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Foto Terapia – No Tav

Anonima Scrittori

La foto in copertina è 'No Tav' d Sergio Snaidero


Foto Terapia – No Tav

Anonima Scrittori

FOTO TERAPIA – NO TAV

2009
Anonima Scrittori
Foto Terapia – No Tav

La guerra
Pierpaolo Aquilino

In una foto ci possono essere molti significati, dettagli, particolari che il


più delle volte sfuggono all’occhio umano, anche a quello più vigile.
Stavolta no, non ci si può fermare a un esame approssimativo. La foto è di
quelle che fa riflettere, evoca temi tutt’altro che superficiali.
C’è la guerra.
Quando si vede una persona in tenuta antisommossa, seppure si tratti di
un uomo che deve far rispettare l’ordine, non si può non pensare alla
guerra, alla violenza. Quante volte il poliziotto allo stadio è armato di
casco e scudo? Sarebbe una partita di calcio ma, spesso, è la guerra.
C’è l’idea di guerra, dunque, ma anche quella assai più nobile di pace.
Una donna impugna il crocefisso, immagine universale di pace, simbolo
di chi nella fede trova la risposta ai mille problemi della vita.
Sta nell’antinomia guerra-pace, dunque, il significato preponderante della
foto. Manca, però,il soggetto-oggetto principale, il vero motivo del
contendere: da una parte i poliziotti, dall’altra la signora che
nell’impugnare il crocefisso trova l’unica possibilità di difesa della
propria terra. In mezzo c’è ma non si vede il treno.
Mezzo di locomozione che è incredibilmente connesso ai due temi
principali della guerra e della pace.
Un treno può portare in guerra, trasportare materiale da guerra ma anche
condurre ai preparativi per una guerra (pensiamo a Mussolini alla
conferenza di Monaco nel 1938).
Un treno può portare anche la pace. E’ un treno di pace quello che ogni
anno porta migliaia di persone a Lourdes così come fu un treno di pace
quello che trasportò ad Assisi, città della pace per antonomasia, Papa
Giovanni XXIII, primo Papa dalla Breccia di Porta Pia a lasciare Roma ma
soprattutto il Pontefice della fratellanza dei popoli, delle aperture, della
“carezza ai bambini” e dell’enciclica “Pacem in terris” la prima rivolta
non ai soli credenti ma a tutti gli uomini di buona volontà.
Guerra, pace, treno termini distanti ma che rivivono come un unicum
nelle proteste No-Tav degli abitanti della Val di Susa. Da una parte chi,
anche con la guerra, vuole difendere la propria terra ma soprattutto la
Anonima Scrittori

propria pace, dall’altra lo Stato, che attraverso il proprio apparato


d’ordine cerca di realizzare i propositi (almeno teorici) di progresso e
ammodernamento.
In mezzo….un treno, simbolo di pace ma anche di guerra.

La terra profanata
Aldo Ardetti

Si sentì come Giovanni nel deserto ma deserto non era: due eserciti
opposti si fronteggiavano in maniera improvvisata e disordinata l’uno, in
perfetto ordine - quasi a testuggine romana - l’altro.
Una cascata di urla entrava nel cervello come il boato di Gerico distrutta.
Implorare non serviva: la sua voce era invisibile nell’apocalisse sonora. La
sua presenza si materializzava per l’oggetto che accompagnava le sue
rimostranze, quel Crocefisso che dal petto veniva alzato al cielo da un
braccio stanco, ad aumentare il volume di una voce che sfinita soffocava
tra le lacrime: se non avessero rispettato il suo corpo nonostante l’età, il
Figlio di Dio avrebbe fatto riflettere gli uomini.
Chiamò in causa tutte le forze della Natura, tutti gli spiriti delle vittime
della montagna; si appellò a tutte le religioni in un crescendo di
implorazioni creando un miscuglio di Credo.
Nei valligiani e montanari gonfiava la furia; allora si avvicinò agli uomini
fermi e ordinati, vestiti nello stesso modo, per cercare un dialogo e avere
risposte alle sue domande. Nessuno esaudì la sua esigenza - pur roteando
gli occhi verso di lei – quando, dalle retrovie, si fece largo e le si pose
davanti quello che sembrava il più alto. Doveva essere il capo.
“Signora, la prego torni a casa. Questa non è una bella situazione per lei!”
“Qui si vuole profanare la montagna, ferire la terra. Non vogliamo che si
deturpi il nostro territorio già avvelenato da chilometri di catrame.”
Al militare, che per l’apparente età poteva essere suo figlio, non era
consentito fermarsi a conversare con i cittadini in una operazione del
genere. Avrebbe voluto informare e convincere l’anziana donna
Foto Terapia – No Tav

dell’importanza di certe decisioni, dei pro e contro delle opere pubbliche -


di quella grandiosa opera pubblica - ma, impegnato a mantenere l’ordine
e dovendo mantenersi vigile per un eventuale ordine di intervento, volle
terminare con una stringata ma sufficiente spiegazione:
"Anche i piccoli paesi sono stati raggiunti dall’elettricità, dal telefono e,
molti, anche dal gas metano. Il problema è che vogliamo tutte le comodità
ma non la tecnologia. Desideriamo una vita piacevole ma non accettiamo
il progresso. Come è possibile? Anche la tecnologia deve essere
trasportata.”

Si svegliò agitata tanto era verosimile lo sforzo, il dispendio di energie


profuso nella REM.
“Allora è stato solo un sogno?” esclamò con un certo sollievo. Con
movimenti lenti mise i piedi per terra. Si gettò addosso la vestaglia e, per
svegliarsi completamente, prima di approntare la colazione accese la
tivvù proprio nel momento in cui veniva trasmessa una edizione speciale
del tiggì.
Quando apparve l’immagine rimase a bocca aperta: nel servizio
giornalistico rivide quanto aveva vissuto nel sogno. In una inquadratura
successiva si rivide davanti a quei militi: in una mano aveva un bastone,
un rosario e il Crocifisso, nell’altra un fazzoletto per quelle lacrime che
erano il segno della sconfitta. La terra sarebbe stata profanata, ferita,
violata.

Foglio di servizio n. 2.541


Luca Baldini

Ma Eccellenza gliel'avremo detto chissà quante volte


Signora, non si può, Signora, non si può.
Però quella è sempre li, a provarci, a riprovarci.
Devo andare a Lourdes, devo andare a Lourdes.
Il referendum popolare l'aveva sancito e ormai era legge, erga omnes
Anonima Scrittori

come amava dire il Premier, erga omnes e basta.


La TAV fa bene alla Nazione, serve e si può fare.
Finalmente!
C’erano stati un mucchio di ritardi sul programma dei lavori, buche,
gallerie, valli, comunità, singoli, condomini.
Tutti comunque contro, per una montagna di pretesti: ecologici,
ambientalisti, umanitari, culturali, acustici, politici e soprattutto per una
manciata di appalti blindati, già dati a chi si doveva.
Fatto sta che alla fine hanno perso.
E fu proprio con quello che avevano sempre reclamato, il
pronunciamento popolare, la democrazia dal basso.
Macchè!
Costò un botto, è vero, ma funzionò.
Ai favorevoli fu assicurato un carnet di cento viaggi frontiera - frontiera
gratis.
Così il giorno del voto fu subito chiaro dopo i primi exit-poll: andava
bene, anzi benissimo, si erano tutti votati al viaggio.
Per legge fu sancito l’inizio della grande opera e un emendamento, che si
dice frutto di cooperazione bipartisan, stabilì che, come ristoro dei
maggior costi sorti in virtù di tutta quell’ottusa opposizione, l’uso della
nuova infrastruttura fosse per sempre inibito agli autori di tutti quei
danni.
In poche parole: non l’hai voluta? Non la userai! Mai!
Li per li sorse un coro di ecchiccazzosenefrega!
Ma poi il sentirsi esclusi minò l’orgoglio e più o meno clandestinamente,
per vedere, per sapere, per provare, qualcuno degli oppositori
incominciava a salire sul predellino del velocissimo treno che tra Lione e
Torino metteva neanche il tempo di un paio d’ore.
La cosa non poteva mica passare in cavalleria.
E così tutte le sante mattine dobbiamo venire a fare cordone intorno alla
stazione per impedire di salire a chi votò contro.
E’ intollerabile!
esclamò sua Eccellenza,
sulle foto, sui giornali, pure nei concorsi di scrittori da strapazzo.
Non si devono avvicinare, e meno che mai quegli appecoronati dei
fotografi.
Foto Terapia – No Tav

Provvedete.
Si Eccellenza, sarà fatto.
Però guardi quella li non la sopportiamo più Eccellenza.
Tutte le sante mattine che dio ci manda quella viene a lacrimare con il
crocefisso in mano e il moccio al naso.
Devo andare a Lourdes, devo andare a Lourdes
Signore non ce la facciamo più; o le diamo un carnet o la ammazziamo.
Cadde un silenzio spesso, opaco e lungo.
Sua Eccelenza sentenziò: Provvedete, la legge è legge.

Venerdì pesce
Marco Berrettini

Sono passati migliaia di anni e sono un po’ confuso, le lingue si


intersecano creando bave umoristiche e neologismi isterici, ma troppi
equivoci mi sembrano voluti.

Li ho visti, domenica, molti di quei volti a casa mia.


Non avevano caschi, né pistole, qualche manganello forse era rimasto in
cuore, ma piccole donne bionde stringevano gaie quei guanti neri.
Le ho sentite le tue preghiere insistenti oh …come ti chiami…Teresa?
Scusa, non so, sono proprio andato, un tempo ricordavo tutti i vostri
nomi, ma ora l’universo si è rivoltato; sarà l’effetto serra o l’eccesso di
solfiti nei prosciutti, sarà che su NGC4414, come la chiamate voi, non
riesco più a farli ragionare, sarà che quel pezzo umano che mi porto
dentro sta diventando il mio tallone, sarà.
Li ho guardati a lungo quei ragazzi con creste altissime e palline di
metallo negli archi ciliari.
Lo so che non credono, ma conoscono il martirio.
Lo so che sto facendo confusione, ma secondo voi mi cambia tanto che sia
Milano o Napoli o Avigliana?
Devo pensare a tutto e anche di più e sarà anche illogico, ma non ne
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posso più, sarà.


E ieri, giovedì, mi trovo ancora a dover badare anche alla signora.
Lei in tuta blu antisommossa avanza, transenna, vuole riempir la fossa,
svuotare l’area, respingere i fratelli, gli ordini son quelli. Sono di quelli,
sarà…
Anita si barrica in libreria e piange e strilla, i tram non passano, i mercanti
calpestano carciofi.
Voci, dilemmi, sindaci furiosi.
La brava gente e il delinquente e quello che passa e non gliene frega
niente e il fotografo e il cantore e l’inviata e il professore e la politica e la
camorra e gli spacciatori e il buttafuori e chi piscia sui muri.
Cox18, Lampedusa, Pianura, Val di Susa.
Sono stanco, che ci pensi Allah a questa gente qua, che se ne occupi
Giove, governo ladro e piove, Deimo e Fobo si danno da fare, a me
lasciatemi stare.
Renenutet, a lavorare, Inti scaldali tutti che se ne vanno al mare e Usoo
sceglierà chi dovrà annegare.
Pulviscolo umano, tanto io poi vi amo, ma per favore Teresa, è venerdì,
volevo la pasta con le sarde ora portami via.
Ho chiesto un po’ di sgombro e qui c’è la polizia.

