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Le linee parallele si incrociano
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Le linee parallele si incrociano

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About this ebook

Marco Pinotti è un giovane precario alla ricerca di un lavoro, possibilmente stabile. Durante i pellegrinaggi per le agenzie interinali conosce Marta, che gli procura diversi impieghi a tempo determinato. Da questo incontro casuale scocca una scintilla che con complicità di un contratto a tempo permette ai due ragazzi di avviare una relazione sentimentale. Passa quasi un anno, tanto che pare ben avviata la stabilizzazione del loro rapporto. Però non avevano fatto i conti con la crisi economica, che travolge la società, dove lavora Marco. Al ritorno, dopo il licenziamento, il ragazzo risponde stizzito a un sms di Marta. Complice il fatto che i giovani si parlano solo attraverso i messaggi, l'incomprensione si trasforma in rottura. Marco vorrebbe chiarire ma Marta non ne vuole sapere, finché dopo l'ennesimo sms lo chiama. Sembra che il fraintendimento sia superato, quando compare sulla scena Carlo. I due ragazzi trascorrono la serata insieme per festeggiare il nuovo lavoro trovato e la pacificazione ma Marta ha la testa altrove e lascia perplesso Marco, che intuisce qualcosa senza lasciarla trapelare. Il ragazzo incontra nel nuovo impiego Elisa, una matura manager frustrata nella vita sentimentale. E' ricca e facoltosa e lo invita nella casa di campagna, diventando il suo amante. Marta viene irretita da Carlo, un uomo maturo che ama impersonare la figura di Master, e viene coinvolta in una relazione sadomaso. Le loro strade divergono e sono destinate a separarsi definitivamente, se tra i due giovani non ci fosse un patto di mutuo aiuto. Alla vigilia delle ferie d'agosto Marta chiede il soccorso di Marco per rompere la spirale di amore-schiavitù con Carlo. Il ragazzo la soccorre ma è combattuto tra mille dubbi: se proseguire il rapporto con Elisa, troppo diversa e troppo rischiosa per via della figlia, Alice, che ha avuto un rapporto di lolitismo con un amante della madre oppure l'amore verso Marta, che non percepisce più come un tempo per via delle troppe incomprensioni tra di loro.
Il finale è a sorpresa.

LanguageItaliano
Release dateOct 28, 2015
ISBN9781311761606
Le linee parallele si incrociano
Author

Gian Paolo Marcolongo

Un giovane vecchio con la passione di scrivere. Amante delle letture cerca di trasmettere le proprie sensazioni con le parole. Laureato in Ingegneria. In pensione da qualche anno, ha riscoperto, dopo gli anni della gioventù, il gusto di scrivere poesie e racconti.Non ha pubblicato nulla con case editrici ma solo sulla piattaforma digitale di Smashwords e su quella di Lulu.

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    Le linee parallele si incrociano - Gian Paolo Marcolongo

    Milano, 18 agosto 2012

    «Signorina Milango, ha notizie dei suoi genitori?» gracchiava una voce dal videocitofono.

    «Uffa! Come ve lo devo spiegare, che non so nulla dal primo agosto, quando sono partita col mio fidanzato per Cortina» rispose Alice, infastidita da quel continuo suonare alla porta e dai numerosi squilli di telefono.

    Era ritornata dalla vacanza, sotto la spinta di una telefonata della Polizia, che l'aveva messa in apprensione il giorno precedente.

    «Polizia di Stato di Milano, commissariato di Milano Centro. Parliamo con la signorina Alice Milango?» domandò un voce con accento romano.

    «Sì. É successo qualcosa?» rispose la ragazza preoccupata.

    «Ci spiace informarla che i suoi genitori sono scomparsi».

    Il gelo calò su Alice, che rimase ammutolita.

    «Potrebbe presentarsi oggi pomeriggio alle quindici presso il commissariato di Milano Centro, Piazza San Sepolcro nove? Il commissario desidera porle qualche domanda sulla loro scomparsa».

    «Sono spiacente. Sono fuori Milano. Anche volendo fare in fretta, prima delle sedici di stasera non riesco a tornare in città» disse la ragazza, che aveva riacquistato la voce. «Domani in mattinata posso essere da voi. Ma mi dica, cosa è successo?»

