Russia i professori universitari sono sottopagati in modo ridicolo in realt fanno gi parte del proletariato mentre in Cina hanno un confortevole plus-salario che garantisce la loro docilit). Lidea del plus-salario getta nuova luce anche sulle persistenti proteste anticapitalistiche. In tempi di crisi, i primi candidati a stringere la cinghia sono i livelli pi bassi della borghesia salariata: la protesta politica lunica strada possibile se vogliono evitare di unirsi al proletariato. Anche se le loro proteste a parole sono rivolte contro la logica brutale del mercato, di fatto protestano per la graduale erosione della loro posizione economica politicamente privilegiata. Nella Rivolta di Atlante, Ayn Rand immagina uno sciopero di capitalisti creativi, una fantasia che trova la sua realizzazione perversa negli scioperi di oggi, molti dei quali hanno come protagonista una borghesia salariata mossa dal timore di perdere i suoi plus-salari. Queste non sono proteste proletarie, ma contro la minaccia di essere ridotti allo status di proletari. Chi osa scioperare oggi, quando avere un lavoro stabile di per s un privilegio? Non gli operai malpagati in (quello che rimane delle) fabbriche tessili o posti simili, ma quei lavoratori privilegiati che hanno posti garantiti: insegnanti, operatori del trasporto pubblico, poliziotti. Questo spiega anche londata di proteste degli studenti: la loro motivazione principale presumibilmente la paura che in futuro listruzione superiore non garantisca pi un plus-salario. Allo stesso tempo chiaro che lenorme ondata di proteste dellanno scorso, dalla primavera araba allEuropa occidentale, da Occupy Wall street alla Cina, dalla Spagna alla Grecia, non dovrebbe essere liquidata semplicemente come una rivolta della borghesia salariata. Ogni caso va considerato a s. Le proteste studentesche contro la riforma delluniversit in Gran Bretagna erano chiaramente diverse dagli scontri di agosto, che sono stati una sagra consumista di distruzione, una vera esplosione degli esclusi. Si potrebbe sostenere che la sollevazione in Egitto sia cominciata in parte come rivolta della borghesia salariata (con i giovani istruiti che manifestavano per la loro mancanza di prospettive), ma questo stato solo un aspetto di una pi ampia ribellione contro un regime oppressivo. Daltra parte, la protesta non ha comportato una vera mobilitazione degli operai e dei contadini poveri, e la vittoria elettorale degli islamisti rende evidente la limitata base sociale delloriginale protesta laica. La Grecia un caso speciale: negli ultimi decenni si creata una nuova borghesia salariata (soprattutto nella pachidermica amministrazione statale) grazie agli aiuti finanziari dellUnione europea, e le proteste sono state motivate in larga misura dalla minaccia che tutto questo possa finire. Alla proletarizzazione della piccola borghesia salariata si accompagna allestremo opposto la remunerazione irrazionalmente alta dei top manager e dei grandi banchieri (irrazionale perch tende a essere inversamente proporzionale al successo di unazienda). Invece di sottoporre queste tendenze a una critica moralistica, dovremmo leggerle come segnali del fatto che il sistema capitalistico non pi capace di garantire una stabilit autoregolamentata. Rischia, in altre parole, di sfuggire al controllo. Traduzione di Gigi Cavallo per Internazionale.

La guerra dei due mondi


Di: Guido Viale - www.ilmanifesto.it. non conosce la realt della Valsusa non riesce a capire che lo scontro a cui stiamo assistendo va molto oltre il problema del treno ad Alta Velocit. Un bell'articolo di Guido Viale su "il manifesto" lo spiega... Sara Dura! (FabioNews) Quello in atto in Valle di Susa un autentico scontro di civilt: la manifestazione di due modi contrapposti e paradigmatici di concepire e di vivere i rapporti sociali, le relazioni con il territorio, l'attivit economica, la cultura, il diritto, la politica. Per questo esso suscita tanta violenza da parte dello stato - inaudita, per un contesto che ufficialmente non in guerra - e tanta determinazione - inattesa, per chi non ne comprende la dinamica - da parte di un'intera comunit. Quale che sia l'esito, a breve e sul lungo periodo, di questo confronto impari, bene che tutte le persone di buona volont si rendano conto della posta in gioco: pu essere di grande aiuto per gli abitanti della Valle di Susa; ma soprattutto di grande aiuto per le battaglie di tutti noi. Da una parte c' una comunit, che non certo il retaggio di un passato remoto, che si andata consolidando nel corso di 23 anni di contrapposizione a un progetto distruttivo e insensato, dopo aver subito e sperimentato per i precedenti 10 anni gli effetti devastanti di un'altra Grande Opera: l'A32 Torino-Bardonecchia. Gli ingredienti di questo nuovo modo di fare comunit sono molti. Innanzitutto la trasparenza, cio l'informazione: puntuale, tempestiva, diffusa e soprattutto non menzognera, sulle caratteristiche del progetto. Un'informazione che non ha mai nascosto n distorto le tesi contrarie, ma anzi le ha divulgate (a differenza dei sostenitori del Tav), supportata da robuste analisi tecniche ed economiche: gli esperti firmatari di un appello al governo Monti perch receda dalle decisioni sul Tav Torino-Lione sono pi di 360; significativo il fatto che un Governo di cosiddetti tecnici il parere dei tecnici veri non lo voglia neppure ascoltare. Poi c' stata un'opera capillare di divulgazione con il passaparola - forse il pi potente ed efficace degli strumenti di informazione ma anche con scritti, col web (i siti del movimento sono molti e sempre aggiornati) e col sostegno di alcune radio; ma senza mai avere accesso - in 23 anni! alla stampa e alle tv nazionali, se non per esserne denigrati. Secondo, il confronto: il movimento non ha mai esitato a misurarsi con le tesi avverse: nei dibattiti pubblici - quando stato possibile - nelle istituzioni; nelle

