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Stefano Gensini

Linguaggio e mente animale


(bozza non corretta, non citabile)

Sar pubblicato in N. Grandi (a c. di), Nuovi dialoghi sul lingaggio,


Patron ed, Bologna 2013

1. Linguaggio e mente fra umani e (altri) animali:


un tema di confine
Stefano Gensini

1.1. Introduzione
Il tema che tratter in questo scritto se e in che misura gli animali non umani siano
accreditabili di un linguaggio stato lungamente dibattuto negli ultimi decenni, con
esiti tuttaltro che condivisi. Al tempo stesso, vi una lunghissima trafila storica in cui
esso si colloca, e da cui, credo, riceve senso, quanto alle domande teoriche che pone e
alle tipologie di risposta che sono state volta per volta elaborate. Mi propongo in quel
che segue (I) una veloce ricognizione della fase di studi inauguratasi a met degli anni
Sessanta; (II) un flash-back che, riconducendoci allantichit, ci permetter di rilevare la
singolare continuit dei topoi essenziali della discussione; (III) la presentazione di una
fase del dibattito, situabile a cavallo fra Otto e Novecento, che a mio avviso illustra assai
bene le implicazioni epistemologiche e le costanti concettuali in gioco.
1.2. Cognitivismo e menti animali
Sia consentito anzitutto, per fissare le idee, richiamare qualche libro, e qualche data, che
possiamo ritenere emblematici. Il celebre Cartesian Linguistics (1966) di Noam Chomsky,
unopera-chiave della prima stagione del cognitivismo, presentandosi come una ripresa e
insieme uno sviluppo del programma cartesiano di approccio al mentale, suggeriva (I)
lindividuazione dello specifico umano nellimplesso mente-linguaggio e, di conseguenza, (II) un approccio radicalmente discontinuista, che rendeva di fatto ininteressante,
scientificamente, la ricerca sperimentale intorno alle (presunte) capacit linguistiche degli
animali non umani, e in particolare quelle sulle abilit comunicative degli scimpanz che
avrebbero conosciuto di l a breve (Gardner / Gardner 1969) il loro apogeo e insieme la
loro dissoluzione. Il fortunato libro di Fouts (1997 [1999]), antico assistente dei coniugi
Gardner, offre una storia terra terra di quel che lavvento del chomskysmo signific in
termini sia di tagli di fondi sia di dispersione di un patrimonio di studi faticosamente
accumulato, di cui lardua ricollocazione di Washoe in un mondo scientifico non pi
interessato a lei un esempio toccante. Nel 1980, Speaking Apes, una raccolta di saggi di
linguisti e psicologi curata da Thomas Sebeok e Donna Jean Umiker-Sebeok, testimonia il
discredito in cui lipotesi continuista era ormai caduta: solo lo scritto dellunico studioso

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non-nordamericano, Georges Mounin, tenta ancora la via di un approccio semiologico


