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Geometrie, Architetture

Trhiller Pornosimbolico di Rupert Gang

-=Capitolo I=-
(estratto)
© Rupert Gang (nome fittizio) & Ettore Ditesti (marchio)

Ad Amanda il proprio livello di reddito non procurava alcun conflitto col suo sentirsi una donna
protettrice dei focolari e di tutti gli spazi dove il potere della femminilità matriarcale aveva
plasmato le idee di mondo e gli uomini in qualità di figli universali. Era perfettamente conciliata,
corretta e coerente con tutta se stessa nell'aver delegato molte delle porzioni della propria
femminilità ad altre donne così da raggiungere uno stato di condivisione della ricchezza capace di
stipulare alleanze e da qui, l'innalzamento di un fronte comune per il suo genere.
Se si fosse percepita diversamente nel suo intimo, sarebbe caduta nella trappola del senso di
colpa per essere così prodiga da peccare nel peculare e nello sperperare, poiché, per la sua donna di
servizio il cadeau di due piatti sporchi sul fondo del lavello, era un pensierino raramente concesso
dall'elargitrice dello stipendio. Nanda assumeva quasi completamente cibo al di fuori della cerchia
dei muri che definiva la sfera di cristallo del suo privato negato al mondo. Non programmava mai
un pasto in casa da sola con sognante desiderio di sforbiciarsi sere o pomeriggi più lunghi dei soliti
nell'assoluta riservatezza rilassante fuori da ogni contesto ingolfato di dovere e necessità, e perciò la
scintilla dello spirito sotto il sughero della bottiglia di vino, sprizzava con una naturale e selvaggia
ritualità gorgogliando musicale nel calice divenendo una polla scura di rosso brillante ove perdersi.
La liturgia non programmata tuttavia non sfuggiva la trasmigrazione di atti tabernacolari né tanto
meno era capace di sottrarsi dall'assortirsi di più d'un elemento necessario alla magia della mistura.
Sicché laddove Nanda innalzava file di bottiglie in collezioni, lo stipo accanto andava sempre a
contenere tre o quattro pacchetti di sigarette: marche diverse per gusti differenti, adatti a quelle
contabili occasioni nelle quali, valeva la pena dimostrarsi ospite perfetta per gli ospiti.
Fu un fatto di gusto, questa volta, l'annuncio che la porta dei suoi pensieri inarrestabili e
insopprimibili si stava aprendo, giunse dalla distorsione del sapore del fumo tra lingua e palato. Non
poteva essere solo un effetto di qualche mescolanza tra tabacco e vino, il mirtillo che si impastava al
miele lo sentiva troppo denso, reale, un fluido pastoso sul quale doveva decidere se deglutirlo o
rigettarlo. Di fronte a due alternative parimenti identiche la scelta si annulla, il giudizio si
annichilisce nella sua superfluità, anche stasera non c'era altro da fare che procedere con
l'ineluttabile.

Era una ragazza, bionda, bella pelle candida. Era nel bagno di un'abitazione. Lo spazio
appariva intimo ed esiguo e la ragazza lo riempiva perfettamente con il suo corpo nudo, formoso al
punto che la scarsa altezza pareva il miglior pregio per far schizzare a la lettera le rotondità del
sedere e dei seni come se il suo fisico fosse vetro soffiato e bombato all'occorrenza per farlo
eccitante. Un cannello d'acqua scorreva di fronte al suo addome ondulato di muscolatura poggiato
contro il lavello, piombava scomparendo giù nello scarico, in una sorta di gioco da moto perpetuo
e infinito. Quel flusso d'acqua però non era per la sua bocca e per i suoi denti, ancora incollati dal
sapore dello sperma, no. Aveva ingoiato tutto animata di buona volontà, proprio per sentire quel
grumo pesarle all'inizio dello stomaco, come un insetto dalle tante zampette a raggiera aggrappato
alle pareti interne per resistere magicamente all'attacco dei succhi gastrici, e ciò la faceva sentire
calda, e piena.
La ragazza si stava rinfrescando tra le gambe, si stava ripulendo l'interno coscia per farlo
tornare liscio e levigato e uscire dal bagno e riprendere con...
Nanda, nel suo abbandono assopito ed estraniato da sapori fantasma dolciastri, disarticolò
momentaneamente la sua coscienza sovrapponendo il piano della critica a quello della fantasia: non
aveva riconosciuto la ragazza che si era insediata in mezzo al suo cervello, quindi, stava astraendo
in astratto totale, oppure? Eppure doveva fidarsi delle sue percezioni, e ne ebbe immediata e
sorprendente conferma. Distratta dall'autocoscienza, s'accorse solo in seguito che stava rincorrendo
un riavvolgimento al contrario di tutto quello che era successo per spingere quella ragazza nel
bagno: un filmato che tornava indietro al quintuplo della velocità, e lei ne stava perdendo dei pezzi.
S'abbandonò ancora occupandosi di finire di fumare la sigaretta seduta comoda sul divano e le
gambe accavallate. Tutto si sarebbe chiarito, avrebbe presto afferrato perché e come quella bionda
dai capelli mossi a sfiorare le spalle era salita in una soffitta arredata in modo sufficientemente
degno e confortevole per far sborrare un cazzo e ingurgitare tutto.

