Sherlock Holmes e il tempio della Sibilla
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Sherlock Holmes e il tempio della Sibilla - Luigi Brasili
9788865309209
Prologo
Gli anni oramai non più verdi, e le esperienze accumulate nel corso delle tante avventure al fianco del mio buon amico Holmes, dovrebbero costituire motivo sufficiente per non farmi coinvolgere più di tanto dalle coincidenze che ognuno di noi incontra sovente nel proprio cammino. Eppure a volte l’irrazionalità prende corpo nella psiche umana in modo così potente da obnubilare il processo logico e ordinato sul quale dovrebbe basarsi il comportamento di una persona equilibrata. E a maggior ragione se si tratta di un uomo votato alla scienza e al raziocinio, come per esempio un medico di lunga esperienza quale io sono.
Ma ciò che mi è capitato quest’oggi mi ha colpito talmente in profondità da farmi riflettere a lungo su quanto sia difficile, se non impossibile, voltare la schiena a determinati segnali e fare finta che essi non si siano mai verificati. Sono quindi giunto a una conclusione inevitabile, ovvero che questo è il momento di mettere per iscritto il resoconto di quei giorni lontani che in terra italiana mi videro testimone, per l’ennesima volta, del grande talento di quell’uomo straordinario chiamato Sherlock Holmes.
Prima di tutto, però, prima di passare a raccontare di quell’avventura, è giusto e necessario spiegare in dettaglio come mai solo oggi, dopo tanti anni, mi accingo a scrivere di quei fatti distanti nel tempo e nello spazio. Chi è versato alla scrittura sa bene che molte delle storie che egli ha dentro di sé seguono spesso percorsi intricati, e solamente alcune di esse giungono a vedere la luce dell’inchiostro. E così, per ogni storia che si racconta, molte altre restano in una sorta di limbo senza mai uscirne. E quelle che invece superano quelle barriere invisibili possono impiegare anche anni e anni prima di liberarsi dal giogo al quale l’autore stesso, consapevole o meno, le ha incatenate. Le cause per le quali una storia venga raccontata a breve distanza dal momento in cui si è verificata, mentre un’altra resti sepolta in un angolo remoto della memoria, sono molteplici: può accadere, per esempio, che nei giorni immediatamente successivi a un determinato accadimento degno di essere narrato, si verifichi un altro fatto che spinge uno scrittore a concentrarsi altrove; e può altresì succedere che di lì a poco ci si ritrovi coinvolti in altre problematiche, personali o meno; e di conseguenza con il passare del tempo una storia può lentamente essere accantonata lasciando spazio ad altre, fino a quando, un giorno particolare, quasi all’improvviso, il ricordo riemerge dalle profondità che l’hanno quasi oscurato del tutto e bussa perentoriamente alla porta di colui che a lungo ha rimandato l’appuntamento. Nel caso di questa storia che mi accingo a raccontare, il giorno fatidico è proprio quello appena trascorso.
Coincidenze o meno, il compito di un uomo è anche quello di saper riconoscere un segnale, e comportarsi di conseguenza. Nel mio caso, altro non posso fare che prenderne atto e dare voce ai fatti che bussano alla mia porta, troppo a lungo chiusa.
Capitolo 1. Una piacevole passeggiata
Era diverso tempo che non mi recavo dalle parti di Baker Street, forse perché la vista di quella casa che ha avuto una parte così importante e determinante della mia vita, ora che appartiene al passato, mi provoca ogni volta sentimenti contrastanti, e probabilmente è per questo motivo che nelle mie passeggiate evito puntualmente di passarvi davanti.
In effetti, a proposito delle coincidenze di cui accennavo all’inizio di questo mio resoconto, è stato un puro caso se oggi mi sono trovato mio malgrado a giungere davanti alla porta del numero 221B e a sfiorarla con la mano. Probabilmente se non si fosse verificata quella insolita sequenza di fatti non sarei giunto fin lì. Ma tant’è.