Res Publica
Stefano Carbini

Marco rabbrividì nell'aria fredda e umida: da troppo tempo stavano lì


fermi, nascosti dagli alberi ai margini della radura. Avevano lasciato il
campo all'alba e marciato in salita lungo uno stretto sentiero fino a
giungere su quel tratto pianeggiante, disponendosi man mano su più file.
Dal villaggio oltre la distesa d'erba provenivano i rumori di una normale
giornata di lavoro, con le grida dei bambini più piccoli già in strada a
giocare.
Quando l'ordine di muoversi si diffuse lungo le fila passando di bocca in
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bocca, Marco sollevò lo scudo, grande, rettangolare e ricurvo, di legno


pesante, quasi senza sforzo. Un raggio di sole intrufolatosi tra le nubi e
poi tra i rami ne colpì la superficie e, per un attimo, le saette di bronzo
risplendettero animandosi come folgori vere.
La prima fila si mosse; Marco strinse forte l'asta del giavellotto, la
mascella contratta per la tensione, e la seguì. Poche interminabili ore e del
villaggio barbaro sarebbero rimaste solo rovine, per la sicurezza della
Repubblica e la gloria di Roma.

- Marco! Marcoooo! Ma che fai, dormi? Tira su quell'affare!


Marco si scosse e automaticamente tirò su il braccio sollevando lo scudo,
grande, rettangolare e ricurvo, di plastica trasparente, fin davanti agli
occhi, mentre il collega di fianco lo scrutava sospettoso.
Un ordine e il reparto di carabinieri in tenuta nera antisommossa si
compattò, scudo contro scudo, schiacciandoli; dopodiché tutti insieme
presero a spostarsi di lato e poi in avanti come un'onda di petrolio che sta
per abbattersi, lenta e pesante, su una spiaggia incontaminata.
Il senso di già visto che lo aveva preso svanì e Marco reagì stringendo
forte l'impugnatura dello sfollagente e guardandosi intorno nervoso,
pronto a opporsi a qualsiasi minaccia.
Ma stavolta che minaccia poteva mai costituire quella folla lì davanti?
Dalla prima fila poteva vedere bene le persone radunate nella spianata.
Saranno state sì e no un centinaio, quasi tutte anziane, raccolte nei paesini
delle valli lì intorno e portate lassù a protestare; tre pullman in tutto.
C'erano curiosi, fotografi e giornalisti ad assistere alla singolare protesta
di quella gente di montagna, anziana, spaventata e allo stesso tempo
determinata.
La decisione del governo di chiudere i piccoli, antieconomici, cimiteri dei
tanti paesini sparsi perlopiù là tra i monti li aveva fatti sentire defraudati
di ciò che mai avrebbero creduto potesse essere loro tolto, tanto da
spingerli in piazza.
Guardandoli, Marco si chiese se anche i suoi nonni fossero in piazza a
piangere e protestare, però non riuscì a chiedersi cosa ci facesse lui lì. Lui
che come suo padre, e via indietro nel tempo, fino a perdersi in un
limpido déjà vu, tutti erano sempre stati braccio di qualcun altro.
Una voce perentoria gonfiò l'onda di catrame, la spinse in avanti e lasciò
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che si abbattesse sulla ghiaia del piazzale spargendosi tra la gente. Si


alzarono grida acute e ci sarebbe stato un fuggi fuggi generale se l'età
media fosse stata un'altra; invece la reazione fu diversa e inaspettata.
Decine di anziani alzarono le braccia rinsecchite e poi le calarono, armate
dei loro bastoni, sulle figure nere, prive di forza, ma cariche del disprezzo
che solo i vecchi sanno esprimere.
Marco riuscì a parare i colpi di una vecchietta colma di rosari che gli
ricordava sua nonna e non sapendo come reagire, ripiegò insieme a tutto
il reparto.
Quella spianata assisteva di nuovo a una sconfitta e una vittoria, e forse,
stavolta, veramente a difesa della res publica.

Interiorità
Er Cavaliere nero

Eccola...è lei....Mi tormenta anche la notte e quando meno te lo aspetti si


affaccia ti manda un segnale, forte chiaro, che a malapena riesci a
mantenere. Una contrazione mi avverte che è vicina. Provo a mettermi in
maniera diversa ma non è la mia posizione naturale, allora mi rigiro nella
posizione di prima. Mi sento meglio, lo sguardo si assottiglia, diventa
16:9 fino a farsi il puntino come quando si spegne la tv.ZZZZ ZZZZ
Zzzzz. Ma, no cazzo, ancora lei, torna prepotente e più forte di prima
producendo ancora una contrazione, ma è maggiore e provoca una certa
tensione che una volta ancora riesco a controllare con concentrazione
degna di un giocatore di scacchi. Basta. Devo riposare le mie povere ossa,
domani sarà una giornata molto importante ed anche se l'età non è così
verde, devo e voglio esserci. Speriamo solo che questa fastidiosa
compagna mi lasci in pace per tutto il tempo della manifestazione. Sì,
domani si sfilerà per non permettere la costruzione della TAV ed io
voglio essere in prima fila per gridare con tutta la forza che ho...NO!! La
nottata sfila via ed arriva prepotentemente il giorno. La giornata sembra
buona, voglio mettermi un abbigliamento comodo e quel fantasioso
foulard che mi regalò il mio povero Elvezio per Natale, era il 1995 e
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questa valle, per cui oggi io andrò a manifestare, era ricoperta di una
bellissima coltre di neve mentre ci recavamo alla Santa Messa di
mezzogiorno. Io e Elvezio siamo sempre stati molto devoti, non
perdevamo mai la messa della domenica e se per vari motivi dovevamo
rinunciarci, si pregava davanti ad un crocefisso che lo stesso Elvezio
aveva costruito. Si, porterò con me anche quella croce. Ops, la mia
compagna di sempre mi avvisa di esserci anche lei, non mi fido, provo a
liberarmene ma nulla da fare, speriamo stia tranquilla in disparte. Arrivo
presto al presidio, mi metto davanti al corteo, la gente si compatta di
fronte allo spiegamento delle forze dell'ordine in atteggiamento anti
sommossa in maniera educata e responsabile. Erano stati chiari gli
organizzatori: “Gente, mi raccomando, evitiamo scontri, noi siamo
persone per bene che vogliono esprimere il proprio dissenso”. Che
emozione, forse è l'ultima cosa che farò per la mia valle e ne sono fiera, ci
starebbe bene anche una lacrimuccia. Questo momento di debolezza mi fa
abbassare la guardia e la mia infida compagna, tenta di organizzarsi
anche lei, una contrazione violenta percuote il mio ventre e mi fa capire
che ne ha abbastanza di camminate e urli contro il governo e i suoi
ministri e mentre i carabinieri alzano gli scudi io mi arrendo a lei e tento
un ultimo disperato tentativo di non far del male ai manifestanti...mi
giro.....carico.....e nella valle echeggia una forte inconfondibile e
portentosa ...scorreggia!!!!!! Click, passa un fotografo, immortala la scena
ma non può fare a meno di commentare ”Mai sentita una protesta così”.

Oscar
Maria Chiara Biondi

“Anche questa sera mi tocca lavorare” pensò Oscar infilandosi la divisa


da carabiniere.
Una frittata con le cipolle, un bicchiere di vino rosso che aveva macchiato
tutta la tovaglia e via a fare il turno di notte sulla volante, otto sere al
mese, per tutto l’anno.
Anonima Scrittori

“Ma proprio questo mestiere sottopagato dovevo fare? Troppi film ho


visto da ragazzino, con i cattivi da una parte e i buoni che vincono
sempre dall’altra. Dedicare la vita a salvare la gente, arrestare malviventi
e proteggere il mondo con la mia bella divisa e la mia pistola lucida. E
invece sono finito a girare sopra questa volante con un collega
rimbecillito e la noia che mi divora. E questa sera la divisa si è pure unta
di olio e la pistola è sempre piena di ruggine.”
Uscì di fretta dal portone dopo aver dato il solito bacio distratto alla
moglie già in vestaglia e ciabatte e un buffetto sulla guancia a quella peste
di Vincenzino, il figlio di 8 anni.
La pancia gli doleva, la frittata era pesante da digerire e aveva voglia di
dormire.
Viveva in un paesino dell’Emilia Romagna, alle pendici degli appennini
dove non succedeva mai niente. Tutto funzionava, pochi extracomunitari,
tutti che pagavano le tasse. Scuole perfette, uffici efficienti, gente per bene
e gran lavoratori.
Ma non quella sera………
Alle due di notte l’auto procedeva con un ritmo lento e rilassato, come
una coppia di innamorati senza fretta di tornare a casa. Imboccò Vicolo
della Pace, una stradina tranquilla non molto distante dal centro. Era il
solito giro, quello che lui e Tonio facevano tutte le volte e che li riportava
al punto di partenza. Sembrava quasi fossero su due binari.
All’improvviso un uomo, con i vestiti strappati gli si materializzò
davanti. Era coperto di sangue e zoppicava.
Frenarono immediatamente, mentre Tonio smontava per primo e tirava
fuori la pistola. Oscar scese pochi istanti dopo, lasciando l’auto in mezzo
alla strada. Si piazzarono dietro le due portiere, come nei film americani.
“Eccitante” ebbe quasi la forza di pensare Oscar, prima di accorgersi che
era un imboscata.
Tre uomini con il passamontagna sul volto apparvero alle loro spalle, in
silenzio, come dei gatti.
Tonio sparò un colpo in aria ma uno dei tre mascherati lo colpì forte in
testa facendogli perdere i sensi. Oscar urlò il nome del compagno ma
oramai era troppo tardi. Un proiettile gli attraversò il petto e gli si
incastrò fra le costole, proprio all’altezza del cuore. Fu questione di un
attimo. Sentì odore di bruciato, di carne abbrustolita, di morte. Vide suo
Foto Terapia – No Tav

figlio che dormiva, sua moglie nel loro letto caldo e un dolore più forte di
quello del proiettile gli tolse l’aria e gli appannò la vista.
Poi più niente, tranne la morte che ti porta via e un rigagnolo di sangue
che scorreva fra i ciottoli anneriti dalla notte.

C’era una volta


Luigi Brasili

C'era una volta un'anziana donna che s'incurvava lungo un pendio, il


vento bagnato a frustarle la gonna.

Lenta arrancava salendo a tentoni, la sciarpa di lana annodata in un


cappio, il cuore rigonfio d'antiche emozioni.

