You are on page 1of 5

Da wikipedia

Struttura
Il bioregionalismo un approccio etico, politico, ideologico, legato al territorio in cui si vive, considerato come un insieme omogeneo dal punto di vista morfologico e da quello degli esseri viventi. Rappresenta in un certo senso "l'intersezione" tra diverse anime culturali del movimento ambientalista: quelle tradizionaliste, (in senso eminentemente folclorico-ambientalista) e quelle localiste. Lo studio delle bioregioni utilizza largamente la Teoria degli insiemi elaborata Cantor. Si tratta di una Weltanschauung (trad: visione del mondo) elaborata sul finire degli anni sessanta del Secolo XX. Il termine bioregione viene dalla parola greca bios(trad: vita) e da quella latina regere (trad: reggere o governare). Si tratta quindi di considerare un territorio geografico omogeneo in cui dovrebbero essere predominanti le regole dettate dalla natura e non le leggi che l'uomo avrebbe definito artificialmente. "Il governo della natura", cos Kirckpatrick Sale ha definito il pi profondo significato di bioregionalismo.

L'individuazione di una Bioregione


La bioregione un'unit territoriale, dalle caratteristiche fisiche ed ecologiche omogenee. Non esiste una dimensione standard: pu essere una grande vallata fluviale o una catena montuosa, pu abbracciare diversi ecosistemi. In un paese come l'Italia, non esistendoci ancora una classificazione condivisa, potremmo considerarla una sintesi tra un distretto biogeografico e il territorio di una provincia. Nonostante le bioregioni siano tutte interrelate, ognuno di noi vive all'interno di una specifica e determinata bioregione e lo sforzo da fare quello di riconoscerla, ritrovarsi in essa come nella propria casa, e di questa conoscere tutte le potenzialit e le risorse naturali, sociali e culturali, alla ricerca di un modo di vivere sostenibile e locale in armonia con le leggi della natura e con tutti gli esseri viventi. Peter Berg, uno dei padri fondatori del bioregionalismo, ha definito la bioregione come "tanto il terreno geografico quanto il terreno della coscienza".

Bioregionalismo secondo Thomas Rebb


Il bioregionalismo quindi quella "forma di organizzazione umana decentrata che, proponendosi di mantenere l'integrit dei processi biologici, delle formazioni di vita e delle formazioni geografiche specifiche della bioregione, aiuta lo sviluppo materiale e spirituale delle comunit umane che la abitano" (Thomas Rebb). Infatti una volta che si riconosciuta la propria bioregione, il proprio "luogo" che sia urbano, rurale o selvaggio, bisogna viverci interamente, pensare in modo bioregionale, che non l'adesione ad una nuova statica ideologia ma la scoperta, e la pratica quotidiana, di un nuovo vivere personale ed ecologista in armonia con la natura (il "real work" di Gary Snyder). La paternit di tale concetto spetta all'intelletuale canadese Alan Van Newkirk. Quest'ultimo, studiando geografia umana, giunse alla conclusione che le comunit degli esseri viventi, interagiscono tra loro e con il loro ambiente fisico, secondo l'organizzarsi in insiemi che mostrano continuit tra le caratteristeche fisiche ed ecologiche.

Cenni storici
L'anno di nascita del Bioregionalismo, prima come elaborazione culturale precisa (e poi anche come movimento socio-politico organizzato) il 1971. In quell'anno dalla collaborazione fra Van Newkirk ed il militante ambientalista Peter Berg sorge la definizione precisa di "BIOREGIONE", come territorio che possiede caratteristiche di omogeneit culturale e biofisica.