in chiave di continuit-differenza, sulla falsariga di quanto aveva fatto Charles F. Hockett, con la nozione di relevant feature, negli anni Sessanta. Il 1980 , singolarmente,
anche lanno in cui esce Metaphors we live by di George Lakoff e Mark Johnson, un
altro libro celeberrimo, cui toccata la sorte di inaugurare una sorta di seconda stagione
del cognitivismo, improntata alla ricucitura del rapporto corpo-mente, e a una visione,
come si cominci a dire, embodied, dellattivit linguistica, che ovviamente riabilitava,
sia pure in modo indiretto, un approccio comparativo ed evolutivo al funzionamento del
linguaggio. Dello stesso anno il celebre articolo di Seyfarth, Cheney e Marler sui segnali
di allarme nei cercopitechi, un lavoro che sarebbe rimasto probabilmente ai margini del
dibattito filosofico-cognitivo se non si fosse dato il caso della sua adozione, da parte di un
pensatore mainstream come Daniel Dennett, quale banco di prova, sia pure provvisorio,
per una ripresa del problema dellintenzionalit e del connesso tema della attribuzione di
stati intenzionali al di fuori della specie Homo sapiens. Si tenga conto che il punto-chiave
del lavoro di Seyfarth e collaboratori (sviluppato dieci anni dopo in How Monkeys See
the World) lidea che i gridi di allarme (direzionati a tipi diversi di predatori, laquila, il
leopardo e il serpente) non siano semplicemente reazioni emotivo-istintuali, ma abbiano
vero e proprio contenuto semantico, siano cio a loro modo proposizionali.
Il saggio di Dennett del 1983, mentre di pochi anni prima (1978) lincursione in
ambito filosofico-mentalista di David Premack (ben noto per i suoi studi sulla comunicazione della femmina di scimpanz Sarah) e Guy Woodruff, Does the Chimpanzee
have a Theory of Mind?. La risposta allinterrogativo, dichiaratamente positiva, collocava
il primate pi vicino alluomo in quel territorio delle metarappresentazioni che sembrava per definizione essergli precluso, anche nelle sue forme pi basilari. Si entra cos
in una dimensione nuova della ricerca, grazie alla quale il nodo della presenza o meno
del linguaggio, irrisolvibile anche perch spesso formulato in termini presemiotici, si
inserisce in uno sfondo cognitivo pi generale, che fa dipendere le performances comunicative degli animali non umani da architetture cerebrali specie-specifiche, dotate, per
dire cos, di una propria autosufficienza e legalit. Ricordo in questo ambito il lavoro
degli etologi cosiddetti cognitivi, facente capo alla pionieristica impostazione di Donald
Griffin (Animal Thinking, 1984), quale si continua e approfondisce in Collin Allen e
Marc Bekoff (Species of Mind, 1997): una impostazione che respinge il carattere laboratoriale di molti studi correnti e richiama a quellosservazione sul campo, in the wild,
che aveva formato il punto essenziale delletologia classica, dei Lorenz e dei Tinbergen.
Nel libro di Allen e Bekoff a Charles Darwin viene riservato un ruolo di spartiacque
(mentre con un certo distacco trattato lo stile aneddotico di George Romanes, il
maggior continuatore delle idee di Darwin sulle capacit cognitivo-comunicative degli
animali; vd. infra, 4.); la circostanza potrebbe sembrare ovvia, se non fosse che proprio
negli anni in questione, sulla scia di un noto e discusso contributo di Pinker e Bloom
(Natural language and natural selection, 1990), si fa largo in linguistica un neodarwinismo metodologico che non solo consente di rimettere a fuoco, senza improbabili intenti
ricostruttivi, il problema delle origini del linguaggio, riformulato come indagine sulle
condizioni (evolutive) di possibilit dello stesso, ma certamente incoraggia un approccio di tipo interspecifico e comparativo. Lo splendido libro Uniquely Human di Philip
Lieberman (1991), che cerca di tener assieme aspetti anatomici e cerebrali del processo
evolutivo, un esempio importante di questa nuova fase della ricerca.

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Non si pu dire che linguisti e semiotici abbiano fatto gran che per approfondire la
portata teorica degli studi sul linguaggio e la mente degli animali, in questi anni cos
fecondi. Basta pensare al persistere degli equivoci intorno alla nozione di linguaggio,
suscettibile di ricerca in chiave extraumana solo a patto di declinarla in senso semiologico, lavorando cio da una parte sulla distinzione fra language e speech, dallaltra
sullimproponibilit di ogni ricerca che isoli lo studio dei comportamenti linguisticocomunicativi da quello che gi Malinowski (1923) chiamava contesto di situazione,
ovvero dallinsieme delle circostanze interazionali e affettive in cui il comportamento ha
luogo. Da questo punto di vista, latteggiamento giudiziario di tanti studi di settore,
soddisfatti di delimitare il perimetro della comunicazione animale entro spazi prelinguistici e, per cos dire prementali, rivela la sua povert culturale nel momento in cui
presume che qualsiasi comportamento comunicativo, anche umano, e a maggior ragione di animali non umani, possa e debba essere indagato a freddo, fuori dal contesto
in cui esso origina e chiamato a funzionare. Si tratta di un atteggiamento scientifico
che ha fatto molti danni, e in pi direzioni: si pensi al discredito toccato per decenni
alle lingue segnate dei sordi, che solo a partire dagli anni Sessanta si vedono riconoscere uno statuto semiotico specifico; si pensi ai modelli educativo-linguistici di tipo
normativo, contro i quali valgono (e qui non le ripeteremo) le giuste deduzioni proposte
dagli studi di sociolinguistica e etnografia della comunicazione. Rivestono, viceversa,
portata anche teorico-linguistica e semiotica i lavori che psicologi e naturalisti hanno
compiuto in questo periodo sugli stili di vita sociale di primati non umani quali gli
scimpanz e i bonobo. Mi riferisco al famoso libro Gossip, grooming and the evolution
of language (1996) di Robin Dunbar, che illustra con dovizia di esempi le dinamiche di
comunicazione e organizzazione sociale degli scimpanz, legate alla prassi della pulizia
della pelle; e al lungo, amoroso studio dedicato da Sue Savage-Rumbaugh a Kanzi, un
giovane bonobo educato alla comunicazione in un contesto nel quale laffettivit, la
partecipazione sociale e lo scambio interspecifico hanno avuto un ruolo finora inedito.
in questo contesto che, secondo Savage-Rumbaugh e collaboratori (2001), Kanzi passa
la soglia e si avvicina a comportamenti ritenuti tradizionalmente umani: non solo perch, contrariamente a ogni attesa, diviene capace di comprendere parole e intere frasi
inglesi, ma perch sviluppa una rete affettiva psicologicamente complessa, che induce
a ripensare in termini non pi discontinuistici il concetto di mente. Temi analoghi,
focalizzati soprattutto sulle forme di socializzazione tipiche dei bonobo, formano lasse
di Our inner Ape (2005), il libro dello zoologo e etologo olandese Frans de Waal, che
si propone oggi come una sorta di paradigma delle capacit non solo intellettive, ma
morali, di specie differenti da quella delluomo. In termini pi tecnici, si registrata
ultimamente la ripresa dellinterrogativo sollevato da Premack e Woodruff (1978), oggetto di una intensa discussione da parte di Michael Tomasello e collaboratori. Mentre
Premack aveva finito per ridimensionare, in studi successivi al 1978, le sue ipotesi di
lavoro, Call e Tomasello conclusivamente suggeriscono che s, gli scimpanz hanno una
teoria della mente, nel senso che comprendono sia gli scopi sia le intenzioni degli altri
come pure le loro percezioni e conoscenze (2008: 192), mentre non lhanno se con tale
termine, teoria della mente, si intende in senso stretto una piena comprensione delle
cosiddette false credenze, un test tipico della ricerca in psicologia dello sviluppo (umano). Lidea dunque che gli scimpanz si collochino sul grado iniziale di una capacit
cognitiva che negli umani risulta pi articolata e sofisticata.

