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Loreto dal 1789 al 1815
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Loreto dal 1789 al 1815

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Questo libro racconta gli avvenimenti della vita politica e sociale di Loreto dal 1789 al 1815, indagando come le autorità politiche e la popolazione hanno sentito e vissuto quel tormentato periodo.
Vengono evidenziare le condizioni economico-sociali del territorio prima che le armate francesi depredassero la città di Loreto e diffondessero gli ideali giacobini.
Il libro riporta episodi legati ai fenomeni delle Insorgenze e del brigantaggio, e descrive la reazione degli abitanti del luogo di fronte alle truppe francesi e murattiane nei ventisei anni che intercorrono tra la presa della Bastiglia (1789) e la Battaglia di Tolentino (1815).
Viene infine esaminata la situazione politico-sociale della città di Loreto durante la prima restaurazione pontificia fino al 1808 e la riorganizzazione politico-amministrativa del Regno d’Italia (1808-1815).
La pubblicazione del presente lavoro cade nel duecentoventesimo anniversario della depredazione francese e dell’ingresso del generale Napoleone Bonaparte a Loreto.
LanguageItaliano
Release dateMay 11, 2017
ISBN9788827544723
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    Loreto dal 1789 al 1815 - Francesco Maria Clementi

    Cicerone

    PREFAZIONE

    Il mio primo incontro con Francesco Clementi risale al 2007, quando si presentò alle selezioni in qualità di aspirante volontario per il Servizio Civile Nazionale, presso la Pro Loco Felix Civitas Lauretana. La grande passione con la quale è solito approcciarsi a una nuova esperienza, caratteristica che sin dall’inizio è rimasta impressa nella mia memoria, è anche il tratto che ne caratterizza e risalta la personalità.

    Francesco si è già cimentato con i ricordi del periodo della Grande Guerra producendo un brillante lavoro, essenziale per comprendere il clima che si respirava in quegli anni a Loreto, ricco di simpatici aneddoti commisti a pagine di documenti storici intrisi della drammaticità dell’evento in fieri.

    L’amore per la sua città e per la storia in genere l'ha condotto alla stesura di un nuovo lavoro di ricerca, stavolta incentrato in uno dei periodi più turbolenti e appassionanti della storia moderna.

    Napoleone ha saputo incarnare il ruolo di anima del mondo e al contempo è ricordato da tanti, nella periferia dell’ex-Regno Pontificio, come predatore di opere d’arte.

    Qual è la verità? Il condottiero cisalpino è da considerarsi eroe o predone?

    Francesco sviluppa il suo nuovo testo raccontando i fatti storici con semplicità, riportando accuratamente la documentazione rinvenuta grazie ad un lavoro lungo e certosino sotto la polvere di archivio vecchia di duecento anni.

    Così le carte scritte riprendono vita e raccontano la verità in loro contenuta sugli anni che sconvolsero il mondo, nel nostro territorio, nella nostra tranquilla realtà di frontiera. Una dimensione che sembrava essere destinata a sparire dietro la spinta innovatrice della ratio illuminista.

    La Pro Loco Felix Civitas Lauretana vede nel lavoro di Francesco l’espressione della propria identità di Associazione che si adopera nel trasmettere la conoscenza del passato esorcizzando l’oblio della memoria.

    In questo periodo di grande difficoltà per le giovani generazioni è bello poter salutare l’impegno di un ragazzo che, con grande sacrificio, ricostituisce tassello dopo tassello un ponte con la nostra grande storia, convinti che la cultura può e deve essere un punto di ripartenza per il nostro bel Paese.

    Maurizio Pangrazi

    Presidente Pro Loco Felix Civitas Lauretana

    NOTA DELL’AUTORE

    Mi sono proposto con quest’opera di riportare alla luce i cambiamenti politici, economici e culturali che si sono verificati nella città di Loreto dalla Presa della Bastiglia (14 luglio 1789) alla battaglia di Tolentino (2-3 maggio 1815) e parallelamente all’ascesa e al tramonto di Napoleone Bonaparte.

    La lettura dell’opera, inizialmente, potrebbe risultare ripetitiva in quanto vengono riportati gli Ordini del giorno e i numerosi consiglieri che si alternarono nelle diverse amministrazioni locali, indette durante il periodo preso in considerazione.

    In realtà il mio obiettivo è stato quello di evidenziare i continui cambiamenti che la Magistratura lauretana ha dovuto subire a seguito degli eventi politici e bellici che si verificarono in Europa e di conseguenza nello Stato pontificio nel quale la città di Loreto aveva una posizione rilevante.