Bioregionalismo nei territori Nord Americani e in Europa


Battersi affinch le bioregioni cos definite acquisiscano sempre maggiori autonomie, fino alla sovranit vera e propria, poteva far si che sarebbero divenute i punti focali del ripristino ecologico ed il territorio il

contenitore ideale in cui la societ umana avrebbe potuto vivere in equilibrio sostenibile con i sistemi naturali circostanti. Tali concetti avevano, nella cultura americana, dei precisi precedenti. In primo luogo la spontanea tendenza - peraltro oggi non pi dominante - al decentramento ed alle autonomie locali (aspetto che colp Alexis de Tocqueville nel suo "La democrazia in America") e il riferimento alle culture indigene dei Nativi americani, degli Amish, dei franco-spagnoli Cajun di Florida e Louisiana nonch l'epopea confederata. Nella formulazione americana originaria, l'uomo visto solamente una parte della complessa rete di ecosistemi, in una prospettiva non pi antropocentrica bens biocentrica come insegnano anche i principi dell'ecologia profonda. In Europa, la presa d'atto che la societ cristiana che si avuto nel periodo della cosiddetta anarchia feudale del Medio evo era istituzionalmente simile, tanto pi che, comunque, le bioregioni qui identificate coincidono pi o meno con gli antichi feudi, all'origine di un tentativo di lettura cattolica (quindi antropocentrica, o, teocentrica) del bioregionalismo. Il massimo rappresentate di tale tentativo il fiorentino Giannozzo Pucci. Mentre, in una versione pi legata allo schema originario americano, rappresentata dalla Newsletter "Il Lato selvatico" pubblicata della Rete Bioregionale Italiana [2].

Anacronismo dei sistemi costituiti


In concreto, la prospettiva bioregionalista, in tutte le sue accezioni, vede nello Stato-nazione un'istituzione storicamente recente e, contemporaneamente, gi obsoleta, che si imposta dopo una lotta contro le autonomie locali, trasformando l'abitante da agente attivo e partecipante alle decisioni - qual era nel contesto comunitario, come si vede dalle vestigia rimaste, per esempio, in alcuni Cantoni svizzeri - a recettore passivo di beni e servizi in cambio della sua anonima "cittadinanza". In controtendenza, il bioregionalismo propone una ristrutturazione complessiva dell'organizzazione territoriale, per il bene non solo degli esseri umani (che, comunque, nelle letture europee restano centrali), ma di tutta la biosfera, ridiscutendo gli arbitrari confini statuali della tarda modernit, a partire dal principio d'autodeterminazione, esprimendo autonomie ed interconnessioni naturali sulla base delle identit culturali. Dalla pi semplice - la comunit locale - alla pi complessa - il pianeta terra: la mitica Gaia. Inoltre spinge a recuperare lo spirito che caratterizz il "senso del limite" degli antichi, o anche di moderni, come Giovannino Guareschi e Aleksandr Isaevi Solenicyn. Il problema di fondo di ripensare pluralisticamente il mondo fuori da come si strutturato l'Occidente, postrivoluzione francese, col suo pseudo-universalismo monistico e dalla sua visione etnocentrica rispetto alla quale tutto diventa periferia.

Bioregionalismo in Italia
In Italia il bioregionalismo non ha ancora avuto grande diffusione, a partire dalle principali associazioni ambientaliste, i verdi e la sinistra politica in genere. Ha tuttavia suscitato un certo interesse in settori del movimento anarchico e pensatori anticonformisti, come Massimo Fini, Eduardo Zarelli, Alain de Benoist, Giacinto Auriti ed alcuni settori della Lega Nord e dei movimenti Neoborbonici. Da oltre 10 anni il riferimento italiano la Rete Bioregionale Italiana.