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A conclusione di questa sommaria rassegna, opportuno ricordare il saggio di Hauser, Chomsky e Fitch (2002), importante ai nostri fini soprattutto perch segna la conclusione della fase di ricerca inaugurata da Cartesian Linguistics: in collaborazione con
due studiosi attenti alla dimensione evolutiva e comparativa del linguaggio, Chomsky
d spazio alla comunicazione animale nel quadro della FLB, ovvero della facolt del
linguaggio in senso largo, che rappresenta un concreto terreno di connessione fra lessere umano e le altre specie; mentre della FLN, o facolt del linguaggio in senso stretto, consistente nel dispositivo sintattico ricorsivo, presumibilmente innato, sottostante
alla creativit linguistica, resta, fino a contraria prova, unico titolare Homo sapiens. Se
dunque il filone generativista ripropone una linea di discontinuit nel language realm,
al cui vertice ancora e sempre lUomo, sembra tuttavia chiusa lepoca in cui agli studi
comparatistici poteva essere serenamente negata qualsiasi dignit teorica.
1.3. Retrospettiva: da Cartesio a Darwin
Come si diceva, il programma linguistico-cognitivo chomskyano si presentava esplicitamente come la ripresa in chiave contemporanea del dualismo di Ren Descartes. Va
tuttavia osservato che, nel grande filosofo francese, non era il linguaggio a formare lo
specifico dellessere umano, bens la ragione, una dotazione innata e originaria rispetto
alla quale il linguaggio ridotto a meccanismo di esternazione del pensiero funge da
semplice strumento. Sia consentito tornare a citare un passo strategico, dalla V parte
del Discours de la mthode (1637):
Car cest une chose bien remarquable quil ny a point dhommes si hbts et
si stupides, sans en excepter mme les insenss, quils ne soient capables darranger ensemble diverses paroles, et den composer un discours par lequel ils
fassent entendre leurs penses; et quau contraire il ny a point dautre animal,
tant parfait et tant heureusement n quil puisse tre, qui fasse le semblable. Ce
qui narrive pas de ce quils ont faute dorganes: car on voit que les pies et les
perroquets peuvent profrer des paroles ainsi que nous, et toutefois ne peuvent
parler ainsi que nous, cest--dire en tmoignant quils pensent ce quils lisent;
au lieu que les hommes qui tant ns sourds et muets sont privs des organes
qui servent aux autres pour parler,- autant ou plus que les btes, ont coutume
dinventer deux-mmes quelques signes, par lesquels ils se font entendre ceux
qui tant ordinairement avec eux ont loisir dapprendre leur langue. Et ceci ne
tmoigne pas seulement que les btes ont moins de raison que les hommes, mais
quelles nen ont point du tout: car on voit quil nen faut que fort peu pour
savoir parler; et dautant quon remarque de lingalit entre les animaux dune
mme espce, aussi bien quentre les hommes, et que les uns sont plus aiss
dresser que les autres, il nest pas croyable quun singe ou un perroquet qui seroit des plus parfait. De son espce ngalt en cela un enfant des plus stupides,
ou du moins un enfant qui auroit le cerveau troubl, si leur me ntoit dune
nature toute diffrente de la ntre. Et on ne doit pas confondre les paroles avec
les mouvements naturels, qui tmoignent les passions, et peuvent tre imits
par des machines aussi bien que par les animaux; ni penser, comme quelques
anciens, que les btes parlent, bien que nous nentendions pas leur langage.