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campagne elettorali; nelle amministrazioni; nel finto Osservatorio messo in piedi dal precedente governo e diretto dall'architetto Virano, che non ha mai avuto il mandato di mettere in discussione l'opera ma solo quella di imporne comunque la realizzazione. Strana concezione della mediazione! La stessa del ministro Cancellieri: Discutiamo; ma il progetto va comunque avanti. E di che si discute, allora? Grottesca poi - ma solo l'ultimo episodio della serie - la fuga congiunta da incontro con una delegazione del parlamento europeo del sindaco di Torino e dei presidenti di provincia e regione Piemonte il 10 febbraio scorso. Ma ne risentiremo parlare. Il terzo elemento il conflitto: non avrebbe mai raggiunto una simile dimensione e determinazione se l'informazione non avesse avuto tanta profondit e diffusione. Ma sono le dure prove a cui stata sottoposta la popolazione ad aver cementato tra tutti i membri della cittadinanza attiva della valle rapporti di fiducia reciproca cos stretti e solidi. Il quarto elemento l'organizzazione, strumento fondamentale della partecipazione popolare: i presdi, numerosi, sempre attivi e frequentati, nonostante le molteplici distruzioni di origine sia poliziesca che malavitosa; le frequenti manifestazioni; i blocchi stradali; le centinaia di dibattiti (non solo sul Tav; anzi, sempre di pi su problemi di attualit politica e culturale nazionale e globale) che vedono sale affollate in paesi e cittadine di poche centinaia o poche migliaia di abitanti; la presentazione e il successo di molte liste civiche; la rete fittissima di contatti personali nella valle; il sostegno che il movimento ha saputo raccogliere e promuovere su tutto il territorio nazionale: Fiom, centri sociali, rete dei Comuni per i beni comuni, movimento degli studenti, associazioni civiche e ambientaliste, mondo della cultura, forze politiche (ma solo quelle extraparlamentari); ecc. La scorsa estate si svolto a Bussoleno il primo convegno internazionale dei movimenti che si oppongono alle Grandi Opere, con la partecipazione di una decina di organizzazioni europee impegnate in battaglie analoghe: un momento di elaborazione sul ruolo di questi progetti nel funzionamento del capitalismo odierno e un contributo sostanziale alla comprensione del presente. Infine quel processo ha restituito peso e ruolo a un sentimento sociale (o morale, come avrebbe detto Adam Smith) che il cemento di ogni prospettiva di cambiamento: l'amore; per il proprio territorio, per i propri vicini, per il paese tutto; per i propri compagni di lotta e la propria storia; per le trasformazioni che

