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Rinaldo Rigola Il primo segretario della Confederazione Generale del Lavoro
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Rinaldo Rigola Il primo segretario della Confederazione Generale del Lavoro

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Questa biografia, corredata in appendice da vari dei testi documentali a cui ci si riferisce nel testo, ripercorre la vita del sindacalista e politico socialista riformista biellese Rinaldo Rigola.
Questi, dopo essere stato un operaio specializzato, svolse l'attività di sindacalista e politico, fu il primo segretario confederale della neonata Confederazione generale del lavoro (CGdL), oltre a quella di giornalista su organi socialisti e sindacali, e studioso delle problematiche del lavoro.
Fu organizzatore del movimento sindacale a livello nazionale scontrandosi con le tesi rivoluzionarie al tempo alquanto diffuse e si interessò alle esperienze sindacali inglesi e al movimento gildista. Fronteggiò anche i problemi della grande guerra e poi le scissioni nel movimento socialista fino all'avvento del regime fascista quando assunse posizioni di sostanziale collaborazione e apprezzamento verso gli aspetti cooperativistici del nuovo regime, causa della rottura con la gran parte del resto del movimento socialista con il quale si riconciliò solo vicino alla sua fine negli anni cinquanta.
LanguageItaliano
Release dateJan 16, 2020
ISBN9788835359623
Rinaldo Rigola Il primo segretario della Confederazione Generale del Lavoro

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    Rinaldo Rigola Il primo segretario della Confederazione Generale del Lavoro - Mirko Riazzoli

    Il primo segretario della Confederazione Generale del Lavoro

    Introduzione

    Questa biografia, corredata in appendice da vari dei testi documentali a cui ci si riferisce nel testo, ripercorre la vita del sindacalista e politico socialista riformista biellese Rinaldo Rigola.

    Questi, dopo essere stato un operaio specializzato, svolse l'attività di sindacalista e politico, fu il primo segretario confederale della neonata Confederazione generale del lavoro (CGdL), oltre a quella di giornalista su organi socialisti e sindacali, e studioso delle problematiche del lavoro.

    Fu organizzatore del movimento sindacale a livello nazionale scontrandosi con le tesi rivoluzionarie al tempo alquanto diffuse e si interessò alle esperienze sindacali inglesi e al movimento gildista. Fronteggiò anche i problemi della grande guerra e poi le scissioni nel movimento socialista fino all'avvento del regime fascista quando assunse posizioni di sostanziale collaborazione e apprezzamento verso gli aspetti cooperativistici del nuovo regime, causa della rottura con la gran parte del resto del movimento socialista con il quale si riconciliò solo vicino alla sua fine negli anni cinquanta.

    La giovinezza

    Il politico socialista riformista e sindacalista Rinaldo Rigola nacque il 2 febbraio 1868 a Biella da Francesco, operaio specializzato tintore e stampatore di stoffe, e dalla stiratrice di casa Sella Giuseppina (Pina) Berra.

    A 13 anni, dopo aver terminato, dopo le scuole elementari anche le scuole professionali in cui si specializzò nell'intaglio del legno, iniziò a lavorare come apprendista falegname presso una bottega di un conoscente della famiglia, fino ai sedici anni quando terminò il suo apprendistato poi fece altre esperienze lavorando come operaio dell'industria, lavorante a domicilio, piccolo artigiano. Fu in questo ambiente che cominciò la sua maturazione politica che lo portò ad avvicinarsi alle posizioni socialiste, posizione condizionate da questo «ambiente, in cui il lavoro era basato sul rispetto delle gerarchie e delle virtù tradizionali del mondo artigiano», elementi che lo condussero a collegare la coscienza di classe a una «mentalità corporativa»[1].

    Diciassettenne, nel 1885 un infortunio lo colpì e gli fece perdere l'occhio sinistro poi, nel 1903, una congiuntivite causata dalle carenti cure, a cui un ricovero in una clinica specializzata avvenuto a inizio anno (Clinica Villa Charcot a Genova, vi rimane fino a metà luglio) non poté sopperire[2], lo portò a perdere totalmente la vista (lo affiancò nel lavoro fino al 1919, quando dovette ritirarsi a causa dell'affaticamento e le subentrò la figlia Temide, la moglie che leggeva e scriveva in sua vece).