    «Non sappiamo nulla. Il commissario, incaricato per le indagini, desidera chiarire alcuni aspetti del caso. Quando è in città, chiami il commissario Bruno Perfidi al numero zero due otto zero sei zero cinque uno per accordarsi sull'incontro. Buona giornata, signorina Milango».

    Dal rientro era stato un continuo suonare alla porta e uno squillare di telefono. La giornata era diventata un inferno. Il commissario le aveva posto delle domande che le parevano assurde. Le aveva chiesto, dove era stata e con chi, se era in buoni rapporti coi genitori e tante altre, alle quali non aveva saputo dare una risposta.

    «I miei rapporti coi genitori? Quelli tipici tra figli e genitori! Loro fanno i cavoli loro, io i miei! Ma dove vive quel commissario?» sbottò, mentre il telefono squillava di nuovo. «E suona!»

    Quello che l'aveva infastidito maggiormente era il tono vagamente accusatorio, come se fosse la responsabile o la causa della loro scomparsa.

    Presqu'île de Giens, 26 agosto 2012

    Marco camminava di buon passo lungo la Route de la Mandrague con la sacca sulle spalle. Il sole era sorto da un paio di ore ma la temperatura si manteneva fresca. Doveva raggiungere il centro di Presqu'île de Giens per arrivare alla stazione ferroviaria di Toulon. Avevano deciso così la sera precedente. Avrebbero seguito strade diverse per il rientro in Italia. Nessuno sapeva che erano insieme, nascosti nella pineta de la Mandrague. Il segreto doveva rimanere tale. Lui avrebbe raggiunto la stazione di Toulon attraverso Hyeres, mentre lei, con la macchina a noleggio, avrebbe puntato direttamente verso Nice.

    La camiciola bianca di lino cominciava a inzupparsi di sudore. La strada non era lunga, da dove era stato lasciato, ma il caldo e la camminata aveva fatto il resto. Arrivato nell'abitato chiese informazioni per raggiungere la stazione nel suo francese stentato. Aspettò a lungo l'autobus, senza mostrare impazienza. Il viaggio per tornare a Milano non era breve e non doveva avere fretta.

    È il pedaggio che devo pagare si disse, mentre la navetta lo portava alla stazione ferroviaria. Non aveva mangiato nulla dalla sera precedente e avvertiva un certo languore. Avrebbe fatto colazione a Toulon nell'attesa del treno per Nice.

    Marco rifletteva sulla sua situazione e non sapeva cosa avrebbe fatto domani, lunedì 27, al suo rientro in azienda. Era indeciso tra il dare le dimissioni immediate e l’aspettare la fine naturale del contratto, tra due settimane. Non ne aveva parlato durante il soggiorno a la Mandrague ma adesso doveva fare una seria riflessione e prendere una decisione.

    Anche quei quindici giorni residui mi farebbero comodo pensò assorto. Potrei cercare un nuovo lavoro con minori assilli. Ma vale la pena di rimanere?

    Mentre stava ragionando su come comportarsi, gli apparve, per un attimo, la visione di una ragazza dai capelli ricci e gli occhi blu. Un velo di malinconia scese sugli occhi, che represse quasi subito. Il suo comportamento gli era rimasto inspiegabile.

    Cavoli suoi! esclamò silenziosamente. Non serve a nulla pensarci. Si sta solo male. Ora concentrati sul presente. Il passato non ritorna.

    Sul treno, che lo avrebbe condotto a Nice, avrebbe avuto il tempo per riflettere su di sé, sugli avvenimenti passati che lo avevano visto protagonista nel bene e nel male.

    Milano, 11 aprile 2011 Dalla finestra si scorgeva…

    Marco aspettava una telefonata che tardava ad arrivare e guardava fuori dalla finestra un ciliegio giapponese, tutto rosa per i fiori sbocciati dopo il lungo inverno. Era stridente il contrasto con la quercia della pubblica strada, che mostrava solo piccole foglie verde smeraldo. Un minuscolo uccello si posò su un ramo dell'albero. Tentò di indovinare senza successo quale fosse il nome di quel grazioso volatile, mentre notava un allegro via vai di gazze attorno al ciliegio.

    Aveva le spalle appoggiate allo schienale del divano letto, e ripensava alla sua vita, che assomigliava alle montagne russe del luna park per l'alternarsi di gioie e di dolori. Sogni e amori si mescolavano fra loro in maniera confusa, tutto restava impastato e informe.