E in basso la valle, lontana e nebbiosa, spazzata da lampi che il cielo non


vede, straziata dall'urla di gente furiosa.

Saliva a fatica la ripida strada, senza voltarsi, e nemmeno pensare, ché


solo alla casa voleva tornare.

Un vento nemico le sferzava la carne, un vento ch'è nero, e nere le forme.

E in alto le case, lontane e nebbiose, spazzate da lampi che il cielo non


vede, straziate dal gelo, da bestie furiose.

Cortina di fumo la vide cadere, rialzarsi e cadere, fin quando riprese


decisa a passare.

Ma giunta alla meta, ricadde spezzata, trovò solo ombre, e macerie di


bombe.

E pianse sgomenta nell'orrida luce, la bocca distorta in fantasmi di voce.


Anonima Scrittori

Rimase in silenzio, fin quando fu notte, lontana da tutto, col gelo nel
petto.

S'alzò solo all'alba d'un sole impaurito, negli occhi la brace, nel pugno
una croce.

C'era una volta, e forse c'è ancora, un'ombra di donna, e un vento di


sangue a inzupparle la gonna.

Un inganno mediatico
Stefano Cardinali

Voglio raccontarvi che cosa accadde realmente quel giorno perché le


immagini spesso mistificano la realtà mostrandola parzialmente, come
avviene in televisione e come è successo con quella foto che quasi tutti i
giornali hanno pubblicato. Io c'ero e posso dirvi che quella donna è una
iena! Voi l'avete vista ritratta in lacrime, una pia devota al Signore: non
lasciatevi ingannare, quella femmina è una belva! Avete notato, oltre al
crocefisso e al rosario, cosa stringe in mano? No, non il fazzoletto, intendo
dire nell'altra mano. È un bastone quello che si intravede e ha la parte
inferiore insanguinata. Lo so che nella foto quella parte non è inquadrata,
è per questo che vi dico che le immagini strumentalizzano la verità
mostrandone solo una parte. Io c'ero e so con assoluta certezza come,
pochi istanti prima, quello che è lecito immaginare come il solido
sostegno per un'anziana signora, fosse stato usato per procurare dolore. A
me, il suo amante.
Lei è Olga, la conosco da quaranta anni e fino a qualche istante prima
eravamo in casa mia a fare sesso.
Come ogni primo martedì del mese.
All'inizio i nostri incontri erano molto più frequenti, anche dieci volte al
mese poi, con l'età e con gli acciacchi, abbiamo diradato. Adesso ci
Foto Terapia – No Tav

vediamo una volta al mese. Il primo martedì, appunto.


Quella vecchia è una macchina erotica sempre pronta a nuovi giochi con
l'unico vezzo di non volersi spogliare mai, o meglio, solo il minimo
indispensabile. Lo avreste creduto possibile? Lo dicevo io che le
fotografie non raccontano la realtà! Semmai la fanno immaginare e solo di
rado si intuisce la verità.
Lo so, adesso penserete che il bastone sia servito ai nostri piaceri. Non
come immaginate voi! Lei davvero lo usa come sostegno da quando si
ruppe il femore perdendo l'equilibrio durante una delle nostre posizioni
estreme. Passarono tre mesi tra operazione, gesso e rieducazione ed era
pronta, come nuova. Beh, non proprio come nuova, diciamo che certe
figure non avevano più l'elasticità di prima e altre avevano bisogno
dell'ausilio di quel pezzo di legno. Erano proprio quelle movenze
barcollanti a dare ai nostri amplessi la carica che ci mancava da tempo.
Quel bastone è diventato insostituibile nella nostra attività sessuale, è per
questo che non mi aspettavo che lo usasse contro di me quando le ho
chiesto di mostrarmi le tette, perché saranno anche quaranta anni che
trombiamo, ma lei, davanti a me, non si è mai spogliata. Avrò il diritto di
chiederglielo dopo tanto tempo? E invece no, si è scagliata contro la mia
testa con quel randello. Ho cercato di reagire ma la sua foga si è
moltiplicata! Soltanto quando ho finto di perdere i sensi ha smesso di
colpirmi. Con gli occhi socchiusi l'ho vista riabbassarsi la gonna cercando
di darsi un contegno. L'ho sentita blaterare che ero un porco e che non
meritavo di avere in casa certi simboli religiosi. Ha staccato il crocefisso
dal muro, si è riempita le tasche con i miei santini e, trovato il rosario, è
uscita. Barcollando mi sono rialzato e dalla finestra l'ho vista disperdersi
tra la folla manifestante. Ora eccola lì, su quasi tutte le prime pagine delle
testate nazionali, simbolo di una protesta pacifica maltrattata dalle forze
dell'ordine.
Non lasciatevi imbrogliare: il suo pianto non è dovuto ai gas o ai sensi
di colpa per avermi bastonato. Io la conosco bene e quelle lacrime sono
frutto della sua sinusite cronica. Un castigo minimo per avermi colpito a
sangue. Proprio a me, il suo parroco.
Anonima Scrittori

Agnese
Alessandra MR D’Agostino

Il rumore adesso si è attutito. Quello nella testa dico.


Mentre lei è sempre lì, a far da scudo in qualche modo. Ad evitare che
vengano avanti, i bastardi. A spiegar loro con il pianto che non si ferma e
continua a scendere dagli occhi che qui siamo nati noi e qui loro non
c’entrano niente, proprio niente cazzo, loro con le loro dannate divise
scure da beccamorti e i loro arnesi lucidi e cattivi. E invece niente, Agnese
non c’è verso che la ascoltino.
Levati, vecchia! Spostati o ne avrai anche tu!
Così lei gli dà le spalle, finalmente, purtroppo, in segno di sconfitta,
mentre mi guarda. Agnese guarda me che il rumore nella testa, ora, mi si
è attutito.
Agnese, ti difenderei io da quei bastardi! Se solo non avessi sempre
questo fastidioso ronzio che si espande senza senso dalla fronte agli occhi
alle orecchie alle mani alle gambe alla lingua facendola incespicare.
Agnese!, cerco di urlare con tutta la voce che non ho più.
Agnese!, provo ancora, più forte, cercando di alzare la mano che però non
si alza.
Lei adesso mi guarda ancora più attentamente, come se davvero avesse
potuto udire. Porta l’indice alle labbra, come per dirmi di tacere. Poi si
sistema meglio la sciarpa attorno al collo e la cuffia di lana grigia e
infiltrita.
Vattene, vecchia, e spostati!
Voi non c’entrate niente con qui dove noi siamo nati. Voi non c’entrate
proprio niente.
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Caccia alle streghe


Federica De Angelis

Era una notte senza luna. Il silenzio avvolgeva pesantemente ogni ramo,
ogni pianta. Tutto sembrava riposare e immergersi nell’atmosfera liquida
creata dall’umidità che si alzava dalle felci, dai ciclamini. D’un tratto il
vento iniziò a soffiare impetuoso e a lamentarsi tra le fronde degli alberi
secolari. Sibilava, s’insinuava, sfiorava le foglie in una danza sensuale e
mortifera. Come risvegliati dal sonno pacato del bosco, i gufi e le civette
iniziarono a lanciare il loro richiamo, alternandosi nel canto di un triste
presagio. Un rintocco lontano annunciava la mezzanotte: l’ora delle
streghe. Nella radura della valle, cinta dal bosco, iniziavano ad arrivare
ombre silenziose. Spuntavano dai quattro punti cardinali come vermi da
gallerie scavate nel ventre della terra. Religiosamente, eseguivano passi di
un rito pagano. Marco, appostato sulla collina, non riusciva a distinguere
se si trattasse di uomini, donne o entrambi. Abbracciò il suo fucile per
farsi coraggio mentre un lampo di terrore gli attraversò gli occhi
strabuzzati all’inverosimile nello sforzo di distinguere quelle sagome al
buio. Un brivido gli percorse la schiena quando sentì una mano toccargli
la spalla. In una frazione di secondo riuscì a rilasciare il respiro che si
accorse stava trattenendo da quando era arrivato. Erano arrivati i rinforzi.
Questa notte li avrebbero fermati, non ci sarebbe stato più spazio per
l’incertezza e la Legge avrebbe trionfato. Si distese sulla pancia e si mise
in posizione. Attraverso il mirino a infrarossi riusciva a distinguere
nettamente i contorni delle figure che si avvicendavano al centro della
radura. Erano davvero tanti. Tutti vestiti di scuro con mantelli e cappucci.
Irriconoscibili. Ognuno portava qualcosa, brandiva un bastone, una
bandiera, altri portavano doni, fiaschi di vino, cibarie e ripetevano mantra
incomprensibili a quella distanza. D’un tratto una luce squarciò il buio.
Al centro della radura avevano acceso un fuoco, ad uno ad uno i
partecipanti del sabba infernale si avvicinavano, e perpetravano il
malefico rito: giunti davanti al fuoco posavano un ciocco di legno a terra;
presto si formò un’alta catasta che l’assistente del Gran Cerimoniere
utilizzava per alimentare il fuoco. Erano tanti non si riusciva a contarli.
Dal mirino del suo fucile Marco ne fissava i volti, gli sguardi erano
Anonima Scrittori

impassibili, tristi, tirati. Poi il Gran Cerimoniere diede inizio al Sabba.


Scorrevano fiumi di vino e diedero inizio alle danze. Ballavano tutti, nella
promiscuità dei fumi, dei corpi e del vino. Solo allora si scorsero delle
piccole figure, anche alcuni bambini partecipavano ilari e ignari ai riti
sacrificali. S’innalzavano grida pagane che bestemmiavano la Legge e
apostrofavano i governanti, alcuni si percuotevano il petto, altri
chiedevano l’aiuto soprannaturale. Così tutta la notte fino all’alba. Fino a
quel giorno. Prima dell’alba Marco ricevette il segnale. Corsero giù nella
radura a centinaia per cercare di disperdere i sacrileghi rivoltosi. L’ordine
era chiaro: fare del male. Solo col sangue si sarebbe potuto lavare la
blasfemità di quelle riunioni. Si narra che ogni notte per mesi, strani riti si
fossero svolti fino all’alba nelle Valli del Piemonte. Qualcuno come
Marco, che una di quelle notti c’era stato, dice che i partecipanti visti da
vicino, fossero brava gente come lui, non fossero invasati ma amanti della
terra e dei loro paesi, dei resistenti. Ma si sa che spesso ci piace pensare il
bene per esorcizzare le nostre paure.

Un grano… una preghiera…


Marcello De Santis

Ci si è trovata per caso, in mezzo a quel casino.