Innanzitutto mi preme evidenziare come questa domenica appena trascorsa sia stata una giornata davvero singolare per il clima novembrino tipico della città di Londra. L’aria insolitamente tiepida e il cielo di un azzurro intenso, senza neanche un accenno di nuvole, mi hanno convinto a spingermi nella mia passeggiata domenicale fino al giardino di Hyde Park. Verso mezzogiorno, accaldato e affamato, ho pensato di scendere in metropolitana, per quanto non ami molto viaggiare sottoterra, in modo da raggiungere velocemente la National Gallery e provare a rintracciare un mio caro collega, il dottor Cyrus Mariner, che ha l’abitudine di visitare spesso il museo, abitandovi molto vicino; ero certo che la sua passione per l’arte l’avrebbe spinto ad approfittare del giorno di festa e dell’apertura di un nuovo allestimento. In ogni caso, qualora non lo avessi incontrato sul posto, avrei impiegato poco tempo per recarmi al suo alloggio e proporgli di pranzare insieme in qualche ristorante con giardino, per godere di quel bel sole fuori stagione.
Non appena varcata la soglia d’ingresso dell’edificio ho incontrato uno dei funzionari, mi pare si chiami Barrech se non vado errato, il quale mi ha fatto un cenno di saluto e si è avvicinato. – Dottor Watson, che piacere vederla! Ha visto che bella giornata? Ne stavo giusto parlando poc’anzi con il suo amico, il dottor Mariner… a proposito, l’ho lasciato cinque minuti fa nella sala dei pittori del Seicento…
Ho ringraziato il funzionario e dopo averlo salutato mi sono diretto senza indugio nella sala indicatami dal signor Barrech.
Quando sono entrato ho visto subito il mio amico intento ad ammirare uno dei quadri esposti. Mi sono avvicinato con l’intenzione di chiamarlo sottovoce ma mi sono fermato a pochi passi da lui, attirato dalle immagini di un dipinto nel mezzo della sala. Mi sono soffermato a guardare l’intera scena e subito il ricordo è resuscitato dalle pieghe della mia memoria. Si tratta di una tela raffigurante dei pastori che fanno abbeverare le bestie lungo l’argine di un fiume. In alto, a dominare tutto, il profilo a me familiare del tempio di Vesta, la superba opera monumentale che si trova nella città di Tivoli, a pochi chilometri da Roma. E sulla sinistra del tempio la cascata, altrettanto famosa e imponente. Persino il nome d’arte dell’autore del dipinto ha rafforzato in me la spinta di quell’onda neuronale: Lorrain, quasi lo stesso nome di colei che tanta parte ebbe in quel caso che con Holmes ci trovammo ad affrontare all’ombra di quell’antico tempio.
Ma se il processo emozionale di quel momento al museo è stato travolgente come la cascata del dipinto, ancor di più lo sarebbe stato di lì a poco, a completare l’incredibile sequenza di eventi che mi ha convinto a prendere in mano la penna proprio adesso, a quest’ora ormai tarda della domenica che sta per finire.
– Watson! Che ci fa qui, non dica che è venuto a cercare me! Ma che succede? La vedo pensieroso, cosa la preoccupa?
La voce squillante del dottor Mariner ha avuto il potere di farmi tornare al presente, allontanandomi seppur per un breve lasso di tempo dalla ragnatela di ricordi che mi stava avviluppando.
– Amico mio! Sì, in effetti sono venuto esattamente a cercare lei, volevo proporle di pranzare insieme approfittando di questa bellissima e inconsueta giornata di sole… E stia tranquillo, la ringrazio per essere così attento alla mia salute, ma sto bene, ero solo un po’ pensieroso, quando si invecchia capita sovente di perdersi nei ricordi, lei che è ancora giovane lo capirà più in là… ma prego, se non ha già impegni le propongo di uscire subito, stamane ho passeggiato a lungo in Hyde Park e sono terribilmente affamato…
Mariner ha accettato di buon grado il mio invito e nemmeno mezz’ora più tardi eravamo già intenti a mangiare un ottimo boeuf bouguignon nell’elegante portico di un ristorante specializzato in cucina francese.
Dopo il lauto pranzo il mio amico mi ha proposto di aiutare la digestione con una passeggiata a Regent’s Park: – Caro Watson, ho sentito dire che da alcuni giorni nell’area del parco si è stabilita una compagnia circense che vanta tra le attrazioni principali una certa madame Saknussemm, la quale, a dire di molti, è una delle più grandi veggenti mai viste!