    Gli sarebbe piaciuto conoscere il mondo attraverso i viaggi ma viveva solo di lavori precari e mal retribuiti. I suoi desideri rimanevano solamente sogni, proibiti e irrealizzabili.

    Era da giorni, che non riceveva chiamate. Questo lo costringeva a stare nel suo monolocale e rimuginare sullo stato attuale. Il contrasto tra l’intensa fioritura del ciliegio e il timido risveglio della quercia era simile a quello che provava dentro di sé. Avrebbe voluto ma non poteva. Aveva amato ma adesso era solo. L’ultimo lavoro si perdeva nei ricordi, mentre attendeva invano uno squillo per uno nuovo.

    «Signor Marco Pinotti? Sono Marta di Objob. Le telefono perché…». Era il dialogo immaginario che si aspettava ogni giorno da troppo tempo ma le giornate passavano e il telefono rimaneva muto.

    Marta era una simpatica ragazza, che aveva conosciuto vagando tra gli uffici dei lavori interinali. Aveva più o meno la sua età, almeno questa era la sua valutazione. L'aveva vista una sola volta, seduta dietro una scrivania. Dalla statura non definita e con una zazzera riccioluta del colore del grano maturo erano gli unici particolari fisici che gli erano rimasti impressi. Si sorprese a pensare unicamente a questi due dettagli come se il resto del corpo non esistesse.

    Ricordò che quel giorno avrebbe desiderato invitarla a mangiare una pizza ma le finanze personali glielo avevano impedito. Non poteva sgarrare dal budget di spesa giornaliero. Una pasta condita con poco sugo, accompagnata da una verdura, quella a più buon mercato, era il pasto principale del mezzogiorno, mentre alla sera un frutto e qualche cracker era quello che poteva permettersi. Il resto era destinato all'affitto del monolocale e alle bollette, che puntuali, come un treno svizzero, arrivavano tutti i mesi.

    Ormai stava raschiando il barile e, se non arrivava una chiamata, doveva dichiarare default. Percepiva l'inadeguatezza della propria esistenza in questo momento della sua vita in contrasto con la tiepida giornata primaverile serena e soleggiata.

    Non aveva nessuna voglia di alzarsi da dove si trovava.

    Dove vado? A guardare le vetrine scintillanti di offerte e gadget che non posso permettermi? A desiderare qualcosa che rimarrà semplicemente un sogno? erano le amare riflessioni.

    Marco continuava a osservare quel minuscolo volatile, che saltava di ramo in ramo, beccando ogni tanto qualcosa, immaginando che la preda fosse un piccolo insetto.

    «É dura la vita, amico? Però almeno tu puoi volare libero e cercarti del cibo. Io dipendo invece dagli altri, dai loro umori, da altre mille limitazioni. Vorrei librarmi senza vincoli nell’aria e osservare il mondo dall'alto, ma non posso».

    Distolto lo sguardo dall'uccello, lo posò sulle gazze, che parevano divertirsi, mentre giocavano tra loro in un balletto sfrenato e simpatico. Tutti all'esterno sembravano in apparenza felici, l'unico insoddisfatto era lui. Un pizzico di scoramento lo avvolse. Nei suoi pensieri prendeva consistenza l’idea di abbandonare Milano e fare ritorno a casa, da dove era partito quattro anni prima. Li cacciò via, perché avrebbe rappresentato una sconfitta cocente, una dichiarazione di resa senza condizioni, dopo essere partito con molte speranze e tanti sogni, contenuti nella sua piccola Samsonite. Era partito verso la grande metropoli, convinto di spaccare il mondo, di fare quel salto di qualità che aveva sempre desiderato ma aveva dovuto ricredersi ben presto. Aveva combattuto con vigore e determinazione per mantenere il posto e lo stipendio, che gli serviva a pagare lo stretto necessario per vivere. Aveva lavorato, facendo molte ore di straordinario per arrotondare la paga, e aveva economizzato su tutto. Quello che non poteva permettersi era ridotto al rango di desiderio.

    Un anno prima, un giorno, arrivato davanti al cancello della fabbrica, lo trovò sbarrato: un asettico volantino, con uno strano timbro, sintetizzava Società chiusa per fallimento.

