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L’utopia della libertà

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L’utopia della libertà
Gibellina
15 Gennaio 1968
15 Gennaio 2008

Fondazione Orestiadi

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L’utopia della libertà
Ludovico Corrao
Il terremoto ha sradicato uomini,
animali, case: un destino di morte
che ha sprigionato nuove forme di
vita.
Un esodo di popolo, dal fango delle
tende e dalle brucianti-ghiaccianti
lamiere delle baracche, un lungo
cammino per conquistare la nuova
terra e rifondare la città: un germe
dalle antiche radici nelle fessure
dei cretti strappati con dure lotte
di secoli al dominio feudale.
L’utopia della libertà e del
possesso della terra, il sogno
tessuto tra gli incubi di una
realtà di sofferenza e le pressioni
dell’ideologia urbanistica, il mito
e la ricerca del “genius loci” hanno
animato l’avventura, stimolato la
creatività, illuminato la memoria.
Ecco perché Gibellina nasce dal
soffio creativo dell’arte, ecco
perché artisti di ogni parte insieme
agli artisti - lavoratori e contadini
- di Gibellina si sono incontrati
nella comune solidale fatica di
rifondazione della città: l’arte e
la cultura erano necessariamente
trauma e risultato.

1970, manifestazione a Palermo per la ricostruzione 5


Visita pastorale nel
Belice e a Palermo di
Giovanni Paolo II
21 novembre 1982.

[…] Lo so. Conosco la triste realtà


di un tempo; dei “carusi” della vo-
stra Terra, con le fragili spalle sot-
to la valanga dello zolfo. Ricordo,
con profonda emozione, i bambini
periti negli incidenti aerei di que-
sta Città; i bambini morti nei pae-
si annientati dal terremoto del
Belice. Ricordo anch’io la piccola
“Cudduredda”, emersa dopo due
giorni dalle pietre, quasi a simbo-
lo della vostra Sicilia, del suo se-
colare, insopprimibile ed appas-
sionato bisogno di sopravvivenza,
di fortezza, di fede, che resiste a
tutte le vicende di dolore e di mor-
te. Bisogno di futuro […].

6 “Il Cristo risorto”


Recuperato tra le rovine della città distrutta
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Nja Mahdaoui

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Gibellina_1968_2008

Vito Antonio Bonanno*

“H
o visto stanotte in quel- a tutti una casa era doveroso ma non
la vallata un’infinità di risolutivo; bisognava ricostruire insieme
fuochi: si bruciavano le la memoria dei gibellinesi. La rinascita
stoppie tra la Rocca e Sa- è stata un’azione corale, un impegno di
linella. Una corona di fuoco e di luce: la tutti, una scommessa contro tutti quelli
forza della vita che richiamava i gibelli- che avevano preparato per Gibellina un
nesi. Dobbiamo andare lì, e lì dobbiamo destino di emigrazione e di miseria, una
ricostruire la città”. Seguendo la forza città senz’anima. E invece Gibellina è ri-
evocativa di queste parole pronunciate sorta sulle pietre della bellezza, grazie
dal neoeletto sindaco Ludovico Corrao a al dono creativo dell’arte e al coraggio
conclusione del suo appassionato inter- di chi ha guidato la ricostruzione. Oggi è
vento, il consiglio comunale di Gibellina impossibile immaginare la Sicilia senza
all’unanimità respinse il programma di guardare a questa parte della Valle del
trasferimento della città presentato dal- Belice, alle sue opere d’arte conosciute
l’Ises che individuava in Rampinzeri il in Europa e nel mondo, alle opere di ar-
luogo per la ricostruzione della città, ed chitettura che cominciano a fregiarsi di
indicò invece l’area tra lo svincolo di Ca- certificazioni di qualità e formali ricono-
latafimi e Salinella, vicino alla nascente scimenti di rilevante interesse artistico
autostrada e alla ferrovia, come il luogo ad opera delle istituzioni preposte alla
in cui trapiantare non solo la città ma il tutela e alla valorizzazione dei beni cul-
popolo di Gibellina, che appariva “come turali. Eppure, la rinascita della città è
un albero a cui il terremoto aveva reciso stata segnata da polemiche sull’oppor-
anche le radici”. Era il 31 di agosto del tunità di lasciare agli artisti immagina-
1969, giorno della festa della Madonna re Gibellina la nuova; la rinascita è stata
delle Grazie: “pieno di grazie sia il paese, segnata da lotte coraggiose del consiglio
gli uomini, le donne, i giovani di Gibelli- comunale che, negli anni e a più riprese,
na”, pregò il Sindaco. ha modificato lo sterile piano urbanisti-
Sono passati oramai quaranta anni dal co disegnato da burocrati ministeriali
15 gennaio 1968, la città ha messo radici, per dare un senso ed una trama di valori
l’utopia è divenuta realtà, il sogno col- all’assetto urbano. Si è detto e si è scrit-
lettivo di tutti i gibellinesi ha dato i suoi to polemicamente che a Gibellina l’arte
frutti. Il terremoto aveva annientato cen- ha avuto il diritto di fantasticare; si può
tinaia di vite umane, aveva cancellato i condividere tale affermazione nella
segni di una civiltà umile ma antica, ave- misura in cui si comprende che ciascun
va distrutto le case e spazzato via le sto- artista, architetto, urbanista ha dovuto
rie, la Storia di Gibellina. Non era facile misurarsi con una realtà in progress, con
ricostruire e forse non era utile; bisogna- i desideri di chi doveva abitare la città
va piuttosto far rinascere la città; ridare che era vuota e abbisognava di punti di

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riferimento e di valori da condividere. tà, ha ottenuto i finanziamenti per l’inte-
Così, Mario Schifano nel 1984, dopo aver grale completamento. Anche il Sistema
realizzato le dieci grandi tele che com- delle Piazze, dopo il riconoscimento di
pongono il Ciclo della natura, confidava qualità ad opera del Dipartimento per
profetico ad Eva Di Stefano: “forse ho l’architettura contemporanea, potrà fi-
dato alla gente di Gibellina qualcosa che nalmente essere completato con la rea-
resterà loro nel tempo”. Come lo stesso lizzazione delle ultime due piazze, già
Alberto Burri che, chiamato a dare il pro- progettate da Purini e Thermes. Presto
prio contributo alla rinascita della città, vedrà la luce il progetto di riutilizzo del-
immaginò i ruderi della vecchia città le acque reflue depurate, pensato già al-
come il teatro della memoria, un luogo l’inizio degli anni novanta da Damiano
da plasmare tutto intero e con il Cretto Galbo per affrontare in chiave moderna
poeticamente lo consegnò alla storia e culturalmente innovativa il problema
non solo di Gibellina, ma dell’umanità dell’irrigazione dello straordinario pa-
che sempre soccombe davanti alla Natu- trimonio di verde urbano di cui la nuova
ra. E così il Meeting di Pietro Consagra, città si andava dotando, e che oggi con-
che architettonicamente anticipava di ta oltre 2200 palme e migliaia di altre
anni le forme di Gehry, non era altro che specie botaniche.
il tentativo di dare ai giovani di Gibellina Resta da completare il Cretto di Burri,
un luogo dove incontrarsi, senza barrie- che intanto sarà restaurato. È vero che
re di alcun tipo. Ed ancora, le Piazze di una città non si finisce mai di costruire,
Franco Purini e Laura Thermes nel loro è un viaggio continuo, come testimonia
richiamo a forme metafisiche di dechi- il nuovo progetto del Giardino delle re-
richiana memoria rispondevano all’esi- ligioni e del dialogo. Ma completare il
genza di ricucire urbanisticamente il ver- Cretto è un atto dovuto, un dovere civi-
sante meridionale della città, legando co, l’atto finale della storia di questi otto
insieme i quartieri di edilizia economica lustri, quella che Dominique Fernandez
e popolare con quelli più signorili. ha definito “l’avventura esemplare di
Scrisse Elio Vittorini ne Le città del mon- questo paese”. È un impegno di tutti, ma
do: “una città non nasce come un cardo. principalmente deve essere un impegno
O sono gli angioletti che vengono a po- delle Istituzioni della nostra Repubblica
sarla su una collina?”. Gibellina la nuo- e della nostra Regione; lo dobbiamo a co-
va nasce dalla volontà dei gibellinesi di loro che persero la vita sotto le macerie,
aggrapparsi alla vita, di rifuggire il de- alle donne che lottarono sotto il fango e
stino di miseria e di morte, e di tessere le tende pur di rimanere in questa terra,
con armonia la trama dell’amore per la a tutti quelli che da ogni parte d’Italia e
terra dei padri. La tela non è ancora del d’Europa vennero a dare il loro contribu-
tutto compiuta. Da un lato la comples- to di solidarietà per riscaldare i nostri
sità ardita del progetto, dall’altro i col- padri orfani delle loro case e delle loro
pevoli ritardi dello Stato nell’erogazione radici. Allora, sì che la rinascita di Gibel-
del fondi necessari alla ricostruzione lina sarà completata.
hanno rallentato l’esecuzione del pro- Poi verranno altri giovani, ed il viaggio
gramma. Ma abbiamo ripreso il cammi- potrà continuare.
no con rinnovato vigore e nello spirito di
unità che ha accompagnato le scelte più *Sindaco di Gibellina
importanti negli anni delle baraccopoli.
La Chiesa di Ludovico Quaroni, fresca
della dichiarazione di importante rile-
vanza artistica, presto sarà completata
e, forse, la sua sfera sarà ricoperta di ve-
tro colorato come il Maestro aveva già
illustrato a Ludovico Corrao. Il Teatro di
Consagra, opera simbolo di quella scul-
tura frontale di cui è disseminata la cit-

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2004 - Bobo nell’Urlo di Pippo Delbono 11
Foto di Franco Lannino, Studio Camera Palermo.
Philip Glass

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“Gli Uccelli”

1970 - Il gruppo degli “Uccelli” tra le baracche di Rampinzeri, con il loro modello della 13
“Torre di Babele”
Dalla “notte” della Valle del Belíce misurano, qua-
rant’anni dopo il sisma, il diverso cam-
del terremoto mino della ricostruzione. L’utopia della
“conurbazione” urbanistica progettata
alle “stelle” nei primi tempi dall’ISES (l’Istituto per lo
sviluppo dell’edilizia sociale) – l’unione
della rinascita in un solo abitato dei paesi distrutti – ha
dovuto fare i conti con le diverse identi-
tà e storie. Alcuni di questi paesi erano
sorti all’epoca delle fondazioni contadi-
ne del Cinque e Seicento, sotto l’egemo-
Salvatore Costanza nia baronale. Un tessuto di piccole case
addossate le une alle altre, sul pendío
di colline interne, e affacciate su strade
strette e scoscese, qua e là interrotte da
sporgenze e insenature che derivavano

N
el breve fulgore di una stella in- dalle frequenti fughe delle abitazioni
travista attraverso il tetto bu- contadine. Altri (Salemi, Partanna, San-
cato di una posada di Alcamo, ta Margherita) modulavano la fanta-
Wolfgang Goethe aveva ripo- sia scenografica delle chiese barocche
sto l’auspicio di un gratificante itinerario o, nell’impianto medievale, la vita dei
nella Sicilia dei templi e dei teatri ellenici quartieri popolari, dove è stata attiva la
ruinati, che egli visitò nel 1787. Il cielo stel- rete dei sodalizi operai.
lato sopra di lui era viatico alla scoperta Una diversità di sviluppo storico e civi-
di un’isola giudicata “chiave di tutto” per le che rivelava le profonde e complesse
la sua centralità mediterranea. radici della struttura sociale: paesi sof-
La Sicilia che Goethe attraversava era focati dalle rigide consuetudini del lati-
poi memore dei tremuoti sismici e dei fondo (Gibellina e Poggioreale); piccolo
furori etnei che avevano distrutto, un centro di coltivatori autonomi (Salapa-
secolo prima, Catania e il Val di Noto, ruta); infine città in cui si era elaborata
e ancora, nel 1783, Messina. Una terra una coscienza intellettuale e politica
inquieta, la Sicilia, come gli uomini che di alto livello, come Salemi, Partanna e
l’abitavano. Tanto che il canonico An- Santa Margherita, il paese quest’ultimo
tonino Mongitore ne attribuiva quasi dei Tomasi di Lampedusa.
sodalizio indissolubile di vita e di morte Il terremoto del 15 gennaio 1968 aveva
nella sua erudita Istoria cronologica de’ cancellato quattro Comuni (Gibellina,
terremoti di Sicilia (1743). Il destino de- Salaparuta, Poggioreale, Montevago),
gli uomini sembrava cosí piú legato alla distrutto quasi interamente gli abitati
geologia isolana che ai flussi esogeni di Santa Ninfa e Santa Margherita, men-
delle etníe. E, infatti, le calamità natura- tre altri paesi avevano subíto profonde
li, come quella del Belíce di quarant’anni lacerazioni. Il bilancio di quel disastroso
fa, segnano fasi storiche alternantisi per evento segnò le cifre di trecento morti e
schianto di comunità e rinnovato ardore 80 mila senza tetto. I “tempi lunghi del
di ripresa. dopo-terremoto” avrebbero registrato
Quando si pensò a una figura emblema- in seguito la dispersione delle comuni-
tica della vita rinnovantesi in uno dei tà, verso i paesi del Nord-Italia e della
paesi piú colpiti dal sisma del 15 gen- Germania (12 mila emigrati), la grama
naio 1968, Gibellina, fu scelta la stella, esistenza delle famiglie nelle baracco-
- la Porta del Belice di Pietro Consagra poli, le lungaggini burocratiche per la
- paradigma artistico della modernità e, ricostruzione. La legge n. 241 del 18 mar-
insieme, “rivelazione” del passato, i cui zo 1968 prevedeva una cooperazione
ruderi sono stati inglobati in un manto d’interventi finanziari fra gli enti statali
di cemento (il Cretto di Alberto Burri). (Cassa del Mezzogiorno) e i Ministeri per
Il paesaggio urbano e la vita agreste la ricostruzione dei paesi della Valle del