E adesso non gli resta che una fuga precipitosa per quanto glie lo
consenta il passo appesantito dalla sua persona, resa grossa da un carico
d’anni e d’affanni. E un fazzoletto agli occhi bagnato di lacrime.
I vestiti che ha indosso sono le sole cose che gli restano. La casa, laggiù è
stata presa d’assalto e occupata da due bande rivali di giovinastri della
peggiore specie che dimostrano con la violenza contro non si sa cosa; per
cause che lei non sa.
All’incursione dei balordi è uscita fuori, dopo essere stata strattonata e
gettata a terra, mentre quelli se le suonavano con pugni calci e spranghe;
e bombe molotof tra le mani.
Due le hanno anche scagliate e subito un principio d’incendio si è levato
Foto Terapia – No Tav

ed ha attaccato immediatamente tutte le misere cose dell’unica stanza. Poi


non ha visto più niente per il fumo per il caos e per la confusione e le
invettive che si sputavano addosso quei facinorosi.
Ha potuto strappare alla parete solo una croce di legno, con un cristo in
vario che piange lacrime di sangue.
Come le sue.
Quella croce che ha pregato nei momenti difficili e che, lei lo sa, l’ha
sempre protetta, lei sola dopo la morte del marito e dell’unica figlia, che
se ne andata ancora giovane, da malattie e difficoltà esistenziali; che non
sono state poche.
Alle spalle la insegue a passi brevi e cadenzati una testuggine di forze
dell’ordine che incalzano chiunque e qualunque cosa si trovino di-nanzi
ad ostacolare la loro avanzata, con gli scudi a ripararsi da eventuali
controffensive fatte di sassi e altro.
L’aria è cupa sotto un cielo di piombo, e le divise da guerriglia dei
carabinieri non contribuiscono certo a rasserenare l’aria.
I militi non ce l’hanno con lei, che s’è trovata per caso là, ma tentano di
respingere quella massa impazzita che da qualche ora sta massacrando
tutto ciò che si trova intorno.
La povera donna ha cercato in ogni modo di portarsi fuori dalla mischia
ma si è subito resa conto che la cosa si mostrava difficile, trovandosi la
strada sbarrata da ogni parte; dietro i soldati che incalzano
metodicamente e decisi a non fare passi indietro, davanti la marmaglia di
manifestanti che lancia pietre a più non posso ora retrocedendo ora
avanzando davanti allo schieramento della truppa schierata in
formazione d’attacco.

Fa freddo, un freddo cane; e il bianco copricapo di lana che le copre la


testa e scende fin sopra le orecchie non è sufficiente a difenderla dal
freddo pungente che taglia il viso; che ha arrossato e ghiacciato persino
qualche lacrima che non ha potuto trattenere.

Indosso la povera donna è ben coperta; una sciarpa le avvolge il collo e


le copre la schiena; ma qui è altro il freddo che la ferisce; è il freddo della
paura che spinge i passi chiodati chiudendole ogni via per uscire dalla
inaspettata follia che l’ha sorpresa mentre davanti ai fornelli preparava la
Anonima Scrittori

polenta per il pranzo e la cena di oggi e di domani.


Ha lasciato - dentro il calderone - il matterello col quale girava la farina
gialla per non farla aggrumare nell’acqua.
E nell’inferno che si è scatenato dentro quelle quattro mura annerite dal
fumo e dalla grama vita, ha avuto solo il tempo di staccare il crocifisso
che adesso si tiene davanti a scacciare quella specie collettiva di satana
redivivo, e la corona del rosario di perline bianche, che non ricorda più -
nei fremiti di terrore che ha negli occhi e nel cuore - quante volte ha
snocciolato: un grano una preghiera, un grano una preghiera...

I’ll send an S.O.S to the world


Bruno Di Marco

Con gli occhi cisposi ciabatto per casa. Erano le tre, stanotte, serata
alcolica, di quelle di una volta. Cattivo sapore in bocca e cattivo umore.
Mi sento prigioniero della mia testa. Evadere, come? Accendo il pc, un
giro su FB magari aiuta. Che fa il mondo? Post vari, tentativi di umorismo
abortiti, grida di dolore, appelli sessuomaniaci travestiti da
intellettualismi ritorti, …
”…I’ll send an S.O.S to the world,
I’ll send an S.O.S to the world …”
E questa?
Strana foto con invito/provocazione:”cos’è?”
dunque, immagine di una serie di macchie di luce oblunghe tante, quasi
una texture... come quegli strani giochi di luce che i raggi di sole,
filtrando attraverso la serranda, facevano sulle tende in camera di mia
madre. Li guardavo incantato, nascosto sotto il letto, mia madre mi
chiamava: “andiamo da zia”. Non ci volevo andare, mi offriva sempre
l'orzata e guai a rifiutarla, la zia si offendeva. Venivo costretto a
trangugiare quella roba bianca e viscida nel suo piccolo giardino, seduto
tra vasi su cui, con una poltiglia bianca, erano incollati conchiglie di varie
forme - chissà dove li trovava – e cercavo di distrarmi fissando le
Foto Terapia – No Tav

ginocchia sbucciate di quel bambino di cinque anni che ero.


E quest’altra foto?
Allora … questa è Mariapierina, una vecchietta molto pia. Quando ha
visto tutta quella gente incamminarsi tutti insieme, ha pensato che fosse
una processione, magari un po’ strana. Meglio chiedere all’Adalgisa, la
vicina, che è una che ha studiato, sa leggere e scrivere. E quella, la vicina
le ha detto che si, era una processione, anche se diversa, ma oggigiorno i
giovani che si avvicinano alla religione inventano nuovi modi per stare
insieme e professare la fede, una volta li ha visti suonare la chitarra in
chiesa. Lei adora stare insieme ai giovani anche se non sempre li capisce.
E le due amiche, con un crocefisso in mano ognuna, hanno cominciato a
camminare insieme a quella gente. La Mariapierina, intanto guardava
intorno a sé rapita e chiedeva all’Adalgisa. Questa elaborava le
impressioni comunicate dall’amica e forniva la risposta.
- “NO TAV c’è scritto sui cartelli!” chiede Mariapierina. Per l’Adalgisa
deve essere qualche iscrizione tipo INRI, che non si ricorda bene che vuol
dire, ma era sicuramente religiosa, prova ad indovinare
- “Forse … forse … Nuovo … Ordine … Talare ... Avanti Vescovo!”
- “E che vuol dire?”
- “Non lo so! Ma quando non si capisce basta la fede”
- “Ah, giusto!”
La folla festante si incontra con un altro gruppo tutto vestito di nero con
scudi e manganelli che avanza in direzione opposta.
- “E questi chi sono?” ha chiesto Mariapierina,
- “Vediamo – ha detto l’Adalgisa, alzando un po’ gli occhiali per mettere
meglio a fuoco - ma si, questi in nero sono i flagellanti”
- “Flagellanti?”
- “Ma si, quelli che si picchiano da soli per dimostrare il loro amore per il
Signore”
- “Ma sei sicura? Mi pare che questi invece stanno prendendo a bastonate
gli altri”
- “Ma non capisci proprie niente. Lo fanno per aiutarli a pentirsi, ad
esorcizzare i loro peccati. Quelli in nero sono troppo buoni, invece di
purificarsi loro, preferiscono purificare gli altri!
Che generosità d’animo!”
E Mariapierina è commossa, gli atti di bontà disinteressata le hanno
Anonima Scrittori

sempre fatto versare lacrime e anche stavolta non si smentisce.


Intanto mi è passato il cattivo umore.
“… I hope that someone gets my,
I hope that someone gets my,
I hope that someone gets my,
message in a bottle, yeah...”

Dis–Ordine
Marco Ferrari

Uscito dalla palestra, s’intrattenne nel bar della caserma a fare due
chiacchiere con i colleghi.
“Cosa sapete voi del casino che ci sta a San Michele?”
“Io so che c’è una mezza rivolta e che hanno mandato all’ospedale una
dozzina di celerini.”
“Ieri sera in TV hanno fatto vedere che preparavano delle barricate
legando i cassonetti tra di loro con delle catene e stendendo del filo
spinato per forare le gomme dei mezzi.”
“Ma che fai, guardi i programmi di quei comunisti di merda? Il
comandante ripete sempre che dobbiamo tenere il cervello sgombro dalle
intossicazioni dei giornali e delle televisioni. Per fare il nostro mestiere si
deve agire senza troppi grilli per la testa.”
“Va be’, pure io mi sono visto l’intervista a due tipi, uno col
passamontagna e uno col casco, già esperti di guerriglia da stadio, che
lanciavano dei proclami minacciosi.”
“Sì, ma qual è il problema? Non ho capito con chi ce l’hanno?”
“Non si capiva bene. Pensa che ‘sti infami mettevano in testa al gruppo
donne vecchi e bambini!”
“Chi si mescola ai delinquenti, come fa a sperare che noi facciamo delle
distinzioni? Quando si parte non possiamo guardare in faccia a nessuno.”

La nipote della vicina s’era ammalata e i medici avevano dato la colpa


Foto Terapia – No Tav

all’acqua. Ogni famiglia in paese aveva un caro al cimitero, passato da un


calvario simile. I rubinetti vomitavano liquidi grigi e marrognoli, le radici
degli alberi e degli ortaggi attingevano da falde inquinate, il bestiame
ruminava la morte strappandola a morsi dal terreno.
Suo figlio se n’era andato a Roma a fare il militare e non era più tornato:
aveva fatto la firma, s’era fatto una famiglia e a casa si faceva vedere solo
alle feste comandate. Da quando era morto il suo Mario, nonna Giulia
s’era rifugiata nel misticismo. Una vita cadenzata da gesti semplici, tra la
messa delle sette a quella delle diciotto.
Anziché bonificare il territorio dopo decenni di inquinamento, il
progetto di costruire un nuovo mostro a duemila passi dalla piazza,
aveva scosso tutto il paese. Gli stessi dottori in giacca e cravatta che già
avevano certificato che le falde erano sane e che i decessi di pecore,
persone e bufale rientravano statisticamente nella media regionale e gli
stessi corrotti amministratori invocavano all’unisono la necessità
dell’opera.
Giulia ne parlò con il suo Dio e decisero insieme che quella cosa non
andava fatta. L’ultimo suo sogno era che uno dei nipoti sarebbe tornato a
vivere in paese, magari cogliendo l’occasione dell’eredità della casa.
Nessuno sarebbe andato a vivere in un posto avvelenato e neanche lei
avrebbe desiderato fargli patire una simile condanna. Avrebbe lottato.