articolo

La consapevolezza di abitare un luogo di relazioni


di Giuseppe Moretti
Lidea bioregionale non n una nuova ideologia n un nuovo partito politico, e neppure una nuova forma di religione, ma una pratica di vita, alla base della quale sta la consapevolezza di essere e agire come parte della pi ampia comunit del luogo in cui si vive. E comunit in senso bioregionale significa: alberi, animali, corsi dacqua, montagne, erbe, insetti, rocce e mari, oltre che esseri umani. Non difficile pensare in termini bioregionali, basta per un attimo lasciar da parte lesclusivit e larroganza che caratterizza gran parte della societ moderna ed iniziare a pensare in termini di relazioni. Vivere in termini di relazioni era il modo in cui vivevano le culture indigene al tempo in cui i conquistadores europei presero le loro terre. Per quelle genti, la terra, il cielo, le montagne, i fiumi, le piante e gli animali dovevano essere trattati con rispetto e umilt perch considerati, al pari di loro, esseri con dignit e identit. Vivevano come parte della natura e chi ne violava le regole, si diceva, incorreva nella sfortuna per s e per la propria famiglia e trib. Ecco perch agli occhi dei pionieri, che per primi si avventurarono nelle loro terre, esse apparivano incolte, terre vergini e chi le abitava dei selvaggi, perch non avevano saputo sfruttarle. La nostra moderna societ tecnologica, nel tentativo di migliorare le condizioni di vita della gente, ha sistematicamente semplificato limportanza e la complessit della natura fino a renderla mero substrato materiale per strutture e sovrastrutture. Per molti secoli, millenni ormai, ci siamo isolati, come se fossimo una specie a-parte, dimenticando il nostro legame con il mondo naturale. In questi ultimi anni sembra che, finalmente, un po tutti nel mondo occidentale si stiano rendendo conto di come tutto sia in relazione, soprattutto da quando la qualit e la sicurezza della propria vita a farne le spese. Laria irrespirabile, lacqua inquinata, il cibo alterato, e proprio da quei sistemi e mezzi di produzione che hanno dettato il tanto decantato benessere e successo economico. Alluvioni, desertificazione, stravolgimenti atmosferici, montagne che franano, effetto serra, riduzione della fascia dellozono, diminuzione della diversit biologica, non sono altro che la voce della Terra che ci dice quanto deleterio sia il nostro modo di essere e quanto la nostra cultura sia orfana di umilt e di consapevolezza. A tutto questo si contrappone una crescente sensibilit e preoccupazione verso i problemi arrecati ai meccanismi ecologici. Nuove soluzioni eco-sostenibili in agricoltura e nellindustria stanno lentamente prendendo piede, i temi dellecologia entrano timidamente nei programmi scolastici e ogni anno nuovi territori dove la natura protetta si aggiungono alla lista. Un impegno, questultimo, quanto mai necessario e di buon auspicio. Ma, nonostante sia importante e meritevole, si ha la sensazione che sia tremendamente insufficiente e in qualche modo superficiale. Insufficiente, perch la natura non relegabile in piccoli spazi dorati, come pretendere che laquila e il cervo rispettino dei confini, credere a questo significa sminuire la loro selvaticit e il loro pi ampio bisogno di relazione e per noi rimanere intrappolati in una concezione di separazione da essa. Superficiale, perch quello di cui c bisogno una cultura che vada oltre la concezione meccanicistica della natura e ne faccia propri i significati e le relazionioltre a produrre i necessari cambiamenti politici, produttivi e tecnologici. Una cultura che conosce la natura, ispirata e connessa ai ritmi delle stagioni, alla complessit dei cicli e alle diverse forme di vita. Una cultura che abbandoni loggettivazione in atto di tutto ci che in natura esiste e ne apprenda finalmente i meccanisminon per stravolgerlima per armonizzarsi dentro. Una cultura umile, che sappia rispettare lapparente caos selvatico come fonte e fulcro della vitadi tutta la vita. Lidea bioregionale nasce, appunto, da questa esigenza di recupero del nostro essere parte del pi ampio mosaico della vita. E lo fa partendo dalla consapevolezza che tutti noi abitiamo in luoghi di relazioni: questi luoghi sono le Bioregioni. La Terra, infatti, organizzata in bioregioni, e cio: territori omogenei definiti per continuit di paesaggio, di tipo di suolo o di clima; di interezza fluvialecol suo reticolo di corsi dacqua, valli e versanti montanioppure seguendo i confini porosi di piante e animali autoctoni. Anche luomo, con le sue culture, pu essere modello nella definizione di una bioregione, almeno nella misura in cui egli ha saputo interagire e mantenere un rapporto equilibrato con la natura circostante. Anche questo un punto su cui val la pena soffermarci per una attimo e costatare come da tempo nel nostro paese, come pure nel resto dEuropa e oltre, si sia persa quella sofisticata sensibilit verso il luogo che ci permetteva di sentirlo come un intreccio di esseri e di relazioni. Labbiamo sostituita o anteposta a teorie di