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Belíce distrutti, o gravemente danneg- corso di crescita” di una comunità che
giati, dal sisma; ma al riassetto urbani- era chiusa da secoli nel localismo della
stico e al recupero edilizio, che ciascuno “civiltà contadina”; e difficile il recupero
dei Comuni ha operato secondo proprie di una identità che riuscisse a coniugare
scelte d’insediamento, non si è unita la antico e moderno.
spinta allo sviluppo economico della Fu, per Gibellina, l’iniziale ispirazione
zona, che ancora oggi deve confidare dell’allora sindaco Ludovico Corrao,
sulla struttura agraria di base, seppu- attuale Presidente della Fondazione
re rinnovata negl’impianti vitivinicoli e Orestiadi, a proiettare il genius loci nel-
della olivicoltura, per lo piú diffusi all’in- la più vasta articolazione dei contesti
terno di una proprietà fondiaria piccola mediterranei. Del resto, l’appello degli
e media, generata da secolari lotte con- intellettuali riuniti a Gibellina nel 1970
tadine per la divisione dei demani e lo – tra gli altri Leonardo Sciascia, Rena-
scorporo dei latifondi. La discontinuità to Guttuso, Carlo Levi – aveva indicato
e frammentazione della legislazione re- questa via alla ricostruzione della città,
lativa agl’interventi finanziari per l’edili- ancoraggio alle proprie radici storiche
zia pubblica e privata (quasi 12 mila mi- e, insieme, occasione offerta alle popo-
liardi di lire) non ha favorito, finora, né il lazioni di pensare il proprio futuro in
completamento dei piani di ricostruzio- termini di “slancio” verso l’integrazione
ne, né tanto meno il decollo economico nella piú vasta realtà isolana e mediter-
della valle. ranea.
Se alcuni paesi hanno ricostruito il pro- Per la ricorrenza, che cade a quarant’an-
prio abitato recuperando l’ambiente ori- ni dal ’68, il bilancio che si può trarre ha
ginario, con elementi della nuova archi- ancora la duplice constatazione dei ri-
tettura ben inseriti negli spazi creati dal tardi, soprattutto per la rete delle infra-
riassetto urbanistico, altri (Gibellina, Sa- strutture e dei servizi, e delle difficoltà
laparuta, Poggioreale) si sono trasferiti relative al “rientro” demografico e allo
piú a valle o su declivi poco discosti dai sviluppo economico. A un tale bilancio,
vecchi siti, cercando un piú vicino colle- tuttavia, si allegano ora sul versante cul-
gamento con la grande viabilità che da turale le iniziative che rendono esempla-
Sud a Nord attraversa la Sicilia occiden- re la drammatica esperienza del ‘68 in
tale. comparazione “policentrica” con le altre
È il caso di Gibellina Nuova, costruita in calamità naturali e gli stessi scempi bel-
zona Salinella, a qualche km dall’auto- lici del secolo ora trascorso.
strada Mazara-Palermo e dalla ferrovia. Qualche anno fa, una mostra allo Steri
Alla rinascita economica, cui si affidano di Palermo aveva riproposto un altro
i ricostruiti paesi, si è collegata da qual- “viaggio” in Sicilia propiziato da una
che anno la speranza che la variabile sorta di “rivelazione”. Dalla “notte” del
turistico/culturale legata alla tradizio- terremoto del ’68, dalle macerie di un
ne storica e all’archeologia della valle antico palazzo di Montevago, era stato
possa recuperare livelli occupazionali e casualmente rinvenuto il prezioso Archi-
flussi di visitatori. vio di carte topografiche dei territori e
Gibellina ha scelto, fin dall’inizio, la via degli abitati dell’Isola che gli eredi del
di un impianto urbanistico metaforizza- marchese Vincenzo Mortillaro, delegato
to in chiave di modernità, sia negli spazi borbonico per la compilazione del Cata-
che nel suo sviluppo viario, dalla presen- sto, avevano a lungo conservato.
za di opere scultoree e architettoniche Un’altra “stella” rivelatrice della Sicilia,
di artisti come Consagra, Franchina, Po- “passata per il meridiano” della storia,
modoro, Purini e Thermes, Quaroni, men- come la stella ricordata da Goethe per
tre nel Museo delle Trame mediterranee propiziarne il viaggio.
(Baglio Di Stefano) sono state raccolte
preziose testimonianze dell’arte elabo-
ratasi tra Sicilia e Africa.
Difficile, all’inizio, individuare il “per-

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Un appello
di solidarietà
1970

Leonardo Sciascia, traendo ore di più urgenti e utili servizi


ai pochi elicotteri disponibili, promisero
Renato Guttuso, tutti l’immediata ricostruzione dei paesi
Cesare Zavattini, distrutti e parve allora che, al di là della
provata demagogia e inefficienza della
Bruno Caruso, classe al potere, almeno e soltanto sulla
Ernesto Treccani, promessa di ricostruire gli abitati, si po-
Corrado Cagli, tesse contare.
E diciamo soltanto perché altre ne fu-
Damiano Damiani, rono fatte: di una ricostruzione econo-
Sergio Zavoli, mica della zona, di radicali interventi
strutturali e infrastrutturali, nel conte-
Carlo Levi, sto di una visione e di una volontà che
Ludovico Corrao, tenesse presente la situazione siciliana
i sindaci nell’insieme, quale il terremoto l’aveva
rivelata agli uomini politici e agli inviati
della Valle del Belice speciali dei giornali del nord e stranieri.
Ma passato il momento emotivo e dema-
gogico, passate le elezioni politiche che
si ebbero qualche mese dopo, ad altro
non si pensò che alla costruzione delle
baracche, e con molta improvvisazione
e disordine: come ad un atto di definiti-

N
ella notte del 15 gennaio 1968 va solidarietà, come ad una soluzione
un terremoto sconvolse la Val- finale del problema. Ed in un certo senso
le del Belice, al confine della lo era. Per il costo finanziario dell’opera-
provincia di Palermo, Trapani zione, che ad una amministrazione più
ed Agrigento, distruggendo totalmente avveduta e sagace pare sarebbe bastato
sei paesi popolosi e poveri e danneggian- per ricostruire davvero i paesi, e per gli
done altri. effetti che le baraccopoli avrebbero avu-
Le vittime furono circa 300, 98.000 per- to su quelle popolazioni, non dissimili da
sone rimasero senza casa, circa 100.000 quelli di una vera e propria “soluzione fi-
persone con case cadenti. Ci vollero pa- nale” in cui ad una condizione di inedia
recchi giorni prima che tutte fossero ri- e promiscuità e agli eventi naturali, par-
coverate sotto le tende; e parecchi mesi, ticolarmente inclementi in quella zona
prima che tutte fossero alloggiate in ba- e in questi ultimi anni, veniva lasciato il
racche. Gli uomini politici, che a gara si compito, più lungo ma ugualmente sicu-
precipitarono sui luoghi del disastro, sot- ro, dell’annientamento psicologico, mo-

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rale e fisico che i lager nazisti più diretta-
mente e sbrigativamente esplicavano.
Di fronte a questo stato di cose che da
due anni si protrae e si aggrava, sentia-
mo, come uomini e come siciliani, il do-
vere di rivolgere all’opinione pubblica
mondiale e, per essa, agli uomini che la
rappresentano, l’invito di una riunione
a Gibellina nella notte tra il 14 e il 15
gennaio 1970, nel secondo anniversario
del terremoto; perché vedano, perché si
rendano conto, perché uniscano la loro
proposta e denuncia a quella dei cittadi-
ni relegati nei lager della Valle del Belice,
alla nostra.
In un paese e con un classe di potere sol-
tanto sensibile alla retorica, abbiamo
bisogno di questa solidarietà, forse reto-
rica, anche se vogliamo che alla riunione
di Gibellina venga fuori un atto di accusa
da cui lo Stato italiano, il Governo, siano
chiamati a discolparsi di fronte al mondo
civile ed a uscirne. Perché ci sono tanti
modi di conculcare la libertà, di opprime-
re, di destituire l’uomo dal diritto e dalla
dignità: e uno di questi modi è quello che
lo Stato e il Governo della Repubblica
Italiana attuano nella Valle del Belice.

1969 - La baraccopoli di Madonna delle Grazie 17


Messaggio Gli uomini di tutto il mondo protestino
con noi: l’Italia, il settimo paese indu-
introduttivo della striale del mondo, non è capace di garan-
tire un tetto solido e una possibilità di
trasmissione di vita ad una parte del proprio popolo.
Radio Libera Uomini di governo: lasciate spegnere
bambini, donne, vecchi, una popolazione
25.03.1970 intera. Non sentite la vergogna a non ga-
rantire subito case, lavoro, scuole, nuove
strutture sociali ed economiche a una
popolazione che soffre assurdamente?
Danilo Dolci Se si vuole, in pochi mesi una nuova città
può esistere, civile, viva.
Chi lavora negli uffici: di burocrazia si
può morire. I poveri cristi vanno a lavora-
re ogni giorno alle quattro del mattino.
SOS Occorrono dighe, rimboschimenti, case,
scuole, industrie, strade, occorrono su-
S OS bito.
Questa è la radio della nuova resisten-
Qui parlano i poveri cristi della Sicilia oc-
cidentale, attraverso la radio della nuo- za: abbiamo il diritto di parlare e di farci
va resistenza. sentire, abbiamo il dovere di farci senti-
SOS re, dobbiamo essere ascoltati.
La voce di chi è più sofferente, la voce di
S OS chi è in pericolo, di chi sta per naufraga-
re, deve essere intesa e raccolta attiva-
Siciliani, italiani, uomini di tutto il mon-
do, ascoltate: si sta compiendo un delit- mente, subito, da tutti.
to, di enorme gravità, assurdo: si lascia
SOS
spegnere un’intera popolazione.
La popolazione delle Valli del Belice, del- S OS
lo Jato e del Carboi, la popolazione della Qui si sta morendo.
Sicilia occidentale non vuole morire. La nostra terra pur avendo grandi possi-
Siciliani, italiani, uomini di tutto il mon- bilità sta morendo abbandonata. La gen-
do, avvisate immediatamente i vostri te è costretta a fuggire, lasciando incol-
amici, i vostri vicini: ascoltate la voce ta la propria terra, è costretta ad essere
del povero cristo che non vuole morire, sfruttata altrove.
ascoltate la voce della gente che soffre
SOS
assurdamente.
Siciliani, italiani, uomini di tutto il mon- S OS
do, non possiamo lasciar compiere que- Qui si sta morendo.
sto delitto: le baracche non reggono, non Si sta morendo perché si marcisce di
si può vivere nelle baracche, non si vive chiacchiere e di ingiustizia. Galleggiano
di sole baracche. Lo Stato italiano ha i parassiti, gli imbroglioni, gli intriganti, i
sprecato miliardi in ricoveri affastellati parolai: intanto la povera gente si sfa.
fuori tempo, confusamente: ma a que-
SOS
st’ora tutta la zona poteva essere già
ricostruita, con case vere, strade, scuole, S OS
ospedali. Qui si sta morendo.
Le mani capaci ci sono, ci sono gli uomini È la cultura di un popolo che sta morendo:
con la volontà di lavorare, ci sono le men- una cultura che può dare un suo rilevan-
ti aperte a trasformare i lager della zona te contributo al mondo. Non vogliamo
terremotata in una nuova città, viva nel- che questa cultura muoia: non vogliamo
la campagna con i servizi necessari, per la cultura dei parassiti, più o meno mec-
garantire una nuova vita. canizzati. Vogliamo che la cultura locale

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si sviluppi, si apra, si costruisca giorno sivi che il progresso scientifico e tecno-
per giorno sulla base della propria espe- logico ci mette a disposizione. Non pos-
rienza. siamo non valerci, non episodicamente
SOS ma strutturalmente, di quanto ci viene
garantito – sta a noi conquistarlo di fat-
S OS to – dalla Carta dei diritti dell’uomo alla
Qui si sta morendo. Costituzione, alla parte più avanzata del
Ciascuno che ascolta questa voce, avver- Diritto internazionale e non.
ta i propri amici, avverta tutti. La popola- Nelle attuali condizioni storiche italia-
zione della Sicilia occidentale non vuole ne, se ha un senso preciso l’impegno af-
morire. finché la radio – televisione sia affidata
SOS allo Stato , occorre:
ottenere precise garanzie affinché si
S OS possano esprimere attraverso questo
Facciamo appello all’ONU e a tutti gli or- strumento, monopolio dello Stato, le di-
ganismi internazionali che hanno a cuo- verse posizioni culturali e politiche de-
re la vita dell’uomo e lo sviluppo pacifico mocratiche;
del mondo: premano sul governo italia- e soprattutto, portare avanti la possibili-
no affinché sia costretto ad agire subito tà concreta, attraverso mezzi idonei, del-
e bene. la comunicazione dell’attuale “basso”: le
SOS voci dei lavoratori, di chi più soffre ed è
in pericolo.
S OS Una precisa conquista in questo senso
Il mondo non può svilupparsi in vera pace non ha solo significato locale, può riusci-
finché una parte degli uomini è costretta re a produrre reazioni a catena.
alla disperazione.
SOS
SOS S OS
S O S Amici, organizzate gruppi di ascolto e dif-
Qui parlano i poveri cristi della Sicilia oc- fusione nelle fabbriche, nelle università,
cidentale attraverso la radio della nuova nelle scuole, nelle piazze dei Comuni, nei
resistenza. Circoli culturali, nelle case del popolo,
SOS nelle cooperative, dovunque sia utile.
Chi vuole documentarsi esattamente, ci
S OS richieda documentazione.
Costituzione italiana, articolo 21: Discutete l’iniziativa.
“Tutti hanno il diritto di manifestare Documentate i giornali di ciascuna delle
liberamente il proprio pensiero con la vostre iniziative.
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione”.
SOS
Cosa significa “tutti”? Vi deve essere S OS
esclusa la gente che lavora più faticosa- Qui la voce della Sicilia che non vuole
mente? Vi deve essere esclusa la gente morire.
che più soffre?
Il diritto-dovere alla verità, da esigenza
SOS
morale, diviene via via nella storia, ri- SOS
guardandola nelle sue linee essenziali
pur tra contraddizioni, diritto-dovere
SOS
anche in termini giuridici. Il diritto alla S OS
comunicazione, alla libertà di espressio- Questa lettera è stata trasmessa minuti
ne, all’informazione, non vi è dubbio sia fa al Capo dello Stato italiano, al Capo
determinante allo sviluppo di una socie- del Governo e al Ministero degli Interni.
tà democratica: deve essere garantito Partinico, 25/03/1970
attraverso i moderni strumenti audiovi-

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La chiesa
19.02.1980

Ludovico Quaroni

L
a chiesa è per un architetto un le serate sono calde. La cavità interna,
tema affascinante, egli inter- inaccessibile, copre l’ambiente destinato
preta una sequenza di funzioni al culto, il più sacro. L’ostensorio si trova
dense di significato secondo la nel centro geometrico della sfera, circon-
visione unitaria della Chiesa. Invero, la dato dalla calotta rivestita da un mosai-
cosa più interessante è creare una Chie- co dorato ed indirettamente illuminata.
sa unica nel genere in quanto risponda La sala buia e rustica, contrariamente
alle condizioni economiche, territoriali e alla cupola luminosa, si trova all’entrata
storiche della zona in cui sorge. È natu- leggermente in salita con panche di ce-
rale che ci si riferisca ad elementi che si mento e legno. Entrando le due fessure
sono sviluppati nel corso degli anni e che verticali fanno entrare solo poca luce del
il popolo si riconosca così nella costru- giorno, qua sono sistemati il battistero e
zione. Va ancora detto che l’architettura il confessionale. La simbolica perfezione
moderna deve però bilanciare l’esigenza della sfera – soprannaturale – rappre-
del rispetto del contesto storico cultura- senta l’Universo, la continuità, l’infinito,
le con la creazione di qualcosa che non la totalità, mentre il quadrato è segno
è ancora conosciuto, di assolutamente della perfezione umana, non della razio-
nuovo. L’osservatore deve in ogni caso, nalità trascendentale.
tramite gli elementi offerti dall’architet- La Chiesa è molto piccola, ma la forma
to, potere richiamare alla mente l’idea rotonda e il colore blu intenso delle mat-
di una Chiesa. È per questo che abbiamo tonelle che dovranno ricoprire la sfera
ritenuto opportuno riferirci generica- dovrebbero dare sufficientemente l’idea
mente alla connotazione di una cupola e che si tratta della casa del Signore.
così, in considerazione dell’influsso ara-
bo in Sicilia, si è pensato alla semplicità
delle cupole di quel periodo senza le lan-
terne o i pinnacoli che si vedono oggi an-
cora in alcuni monumenti palermitani.
La nostra cupola-abside nasce dall’inca-
stro della sfera col parallelepipedo della
sala. La pianta quadrata si sovrappone
ad un quarto del cerchio così si crea nella
sala un asse simmetrico diagonale. Mez-
za sfera si solleva, esce cioè fuori dall’au-
la e per tre quarti è all’esterno cosicché
anche fuori c’è l’abside convessa qua-
le rovesciamento della cavità interna,
adatta per una Messa all’aperto quando