    Ho riportato anche le vicende legate a diversi esponenti locali: Luigi Sertori, Presidente della municipalità di Loreto durante la Repubblica romana (1798-1799) che cercò di rendere la città più laica; il marchese Giannuario Solari, che, dopo aver ricoperto vari incarichi amministrativi, fu podestà di Loreto. Della stessa famiglia, ho voluto ricordare anche il marchese Pietro Paolo e suo figlio Filippo Maria che tennero una particolare corrispondenza con importanti personalità ecclesiastiche e laiche dell’epoca (mons. Filippo Casoni e il conte Monaldo Leopardi).

    Rilevanti furono alcune figure ecclesiastiche dell’epoca; oltre a mons. Ludovico Sensi, governatore della città e vicario generale della Parrocchia di Loreto, che favorì l’entrata dei francesi a Loreto, devono essere annoverati don Vincenzo Murri, sacerdote filo papalino, autore degli Annali Lauretani, le cui parti del manoscritto sono presenti nel mio lavoro; don Gaetano Bernardini membro all’associazione massonica locale Fede Silvestrina.

    Infine è opportuno ricordare la figura dell’abate Joseph Anton Vogel, insigne studioso che ha introdotto un metodo scientifico negli studi archeologici e del quale ricorrono i 200 anni della morte.

    Ho voluto nominare anche il calzolaio Franco Arbuatti che condivise le idee della Rivoluzione francese e il commerciante Giuseppe Stegher, più volte consigliere comunale, il quale, come tutti gli altri loretani legati economicamente al fenomeno del pellegrinaggio, era preoccupato non tanto per gli avvenimenti storici ma per le conseguenze che questi avrebbero avuto sul piano economico.

    La maggior parte della popolazione, invece, assunse un atteggiamento ostile verso il dominio francese nei confronti del quale sfociarono episodi o nel brigantaggio o nel fenomeno delle Insorgenze.

    Con questo lavoro ho voluto sottolineare che nonostante i saccheggi subiti, l’amministrazione francese riconobbe alla città di Loreto privilegi politici a differenza delle città limitrofe, per la sua importanza religiosa che all’epoca aveva in Europa.

    Sono stati utili per curare questo lavoro le consultazioni degli Archivi di Stato di Ancona e Macerata, la Biblioteca comunale Mozzi Borgetti di Macerata, il Centro Nazionale e Internazionale di Studi Leopardiani di Recanti, la Biblioteca A. Moroni di Porto Recanati, l’Archivio Storico della Santa Casa di Loreto (ASSC), l’Archivio comunale di Loreto e l’archivio privato della famiglia Solari presso l’monimo palazzo e le pubblicazioni di Padre Santarelli e Padre Grimaldi e di altri studiosi locali che in passato hanno affrontato alcuni aspetti di questo periodo lungo e di transizione.

    RINGRAZIAMENTI

    La stesura di questo libro è stata possibile grazie a coloro che mi hanno dato l’opportunità di documentarmi.

    Anna Foschi, figlia dell’Onorevole Franco Foschi, la quale mi ha indicato alcuni manoscritti del padre, utili alla stesura del lavoro; il marchese Luigi Solari, che mi ha messo a disposizione l’archivio di famiglia; suor Luigina Bussani, direttrice dell’Archivio Storico della Santa Casa e la sua collaboratrice dott.ssa Katy Sordi; il dott. Alessandro Finucci, responsabile della Biblioteca Attilio Brugiamolini di Loreto.

    Alla pubblicazione del libro hanno collaborato l’Associazione Pro loco Felix Civitas Lauretana, attenta a non far cadere nell’oblio la storia di questa città, l’Assessorato alla cultura di Loreto e il mio caro amico Stefano Tombolini.

    LORETO DAL 1789 AL 1794

    Nell’estate del 1789, con l’assalto alla Bastiglia, (14 luglio) e con la proclamazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto) ebbe inizio la Rivoluzione francese. 

    Prise de la Bastille(1789), Jean-Pierre Houel (1735-1813)

    L’Europa e la penisola italiana, nei confronti di questi eclatanti episodi, rimasero a guardare più incuriosite che inquiete.

    L’unico stato a essere un po' allarmato per i fatti francesi fu lo Stato pontificio di Pio VI (1717-1799).