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Largomento cartesiano, come si sa, duplice: ci che differenzia irrimediabilmente


lautoma-animale dallessere umano che esso pu bens riprodurre la parte meccanica,
fisica, del linguaggio (come fanno i pappagalli che imitano a perfezione intere frasi), ma
(I) non possono utilizzarlo per manifestare un pensiero; (II) non riescono a adattarlo
alle circostanze delluso, anche se occasionalmente possono riuscire in certi compiti
perfino meglio di noi. Traducendo queste categorie nella terminologia tradizionale di
Aristotele, liniziatore dellanalisi comparata delle facolt linguistiche delluomo e degli
altri animali, diremmo che la bestia pu governare lo psphos, il suono delle parole,
ma resta al di qua non solo, ovviamente, del lgos (che voce articolata o dilektos,
secondo la definizione dellHistoria animalium), ma anche, a ben vedere, della phon o
voce, che implica una forma sia pure subordinata di attivit cognitiva, quella finalizzata
allespressione del piacere e del dolore. I gridi animali sono per Descartes puri e semplici
movimenti naturali, testimonianza delle passioni che interessano il corpo.
La celebre pagina del Discours de la mthode ha una filigrana intertestuale che meriterebbe unindagine quasi parola per parola. Limitandoci allessenziale, sono evidenti
sia la fonte teorica che sta alla base dellipotesi dualistica, sia lobiettivo polemico cui
largomentazione rivolta. La fonte in questione un passo molto noto degli Stoici,
tramandato da Sesto Empirico nel suo Adversus mathematicos, che riportiamo qui di
seguito:
[L]essere umano cos dicono non differisce dagli animali privi di ragione
(loga) per via del discorso pronunciato (prophorik lgo) (se per questo,
proferiscono suoni articolati anche i corvi, i pappagalli e le gazze) ma per via
del discorso interiore (endiathto), e non per la semplice rappresentazione
presa isolatamente (apl mnon phantasa) ma per la rappresentazione capace
di fare collegamenti e sintetica (metabatik ka syntethik). Pertanto chi ha
il senso immediato della conseguenza ha consapevolezza anche del segno,
appunto attraverso il nesso della conseguenza SVF II 135 [2] (Sextus adv.
math., VIII 275).

Lattenzione di Descartes non cade sulla definizione di segno, importantissima a


fini storico-teorici, ma sulla opposizione fra due tipi di lgos, quello interno e quello
meramente esteriore, che dal primo dipende. Il discorso esternalizzato dunque un
puro dispositivo di output, secondo una logica per la verit molto vicina (mutatis mutandis) a quella del generativismo moderno. Lobiettivo polemico della pagina cartesiana
invece lopinione degli antichi, espressione molto diffusa nel Seicento, con cui si
faceva riferimento alla credenza popolare, suffragata per da autorevoli voci di filosofi,
che agli animali competessero non solo un linguaggio (incomprensibile per noi, ma
ben funzionante allinterno delle singole specie), ma autentiche capacit conoscitive e
perfino determinati valori morali. Tra i tanti nomi che si possono fare al proposito, a
parte quelli ovvi dei grandi naturalisti, da Plinio il Vecchio a Eliano, meritano un posto
donore Lucrezio (col V libro del De rerum natura), Plutarco (soprattutto col suo Bruta
animalia uti) e naturalmente gli Schizzi Pirroniani di Sesto Empirico, che le traduzioni
cinquecentesche avevano fatto ampiamente circolare, assecondando un revival scettico
di cui gli Essais di Michel de Montaigne (prima ed. 1580), e in particolare la famosa
Apologie de Raymond Sebond, erano stati la manifestazione pi alta. Questi testi avevano

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formato un repertorio concettuale e perfino citazionale assai ricco, popolato di volpi