20
Joseph Beuys
Natale a Gibellina
1981

Fulvio Abbate

U
na giornata non mite modifica della storia che trasmette a tutto ciò che
la percezione del paesaggio, fa. Ciò non significa essere artisti, ma la
come un involucro la luce opa- creatività deve essere presente in ogni
ca stringe la città. Poi le scia- campo».
bolate di vento, che si aggiungono come Beuys siede sui massi e osserva Gibellina
termine di curiosità, diventano un incen- come testimonianza vivente di una ten-
tivo per l’attenzione dell’osservatore, sione progettuale totalizzante che cerca
del visitatore. di rendere possibile un momento di coin-
Joseph Beuys osserva la città: segmen- cidenza tra i codici del vissuto quotidia-
to dell’isola al centro del Mediterraneo, no e quelli artistici. Il viaggiatore Beuys
luogo d’osservazione e probabile ter- si muove tra le «prove» del terremoto e,
ritorio magico da verificare attraverso per estensione, della catastrofe.
l’equazione che stabilisce un rap- Non si tratta adesso di ricostruirle «in vi-
porto di corrispondenza tra Vita e Arte. tro» sino a farne una sorta di feticistica
Guarda i segni che sono entrati a far par- apologia esorcizzante, piuttosto verifi-
te dell’inventario urbanistico solo recen- care il valore delle macerie e della loro
temente. Forse immagina tutti quegli al- «presenza». Beuys adesso non parla di
tri segni, probabili candidati, secondo le un tesoro nascosto e neppure di un fan-
leggi del neocapitalismo, alla ridefinizio- tasma che si allontana per ritornare nel
ne della città. Nel mezzo di un capitale nulla che lo ha fatto venire fuori.
naturale si agitano le singole accezioni Scruta il terreno, cerca di comprendere
di memoria ed assieme quelle che fanno tattilmente la natura di questo. È inte-
riferimento all’idea di tecnologia. E se ressato ad ogni cosa nella coscienza di
un giorno fosse possibile riferire intor- chi ha scritto: «La rivoluzione siamo noi»
no ad una tecnologia della memoria? con i nostri idoli che vengono e restano a
Se il capitale individuale, le microstorie passeggiare nella storia, albergano nel-
di ciascuno costituite da un concetto di la memoria della aspirazione di una sal-
affettività riuscissero a coniugare ogni vezza esistenziale. Così, in Beuys, Cristo
momento della crescita del nucleo socia- è «l’inventore della macchina a vapore».
le? «Non sono contrario alla tecnologia, Uguale tensione rappresenta per Beuys
- spiega Beuys - credo, anzi, che la tecno- scoprire che Gibellina sorge su un terre-
logia debba lavorare nell’interesse della no un tempo paludoso. È un altro tassel-
gente. Il mio interesse per l’arte è riferito lo che delinea l’interesse antropologico
ad un concetto antropologico di questa. dell’artista tedesco; un’antropologia
Il capitale di una persona, a parer mio, che è immediata e necessaria coscienza
non sta nella moneta ma nel suo spirito dell’esserci nelle coordinate spazio-tem-
di individuo, nella creatività del suo la- porali di una società. Gli oggetti, senza
voro, nell’abilità, nella coscienza di sé e perdere il valore d’uso originario, diven-

21
22
tano la materia dell’arte, la presenza di antropologico. È questa l’unica definizio-
quel momento della coscienza che viene ne possibile di fronte a qualsiasi ismo, a
riferito alle pratiche artistiche. Nelle tutte le esperienze dell’arte moderna”.
sale del Museo della civiltà contadina Scompare così la tentazione di chiamar-
osservando gli arnesi da lavoro Beuys, lo “artista” durante le ore di questo suo
davanti ad un trattore, parla di “scultu- soggiorno siciliano. E forse, nonostante
re”. la cifra apertamente dissacratoria non
L’albero, più volte protagonista e centro del tutto idonea a proposito della per-
d’attenzione del lavoro di Beuys, a Gibel- sonalità beuysiana, può andare bene
lina diventa una presenza necessaria, quanto scrisse Erik Satie: “Non abbiamo
centro propulsivo e archetipo evocato in più bisogno di chiamarci artisti, lascia-
forma di assenza. Sarà infatti il protago- mo questa splendida parola ai parruc-
nista dell’intervento che Beuys, succes- chieri e ai pedicure”.
sivamente, dovrà realizzare nella città. La curiosità antropologica non abbando-
“Ritengo che Gibellina sia un esempio na Beuys e durante la sosta in trattoria
fantastico di città, specialmente in un prende appunti sulla composizione delle
periodo in cui la gente ha dimenticato pietanze e dei dolci. Sorseggia un liquo-
come si costruisce. Personalmente ho un re al mandarinetto e poi un bicchiere
problema fondamentale e realistico per di marsala. Poi chiede se Al Capone era
quanto riguarda l’economia agricola. Vo- siciliano. Prima di andare via spiega la
glio riferire questo problema all’idea di necessità di vedere se stesso “soltanto
albero. Trovo che la Sicilia abbia troppo in una comunità che vuole fare qualcosa
pochi alberi soprattutto in quelle cime per l’avvenire e questa affinità elettiva
dove non si può praticare l’agricoltura. va oltre le nazionalità. È proprio vero
La Sicilia per le generazioni a venire po- che i siciliani nella propria civiltà hanno
trebbe essere un paradiso per ciò che un tono particolare, molto importante
riguarda l’albero: tutto questo avrebbe per il concetto delle culture europee”.
un effetto positivo sulle condizioni idro- Così si allontana questo “signore col ca-
biologiche dei territorio e la terra non pello sempre in testa”, come per molti a
sarebbe arida come adesso”. Gibellina è rimasto, che dovrà tornare, e
Osservando le opere realizzate dagli con lui la coscienza di una città che cre-
artisti, che occupano i bordi delle stra- sce guardando l’albero.
de e le piazze della città Beuys sembra
cercare dell’altro, forse lo spirito che ha
permesso tutto ciò, quella parte della
coscienza che non è mai scomparsa ne-
gli individui decisi a dare una traccia di
se stessi che non fosse aleatoriamente
monumentale, ma capace di seguire il re-
spiro della crescita. Tra le macerie della
città distrutta dal terremoto la figura di
Beuys, quasi per un effetto illusionistico,
si allunga e resta come sospesa osser-
vando il vecchio cimitero e poi le colline
e quei pochi alberi rimasti assieme alle
case coloniche.
“Comunismo, capitalismo, land art,
body art, happening, modernismo altro
non sono che sovrastrutture, - continua
Beuys - rappresentano un concetto di
moralismo. Il problema è quello di uscire
dal campo delle definizioni, riuscire ad
allargare il campo della ricerca arti-sti-
ca ad un uso quasi quotidiano che sia già

1981 - Joseph Beuys, tra i ruderi di Gibellina. Foto di Mimmo Jodice 23


da “Gibella del Martirio”
Emilio Isgrò
1982

Quinta risposta Con questa leva ti sollevo il mondo,


Chiamami Francesca, chiamami non posso sollevarti dalla morte.
Beatrice Del Martirio. Io Gibella Del Martirio
Sono Gibella la più pura stella, mi assumo tutto il peso
sono Gibella rimasta zitella. e passo.
E nell’inferno turbinante e vario
del dopo terremoto, tra lusinghe e spinte Libro Sesto:
di questi anni sanguinosi e lenti, Questa è la mia giberna, il mio cuore
scorgo dietro una porta Incatenato alle catene lente.
un grugno che si lagna Lente che sul mio occhio
al suon dello sciacquone e canta. sei scaduta di grado in grado
«Soffrivo di una sordità leggera fino a farmi cieca. Occhio
poco prima dell’attacco alla Polonia, di Polifemo
come un intontimento, un’emicrania, che mi insegui da tutte le Sicilie:
ma non lo confidai agli uomini senza amore io spero, senza greggi
e mi portai nella tomba il mio segreto. e pecorai, e quando è notte,
Una vanità minuscola, se vuoi, notte nel mio petto, buio nel mio letto,
appena un neo in tanta perfezione, rido alla pudica ortensia, alla tenda
ma chi non ha qualche difetto? che la sciroccata gonfia sula piazza,
Sono Hitler il padre è qui t’aspetto». a quest’ultima cena, a questa scena
Aspettami, bambino, aspettami candida nel bosco.
tra Archimede e tutte le sue leve Scelleratamente il giorno passa
di comando ancora intatte. Non so della pratica inevasa e dello strazio.
se t’hanno sistemato in paradiso o altrove Questa è la mia lepre caduta in un laccio.
ma conosco le ragioni del tuo cuore, E se tutti i salumieri della terra
non ignoro il travaglio di una vita, rispetto potessero affettare
la tua delicatezza d’animo, due o tre fette delle nostre carni
il tuo nobile sentire nessuno resterebbe con la fame al mondo
e ciò che solo noi sappiamo e dei nostri salumi
in mezzo a queste fiamme. Ma tu non ti e senza lumi.
scordare Tu sei alla finestra, lume della casa,
che io ti cercai gran tempo luce del ricordo, spirale
per terre e mari, continenti e selve della pace che non resisti al freddo.
e ora che l’appuntamento è giunto E intanto tace
tremo e mi smarrisco La bocca semichiusa, l’occhio
come una bimba che non ha dai vivi Con le febbri ma lucido di vita.
il sostegno necessario No, non può essere. Nell’eterno
e il giusto senso. andare delle stelle morte

24
c’è una stella turbata, una stellina, all’inchiostro versato, ai figli
anzi tre o quattro, non le conto più. abbandonati e spogli, pellegrini e rari.
Più non li sento, quattrocento Bèlice o Belice non importa: metti pure
siciliani asmatici affannati, L’accento dove puoi. La lirica intenzione
storti che non dico storti. è degenerata in furia. La squisitezza
ma stortissimi e capillari. delle forme è morte
come disse quell’incerto agrigentino o
Sesta risposta: trapanese
Sei assassino, mentitore, furbo e oggi ripetono le torme degli uccelli
e delatore. Ma non sei nelle nostre valli, le mosche
peggio di lei: te l’assicuro. e le galline nei pollai, ragni e vermi,
Ti sia di conforto, angelo mio. arùspici e liberti, sentimenti e venti.
Ti sia di conforto Dicono che canto e mi macello cauta
rendere almeno qualche sputo, sotto le statue e sopra questi tomi.
na ntìcchia d idisprezzu, Affermano che non sempre afferro
la mano santissima di Dio il respiro delle cose, il lamento degli
sulla guancia altrui. Solo oggetti
nell’ingiustizia cerca destinati a sopravvivermi, il grido
la tua giustizia. Trova il tuo bene delle Americhe. Ma dove sta Vienna?
dove sono pianti, patimenti e pene. Dov’è Bruxelles? Dove corrono i tedeschi?
Scassa, scanna e scappa. Dove vanno i francesi
Scatena, scampa e scaraventa. e gli spagnoli e gli albanesi e i greci?
Per mandare a morte non ci vuole molto. Perché vogliono distruggere
Io ti dirò, mio caro, quello che già sai. col silenzio delle voci e delle menti
Nessuno mi potrà restituire ciò che la guerra
ciò che mi fu tolto. non poté distruggere?
Per questo sono acida e maligna Io non decido nulla e non parlo.
e fiera della mie sventure e faccio Dio Nostro Signore
della disperazione un vento, crea questo sonaglio
della fame una gloria, oggi quattordici gennaio millenovecentot-
della sconfitta un onore e una scintilla. tantadue.

Libro settimo:
Non sono venuta a leggere questi fogli.
Sono venuta ad ascoltare il guscio della
noce,
il vuoto che segue
a una catastrofe innaturale,

25
Gibellina del ricordo
e del teatro vissuto
1983

Ubaldo Mirabelli

L
a nuova Gibellina si distende in una Emilio Isgrò. Anni ormai trascorsi ma non
conca dominata dalla stella di Con- dimenticati allorché Isgrò propose la vee-
sagra e si articola intorno al trac- menza di “Gibella del martirio” e la gente
ciato delle vie snodate e variate di Gibellina fu coinvolta nelle processioni
tra case basse e giardini che contendono annuali dedicate a S. Rocco: memoria di
il verde al cemento. Ludovico Corrao ne è lutti, di malattie; echi di speranze rinnova-
il designer idealmente proiettato nell’uto- te. Sempre il dolore e la gioia, la costrizione
pia dell’agire a tutti i costi, con tutti i rischi e la liberazione, la pena e la consolazione.
della incomprensione ma con la gioia del Il Teatro Massimo, operando e vivendo nel
fare. Nell’utopia, che dà significato e slan- cuore antico della Sicilia, ne fu coinvolto e
cio alla vita, c’è l’arte con la sua proposta di partecipe. Per tre anni dal 1984 al 1986 il
forme e di colori e c’è il teatro dove la gente Teatro Massimo ripropose sulle rovine di
accorre per aggiungere un sorriso ai giorni, Gibellina, informi e accatastate, l’intero
sempre una coscienza nuova da acquisire, ciclo della “Orestea” rivissuta e rifusa in si-
certamente, un’emozione da vivere. Che ciliano ed in lingua italiana da Emilio Isgrò,
un sindaco pensi al teatro è certamente musicalmente evocata da Francesco Pen-
un dippiù, qualcosa di gratuito e di sovrag- nisi e trasfusa in incombenti visioni dalle
giunto ma individua una necessità. macchine sceniche di Arnaldo Pomodoro.
Non viviamo di solo pane è qualcosa di cer- Un’esperienza unica - “l’Orestiade” - di tea-
to che il buon senso accoglie tra le verità. tro totale, perché vissuta da folle, ricolma
Il pane fermenta; senza lievito non si co- di suoni, visioni e parole e tradotta in azio-
stituisce in nutrimento. Il lievito è anche il ne dalla gente di Gibellina trasferita dalle
teatro - Gibellina cresce e si diversifica per case a quella ribalta che non è e non vuole
il lievito che le dà sostanza e forma -. Ap- essere palcoscenico ma spazialità vissu-
punto, il teatro. Architetti, pittori, scultori ta ed agita. Teatro totale perché antico e
hanno vissuto a Gibellina un’esperienza nuovo. Sonorità amplificate, macchinismi
esaltante e le forme create e disposte nella scenici emergenti e svanenti per meccani-
città rinnovata ne testimoniano l’impegno. co artificio, voci di attori, straziate melodie
Rivedo ancora i segni, le captazioni magi- di canto e gente, folle di uomini e donne: la
che di Carla Accardi, le brucianti vivezze di gente di oggi immedesimata alla gente del
Melotti e, ancora, trasferendo la visione passato in un presente che appariva ed era
nella vecchia Gibellina il Cretto di Burri, le ripetizione uguale e variazioni incessanti.
vene che spaccano il cemento a ricoprire il Permanenza del mito antico e riemergere
passato per restituirlo al presente in una del mutamento tramano la cultura dell’Oc-
nuova dimensione fantastica e concreta cidente dove il passato è storia, cioè ricer-
insieme. Il teatro cominciò - o rinacque ca vissuta per vivere oltre. Il teatro totale si
- nella nuova Gibellina con la parola libe- è posto così a Gibellina come una proposta
ra e senza freni, scavata e zampillante di tutta particolare e diversa che non senza