questa lotta ha indotto in tutti e in ciascuno; persino per i propri avversari, anche i pi violenti. Non a caso Marco Bruno, il manifestante NoTav messo alla berlina da stampa e televisioni nazionali per il dileggio di cui ha fatto oggetto un carabiniere in assetto di guerra (ma, come ovvio, lo ha fatto per farlo riflettere sul ruolo odioso che lo Stato italiano gli ha assegnato) ha concluso il suo monologo con questa frase, registrata ma censurata: comunque vi vogliamo bene lo stesso. E i risultati? Rispetto all'obiettivo di bloccare quel progetto assurdo, zero. O, meglio, il ritardo di vent'anni (per ora) del suo avvio. Ma quella lotta ha prodotto e diffuso tra tutti gli abitanti della valle saperi importanti; un processo di acculturazione (basta sentire con quanta propriet e capacit di affrontare questioni complesse si esprimono; e poi metterla a confronto con i vaniloqui dei politici e degli esperti che frequentano i talkshow); una riflessione collettiva sulle ragioni del proprio agire. Ha creato uno spazio pubblico di socialit e di confronto in ogni comune della valle. Ha permesso di rivitalizzare una parte importante delle proprie tradizioni. Ha unito giovani, adulti, anziani e bambini, donne - soprattutto - e uomini in attivit condivise che non hanno uguale nelle societ di oggi. Ha allargato gli orizzonti di tutti sul paese, sul mondo, sulla politica, sull'economia (altro che nimby! Il Grande Cortile della Valle di Susa ha spalancato porte e finestre sul mondo e sul futuro di tutti). Ha creato e consolidato una rete di collegamenti formidabile. Ha ridato senso alla politica, all'autogoverno, alla partecipazione: per lo meno a livello locale. Ha aiutato tutti a sentirsi pi autonomi, pi sicuri di s, pi cittadini di una societ da rifondare. Infine, e non avrebbe potuto accadere che in un contesto come questo, ha messo in moto un movimento di gestione etica e ambientale delle imprese, riunite in un'associazione, Etinomia, che conta in valle gi 140 adesioni, e che rappresenta la dimostrazione pratica di come la riconquista di spazi pubblici autogestiti sia la condizione di un'autentica conversione ecologica. E dall'altra parte? Schierati contro il movimento NoTav ci sono la cultura, l'economia, la metafisica e la violenza delle Grandi Opere: la forma di organizzazione pi matura raggiunta (finora) del capitalismo finanziario: la fabbrica che non c' pi, divisa in strati e dispersa in miriadi di frantumi. Le caratteristiche di questo modello sociale, che ritroviamo tutte nel progetto Torino-Lione, sono state esemplarmente enucleate da Ivan Cicconi ne Il Libro nero dell'alta velocit (Koin; 2011) e qui mi limito a richiamarle

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per sommi capi. La Grande Opera innanzitutto un intervento completamente slegato dal territorio su cui insiste, indifferente alle sue sorti prima, durante e soprattutto dopo la fine dei lavori, quando, compiuti o incompiuti che siano, li abbandona lasciando dietro di s il disastro. Non importante che sia utile o redditizia. Col Tav Milano-Torino dovevano correre, su una linea dedicata ed esclusiva, 120 coppie di treni al giorno; ne passano 9: quasi sempre vuoti. L'importante che la Grande Opera si faccia e che alla fine lo stato paghi. E' una grande consumatrice di risorse a perdere: suolo, materiali, energia, denaro (ma non di lavoro, comunque temporaneo e per lo pi precario, che a lavori conclusi viene abbandonato a se stesso insieme al territorio). Per questo ha bisogno di grandi societ di gestione e di grandi finanziamenti, cio del coinvolgimento diretto di banche e alta finanza (il ministro Corrado Passera ne sa qualcosa); non per assumersi l'onere della spesa, ma solo per fare da schermo temporaneo a un finanziamento che alla fine ricadr sul bilancio pubblico E' il modello del project financing , l'apogeo dell'economia finanziaria che ci ha portato alla crisi, inaugurato trent'anni fa dall'Eurotunnel sotto la Manica. Quanto al Tav, le tratte Torino-MilanoRoma-Salerno dovevano essere finanziate almeno per met dai privati; il loro costo, lievitato nel corso del tempo da 6 a 51 miliardi di euro (ma molti costi sono ancora sommersi e, una volta completate le tratte in progetto, supereranno i 100 miliardi) stato interamente messo a carico dello Stato (cio del debito pubblico). Ma per il Tav in Valle di Susa non si parla pi di project financing : la fretta tale che si d inizio ai lavori senza sapere dove prendere i soldi. Si aspettano quelli dell'UE, che forse non verranno mai, spacciando questa attesa per un impegno imposto dall'Europa. Ma perch quei costi sono quattro volte quelli di tratte equivalenti in Francia o in Spagna? E' il Grande Segreto delle nostre Grandi Opere: il subappalto. Le Ferrovie dello stato hanno affidato - in house , cio senza gara - la realizzazione dell'intero progetto a Tav Spa, sua filiazione diretta. TavSpa, sempre senza gara, ha affidato il progetto a tre General contractor (le tre maggiori societ italiane all'epoca: 1991), tra cui Fiat. Fiat ha fatto il progetto della Torino-Milano e ne ha affidato la realizzazione a un consorzio della sua - allora - controllata Impregilo (quella dei rifiuti in Campania e del disastro ambientale in Mugello). Impregilo ha diviso i lavori in lotti e li ha affidati, senza gara, a una serie di consorzi di cui lei stessa capofila