e cani raziocinanti, elefanti di buona memoria, leoni capaci di carit, volatili non solo
loquaci ma dotati di un sopraffino senso di orientamento e, naturalmente, di analogie (percepite ora con entusiasmo, ora con imbarazzo) fra i comportamenti affettivoespressivi dei cuccioli e quelli dei cuccioli duomo.
Rispetto a questo inquietante paradigma continuista, in cui convergevano almeno
parzialmente tradizioni diverse, post-aristoteliche, materialistiche, scettiche, e persino
voci scetticheggianti1, Descartes compie una operazione di rottura che si appoggia a due
passaggi argomentativi: (I) una svalutazione (mediante la sua riduzione a dispositivo
meccanico) del linguaggio, cui dunque tolta ogni specifica funzione cognitiva; (II)
una focalizzazione sulla ragione, assunta come facolt non graduabile, quale dotazione
specie-specifica, fondata per cos dire a divinis, dellessere umano. Correlativamente,
in Descartes e nei cartesiani, ha luogo una strategia riduzionista tutte le volte che si
tratti di valutare o interpretare un comportamento comunicativo da parte degli animali. Lintento cio di dimostrare che quelli che, visti dallesterno, possono sembrare
comportamenti simil-umani, a unanalisi razionale risultano esplicabili mediante argomenti di livello inferiore: una tecnica, curiosamente, non dissimile da quella che
a fine Ottocento, in polemica coi darwiniani, sar seguita da psicologi comparati di
orientamento behaviorista quali Morgan e Thorndike. Cos, per esempio, Grauld de
Cordemoy (1620-1784) sonda nel suo Discours physique de la parole (1668) un percorso
anatomico-funzionale per spiegare le manifestazioni espressive delle bestie, ricondotte
sotto letichetta di gridi istintuali. Lidea che questi ultimi siano resi possibili, sul
piano fisico, da un apparato respiratorio (polmoni, trachea) e masticatorio (lingua, denti, palato) che pu essere convocato nella realizzazione di suoni; sul piano cerebrale e
nervoso, da una sorta di sinergia che interviene fra le percezioni uditive, gli spiriti da
esse innescati nel cervello, i muscoli corrispondenti alla realizzazione di suoni simili,
sorretti da un adeguato flusso di sangue nei polmoni. Insomma, secondo Cordemoy, le
bestie non hanno bisogno dellanima per gridare o formare parole (1668 [2006: 174]),
laddove la parola nelluomo segno che ha unanima (2006: 176). Le manifestazioni
espressive degli animali sarebbero dunque lanalogon dei gridi istintuali degli umani,
che si situano al di qua del vero e proprio linguaggio. Inversamente, in Lucrezio come
in Montaigne quei gridi sono visti come vere e proprie forme di comunicazione (pi
esattamente, di espressione) di una sfera conoscitiva elementare, fatta di bisogni, emozioni, desideri: la stessa che si situa alla base della gamma conoscitiva e espressiva degli
esseri umani. A rigore, forse con la sola eccezione dellanonimo e misterioso autore del
Teophrastus redivivus (1659?), nessun filosofo continuista sostiene una piena e reale
sovrapponibilit fra linguaggio umano e linguaggi bestiali: i secondi vengono per lo
pi presentati come lo stadio iniziale del primo, ancorati a quella dimensione sensitiva
che, insegnava Aristotele, diversamente dallanima intellettiva, era in sostanza comune
agli umani e agli altri animali.
Sarebbe molto interessante seguire nei dettagli le strategie argomentative che, lungo
il Seicento, elaborano concezioni non cartesiane dellanimale parlante. Un caso straordinario, purtroppo un po dimenticato, quello dellanatomico e chirurgo Girolamo
1

Rimando a Gensini / Fusco (2010) per una sintesi storica e per i testi essenziali.

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Fabrici di Acquapendente (1533-1619), allievo di Falloppio e professore a Padova nei


primi anni del secolo, cui si deve fra laltro un trattatello, De brutorum loquela (1603),
che rappresenta a mio avviso quanto di meglio questa zoosemiotica ante litteram abbia
saputo produrre nella prima modernit. Sviluppando soprattutto fonti aristoteliche e
della medicina ippocratico-galenica, Fabrici accredita svariate specie animali di una
vera e propria voce articolata, di una loquela dunque, cui corrisponderebbero attivit
conoscitive di grado, certo, emozionale e affettivo, ma comunque di grande variet e
sofisticatezza. Secondo Fabrici possibile identificare tipi differenti di loquela a seconda
delle specie, e di ciascuna altres possibile estrapolare il vocabolario, correlando in
modo sistematico le espressioni vocali delle bestie in esame (i loro articuli) ai contesti
in cui vengono realizzate, che ne illustrano empiricamente, per dir cos, la semantica.
Fabrici propone un vero e proprio programma sperimentale di analisi della comunicazione animale2 che, per quanto mi risulta, verr accantonato sotto lurto della svolta
cartesiana, e torner di attualit solo molto pi tardi, a valle della formulazione dellevoluzionismo darwiniano (un buon esempio di ci sar il lavoro di George Romanes).
La dislocazione del dibattito dal piano sperimentale al piano gnoseologico-metafisico
effettuata da Descartes si coglie bene nella risposta che un autorevolissimo esponente
del fronte continuista, Pierre Gassendi (1592-1655), d agli argomenti-chiave del grande
razionalista.
Ratione, inquis, carent Bruta: sed nimirum carent humana, non sua; adeo
proinde ut non videantur aloga dicenda, nisi comparata ad nos, seu ad nostram speciem, cum alioquin logos, seu ratio tam videatur esse generalis, possequi illis attribui, quam facultas cognoscens, sensusve internus. Dicis ea non
ratiocinari. Verum, cum ratiocinentur non tam perfecte, deque tot rebus, ac
homines; et ratiocinantur tamen, et nihil videtur discriminis, nisi secundum
magis et minus. Dicis ea non loqui: sed cum non proferant voces humanas
(scilicet homines non sunt) proferunt tamen proprias, iisque ut nostris perinde utuntur. Potest, inquis, etiam delirus plureis voces contexere ad aliquid
significandum, cum nihilominus id non possit Brutorum sapientissimum. Sed
vide, an sis satis aequus, qui voces humanas exigis in Bruto, nec attendis ad
proprias (1654 [1641]: 11).