26
una profonda ragione ha avuto il suppor- sonorità laceranti e nelle ricolme vocalità
to di un teatro d’opera dove lo spettacolo corali i bambini di Gibellina e le voci del
è per sua natura totale nel senso della palermitano Istituto di Musica Sacra “Vin-
proiezione del dramma nell’assoluto del cenzo Amato”. Lo spettacolo totale coin-
fantastico o dell’altrimenti inesprimibile. volge così centinaia di voci giovani e adulte
Lo spettacolo totale a Gibellina ha ribalta- nel “far musica” e non nell’ascoltarla. Ed il
to e ribalta il rapporto scena del dramma, far musica in un teatro che è spazio agito
cavea o platea per gli spettatori. Gli spetta- e non ribalta, appare così frantumare ogni
tori sono nell’azione e la scena non è luogo intermediazione riproponendo l’evento
deputato ma spazialità da vivere, anzitut- scenico come ritualità nuova che dà un
to partecipandovi. senso e una direzione allo stare insieme ed
Così il teatro totale è divenuto parte di alla partecipazione.
Gibellina, segmento della vita e dell’anno. Così sempre a Gibellina, nel 1987, è ritorna-
Sulle rovine Guido de Monticelli con la gen- ta “La morte di Empedocle” di Hölderlin.
te di Gibellina ha proposto ancora il “Ratto Sulle rovine della città distrutta la vita
di Proserpina” di Rosso di San Secondo. Un rinasce con il teatro e nel teatro, il teatro
testo dimenticato, quest’ultimo, rivissuto immedesimandosi al luogo, allo spazio.
con libertà e fantasie nuove da Toti Scia- Nella leggenda del filosofo di Agrigento
loja che ripercorre, riattraversando la vita, l’uomo che, per conoscere si è distaccato e
il mito della morte che è rinascita, della opposto alla natura, ritorna all’essere per
vita che è morte. Nello stesso anno la “Di- ritrovare oltre l’individualità sofferta una
done” di Marlowe fu rivisitata “dall’africa- identità assoluta non perseguibile sui sen-
no” Cherif, africano perché nato in quella tieri sempre interrotti della vita.
terra della Romania che è latinità antica Gibellina è con il “suo” teatro realtà nuova
e vita, la latinità di Apuleio e di Agostino e rinnovantesi: un riferimento per la socie-
per rievocare qualche immagine soltanto. tà civile, una prospettiva ampliata e rinno-
Così la leggenda dell’amore che si consu- vata per il teatro che è evento dischiuso
ma e si annienta della regina di Cartagine alla partecipazione intensificata e consa-
si traspare nella visione nuova di Gibellina, pevole, un impulso non cristallizzato nella
mediata attraverso la vanificazione fosca ripetizione ma aperto al divenire.
e rutilante dei britannico Marlowe, per ve-
nire vissuta in corale immedesimazione e
partecipazione.
Ancora “un’Oresteia” a Gibellina nel 1987 -
una partitura intensa e veemente di Jannis
Xenakis per la regia di I. Kokkos - ha ripro-
posto sulle rovine del terremoto e sul Cret-
to di Burri il mito antico coinvolgendo nelle

1988 - “Le Troiane”, regia di Thierry Salmon 27


Il drappo rosso
con le spighe d’oro
novembre 1983

Vincenzo Consolo

V
iaggiatore solitario in un viaggio dove, per la grande emigrazione degli
d’amore e conoscenza, per sen- anni Sessanta, sembrava potesse esserci
tieri di poesia e di storia, andavo più storia, più futuro. E a Milano mi rag-
vagando nell’estate del 1967 nel- giunse la notizia del terremoto nella Val-
la Valle del Belice. Entrai nel palazzo dei le del mio viaggio.
Cutò di Santa Margherita, dove fantasmi Alla stazione di Milano vidi arrivare i
di re e di regine in fuga, al bando per in- profughi, vecchi donne uomini bambini,
veterato, cieco malgoverno, di principi e muti pallidi emaciati, il dolore infinito e
baroni, altezzosi e sicuri come re assoluti il terrore ancora dentro gli occhi.
di popoli pazienti e generosi, ti venivano La notte del 15 gennaio 1969, fui a Gibel-
incontro per rampe di scale e saloni, nel lina, sul manto di macerie di quello che
parco e nel teatro, nella cappella di stuc- era stato Gibellina, per il primo anniver-
chi e bianche e oro. Mi guidavano le nar- sario del terremoto. C’erano tutti i super-
razioni di Lampedusa e i racconti orali, di stiti della Valle e c’erano poeti e scrittori,
memoria, di Lucio Piccolo di Calanovella. pittori sociologi scienziati sacerdoti gior-
Ma in quel palazzo conobbi un personag- nalisti, tutti lì per una commemorazione
gio vivo e straordinario, umanissimo e e un appello, allo Stato e al mondo, che
saggio, il custode-contadino. E conobbi da lì, dal Belice, in nome della civiltà, in
la figlia, che andava vagando per la corte nome dell’umanità, non bisogna disto-
sulla sua carrozzella di paralitica, sotto gliere lo sguardo, che alla popolazione
lo sguardo tepido e amoroso del padre. del Belice si doveva rispetto, solidarietà
Entrai nel castello di Partanna, nella cui e aiuto. E quella notte si compose un cor-
biblioteca il sapiente bibliotecario mi teo, un lungo corteo luminoso come un
parlò dei Graffeo, dei Luna, del Laurana. fiume di fuoco per la fiaccola che ognuno
Sugli spalti merlati della torre, si perde- portava in mano.
va lo sguardo nel mare giallo sfolgorante E tra le macerie, rese più sinistre e spet-
delle stoppie e, oltre, nell’azzurro mare trali dal barbaglio delle fiaccole e dai
dell’Africa. Così per Santa Ninfa, Sala- fasci di luce dei proiettori che sciabola-
paruta, Montevago, Gibellina, per umili vano nel cielo carico di stelle, nel punto
case di tufo e malta, per fastose, baroc- più alto del colle, sotto una grande croce
che chiese d’arenaria. Conobbi contadi- di legno, vidi ancora le facce della gente
ni, donne, fanciulli. Ti sorridevano affa- del Belice, nobili e dignitose, pazienti e
bili, t’accoglievano con civiltà e calore. dolorose, attorno a Carlo Levi, attorno
Strati di civiltà, accumulo d’umanità af- a Ignazio Buttitta. Girai poi l’indoma-
finata da antiche sofferenze e da dolori, ni per gli altri paesi del disastro, in un
da gioie semplici e splendenti. pellegrinaggio di strazio e di pietà. E a
Il primo gennaio 1968 ero a Milano, emi- Santa Margherita, nel distrutto palaz-
grato per lavoro. Avevo lasciato la Sicilia zo dei Cutò, vidi, al centro della corte,

28
tra ortiche e calcinacci, la carrozzella e spighe d’oro, un drappo che si portava
vuota,arrugginita, di quella ragazza che in processione durante le feste religio-
avevo conosciuto due anni prima. Mi dis- se. Quella seta rossa e quei grappoli e
sero che nel terremoto erano morti tutti spighe d’oro diventano ora simbolo di
e due, il custode e la figlia, sepolti men- rinascita dal sangue e dalla sofferenza.
tre il padre tentava di portare in salvo la Simbolo di cultura, d’armonia e di pace.
sua creatura paralitica. Quella cultura, quell’armonia, quella
Il terremoto, cieca forza d’una maligna pace così egregiamente interpretata dal-
natura, è un doppio disastro, fisico e le foto di Arno Hammacher. Simbolo, ma
umano. Spazza via in pochi secondi se- forse anche indicazione: nel terremoto,
coli di storia, cultura, civiltà. Là dove vi nel malessere della nostra civiltà detta
erano i focolari, rifugi per soste di riposo, industriale, in cui siamo minacciati da
coaguli di tenerezze, trame di tenerezze, disastri, da massacri, non più della natu-
trame d’amore, dolore, eventi di vita e ra, ma della storia, in quella dimensione
di morte, accumuli di memoria, di colpo l’uomo forse può ancora trovarsi, ricono-
si fa il deserto, terreno nudo e vago. E scersi, ancora uomo umano, uomo civile.
puntualmente spuntano, su questi luo-
ghi della mala sorte azzerati, dalle selve
della violenza e del disumano, dall’anti-
storia dell’opportunismo e del cinismo,
spuntano i lupi e gli sciacalli. Ma è anche
il momento, dopo il terremoto, di non
perdersi nel mare della disperazione e
dell’annientamento. È il momento di rico-
minciare a costruire la storia. Ricostruire
sulle pietre della consapevolezza e della
ragione, a anche perché no?, sulle pietre
della bellezza. Niente è più entusiasman-
te della costruzione di una nuova città.
Vittorini ce ne ha narrato un episodio in
Le donne di Messina. Ed è quello che han-
no fatto, nella realtà, le donne, gli uomi-
ni di Gibellina.
Ho visto di recente a Gibellina esposto,
nel nuovo municipio, una preziosa reli-
quia di quella che si chiama civiltà con-
tadina: un lunghissimo drappo di seta
color porpora, ricamato a grappoli d’uva

29
In frontiera, a Gibellina.
Dieci tele di Schifano per la città futura
Giornale di Sicilia, giugno 1984

Eva Di Stefano

“Questo paese è un tro, di osservare una volta tanto non solo


il risultato della pittura ma anche il suo
posto aperto, diverso processo.
da tutti gli altri, un A Gibellina Schifano ha dipinto quadri
sfolgoranti, oltre le “Ninfee”, che sono
territorio neutrale per un classico del suo repertorio, gli “Aran-
ogni progetto che vi ceti”, un incandescente “Sole e scirocco”
con la sabbia di Selinunte direttamente
venga pensato” applicata sulla tela, e poi soprattutto
“Il mare”, dove le onde si raggomitolano
come arabeschi la cui vitale e turbinosa
fluidità è interrotta dalle strisce in diago-
nale di tela lasciata bianca, che dividono
l’immagine in scomparti come componen-
dola in tanti dettagli, e allo stesso tempo
costituiscono una griglia che struttura,
bloccandolo, il ritmo compositivo. I di-
pinti del mare, Schifano li ha presentati
proprio a Gibellina, dove il mare non c’è
e non si vede, eppure se ne avverte, in
qualche modo, la presenza oltre il profilo
della campagna all’orizzonte: in Sicilia,
è questo che ha colpito Schifano, anche

M
ario Schifano a Gibellina: nell’interno, lontano dalla costa, esiste
non una mostra stavolta, ma una dimensione particolare ed indefini-
la presenza fisica dell’artista bile che non permette mai di dimenticare
venuto a dipingere dieci qua- che, in fin dei conti, ci si trova su un’isola.
dri di grande formato per il Museo d’arte Schifano non dimostra i suoi cinquant’an-
contemporanea, che saranno esposti a ni anagrafici. Per quanto si sia potuto ap-
fine estate, forse, come vorrebbe Schi- pannare il suo fascino di “bel tenebroso”,
fano, en plein air, “paesaggi nel paesag- dal volto allora inquieto e scavato d’om-
gio”. bra, c’è qualcosa in lui di molto fragile,
Un soggiorno di lavoro intensissimo ed ed allo stesso tempo un candido e disar-
uno scambio, una doppia esperienza: per mante cinismo ed una sorta di felicità
Schifano, che torna a Roma portando con infantile, che gli avvolgono attorno un
sé anche un’immagine della Sicilia, e per bozzolo impenetrabile di giovinezza. Il
i ragazzi della scuola di Gibellina, che lavoro lo coinvolge totalmente. Dipinge
hanno avuto l’opportunità di un incon- velocemente ruotando attorno alle tele,

30
poste orizzontalmente su un grande ta- in un’altra direzione. Poi questa è stata
volo, con un gesto apparentemente libe- un’esperienza interessante, non melan-
ro e sciolto, ma in realtà sicuro e control- conica: voglio dire che l’ho fatta creden-
lato. Spreme il colore direttamente sulla doci. Penso anche che il lavoro fatto a
tela dai tubetti, in vortici e ghirigori che Gibellina è abbastanza importante. For-
si accavallano in un disordine vitale e co- se ho dato alla gente di qui qualcosa che
stellano la superficie di ripetute esplosio- resterà loro nel tempo. Mi sembra che
ni centrifughe. le sculture che riempiono queste piazze
Nell’intervallo breve che si concede per si consumino più facilmente, per il fat-
pranzare si rivela poi molto disponibile. to stesso che fanno parte degli itinerari
Quando parla del suo lavoro è elegante- quotidiani finiscono col non essere viste
mente noncurante, anche ironico, non più e non dare più emozioni. Invece pen-
soffre di presunzioni ed arroganze da suc- so che tra vent’anni i miei quadri possa-
cesso, ma anzi un successo di relatività e no ancora essere visti, ed i colori dare
discrezione lo preserva da affermazioni delle emozioni”.
perentorie. Tra lui ed il televisore acceso
della trattoria c’è un rapporto quasi ma- Quale immagine di questi luoghi si porte-
gnetico, sembra seguirlo pur non guar- rà via?
dandolo, più volte chiederà al cameriere
di cambiare programma. Secondo la sua “Nell’accettare l’invito di Gibellina, c’era
stessa ammissione, è “videodipendente”, anche in me una volontà di contatto con
la televisione è un paesaggio perenne- la Sicilia. I miei nonni erano siciliani, io
mente mutante da cui si lascia cullare. ho vissuto l’infanzia a Tripoli, poi sono
stato sempre a Roma e mi sento roma-
Dai monocromi degli anni ’60 ai vortici no. La Sicilia non è collegata ad episodi
“impressionisti” degli “orti botanici” e precisi, a delle esperienze vissute, solo il
delle “Ninfee” degli ultimi anni, per ar- rientro dalla Libia quando atterrammo
rivare a questi dipinti di Gibellina. Che a Trapani, ma fa parte di una memoria
funzione ha nell’ambito del suo lavoro, ereditata. Così ero curioso ed in un certo
questa serie di quadri? senso questo viaggio, tutti questi chilo-
metri rappresentavano un ritorno. Ma la
“Credo che si tratti proprio di un inven- Sicilia che mi interessava non era quella
tario di tutto il mio lavoro di questi ulti- di Selinunte, non era neanche quella dei
mi anni. Come se questa serie mi aves- monumenti e della tradizione storica il-
se offerto la possibilità di ripercorrere lustre, e neanche quella delle città. A Pa-
globalmente la mia pittura, e con ciò di lermo sono stato una volta a Villa Igea,
chiudere una fase. Adesso, tornando a è una grande città, interessantissima,
Roma, ne aprirò un’altra, voglio lavorare ricca di cose, ma smaliziata, un po’ ag-

