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RITORNO ALL’ETICA DELLA NUOVA ATLANTIDE

Scopo della scienza è di modificare la natura delle cose, in quanto la conoscenza delle forme
garantisce la possibilità trasformare la realtà e produrre nuovi scenari. Gli scienziati per capire la
struttura e per poterla alterare hanno dovuto necessariamente scoprire le leggi che ne regolano il
divenire, in modo da riprodurle intenzionalmente e costringere la natura ad operare nella direzione
voluta. Per esempio nella pratica della fecondazione assistita si coglie il beneficio a cui mira
l’intervento che non può essere una crudeltà, poiché rende realizzabile, a persone impossibilitate,
un’abilità pari a coloro che già la possiedono naturalmente. Quindi il processo non va a ledere la
mortalità dei cittadini, anzi un più solido principio d’uguaglianza. In quanto le generazioni
impossibilitate non debbono essere ritenute irregolari, per il fatto che gli eventi sono irregolari
quando sono dei prodotti dalla natura non conformi alla specie, ma non quando sono resi naturali,
cioè conformi alla specie, grazie all’artificialità. Questo intervento viene identificato come pratica
artificiale non per suscitare angoscia tra gli individui, ma per renderli consapevoli che le produzioni
artificiali mirano al miglioramento della vita, modificando la natura.
Quindi è palese affermare che la “tecnologia rende possibili cose che prima (“in natura”) non lo
erano, ma rimuove anche impossibilità che riguardano solo alcuni”.
In ogni caso la discussione etica e politica è necessaria per sottoporre a controllo le applicazioni
della ricerca scientifica, ma non l’indagine stessa, in quanto è sempre positiva ed indispensabile per
l’evoluzione del progresso. Quindi non ha senso basarsi su principi statici dettati ad esempio da un
“codice deontologico per i ricercatori” che negano espressamente la possibilità di pervenire all’atto
scientifico bloccando la dinamicità del progresso. Sarebbe più ragionevole giudicare secondo il
metodo induttivo ogni applicazione della tecno scienza e stabilire se è classificabile come beneficio
o danno per la società.
Per impedire le restrizioni alla ricerca in campo scientifico è necessario basarsi unicamente su
un’etica laica, perché dall’intromissione della chiesa ne scaturirebbero solo contrapposizioni,
giacché non suo compito decidere in campo naturale e delineare norme rivolte agli scienziati. A
causa della sua ingerenza nella bioetica sorgono opposizioni tra laici e cattolici. I primi sostengono
il principio della qualità della vita, secondo il quale se diventa crudele e disumana è un diritto
intervenire per porle fine, invece i cattolici sostengono il principio di sacralità della vita, secondo il
quale proviene da Dio, dunque è giusto che anche la morte venga decisa dal creatore.
Ma in quale dei due principi si riconosce la virtù della pietà?
I cattolici, esprimendosi contrari all’eutanasia e sostenendo indispensabile somministrare cure ad un
malato terminale, rendono l’uomo un “ostaggio della tecnica”, in quanto consentono un
accanimento terapeutico con il quale non si fa altro che prolungare l’agonia del paziente come se
fossero in attesa dell’avvento di un prodigioso miracolo. Invece è più saggio “accettare la morte
senza creare d’impedirla” ed quindi doveroso applicare un’eutanasia attiva, somministrando un
farmaco letale a un paziente che lo chiede; o passiva, che consiste nel compiere quell’azione che a
livello popolare si definisce “staccare la spina”, interropendo l’azione dei macchinari che fanno
sopravvivere il malato terminale che non è più in grado di intendere e di volere. Questa non è una
forma d’assassinio poiché non si compie né con efferatezza né con abiezione, anzi l’umanità del
gesto si coglie anche nell’etimologia della parola eutanasia che significa “dolce morte”, in quanto
con lo sviluppo farmaceutico attuale la morte invocata o rassegnata può essere completamente
indolore.
Il progresso perpetuo è nuovamente costretto ad esitare di fronte all’impaccio dell’etica, anche se si
considera la questione sulla clonazione embrionale. Anche in questo caso i fondamenti etnici primi
si manifestano come le Colonne d’Ercole della scienza, poiché non riflettono la sua laboriosa e
ostinata dinamicità, ma si pongono come rigidi limiti che fermano la storia naturale e sperimentale,
in quanto non permettono di interrogare la natura per permetterla a rilevare i suoi segreti più
impliciti e non consentono di intervenire su di essa per trasformarla. Quindi un’etica statica
presuppone una storia della scienza e della tecnica altrettanto statica, intese come i tentativi
dell’uomo di cambiare le cose in essere.
Dunque quella contemporanea non può rifarsi alle “etiche antiche, la cui normatività guardava al
futuro come un’impresa del passato” dato che si trovava ad affrontare problemi inesistenti in
un’epoca in cui la natura era quasi immutabile e l’uomo, essendo incapace di delineare principi così
versatili da profetizzare un futuro imprevedibile deve assolutamente ammettere un’etica errante.
Ma dato ciò sorge spontanea la domanda: chi tra gli uomini ha il potere di giudicare ciò che è in
potenza della scienza e la sua potenziale pericolosità?
Gli unici in grado di dirimere la questione sono gli scienziati in quanto indiscutibili esperti e veri
saggi perché detentori della sapienza, delle leggi che regolano le trasformazioni delle cose e del
puro concetto di utilità che mira alla felicità senza l’influenza di strumentalizzazioni legate a
logiche di lucro e potere. E la politica attuale essendo continuamente “costretta a guardare
all’economia” è inadatta a prendere decisioni in campo scientifico. Basta pensare all’ignoranza che
si aggira tra i seggi per escluderne l’opinione.
La scienza potrebbe rientrare nel merito di giudizio della politica se la struttura di quest’ultima si
avvicinasse di più all’utopia politica descritta da Fransis Bacon nella Nuova Atlantide. L’immagine
di una società regolata da saggi scienziati che, oltre ad essere gli unici in potere di giudicare in
modo responsabile, sono gli unici che si occuperebbero di una corretta diffusione di applicazioni e
di informazioni scientifiche. Poiché è giusto che non tutte le scoperte debbano essere rese
pubbliche, ma è ingiusto che la diffusione venga compromessa da fallaci informazioni come la
legge la numero quaranta. Questa legge che regola la procreazione assistita è da considerare uno
“sgangherato mostro giuridico” non perché ingiusta in sé stessa, ma perché fatta da uomini ingiusti.
È quindi necessario che riemerga l’etica scientifica di Atlantide che attraverso l’evidenza e il
beneficio guardi a presunzioni ecclesiastiche e ad ignoranza politica con la stessa arroganza
scientifica con cui guardava gli dei.

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