Di solito gli studiosi insistono sulla prospettiva della continuit nella differenza,
espressa nella formula secundum magis et minus, che rimarr una costante del dibattito
filosofico fino a Condillac e oltre. Ma laspetto pi interessante di questa quinta obiezione gassendiana, ci che la rende da vari punti di vista effettivamente moderna, il
suo rifiuto di valutare le prestazioni espressive e conoscitive degli animali sempre e solo
per confronto con, e in funzione di, quelle umane. Se lottica pur sempre quella di
un confronto rispetto a un presunto stadio di perfezione, nel quale stiamo ovviamente
acquartierati noi umani, inevitabile che gli animali risultino esseri deficitari, destituiti di una propria legittimit sia sul piano del capire sia su quello del comunicare. Il
punto sembra dunque quello di considerare le abilit animali iuxta propria principia,
2
Sulla figura e lopera di Fabrici, vista in chiave di storia della semiotica, cfr. Tardella (2011) e Gensini
(2011).

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in relazione cio sia alla propria organizzazione corporea, sia alle proprie, specifiche,
finalit naturali, cui corrispondono sia le funzioni dellanima, sia le attitudini espressive.
questa la strada, sia detto per inciso, che lo stesso Gassendi segue nella successiva
Fisica, una impegnata sintesi fra la teoria epicurea dellorigine del linguaggio e lanalisi
dellapparato fonatorio e articolatorio umano risalente allopera biologica di Aristotele.
Chiusasi la fase pi appassionata del dibattito post-cartesiano, la querelle sul linguaggio degli animali (non quella sulla loro anima) perde smalto: non ve n praticamente
traccia nelle grandi voci del Dictionnaire di Bayle, che pure illustrano in maniera dettagliata la discussione sullme des btes3, e in tutta la prima met del secolo successivo
essa affiora solo nellAmusement philosophique sur le langage des btes (1739) di padre
Guillaume-Hyacinthe Bougeant (1690-1743), unoperetta polemica priva di ogni afflato
sperimentale, e che tuttavia bast a causare molte noie al suo autore. Bisogna arrivare
allAbhandlung ber den Ursprung der Sprache (1772) di Herder, per leggere, fin dalla
prima pagina, che gi in quanto animale luomo ha un linguaggio (schon als Tier hat
der Mensch Sprache (1772 [1995: 31]); ma in fin de conti, solo quando entra in scena
Darwin che il materiale osservativo in tema di comunicazione animale, pazientemente
accumulato dai naturalisti fra secondo Settecento e primi decenni dellOttocento, viene
in luce, esposto e sviluppato nel suo enorme potenziale teorico. Si tratta di opere oggi
dimenticate, come ad esempio la Naturgeschichte der saeugethiere von Paraguay (Basel
1830) di J. R. Rengger, alle quali Darwin attingeva dettagli di enorme interesse (ve ne
sono perfino sui segnali di allarme delle scimmie, 150 prima dellarticolo di Seyfarth e
collaboratori!) che gli avrebbero dato lo spunto sia per le famose sezioni di Descent of
Man (1871) dedicate alle capacit mentali degli animali non umani, sia per la distesa
trattazione di Expression of Emotions in Man and Animals (1872). A questaltezza cronologica, messe da parte le ipoteche di ordine teologico e metafisico, diviene possibile
non solo accreditare gli animali non umani di capacit cognitive e comunicative, sia
pure a un livello di complessit molto inferiore rispetto agli esseri umani, ma soprattutto vedere quelle capacit come il corrispettivo di storie evolutive aventi ciascuna una
propria peculiarit, e dunque un posto specifico, non subordinato a parametri esterni,
nellordinamento del mondo naturale.
Malgrado Darwin, non finisce tuttavia con Darwin, lo abbiamo gi accennato, la
battaglia sullanimale pensante e parlante4. Allievo e collaboratore fidato del grande
naturalista inglese, George Romanes (1848-1894) d alle stampe nel 1882 il massiccio
volume Animal intelligence, che cerca di supportare le posizioni del maestro con una
mole di esperienze riferite da osservatori di ogni paese. La critica che fu rivolta a questo
lavoro da Conway Lloyd Morgan (1852-1836) nella sua Introduction to comparative
psychology (1903) resta un classico dellapproccio riduzionista: in nessun caso questo il nocciolo del cosiddetto canone di Morgan possiamo interpretare unazione
come il prodotto di una facolt mentale superiore, se possibile interpretarlo come il
frutto di una facolt pi in basso nella scala psicologica. Pertanto presunti atteggiamenti
consapevoli da parte degli animali possono essere il pi delle volte riportati a substrati
3

Esiste in proposito una ampia bibliografia. Per una sintesi e i testi essenziali rimando a Marcialis
(1973).
4
Valgano come indicazioni bibliografiche dinsieme su questa fase storico-teorica Boakes (1984) e Richards (1987).

