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N 85 Novembre 2014
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Lemendamento lascia, quindi, sempre molto spazio ai decreti attuativi (e non si pu escludere che
la norma possa formare oggetto di giudizio di costituzionalit) ma, come si vede, d indicazioni
certamente meno generiche rispetto ai principi generalissimi contenuti nel testo in precedenza
approvato al Senato.
Il compito del Governo non sar semplice, perch dovr affrontare numerose questioni: per
esempio, dovr definire con chiarezza la nozione di licenziamento economico, visto che per tale
forma di licenziamento scompare la possibilit del diritto al reintegro; dovr poi chiarire le ipotesi di
licenziamento disciplinare ai quali si applica il solo indennizzo, distinguendoli da quelli per i quali
prevista la reintegrazione. In caso contrario si lascer troppo spazio alla discrezionalit del Giudice:
il che non fa linteresse n dei datori di lavoro, n dei lavoratori (n dei Giudici) e, soprattutto,
contrasta con la certezza del diritto.
La legge delega in corso di pubblicazione e, come previsto nel testo, entrer in vigore il giorno
dopo la pubblicazione, senza la decorrenza dei quindici giorni di vacatio legis. A breve dovrebbe
essere emanato il decreto attuativo, affinch la disciplina possa entrare in vigore dall1 gennaio
2015.
Con laugurio che i tempi ristrettissimi non facciano s che la fretta sia cattiva consigliera!
Stefano Beretta
Comitato di Redazione: Francesco Autelitano, Stefano Beretta, Antonio Cazzella, Teresa Cofano, Luca
DArco, Diego Meucci, Jacopo Moretti, Damiana Lesce, Luca Peron, Claudio Ponari, Vittorio Provera,
Tommaso Targa, Marina Tona, Stefano Trifir e Giovanna Vaglio Bianco
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Adwords - con cui lavvocato sponsorizza il proprio sito web. Vietare tale tipo di pubblicit sarebbe,
per, in netta contraddizione con quanto di recente affermato dal CNF, per cui la pubblicit informativa
dellavvocato pu essere veicolata con qualsiasi mezzo sempre nel rispetto dei canoni di trasparenza,
veridicit e correttezza, ai sensi dellart. 10 della L. n. 247/2012 (cfr. parere del CNF del 26 marzo 2014).
Per quanto riguarda i contenuti dellinformativa sul sito web, il professionista potr fornire informazioni
sulla sua propria attivit professionale (indicando il titolo professionale, la denominazione dello studio e
lOrdine di appartenenza), sullorganizzazione e la struttura dello studio, indicando i nominativi di terzi
organicamente collegati con lo studio (art. 35, co. 1, 3 e 6). Non , invece, consentita lindicazione dei
clienti, ancorch vi consentano (art. 35, co. 8), o il riferimento a titoli, funzioni o incarichi non inerenti
lattivit professionale (cfr. art. 35 co. 2).
In ogni caso, le informazioni veicolate tramite internet dovranno essere rispettose dei doveri di
trasparenza, veridicit, correttezza, segretezza, riservatezza senza essere equivoche, ingannevoli,
denigratorie o comparative con altri colleghi.
Inoltre, anche la pubblicit online non dovr ledere il decoro e la dignit della professione: ad esempio,
sono stati considerati lesivi di tali principi lofferta di prestazioni professionali gratuite in caso di
soccombenza allesito della lite (CNF, 21 aprile 2011, n. 56), ovvero la pubblicazione sul sito web di foto
non attinenti lambito professionale (CNF 10 dicembre 2007, n. 211).
In caso di violazione delle prescrizioni sopra menzionate, lavvocato incorrer nella sanzione della
censura (cfr. art. 35, co. 12).
In conclusione, ad una prima lettura, le novit apportate dal nuovo codice deontologico in ambito di
pubblicit online non paiono essere di portata particolarmente innovativa rispetto alla disciplina
previgente. Tuttavia, sarebbe opportuno che il CNF intervenisse al fine di chiarire gli aspetti pi
problematici sopra evidenziati, soprattutto con riferimento ai social network, strumento oggi centrale
nellattivit promozionale degli avvocati.