Era stato Gregor a rendere possibile tutto questo. Quel ragazzo che sembrava alto perché molto
magro, che aveva il serio e preoccupante problema di non riuscire a gestirsi e a tenere un ritmo
regolare nella terapia farmacologia; che però, più si dimenticava di prendere le pillole, più
diventava loquace, arguto e vivace. Il Crucium problematico dal punto di vista etico e medico di
Gregor era proprio questo: diventava vivo e attivo, era se stesso proprio quando la sua stabilità
psicoemotiva era a rischio. Sicuramente doveva essere digiuno da ogni farmaco da almeno tre
giorni per aver riacquistato tanta iniziativa, e autostima capace di convincere la ragazza con la
quale aveva condiviso turni alterni di commesso in un Videostore a seguirla per un'uscita fuori e
poi dentro questa soffitta abilmente approntata.
A uno come Gregor sarebbero serviti diversi giorni di riscossa dal torpore terapeutico per
arrivare a tutto questo, ma poteva farcela: sarebbe riuscito a trovare la formula di quel fascino che
visi scarni su fisici EMOtype con l'innesto di occhi lucidamente espressivi e naso importante sono
in grado di propagare. E poi?
Poi poteva trasformarsi in un gran porco, grufolante e ipnotico, in grado di trascinare una
biondina dal fisichetto sodo curiosamente attratta dai tipi slanciati con estemporanee loquacità nel
lago della loro taciturnìa, verso questa soffitta, passando per l'esterno; scorrendo cioè sotto le
proterve sontuosità dei doccioni che scolpivano l'esterno della navata di una chiesa.
Gregor, che per stile e apparenza lasciava proseguire l'immaginazione su di lui verso
materassini stesi nel bagagliaio di un Van tra bottiglie di Corona, come poteva far bruscamente
sterzare il tutto? Iniziando a salire le scale di una costruzione attigua rivelando una squisita
attenzione per i principi di base dell'architettura religiosa del Medio Evo.
Alla bionda che era uscita con lui sicuramente perché stanca di farsi rimorchiare da chi si
limitava a prometterle palmi di cazzo a qualunque condizione, l'incipit della conversazione
inaspettata si tramutò in qualcosa che le titillava le orecchie e arrivava all'ippocampo. Da lì,
sarebbe stato solo questione di aspettare che tutto andasse in circolo.

«Sono le forme pure della geometria che mi interessano nell'architettura, il modo in cui vengono
usate e combinate tra loro. Mi affascinano. Così come ho una passione fortissima per la pornografia,
per la stessa e identica ragione»

Anche fosse stata l'espulsione di un aborto dal cervello di Gregor che si stava distaccando
sempre di più dalla realtà contingente e concreta, un'uscita del genere, sulla porta di quella soffitta,
poteva essere la battuta più fortunata della serata. Perché la ragazza aveva già deciso che sarebbe
andata avanti, perché la mossa da gran donna sarebbe stata quella di proseguire, di voler capire,
di lasciare che Gregor si spiegasse a fondo in questa sua lurida bizzarria.
Nella soffitta c'era tutto lo stretto necessario perché sembrasse schiettamente un pied-à-terre:
qualche sedia, un armadio e, non mancava l'ovvio materassino. Anzi, ce n'erano ben tre o quattro
buttati in un angolo e affastellati come a creare qualcosa di confortevole. E la cosa migliore che
poteva fare Gregor ora, era strascicare i suoi piedi che pestavano continuamente l'orlo dei suoi
jeans cadenti sotto le suole, parlando lento, così da attirare ancora di più la ragazza all'interno di
un gorgo ben chiaro.