Si presentò al raduno sulla strada provinciale brandendo la sua arma


più potente: il crocifisso. C’era schierato veramente tutto il paese, persino
i morti. In prima fila le donne e i bambini tenevano alte le fotografie dei
loro parenti finiti dalla diossina e dagli altri veleni.
Giulia si avvicinò allo schieramento dei tutori dell’ordine. Cercò tra
quell’accozzaglia compatta di scudi, caschi, scarponi e ginocchiere, gli
occhi di questi ragazzi per raccontargli la sua storia. Ma quegli occhi
erano fissi, come quelli di una bambola.
“Mio figlio sta a Roma, è un carabiniere come voi, è un maresciallo. Si
chiama…”
Le sue parole furono interrotte dall’ordine di attaccare. L’ondata di
violenza la sfiorò solamente, protetta dal Salvatore come per miracolo.
Restò ferma, lì con le sue lacrime e il suo sogno perduto.
Anonima Scrittori

Il cane
Fabio Brinchi Giusti

“Wow! Wow!”…ma perché abbaio e scondizolo…in questa circostanza


non mi sembra proprio il caso, però io non so far altro. Gli uomini
pensano che è un gesto di gioia, ma che gioia e gioia io voglio compatire
la mia padrona che sta piangendo, sembra così triste e addolorata, con
quel crocifisso e quel rosario fra le mani…che il Signore la consoli…e
bravo cane che sono! Tiro in ballo Dio quando dovrei consolarla io…darle
un po’ di gioia e di serenità, ma come faccio? Come faccio? Le sto
saltellando intorno (Wow! Wow!) e lei non mi vede nemmeno, quei
carabinieri ridono di me…mi indicano come fossi un pagliaccio, ma
insomma un po’ di rispetto? A questa donna gli avete mandato il figlio
all’ospedale con le ossa rotte, grazie ai vostri manganelli del cavolo…e
quello stronzo adesso che sta facendo? Ci fotografa? Ah bravo! Dai
fotografa una povera donna disperata – che è rimasta bloccata quassù
dove era venuta a chiedere notizie del figlio per poi scoprire che l’hanno
portato in città e ora lotta fra la vita e la morte – dai fotografa questa
donna in lacrime e il suo cane che le saltella intorno, poi impacchetta tutto
e mandaci a Canale 5…oh Dio! Adesso che c’entra Canale 5? Non mi
devo distrarre! Ho una missione…devo far sorridere la mia padrona…
coraggio! Non piangere! Quel comunista di tuo figlio c’ha la testa dura…e
sennò come faceva a credere ancora a Marx anche se il Muro è caduto da
vent’anni? Si ma lei non mi sente! Certe volte mi scordo che a me Dio la
parola non m’è l’ha data! Lei non mi sente…lei sente solo Wow! Wow!,
più che un rispettabile cane sembro una rana che gracchia, e pensare che
fino all’altro ieri al setter del vicino gli dicevo che era un bene che la
parola c’è l’avevano solo gli uomini: “La parola porta solo guai e pasticci.
Gli uomini hanno la parola e guarda quello che hanno combinato! Pensa
se erano rimasti zitti, se erano rimasti come le scimmie. Non sarebbe stato
meglio? Niente riscaldamento globale, niente razzismo, niente guerre”. A
quel punto il setter replicava: “Si, ma se gli uomini non avevano imparato
a parlare ed erano rimasti ai tempi delle scimmie tu, invece di avere la
pappa pronta tutte le mattine, dovevi andare nei boschi a correre dietro
alle lepri!” Quel setter! Il solito materialista! Pensa solo alle crocchette, ma
Foto Terapia – No Tav

non lo sente il telegiornale quando se ne sta accucciato sotto la poltrona?


Il mondo va a rotoli e quello…Mi mangerei la coda! Devo consolare la
mia padrona! Wow! Ancora…ancora con questo maledetto gracchiare da
rana. Ora si che la parola mi sarebbe stata utile, giuro che non farò più
polemiche con quel setter, mamma mia! Adesso piange più forte! Devo
fare qualcosa…provo a leccarle le gambe…oh Dio! Che vene varicose! Ma
che non m’ero mai accorto che non avevo Manuela Arcuri come
padrona…va beh, basta pensare alle vene devo consolarla! E adesso che
sta facendo? Mi lancia un pezzo di prosciutto? Ma no…che cavolo! No!
Non ho fame (però niente male ‘sto prosciutto!) Bella figura che sto
facendo…e adesso che succede? Sta arrivando un poliziotto (ok è un
carabiniere…sono tutti uguali)…dice che c’è un autobus che puo’ portare
qualcuno a valle…anche la padrona è nella lista…e a me perché non mi
fanno salire? Ahio! Quello mi ha appena tirato un calcio…”Via
cagnaccio!”…meno male che la padrona mi difende: “Lasciatelo stare
povero cane…l’hanno abbandonato…è da questa mattina che mi segue…
c’è qualcuno che lo può tenere?” “Certo. Ci penso io” risponde una
ragazza che mi lega al guinzaglio e mi porta via.

No Acerra, No Tav
Antonio Marcio Iorio

Dovrebbero venderle negli ipermercati della Coop. Tra la grappa Nardini


e le mele fuji, con tanto di stoppino e fiammiferi. Pronte per l’uso, senza
etichette tipo: “Attenzione, liquido infiammabile”, perché per bruciarne
cento di questi cani di Tonfa con i caschi blu e gli scudi di plexiglas, ce ne
vorrebbero a decine. Forse migliaia. “CARAMBA”, ripeto tra me e me,
“CARAMBA, vi muovete solo in branco, come dei randagi del salario”. E
allora aspiro rapida l’ultima boccata. Poi getto di scatto la sigaretta a terra
e la schiaccio col piede. Come schiaccerei loro e le loro anime: che brucino
pure all’inceneritore Fibe di Acerra. “Altro che Torino-Lione, altro che
Rocksoil! Tutti carbonizzati dovete morire”, farfuglio. Mentre il fumo
Anonima Scrittori

espira nevrotico dalle mie labbra, accendo la miccia e lancio la bottiglia.


La fiamma che divora la stoffa volteggia nell’aria, segue una curva e
lascia una scia nerastra nel cielo grigio della Val di Susa. Ho ventisette
anni, guadagno seicento euro al mese e non ho voglia di guardare la
Gelmini su Youtube.
Cinque secondi al massimo, inseguiti dalle urla dei Caramba che
anticipano di pochi attimi il fragore dello schianto. Rumore di vetri rotti
in un silenzio che domina ogni cristallo di neve. Vedo la vampata,
sorrido, accendo un altro stoppino e grido: “NO ALLA TAV”.
Quello sono io, non ho niente da perdere, SONO un uomo in rivolta.
Mentre piego il braccio per scaraventare il mio secondo omaggio
incendiario, m’accorgo che una vecchia con il volto fasciato in un foulard
nero corre verso il muro sub-umano dei mercenari in divisa. Tiene uno
strano crocefisso di legno nella mano sinistra e la corona di un Rosario
nella destra. Ho come l’impressione che al posto della testa del Cristo in
miniatura, ci sia una sorta di pulsante di plastica rossa. La vecchia ulula
arcane malie alle nuvole in un dialetto sconosciuto. E allora mi paralizzo,
anche se i caramba avanzano.
“Levati nonna”, urlo.
“Via, Via”, comandano i giannizzeri della Repubblica.
La donna sembra in tranche, vaneggia, piange, volteggia. Si blocca di
colpo, con le spalle rivolte verso le Scorze dell’Ordine e strilla: “Fermi,
fermi tutti”. Ma avverto solo il rumore degli anfibi che affondano nella
neve e le grida degli altri manifestanti che scappano come uno stormo di
quaglie allo sparo di un bracconiere. “Fermi, vengo in nome di Papa
Joseph…”.
Continuo a non comprendere le sue suppliche, soprattutto ora che i
Caramba sbraitano come Celti ai comandi di Vercingetorige.
“Lui, il successore di Pietro mi manda qui per dirvi che non si farà, che la
Tav non…”. La sua voce stridula è travolta da un tuono e poi un fulmine
e la pioggia scrosciante cade dal cielo senza preavviso. La miccia della
molotov si spegne, quasi miagolando. Ormai è inutile, è tutto inutile. Ed
allora inizio a scappare anch’io. Mi volto subito, d’istinto, per assicurarmi
che la vecchia sia ancora lì. Potrebbe finire come una cacca di cane sotto
gli anfibi dei Madama che marciano indemoniati verso di me. Mentre si
condensano spirali di fiato ad ogni respiro, la vedo. Con una mano si
Foto Terapia – No Tav

strofina l’occhio inumidito dalle lacrime e con l’altra spinge il pulsante al


posto della testa del Cristo. BOOOOOM. Le mie pupille quasi bruciano al
contatto con quel groviglio di fiamme che si sprigiona repentino. Un
muro d’aria mi scaraventa in avanti. Il sangue, il gelo, un conato di
vomito. Il buio. E io che penso prima di svenire: “Ecoballe infarcite di
sbirri, ecco cosa ci vuole in Italia. Altro che Tav”.

(ogni riferimento a cose e persone, è sicuramente casuale)


Note: tonfa è il materiale dei manganelli che la Polizia di Stato utilizzò a
Genova. Fanno molto male.
Fibe, è la società che ha iniziato a costruire il forno crematorio della
Campania Felix, l’inceneritore di Acerra
Rocksoil, è la madre di tutti i trafori.

Lo stato delle cose


King Of Mistery

Mi accorsi di quello che stava succedendo soltanto quando svoltai


l'angolo.
Un'amica che era con me trattenne un grido. Io rimasi interdetta per
qualche attimo.
Eravamo in una delle strade principali della città.
In lontananza, quasi alla fine della strada, una folla di giovani, dall'età
incerta tra i sedici e i trent'anni, cercava di avanzare contro una folta
schiera di carabinieri in tenuta antisommossa. Le loro divise erano come
un'immensa bocca nera pronta a divorare il bocconcino umano che
avevano davanti. Si udivano, soffocati, i rumori delle pietre e di altri
proiettili improvvisati sugli scudi, i quali lentamente avanzavano,
impercettibilmente.
Ai lati della strada nuvole di fumo si levavano, echi di battaglie e scontri
non ancora spenti. Alcuni fuochi stavano iniziando a divampare.
Tutt'attorno, desolato e impressionante, il silenzio.
Anonima Scrittori

Sapevo di che si trattava. Gli slogan urlati e le scritte negli striscioni


parlavano chiaro. Era una causa che condividevo; una causa per la quale,
a dire il vero, avevo già combattuto, nel mio piccolo, qualche tempo
prima.
Ma qui il conflitto si faceva decisamente più esteso. E la piega degli eventi
suggeriva anche come sarebbe andata a finire. Ma non c'erano tante
alternative. La situazione era precipitata da molto tempo e tutti i rimedi
adottati non avevano portato a niente. L'unica soluzione era stata la più
estrema, la più coraggiosa, la più terribile: quella che forse avrebbe
portato a maggiori risultati, o alla definitiva condanna dei manifestanti.
Ci si giocava il tutto per tutto.
E io, stando così le cose, non potevo certo rimanere dov'ero, con le mani
in mano. Guardai i manifestanti. Diedi borsa e quaderni alla mia amica e
feci qualche passo verso di loro.
Quando vide cosa avevo in mente di fare, la mia amica scattò indietro,
con paura, e si allontanò.
Non mi pentii un istante della mia decisione. Noi combattevamo per una
causa giusta e davanti avevamo dei nemici. Nemici che dovevamo
contrastare, se non sconfiggere.