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LE NOSTRE SENTENZE
LA SENTENZA DEL MESE
NON POSSIBILE PROPORRE IN DUE SEPARATI GIUDIZI LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO PER
MOBBING E DEMANSIONAMENTO IN RELAZIONE AI MEDESIMI FATTI
(Tribunale di Terni, sentenza n. 368, 29 ottobre 2014)
Con sentenza pubblicata il 29 ottobre 2014, il Giudice del Lavoro di Terni ha esaminato la domanda di
un dipendente che lamentava un demansionamento da parte del proprio datore di lavoro.
La societ convenuta, costituendosi in giudizio, faceva presente che, per i medesimi fatti lamentati dal
dipendente nel ricorso, questultimo aveva gi avviato un precedente giudizio, assumendo di essere
stato vittima di comportamenti integranti il c.d. mobbing posti in essere dal datore di lavoro
successivamente alla reintegrazione in servizio, indicando quali condotte illegittime e discriminatorie
lassegnazione ad un diverso incarico rispetto a quello in precedenza occupato e un inquadramento ad
un livello non pi previsto dal C.C.N.L. vigente allepoca della ripresa dellattivit lavorativa.
Il giudizio sul mobbing si concludeva con il riconoscimento in favore del ricorrente di alcuni danni morali
ed esistenziali. Il dipendente con il successivo ricorso sottoponeva allattenzione del Giudice del lavoro di
Terni i medesimi fatti, ascrivendoli alla diversa qualificazione giuridica di demansionamento, chiedendo il
risarcimento di danni per perdita di chances e mancato guadagno.
Il Tribunale di Terni ha dichiarato improponibile il ricorso ritenendo che lobiettiva coincidenza dei fatti
non inficiata dalla diversa qualificazione che degli stessi ha offerto il ricorrente.
In particolare, il Giudice ha statuito che non consentito al danneggiato, in presenza di danni derivanti
da un unico fatto illecito, riferito alle cose ed alla persona, gi verificatosi nella sua completezza, di
azionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di distinte domande, parcellizzando lazione.
Infatti, tale disarticolazione dellunitario rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto illecito, oltre ad
essere lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, per laggravamento della posizione del
danneggiante-debitore, si risolve anche in un abuso dello strumento processuale.
Applicando detto principio al caso di specie, il Tribunale ha riconosciuto che allorch stato proposto il
primo ricorso si erano gi verificati tutti i danni asseritamente connessi alle condotte datoriali oggi
denunciate e gi rappresentate nel precedente giudizio e che sarebbe stato, dunque, onere del
ricorrente far valere in quella sede tutte le pretese risarcitorie connesse (anche) ai fatti oggi dedotti.
Causa seguita da Luca Peron e Diego Meucci
ALTRE SENTENZE
IL REQUISITO DIMENSIONALE AI FINI DELLAPPLICABILIT DELLART. 18 ST. LAV. DEVE ESSERE
CALCOLATO SULLA BASE DELLA MEDIA OCCUPAZIONALE
(Tribunale di Roma, 16 ottobre 2014)
Un lavoratore subordinato, licenziato per giusta causa, ha convenuto in giudizio il proprio ex datore di
lavoro ai sensi dellart. 1, co. 48, legge n. 92/2012 (meglio noto come rito Fornero, caratterizzato dalla
sommariet degli accertamenti nella prima fase del giudizio e a cui pu ricorrere il lavoratore licenziato
nelle ipotesi di cui allart. 18 della legge n. 300/1970 e, quindi, per impugnare il licenziamento nei
confronti del datore di lavoro che occupi pi di 15 lavoratori presso la singola unit produttiva ove
linteressato operava e, in ogni caso, almeno 60 dipendenti sullintero territorio nazionale), al fine di
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ottenere laccertamento dellillegittimit del recesso e, quindi, la reintegra nel posto di lavoro
precedentemente occupato, unitamente al pagamento dellindennit risarcitoria. Il Tribunale, nel motivare
il rigetto del ricorso, ha anzitutto disatteso le deduzioni di parte ricorrente secondo cui il computo del
numero dei dipendenti andrebbe effettuato secondo il disposto dellart. 8 del D.Lgs n. 368/2001, cos
come modificato dalla legge 97/2013, in quanto detta norma contiene un chiaro ed univoco riferimento
allart. 35 della legge 300/70 che, a sua volta, riguarda esclusivamente i requisiti di applicabilit delle
disposizioni di cui al capitolo III dello Statuto dei Lavoratori, laddove, notoriamente, lart. 18 contenuto
nel capitolo II; da qui linapplicabilit del summenzionato art. 8, d.lgs. n. 368/2001, ai fini del calcolo del
requisito dimensionale, per la cui effettuazione - afferma il Tribunale - deve farsi riferimento alle unit
lavorative necessarie per la normale produttivit dellimpresa, cio alla c.d. media occupazionale
calcolata con riferimento ad un lungo periodo di tempo antecedente al licenziamento, mentre irrilevante
il periodo successivo. Fatta detta premessa, il Tribunale ha evidenziato che, dallesame del Libro Unico
del Lavoro (depositato dalla convenuta), emerso non solo un numero di dipendenti inferiore a 15
presso lunit produttiva ove lavorava il ricorrente ma anche una media di dipendenti complessivamente
inferiore a 60 sul territorio nazionale e ci considerando, oltre agli assunti a tempo indeterminato full
time, anche i part time e gli assunti a termine, ad eccezione di coloro i quali sono stati impiegati per
periodi talmente brevi (3 o 4 mesi, peraltro in concomitanza del periodo natalizio), per cui pu
ragionevolmente escludersi che possano essere computati nella normale occupazione.