1984 - “Acquatico” Mario Schifano, frammento. 31


gressiva. Mi interessa invece proprio un Che impressione gli hanno fatto?
posto come questo, dove quello che con-
ta è la gente che ci vive, non le cose che ci “Mi hanno fatto domande semplici e
sono. Gibellina è strana, ha un’atmosfera dirette, piene di una curiosità sincera
singolare, sembra una città di frontiera. e senza pregiudizi. Guardavano i miei
Non c’è ancora una chiesa, non c’è anco- quadri senza filtri e senza timidezza. Mi
ra una caserma dei carabinieri. Questo è piaciuta la loro “purezza”. È proprio
mi ha colpito. L’assenza di riferimenti e questo che rende così importante ed allo
di certezza, la mancanza di forma crea- stesso tempo così difficile parlare con i
no tante potenzialità e rendono per ora ragazzi: da loro non ci si può difendere
Gibellina un posto aperto, diverso da tut- con schermi verbali come si può fare con
ti gli altri, un territorio neutrale per ogni gli adulti. Poi gli adulti fanno sempre
progetto che vi venga pensato. Poi sono domande meno sincere, un po’ provoca-
convinto che qui la vitalità della gente torie, maliziose. Ma anche con dei ragaz-
negli anni andrà emergendo sempre di zi di città sarebbe stato diverso, hanno
più e il paese verrà reinventato, modi- sempre dei pregiudizi e ciò li rende meno
ficato. Le sculture, gli edifici, l’arte sono recettivi. Nonostante il fatto che tutti
importanti, ma certamente non sono la dappertutto, sia nei grossi centri che nei
cosa principale. Il futuro di Gibellina non piccoli centri, vedano gli stessi program-
sta in queste cose, ma nella sua gente, mi e leggano gli stessi giornaletti, non c’è
non le pare? ”. una totale omologazione. La dimensione
specifica, legata al luogo ed all’ambien-
Lei ha incontrato i ragazzi di Gibellina, ha te, non solo non esiste ma rimane tutto
mostrato loro come dipinge, ha risposto sommato, preponderante”.
alle loro domande.

32
1984 - “Acquatico” Mario Schifano. 33
34 1985 - Il “prisenti” di Alighiero e Boetti in processione
per la festa di San Rocco
Il “presente”
a San Rocco
1985

Fulvio Abbate

H
a ritagliato nel raso le icone attraverso la cultura dell’Islam, dove un
e le lettere da comporre poi drappo di tela verde copre le tombe dei
sul “presente” per San Rocco, suoi custodi. Ne ha avuto sentore Ali-
disponendole nel campo del- ghiero, decidendo così di capovolgere
l’arazzo troncato di rosso e di verde. Al la forma dell’isola? È probabile. Una vol-
centro, posta in verticale, la Sicilia qua- ta ha scritto: “In quel mese, le immagini
si ruba all’Africa le sembianze. I delfini erano milioni. Oggi, forse qualche centi-
le tengono compagnia assieme ad una naio. Poi, rimarrà solo questa copia sbia-
carovana di cammelli e una gazzella che dita di un tempo coloratissimo”. Forse,
spicca il salto come marchio di chissà fidando in questa profezia intellettuale,
quale air line. Chi ha detto che l’araldica ha deciso che nel “presente” di San Roc-
è ormai scienza desueta? A guardar bene co andasse coltivato il sentimento di un
l’arazzo di Alighiero sembra proprio di tempo milionario di colori e destini.
no. Certo non serve a segnalare la testa Dico questo, ma sono certo che Alighie-
di alcuna battaglia ma è utilissimo nel ro, anche nel “tutto esaurito” del dopo-
mobilitare lo stupore ludico della festa. storia, riuscirebbe a trovare pur sempre
Anche perché possiede tutto ciò che ogni qualcosa: un gioco, un avanzo di alfabe-
persona, almeno una volta, ha sognato to, la coda di un racconto, per continuare
di travasare dalla propria fantasia sul ri- la sua riflessione d’artista che ama l’in-
gore geometrico delle bandiere. Nel sen- trigo dell’apparente difficoltà. Di Rocco,
so più immediato l’opera che Alighiero il santo degli affamati, di sicuro conosce
ha realizzato a Gibellina è tutta qui. As- il mistero, le opere ed il succedersi dei
sieme al piccolo bestiario che - contrap- giorni. Così ha composto un segnale, un
punto figurale - passeggia o naviga di re- segnatempo di questa coscienza, come il
cente nei suoi rompicapi d’artista, nelle foglio di un calendario che possiede in sé
sue mappe e in ogni altro quesito da lui anche il più piccolo ritaglio dell’umano.
posto ai codici del linguaggio. Come in un mandala ha voluto aggiun-
L’arazzo, il “presente” - anche grazie al- gere un colore in più a questa storia e la
l’aiuto delle ricamatrici gibellinesi - il 15 dedica del 15 agosto 1985. Se le immagini
agosto del 1985 ha attraversato quasi oggi son già di meno, poco male. Gli arti-
ogni via della città, come stendardo che sti esistono proprio per abituarci a que-
segna il compimento dell’evento eccezio- sta realtà.
nale, così come in antropologia è definita
la festa. Ma io, tra le possibili risonanze
esistenziali, penso anche alle bandiere in
cima a un edificio ancora fresco di calce.
Luogo annuale della devozione religiosa
il rito del “presente” in Sicilia è giunto

35
Gibellina, Gibellina
1986

Pietro Consagra

A
Gibellina si aguzza l’occhio nel- gevano nelle città più ci si sentiva protet-
l’arte contemporanea e chi vi ti dalla efficienza dello Stato.
abita allunga l’attenzione altro- Certamente a Gibellina un monumento
ve per capire meglio cosa gli sta con un Emanuele a cavallo non sarebbe
succedendo attorno, davanti casa. Non stato innalzato, e neanche un Garibaldi.
solo i gibellinesi sono in qualche modo Tutto nelle capitali, i resti ai vicini, nien-
perplessi, lo sono sopratutto quelli che te ai più lontani. A Gibellina non sareb-
pensano che una città in Sicilia non può be toccato neanche un pelo di cavallo.
permettersi tanto lusso da adornarsi Questo era dentro una logica e lo è an-
con grandi opere di artisti italiani tra i cora. A Gibellina dovrebbero bastare le
più noti. cartoline illustrate spedite dalle grandi
Vittorini osservava che chi mangia non città, dai centri storici con le opere che
vuole che chi non mangia balli. Da allo- meravigliano.
ra i tempi sono cambiati ma qualcosa è La democrazia che ci sta amministrando
rimasta a girare tra i cervelli. L’artista non è interessata all’ornamento, non ne
non dovrebbe provocare desideri impro- ha il tempo. Il politico mira a salvare se
pri, non deve eccitare voglie da ricco in stesso dalle incertezze. L’opera d’arte lo
chi ricco non è, in chi ricco non sarà mai. imbarazza, non vuole artisti tra i piedi.
La partecipazione alla cultura confonde Per l’ornamento, per una architettura
quali siano i limiti dentro cui stare. Chi sensibile alle esigenze dello spirito, per
vuole può andare fuori a godersi quello una città dei piacere alla convivenza so-
che le grandi città hanno. ciale, non c’è attenzione possibile. Tutto
Bene: Palermo, Napoli, Roma, Milano si sottopone all’abbrutimento, all’ab-
ecc. sono la vergogna dell’arte contem- bandono, a una economia spietata.
poranea. Sono paralizzanti. Gibellina è riuscita dove nessun’altra cit-
Non esistono musei della modernità, tà ha saputo mirare, ha ottenuto atten-
non esistono programmi per l’uso pubbli- zione come una provocazione mentre
co dell’arte, non esiste promozione degli in verità l’intento è stato quello di fare
artisti italiani sul piano internazionale. fronte a una necessità individuale e irre-
Gli artisti vi abitano come in luoghi sacri sistibile: legarsi alla creatività continua
dove si possono provocare miracoli con dell’arte che esprime fiducia, inserirsi
la sola continuata presenza. con la scultura e la pittura nella emozio-
Nei tempi passati i capolavori dell’arte nalità delle immagini, vivere la sensazio-
servivano al prestigio dei principi e poi ne spirituale che proviene dall’ornamen-
al prestigio dell’alta borghesia al pote- to come aiuto a stare nel mondo.
re. L’arte nelle città serviva ad esaltare
l’eroismo, a mitizzare il potere, a creare
simboli rassicuranti. Più monumenti sor-

36
1982 - Inaugurazione della “Porta del Belice” 37
Da “Ruggine”

Marilena Renda

E quando la terra si apre nessuno si stupisce;


la terra si apre continuamente quando il Dio
del roveto e della parasia viene di notte
a donarle il suo dono di zolfo, a visitarla
il suo soffio di anidride carbonica e di cenere.

Il movimento della terra è segno di vento


che troppo preme sulla fronte e gli occhi.
La terra è un mare che si rivolta all’indietro,
verità improvvisa rigurgitata dal suolo,
è energia del tuono che avvampa sulla strada di casa.

La prima volta è per ribellarsi alla luce pulsante,


per gli animali a riposo, i radi viaggianti,
i trasportatori del giorno da dimora a spazio.
Per le crepe del tufo sulle case più alte,
per gli ombelichi delle stalle, i figli delle api.

Si muove come fianco, come ventre nella danza,


con la forza dei pensieri trattenuti dentro gli occhi,
con l’urgenza degli animali morenti vestiti solo
della propria vita, la rabbia e la tensione di un
temporale che prepara a lungo il suo verseggiare.

La faglia è un’interruzione dell’ordine del cosmo.


Significa una rottura dei fili che legavano
tra sé e sé le zolle, le erbe, i capillari del suolo.
Una trasfusione di forze da un centro a un margine,
un nido di sangue che si scuote dal cuore.

La seconda volta è per i vecchi rappresi


in coni di fuliggine, in grumi di carbone.
I vecchi sono ombre legate salde al suolo,
sanno gli abbracci languidi, il colore e le insidie
del bosco che incontra il rossore.

38
Gibilterra è un giardino cosparso di verderame
irto di mura dallo spirito di soglia che aspettano
il segnale delle maree per l’esplosione,
per accorciare il campanile in mozzicone.
E’ l’anfiteatro dello scontro e del passo.

Il movimento è una sinergia tra orizzontale e verticale.


Le onde circolano attraverso la materia conduttrice;
sono fiume che invade il tunnel, acqua propagata.
E’ il segnale del vulcano al mare, del nemico
al nemico, preannunciando primavera nucleare.

Comprimono i muri e le fondamenta come


carri armati in autunno d’occidente,
aprono voragini fonde come tombe,
sollevano le onde dei fondali d’acqua,
precipitano tetti in fuga sui fuochi accesi.

Gibilterra non si fida del suo raccolto,


poi che le onde rinnegarono la promessa
di sua pace. Il bilancio dell’annegamento
è non tornare più dall’acqua in mare,
lasciare sfatare il respiro dei furori.

Gibilterra aspetta la fine di sua battaglia,


poi che il muro della terra ha smesso la tregua
che legava il mulo alla sua sposa, il pugno
opaco che incatenava il futuro alla sua nostalgia.
Ora, il vento trema nelle cose che stanno

affondando, nella paura che soffia tra lana e


pelle, nella presa debole sul cuore della neve.
I cavalli siedono a una mensa sconsacrata,
i bambini disegnano un quadrilatero di fortuna
con grano, con gesso di passaggio.

39
Nenci

40
2004 - Pippo Delbono e Giovanna Marini. 41
Foto di Franco Lannino, Studio Camera Palermo.
42 1988 - Leonardo Sciascia, ventennale del terremoto
Rimemorazione
1988

Leonardo Sciascia

R
icordandosi della pena e della gicamente abbattuto.
passione che io ho allora condi- Il risentimento nasceva dall’avere io
viso con voi, Ludovico Corrao ha ricordato, in quella nota, il duca di Ca-
voluto invitarmi a questa rime- mastra che, come alter ego dei re, aveva
morazione. E credo che “rimemorazione” presieduto alla ricostruzione dei paesi
sia la parola più adatta a definire il sen- del Val di Noto del Val Demone abbattu-
timento di queste giornate: che non sono ti dal terremoto del 1693. Erano passati
di festa, anche se hanno a che fare con tre secoli, quei paesi ricostruiti stavano
la speranza; che non sono di allegria, an- e stanno davanti ai nostri occhi in tutto
che se vi si contiene l’allegria del vivere, il loro splendore (e basti ricordare Noto),
del fare, del costruire. ma il fare il nome del duca di Camastra
Io ricordo le macerie, il fango, l’oscurità, ha avuto l’effetto che se avessi fatto il
il battere della pioggia sulle tende, la feb- nome di Mussolini. Da quali nostalgie mi
bre che era negli occhi dei sopravvissuti, lasciavo prendere, se osavo pensare che
una sera di vent’anni fa; ricordo la veglia ci volesse un solo uomo, una sola volon-
che, sotto il segno dell’indignazione, ab- tà, un solo criterio a dirigere la ricostru-
biamo fatto tra le macerie due anni dopo zione? In una specie di diario che tenevo
lo sciagurato avvenimento: e mi resta allora, pubblicato in volume nel 1979, ri-
indimenticabile il discorso di Carlo Levi, trovo un’annotazione che riassume quei
nella notte gelida, tra le luci vacillanti. risentimenti, la piccola polemica che ne
E c’era anche Renato Guttuso, che in un è nata: Incontro, che non avevo mai co-
paio di abbozzi e in un grande quadro la- nosciuto, l’ingegnere che presiede alla
sciò precisa e drammatica immagine di ricostruzione dei paesi siciliani abbat-
quella veglia. tuti dal terremoto di tre anni fa. Appena
Ma per dar senso a questo mio breve in- presentati, con tono di generoso rim-
tervento, al di là della sentita solidarietà provero, l’ingegnere mi dice: “Lei voleva
che l’essere qui vuole testimoniare, mi il duca di Camastra”. Si riferisce a certi
piace ricordare che come quasi sempre, miei interventi, su un giornale siciliano,
da circa un quarto di secolo, mi accade, su un rotocalco milanese, in cui ricordavo
anche allora una mia nota, pubblicata, come subito dopo il terremoto del 1693 il
mi pare, sul “Giornale di Sicilia”, susci- duca di Camastra, mandato sui luoghi
tò qualche risentimento. E a ricordarlo del disastro come vicario del vicerè, con
oggi, quel risentimento, ha un che di co- pieni poteri, aiutato da un canonico che
mico; ma vi si nasconde in effetti un pun- si intendeva, come oggi si direbbe, di ur-
to dolente, e che ancora duole, riguardo banistica, diede mano alla ricostruzione
alla ricostruzione, alla volontà e ai criteri di ben 23 paesi totalmente distrutti (e
della ricostruzione di questi nostri paesi tra questi Catania, Noto, Lentini, Avola),
che una zampata della natura aveva tra- di altri 19 distrutti quasi total-mente, di