«Sei bionda, naturale, no? Dovresti avere un bel ciuffetto lanoso sulla passera»

Non si sarebbe voltato che alla fine, con la lentezza di chi sta per afflosciarsi.
Ma la ragazza, di cui già Nanda sapeva che era una tipa che ci teneva a un ordine maniacale
del suo corpo, senza scomporsi, avrebbe risposto che invece era perfettamente liscia da quelle
parti. E Gregor si sarebbe afflosciato davvero su quei materassini, allungando a elastico il corpo,
con una mezza delusione.

«Così, mi hai già tolto il gusto di strusciarci sopra la cappella»

Un soffio di naso da parte sua, e la ragazza che rideva ma puntava quella cintura di cuoio alta e
spessa, lenta e obliqua su fianchi scarnissimi di lui. E quella cintura faceva proprio quello che la
ragazza si aspettava: si apriva, senza avviso, e trascinava anche i pantaloni di Gregor ad
allargarsi quel tanto per mostrare le mutande di lui e poco altro.
La ragazza sicuramente doveva indossare un vestito colorato, forse floreale, provocante solo
nella misura in cui era facile toglierlo. E se lo sarebbe tolto da sola insieme a tutto il resto che
aveva sotto, proprio per mostrare a Gregor che a parte capelli e sopracciglia, non avrebbe trovato
altro pelo addosso a lei.
Lui in tutta risposta avrebbe fatto uscire allo scoperto il cazzo appoggiato sullo stomaco,
arrotolandosi un poco i pantaloni giù per le cosce secche e dritte.
Era troppo divertente per lei avere l'opportunità di prendere il controllo della situazione e
muoversi a fargli vedere le tette che si indurivano eccitate e il taglio della fica tra le cosce che si
distanziavano mentre gli si avvicinava, e domandargli petulante:

«No, quindi, visto che ti sto deludendo perché sono depilata, non so, come si va avanti in questa
cosa?»

Si guardavano, chi rilassato a tirarsi via i capelli dalla fronte, chi pensando a quanto sarebbe
stato grosso quell'uccello una volta che la cappella sarebbe sbucata dal prepuzio. Si ascoltavano e
si rispondevano.

«Mbah! Segarsi sul pelo di una donna è già qualcosa di molto particolare rispetto ai canoni della
pornografia, che in fondo è come una scienza fatta di grandi classici e di principi immutabili»

Non può esistere niente di meglio per elettrizzare una femmina che aveva già deciso di fare la
puttana al massimo delle sue possibilità. Lei neanche ci fece caso all'oscillazione di un piede di
Gregor verso la sua caviglia. Era partita, aveva deciso che non si sarebbe risparmiata niente, che
gli avrebbe dato il più gran bel classico di cui mai sarebbe stata capace.
Già era in picchiata ad accovacciarsi tra le gambe di lui, cercando di spogliarlo di più, il giusto
necessario a tirar su e giù pantaloni e maglietta per aver spazio e iniziare a grattargli lo scroto con
le unghie. Per tirargli la pelle e far saltare su quel cazzo come a fargli fare “ciao-ciao” lemme di
manina. E a proposito di manina, poi impugnarlo per farlo diventare sempre più duro, e
scappellarlo sputandoci sopra porca e navigata. Per prenderlo alla sprovvista, come se sapesse che
il contrasto della saliva subito raffreddata che gli spandeva su tutta la lunghezza gli sarebbe
piaciuto più di tutte le pompate di bocca che sarebbero seguite.
Non gli voleva fare un semplice pompino, gli voleva rubare dei gemiti di quelli che sembrano
lenzuola che si strappano nel momento dell'orgasmo e poi bloccarlo, strappargli l'occhiata più
animalesca che sarebbe riuscita sfilandosi il cazzo dalla bocca per accomodarglielo stretto tra le
tette, strette tra le mani. Avanzava con la testa sopra il corpo di lui, come una gatta che si
arrampica, senza smetterla di muovere le spalle e i gomiti per massaggiarlo ancora e sentire quel
pezzo di carne nodosa rintanato tra le pieghe della sua pelle.