Causa seguita da Orazio Marano e Giuseppe Gemelli
NEOPLASIA POLMONARE: NON BASTA LESPOSIZIONE AD AMIANTO PER PROVARE LA
NATURA PROFESSIONALE DELLA MALATTIA
(Tribunale di Spoleto, 10 luglio 2014)
Nel caso di specie, gli eredi di un lavoratore, deceduto per neoplasia polmonare, hanno convenuto in
giudizio lex datore di lavoro, nonch le societ che hanno successivamente acquisito lo stabilimento,
chiedendo il risarcimento dei danni emergenti jure proprio e jure hereditatis connessi allinsorgenza della
malattia e alla sopravvenuta perdita del congiunto. Le societ convenute si sono costituite eccependo,
preliminarmente, il proprio difetto di legittimazione passiva poich le domande di risarcimento del danno
biologico ed esistenziale andrebbero proposte nei confronti dellInail ai sensi dellart. 13 del d.lgs. n.
38/2000. Nel merito, le societ hanno contestato la sussistenza del nesso causale tra linsorgenza della
malattia e la pretesa esposizione ad amianto, evidenziando che il lavoratore non deceduto per un
mesotelioma (patologia la cui insorgenza pu essere determinata dalla inalazione anche solamente di
una fibra di amianto - cosiddetta trigger dose), bens per una neoplasia polmonare comune che
potrebbe essere stata provocata da fattori estranei allespletamento delle mansioni.
La sentenza in commento ha rigettato leccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalle
societ, evidenziando che il danno differenziale pu essere inteso in due accezioni: in senso qualitativo
costituiscono danno differenziale le tipologie di danno non riconducibili alla copertura assicurativa
obbligatoria, quali ad esempio il danno biologico da invalidit temporanea, il danno morale, i vari tipi di
danno esistenziale ecc. Il danno differenziale pu poi essere inteso anche in senso quantitativo,
correlato essenzialmente alla minor quantificazione economica del danno da invalidit permanente
operata dalle tabelle INAIL del 2000 rispetto a quella operata dalle tabelle create ed applicate, in via
equitativa, dalla giurisprudenza in materia di responsabilit civile (per esempio le c.d. Tabelle del tribunale
di Milano).
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Secondo la sentenza, il danno differenziale - inteso sia in senso qualitativo, che in senso quantitativo pu essere rivendicato nei confronti del datore di lavoro, considerata la natura indennitaria e non
risarcitoria dellimporto liquidato dallInail, in rendita o capitale, al lavoratore o ai suoi eredi.