    Fu sia un operaio dell'industria che un lavorante a domicilio e piccolo artigiano, era convinto che «il mestiere è un capitale, e non c'è banca che te ne possa privare» e dell'importanza delle virtù tradizionali del mondo artigiano, nel 1886 (dopo un originario avvicinamento a posizioni mazziniane) aderì al Partito Operaio Italiano (POI)[3] ed in seguito al gruppo comunista anarchico (1889-1892), che accentuava l'autonomia del movimento operaio e dell'organizzazione proletaria ponendo l'accento sull'azione rivendicativa economica rispetto a quella politica.

    Fu attivo nella vita politica biellese, partecipando come protagonista, su posizioni anarchiche, al dibattito svoltosi al Teatro Villani a Biella il 7 agosto 1892 tra le varie forze democratiche, un pre-congresso biellese per la fondazione del Partito Socialista, durante il congresso gli anarchici contestano la partecipazione dei democratici alla riunione e decidono di nominare dei loro delegati, Luigi Fila e Luigi Sola.

    Non partecipò al congresso costitutivo del partito dei lavoratori italiani, svoltosi a Genova nel 1892 (vi partecipò però il suo gruppo), ma vi aderì dal 1893 al suo II Congresso svoltosi a Reggio Emilia, attraverso il gruppo operaista di Angiolo Cabrini (1869-1937) e Costantino Lazzari (fu questo anno che Rigola lesse, tradotto, il Manifesto e cominciò il Capitale di Marx[4]), iniziando così la sua azione di propagandista e attivista politico (ancora nel dicembre del 1893 Rigola partecipò ad un incontro anarchico).

    Lui stesso in seguito scrisse al riguardo della sua formazione politica alquanto lacunosa "Io per primo confesso che ero già deputato … e non avevo ancora letto il primo volume del Capitale nel testo integrale … Lessi invece abbastanza per tempo il compendio del Cafiero, e potei farmi un concetto abbastanza approssimativo … Io non ero certo un dotto in marxismo quando ho aderito, o meglio, mi sono sentito socialista. Ero io dunque in errore? In dottrina forse sì, in sentimento no, assolutamente.»[5]. Secondo lo storico Berta a Rigola «piace … il Marx che evoca la potenza titanica delle forze produttive per esaltare la violenza faustiana scatena dalla rivoluzione industriale», lui afferma che «l'epicentro della rivoluzione è nel nucleo operaio», la classe operaia «è l'agente materiale di un processo di mutamento che si produce nella compagine della società».[6]

    Il 14 luglio 1895 Rigola venne eletto consigliere comunale della sua città per i socialisti, Biella – ottenne 231 preferenze su 1.898 voti, rimase nell'incarico fino al 1906 – e poi in agosto organizzò con l'avvocato e deputato socialista milanese Dino Rondani (1868-1951), si erano conosciuti in luglio, un convegno al monte Rubello (il monte dell'ultima resistenza di fra' Dolcino, seconda metà XIII-1307, capo di un movimento religioso dissidente); qui centocinquanta socialisti decisero di fondare un giornale socialista di Biella. Il repubblicano Giuseppe Ubertini, gli cedette la testata locale Il Corriere Biellese (dal 2 febbraio 1896 questa divenne un organo socialista, prima fu un settimanale e poi un bisettimanale con sede nella sua bottega di ebanisteria), che iniziò ad essere pubblicato come supplemento del settimanale socialista di Torino Grido del Popolo e poi divenne indipendente sotto la direzione di Rigola, questi mantelle la carica di direttore del giornale fino al 1906 (il 9 parile viene sostituito da Mario Guarnieri) e lo impiegò attivamente per condurre le sue battaglie subendo anche il sequestro del giornale come avvenne nel numero del 3 luglio 1896 ove venivano denunciate le dure condizioni di lavoro nelle fabbriche.