«Forse doveva essere un pompino più classico, dovevi stare in piedi e io in ginocchio»

E invece lei si allungava con la lingua sul suo ombelico.

«Comando io!»

Dopo tanto silenzio, dopo essersi lasciato fare di tutto, il viscido vischioso tra le cosce della
ragazza traboccò prossimo al livello dell'orgasmo quando si sentì presa tra le ginocchia di lui e
ribaltata di schiena sul materassino con il tetto della soffitta a scoscendere dietro le sue spalle. Oh
sì, stava per avere ciò che si meritava, sentiva una mano di lui inchiodarle una clavicola sul
materassino lasciandola libera di serpeggiare e scaricare come meglio credeva le sue sensazioni,
impastogliandosi nella pece della saliva e dell'odore del sesso che le sbatteva contro, ancora sui
seni, scivolando giù lungo il collo a impuntare sotto la mascella.
Lei sapeva già che da lì a pochissimo Gregor sarebbe venuto, e anche nel caos scellerato in cui
era precipitata sensorialmente, non ci voleva niente a intuire che lui, agitandoselo di mano a pochi
centimetri dalla faccia di lei, l'avrebbe premiata seduta stante per tutto quello che gli aveva fatto.
Lui si mordeva il labbro con cattiveria, lei se lo morse con titubante partecipazione. Se fosse
finita così? Non bastava.

«Fammi bere»

Un attimo, un gesto per toglierli la mano dall'uccello e sostituirla con la propria. E conquistarlo
da gran puttana incastrandogli il glande oltre i denti, per lasciar spazio vuoto in bocca, dove la
lingua insieme alla mano lo avrebbero spremuto completamente, con la lingua e l'epiglottide che
avrebbero gestito tutti gli schizzi, li avrebbero raccolti come cucchiaiate e spinti giù per l'esofago
in modo da non perderne una goccia e non aver neanche il bisogno di staccarsi neppure per un
secondo.
Così quella ragazza era finita in quel bagno a darsi una rinfrescata, consapevole e compiaciuta
di poter uscirsene da lì, per avere un'altra opportunità. La serata non era finita, proprio per niente.
Lei ritrovò Gregor seduto su una dozzinale poltroncina da ufficio, con cinque rotelle a terra,
attaccate a cinque bracci a stella. Era accanto all'armadio, aveva addosso più solo la maglietta, e
le gambe lunghe e pelose, stavano comode e larghe. Ma ora il suo sesso riabbassato era persino
ridicolo a guardarsi in quella scena... Se non avesse avuto in mano un frustino.
Lui agitò il frustino nell'aria senza neanche darsi pena di farlo vibrare e lei, come traforata da
una raffica di mitra dalla distanza, comprese di trovarsi di fronte a uno per il quale un pompino
coll'ingoio non bastava. E questo era dannatamente e maledettamente interessante.

«Cioè, adesso che vuoi fare?»

Il frustino era nero e fatto dello stesso materiale con cui si fabbrica un ammazzamosche,
terminava allargandosi piatto a triangolo, e lei ci si avvicinava pure impettita perché non era una
mosca che sarebbe morta spiaccicata per una sferzata. Tutt'altro: quanto avrebbe voluto che una
delle due punte nette alla base di quel triangolo finisse per scavarle un solco in risalita lungo il
monte di Venere, e invece dovette contentarsi di sentire quel doloroso sfiorarle un capezzolo.

«Pensavo di usarlo ogni volta che te esci fuori dai confini del classico, non te lo meriti? Credo
che sia il caso che ti metta quattrozampe»

Lui non si muoveva, lei non riusciva più né a prendere da lui né a offrirsi a lui e a quel
maledetto frustino se non soggiacendo alla richiesta, se non nascondendo il viso pulito sotto la
matassa mossa dei capelli biondi, scoprendo la schiena corta che finiva tonda e galleggiante
nell'aria, se non facendosi sotto nuovamente, all'ombra di quelle gambe da tarantola che le
sfioravano le mani.