Passando al merito della controversia, la sentenza ha evidenziato che, come emerso dallistruttoria
svolta, nel contesto lavorativo in cui il dipendente deceduto ha operato, erano effettivamente presenti
materiali contenenti amianto, per cui presumibile che il medesimo possa aver occasionalmente inalato
polveri o fibre, anche se in quantit relativamente contenuta (il lavoratore svolgeva mansioni di
magazziniere in una fabbrica ove venivano lavorate sostanze infiammabili, per cui doveva occuparsi di
stoccare materiali ignifughi e mezzi di protezione individuale che, allepoca dei fatti, erano realizzati in
amianto). La sentenza ha anche argomentato che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare le misure di
protezione che, sebbene allepoca dei fatti non fossero imposte per legge, avrebbero dovuto essere
applicate alla luce delle conoscenze scientifiche in base alle quali, sin dai primi studi effettuati negli anni
60-70, era emersa la pericolosit dellinalazione di amianto. La sentenza ha, tuttavia, escluso la
responsabilit del datore di lavoro alla luce delle risultanze della disposta CTU. Infatti, il perito nominato
dal giudice ha escluso la prova del nesso causale tra lipotetica esposizione ad amianto - di cui peraltro
non provata lintensit - e linsorgenza della neoplasia polmonare: tale malattia (diversamente dal
mesotelioma, tipica patologia professionale) pu derivare da fattori scatenanti del tutto estranei alla
situazione lavorativa, quali linquinamento o il vizio del fumo. Nel caso di specie, emerso che il defunto
lavoratore fosse stato un accanito fumatore, per tutta la sua vita, e tale fattore extra lavorativo ha
probabilmente causato linsorgenza della malattia a prescindere dalleventuale inalazione di amianto che,
in assenza di placche pleuriche, comunque stata moderatamente contenuta, non avendo provocato
nemmeno linsorgenza di asbestosi.
La sentenza ha, quindi, concluso affermando che: sulla base degli esiti della relazione, il cui contenuto si
condivide essendo esauriente e priva di vizi logici, la domanda dei ricorrenti deve essere rigettata, tenuto
conto dellinterferenza quale fattore eziologico alternativo e preponderante, rispetto allesposizione
allamianto, del fumo, essendo emerso dalla documentazione in atti, e comunque incontestato che (il
lavoratore) stato accanito fumatore sino allet di 66 anni e che la diagnosi tumorale intervenuta nel
2004 quando llavoratore aveva 73 anni, quindi non molto tempo dopo che questi aveva smesso di
fumare. Il giudice, nei casi di malattia contratta in occasione dello svolgimento di attivit lavorativa, deve
non solo consentire al lavoratore di esperire i mezzi di prova ammissibili ritualmente dedotti, ma deve
altres valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo
ricorso ad ogni iniziativa ex officio diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione allentit ed
allesposizione del lavoratore ai fattori di rischio ed anche considerando che la natura professionale della
malattia pu essere desunta con elevato grado di probabilit dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla
natura dei macchinari presenti nellambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e
dallassenza di altri fattori extra lavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della
malattia. Nel caso in esame, le conclusioni alle quali pervenuto il consulente medico non lasciano
spazio allaccoglimento della domanda, posto che il nesso di causalit tra lesposizione ai fattori di
rischio subiti dal (lavoratore) nel corso della sua attivit professionale e la neoplasia polmonare che
lo condusse a morte, pu essere oggi posto (alla luce delle attuali conoscenze scientifiche) solo in
termini di bassa probabilit e non in termini di ragionevole certezza e/o elevata probabilit, come indicato
dalla pi evoluta giurisprudenza.
Causa seguita da Tommaso Targa
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ISCRIZIONE ALLA C.D. GESTIONE COMMERCIANTI DEL SOCIO: NON SUSSISTE IL REQUISITO
OGGETTIVO SE LA SOCIET SI LIMITA A LOCARE IMMOBILI DI PROPRIET E A PERCEPIRE IL
RELATIVO CANONE DI LOCAZIONE
(Tribunale di Rovereto, 11 novembre 2014)
Il Tribunale di Rovereto ha di recente applicato il principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione
con lOrdinanza 11.2.2013 n. 3145. Presupposto imprescindibile perch sussista lobbligo di iscrizione
alla gestione degli esercenti rappresentato dallesercizio di attivit imprenditoriale di natura
commerciale da parte della Societ di cui il preteso contribuente socio. Nellipotesi in cui la locazione
di immobili e la riscossione dei relativi canoni rappresentino lunica attivit della Societ, il requisito
oggettivo insussistente. Mancando lofferta di prestazioni a terzi, non possibile qualificare lattivit
come commerciale. Il giudice di merito, in una fattispecie analoga a quella esaminata dalla Suprema
Corte giunto alle medesime conclusioni: il provvedimento di iscrizione alle gestione commercianti di un
socio accomandatario di una societ di persone di piccole dimensioni stato annullato per insussistenza
del presupposto oggettivo. La Societ, infatti, non esercita attivit commerciale in quanto costituita al
fine di godere degli immobili di cui proprietaria e che d in locazione.