supremazia sul territorio, di superiorit di razza, di religione, di potere nazionale, ideologico ed economico. E la storia che si insegna nelle scuole, condivisa e accettata come ineluttabile. Ma dal punto di vista bioregionale essa costata alla gente la perdita del Sogno della Terra, ed questo Sogno che lidea bioregionale intende riproporre mostrando al mondo e ai popoli la necessit di recuperare il senso di relazione con tutto ci che corre, striscia, nuota e vola; con i cicli, i climi, i venti, le piogge, le nevi e ogni altra cosa che crea e sostiene la vita. E di crederci cos tanto che qualunque siano le differenze di cultura, classe, religione, etnia o lingua, ci rappresenti quel terreno comune verso il quale tutti possiamo far riferimento e trovare laccordo e la convivialit necessaria nel rispetto delle differenze e delle necessit. C un termine che ben sintetizza il percorso da intraprendere ed Ri-abitare: abitare di nuovo il proprio posto da una prospettiva che ne ridefinisca le teorie, le tecniche, le pratiche, gli umori e le sensazioni affinch si trovi il giusto modo di interagire con i sistemi ecologici a tutti i livelli: economico, tecnologico, agricolo, educativo, energetico, politico, religioso ed ogni cosa utile alla societ per vivere sostenibilmente e dignitosamente nella propria bioregione. Ma sentiamo la pi esaustiva definizione che ne da Peter Berg uno dei precursori del movimento bioregionale: ri-abitare vuol dire imparare a vivere in un posto, in unarea che stata infranta e lesa da un passato di sfruttamento. Significa ri-diventare nativi del posto ed essere consapevoli della miriade di relazioni ecologiche che operano dentro e attorno ad esso. Significa comprendere le attivit e i comportamenti sociali che in prospettiva arricchiranno la vita di quel posto, ne ripristineranno i sistemi di supporto vitale e stabiliranno al suo interno uno schema di esistenza ecologicamente e socialmente sostenibile. In poche parole, diventare pienamente vivi nel e con il posto e darsi da fare per diventare membri della comunit biotica e smetterla di essere i suoi sfruttatori. Ma perch poniamo cos grande attenzione al posto, alla bioregione, quando sappiamo bene che ovunque nel mondo le cose non vanno di certo meglio, se non peggio? Per prima cosa significa prenderci le nostre responsabilit nel pi ampio riequilibrio planetario; in pratica non si pu pretendere che gli altri preservino le loro terre e noi continuare a banalizzare e alterare le nostre. Questo non significa sminuire limportanza e la drammaticit degli squilibri ecosistemici e dei guasti sociali a livello nazionale e mondiale, ma di ammettere che tutto in relazione e tutti ne siamo coinvolti, e che il vero lavoro inizia proprio dietro casa, nel luogo/bioregione in cui si vive. Si tratta di riapprenderne le potenzialit, le complessit, le connessioni e i limiti e di indagare sulla fonte dei guasti e le loro relazioni sia a livello locale che globale e agire con scelte e stili di vita appropriati. La bioregione il teatro della pratica e il banco di prova per meritarci di nuovo lappellativo di cittadini della Terra. Una bioregione un luogo reale, concreto, dove seminiamo il grano adatto, dove fabbrichiamo gli arnesi appropriati, quale habitat la gazza predilige; dove ci riuniamo per discutere i problemi della gente, i sistemi di educazione e le scelte produttive; i nostri rapporti con il fiume, la montagna, la pianura. e infine, lapprendimento che riceviamo dal vivere con senso di reciprocit e del limite forse il modo pi appropriato di rispetto verso gli altri popoli, le altre bioregioni, e verso la Terra intera. A questo punto forse legittima una domanda: da dove e come iniziare la pratica bioregionale? E semplice: da noi stessi e dalla capacit di recuperare la nostra pi vera e profonda dimensione umana, e cio: la capacit di sentirci a proprio agio nel pi ampio consesso dei viventi. E un viaggio innanzitutto dello spirito, quindi difficilmente relegabile in nozioni o ricette. Non esiste il vademecum del perfetto bioregionalista. Ognuno ha il proprio punto di partenza, il proprio vissuto, le proprie emozioni, debolezze, situazioni e soprattutto ogni luogo diverso dallaltro, con peculiarit, necessit e identit proprie. Da parte mia posso condividere, brevemente, quello che stato il mio percorso. Come figlio di contadini sono cresciuto in relazione e a contatto con la natura del luogo in cui tuttora vivo. Le siepi tra i campi, lo stagno vicino a casa e il fiume in lontananza erano il teatro dei miei giochi. Ho sempre provato unattrazione particolare verso tutto ci che misteriosamente si muoveva in questo mondo Altro. Ad un certo punto, mi ricordo ancora bene, ebbi come una sorta di punto di svolta e cio: o approfondire questo legame intimo con la natura, oppure seguire leco della rivoluzione (tra virgolette) degli anni sessanta che sopraggiungeva. Decisi per la seconda, e come molti della mia generazione feci le mie esperienze, proteste, viaggi, errori. Fu unesperienza essenziale dove ai paradigmi di una cultura massificante e livellatrice si preferiva una sorta di mutamento interiore a cui era s problematico contenerne lesuberanza, ma che in cambio, molto spesso, regalava preziose tracce da seguire. Fu cos che, completato il cerchio, sono tornato alle mie siepi, al mio stagno, al mio fiumee questa volta per restarci. La mia idea era di ritornare alla pratica dei significati base della vita: spaccar legna per cucinare e riscaldare la casa, raccogliere erbe e frutti spontanei per soddisfare, almeno in parte, le esigenze alimentari della mia famiglia, seminare migliaia di semi e coltivare la pazienza finch non giungano a maturazione, nutrirci dellintreccio vitale con gli esseri del posto e.ringraziare appropriatamente.