    «Come chiude?» si domandò ad alta voce, osservando gli altri compagni di lavoro, ugualmente sgomenti, che si assiepavano davanti all'ingresso.

    «É fallita» disse uno alla sua destra. «Non lo sapevi?»

    «E adesso?» chiese terrorizzato al pensiero di non avere più un'occupazione.

    «Cercati un altro posto» replicò asciutto un operaio dalle mani grinzose.

    «E i miei soldi?» continuò smarrito Marco.

    «I nostri soldi?» disse amareggiato un omone con le mani in tasca. «Forse qualche spicciolo tra qualche anno, bene che vada».

    Da quel momento cominciò il suo calvario. Un lavoro di due giorni come garzone in una panetteria, un mese come facchino a scaricare merci, quindici giorni come lavapiatti. L’elenco era lungo e non valeva la pena di rinvangarlo. Ricordava solo il continuo pellegrinaggio da un'agenzia all'altra per mendicare qualche lavoro.

    Due mesi prima, era metà febbraio, passeggiando per via Cordusio nel centro di Milano, aveva letto un cartello, appeso all'interno di una vetrina 'Objob – Il posto giusto per trovare lavoro'. Scrutò il vetro, dove erano appesi i soliti cartellini, ormai ingialliti dal tempo e dal sole.

    Spinse l’uscio ed entrò.

    «Buongiorno» disse cortese, piazzandosi di fronte alla postazione, dove una bionda riccioluta stazionava davanti a un monitor.

    «Ciao, sono Marta» rispose, mostrando due splendidi occhi blu. «In che cosa posso esserti utile?»

    A Marco mancò la parola nel vederla. Deglutì in fretta col pomo d'Adamo che si muoveva freneticamente, passò la lingua sulle labbra per umettarle. «Sto cercando un lavoro…» rispose incerto.

    Appena pronunciate queste parole, pensò subito che aveva dato una risposta banale. Era stata la prima e l'unica che gli era venuta in mente. Era conscio di essere alla ricerca di un’occupazione precaria, una priorità che diventava giorno dopo giorno sempre più impellente. Anche se la necessità l'aveva indotto a entrare, pensò che Marta meritasse una visita in ogni caso.

    «Sì, ho capito» replicò con dolcezza, mostrando uno splendido sorriso. «Che tipo di lavoro? Cosa sai fare?»

    «Beh!» balbettò. «Ho lavorato quasi tre anni in una fabbrica di minuterie metalliche come…». E si interruppe incantato, prima di completare il discorso. «Ero assegnato alla selezione dei pezzi per le verifiche e i controlli a campione. Un lavoro delicato. Poi l’azienda è fallita e nell'ultimo anno ho svolto molti lavoretti. Garzone, operaio, cameriere…».

    «Ho compreso» lo interruppe la ragazza, aggrottando leggermente la fronte.

    Marco la trovò deliziosa. Quasi stava dimenticando il motivo per il quale era entrato.

    «Non hai trovato niente di meglio?» chiese non troppo sorpresa.

    «No, purtroppo» disse Marco amareggiato. «Per quel lavoro chiedono una laurea. Sai, ho solo il diploma di un istituto professionale per l’industria e l'artigianato. Ero bravo nel mio lavoro, così dicevano. Tuttavia sembra che sia servito a poco».

    Marta abbassò lo sguardo e cominciò ad armeggiare col computer.

    «Mi spiace» disse con tono di scusa, «non c’è nulla al momento di adatto al tuo profilo. Se vuoi lasciarmi i tuoi dati, nel caso che…».

    Lui la guardò smarrito. Disse che avrebbe accettato un qualsiasi lavoro, perché non poteva rimanere senza un’occupazione. Sono in affanno economico, ammise senza vergognarsi.

    La ragazza gli diede alcuni indirizzi. Una piccola scintilla sembrava scoccata tra loro, almeno questa era stata l’impressione di Marco. Le lasciò i suoi dati e il numero di telefono.

    «Se capita qualcosa, ti chiamo» disse Marta. E si salutarono.