    Le prime notizie riguardo la Rivoluzione francese, giungevano a Roma e nel resto dello Stato pontificio tramite le gazzette locali che ingigantivano, passando da voce a voce, i fatti transalpini, riportando non tanto le rivolte, il malessere popolare e le uccisioni dei nobili, quanto la preoccupazione che poteva rappresentare la concretizzazione dei principi illuministi già diffusi in quasi tutte le corti europee[1], e in particolare nei confronti della ‘religione Cattolica nella terra Gallica’"[2].

    La Chiesa di Roma, alle soglie della rivoluzione, era vittima di un ostile isolamento promosso dai sovrani europei allo scopo di limitarne le prerogative[3]. Inoltre negli ultimi anni, le finanze dello Stato pontificio erano completamente stremate a causa della nuova politica mecenatesca che era stata introdotta da Clemente XIV (1705 – 1774, pontefice dal 1769 alla morte), predecessore di Pio VI.

    Nonostante ciò, durante il pontificato di questi due papi, vennero introdotte alcune riforme nel sistema delle comunicazioni (sistema viario), in quello postale e sanitario; è da ricordare che, durante il pontificato di Pio VI, avvenne la prima bonifica delle pianure pontine per combattere malaria e dare nuovo slancio all’agricoltura locale.

    Le notizie sugli avvenimenti del 1789 arrivarono anche nella Marca di Ancona (avente come capoluogo Macerata dal XVI secolo) che si propagarono tra le classi dirigenti locali (nobiltà di spada e nobiltà di toga, cresciuta sempre all’ombra del potere temporale dei papi ed enormemente aumentata durante il XVIII Secolo) e nell’indifferenza generale della popolazione, un disinteresse che nasceva non solo dal distacco per eventi lontani, ma dalla stessa incomprensione per i termini della lotta.

    L’Antico Regime nella Marca d’Ancona era caratterizzato dal numero dei corpi intermedi che variavano da comune a comune, a seconda della loro fondazione storica e dei governi soggetti direttamente a Roma, baluardo d’interessi e privilegi particolaristici.

    Loreto, che nel 1789 contava 7.497 abitanti, era amministrata da un Consiglio di credenza formato dal gonfaloniere marchese Pietro Paolo Solari (1737-1827), il primo capitano de reggimento Pier Umberto Micozzi e il secondo capitano de reggimento Pasquale Bozzi, dal consigliere anziano (sindico) e da due consiglieri che si alternavano ogni tre mesi. Il Consiglio generale era formato da seguenti consiglieri: Domenico Amedei, Pierfrancesco Belli, Filippo Bologna, Domingo Borghi, Giacomo Borghi, Filippo Ciccani, sindico (consigliere anziano) Giovanni Doffo, Pietro Fagioli, Giovanni Galassi, Antonio Loviselli, Antonio Mongardini, Conte Antonio Maria Plebani, Cesare Pignotti, Marco Rossi, Pasquale Rozzi, Francesco Schizzati, marchese Lorenzo Solari (1733-1809)[4], Giuseppe Stegher, Giuseppe Vennetti; dal 1780 ricopriva la carica di scrittore de verbali Ermete Manni. Come in tutte le città dello Stato pontificio, all’interno delle magistrature cittadine c’erano dei referenti ecclesiastici per evitare che si promulgassero atti legislativi contro i principi della chiesa; a questo proposito ricordiamo: don Gino Bravi e don Matteo Santilli, in carica dal 1787.

    Un’importante magistratura era la Congregazione lauretana istituita il cinque agosto 1698 da Innocenzo XII (1615-1700)], che aveva la sua sede a Roma, e dopo la soppressione della figura del Protettore, assumeva anche il governo della città di Loreto nella figura del governatore della Santa Casa. Questa magistratura ecclesiastica era assegnata al cardinale segretario di Stato e ne facevano parte il datario, il segretario dei brevi, l’uditore del pontefice, il commissario della Camera Apostolica, e il sottodatario in qualità di segretario della Congregazione.

    La Congregazione lauretana aveva il compito di regolare le elezioni, prorogarne il tempo e dichiararne la validità o invalidità nei casi di dubbio; aveva il potere di fare iscrivere nelle liste i cittadini/candidati alla carica del gonfaloniere; invalidare gli atti del magistrato; emanare disposizioni e provvedimenti per l’igiene e la quiete pubblica.

    La magistratura ecclesiastica non poteva però privare ai consiglieri il diritto di partecipare al seggio nè quello di estrarre a sorte i magistrati.

    Oltre al governo civile della città, la Congregazione lauretana ereditava gli ampi poteri del protettore e quindi aveva competenza sull’amministrazione spirituale e temporale della Santa Casa con delega, la prima, al vescovo e, la seconda al governatore residente in loco.

