Guerriere - Antologia di racconti fantasy
By AA.VV.
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a cura di Irene Bagalà, Linda Talato, Valentina Capaldi
Sul sito Book Riot, esiste una lista dei 100 libri fantasy scritti da donne da leggere assolutamente e contiene nomi eccellenti. Di scrittrici fantasy ce ne sono molte e non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi maschi. Eppure, se si sfoglia la Guida ai narratori italiani del fantastico (Odoya, 2018), le donne si contano sulle dita di una mano. È quindi un problema tutto italiano, questo di avere poche donne nella narrativa di genere fantastico? Oppure una tendenza di mercato che si orienta sempre più spesso verso un genere più spiccatamente maschile?
Lo scopo delle curatrici di questa antologia era capire come le donne percepissero il genere fantastico. Il risultato sono dieci racconti diversissimi tra loro, che si ispirano alla mitologia, al fantasy classico, alla fantascienza.
Il denominatore comune è la donna analizzata nella sua più grande forza, che è sempre e comunque l’amore.
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Guerriere - Antologia di racconti fantasy - AA.VV.
Cover
Prefazione
Sul sito Book Riot, esiste una lista dei 100 libri fantasy scritti da donne da leggere assolutamente. Contiene nomi eccellenti, come Ursula Le Guin, Mary Shelley, Margareth Atwood, Robin Hobb, J.K. Rowling.
Di scrittrici fantasy ce ne sono molte e non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi maschi.
Eppure, se si sfoglia la Guida ai narratori italiani del fantastico (Odoya, 2018), le donne si contano sulle dita di una mano.
È quindi un problema tutto italiano, questo di avere poche donne nella narrativa di genere fantastico?
Sul tema da diversi anni ci sono accesi dibattiti. Anima le convention di fantascienza e va a riflettersi anche sul fantasy.
In realtà, la conclusione pare essere sempre la stessa: le donne hanno meno possibilità di scrivere perché devono badare alla casa.
Sembra un becero stereotipo di genere, ma è la verità. Ricordo un intervento di Tricia Sullivan nell’edizione 2016 di Stranimondi in cui si lamentava la difficoltà enorme di tornare nel giro dopo essere state ferme per qualche anno a causa di figli da crescere.
A mettere i bastoni tra le ruote al fantasy al femminile, inoltre, è la tendenza di mercato, che in seguito a fenomeni mediatici come Il trono di spade
si è orientata verso un genere più spiccatamente maschile, fatto di iperrealismo, violenza e testosterone.
Da qui la nostra idea di un’antologia tutta al femminile che parli di donne. Guerriere, come i personaggi di Martin e diAbercrombie, ma raccontate con un tipo di sensibilità diverso.
Non è un’idea nuova. Esiste, per esempio, un volume che s’intitola Le libere amazzoni di Darkover
, in cui diciotto autrici si cimentano in racconti ispirati alle donne create da Marion Zimmer Bradley.
Il nostro scopo era capire come le donne percepissero il genere fantastico. Il risultato sono dieci racconti diversissimi tra loro, che si ispirano alla mitologia, al fantasy classico, alla fantascienza.
Il denominatore comune è la donna analizzata nella sua più grande forza, che è sempre e comunque l’amore.
Le curatrici
Una nuova alba su Hemer,
di Anna Sambo
Anna Sambo è nata a Chioggia (Ve) nel 1962, qui vive e lavora come insegnante di scuola primaria.
Inizia il suo percorso di scrittrice dedicandosi soprattutto al racconto breve e a testi per l’infanzia, da pochi anni si dedica anche alla poesia.
Ha vinto diversi premi sia nella categoria racconto
che nella categoria poesia
; alcune sue opere sono comparse su antologie edite da La Versiliana Editrice di Firenze e dalla G. Perrone edit. di Roma.
Nel 2016 e nel 2017 ha frequentato un corso di scrittura creativa di primo, secondo e terzo livello, presso l’associazione Fantalica di Padova, seguito da numerosi stage sulla scrittura autobiografica e sul racconto breve, presso la libreria Librati di Padova.
Con la Casa Editrice Le Mezzelane ha pubblicato i romanzi brevi 3D. Una storia
(2018) e Cavalli in fuga
(2019).
Ti guardo mentre dormi nel lettino fatto di giunchi, l’ho intrecciato io; rivedo le mie mani spingere i fasci con forza di madre, uno a uno, sicura nel mio orgoglio di donna Hinù. La mia stirpe non ammette paura, né tentennamenti, la mia famiglia ha marchiato col fuoco la luna di falce, come avevo chiesto, per essere uguale a te. L’ho dipinta di blu, qui, sopra l’anulare per poterla vedere in ogni istante, per non dimenticare mai di stare in guardia. Ti ho già preparato le bacche di kel, le ho avvolte nella canapa e ho pregato davanti all’albero sacro, il dio del mattino, però, mi ha risposto oscurando il cielo.