Nel sentire quel nome confesso che ho provato una forte inquietudine, e soprattutto ho avuto la conferma che questa domenica sarebbe rimasta impressa nella mia memoria in modo indelebile…
Lungo il tragitto verso il parco ho avuto modo di rimuginare sulle circostanze che sembravano spingermi con forza a ricostruire i fatti relativi all’avventura che sto per raccontare: in primo luogo la giornata così mite e soleggiata al punto da sembrare una di quelle bellissime giornate che a Roma e dintorni taluni chiamano ottobrate romane, quando l’autunno dà l’impressione di avere nostalgia dell’estate; inoltre quel quadro al museo che non avrei certo visto se avessi incontrato Mariner in un’altra ala; e poi il nome dell’autore del dipinto, lo stesso di quella donna che all’epoca diede un bel pensare al mio amico Holmes; e, infine, quella veggente di cui mi aveva appena parlato Mariner, che ero sempre più curioso e ansioso di conoscere.
Capitolo 2. La veggente
Siamo entrati nel parco dopo aver percorso la Outer Circle per un breve tratto e ci siamo ritrovati nel mezzo di una folla variegata, in parte diretta allo zoo e in parte, piuttosto consistente, al tendone del circo piazzato a metà strada tra il giardino zoologico e la Inner Circle. Nonostante la grande affluenza non abbiamo impiegato molto tempo per comprare i biglietti e accomodarci all’interno, su una delle panche in prima fila. Lo spettacolo è iniziato pochi minuti dopo con l’esibizione di un gruppo di clown accompagnato da uno scimpanzé. A seguire un classico numero di saltimbanchi e poi un illusionista. Devo confessare che sono stato poco preso dalle esibizioni, molto apprezzate invece dal resto del pubblico; persino il compassato dottor Mariner annuiva ed esclamava spesso la sua approvazione, lisciandosi i baffetti con soddisfazione tra un numero e l’altro oppure giocherellando con il curioso portachiavi a forma di stetoscopio di cui non si libera mai. Il fatto è che ero concentrato nell’attesa di assistere all’arrivo della veggente, e dannatamente curioso di vedere chi fosse.
Finalmente, quando è giunto il momento atteso, mi sono rilassato, in parte ero anche forse deluso rispetto alle mie aspettative. Fin lì ero stato combattuto tra due sensazioni contrastanti: la curiosità quasi ansiosa di vedere in volto quella donna e il timore irrazionale di essere travolto ancora di più da quei ricordi che ormai mi stavano pressando. Al momento dell’entrata in scena della veggente hanno abbassato le luci e dalla mia postazione, seppur vicina, ho potuto scorgere solo le ombre in movimento degli addetti alla sistemazione della scenografia. Poi si è fatto completamente buio e per alcuni lunghi istanti è calato il silenzio assoluto. Infine la voce stentorea di un annunciatore ha declamato il nome della veggente e le luci sono esplose sui volti timorosi assiepati sulle gradinate.
Madame Saknussem, al centro dello spiazzo circolare, sedeva su una poltrona di velluto posta sopra un piccolo palco di legno. Ai piedi della struttura un uomo con una tunica e un cappuccio sulla testa, entrambi scuri, girava una manovella. La donna, la testa reclinata e coperta da un velo rosso, teneva le mani guantate in grembo come se fosse stata raccolta in preghiera oppure addormentata. Tra le dita accarezzava una specie di grosso rosario che scendeva dal colletto lungo il vestito bianco, ricoperto da ricami variopinti con motivi astrologici. L’azione dell’uomo faceva sì che la poltrona girasse lentamente su se stessa, consentendo alla donna di fronteggiare ogni spettatore senza doversi muovere dalla sua posizione. La manovella si è fermata quando la donna ha alzato la testa e la mano destra, puntando l’indice verso qualcuno seduto a qualche metro alla mia sinistra.
– Lei che siede sulla quarta gradinata, con i capelli grigi e i baffi scuri, vuole farmi una domanda, lo sento!