Non ha trovato, invece, accoglimento la tesi sostenuta dallINPS (e da parte della dottrina) in base alla
quale nel nostro ordinamento non sarebbero ammesse le c.d. societ di mero godimento.
Causa seguita da Barbara Fumai
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Civile, Commerciale,
Assicurativo
LE NOSTRE SENTENZE
INCARICO DI BROKERAGGIO
(Tribunale di Milano, 27 ottobre 2014)
Con lettera di incarico del 20 febbraio 2006 la Societ Alfa affidava, in via esclusiva, al broker BETA
lamministrazione dei propri affari assicurativi.
Lincarico veniva conferito per la durata di tre anni, a decorrere dal primo marzo 2006, con la previsione
del tacito rinnovo in mancanza di disdetta da comunicarsi con preavviso di novanta giorni.
La stessa lettera prevedeva: Nel caso dovessimo riscontrare sul mercato condizioni pi favorevoli di
quelle da voi proposte, vi impegnate a sottoporci le condizioni di miglior favore o a permetterci di
derogare dal presente incarico. In attuazione dellincarico conferitole, Beta procurava ad Alfa la
copertura assicurativa riguardante la responsabilit civile connessa allattivit professionale svolta.
Questa polizza non veniva rinnovata ma, sempre ad opera di Beta, Alfa stipulava, per il rischio di rc, una
nuova copertura assicurativa con altra compagnia. I compensi provvigionali riconosciuti a Beta in
relazione a detta seconda polizza, venivano determinati in euro 75.000,00.
Il contratto di brokeraggio assicurativo, il cui primo triennio veniva a scadenza il 1 marzo 2009, non
veniva disdettato da Alfa, per cui, in base alla previsione della lettera di incarico, si rinnovava tacitamente
per un ulteriore triennio. Sennonch, con raccomandata del giugno 2009 Alfa informava Beta s.p.a. di
avere indetto una gara per laffidamento del servizio di consulenza e brokeraggio assicurativo, in
relazione alla gestione della polizza di responsabilit civile professionale e invitava Beta a far pervenire
una proposta entro le ore 12 del 26 giugno 2009. Sorpresa dalla predetta comunicazione, Beta faceva
presente ad Alfa che lincarico triennale, in mancanza di disdetta, si era rinnovato per il periodo 1.3.2009
- 1.3.2012, per cui la gara indetta per la selezione di un nuovo broker si poneva in aperta violazione del
contratto che conferiva a Beta in via esclusiva, la cura degli affari assicurativi di Alfa.
Questultima sosteneva di essersi avvalsa della clausola contrattuale e di aver indetto una gara per
reperire condizioni di mercato pi favorevoli, gara alla quale aveva invitato a partecipare anche Beta.
Il broker aveva inviato la propria quotazione della RC professionale ma, a dire di Alfa, le offerte ricevute
dagli altri partecipanti erano tutte pi favorevoli di quelle proposte da Beta.
Quindi, con comunicazione del 7 luglio 2009, Alfa comunicava il recesso dello contratto per giusta
causa, asserendo che Beta s.p.a. non avrebbe gestito correttamente la copertura assicurativa in
questione, mettendola in difficolt con la Consob, tanto che lOrganismo di vigilanza lavrebbe invitata
a far modificare la polizza di rc utilizzata in modo che essa specificasse in modo chiaro e formale la
precipua attivit professionale alla quale la copertura si riferiva.
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Per tali ragioni, Beta avviava liniziativa giudiziaria, chiedendo al Tribunale di Milano di accertare
linadempimento di Alfa alla lettera di brokeraggio e di condannare la convenuta al risarcimento dei danni
pari alle provvigioni che Beta avrebbe ricevuto in caso di stipula della nuova polizza di rc mediante lo
stesso broker. Si costituiva in giudizio Alfa chiedendo il rigetto delle domande; la dichiarazione di
risoluzione del contratto per inadempimento di Beta e la condanna dellattrice al pagamento dei danni
patrimoniali e non patrimoniali asseritamente subiti.