Nelle ore seguenti fu tutto un susseguirsi di cori, grida, attacchi,


avvicinamenti, indietreggiamenti. Ogni tanto qualcuno rimaneva solo e
veniva colpito. Subito era inghiottito dalle fauci della bocca nera. Ma
continuavamo a lottare.
Intanto ci eravamo spostati. Avevamo guadagnato un'arteria principale
della città. Era nostra.
Ci trovavamo in un centro abitato. Tutt'attorno passanti immobili che ci
guardavano sdegnati, automobilisti indifferenti e gente che si affacciava
alle finestre con aria divertita.
Una scena mi colpì, e mi strinse il cuore.
Un ragazzo era stato circondato dai carabinieri e portato via. Una donna
piangeva ai lati della strada. Supplicava – non capivo bene le parole,
perché strozzate dai pianti – di lasciarlo stare, di non trattarlo così, che
non c'era bisogno di tanto odio.
Una morsa amara mi avvelenò il petto, e rimasi immobile sulla strada
mentre i nostri continuavano i loro assalti.
Foto Terapia – No Tav

Lo scontro continuò, ma io non me ne accorsi perché invasa da mille


pensieri.
Poi mi riscossi.
Avevamo faticato tanto, avevamo lottato tanto per cosa? Per arrenderci
alla fine? Per lasciarla vinta agli altri? C'eravamo dentro fino in fondo. E
dovevamo giocarci il tutto per tutto.
Allontanai quella visione dalla mente e ripresi a combattere. I carabinieri
avanzavano. Ma noi continuavamo, insistevamo, e non ci davamo per
vinti. Nonostante molti venissero inghiottiti dalla bocca nera.
Dovevamo cambiare lo stato delle cose.

Prima foto
Graziano Lanzidei

Il giornale riporta sia le dichiarazioni dei carabinieri che quelle dei


manifestanti. Più di mezza pagina dedicata alla notizia, corredata da
immagini, per dare un quadro completo del corteo. Spicca quella di
un'anziana signora, il crocifisso in una mano e un fazzoletto nell'altra, che
cerca di togliere il prima possibile le lacrime dal volto. Poi due pezzi a
raccontare le diverse versioni del fatto. L'articolo d'apertura, a quattro
colonne, ha un titolo a caratteri cubitali. “Donna colpita da un sasso dei
manifestanti”. A sostenerlo il portavoce della caserma 'A. Ridolfi', il
tenente Angelo Cartaglione, originario del Sud ma nelle valli ormai da 20
anni. E' un tipo pacifico, sempre impeccabile con quei capelli tirati
indietro dal gel e il portamento elegante, con e senza divisa. Lo conosco
perché viene al bar ogni domenica, accompagnato dal figlio, a prendere i
pasticcini per la famiglia. Nel leggere le dichiarazioni mi sembra di
sentirlo scandire le parole, in un italiano senza inflessioni. Nell'articolo
sottostante c'è l'intervista al leader del comitato, Yuri Campanaro, che
smentisce le forze dell'ordine. Ha trentasei anni, porta i capelli lunghi fino
alle spalle e ancora fa avanti e indietro con l'università, a Torino, grazie ai
soldi del padre architetto. Sostiene che sia stata una manganellata degli
agenti a far piangere la donna. “Mettono a tacere chi dissente con la forza,
Anonima Scrittori

senza rispetto per i più deboli” e più o meno ripete il concetto per tutto
l'articolo. In paese non si fa che parlare d'altro, ma nessuno crede né agli
uni né agli altri. Qui al bar, tra un campari e vino, una sambuca e una
grappa, c'è chi giura che la versione in realtà sia un'altra ancora. “Sei
matto” dicono quasi tutti a mastro Toni, l'ultimo artigiano rimasto in
paese che ripara qualsiasi elettrodomestico, quando prova a dire la sua.
“Matto è chi si va a fidare di quelli lì” continua a gridare lui al suo
dirimpettaio, tra un tresette col morto e uno scopone scientifico.
All'improvviso si ferma, s'alza in piedi e inizia ad arringare sia i
compagni di gioco che i curiosi che si sono assiepati lì intorno. “Ma
almeno lo sapete chi è quella della foto?”. Tutti si limitano a scuotere la
testa. “Non sarà nemmeno di queste parti” prova a rispondere uno.
Mastro Toni allora sbatte una di quelle sue mani giganti sul tavolo e
bestemmia. “Quella è Costanza Marson, la vedova di Paravenni, non vi
ricordate nemmeno lui?”. E tutti dicono: “E come facciamo a dimenticarci
il Generale?”. Lì fuori, al tavolino, sembrava ancora di sentirlo spiegare i
segreti e le strategie di ogni guerra. “La vedevi passeggiare la domenica,
dopo la messa, per il corso, abbracciata al marito. Una volta morto il
povero Generale, s'è barricata in casa. Mi capita di scambiare due parole
quando vado a ripararle la lavatrice o il televisore”. Tutti allora si
sistemano sulla sedia, per ascoltare meglio mastro Toni. “E' fissata con la
religione. Dice di parlare con Gesù. Le appare per affidarle dei messaggi
da diffondere. L'altro giorno, alla manifestazione contro la TAV, s'era
voluta mettere alla testa del corteo. Diceva che il crocifisso avrebbe
protetto tutti, avrebbe portato questa valle a vincere la sua battaglia. 'Me
l'ha detto Lui' ripeteva in continuazione e indicava la croce. Poi, quando
s'è resa conto che nessuno le dava retta e, anzi, c'era più di qualcuno che
la prendeva in giro, è scoppiata in lacrime e s'è allontanata. Da allora non
l'ha vista più nessuno. Nemmeno io”.
Foto Terapia – No Tav

Incubo
Francesca Lulleri

Bosnia, in un imprecisato giorno d'inverno.


“Nonna, perchè parli da sola ? Chi è quella persona sui pezzi di legno?”
A questa domanda così innocente del nipotino appena alzato, la povera
vecchietta decise di smettere di pregare per accudire il lascito di suo
figlio, morto da appena tre mesi mentre difendeva il suo piccolo paese da
chissà quali invasori.
“Vieni qui” disse con la voce tremante mentre ripensava con nostalgia a
quel suo figlio che ormai non c'era più ma che riviveva negli occhi del
nipotino. Ripensando alla sua giovinezza ricordò con angoscia i momenti
in cui l'aveva partorito e la felicità subito dopo, e all'amore che ancora
ardeva per lui dentro il suo vecchio cuore.
“Un giorno, la nonna ti porterà via da qui...se il signore lo vorrà.”
“Chi è il signore nonna? Ci porta via da qui?”
La vecchia donna abbracciò con dolcezza materna il bambino, innocente
vittima di eventi ingiusti e arrivò ad una dolorosa conclusione. Accarezzò
la fronte del bambino e lo baciò ripetutamente...poi andò a prendere una
grossa patata dalla cucina e si accinse a sbucciarla per poterla bollire.
“Quando torna papà ?” Disse il bambino mentre giocava con il gatto
ormai magrissimo.
“Papà non tornerà più...”
“Ah...” continuò il bambino innocentemente, mentre continuava a
giocherellare col piccolo animale. “ e perchè? Non ci vuole più bene?”
La vecchia mise la patata dentro la pentola colma d'acqua. Non rispose.
In cuor suo sperò che il bambino non facesse altre domande.
Si affacciò alla finestra.
La neve aveva inghiottito tutto. Il piccolo viale che andava verso la chiesa
ormai non si vedeva più. Le case di fianco, semidistrutte dalla guerra in
corso sembravano ora mute bare di vetro. Qualche cane passava ancora
di li' ma di certo, o sarebbe morto di fame e freddo o qualcuno se ne
sarebbe nutrito. Tutto era cambiato in così poco tempo. La guerra aveva
modificato tutto dal profondo.
Aveva modificato gli animi, i cuori, i vecchi i bambini, il cielo, i campi, le
Anonima Scrittori

città...
Nulla era più come era. Ad un tratto vide un ragazzo...nero
nell'immensità della neve. Uscì di casa.
Quando lo raggiunse notò che piangeva. Non riuscirono a comunicare a
parole, parlavano due lingue diverse. La vecchia gli prese la mano.
“Vieni” cercò di dire anche a gesti, ma il giovane si discostò
violentemente, non voleva farsi vedere debole. La vecchia notò che in
mano aveva un foto...sorrise.
Se ne andò ma lasciò la porta aperta. Dopo poco tempo, quando ormai la
patata era pronta il giovane si avvicinò all'uscio...la donna gli porse una
porzione di patata. In giovane la mangiò con gusto e ringraziò. Cercò di
parlare ma purtroppo non riuscirono a capirsi se non con sguardi e
sorrisi. Ad un tratto il giovane disse “Italian” e lì lei capì che le sue
preghiere erano state esaudite.
“Tesoro, è lui il signore che ti porterà via”
Il giovane sorrise. Tese la mano al bambino. La vecchia pianse . Il giovane
cercò di comunicarle che poteva venire anche lei...ma lei decise di
rimanere lì con suo figlio. Il giovane aspettò il giorno prima di riuscire
all'aperto con il bambino. Arrivarono due grosse macchine nere.
“Hey, Cristian, ci hai fatto prendere uno spavento, pensavamo fossi
disperso...chi è quel bambino?”
Cristian sorrise.
“L'ho trovato in mezzo alla neve, piangeva...portiamolo al sicuro”
“Era solo?”
Cristian esitò.
“Si'...”
Salirono sulla prima automobile. La vecchia li osservò mentre portavano
in salvo il bambino.
Il suo viso fù solcato dalle lacrime. Andò verso il crocifisso. Ringraziò.
Foto Terapia – No Tav

La forza e la fortezza
Marisa Madonini

Nelle mani la speranza di non accettare passivamente lo status quo e la


mercificazione dell’umano e delle creature tutte. Nelle mani e nella
mente, nella parte più sacra e intoccabile dell’uomo la speranza contra
spem che non esista solo il roboante, impietoso, sopruso furbesco e
vittorioso. Un urlo di giustizia si leva: i profeti fin dall’antiche Scritture lo
lanciavano dal deserto o dalla roccia (…visita questa vigna, proteggi il
ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato…
Salmo 79) per ‘vedere’ e ‘udire’ la vera essenza della creazione e la ‘cosa
buona’ dell’inizio che tutti noi cerchiamo nei nostri esodi e diaspore.
Tensione di giustizia, di più, d’amore (spietato e doloroso che ferisce e
recide per far crescere e dar forma) nel nostro cammino ignoto ma fedele
scegliendo di credere oramai che oltre la realtà immediata si sveli una
latente possibilità di riscatto. C’è chi sa fare un piccolo gesto, chi sa
fondare una grande rete d’aiuti umanitari, chi lotta per la pace e paga di
persona, chi scopre un vaccino, chi fa la spesa al vicino, chi scrive un libro
epocale rivelando verità scomodissime, chi dirige un’orchestra dai suoni
perfetti con mani amorose come quelle sul corpo degli amanti. Il nostro
essere non riposa se non nei momenti di riconciliazione con l’essenza del
mondo senza reprimerlo o avvelenarlo avvelenandoci. E se la donna
continua a gemere nelle doglie del parto e del travaglio che lo precede
nella creazione, così la donna, asciugata ogni lacrima, guarderà sorridente
il bambino, la nascita, la rinascita, il ritorno della verità che pareva
sublimazione e utopia. Compiangersi e lamentarsi non valgono: ha valore
il lievito nella pasta, il seme sotterrato che pare morire d’inverno e patisce
il gelo, di fronte alla sterilità apparente del suolo. Una fede tra ragione e
follia come inspirazione ed espirazione del medesimo respiro.
Anonima Scrittori

Le impronte
Edoardo Micati

Milano, redazione di un importante quotidiano nazionale.