    Sempre nel 1895 venne colpito personalmente una prima volta dalle autorità, in applicazione delle norme anti-socialiste venne prima sciolto il 22 settembre il Circolo Ricreativo, un organo socialista, e poi il 16 ottobre vennero processati[7] per «rispondere di aver formato il circolo ricreativo dei lavoratori allo scopo di sovvertire, con vie di fatto, gli attuali ordinamenti sociali»[8] Rigola ed altri esponenti della sinistra (Scaramuzzi, Umbertini, Sola, Giorgia, Lasini ecc.). Rigola e Luigi Fila, gli unici due condannati, ricevettero dal pretore una condanna a 45 giorni di confino da scontarsi a Finestrelle e ad Aosta, ma grazie allo scadere delle leggi eccezionali il processo d'appello venne sospeso e decadde la pena.

    Nel giugno 1896 si svolse il Congresso socialista della provincia di Novara, di cui il Biellese era parte, questo approvò la costituzione di una Federazione provinciale socialista, scelta alla quale Rigola si oppose ma poi lui stesso venne eletto al Comitato federale per Biella. Il mese successivo partecipò al Congresso nazionale di Firenze firmando un o.d.g. nel quale si affermava che «base dell'organizzazione del partito è l'adesione personale per associazioni politiche ed economiche»[9].

    Oltre che giornalista fu sempre un attivo sindacaliste e quindi, sempre quest'anno, partecipò alla fondazione di una Lega di resistenza fra tessitori e tessitrici, con sede a Biella e a Vallemosso.

    In agosto venne querelato per diffamazione a mezzo stampa dall'industriale Garbacci (il 3 luglio 1896 era stato pubblicato un articolo anonimo sul giornale diretto da Rigola nel quale si denunciavano i metodi impiegati nella sua ditta, motivo per cui il giornale era stato sequestrato). La corte condannò il 26 novembre Rigola a sette mesi di reclusione e 400 lire di multa, poi il 30 marzo 1897 la corte d'appello di Torino inasprì la pena portandola a 12 mesi e 5 giorni oltre a 1.000 lire di multa (un'amnistia ridusse la pena a 9 mesi e 5 giorni).

    Per sottrarsi ad un periodo di carcerazione e visto anche il fallimento della sua candidatura alle elezioni politiche dello stesso anno che gli avrebbero evitato il carcere (21 e 28 marzo 1897, ottenne solo 1.639[10] voti contro i 3.043 dell'industriale e liberale Giovan Battista Serralunga), fuggì il 2 luglio a Lugano, fino al 18 ottobre, e poi si trasferì a Lione (stessa sorte toccò all'altro esponente socialista Rondani), risiedendovi tre anni e fondando una sezione del PSI ed una scuola di lingua italiana in cui insegnò. Qui poté vedere da vicino e studiare lo sviluppo del movimento sindacale francese e le sue strategia di lotte venendone influenzato.

    Il 3 giugno 1900, venne eletto deputato nel Collegio di Biella al primo turno con 3.062 voti[11] battendo il deputato uscente Serralunga (era il primo deputato non costituzionale eletto a Biella dal 1848), questo gli consentì di ritornare in Italia coperto da immunità parlamentare il 17 del mese. Lui e Pietro Chiesa (1858-1915), anch'esso eletto quell'anno, furono i primi deputati socialisti di estrazione operaia.

    Una volta tornato in Italia riprese parte alla vita politica e partecipò al VI Congresso del PSI (Roma, 8-11 settembre 1900), durante il quale propone il riconoscimento dell'indipendenza delle organizzazioni operaie (tesi che venne approvata) e per la creazione di un segretariato economico esterno al partito aperto anche ai lavoratori non socialisti, secondo Rigola i sindacalisti avevano il compito di «garantire ai lavoratori conquiste immediate sul posto di lavoro», i loro interessi si incentravano sui problemi «del pane e del burro», mentre ai politici venivano lasciate obiettivi più ampi. Venne però approvata la formazione di un Segretariato economico del partito, quindi interno ed organico allo stesso nel quale Rigola decise comunque di entrare.