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istintuali, e va respinto il lessico mentalista usato a proposito (coscienza e simili); daltra


parte, presunti apprendimenti per astrazione possono, e di norma vanno ricondotti a
dinamiche meramente meccaniche e associative, del tipo prova ed errore. Lapproccio
di Romanes sarebbe dunque viziato da inguaribile aneddoticit, anche perch le osservazioni da lui riportate erano state raccolte (o riprese da autori che le avevano compiute)
in condizioni casuali, uniche, non ripetibili con il rigore e la sistematicit della ricerca
di laboratorio. Nei primi anni del Novecento, il celebre caso di Clever Hans (il cavallo
che sembrava in grado di compiere complicate operazioni aritmetiche, e che invece
risult essere solo straordinariamente sensibile ai messaggi inavvertitamente mandatigli
dal padrone, un certo von Osten, sempre presente ai test) sembr la riprova di quanto
il paradigma darwiniano rischiasse di sovrastimare le capacit intellettive delle bestie,
e il prudente approccio comportamentista, diffidente di qualsiasi elemento sfuggente
allosservazione diretta, ne risult per buon tratto rafforzato5.
1.4. Un teorico della continuit (quasi) dimenticato: George Romanes
Nella critica portata da Morgan a Romanes, un ruolo tutto particolare compete al
linguaggio. Il tema si era posto come centrale gi allaltezza del confronto di Darwin
con le tesi del sanscritista tedesco Friedrich Max Mller (1823-1900), dal 1858 ascoltato professore di Filologia comparata nellUniversit di Oxford, che aveva messo la
teoria della unicit del linguaggio umano al centro del suo approccio sostanzialmente
idealistico-religioso, ricco di temi humboldtiani, al problema. A breve distanza dallOrigin of species, nelle sue famose Lectures on the science of language (1861) Mller aveva
presentato il linguaggio come il Rubicone dellumano, quel confine che nessun bruto
avrebbe mai potuto superare. Con evidente riferimento alle tesi di Darwin, di Huxley e,
forse, anche alle scoperte di Paul Broca, che vengono rese note nello stesso anno delle
Lectures, Mller sostiene che however much the frontiers of the animal kingdom have
been pushed forward, so that at one time the line of demarcation between animal and
man seemed to depend on a mere fold in the brain, there is one barrier which no one
has yet ventured to touch the barrier of language (1861: 13).
Neppure i filosofi sensisti del Settecento, che riducono tutto il pensiero alla sensazione, e men che meno il loro predecessore a maestro, Locke, generally classed together
with these materialistic philosophers (1861: 14), hanno osato mettere in dubbio tale
assunto, che va dunque ribadito erga Darwin e i suoi seguaci.
Riprendendo il problema alla fine degli anni Ottanta, a valle di Expression of emotions
e del grande successo internazionale incontrato dalle teorie darwiniane, Romanes cerca
di portare argomenti di fatto e di diritto alla concezione continuista del linguaggio.
soprattutto nella trattazione del volume Mental evolution in man (1889) che tale concezione viene ampiamente dispiegata, non solo col corredo, come al solito in Romanes,
di osservazioni sul campo attinte alla propria e altrui esperienza, ma anche a premesse
teoriche che meritano attenzione. La prima mossa di Romanes quella di svincolare
la nozione di linguaggio da un esclusivo apparentamento con la parola articolata. Ci
5

Il testo classico su questo caso, tanto discusso anche in anni vicini a noi, Pfungst (1911).

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viene fatto nel capitolo V dellopera, mediante un riferimento alla nozione di faculty
of language in quanto sovraordinata alle diverse modalit di espressione (parole, toni,
gesti ecc.), elaborata da Paul Broca: Romanes non cita la fonte della sua citazione, ma
essa pu essere subito identificata nelle Remarques sur le sige de la facult du langage
articul, suivies dune observation daphmie (perte de la parole) pubblicate nel 1861 nel
Bulletin de la Socit Anatomique dove si legge che:
Il y a, en effect, plusieurs espces de langage. Tout systme de signes permettant dexprimer les ides dune manire plus ou moins intelligible, plus ou
moins complte, plus ou moins rapide, est un langage dans le sens le plus
gnral du mot: ainsi la parole, la mimique, la dactylologie, lcriture figurative, lcriture phontique, etc., sont autant despces de langages. Il y a une
facult gnrale du langages qui prside tous ces modes dexpression de
la pense, et qui peut tre dfinie: la facult dtablir une relation constante
entre une ide et un signe, que ce signe soit un son, un geste, une figure, ou
un trac quelconque6.