    Sotto il profilo giuridico, il governatore istruiva il processo e trasmetteva poi gli atti alla Congregazione lauretana che pronunciava la sentenza nelle adunanze generali, commettendone l’esecuzione al governatore o alle autorità dove era stato istruito il processo.

    La classe politica loretana era cresciuta all’ombra del Santuario e del potere economico e politico della Santa Casa, escludendo così la formazione di un ceto nobile locale, com’era accaduto nelle altre città della Marca di Ancona.

    Il resto della popolazione della città di Loreto, come in tutta Europa dell’Ancien Régime, non partecipava alla vita politica e subiva passivamente le decisioni delle classi dirigente.

    Loreto allora era molto diversa da quella di oggi. Secondo una planimetria del 1816, la città era suddivisa in due parti: intra moenia, corrispondente al nucleo abitativo dentro le mura leonine, extra moenia corrispondente all’Ampliamento sistino fuori le mura (Montereale vecchio, Montereale Nuovo, Costa d’Ancona e la Piana). Intorno al Torrione maggiore e a Porta marina, si era formato un piccolo nucleo abitativo che, secondo notizie dell’epoca era popolato da abitanti d’estrazione bassa[5] e che attualmente corrisponde a Via delle Casette. In prossimità di questa strada, esisteva un luogo adibito a ricovero, per le persone colpite da malattie contagiose; molto spesso, per evitare contatti e diffusione, si chiudeva Porta marina. Esistevano inoltre due località considerate periferiche: Villa Musone e Via Costantina.

    Villa Musone, cresciuta intorno all’asse viario principale, era abitata da chi considerava il fiume quale fonte principale di sostentamento, come carrettieri, lavandaie, mugnai. La popolazione di Villa Musone era estranea e indipendente dall’attività legate alle forme di pellegrinaggio.

    Gli abitanti di Via Costantina (sulla dorsale del promontorio) erano mezzadri, coloni, allevatori e piccoli artigiani che collegavano la loro attività alla campagna. Per raggiungere Via Costantina vi era Via della Bufolareccia o Via della marina perché portava verso il porto di Recanati[6].

    Il resto del territorio era completamente adibito all’agricoltura; qua e là potevano trovarsi abitazioni di media grandezza che erano utili per ospitare i nuclei numerosi delle famiglie mezzadrili.

    Allora come oggi, l’economia cittadina ruotava intorno al pellegrinaggio. I pellegrini di allora provenivano dai diversi Stati italiani e dai paesi cattolici europei come Regno di Spagna, Regno di Portogallo, Regno di Francia e da quei ducati, regni o Città-stato di credo cristiano cattolico del Sacro Romano Impero Germanico.

    Per arrivare a Loreto, principalmente si percorrevano le vie postali: da Nord, si scendeva tramite la Via Emilia che collegava la città di Bologna con la città di Ancona; la Strada postale romana che passando per l’Umbria aveva come meta finale la città di Loreto da dove ripartiva per Ancona; da Sud, la Strada postale costiera che partiva dal Regno di Napoli e Sicilia e arrivava ad Ancona si diramava per Via della marina.

    I pellegrini trovavano accoglienza presso le locande, taverne che erano dislocate in particolar modo all’interno della cinta muraria; ricordiamone alcune[7] :Locanda del Pavone e l’Osteria dell’Aquila Nera della famiglia Bordi; la Locanda del Moro, di Franco Bentivogli; la Locanda della Maschera d’Oro di Cesare Paggi; la Locanda del Corallo della famiglia Peri (o Cleri), la Locanda fiorentina, della famiglia Monti; la Locanda S. Pietro, di Pier Lorenzo Paveggi; la Locanda S. Bonaventura, della famiglia Borsetti; la Locanda di Benedetto Maria Benedetti, dall’insegna non citata; la Locanda della Palla d’Oro, La Locanda del Morganti (senza nome). C’erano al di fuori della cinta muraria la Locanda della Stella, la Locanda dell’Angelo Custode, la Locanda della Croce di Malta, l’Ostaria dei Tre Re, l’Osteria delle Tre Campane e l’Osteria dei Tre Angeli. Si trovavano anche privati cittadini che affittavano camere nella propria abitazione: Casa di Mastini, di Bonapersona, di Pasticcetto e di Pagliareccio. Fuori città c’erano poi: l’Osteria della Fontana d’Oro, l’Osteria delle Tre Stelle, l’Osteria de Gozzi, l’Osteria del Moro e l’Osteria delle due Campane.