    Venne eletto nella Direzione del partito e nominato segretario della sua sezione economica, con incarichi di sviluppo e propaganda oltre che responsabile del neo-costituito – era nato durante il congresso – sezione speciale della segreteria per i problemi sindacali e del lavoro. Nel 1901 promosse, assieme a Felice Quaglino (1870-1935), Rondani ed altri, la costituzione della Camera del lavoro di Biella (l'inaugurazione ufficiale si ebbe il 2 giugno, con Massimo Foscale diviene segretario e Luigi Sola tesoriere; Rigola non poté partecipare all'evento a causa dei suoi problemi di vista essendo presso l'ospedale Oftalmico di Torino[12]).

    Nei primi anni del Novecento si schierò a favore di una linea riformista contro il sindacalismo rivoluzionario e la loro tesi favorevole allo sciopero generale anche se le sue posizioni politiche subirono delle oscillazioni anche se tesi progressivamente a posizioni riformiste come dimostra un suo articolo apparso il 3 dicembre 1901 sul Corriere biellese ove scrisse «Di scioperi non bisogna farne molti, ma pochissimi. Non bisogna suscitare un mondo di questioni, per perderle, ma poche, giuste ed opportune, per vincerle … bisogna prendere lo sciopero come arma di uso estremamente limitato, a cui si deve ricorrere soltanto quando si è quasi sicuri che serva a qualcosa assolutamente non c'è altra via meno dolorosa e pericolosa»[13]. Questi principi vennero ripresi e meglio articolati in un altro articolo apparso sempre sullo stesso giornale il 3 gennaio 1902 ove scrisse che «va perdendo ogni giorno efficacia e la perde in ragione dello sviluppo delle organizzazioni di mestiere e della legislazione operaia, tanto che lo sciopero comincia ad essere considerato un ferrovecchio nei più progrediti paesi».

    Nel 1901, dopo che Angiolo Cabrini venne eletto segretario della Federazione delle Camere del Lavoro, questi si accordò con Rigola, Dario Tomasini, Felice Quagnino, Ettore Reina e Pietro Chiesa per favorire la formazione di Federazioni Nazionali sindacali appunto create tra quest'anno e il successivo. Fin da subito emersero problemi di fedeltà alle nuovo organizzazioni che non erano sentite dai lavoratori come un simbolo di identificazione paragonabile a quello offerto dalle camere che mantennero quindi una maggiore forza.

    Durante il 1902 si interessò allo sciopero indetto dalle maestranze italiane a Berna, suggerendo agli scioperanti come risposta all'intransigenza del padronato, di minacciare l'abbandono in massa la Svizzera.

    Al VII Congresso nazionale socialista (Imola, 6-9 settembre 1902) assunse una posizione intransigente e fu il relatore ufficiale dell'ala massimalista di Enrico Ferri (vi aderirono anche Arturo Labriola, Enrico Dugoni, Giovanni Lerda, Cabrini, Reina, Romeo Soldi, Girolamo Gatti e Ottavio Dinale), sconfitta dall'ala riformista turatiana che appoggiava l'o.d.g. di Bonomi (l'o.d.g. Ferri ottenne 456 voti contrari 279 favorevoli e 14 astenuti, le votazione avvenivano ancora per delegati di sezione, diverranno per numero di iscritti al partito dal Congresso di Bologna del 1904), in seguito al congresso con Ferri pubblicò a Genova l'opuscolo Dopo il Congresso di Imola sulla vicenda congressuale. Durante il congresso però, Rigola, a prescindere dalle sue momentanee posizioni riconobbe il divieto introdotto per i deputati, dal congresso di Reggio Emilia, di non votare a favore dei governi borghesi erano da accantonarsi se i tempi fossero mutati perché questo avrebbe impedito «l'applicazione pratica assoluta di una tale deliberato» e che anzi poteva «essere necessario di dare qualche voto favorevole, ma che [fosse] negli interessi del proletariato e non signifi[casse] fiducia nell'indirizzo politico del comitato di difesa della borghesia», questo per lui poi si conciliava con il metodo rivoluzionario a cui aderiva perché non voleva dire rinunciare «a quel poco di buono che si [poteva] avere oggi». E comunque si doveva operare in modo da maturare «cioè nel proletariato non sola la coscienza» del bisogno di miglioramenti immediati, «ma anche quella per le maggiori conquiste di miglioramenti e per le finalità ideali»[14].