Con sentenza del 27 ottobre 2014 il Tribunale di Milano ha ritenuto infondato linadempimento del
contratto dedotto da Alfa, rilevando come le indicazioni di Consob in merito alla necessit di modificare
la polizza non fossero provate e, comunque, non fosse stata dimostrata n la loro necessit, n la loro
urgenza. Non solo: Alfa non aveva offerto la prova di aver riscontrato sul mercato condizioni di
assicurazione pi favorevoli, e, quindi, non aveva consentito al Tribunale, n al broker, di verificare la
legittimit, o meno, del ricorso alla gara per reperire una nuova copertura (per esempio, producendo la
nuova polizza). Il recesso di Alfa doveva, quindi, ritenersi illegittimo, con la conseguenza che il contratto,
a tempo determinato, si era rinnovato di un ulteriore triennio, e Beta aveva diritto al risarcimento del
danno consistente nei compensi provvigionali che sarebbero maturati se il contratto fosse rimasto in
piedi fino alla sua naturale scadenza.
Causa seguita da Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano
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Assicurazioni
A cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano
AZIONE DI SURROGA
DELLASSICURATORE
SOCIALE DICHIARAZIONI NON
VERITIERE DEL
DANNEGGIATO
ASSEGNO BANCARIO
NON TRASFERIBILE
MANCATO PAGAMENTO
DEL PREMIO
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Social Media
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IL PUNTO SU
A cura di Vittorio Provera
TRA TECNOLOGIA E PRIVACY: LA GEOLOCALIZZAZIONE DEI DIPENDENTI
TRAMITE SMARTPHONE
Una delle pi evidenti conseguenze connesse allattuale rapida evoluzione tecnologica
dellorganizzazione del lavoro costituita dallintroduzione di dispositivi informatici e di
comunicazione di ultima generazione - dotati di connessione internet (tablet, smartphone e
conseguenti applicazioni) - forniti in dotazione ai dipendenti con la richiesta di utilizzo dei medesimi
per lo svolgimento delle loro attivit.
Al di l della suggestione e stimolo che detti dispositivi determinano nellutilizzatore, il loro impiego su
indicazione del datore di lavoro, in presenza di talune situazioni ed applicazioni, deve essere valutato
anche alla luce delle eventuali implicazioni che il loro uso pu determinare il rischio di un controllo a
distanza dellattivit dei lavoratori medesimi, vietato ex art. 4 L. n. 300/70.
Proprio in considerazione della consapevolezza di tali criticit, alcune Aziende hanno, in prevenzione,
chiesto una verifica preliminare della legittimit delluso di tali strumenti, allorch con i medesimi viene
attivato un sistema di geolocalizzazione.
In merito, il Garante per la protezione del dati personali (cd Garante della Privacy) intervenuto
recentemente, a seguito delle richieste di verifica preliminare - ai sensi dell'art. 17 del Codice in materia
di protezione dei dati personali - da parte di due societ di telecomunicazioni al fine di dotare i propri
dipendenti, impiegati sul territorio e nellambito di un sistema di Work Force Management (WFM), di
smartphones su cui attiva la funzione di localizzazione geografica [Newsletter www.garanteprivacy.it 3
novembre 2014, doc. web n. 3474069 e n. 3505371].
Le finalit di tali dispositivi e relativo trattamento - rispetto alle ipotesi prese in considerazione
dallAutorit in altro provvedimento relativo allutilizzo di sistemi di localizzazione dei veicoli nellambito del
rapporto di lavoro [doc. web n. 1850581] - hanno peculiarit particolari. Ci in considerazione
dellutilizzo di un apparato che, per le intrinseche caratteristiche, destinato a seguire la persona che
lo possiede, senza distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro e che viene utilizzato anche per
consultazioni, acquisizione di informazioni e comunicazioni. Il trattamento dei dati di localizzazione,
pertanto, potrebbe determinare rischi specifici per la libert (es. di circolazione e di comunicazione), i
diritti e la dignit del dipendente.