    Lui stava aspettando la telefonata, perché quegli indirizzi erano stati fonte di delusioni cocenti. Lavori umilianti, sottopagati. Però era meglio di niente. Si erano esauriti in fretta e adesso era nuovamente in attesa. I soldi stavano finendo senza prospettive a breve termine. Aveva cercato in altre agenzie di lavoro interinale. La risposta era stata sempre la stessa Non abbiamo nulla per lei. Aveva provato a inviare qualche curriculum ma tutto era rimasto muto. La crisi stava mordendo tutti e nessuna azienda si sbilanciava ad assumere, anche temporaneamente, qualcuno.

    Da quel fortuito incontro erano passati quasi due mesi, senza che la ragazza si fosse fatta viva. La speranza di risentirla era ormai svanita. Continuò a guardare gli uccelli che volavano liberi da un ramo all’altro, dal ciliegio alla quercia. Era deluso e amareggiato quando risuonò una musichetta familiare, quella dei Doors. Osservo il display numero privato e toccò il tasto verde per rispondere.

    «Ciao! Sono Marta». La ragazza fece una pausa. «Ti ricordi? Quella di Objob…».

    «Ciao!» rispose Marco con entusiasmo, risollevandosi dal triste mutismo che l’aveva travolto. «Certo che mi ricordo di te!»

    «C’è una buona opportunità! Cercano una figura professionale come la tua. Contratto a progetto. Mesi sei più un'opzione per altri sei. Milleduecento euro al mese circa con buone prospettive per il futuro…» disse tutto d'un fiato.

    «Oh!» fu l’unica risposta di Marco.

    «Ma di questo ne parliamo dopo» continuò la ragazza. «Volevo invitarti a mangiare una pizza…».

    Lui fu colto dal panico. Fece un rapido calcolo: in cassa rimanevano disponibili solo cento euro. Dunque era impensabile uscire con Marta. Stava per dire qualcosa, quando riudì la voce della ragazza.

    «Volevo dirti…». Fece una breve pausa, perché aveva compreso l'imbarazzo. «La pizza la preparo io. La mangiamo a casa mia, se sei libero».

    Marco percepì che l'ansia andava scemando. Pareva che il sogno diventasse realtà. «Sì! Vengo volentieri!» rispose con entusiasmo. «Ho due coke in frigo. Per festeggiare».

    La ragazza riassunse il suo tono professionale.

    «Se mi dai l’okay, cominci domani» fece Marta. «É una bellissima opportunità! Devi portare la scheda professionale del lavoratore, che immagino tu abbia. Stasera ti spiego tutto. Alle otto».

    «Dove?» replicò, prima che lei chiudesse la conversazione. «Non so dove abiti».

    «É vero!» disse Marta ridendo. «In via della Vittoria. Al tredici. Sai dove si trova?»

    «Sì. Alle otto» rispose il ragazzo. «Ma quale campanello suono?»

    «Che sbadata! Mi sembra di conoscerti da una vita. Do per scontato che tu sappia tutto! Mercuri. Terzo piano interno cinque. Ciao! É entrato qualcuno».

    A Marco sembrò di udire uno schiocco di labbra prima del segnale di libero. Forse erano solo fantasie, stimolate dall'eccitazione dell'invito.

    Una magnifica serata

    La serata era stata magnifica. Il fuori programma ci voleva proprio si disse, mentre rincasava a piedi ben oltre la mezzanotte. Ho dovuto bere troppi sorsi amari negli ultimi mesi senza possibilità di evitarli. Sì, ci voleva proprio.

    L'autobus lo aveva depositato nelle vicinanze dell'ingresso Brenta della metropolitana, che aveva trovato sbarrato. Alzò gli occhi verso l’orologio posto sul marciapiede, per comprendere i motivi della chiusura.

    «Dodici e quarantotto» disse ad alta voce. «Accidenti, come è tardi».

    Aveva perso l’ultima corsa del metrò, non gli rimaneva che camminare sotto un cielo stellato in una città deserta e silenziosa. Non si era nemmeno troppo arrabbiato al pensiero della lunga camminata che lo aspettava. Le fresche immagini della sera appena trascorsa erano nitide. Queste gli erano sufficienti.

    Marta era stata una padrona di casa impeccabile. La tavola era stata preparata con cura: una candela rossa al centro, circondata da una piccola ghirlanda di agrifoglio fresco, la tovaglia bianca di fiandra e i piatti bordati di oro zecchino. Forse

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