- Direttore, è giunta una e-mail con allegato fotografico, è di Edoardo, il
nostro corrispondente in Puglia.
- Fai vedere.
- Una foto molto eloquente, mette a fuoco una scena dei nostri tempi, ma
potrebbe riportarci con la mente a guerrieri con scudi di epoche lontane.
- C’è pure un servizio, bravo Edoardo. - Con altri colleghi ci troviamo a
Scarfagnano, paese poco distante da Gallipoli. Un anonimo informatore ci
aveva avvertiti che in mattinata sarebbe accaduto un qualcosa di
particolare, da non perdere, nel campo Rom che ospita sei famiglie, in
tutto 36 persone. Verso le dieci, senza alcun preavviso, si sono presentati
dei funzionari prefettizi, accompagnati da numerosi carabinieri, in assetto
anti sommossa, per il prelievo delle impronte digitali. I rom non stavano
opponendosi all’ordinanza, ma nel momento in cui il sindaco del paese
ha preteso di fare l’esame del DNA, adducendo che fra i 21 minorenni,
tanti in un gruppo di 36 persone, alcuni di essi potevano essere stati tolti
alle famiglie d’origine, è avvenuta una vera e propria insurrezione. Alle
pietre lanciate dai ragazzini, in risposta, un carabiniere ha scagliato una
bomba lacrimogena, subito imitato dai suoi compagni d'armi. Nella vasta
spianata, avvolta da una spessa nuvola di fumo, a tratti si vedevano le
camionette che passavano fra le misere roulottes, con i carabinieri a dare
manganellate, alla cieca.
Ovviamente, chi disponeva di una macchina fotografica o telecamera ha
documentato l’avvenimento. Non avendo a portata di mano il mio
attrezzo ho fatto appena in tempo a scattare una foto col cellulare. E sono
stato fortunato perché ai colleghi è stato sequestrato l’equipaggiamento.
Solo uno scatto ho potuto fare, uno scatto che raffigura questa povera
vecchia donna pressata da una schiera di uomini con scudi e casco nero.
La poveretta reggeva con la mano sinistra un crocefisso di legno, fra le
dita stringeva un rosario. Piangeva, cercando di asciugare le lacrime con
una pezzuola bianca. Son riuscito a parlarle. E’ originaria del distretto di
Suceava in Romania. Rom di etnia polacca, cattolica, si era salvata dai
Foto Terapia – No Tav

tedeschi accolta da una famiglia rumena, mentre i genitori venivano


trasferiti nel campo di Belec in Polonia, dove finirono nelle camere a gas.
Grazie all’intervento del vescovo, avvertito dal parroco del paese, che ha
minacciato il prefetto di far intervenire le alte sfere religiose di Roma, i
rom non sono stati trasferiti. Ho intervistato il comandante dei vigili
urbani Capone il quale mi ha raccontato che: - Dopodomani il gruppo
avrebbe dovuto lasciare Scarfagnano per trasferirsi in Romania. La loro
presenza in Italia è diventata insopportabile, dovunque vengono
scacciati, anche se non hanno nulla da recriminare verso i cittadini di
Scarfagnano. Devo riferire, per onestà professionale, che i ventuno
bambini appartengono effettivamente ai gruppi familiari, questa è gente
prolifica, si sa. - Ho avvicinato infine il vescovo al quale ho mostrato la
foto con la povera donna. Con enfasi ha detto: - Le impronte, per tutti noi,
le ha già lasciate Gesù Cristo sulla croce, questa povera gente va lasciata
in pace, non s’erano accorti che stavano mettendo in croce la santa
donna?
- Si pubblica in prima pagina, così com’è. Mi raccomando, la foto deve
risaltare, come se volesse uscir fuori dalla pagina. E poi…sì, in rilevo le
parole del vescovo: Le impronte, per tutti noi, le ha già lasciate Gesù
Cristo sulla croce!

Siamo qua apposta


Faust Cornelius Mob

Eccola che ricomincia, è la quarta volta che cercano di calmarla e come la


mollano ricomincia a urlare. Ha la voce che pare il suono di una
campana, solo che non sfuma, va avanti a oltranza con un volume da
spappolarti la testa. Grida e ci sventola davanti quella sua croce enorme.
E ci credo che a uno prudono le mani, e che una manganellata ci
scapperebbe anche, ma già me li vedo i titoli dei giornali di domani : “
Macelleria Val di Susa – feroce pestaggio ai danni di un’anziana
manifestante “.
Anonima Scrittori

Ma và a cagare, và.
Ma dico, si può andare avanti così? Quattro invasati che ci vomitano
addosso i peggiori insulti e ci trattano come se avessimo la lebbra. E che
cazzo, per caso l’abbiamo voluta noi ‘sta benedetta TAV ? Non è che
magari noi siamo qui svegli dalla mattina presto perché voi possiate fare
la vostra manifestazione e noi possiamo portare a casa lo stipendio? Ma
no! A noi piace dormire poco, stare qua a gelarci il naso senza nemmeno i
vostri thermos di caffè con voi che ponderate ad alta voce sui mestieri
delle nostre mamme.
Anzi, guardate, se non ci lasciano menare voi quando torniamo a casa
due calci nel culo li diamo alle nostre mogli.
Ma andatevene a fare in culo, và, che ho pure votato dalla parte vostra! E
provate a leggervi Pasolini, se ancora va di moda!

Mano calda
Matteo Ninni

Io ero arrivato sopra in valle qualche giorno prima con una macchinata di
compagni, così da rifornirsi di Pastis.
La vecchia invece uscì di casa il giorno delle cariche, troppo in fretta per
ricordarsi i guanti. Scese dal sentiero del crinale cambiando mano al
crocifisso e al bastone da passeggio ogni cinquanta passi e pensò che dio
l'aveva fatta con due mani proprio per questo, per averne almeno una
sempre calda. Scendeva accennando preghiere senza scopo, come quelli
che fischiettano mentre cucinano o sistemano il letto o aprono il negozio.
Pregava senza pensare e poi bestemmiava con più lucidità, perché era il
suo modo di dialogare con dio, come si fa con la gente che si conosce
bene, un sorriso e un vaffanculo preventivo, senza sapere come andrà a
finire, la giornata o la stagione o la vita intera.
Alla vecchia le avevamo detto: prudenza. Eravamo saliti alla sua capanna
di rami e fieno e alle baite in quota la mattina prima per informare del
presidio permanente.
Foto Terapia – No Tav

Prudenza vecchia perché quelli uccidono. Qualcuno le aveva portato le


foto dei giornali con la testa bucata di Carlo Giuliani circondato dagli
anfibi neri. Gliele avevano appoggiate sul tavolaccio di pietra, scostando i
semi masticati delle bacche selvatiche. Udimmo commenti sconnessi e
preghiere. Ci portò a vedere uno scaffale di legno invaso da candele,
pentolini e rotoli di scotch.
Arrivò al presidio mentre le donne stavano svegliando i bambini. Le
tende da campo assorbivano la luce rossa dei falò, simulando l'alba svilita
dalla nebbia.
Mi versai del tè caldo e le andai incontro. Dalla tasca estrasse un rotolo di
scotch e mi fece capire che avrebbe voluto infilarselo per il braccio, fino
alla spalla. Non capii e glielo rimisi in tasca. La vecchia si voltò
bestemmiando e prese a incamminarsi verso il cordone di militari che
prendeva posizione con accenti meridionali.
Poi successe che dopo le prime piccole cariche io ebbi paura e me ne
tornai ai fuochi. Lanciavo, da dietro, sassi e cassette di legno.
Vedevo i manganelli piovere a scrosci improvvisi sulle teste e le braccia.
C'erano urla isteriche e sindaci che chiedevano calma. La vecchia se ne
stava in mezzo, in un punto di non contatto. Presentava a tutti Gesù
Cristo, arretrando di un passo, come se presentasse un amico, poi dando
le spalle ai carabinieri si asciugava gli occhi. Non so se era paura la sua,
forse solo il freddo umido che provava a sfondarle i bulbi. Pregava,
bestemmiava e si asciugava il viso mentre due differenti interpretazioni
del mondo interloquivano. Aveva rabbia montanara espressa dalle rughe
della fronte e un atteggiamento estraneo allo scontro in atto. Che cazzo ci
fa la vecchia qui in mezzo, lo dissero in tanti, da una parte e dall'altra.
Io la osservavo tra i corpi imbacuccati. Avessi avuto in mano il suo
bastone o il crocifisso l'avrei usato come mazza. Forse anche il suo scotch,
l'avrei lanciato addosso a quel muro di caschi e scudi. O forse no. Ma
ripensandoci ora rifletto sull'estetica dello scontro. Mi vengono in mente
alcune illustrazioni di guerre lontane che riportano immagini di soldati
armati solo di vessillo o bandiera. O quegli altri con il tamburo.
Carlo Giuliani è morto con un rotolo di scotch su per il braccio.
La vecchia prega e bestemmia con un crocifisso in mano. L’altra mano è
sempre calda e occhi sono stretti dalle lacrime.
Io vivo in fondo alla pianura e lì nessuno discende i crinali.
Anonima Scrittori