e questi hanno affidato a loro volta le forniture e le attivit operative a una miriade di ditte minori, attraverso cui hanno fatto il loro ingresso nella Grande Opera sia il lavoro nero che la 'ndrangheta: la stessa, ben insediata a Bardonecchia, che da tempo aspetta l'inizio dei lavori sulla Torino-Lione e ha gi ampiamente contrattato (vedi l'inchiesta giudiziaria Minotauro) il voto di scambio con i principali partiti della Regione. I lavori che all'ultima ditta della catena vengono pagati 10 Fiat li fattura a TavSpA a 100. La differenza l'intermediazione dei diversi anelli della catena, tra cui non mancano partiti e amministrazioni locali. Ecco che cos' la crescita affidata alle Grandi Opere. Ed ecco perch per imporre una soluzione del genere occorre occupare militarmente il territorio. E perch ci vuole un Governo tecnico. Cos Monti il benvenuto.

Due pesi e due mar


Di: Massimo Fini - ilfattoquotidiano.it.

Ancora un passo e siamo al Sakineh, subito libera!. Per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i fucilieri di Marina in stato di arresto in India, tutta la destra ma anche parte della sinistra si sono mobilitate al grido di Riportiamoli subito a casa, Salviamo i nostri mar, Siamo tutti con voi. Lex ministro della Difesa Ignazio La Russa, quasi in lacrime ha dichiarato: I nostri ragazzi devono tornare in Italia ed essere restituiti alle loro famiglie. Si invocato lintervento della Nato e dellUnione europea. Il Giornale ha scritto: La parte sana del Paese difende i suoi soldati e vedendo una parte della sinistra un po tiepida ha sottolineato, in polemica col sindaco di Milano Pisapia, che a Giuliana Sgrena e alle due Simone nessuna

istituzione ha mai negato solidariet e partecipazione durante i difficili momenti della prigionia. Non ho alcuna simpatia per le Sgrene e le Simone, vispe terese del turismo di guerra, ma a parte che una cosa un sequestro altra un arresto ordinato dalla magistratura di uno Stato, qui c il piccolo particolare che Girone e Latorre sono accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiandoli per pirati somali. Allinizio i due fucilieri si sono difesi dichiarando: Abbiamo sparato in aria e poi in acqua, contro unimbarcazione con cinque uomini armati. Tesi incautamente fatta subito propria dal nostro governo (sia mai che dei bravi ragazzi italiani sparino per uccidere, sia pur dei presunti pirati) che in seguito ha pi prudentemente ripiegato sulla questione della giurisdizione: la nave da cui i due avrebbero sparato italiana, i due sono italiani, lincidente avvenuto in acque internazionali, quindi la giurisdizione appartiene alla magistratura italiana. Non c dubbio che se lincidente fosse avvenuto a bordo della Enrica Lexie, che territorio italiano, cos sarebbe. Ma la cosa avvenuta a trecento metri dalla nave e quindi in territorio internazionale e perci neutro. A chi spetta in questo caso la giurisdizione, al Paese dei presunti assassini o a quello delle vittime? Come scrivevo sul Fatto (22/2) allindomani di questo tragico episodio: Se due pescatori di Mazara del Vallo di un peschereccio che naviga al largo delle coste siciliane, sia pur in acque internazionali fossero uccisi da militari indiani imbarcati su un mercantile indiano, qualcuno dubiterebbe, qui da noi, che la competenza spetta al Paese delle vittime?. quel che pensano, nel caso dellEnrica Lexie, gli indiani. A ragione. Smettiamola quindi di fare i gradassi con quellatteggiamento neocoloniale che abbiamo assunto da qualche tempo a imitazione degli angloamericani dal grilletto facile che han la pretesa, che anche noi adesso avanziamo, dellimmunit. Se i due fucilieri hanno sbagliato devono risponderne. Un processo in Italia, lo capisce chiunque, anche un indiano, sarebbe una farsa, i due mar sarebbero accolti come eroi e finirebbero in breve allIsola dei famosi. Troppo facilmente ci si dimentica che, pur se a migliaia di chilometri, qui ci sono due morti, anche se non se ne fanno mai i nomi come se fossero delle comparse irrilevanti in questa brutta faccenda. Si chiamavano Ajesh Binki e Valentine Jelastine e avevano anchessi, caro La Russa e cari italiani, delle famiglie e degli affetti. Come Franco Lamolinara, ucciso in Nigeria in seguito a uno sconsiderato blitz degli inglesi, per la cui morte giustamente ci indignammo. Come gli indiani si indignano per le loro.

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