«E nel caso invece che fossi brava?»

Il frustino di plastica era elastico, e lui iniziò a saggiarne la qualità con colpi secchi di polso
che si bloccavano per trasmettere l'impulso a quella lingua artificiale che arrivava a lasciare
pizzichi sulla schiena di lei, come tanti piccoli orgasmetti da droga che esplodono sotto la pelle e ti
spingono a cercarne altri e ancora, e a tornare a darti da fare, sottomessa a lui che si era già
svuotato una volta e che potrebbe anche lasciarti in pace del tutto, girarsi di centottanta sul perno
di quella sedia e pensare ad andare più in là, lasciandoti come un pezzo di mobilio senza faccia.
Era inevitabile che lei dovesse adoperarsi per fargli tornare il cazzo duro ancora una volta, fu
sorprendente scoprire che non dovette impegnarsi quasi per nulla. Sbalorditivo: da osservarlo
desiderosa poggiando una guancia sul ventre di lui alla distanza in cui lei si mangiava l'odore, lui
si scaldava col suo fiato. Con in più il fatto che era la prima volta che la ragazza andava a
conoscere il corpo di Gregor nell'intimità. Lei ebbe un momento in cui letteralmente si leccò le
labbra, rapita ad osservare forme, dettagli e dimensioni che prima le erano sfuggite, o forse prima
non c'erano.

«Alla seconda, è sempre più duro della prima. Che ne dici di un po' di sana sodomia?»

Sicuramente la ragazza doveva crederci per mancanza di esperienze pregresse e paragoni, ma


prima d'ogni altra cosa, le cadde ogni capacità reazione reale in questo gioco a causa della scossa
gelida che dai palmi delle mani poggiati a terra la percorse fin proprio al centro delle natiche.

«Non l'ho mai fatto»

C'era da vergognarsi: dopo aver trovato chi aveva il coraggio di tirarti fuori un frustino per
farti mettere come sognavi da una vita, le inibizioni ti fanno franare giù per la scarpata della
banalità. Dopo aver fatto la troia come mai prima ti era capitato, ora perché viene il momento in
cui devi cedere del tutto il comando, ti ritrai, e per cosa? Per una cosa che un giorno o l'altro alla
fine ti faranno, e forse non piacerà perché non avrai scelto quello più bravo che c'è?
Gregor doveva essere bravo. Non c'erano dubbi. L'aveva già fatta sentire un oggetto prima, e
l'avrebbe fatta sentire ancora meglio tale, sicuramente. Gregor la stava facendo sentire una
femmina capace di sedurre però, e semplicemente perché la discesa battente del frustino raggiunse
l'apice curvo delle natiche di lei e la flessione del manico arrivò quasi al massimo possibile
plasmandosi sulla circonferenza del culo di lei per stampare una schioccata ben diversa. Diversa
nel sapore, nel significato. Fu la prima di una dozzina di scudisciate imperanti che lui iniziò a far
fioccare sulle chiappe di lei mentre si alzava in piedi e, colpo, dopo colpo, dopo colpo, le indicava
di gattonare più avanti. Più avanti ancora: ad abbandonare le piastrelle che illividivano mani e
ginocchia per tornare ai materassini, dove il “peggio” si sarebbe consumato.
La ragazza lo fece, nel silenzio sacrale di agnello guidato tra le transenne del macello, con i
capelli che le pizzicavano il volto già sudato e la voglia pazza di staccare le mani da terra per
stringersi le tette che le facevano male per quanto formicolavano. Ma doveva aspettare, mettersi
buona con le ginocchia ben distanziate e lasciasi toccare dove la prima reazione era di ritrarsi e
irrigidirsi. E invece no: doveva lasciarsi sporcare, irrorare ed esplorare. Doveva diventare senza
pudore mentre percepiva come le parti più nascoste del suo corpo venivano aperte e tirate,
massaggiate dolcemente nell'inutile perversione di un atto che non sembrava darle piacere, ma
solo la sensazione essere mossa innaturalmente nella muscolatura.
Farsi inculare consisteva in questo? Non sembrava molto diverso dal pulirsi o lavarsi
approfonditamente, né più né meno che giocare con il proprio corpo, con l'unica differenza che non
sei tu a conoscere te stessa, e i punti-limite potevano essere superati senza indecisioni. La ragazza
si stava sbagliando, lo capì quando Gregor superò proprio il limite e allargandola le arrivò tanto a
fondo dove mai prima niente e nessuno l'aveva raggiunta con tanto attrito bollente – qualcosa che
ti trapana il cervello, qualcosa che ti fa tremare lo stomaco, mentre qualcuno ti distrugge e ti
squarta.
La verginella del sesso anale aveva sicuramente trovato uno che ci sapeva davvero fare, perché
pur persa in un'ignoranza così nera che la faceva sentire totalmente idiota per aver dato il culo a
uno senza sapere cosa significhi davvero, lei si accorse che Gregor si era fermato nel penetrarla
tenendosi il membro con la mano. Quel pugno nascondeva tutto quello che ancora non le aveva
ficcato in corpo, lei lo sentiva e lo aveva capito. Aveva capito che lui stava giocando a prolungare
l'attesa per il colpo micidiale.