43
tanti altri danneggiati. sediziosi, democraticamente, a Reggio
“Ma sa che ci sono voluti quarant’anni, Calabria.Si capisce che nel duca di Ca-
per ricostruire interamente quei paesi?”, mastra io vedevo simboleggiata l’univo-
continua l’ingegnere. Lo so: ma, come ca volontà di ricostruire, e di ricostruire
dice il popolano di Pascarella parlando celermente e in bellezza. Alle sue spalle
di Colombo, se il duca “ci aveva li orde- non c’era soltanto, assolutistico quanto
gni che se trovano adesso ar giorno d’og- si vuole e quanto sappiamo, e per tanti
gi“, i paesi li avrebbe ricostruiti se non versi infausto, lo Stato: c’era anche una
in quaranta giorni in quaranta mesi i cultura architettonica e urbanistica, al-
quaranta mesi che sono già passati sen- lora la più alta, prevalentemente gestita
za che nella Valle del Belice si sia alzato dai padri gesuiti e ne troviamo armonio-
un solo muro. “Ma io, - dice l’ingegnere se espressioni nella sfera del dominio
- sono democratico e socialista”. Eh si, spagnolo, dal Sud-America alla Sicilia.
debbo ammetterlo, il duca di Camastra Rappresentava dunque il duca la volon-
non lo era. tà della Stato di ricostruire, l’intenzione
Era un uomo che temperava la durezza che la ricostruzione segnasse un rinno-
del carattere e il rigore della missione vamento e un miglioramento, il progetto
con la pietà e il culto della bellezza. Era che nel rinnovare e migliorare le popola-
soltanto, e certo non perfettamente, un zioni sopravvissute non fuggissero dai
cristiano. E aveva soltanto, non matu- luoghi del disastro e anzi più fortemente,
rato in una facoltà di architettura, un per il rivelarsi della bellezza, vi si affezio-
ideale di paese con strade dritte e piaz- nassero. La volontà di riedificare trovava
ze armoniose. Passava a cavallo tra le insomma nella cultura l’ausilio più fervi-
macerie e segnava le strade e le piazze do. Tutto il contrario di quel che si voleva
che dovevano sorgere, da dilettante; e qui - più o meno consapevolmente - dopo
per di più con pieni poteri. A spiegargli il terremoto e che - per fortuna - non inte-
la democrazia, il socialismo, la facoltà di ramente è stato riscosso.
architettura si sarebbe contorto dalle ri- E anche se parrà una divagazione, voglio
sate o dalla rabbia. E si può ricordare un ancora intrattenermi su questo punto.
uomo simile, in tempi in cui godiamo di Uno scrittore siciliano, il catanese Rodol-
democrazia, di socialismo e di architet- fo De Mattei, in una sua fantasia sulla
ti? E il potere pieno a un uomo solo, poi: ricostruzione del paese che il terremoto
quando si sa che il potere bisogna divi- del 1693 aveva devastato, fa del duca
derlo, suddividerlo, ridurlo in particole, di Camastra un personaggio che pensa
farne comunione a ciascuno e a tutti. dapprima con la testa del potere - del
Sicché i terremotati continuino a stare, potere italiano di sempre - ma che poi
democraticamente, nelle baracche; e lo cede al sentimento e al vagheggiamen-
Stato continui a giocare a rimpiattino coi to, che quasi si potrebbe dire utopistico,

44
della totale ricostruzione: umanamente, riconoscesse. Intenzione o inconscio de-
esteticamente. In quei sopravvissuti De siderio o semplicemente carenza, nella
Mattei fa pensare al duca di Camastra classe di potere, di una sia pur vaga idea
che meglio sarebbe per loro abbando- di ciò che abbellisce la vita e la fortifica
nare quei luoghi, fuggire, “battersela più volte, qui intorno, è andata a segno;
e aprir bottega altrove”: che forse era ma che qui a Gibellina ha trovato un cen-
esattamente il pensiero, e se non il pen- tro di resistenza. Perché si può discutere
siero l’intenzione, e se non l’intenzione, quanto si vuole quel che nell’ammini-
l’inconscio desiderio, della classe di po- strare paese ha fatto Ludovico Corrao,
tere italiana di fronte al disastro che tre ma è certo che la sua sagace operosità è
secoli dopo colpiva anche questa zona. valsa a creare un senso che si potrebbe
“La cosa che più lo sbalordisce” - dice De definire di promessa. Ha dato insomma il
Mattei - “non è tanto lo sfacelo quanto senso che la vita non è “altrove”, ma che
la disinvoltura dopo lo sfacelo, e il paz- può essere anche qui.
zo imputarsi di tutti i seimila, bramosi di C’è dell’americano Archibald Mac Leish,
rifabbricar la città come fine d’una par- una poesia di grande e spaventosa veri-
tita il perditore ne attacca pacatamente tà sulla forza, la tenacia e la vittoria del-
un’altra”, la città era Catania, e i seimila l’erba su tutte le costruzioni umane e sul-
erano i sopravvissuti, contro i sedicimila l’uomo stesso; e vi corre come un refrain
che erano morti. E il sentimento e la vo- d’ammonizione il verso “Io sono l’erba,
lontà che quei sopravvissuti trasmetto- lasciatemi lavorare”. Ma qui, intriden-
no al vicario regio, io l’ho visto e sentito a dovi l’eco delle grandi parole di Pascal,
Montevago, a Santa Ninfa, a Salaparuta: che l’uomo è più nobile di tutto ciò che
mentre ancora la terra tremava. può ucciderlo, noi possiamo rovesciarla
Ma lo Stato, lo Stato italiano - bisogna in quest’altra verità: “Io sono l’uomo, la-
pur dirlo - non era pronto né ad accoglie- sciatemi lavorare”.
re un’istanza di ricostruzione della mise-
ria: si sperava forse appunto, nella fuga,
nell’abbandono, “nell’aprir bottega al-
trove”; ne è dimostrazione il fatto che
la così detta legge del due per cento, la
legge che devolve il due per cento della
spesa per le opere che agli abbellimenti
artistici, sia stata sospesa e invalidata
per la ricostruzione di questi paesi.
Vietata l’arte, vietata la bellezza: quasi si
volesse che tutto fosse più brutto di pri-
ma, che la gente non riconoscesse non si

1990 - Preparazione delle scenografie di Mimmo Paladino per “La sposa di Messina” 45
,regia di Elio De Capitani. Foto di Maria Mulas
TRAME
DEL MEDITERRANEO

Sebastiano Burgaretta

T’ho scorto,
figlio amaro di Hamdîs,
nei labirinti nuovi
dei perduti giardini d’Oriente,
in questo Vallo di Sicilia
che anticipa il futuro.

Pegno ineffabile d’amore


nelle trame solari concepite
dal vento generoso della vita
che soffia nei cuori dei poeti.

Profezia fatta realtà,


parola che comunica
nel canto modulato
dal colle niveo di sale.

Vita nel paese della palma:


dorate ombrellifere di luce
nel silenzio di suoni e di voci;
passeri sorpresi a casa loro.

Bagli di miele acre


in nuovo mudéjar modulato,
a far da ponte e passo
tra croce e mezzaluna.

Se via di latte o profanazione,


le verdi geometrie sanno tutto.

46
non ancora completamente realizzata
La Sicilia secondo i traguardi progettati. Quali che
della speranza possano essere le immancabili critiche
che si sollevano nel nostro paese a carico
1988 di tutti coloro che osano agire e concreta-
mente operare, ciò che emerge ammirevo-
le dal panorama del nuovo insediamento
è lo spirito nuovo, la nuova concezione
del vivere civile. Gibellina non è soltanto
un habitat razionale dove può essere se-
reno vivere, è sopratutto un luogo dove
Damiano Damiani la popolazione intera, aiutata dalla me-
diazione e dalla volontà del Sindaco, ha
imparato il significato di parole come im-
pegno civile e partecipazione decisiona-
le. Il passaggio dalle macerie alla nuova

S
e un giorno cercherò di spiegare città non ha significato, dunque, un puro
a me stesso le ragioni del fascino e semplice fatto di opere pubbliche, ma
che la Sicilia suscita in me non po- ha programmato e concretato un nuovo
trò non far menzione di Ludovico modo di vivere, sia dal punto di vista so-
Corrao di Alcamo, come uomo e come per- ciale che dal punto di vista culturale. Non
sonaggio. Ricordo la presa che egli stabili- è senza significato - tanto per citare un
va con la folla dei comizi che teneva come episodio - che in una piazza di Gibellina
indipendente della sinistra in una Sicilia Nuova si possa ammirare una scultura di
carica di tensioni, di bisogni e di attese; Arnaldo Pomodoro, o che Consagra abbia
ricordo la sua presa di posizione in difesa costruito in una forma ardita un museo
di Franca Viola, la ragazza rapita e violen- archeologico ed etnologico delle genti
tata, che rifiutò il matrimonio riparatore della Sicilia occidentale. Elettrificazione,
offerto dal responsabile, assumendo così fognature, scuole, ospedali sono basilari,
una posizione simbolica di fronte a tutte ma non meno basilare è l’apertura delle
le donne siciliane vittime di arcaici e de- porte culturali.
generati soprusi maschili. È dall’insieme delle opere pubbliche e del-
Da questo ho tratto ispirazione per quel- le iniziative della cultura che il cittadino
lo che forse è il primo film femminista si arricchisce di un nuovo rispetto verso
italiano, “La moglie più bella”, nel quale se stesso. L’Italia è paese di terremoti. In
debuttò la quattordicenne Ornella Muti. certi casi la ricostruzione è stata onesta
Mentre preparavo la sceneggiatura, sul e positiva. Ma credo che raramente si sia
Belice si abbatté il terremoto, così che raggiunta la completezza del ricostruire,
pensai di ambientare quella storia tra le nel pieno significato morale e materiale
macerie degli antichi paesi, come Gibelli- della parola, come è stato fatto dalle po-
na dove la popolazione sopravviveva in polazioni di Gibellina.
baracche di latta. Vorrei aggiungere che nell’insieme di que-
Di Gibellina, Ludovico Corrao da allora fu sti fatti credo di poter leggere un altro
sindaco. E lo è ancora oggi, nella Gibellina messaggio estremamente positivo: una
Nuova. Credo di poter affermare che uno popolazione colpita da una sventura, che
dei meriti dell’uomo e del personaggio mette in forse la sua esistenza economi-
sta proprio lì, nella ventennale opera che ca e sociale, mentre da una parte chie-
egli ha compiuto come difensore delle de ciò che la collettività ha previsto per
popolazioni colpite dalla sventura natu- il soccorso a chi ha bisogno, da un’altra
rale prima, dalle sventure dell’inerzia go- parte decide di non attendere con inerzia
vernativa e dell’oblio dei pubblici poteri, ma impara a farsi carico di iniziative e re-
dopo. A valle della Gibellina antica egli ha sponsabilità. Mi rallegra profondamente
diretto l’edificazione della Gibellina Nuo- che questo messaggio venga dalla Sici-
va, quale oggi possiamo vedere, anche se lia.

47
Bob Wilson

48
Orazione in onore di
Pietro Consagra
Gibellina, 20 luglio 2005

Ludovico Corrao

Q
ualche tempo fa quando co- lavoro e dell’arte.
municai a Consagra la ripresa Un sentimento profondo del suo essere
dei lavori per la costruzione artista che lo porta a servizio delle ri-
del suo “Teatro” con voce com- camatrici di Gibellina, dei giovani cera-
mossa rispose: “voglio tornare a Gibelli- misti, delle famiglie che gli chiedono di
na”. In questo dolce tramonto, accanto disegnare i cancelli delle cappelle fune-
al suo feretro, voglio ricordare il suo ri- rarie del nuovo cimitero, il Carro e il “Pri-
torno a Gibellina, alla sua Sicilia. Voglio senti” per la processione di S. Rocco, gli
ricordare il siciliano tenace, forte e gen- archi delle luminarie per le feste, i gonfa-
tile. loni per gli addobbi delle strade, i sedili
Pietro Consagra nasce a Mazara del Val- per il riposo lungo le vie alberate. Una
lo, grande porto dei pescatori del Medi- lezione che riconferma il valore dell’arte
terraneo dove sopravvivono, venendo che non è mai arte minore.
da lontani secoli, testimonianze sublimi, Una testimonianza forte e generosa nel
cristiane, arabe, normanne, bizantine. significato della rifondazione di una cit-
Dove l’orizzonte si allarga da Malta ad tà distrutta da secoli d’ingiustizia, di tra-
Alessandria d’Egitto, dal Libano al Ma- gedia e in ultimo dal terremoto. Rifonda
rocco, alla Tunisia. cioè una nuova città che è antica ma che
Egli parte da Mazara verso il nuovo con- continua il rito del viaggio del nomadi-
tinente, alla ricerca di nuovi linguaggi smo, delle contaminazioni, e proclama
ma con la mente e il cuore vibranti di la sua fede nel futuro. Perciò l’ultimo
forme e segni, colori e suoni di tutte le approdo è a Gibellina nel fervore della
terre, di tutti gli echi, delle risacche e ricostruzione.
dei venti del grande mare. A Roma cer- Egli disegna una città non utopica ma
ca nuovi linguaggi conservando la sua ideale, rigetta il teorema della città mo-
tempra di contadino, di nomade, di na- notona, e di organicità feticista. Perciò il
vigante, e di pirata siciliano, esplorando suo lavoro, le sue forme astratte scatu-
nuovi orizzonti oltre le colonne d’Ercole riscono profondamente dai riferimenti
dell’arte del Novecento. alle stratificazioni storiche della sua cit-
Perché Viene a Gibellina? tà e di tutto il Mediterraneo.
Chiamato dalla tragedia del terremoto Chi nega il suo furore artistico perché
per una irresistibile urgenza di solidarie- sarebbe astratto e slegato da riferimen-
tà, per tenere fede al suo impegno poli- ti alle radici contadine non ha occhi e
tico e artistico, perché qui sente che è la mente per leggere le trame potenti e
sua terra non lontana dalla tomba dei leggere delle successioni delle arti nella
suoi genitori, le sue radici, la vocazione nostra terra.
della sua gente a rifondare città e nuove Consagra in realtà reinterpreta con pro-
civiltà sulle coste tunisine nel segno del fondità di pensiero i segni e le forme