Per tali motivi stata richiesta dalle Aziende interessate una verifica preventiva di compatibilit con la
normativa vigente e - nelloccasione - le stesse hanno precisato che i dati trattati dalle Societ attraverso
il menzionato sistema consistono, in sintesi, nella raccolta del nome e cognome del dipendente (o ID del
dispositivo affidato), delle skills tecniche del medesimo, delle coordinate GPS della Home Base del
tecnico per la determinazione dellarea di competenza e delle coordinate GPS.
Inoltre, sono state date assicurazioni sulla non continuit del rilevamento della localizzazione geografica,
che avverrebbe con una periodicit temporale prestabilita di circa 10/15 minuti.
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Quindi, il dato cos raccolto non sarebbe acquisito in modo continuo e nemmeno permanente, in quanto
lultima posizione rilevata annullerebbe e sostituirebbe la precedente.
Il dipendente potr abilitare o disabilitare la funzione di geolocalizzazione allinizio ed alla fine del servizio,
cos come durante il servizio stesso, qualora risulti necessario per esigenze personali, compatibilmente
con le procedure aziendali in essere.
Tra gli scopi che le Societ intendono perseguire con lattivazione della suddetta funzione vi sono: (i) il
miglioramento dei servizio fornito agli utenti finali, attraverso il coordinamento delle risorse dislocate sul
territorio; (ii) il supporto della gestione delle attivit demergenza mediante la conoscenza della posizione
dei tecnici e lidentificazione del tecnico pi qualificato e pi vicino al sito per il quale richiesto
lintervento; (iii) infine il supporto delle misure di sicurezza a tutela dei tecnici coinvolti in attivit di
servizio allocate in aree remote e/o disagiate.
Alla luce di quanto precede, lAutorit Garante ha ritenuto che le finalit del trattamento, cos come
rappresentate dalle Societ richiedenti, risultano lecite, in quanto effettuate nellambito del rapporto di
lavoro per soddisfare esigenze organizzative e produttive, ovvero per la sicurezza del lavoro; non
riconducibili a finalit di controllo, tanto che i dati non potranno essere utilizzati per scopi diversi da quelli
dichiarati, come ad esempio per lirrogazione di provvedimenti disciplinari. E ancora, il Garante ha
ritenuto soddisfatti anche i principi di necessit, nonch di pertinenza e non eccedenza, considerato che
le rilevazioni non si effettuerebbero in via continuativa ma ad intervalli di tempo variabili e che il sistema
sarebbe configurato in modo tale da memorizzare solo lultima informazione relativa alla localizzazione
del dispositivo al termine di una determinata sessione di lavoro procedendo, quindi, a cancellare
automaticamente la rilevazione precedente. Fermo quanto precede, lAutorit Garante ha imposto talune
prescrizioni che le Societ dovranno, ad ogni modo, adottare, quali misure idonee a garantire che le
informazioni presenti sul dispositivo (visibili o utilizzabili dalla applicazione installata) siano solo quelle di
geolocalizzazione, impedendo laccesso ad altri dati, quali ad esempio, sms, posta elettronica, traffico
telefonico. In aggiunta, dovranno configurare il sistema in modo tale che sullo schermo dello smartphone
compaia sempre, ben visibile, unicona che indichi ai dipendenti che la funzione di localizzazione attiva.
I dipendenti, infine, dovranno essere informati in modo esaustivo sulle caratteristiche dellapplicazione
(ad es., sui tempi e le modalit di attivazione e disattivazione) e sui trattamenti di dati effettuati dalle
Societ. Tra le istruzioni da fornire, relativamente allutilizzo dellapparato, le Aziende dovranno
raccomandare ai propri dipendenti di effettuare periodicamente la pulizia dei dati memorizzati
localmente, attraverso lattivazione della funzione clear stored data, fatte salve eventuali esigenze di
conservazione da parte del lavoratore.
A fronte di quanto precede, prevedibile una ulteriore diffusione dellutilizzo di strumenti tecnologici
analoghi al fine di migliorare e rendere pi efficiente lorganizzazione del lavoro; organizzazione peraltro
sempre pi caratterizzata dalla necessit di garantire una continua interconnessione e collegamento tra i
diversi settori dellazienda. Ma come visto, tutto ci impone (stante anche la sempre pi stringente
normativa in materia) una particolare attenzione a garantire il rispetto delle varie regolamentazioni in
materia di privacy e controllo delle attivit.
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