La voce stridula e il volto raggrinzito, il mento pronunciato e ossuto, quasi mascolino, cozzavano del tutto con le mie aspettative: nulla a che vedere con quell’ovale radioso, gli occhi luminosi e profondi come il mare, della bellissima veggente che incontrai all’epoca dei fatti avvenuti durante il caso del tempio. D’altronde non mi aspettavo di certo di rivedere la signorina Lorraine in carne e ossa, ma in qualche modo mi ero ingenuamente persuaso che al circo avrei visto una donna di altrettanta bellezza. Cionondimeno, c’era qualcosa di molto profondo e ammaliante anche in quello sguardo sepolto tra le rughe del volto di madame Saknussemm.
Mentre mi dibattevo tra delusione e sollievo, l’uomo interpellato si era messo in piedi e aveva iniziato a parlare, visibilmente scosso.
– È vero, signora. Io provengo dal Galles, ma vivo da molti anni a Reading e spesso lavoro qui in città, come in questi giorni. Quest’oggi sono venuto appositamente per incontrarla, avendo sentito molto parlare di lei e dei suoi poteri; si dà il caso che la mia amata moglie è scomparsa ieri l’altro mentre si recava qui a Londra in visita a sua sorella ammalata. Ho controllato in tutti gli ospedali della città e presso la morgue ma non sono riuscito a venirne a capo nemmeno con l’aiuto della polizia, e sono molto disperato. La prego, mi aiuti a ritrovarla!
La donna ha annuito e ha chinato la testa. Il silenzio è calato di nuovo. Ho provato molta pena per quell’uomo, so bene cosa significhi trovarsi all’improvviso senza avere al fianco colei che possiede il nostro cuore.
Gli occhi della donna hanno ammiccato.
– Naturalmente la polizia non le ha dato molta importanza, vero?
L’uomo si è fregato le mani nervosamente e ha tossito. – Si, loro sono molto impegnati in questo periodo, pare siano sulle tracce di un pericoloso criminale evaso dal carcere e hanno pochi agenti disponibili per fare ricerche accurate per casi come il mio…
– E ovviamente il giovane poliziotto che si occupa del suo caso non è in grado di svolgere così tanto lavoro…
– Esattamente, ma come fa a sapere che si tratta di un giovane poliziotto? Oh mi scusi…
La folla ha rumoreggiato ammirata, ovviamente, ma io, che ho la mia esperienza, non ci ho visto nulla di straordinario: è scontato che i casi minori, specie quando si tratta di persone comuni e poco influenti come il malcapitato signore, vengano affidati a poliziotti giovani e inesperti.
– … E lei, si trovava già qui a Londra ad attendere sua moglie, perché impegnato per lavoro, e quando, presentandosi a casa della sorella di sua moglie non l’ha trovata, è corso subito alla polizia…
L’altro ha annuito ancora, senza commentare. A giudicare dall’aspetto dei suoi abiti, leggermente stazzonati e non nuovissimi, per quanto di buona stoffa seppur non pregiata, ne ho dedotto che l’uomo fosse un impiegato di un certo livello, forse un venditore o un contabile responsabile di qualche filiale.
– Credo che faccia meglio ad andare, signore. Sua moglie è appena giunta a Londra e la starà aspettando a casa di sua sorella…
– Ma come? Ho cercato di chiamare al telefono in città, ma purtroppo il maltempo dei giorni scorsi ha danneggiato le linee e il telegramma che ho inviato oggi è tornato indietro perché non è stato trovato nessuno in casa, così mi hanno detto dall’ufficio postale…
– Il maltempo ha danneggiato anche la linea ferroviaria, signore… e quindi il treno su cui era salita sua moglie ieri l’altro non è mai partito. E poiché i telefoni non funzionavano non ha potuto avvisarla.
– Ma mi avrebbe inviato un telegramma allora!
La donna ha scosso la testa. – La linea telegrafica e quella ferroviaria di Reading sono state ripristinate solo all’alba di oggi, e sua moglie non ha potuto perciò rintracciarla né muoversi fino a qualche ora fa… Se il poliziotto che si occupa del suo caso fosse stato un po’ più solerte le avrebbe risparmiato preoccupazioni inutili.
L’uomo è