49
Noa

50
possenti del Mediterraneo. urbano, a creare una nuova alleanza per
Una felice riprova ne è la “Porta del Beli- rifondare una città della bellezza, della
ce”, amata con tutto il cuore da queste giustizia, del lavoro, della pace.
genti e chiamata ormai la Stella di Gibel- Gibellina é il frutto di quel lavoro intel-
lina; tanto congeniale e vicina alle giran- lettuale collettivo maturato nelle lun-
dole dei nostri mercati, alle luminarie ghe assemblee popolari nelle baracche.
delle nostre feste paesane, eppure così Pietro, la tua costante presenza, la tua
fortemente aristocratica, con un segno infinita passione per questa causa e per
forte, arcaico primario e definito, ma questa gente i tuoi segni e le tue forme,
insieme gioioso, capace di rigenerare il le opere di tutti i grandi artisti che tu
grande barocco siciliano, di dare forza chiamasti a raccolta a Gibellina, si sono
al diritto di sognare, al diritto di fanta- tramutati in coscienza civile e capacità
sticare oltre la vita, oltre la morte. di lotta e resurrezione.
Chi ancora parla di arte estranea alla Per quanto possa oggi sembrare assur-
cultura del popolo contadino di Gibel- do, Consagra dovette sfidare il potere
lina dimentica che i suoi progetti della per riaffermare il suo progetto artistico
città frontale furono discussi e analiz- di arte totale e sociale, patì persecuzioni,
zati nei quattordici anni di prigionia nel sconfessioni e isolamento come succede
deserto delle baraccopoli, con la mostra negli integralismi cattolici o marxisti o
dei suoi progetti, con le serate con Dario islamici. Eppure ebbe la capacità di tro-
Fo e Franca Rame con Ignazio Buttitta vare sodali e combattenti come lui nella
e Rosa Balistreri, con Danilo Dolci e il grande avventura di “Forma uno” nella
gruppo degli Uccelli, con i giovani volon- quale trovò risalto la scuola di Trapani.
tari venuti da tutto il mondo a disegna- A buon titolo gli artigiani, i contadini di
re i murales, a costruire le sculture, ad Gibellina possono proclamarsi gli ultimi
animare le lotte per la ricostruzione nel- compagni di fede e di lotta del lavoro di
le piazze del Parlamento Regionale e a Pietro Consagra.
Montecitorio, a scontri con i poteri forti Non a caso egli ha scelto di ritornare a
della violenza e della reazione. Alla testa Gibellina per il riposo perenne e per con-
di tutti i cortei di lotta vi erano i vessilli tinuare con noi il cammino verso nuovi
e i gonfaloni dipinti dagli artisti; nelle orizzonti. Oggi nel cielo di Gibellina c’è
notti di veglia di denuncia con Leonardo una nuova Stella, Pietro Consagra.
Sciascia e Carlo Levi, Pietro Consagra fu
sempre con noi, tra di noi, con sua sorel-
la Carmela con i suoi figli, con Gabriella.
Furono questi fasci di lotta tra contadi-
ni e intellettuali a donare la consape-
volezza del carattere del nuovo centro

51
Opere nel paesaggio la gente del Belice a entrare nella nostra
vita. Una gente riservata, a volte presa
2006 da una sua segreta e silenziosa medita-
zione ancestrale ma generosa e ospitale,
capace di amicizie durature, portatrice di
sentimenti profondi. Il nostro rapporto
con il Belice, e soprattutto con Gibellina,
iniziato nel 1980 con il Laboratorio sul
Belice, organizzato nel 1980 da Pierlui-
gi Nicolin si è tradotto in alcune opere
che hanno rappresentato per noi un mo-
Franco Purini mento importante del nostro lavoro, un
momento al quale torniamo spesso con
la riflessione e il ricordo per continuarlo
idealmente riformulandolo nei suoi temi
e nei suoi motivi. A Poggioreale, una delle

È
stato il vasto e scabro paesaggio città ricostruite che, nel Laboratorio sul
del Belice, nel quale i venti porta- Belice, chi scrive aveva il compito di ripro-
no il senso dell’Africa, dove i colori gettare, abbiamo realizzato un piccolo
terrosi si accendono di improvvisi padiglione adibito a fermata d’autobus e
verdi e di rossi inattesi, note squillanti una cappella dedicata a Sant’Antonio di
emesse da fiori solitari, che per primo col- Padova. Gibellina, la città che ci ha visto
pì la nostra immaginazione quando, nel impegnati con più continuità e dove ab-
1980, iniziò il nostro rapporto con questa biamo avuto modo di stabilire con Ludo-
terra straordinaria. Un rapporto intenso, vico Corrao - che può essere considerato il
fatto di un ascolto attento ed emoziona- fondatore della nuova città, una solida e
to delle forze misteriose che agitano que- duratura amicizia - ospita invece tre ope-
sto frammento del mondo, un’incalzan- re. La prima è “La Casa del Farmacista”,
te ondulazione di rilievi divisi da solchi progettata nel 1980. Laura Thermes alla
pronunciati al cui fondo folti boschetti quale, sempre nel Laboratorio sul Belice,
sembrano ospitare nei loro recessi satiri era stata assegnata proprio Gibellina,
e ninfe. Un luogo del mito, ancora attra- aveva proposto di densificare il tracciato
versato dal senso dell’origine, nel quale e il tessuto della nuova città, disegnata
una luce assoluta, a volte accecante, si da Marcello Fabbri. Gibellina ricostruita
diffonde in ogni interstizio accendendo ricordava nella sua forma urbis una far-
il paesaggio di ombre violacee. La secon- falla, le cui ali si congiungevano attorno
da cosa che ci fece comprendere l’anima a un centro concepito come una struttu-
di questa terra fu la stratificazione delle ra lineare, priva di una vera forza pola-
sue tracce. La Grecia con i resti sublimi rizzante. Gli spazi della città, dalle ampie
dei suoi colonnati dorici, il mondo arabo dimensioni, risultavano però eccessiva-
con i suoi recinti e le sue cupole, il ba- mente dilatati, con il risultato di distan-
rocco spagnolo con le superfici mosse e ziare troppo gli edifici, creando così una
decorate, l’architettura spontanea del- dissoluzione della necessaria contiguità
le case dei contadini, semplice nelle sue delle costruzioni, una labilità spaziale
linee e nella sua materia costruttiva si che a sua volta generava un certo diso-
amalgamavano in una sorprendete unità rientamento e in qualche punto un vero
ambientale, semplice e severa, pervasa e proprio effetto di terrain vague. Proprio
di un forte e continuo senso della comu- per ovviare a questo inconveniente gene-
nità. Una memoria operante permeava tico si rendeva necessario ottenere una
ogni aspetto dell’abitare fondendo i se- maggiore compattezza edilizia dando
gni dell’uomo con quelli del paesaggio, la vita al contempo a una rete di punti sin-
misura dell’edilizia con quella dei monu- golari, identificati da edifici dotati di un
menti, la rappresentazione dell’individuo particolare significato architettonico, in
con quella della collettività. Infine è stata grado di creare accensioni segnaletiche

52
rispetto alla ripetibilità delle tipologie metafora dell’incompletezza di ogni co-
abitative. “La Casa del Farmacista” è una struzione umana - l’edificio approfondi-
di queste architetture, e ci fu commis- sce le tematiche già presenti ne “La Casa
sionata da Ignazio e Lia Cusumano, di- del Farmacista”. Esso espone le sue bian-
venuti poi nostri amici, su suggerimento che superfici alla luce offrendosi alla cit-
dello stesso Ludovico Corrao. La costru- tà come un importante episodio plastico
zione, ultimata a metà degli anni ottan- dalla forte presenza urbana garantita da
ta, è il risultato del tentativo di dar vita una perentoria immagine architettonica.
a un’architettura narrativa nella quale Gibellina è la più celebre delle nuove città
riferimenti ai colonnati greci si affianca- costruite in Italia nel secondo dopoguer-
no alla citazione dei recinti arabi, mentre ra. Essa è anche l’unica città d’arte che
un giardino murato accoglie le essenze il nostro paese abbia edificato in questo
tipiche del Mediterraneo. Diverso nelle stesso periodo. Per merito di Ludovico
sue articolazioni volumetriche da ogni Corrao la capitale del Belice ha eredita-
visuale l’edificio, che si colloca all’interno to, perfezionandola, l’esperienza di Ivrea,
delle problematiche architettoniche in città-museo dell’architettura moderna
quegli anni affrontate dal postmoderni- italiana, dando vita a una realtà urbana
smo, si pone come un testo complesso ed unica al mondo, dove l’arte e l’architettu-
enigmatico che intende simulare una sua ra si uniscono in una sintesi di indubbia
storicità, quasi preesistesse virtualmente dalla notevole carica teorica, dalla gran-
alla nuova città. In questa architettura il de efficacia espressiva e dall’innegabile
frammento è presente come una compo- valore civile. Dalla immateriale e magica
nente primaria inserita in una composi- scultura di Fausto Melotti alla cosmica
zione basata sul montaggio di parti - la “Stella del Belice” di Pietro Consagra, da-
facciata, il portico, la galleria, la scala gli interventi concettuali di Emilio Isgrò
- che affermano la propria autonomia ai contributi di tanti altri artisti; dalle
formale in un contesto denso di elementi architetture di Nanda Vigo a quelle di
simbolici. Dopo “La Casa del Farmacista” Giuseppe e Alberto Samonà, di Francesco
abbiamo progettato nel 1981 il “Sistema Venezia e di numerosi altri architetti, tra
delle Piazze”, una serie di cinque spazi ur- i quali Oswald Mathias Ungers; dalle atti-
bani, dei quali gli ultimi due mai realizzati, vità museali alle manifestazioni teatrali
nonostante lo spazio terminale fosse de- delle Orestiadi Gibellina si offre alla cul-
stinato a ospitare il mercato, che avrebbe tura italiana e internazionale come un
immesso in questo vasto ambiente colore esempio raro di come un pensiero utopico
e movimento. Derivata concettualmente possa divenire realtà. Una utopia alimen-
dalla Piazza di Vigevano la successione tata, dopo il terremoto del 1968, da figure
dei cinque spazi forma un grande vuoto di intellettuali coraggiosi e lungimiranti
rettangolare porticato aperto verso il come Danilo Dolci, Bruno Zevi, Carlo Do-
paesaggio, animato dalla luce, ispirato glio, che hanno indicato come trasforma-
a una classicità primaria, inverata nelle re la ricostruzione nell’occasione di una
forme semplici dei pilastri ricorrenti e del- crescita culturale, sociale e produttiva
le grandi modanature curve, che nel loro dell’intero Belice.
parallelismo comprimono il cielo, trasfor- Nonostante tutte le difficoltà che le in-
mandolo in una sorta di copertura aerea. tuizioni di Ludovico Corrao hanno incon-
Nel 1990 abbiamo progettato per i fratelli trato, e incontrano ancora oggi, Gibellina
Giuseppe e Saro Pirrello, anche essi da al- è una delle poche testimonianze che il
lora amici sinceri una casa, subito dopo nostro paese ha dato negli ultimi decenni
costruita. A pianta quadrata, introverso, di una capacità innovativa che non si fer-
raccolto attorno allo stretta fenditura ma alla formulazione di programmi ma
che solca la facciata orientata verso Sale- sa trasformarli in opere concrete. Opere
mi, coronato da un grande cornicione che nel paesaggio, un paesaggio che il Cretto
getta sul fronte posteriore una grande di Alberto Burri ha trasformato in una ap-
ombra - una mensola sostenuta da pun- parizione universale.
toni trafitta da un pilastro sospeso che è

53
La trilogia cofaghi per gli attori, portate sulle spalle
dai giovani del luogo, come le gigantesche
dell’Orestea Madonne delle processioni, che venivano
deposte a terra sulla scena-piazza e as-
2006 sumevano il valore mitico e simbolico di
maschere totali.
Un evento unico di emozione collettiva,
a cui partecipò la gente di Gibellina, una
folla di oltre 200 attori-non attori, con la
funzione di coro, di portatori, di compar-
se, di banda. Il successo fu grandissimo,
Arnaldo Pomodoro tanto che da un programma di tre anni si
passò ad una manifestazione più ampia e
stabile. Corrao chiese a Franco Quadri di
occuparsi della direzione artistica e ini-
ziarono così le famose Orestiadi di Gibel-

H
o un ricordo ancora vivissimo lina, che ancora oggi promuovono molte
delle memorabili giornate sici- iniziative interessanti di teatro, musica,
liane, della straordinaria espe- poesia ed arti visive.
rienza svolta a Gibellina per di- Nel 1986 ho poi lavorato per la Didone di
versi anni. Il sindaco Ludovico Corrao con Marlowe con Pamela Villoresi e con la re-
grande costanza e tanta passione aveva gia di Cherif. E nel 1989 abbiamo potuto
coinvolto artisti e architetti nella ricostru- realizzare il nostro sogno, la grandiosa
zione più a valle della città completamen- messinscena di “La passione di Cleopa-
te distrutta dal terremoto. Per dar “vita” tra” di Ahmad Shawqi, sempre con la re-
alla nuova Gibellina, Corrao aveva un gia di Cherif: sulla scena era presente solo
progetto molto interessante e si mise in una sorta di grande base piramidale che
pellegrinaggio per l’Italia per convincere fungeva da supporto delle varie azioni e
gli artisti a donare le loro opere. Anch’io valeva come piattaforma estesa, mentre
fui contattato e, con Emilio Isgrò - pure l’idea maggiore dello spettacolo consi-
lui “chiamato all’appello” - pensammo steva in una costruzione di “scultura at-
tutti insieme che il modo migliore di far traverso la luce”, tale che anche la piat-
rivivere Gibellina, e al contempo ricorda- taforma solida esistente era resa mobile
re la tragedia collettiva della sua distru- e presentava via via gli ambienti diversi
zione, fosse quello di organizzare sulle dell’azione (la reggia, il tempio).
rovine, dove prima del terremoto sorgeva La direzione delle “Orestiadi” di Franco
la piazza del paese, degli eventi teatrali Quadri, con la costante “complicità” di
che coinvolgessero tutta la popolazione. Corrao, è stata importantissima: è lui che
Cominciammo allora col mettere in scena ha dato la linea teorico-artistica alla ma-
dal 1983 al 1985 la trilogia dell’Orestea di nifestazione, coinvolgendo grandi artisti,
Eschilo, riscritta per l’occasione da Isgrò, attori e scrittori italiani e di altri paesi e
parte in dialetto siciliano e parte in ita- portando a Gibellina alcuni interessan-
liano, con un’operazione linguistica in- ti registi giovani, oltre allo stesso Cherif,
teressante ed originale, come riflessione che hanno realizzato delle messinscene
sul mito e sulla tragedia, sul tema della memorabili. I testi scelti in riferimento
grande emigrazione e dell’attesa del Sud alla storia e alla cultura del Mediterraneo
mediterraneo. e della Sicilia - dai classici greci ai grandi
D’accordo con Isgrò e con il regista Filip- scrittori del Romanticismo e dell’Avan-
po Crivelli decisi subito che nessun tipo di guardia fino agli autori contemporanei
scenografia tradizionale avrebbe funzio- - hanno saputo tutti presentare operazio-
nato, perché la scena doveva essere l’am- ni inventive di grande qualità. La stampa,
biente stesso, la realtà del paesaggio, i anche a livello internazionale, appoggiò
ruderi di Gibellina: ho allora ideato delle calorosamente la manifestazione e tutti
grandi macchine sceniche, sculture-sar- gli spettacoli ebbero, per lo più, recensio-

54
Le Macchine spettacolari di Arnaldo Pomodoro. 55
Granaio della Fondazione Orestiadi. Foto Piero Asaro
ni molto favorevoli: su di noi e su Gibellina importante per tutto il Belice soprattutto
si era svegliata l’attenzione generale. come formazione per i giovani: a Gibellina
La costruzione materiale dell’intero spet- infatti, non esistendo particolari vincoli
tacolo era un evento collettivo che coin- o strutture burocratiche da rispettare,
volgeva tutti. Con gli artigiani impegnati c’era la possibilità di sviluppare al massi-
nella costruzione delle scenografie e nel- mo invenzione e creatività e di avere una
la realizzazione dei costumi e con tutte grande libertà di azione. Si lavorava con
le persone coinvolte a vario titolo nella grande impegno e intensità sotto il sole
rappresentazione e nella organizzazione a picco con temperature dai 30 ai 40 gra-
si creava un rapporto di collaborazione, di, mentre le notti erano spesso spazzate
di discussione e di scambio reciproco: un da un vento gelido che sollevava nuvole
vero e proprio laboratorio artistico-cultu- di polvere: davvero un’impresa epica ed
rale multimediale. È stata un’esperienza eroica!