Col passare del tempo tutto questo si rivel come una vera e propria introduzione allo spirito del posto. Le siepi, lo stagno, il fiume mi mostrarono i loro abitanti, le tracce sulla neve dinverno mi raccontavano di quelli pi elusivi, il profumo delle piante mi introduceva al ciclo delle stagioni, il fiume mi rese consapevole che il luogo dove abitavo era parte di un insieme pi ampio. Lui, il fiume, mi parlava di luoghi lontani e vicini, di storie lontane e vicine, e non tutte a lieto fine, tuttaltro. Erano storie di inquinamento, devastazioni, perdita di rispetto verso tutto ci che vive, cos iniziai ad unirmi a gruppi e associazioni che lavoravano per risanare la situazione, ma quantunque fosse un lavoro utile e meritevole era frustrante la mancanza di visione, lincapacit di vedere che accanto al giusto lavoro di difesa e di protezione dellambiente, era necessaria la consapevolezza che pure noi siamo parte del problema e il modo in cui progettiamo e viviamo la nostra vita parte della soluzione. La nozione bioregionale, infine, di insieme omogeneo e lesempio di altri sul mio stesso cammino mi pose nel giusto contesto, cos quella che era solo una percezione inizi ad assumere i contorni di una bioregione. Una bioregione, la mia, definita dal grande bacino fluviale del fiume Po, che in tempi geologici ne ha disegnato i contorni, modellato il clima, distribuito distinte popolazioni di piante e animali, ispirato storie e culture. Per terminare, quale contributo pu dare la visione bioregionale al ri-equilibrio planetario, sia in termini sociali che ecologici? Nessuno, se rimane una mera teoria o un qualcosa che cala dallalto. Molti, invece, se inizia a trovar posto in noi stessi e nel modo in cui viviamo e ci relazioniamo con i nostri vicini, umani e non umani. In natura, linformazione corre altrettanto velocemente come su internet: se agisci in modo corretto e con umilt questo non passa inosservato, e allora la natura ti viene incontro. E cos con le persone: se il messaggio onesto e profondo prima o poi verr captato e fatto proprio da altri.ma si sa, viviamo in tempi scollegati, in cuori persi e la nebbia regna nelle nostre menti. Ci vorr tempo.

You might also like