    I sacerdoti che giungevano in pellegrinaggio a Loreto venivano ospitati, per breve tempo, presso il Collegio illirico che, nonostante la soppressione dei Gesuiti (1773), la struttura continuava a svolgere la funzione scolastica.

    Altre attività sviluppate parallelamente a quella dell’accoglienza, erano: il commercio di oggetti religiosi lungo il corso principale dove era solito incontrare le bancarelle che vendevano oggetti sacri a basso prezzo; il tatuaggio come atto devozionale che, dalla fine del ‘600, s’incominciò a vendere ai pellegrini come la marcatura sulla pelle[8].

    I fedeli tornavano a casa e, mostrando a tutti che erano stati alla Santa Casa, suscitavano curiosità in chi non aveva mai visitato la città mariana. Questo tipo di arte devozionale, a partire dalla metà del XVIII secolo, incominciò a essere ostacolata dalle autorità civili e religiose locali perché erano simbolo di superstizione e di falsa idolatria e per motivi igienici[9].

    Nel centro storico, non mancavano calzolai, muratori e commercianti legati al turismo religioso.

    Alcuni fedeli che, di giorno in giorno, giungevano a Loreto, spesso erano ammalati, infatti, i pericoli che incontravano lungo il percorso e i disagi provenienti dal viaggio potevano causare loro diverse malattie. Frequenti erano anche la peste e le altre malattie infettive; calamità naturali potevano abbattersi su di loro in ogni momento. In agguato, inoltre, c’erano sempre le cadute, gli assalti dei briganti, i serpenti velenosi e cani rabbiosi.

    Durante la guerra dei sette anni (1756-1763) per lo Stato pontificio e quindi anche per Loreto, passarono soldati spagnoli che, avendo sostato nelle locande, fecero riaffiorare le malattie infettive che non si estinsero fino al 1774.

    L’Ospitale di Santa Casa, ubicato vicino a Porta marina dove rimase fino all’Unità d’Italia, era affidato alla direzione di un priore e a volte di un rettore, nominati direttamente dalla Congregazione lauretana. La nomina dei medici e degli altri inservienti spettava, invece, al governatore della Santa Casa.

    Mons. Francesco Celani, nominato da Pio VI, governatore della Santa Casa e della città di Loreto, nel giugno 1789, era intenzionato ad attuare una riforma del nosocomio lauretano, sia a favore della comunità che dei pellegrini, ma fu momentaneamente sospesa poiché il prelato era attento alle notizie che giungevano dal Regno di Francia.

    Nel XVIII secolo si assiste anche a una lenta trasformazione del pellegrinaggio, inteso come atto devozionale; come nei secoli precedenti, giungevano a Loreto pellegrini colti che cercavano di studiare il modus peregrinandi del fedele. Questi intellettuali, influenzati dall’illuminismo, oltre a comprendere le cause socio-religiose che spingevano l’individuo a recarsi verso questi luoghi, cercavano di comprendere, razionalmente, che cosa andavano a pregare e contemplare[10]: erano le tre pareti della Santa Casa. Fu proprio durante il XVIII Secolo che molti illuministi, in particolar modo francesi, cercarono di dare una spiegazione razionale alla Traslazione della Santa Casa, recandosi a Loreto per studiare le tre pareti provenienti da Nazareth.

    Tra gli scritti che furono vietati nella penisola italiana (anche se circolavano sotto falsi titoli), e in modo particolare nello Stato pontificio, era il "Dictionnaire philosophique"[11] di Voltaire (François-Marie Arouet, 1694-1778) dove lo stesso filosofo francese per spiegare il concetto di superstizione religiosa sottolinea:

    […]

    Se in Italia non si fa un viaggio a Nostra Signora di Loreto (Notre-Dame de Lorette) non si comprende a quanto le superstizioni ecclesiastiche sono arrivate: […] Persone colte del passato, definitesi loro stesse storici e sapienti, hanno supposto che in codesta chiesa vengono conservate tre pareti dove è accaduta l’annunciazione. [12]

    L’altra attività economica, dopo quella legata all’accoglienza del pellegrino, era l’agricoltura, dislocata esclusivamente nella Bassa valle del Musone. All’epoca, come a partire dal XVI secolo, le zone agricole erano amministrate sia dal Ministero di Campagna della Santa Casa, sia da famiglie della nobiltà locale secondo il contratto mezzadrile.