Non so bene cosa devo fare, o cosa mi riservi il futuro, per ora veglio su di te, come mi ha detto la vecchia Kira.
«Capirai», mi ha detto «arriverà il momento e tu lo sentirai nel cuore, dovrai tagliarti un ciuffo di capelli e appoggiarli sul suo capo, una goccia di sangue dovrà accompagnare il suo sonno che sarà più scuro della notte senza luna, e allora dovrai prepararti a combattere.»
Ho freddo, tremo. È un freddo interiore, che non passa mai, nemmeno adesso che ho acceso il fuoco; bagliori di luce calda si riflettono sulle pareti della capanna. Non passa, non passerà.
Nemmeno quando aprirai gli occhi per chiamarmi: «mahm» e io ti risponderò: «sono qui, amore.»
Intanto dormi cullandomi con il soffio del tuo respiro regolare che mi consola un poco. Respiri: sei vivo, sono viva.
È bello il tuo viso di alabastro, le ciglia lunghe creano piccole ombre appena sotto gli occhi per il riflesso del fuoco, i capelli bianchi ti rendono giustizia: sei un bambino speciale e la tua missione è importante, anche se non vorrei.
Maledico con voce di tempesta il compito che ti è stato assegnato e Hakan che non ha voluto accettare le mie suppliche.
«Perché gli fai questo?» ho urlato; ma lui ha sollevato una mano a indicare il cielo, e ha detto risoluto: «È il cielo che lo vuole, lui sarà il custode.» In risposta alle mie lacrime ha poi aggiunto: «Non disperare, donna! Ti faccio un grande dono. Quando arriverà il momento il tuo dolore sarà la tua forza, il tuo potere sarà grande, se non ti lascerai travolgere dalla paura.»
Ho cercato di nascondere la tua piccola falce di luna sulla spalla, l’ho coperta con un impacco di erbe di listach e l’ho bagnata con infuso di corteccia dell’albero sacro. L’ho persino graffiata a sangue nell’intento inutile di cancellarla, ma essa è ritornata più iridescente di prima, la vedo di notte quando ti giri e piango le mie lacrime.
Arriverà Mefir, lo so, e vorrà ucciderti. Vorrà strapparti quel lembo di pelle che tante volte ho baciato e maledetto.
Perché proprio tu, figlio di una semplice donna Hinù, devi possedere quel grande potere?
Tu ancora non lo sai, ma nelle notti di luna di falce, potresti rovesciare il cielo, strappare gli alberi, svegliare i vulcani dormienti, le acque tranquille del fiume Tanka.
Non lo faresti mai, perché non sai nemmeno cosa sia il male. Dunque non so spiegarmi perché Hakan abbia scelto proprio te. È forse una prova?
Ora però sento il canto dei piccoli hekry, stanno volando intorno alla capanna, le minuscole pance producono luci intermittenti, le stesse che ti fanno ridere quando sei sveglio e uno di loro si ferma sulla tua mano.
Il cielo si è oscurato, le tenebre sono illuminate solo dagli hekry che mi stanno avvertendo, in lontananza il farklo sta ululando nella foresta al limitare del villaggio.
È questo il tempo. È adesso. Mefir è arrivato.
Un drakoen troneggia dall’altra parte del letto, stanotte ha scelto le sembianze del mostro più orrendo per farmi cedere. Incombe su di te, enorme, su di me minaccioso.
Ho paura ma accetto la sua sfida, non potrei fare diversamente.
Reggo il suo sguardo senza tentennamenti: anche io posso essere temibile e pericolosa. In un attimo spalanco le fauci munite di zanne pronte a sbranare, i miei muscoli divengono agili e forti, pronti a scattare, le mie dita sono artigli blu pronti a graffiare.
Non temo il fuoco che arriverà, lo soffocherò col mio corpo; non sentirò dolore perché quello che ho già provato è stato abbastanza.
Gli occhi rossi del mostro si spostano ora su di me, ora su di te. «Guarda me», gli dico.
Lui mi sbeffeggia, apre le ali riempiendo la capanna, non sa che il suo vero nemico sono io.
«Guarda me!», gli ripeto. Con un solo balzo sono davanti al tuo letto, a farti da scudo.
Il mostro spalanca le fauci mostrando denti affilati, un leggero luccichio di bava appena sotto la bocca.