56 1986 - Macchina scenica di Toti Scialoja, per il “Ratto di Proserpina”,


regia di Guido De Monticelli
1970, manifestazione a Palermo per la ricostruzione 57
XXV anni delle
Orestiadi di Gibellina
24 settembre 2006

Achille Bonito Oliva

T
utte le grandi città del mondo Purini e altri architetti – gli spettacoli di
hanno alle spalle, spesso, una ca- teatro – tutto ciò che è stato fatto anche
tastrofe, un terremoto, una pe- con le scenografie di Pomodoro, Paladi-
ste. L’arte è stata sempre un anti- no - le mostre e poi le “Trame Mediter-
doto. La risposta della creazione contro ranee”. È un museo che rappresenta il
la distruzione. collante tra cultura orientale e quella oc-
D’altra parte se noi guardiamo anche a cidentale, tra una cultura aniconica, non
livello mitico dell’Iliade, dell’Odissea, ci figurativa come quella araba e la nostra
rendiamo conto come Enea sbarca sui lidi che è legata ad una cultura cattolica ico-
del Lazio provenendo dalla distruzione nistica e poi figurativa.
di Troia. Ulisse, la sua peripezia la deve Ma tutto sull’arte contemporanea e sul
ad una catastrofe, ad un naufragio. legame tra cultura materiale, oggetti di
Dunque Gibellina, su questa lunghezza tradizione e artigianato e arte – cosid-
d’onda e anche sulla tradizione molto detta concettuale –capace di superare
italiana personificata da un nuovo mo- questa scissione che è molto legata alla
dello, da un politico, ma che non era solo Scolastica Italiana, all’idealismo, alla
un politico – Ludovico Corrao – riprende scuola italiana che differenzia arti mag-
anche quella che era la committenza del giori e arti minori.
principe rinascimentale, la capacità di Nietzsche, che anche a sinistra abbiamo
introdurre nell’attività politica la cultu- sdoganato, diceva che per creare biso-
ra perché la cultura, serve a dare quel gna partire da una distruzione, ma non
respiro progettuale alla politica, serve ha mai detto che per creare si doveva di-
ad evitare che la politica sia pura manu- struggere. E per questo noi siamo per un
tenzione del presente. progetto culturale che in termini strate-
Ecco che l’amministratore Corrao rea- gici investa tutto il Mediterraneo.
lizza un gesto di fantasia. Dimostra che Il Mediterraneo arriva fino ad Israele e
l’amministrazione significa anche pro- fino alla Palestina. Noi qui a Gibellina
gettare il futuro del territorio. E la cultu- vogliamo confermare un valore: che il
ra è la profezia, sempre di un popolo, e valore dell’arte è il valore della cultura.
l’arte rappresenta iconograficamente la La coesistenza delle differenze. Non un
rappresentazione di questa speranza. multiculturalismo astratto, ma la coe-
Il passaggio di Gibellina dalla montagna sistenza delle differenze, la capacità di
a valle e la capacità dell’arte in tutti i dialogo e di ribaltamento, del naufragio
suoi linguaggi. nell’approdo. E quando parlo di naufra-
Questo è importante. Le Orestiadi sono gio penso anche a tutte quelle barche
una Fondazione che sviluppa una stra- che arrivano a Lampedusa o che si sfa-
tegia di molteplici linguaggi: architettu- sciano prima per strada, penso ad un
ra – quello che è stato fatto da Mendini, esodo forzato dovuto alla miseria, alla

58
disperazione, alle dittature per cui molti
popoli si spostano.
Io sono per la contaminazione. Io sono
un esempio di critico meticcio – come
diceva Totò – parte/nopeo e parte saler-
nitano. Bisogna sdrammatizzare. Il mul-
ticulturalismo deve essere integrazione
che passa anche attraverso le tensioni e
Gibellina – collina del vento – è il luogo
di questo meticciato e lo è stato anche
prima che io fossi chiamato da Corrao a
curare le arti – quindi questo gruppo si
è formato nel tempo e sta percorrendo
insieme una lunga strada, un cammino
glorioso.
Se devo in chiusura ricordare un’opera
di arte totale, – e si deve questo solo alla
presenza di Corrao – il “Cretto” di Burri,
un’opera monumentale capace di sinte-
tizzare la vita e la morte, il quotidiano
e la durata, la capacità di ribaltare l’ef-
fimero in immortalità, perché l’arte dà
dignità alla vita.

1970 - Renato Guttuso, “La notte di Gibellina”, 59


Museo d’Arte Contemporanea di Gibellina
XXV anni delle
Orestiadi di Gibellina
24 settembre 2006

Fausto Bertinotti

S
ono davvero molto contento di mente morte. Per poter trarre il bene dal
essere qui. Se la parola non suo- male - operazione possibile e ambiziosa
nasse retorica, sono onorato. - ci vuole un trascendimento del male, ci
Sono contento di essere qui in vuole un progetto che sia in grado di co-
primo luogo per rendere semplicemente stituire in qualche modo un orizzonte di-
omaggio a Ludovico Corrao, alla sua te- verso e perseguibile. Così, un terremoto
stimonianza di dialogo e di governo che può diventare un’occasione. Ma ci sono
risulta così importante e affascinante. tanti terremoti che lasciano solo distru-
Lo penso molto spesso al secondo ter- zione e devastazione. Qui non è stato
mine, perché la dimensione di governo così, perché si è pensato ad un attraver-
risulta chiusa obbligatoriamente in una samento, che è la ragione di questa mia
dimensione amministrativa, come se ammirazione.
il governo fosse una pratica in cui non Attraversamento che abbatte le barrie-
potesse soffiare il vento della poesia. re, che rompe i confini, che non li accetta:
Invece, per fortuna, Ludovico Corrao ci per potere fare questo bisogna operare
dice che è possibile, e quindi a lui va la una trasformazione di sé.
gratitudine per quello che ha fatto, che Dal terremoto esce una nuova vita. Dal
possa essere in qualche modo ispiratore male esce il bene. Dalla morte può riu-
della possibilità di rifarlo da altre parti e scire la vita, ma ci vuole la resurrezione.
su diverse scale. Perché dalla morte venga la vita ci vuole
Qui c’è una “costruzione” della Fonda- un cambiamento della natura, del sog-
zione Orestiadi. Io, semplicemente come getto che compie l’operazione. Cioè ci
osservatore interessato, vorrei testimo- vuole un’altra idea di vedere i rapporti
niarvi cosa dice a me questo tentativo col mondo.
e perché lo considero così affascinante, La stessa cosa per il confine. Il confine se
persino intrigante. Mi sembra il tentati- lo oltrepassi solamente, resta il confine.
vo di fare due cose entrambe difficili. Sul- Il confine se lo oltrepassi rimanendo te
la prima non c’è nessun intento polemico stesso, occupi: fai la politica imperiale,
ma dialogico. fai la politica coloniale, oppure semplice-
Anch’io potrei citare Nietzsche, però di mente ti collochi come ospite. Per potere
questi tempi starei lontano dalla catego- superare un confine ci vuole una trasfor-
ria della distruzione perché ce n’è troppa mazione di te e degli altri.
in giro; troppa guerra, troppo terrorismo Pochi giorni fa alla Camera sono venuti
e non vorrei che in qualche modo colti- a trovarmi rappresentanti di associazio-
vassimo l’idea che sia una condizione ne- ni giovanili cattoliche, ebraiche e isla-
cessaria quella della distruzione. miche. Sono venuti a trovarmi perché in
Il terremoto può essere usato come quel giorno avevano deciso insieme di
un’occasione, ma può essere semplice- visitare una chiesa cattolica, una mo-

60
2006 - Fausto Bertinotti a Gibellina. 61
schea, una sinagoga. E mi ha molto col- no i nostri abiti nelle sue diverse coste,
pito che dicessero: “tutti noi possiamo questi tessuti che si conoscono.
dialogare perché scegliamo di mettere le La prima volta che venni qui, Ludovico
cose che ci uniscono prima delle cose che Corrao mi faceva notare una cosa dav-
ci dividono”. vero emozionante: vedere come non
Non c’è la cancellazione delle diversità, nella testa dell’uomo colto, che ha letto
non c’è l’oblio delle cose che ti dividono, il titolo del libro dell’altro, non il ricono-
ma, per poter mettere a valore tali dif- scimento provato che siamo tutti figli di
ferenze, per scoprire la verità interna quel libro, ma che quella donna che non
dell’altro, devi scoprire prima cosa hai in è quasi mai uscita dalla sua abitazione
comune. sapeva ricamare in un quartiere di Tunisi
L’operazione che secondo me la Fonda- allo stesso modo di una donna in un cor-
zione Orestiadi fa, è questa: scoprire che tile di Palermo. La stessa trama, lo stesso
in questo Mediterraneo quello che ab- disegno, la stessa intelligenza di pieno e
biamo in comune pur essendo diversi è di vuoto.
più di quello che ci divide e quello che ab- E questa trama del passato, che secon-
biamo in comune è così grande da rende- do me appunto alimenta la possibilità di
re quello che ci divide, in realtà, non una un progetto ambizioso come quello delle
separazione bensì una ricchezza. La “co- opere, le opere d’arte significano essen-
struzione” di un popolo si alimenta della zialmente interrogarsi sul futuro. Per
memoria e della cultura. Questo è quello questo sono grato a Ludovico Corrao, a
che si vede qui. Si vedono qui le tracce di questo tentativo, ai suoi collaboratori, a
questa storia: le trame materiali. tutti quelli che sono qui e hanno costrui-
A proposito della rottura, del superamen- to questa affascinante piattaforma nel
to delle divisioni, Achille Bonito Oliva Mediterraneo. La si può descrivere così:
faceva notare in questo percorso come questa secolare “cattedrale” nel Medi-
ormai prenda corpo dentro queste mura terraneo.
l’idea integrale della produzione dell’uo- Io vorrei che come le cattedrali riprodu-
mo: non l’arte come dimensione separa- cono per imitazione le chiese, anche que-
ta, ma l’arte di un quadro, di una pittura, sta avesse delle imitazioni creative al di
che in qualche modo si interroga, su un qua e al di là delle sponde. E vorrei ag-
tappeto, su un vestito, su un oggetto; e giungere che abbiamo bisogno di viaggi.
tutta questa costruzione che introduce il Moni Ovadia, col fascino della sua paro-
superamento del confine del linguaggio la, ci ha parlato del viaggio di Abramo, di
come di superamento del confine tra gli cui anche io sento il fascino. Ma c’è an-
uomini. che il viaggio di Ulisse, il viaggio di chi
Lì ritrovi le tracce antiche di questo Me- cerca in realtà le ragioni della vita, nelle
diterraneo, questi colori che attraversa- radici della sua terra. In realtà, Abramo,

62
Ulisse e mille altri viaggiatori alla ricerca interreligioso sulla società, sulle ragio-
di qualcosa cercano quasi sempre nel- ni della vita, dell’esistenza, dello stare
l’isola la ragione dell’umanità, la ragione insieme. Chi ci vorrebbe in un conflitto
dell’altro, la ragione dello stare insieme. di civiltà propone una violenza contro
E per questo, io penso che sia davvero un la vocazione del Mediterraneo. Ed è per
crimine se nel Mediterraneo non prevale questo che possiamo considerare Ludo-
il dialogo e il confronto delle civiltà. Per- vico Corrao un testimone di questo Mare
ché quello che è scritto nella vocazione e e di questa civiltà. Ed è per questo che
nella missione del Mediterraneo è il con- vorremmo che avesse tanta fortuna e
fronto e il dialogo interreligioso. Ma di lunga vita.
più. Ci si può interrogare oltre il dialogo

63
64 1985 - il “Cretto“ in costruzione
1985 - Alberto Burri 65
Istituto di Alta Cultura
Fondazione Orestiadi Onlus
www.orestiadi.it

Baglio di Stefano
91024 _Gibellina | TP

T +39 0924 67844


F +39 0924 67855

Palazzo Bach Hamba


9 Rue Bach Hamba
1000_Tunisi | Tunisia

T/F +216 71325115

L’utopia della libertà


© 2008 _ Fondazione Orestiadi

Redazione e cura
Fondazione Orestiadi Gibellina

immagini
Archivio Fondazione Orestiadi
Archivio Comune di Gibellina
Archivio Museo d’Arte Contemporanea

progetto grafico
ninni Scovazzo, AGSassociati.it

stampa
Arti grafiche Campo

Si ringrazia
Paolo Ramundo

66
67
Sui campi di sulla
e selciati vermigli
urla la terra squarciata
si placa in bianchi sudari
di lava

Germini oltre la vita


il seme della bellezza
spiri eterno il fiato
del tuo cuore antico

Splendano i tuoi sogni


con gli occhi delle gazzelle
dei tuoi cinque colli.

Ludovico Corrao

68
ISBN 978-88-95098-03-6

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