    Nella seconda metà del Settecento, la proprietà fondiaria era esclusivamente a favore dello strapotere ecclesiastico.

    A questo proposito basta osservare i dati del catasto del territorio di Loreto dell’anno 1786 dove il 75% è di proprietà ecclesiastica, il restante 25% è suddiviso tra possedenti laici di Loreto e dei comuni limitrofi: incontriamo per primo il marchese Gaspare Solari, seguito da Filippo Guarnieri di Montesanto (Potenza Picena) e dai loretani Vincenzo Riccardi, il marchese Pietro Paolo Solari e il conte Gregorio Lucangeli.

    Se inizialmente gli avvenimenti della penisola francese erano guardati con diffidenza da parte del Corpus ecclesiastico locale, invece venivano seguiti, con curiosità, dal Corpus laico locale. Tutto incominciò a cambiare a partire dal 1790.

    Il governatore della Santa Casa, mons. Francesco Celani, il 3 gennaio 1790, trovandosi a Roma, scrisse una lettera al vicario apostolico della diocesi Recanati-Loreto, mons. Domenico Spinucci da Fermo (1739-1823):

    Venerabile Fratello,

    Salute ed Apostolica Benedizione,

    […]

    Le vicissitudini scritte appena sopra destano grande preoccupazione a noi; vi invitiamo a tenere a bada lo stato delle anime della vostra Diocesi; non possiamo permettere il propagarsi di siffatti pensieri tramite parola o strumenti di scrittura nel territorio di nostra pertinenza. Suggerite ai Vostri Ministri di Culto Sermoni più cristiani in cui si evidenzino la veridicità e la insostituibilità del Nostro Credo con un altro derivante da fonte terrena. Il Sommo Pontefice raccomanda di pregare per la Salute Sua. […] [13]

    Il 9 gennaio 1790, mons. Spinucci rispose al governatore con una successiva missiva, nella quale lui stesso, oltre a impegnarsi a seguire i consigli del governatore Celani, lo rassicurava, rispondendogli che le forze locali di sicurezza della sua diocesi da tempo, stavano attuando una censura postale per evitare che le notizie della Francia potessero sconvolgere lo Status Quo.

    Il Corpus ecclesiastico locale, come quello dello Stato pontificio, seguiva con maggiore apprensione come le idee illuministe, divenute concrete con i moti parigini, potessero mettere in crisi i valori cristiani e in secondo luogo i diritti temporali del clero. I laici seguivano con la stessa preoccupazione come il Primo stato del Regno di Francia (la Nobiltà e l’aristocrazia terriera) stesse lentamente perdendo potere all’interno della società civile.

    Il 31 agosto 1790, durante il Consiglio generale, il consigliere conte Antonio Maria Plebani, invitò ad osservare con attenzione i mutamenti di potere che stanno avvenendo nella Francia Borbonica: […]; In qualo modo si può accettare che il re Luigi XVI (1754-1793), e la Noblesse potessero essere considerati uguali al Vulgus? Di sicuro siam homini ma i primi hanno dei diritti inalienabili ed immutabili che ci vengono dal passato remoto che non possono essere tolti[14].

    Nella giornata, inoltre si decretò che si vietassero nelle strade ammassamenti di due o più persone affinché le notizie dalla Franzia non venissero trasmesse di bocca in bocca dai popolani rivoltosi o vicini al pensiero rivoluzionario[15]. In realtà quest’ultimo provvedimento fu del tutto insignificante visto che il resto della popolazione di Loreto, era ancora estraneo e indifferente ai fatti francesi. Gli unici preoccupati di questi sconvolgimenti socio-politici erano gli albergatori e locandieri poiché avevano notato un flusso minore di pellegrini che provenivano dalla Francia. I mezzadri, e i piccoli artigiani, invece, si occupavano solamente dei problemi quotidiani: lavoro per il sostegno della loro famiglia. Inoltre, secondo un resoconto redatto dal Ministero della Campagna della Santa Casa si evince che all’epoca nelle loro terre "si dovevano combattere morbi et malattie originate dall’aumento di gente e di conseguenza di cattiva igiene et alimentazione"[16]. Per evitare che questi problemi potessero far nascere nelle loro proprietà malumori e atti d’insubordinazione verso le autorità ecclesiastiche, il Ministero di Campagna della Santa Casa intraprese una sorta di riformismo a favore dei mezzadri: se prima il contratto mezzadrile prevedeva che il 65% del ricavato andasse al proprietario e la restante parte al mezzadro o

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