Non indietreggio, prima di te, figlio mio, ci sono io: il mostro dovrà sbranare le mie carni, succhiare il mio sangue, distruggere ogni mia singola fibra, prima di poterti toccare.
Ho indossato da tempo la mia armatura. È fatta di baci di rugiada, di bacche di ribes, di carezze di miele, di ninne nanne di latte, di sorrisi di dentini caduti: è potente, più del fuoco.
La prima sbuffata arriva infiammandomi i capelli, lascio che ardano prima di spegnerli con le lacrime che ho versato. Non mi servono i capelli.
La seconda è diretta al cuore, il mostro sa che è la mia parte più debole. Non sa, però, che proprio lì ho seminato i ricordi, ed essi hanno germinato, hanno creato radici di quercia, difficili da sradicare, insieme all’amore che provo per te.
La terza colpisce le mie mani che prendono fuoco senza intaccare gli artigli che la maternità mi ha offerto come arma. È con essi che combatto ora, ho spento il fuoco nella bava del drakoen e sto infilando gli artigli nella sua lingua biforcuta, con slancio felino la riduco a brandelli di carne, facendo attenzione che gli spruzzi di sangue non sporchino nemmeno un lembo del tuo corpicino.
Il mostro è sorpreso, non si aspettava la mia forza. Resto accucciata ai tuoi piedi, gli occhi puntati su di lui, i muscoli pronti a scattare.
Ora scendo dal letto perché mi sta girando intorno e mi confonde, rientro nella mia forma di donna e con le braccia aperte ti faccio scudo col mio corpo.
Sguaino la mia spada perché è arrivato il momento del colpo finale. Miro direttamente al petto, anche se so che il mostro non può morire, che il suo cuore si riformerà in un miasma putrido di fibre striate.
Colpisco una, due, tre volte, affondo la lama nella sua carne con tutta la forza che il mio corpo stanco mi permette. È abbastanza. Non morirà, lo so, l’ho sempre saputo.
Però si assopirà per un po’, dandomi tregua.
Il drakoen si accuccia sotto il letto e sparisce nell’oscurità. Mefir è sconfitto, per ora.
Mi siedo, esausta, di nuovo al tuo fianco. Ho freddo.
Muovi la manina, la accarezzo, poi la stringo piano per non svegliarti e sento che anche tu stringi.
Rimango a guardarti mentre dormi sereno. Mi chiedo ancora una volta da dove venga questa energia che alimenta la mia forza di guerriera. Rivedo la me stessa di allora, di quando eri dentro di me, io e te una sola cosa. Il pancione a sfidare il mondo e il mio sorriso perenne sul viso paffuto mentre raccoglievo i giunchi per la tua culla. Come ho potuto non fermare ogni singolo attimo di quella meravigliosa simbiosi? Avrei dovuto concentrarmi di più sui battiti del tuo cuore, sui piccoli movimenti del mio ventre colpito dai tuoi piedini. Sul dolore insopportabile del parto che, squarciandomi, ha urlato al villaggio la tua presenza. Lo vorrei provare mille volte ancora se l’atto della vita potesse distruggere l’ombra della morte che incombe su di te.
Vorrei sbranare Hakan per il dono che ti ha fatto: una maledizione, oppure l’unico modo per salvare il mondo.
Non posso, però, andare contro il nostro destino, oppormi al suo volere. Posso solo continuare a vegliare su di te ringraziando la dea del fiume ogni volta che i tuoi occhi potranno vedere una nuova alba su Hemer.
Il cuore e le stelle,
di Chiara D’Epifanio
Chiara D’Epifanio nasce a Roma il 23 giugno 1986.
Conclusi gli studi classici, si iscrive alla facoltà di Ingegneria.
Dopo la laurea, nel 2012, si trasferisce a Parma, dove tutt’ora lavora e dove sono nati i suoi due figli.
Ama la buona letteratura in generale e il fantasy in particolare. Scrive racconti e pratica arti marziali per passione fin da bambina.
L’hanno preso! L’hanno preso! Hanno preso Raj!
Laira sbarrò gli occhi, il cuore in gola a strozzare un rantolo. Era seduta a terra con le mani contratte sul petto. Il falò continuava la sua danza incerta, gettando ombre ubriache sugli alberi circostanti.
Era stato un incubo. Anzi, molto peggio, un ricordo. Chi aveva gridato quell’allarme? Chi era stato ad accorgersene per primo? Forse la vecchia. Sicuramente la vecchia, chi altri? Non certo lei, così inetta da non accorgersi neanche che le portavano via un figlio.
Gettò un ramo umido nel fuoco e le