    Nella mozione presentata da Rigola veniva riaffermato il carattere rivoluzionario del partito socialista e si affermava che «l'unità del partito non può essere messa in pericolo dalla coesistente attività delle due tendenze; delibera che d'ora innanzi il partito, nei diversi campi dell'opera sua politica ed economica, segue un indirizzo indipendente da quello di ogni altra classe o ceto sociale e di ogni altro partito politico.».

    Questa sua posizione intransigente ebbe però breve durata e nei mesi seguenti abbandonò quest'ala del movimento socialista, spostandosi progressivamente su posizioni riformiste e assunse posizioni di netta contrarietà verso l'emergente sindacalismo rivoluzionario e le sue posizioni favorevole allo sciopero generale, ritenuto da Rigola funesto e potenzialmente dannoso rispetto all'azione sindacale espletata e ai suoi risultati fino ad allora conseguiti, come dimostra anche la sua presa di posizione apparsa il 10 ottobre 1902 sul Corriere biellese ove scrisse «Se io dico che i socialisti e per essi il gruppo parlamentare socialista non deve perdere di vista lo scopo che si prefigge, vuol forse dire che non si debbono patrocinare tutte le riforme che vengono a favore della classe lavoratrice? … In fatto di riforme io non accetto soltanto quelle caldeggiate dal gruppo parlamentare socialista, ma tutte quelle da qualunque parte vengano»[15].

    Sempre nel 1902 appoggiò la proposta avanzata il 20 settembre da Angiolo Cabrini, mirante alla formazione di un Segretariato Nazionale della Resistenza[16], guidato da un comitato di sei membri, tre delle Camere e tre delle Federazioni (diventeranno poi otto), con il compito di svolgere una «funzione direttive e propulsiva della Resistenza» oltre a «dirimere i nascenti conflitti tra Camere e Federazioni e … raccogliere in una le voci che uscivano dai due gruppi di organizzazioni ad affermare gli stessi diritti ed a significare gli stessi bisogni»[17]. Questo organo venne poi fondato, dopo una serie di incontri preliminari svoltisi tra settembre ed ottobre, a Milano durante il I Convegno operaio nazionale svoltosi l'1-2 novembre con la partecipazione di rappresentanti di venticinque sindacati nazionali e delle Camere di lavoro aderenti alla Federazione nazionale.

    Rigola e Cabrini, che furono i due principali protagonisti dell'operazione, entrarono nel comitato suddetto ed assunsero la carica di segretari, il primo per le federazioni di mestiere, il secondo per le Camere del lavoro (oltre a Rigola e Cabrini vi profusero un forte impegno altri due deputati socialisti Quirino Nofri ed Eugenio Chiesa, tutti questi deputati operarono per portare avanti anche a livello politico le rivendicazioni del nuovo organo). L'azione di questo organo fu improntata alla linea riformista e si concentro sul controllo e la disciplina sindacale – lo stesso Cabrini in una relazione dichiarò che l'intento era quello di rafforzare le Federazioni a scapito delle Camere del lavoro, tendenza che si ripeterà anche successivamente nella lotta che opporrà rivoluzionari e riformisti – (anche Rigola si era espresso criticamente contro le CdL, nella sua Storia del movimento operaio scrisse che esse non erano «gli organi più adatti per la regolamentazione dei rapporti tra capitale e lavoro» e che «con l'evolversi delle classi e dei loro reciproci rapporti, questa funzione [di rappresentanza] deve passare interamente alle leghe concentrate in organismi di secondo grado, cioè in Federazioni nazionali»[18], tesi affini vennero espresse anche da Pagliari che scrisse al riguardo delle CdL, nell’articolo L'organizzazione di resistenza in Italia, pubblicato su Critica Sociale nel 1907 «degenerare degli organi del movimento di resistenza in organismi prevalentemente politici»), sulla lotta contro lo spontaneismo operaio, l'appoggio a rivendicazioni e lotte per conquiste concrete e non per scioperi prettamente politici. Era però solo un organo di coordinamento e non aveva un effettivo ed incisivo potere di

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