«Lo vuoi tutto?»

Lo voleva tutto lei? Voleva sapere cosa avrebbe sentito quando il pube di lui sarebbe arrivato
alle sue natiche, cosa si provava a sentirsi le viscere aperte e schiacciate? Che voleva lei? Ma
soprattutto che voleva lui che poteva farlo quando e come voleva, e ricominciava a far danzare il
frustino come un calabrone infuriato sulla schiena. Che voleva lui? Sentire i gemiti più animaleschi
possibili? Voleva sentire uno “Sfondami maiale!”? Voleva liberare del tutto il membro per
allungare una mano e arrivare ai capelli di lei, tirarglieli e poi spingerle giù la testa per farla
affogare nei suoi stessi respiri? Lo stava facendo Gregor. Troneggiava su di lei ergendosi sempre di
più e cavalcandola, spingendo tanto a fondo che la ragazza temeva che invece di secrezioni
vaginali fosse un'emorragia interna quella che le stava scivolando giù per le cosce indolenzite
come una colata lavica che partiva dal suo buco del culo infiammato come un cratere esploso.
Gregor abbandonò il frustino da una parte, e tra quei materassini che si muovevano come onde
di mareggiata arrivò con le dita a sentire il contatto con il ferro piatto ed ergonomico che era parte
del manico della Cagna che stava là sotto. Una chiave inglese da idraulico, lunga sessanta
centimetri per serrare i bulloni delle tubature dell'acqua della portata di dieci pollici.
Tubi e flussi liquidi, a volte si chiudono, a volte si aprono. C'è della mistica superomistica
nell'alzare come un aspersorio un oggetto grande quanto un'arma dell'antichità sopra la propria
testa e poi abbatterla sulla nuca della ragazza con una forza tale da farle dimenticare in un attimo
quanto dolore provocava l'averci un cazzo nel retto, o forse era come se quel cazzo fosse arrivato
fino al suo cervello...
No, non aveva importanza. La ragazza non sapeva più nulla, non capiva niente altro se non una
debolezza tale che le braccia poggiate sui gomiti le cedettero e lei scivolava imbelle del tutto in
avanti. Solo Gregor sapeva che doveva affondare una seconda volta sulla testa di lei, che doveva
prendere bene la mira e superare la difficoltà posta da quella massa di capelli biondi per mirare
con precisione all’angolo dell'occipite di lei. Solo al terzo colpo intese con esatta certezza il
rumore dell'osso crepato che si infrangeva. Solo allora seppe che era finita.
Finita col suo rimettersi in piedi, ancora eccitato, in quella soffitta dove l'aria sapeva più di
merda che di sangue.

Il posacenere sul bracciolo venne spinto dal gomito di Nanda. Cadde a terra e rimbalzò insieme
al mozzicone della sigaretta con una nevischiata di cenere polverulenta. Non si ruppe. L'indomani si
sarebbe accorta che si era appena scheggiato. Nanda si premette il naso di lato fino a piegarlo,
battendo un paio di volte le palpebre, cosa che non le era capitato mai di fare al momento dei titoli
di coda.
«Ma...»

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