Santo subito
Mario Orlandi

Ci si erano trovati per caso. Erano appena usciti dalla bottega equa e
solidale e – svoltato l’angolo – avevano trovato Piazza Santa Maria
Goretti stracolma di gente.
“…riscoprire i valori della terra e del territorio…” urla la donna dal palco,
mentre la folla esplode in un lungo applauso.
Ivan – che la politica la segue solo di riflesso, tramite i commenti di
Daniela – si guarda intorno, stordito dall’entusiasmo delle persone che
tengono alte le bandiere e si sbracciano verso il palco.
“Hai visto che abbiamo fatto bene a venire?” fa Daniela, prendendolo
sotto braccio. Lui si divincola, per raggrupparsi i capelli in una coda. Lei
abbozza un broncio, anche se timido.
“Se c’è tuo padre lo sai che gli da fastidio vedermi con i capelli sciolti,
no?” e le stampa un bacio sulla guancia.
Daniela sorride e lo prende per mano. Si avvicinano al palco, facendosi
largo tra le persone.
“Ma perché tutte quelle croci sul palco?” chiede Ivan, “non è una
manifestazione del Partito Democratico?”
“Non si chiamano più così, sciocco,” lo riprende Daniela con occhi di
sopportazione, “adesso sono i Democratici Fedeli.”
“…perché tutti gli uomini sono uguali,“ riprende la voce dal palco,
“davanti al Signore. Tutti siamo figli di Dio...”
All'improvviso, sulla destra del corteo, subito dopo l'aiuola alberata, a
ridosso della recinzione della casa occupata – quella che una volta si
chiamava Casa Pound e che invece oggi viene chiamata Regno di Dio –,
viene innalzato uno striscione. “Tutti figli di Dio tranne il Grande
Satana”. Firmato Rif. Ap..
Ivan cerca di capire cosa succede, Daniela ha il volto serio e continua a
ripetere: “Papà” mentre fruga con lo sguardo tra la folla.
Iniziano gli schiamazzi, le urla, i cori di scherno. Provengono dai militanti
di Rifondazione Apostolica che avanzano verso il palco minacciosi. Il
servizio d'ordine dei Democratici Fedeli cerca di frapporsi, ma l'onda
d'urto è troppo potente. Daniela rimane immobile. La signora anziana che
Foto Terapia – No Tav

arringava la folla dal palco, dopo qualche minuto di silenzio, riprende il


comizio.
“Non abbiamo paura dei falsi discepoli del Signore. Il mondo che stiamo
costruendo è di ogni figlio di Cristo. Nessun episodio di razzismo e di
intolleranza...”
Intanto i manifestanti continuano a schiacciarsi sotto il palco, mentre
quelli di Rifondazione Apostolica avanzano. Lo scoppio dei petardi è
soffocato dai lacrimogeni sparati dalle forze dell’ordine. Daniela e Ivan
riescono a infilarsi in una stradina laterale prima di essere accerchiati.

Piazza San Pietro non è mai stata così piena. Ivan suda dietro la
bancarella mentre vende le ultime t-shirt alla gente che si accalca davanti
al suo tavolino di plastica. “Te l’avevo detto che ne avrei dovute far
stampare di più,” sussurra a Daniela che fa la spola tra lo stand con
l’acqua e le file di pellegrini in coda per la cerimonia di proclamazione
del Santo.
“Zitto tu,” ribatte lei, “che non credevi nemmeno che avremmo vinto le
elezioni, io l’avevo sentito subito dall’energia che c’era in piazza quel
giorno che i tempi sarebbero cambiati.”
Un boato la interrompe. Il pontefice fa il suo ingresso in piazza. La folla
ondeggia. Si fanno avanti le autorità – il segretario dei Democratici Fedeli,
nuovo capo del governo italiano, e il Presidente della Repubblica – e si
chinano a baciare l’anello. Inizia la cerimonia. Mentre papa Benedetto
XVI nomina santo Ernesto Che Guevara Ivan indossa l’ultima maglietta
rimastagli con l’effige del Santo col basco circondata da un’aureola gialla
rossa e verde.
Anonima Scrittori

Infelicità: complemento d’emozione


Daniela Rindi

Si chiamava Natale, perché era nato il giorno di Natale, era un ex


ferroviere, ma iniziò come “Frenatore”. Ai tempi, in cima ad ogni vagone
c’era un piccolo scompartimento di pochi metri quadrati, all’interno un
volano che, quando la motrice frenava al segnale del macchinista, ogni
frenatore doveva girare a mano per rallentare il proprio vagone. Non ha
mai fatto carriera perché antifascista vero. Un giorno, mentre stava
tornando a casa alla fine di un turno, fu fermato da una squadra. Fu
interrogato e fortunatamente rimandato a casa, ma fu lui a frenare il treno
nella galleria tra la stazione di Rio Maggiore e La Spezia, per permettere
lo scarico dei sacchi di farina. Lo sapevano tutti. Quando andò in
pensione non interruppe la sua attività al sindacato, continuò a procurare
tessere, a presenziare a riunioni e si mise pure a fare il calzolaio, per
aiutare un amico. Sua moglie si chiamava Maria, entrambi nonni di
innumerevoli nipoti, a loro volta figli di numerosi figli, però soli, chiusi
nella loro vecchiaia quasi centenaria. Sono sempre stati poveri, una
modesta casa in curva con un piccolo balconcino affacciato sulla ferrovia,
a Pegazzano. Il treno era una presenza che, col suo suono rassicurante,
accompagnava le loro giornate, un passaggio ritmato e inesorabile...
tutum tutum tutum tutum. Carne una volta al mese, per il resto molta
minestra di patate. La stufa era sempre spenta, la legna costava troppo,
allora Maria la sera sferruzzava maglioni e sciarpe uno dietro l’altro. Il
tempo si muoveva lento, come i loro corpi anziani. Ogni mattina lui
andava a passeggiare lungo la ferrovia… Ricordava quando con i suoi
compagni di scuola veniva lì a giocare agli indiani, si sdraiavano
poggiando le orecchie sui binari, per sentire le vibrazioni dell’arrivo del
treno. Il treno rappresentava i cow-boy, i sassi erano le frecce degli
indiani. Ad un certo punto Maria s’ammalò, non si sa bene di cosa,
all’epoca uno stava male e basta… Il male era all’intestino, fu operata, le
inserirono un ano artificiale, che servì solo a rendere la vita un inferno ad
entrambi. Doveva fare tutto lui, la spesa, gestire la casa, accudirla,
cambiare il catetere, svuotare il sacchetto delle feci. Senza mezzi, senza
medicine, ogni notte addormentarsi diventava sempre più difficile e
Foto Terapia – No Tav

insopportabile. Neanche lui dormiva più, non sopportava la propria


impotenza. Tentò di comunicarlo ai figli, di chiedere aiuto… Una vita
passata uno accanto all’altro è sufficiente a rendere inaccettabile una fine
sbagliata, a farti soffrire al punto di sfiorare la follia. Quella notte questo
doveva essere il sentimento che guidò la sua mano, impugnato un
martello, a colpirla così forte sulla fronte. Per ben tre volte il sangue gli
schizzò sulla faccia. Andò poi in cucina, si asciugò il viso, prese dal
cassetto un coltello, tornò in camera e si sdraiò a letto affianco a lei. Le
prese una mano, se la strinse al petto e con l’altra fece correre la lama
lungo il collo.
Così li trovarono il mattino dopo, in un letto di sangue, mano nella
mano…a novant’anni.
Non erano morti, però, questo il paradosso, questa la tragedia. Le sue
mani erano troppo fragili per infierire colpi mortali.
Lui fu rinchiuso nel carcere psichiatrico a Montelupo Fiorentino, poi
successivamente trasferito all’ospedale psichiatrico di Castiglione delle
Stiviere. Questo gesto d’amore folle li separò per sempre, lei non lo
perdonò mai. Morì per un raffreddore a 91 anni.

Gente senza Dio


Annamaria Trevale

Madre di tutti, la montagna, ma più spesso matrigna.


Avara di cibo e di lavoro, generosa dispensatrice solo di fatiche, di
pericoli e di tragedie.
Non c’era famiglia, in quelle borgate di case strette una all’altra in piccoli
gruppi lungo le valli, che non contasse fra i propri legami una persona
scomparsa a causa della montagna.
Angelina conservava memoria di un’infanzia vissuta prima che le nuove
strade, le ferrovie e i capannoni delle fabbriche riempissero i fondovalle,
attirando verso il basso la gente della montagna con la promessa di lavori
e vite migliori.
Anonima Scrittori

Erano rimaste molte case vuote, nelle frazioni lassù in alto, solo in parte
riprese più tardi da qualche raro villeggiante estivo, perché questa era
una montagna davvero sfortunata, neanche troppo buona per il turismo,
come diceva sempre quel suo nipote che aveva studiato e che dopo le
ultime elezioni era diventato sindaco del paese.
Ma ora che nelle case c’erano l’acqua, la luce, il gas e le persone avevano
tutte un lavoro dignitoso, non si viveva così tanto male, lì sulla montagna,
pensava Angelina che poteva ricordarsi ancora bene di quando la notte si
doveva andare a dormire col braciere nel letto per sopportare il contatto
con le lenzuola ghiacciate, e tenersi addosso i mutandoni di lana lunghi
fino alle caviglie sotto alle gonne, altrimenti le gambe diventavano blu,
per non parlare di quando si aveva sempre fame, ma c’erano solo patate
per calmare il brontolio dello stomaco…
Però, proprio quando tutti avrebbero potuto restarsene tranquilli, erano
arrivate quelle grosse macchine a scavare, e avevano aperto quell’enorme
cantiere: tanta gente, un viavai di operai.
E tutti protestavano.
Il nipote sindaco aveva spiegato ad Angelina che volevano bucare la
montagna per far passare un treno velocissimo, e che questa nuova
ferrovia avrebbe rovinato tutto quanto intorno.
Il parroco li aveva chiamati gente senza Dio, invitando tutti gli abitanti
del paese a protestare, perché era certo che Gesù Cristo non approvasse
quello sfregio della natura.
Angelina era una buona cristiana e pensò che avessero entrambi ragione,
perciò s’incamminò con gli altri lungo la strada che conduceva al cantiere
stringendo fra le mani incallite il Crocifisso che teneva appeso sopra il
suo letto.
Un gruppo compatto di uomini vestiti di scuro, protetti da elmi e scudi
come guerrieri, se ne stava schierato davanti ai cancelli, oltre i quali
stazionavano soltanto quegli enormi macchinari che impaurivano le
anziane donne del paese.
Nessuno ad assistere alla protesta: i manifestanti gridavano frasi ritmate e
agitavano striscioni, ma loro restavano fermi, impassibili dietro i loro
scudi, come se tutto quel clamore non li riguardasse affatto, finché il
gruppo dei manifestanti, disorientato dalla mancanza di un
contraddittorio, iniziò ad indietreggiare e a riprendere lentamente la via
Foto Terapia – No Tav

del ritorno.
Angelina rimase per un momento immobile in mezzo alla strada,
chiedendosi perché mai Gesù non intervenisse in qualche modo nella
faccenda. Si staccò dalle altre donne, raggiunse gli uomini scuri e
percorse il loro schieramento brandendo ben alto fra le mani il suo
Crocefisso, ma non accadde nulla: sotto il cielo plumbeo, nel freddo
pungente della valle, gli uomini sembravano non vederla, o fingevano
d’ignorarla.
Il parroco aveva ragione, quella era gente senza Dio.
Ma Dio, dov’era?
Asciugandosi gli occhi col fazzoletto, Angelina volse loro le spalle e
riprese stancamente il suo cammino per tornare a casa.
Anonima Scrittori

Anonima Scrittori non avrebbe potuto pubblicare questo ebook senza:


l'associazione LibLab, Matteo Ninni, Stefano Tevini, Aldo Ardetti e tutti i
partecipanti all'iniziativa i cui scritti sono all'interno del presente volume.

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