In effetti Broca aveva in mente e lo aveva ripetuto in un successivo dibattito con


Auguste Voisin toutes le langages de convention (1866: 378), evidenti prerogative degli
esseri umani, ma Romanes amplia e generalizza in senso interspecifico il concetto di
facolt di linguaggio, in una chiave che probabilmente non dispiacerebbe agli etologi
di oggi. Posta dunque una parit di principio tra le forme di espressione, e riguadagnati
al territorio del linguaggio latamente inteso sia i proferimenti articolati dei talking birds,
sia i molteplici latrati dei cani, sia vocalizzi e gesti delle scimmie antropomorfe, Romanes
non ha difficolt a ammettere che il linguaggio umano superi di buon tratto tutti questi
per ricchezza e complessit, in corrispondenza di una organizzazione mentale, imperniata sulla autocoscienza, cui nessun animale non umano in grado di pervenire. Fra
linguaggi animali e linguaggio umano (speech) sussiste dunque una differenza di grado,
e molto importante, allinterno per di una scala evolutiva condivisa.
La seconda mossa di Romanes un tentativo di caratterizzare nel dettaglio il nesso
continuit-differenza appena istituito. Lo fa utilizzando come schema di lavoro una
pagina delle Lessons from Nature as manifested in Mind and Matter (1876) del biologo
George Jackson Mivart (1827-1900), il quale, dopo uniniziale adesione allevoluzionismo darwiniano, se ne era distanziato su premesse religiose, in una complicata diatriba
teorica che aveva coinvolto, in varie fasi, Huxley, George Darwin, figlio del grande
naturalista, Chauncey Wright e Darwin stesso. Nelle sue Lessons Mivart criticava Darwin per non aver distinto i vari sensi in cui sounds e gestures sono suscettibili di
assumere significato: gli unici pertinenti alla specie umana erano, a suo avviso, (a) i
suoni which are both rational and articulate, i quali constitute true speech (1876:
83) e (b) i gesti che corrispondono a concetti razionali, e funzionano pertanto come
manifestazioni external but not oral [] of the verbum mentale (1876: 83), come
tipico anche dei sordomuti (il lettore riconosce a prima vista nei termini in corsivo
6
Questo passo verosimilmente fu tenuto presente da Saussure nella sua caratterizzazione della facult
de langage (1972: 19-23), come pure nel famoso passo su lingua e linguaggio in relazione alla semiologia
(1972: 25-27).

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una riedizione delleterno lgos endithetos degli Stoici). N i suoni, articolati ma non
razionali, dei pappagalli, n i gesti che manifestano solamente emozioni di tante specie
animali rientrano dunque nel dominio dellumano, segnando il vero discrimine, non
individuato correttamente da Darwin, che ha dato luogo al Descent of Man (1876: 85).
Nel rifarsi a Mivart, con le modifiche che subito vedremo, Romanes cerca di conferire,
se cos lecito esprimersi, un carattere bipartisan al suo argomento, evitando una secca
contrapposizione di principio con i difensori della unicit dellumano, e insieme identificando nella elevata capacit di astrazione e nel dispositivo della autocoscienza due
specifiche di quella unicit nelle quali sia lui sia the most advanced idealist (1897/1885:
78) potevano ritrovarsi.
Ecco lo schema in cui Romanes cerca di distribuire, organizzandoli, i vari livelli della
facolt di linguaggio (1889: 85):

Fig. 1 - Gli stadi dellattivit linguistica secondo Romanes.

Posto dunque, con Broca, che far uso di segni (non solo, dunque, di parole) sia
pleno iure linguaggio, i punti 1-6 dello schema sono certamente condivisi dagli animali
non umani, mentre il punto 7, quello dei segni convenzionali a carattere intellettuale,
rappresenta un delicato punto di confine con le capacit specifiche delluomo. Il terreno
privilegiato sul quale la comparazione interspecifica va effettuata quello dellintenzionalit, una nozione che Romanes utilizza in senso lato, quasi come sinonimo di
intercomunicazione. Pertanto api e formiche, animali altamente sociali cui sono dedicate parecchie pagine, esibirebbero una comunicazione intenzionale-naturale che va
necessariamente riconosciuta come tale. Non ha senso, a tale livello, negare la presenza
di una forma, naturale appunto, di intelligenza, strettamente legata alla logica selettivoriproduttiva, che conseguentemente si accompagna a certe forme, ancora in larga misura da accertare, di comunicazione ( ancora di l da venire, a questaltezza cronologica,
la scoperta della danza delle api, mentre il carattere chimico della comunicazione di
certe specie di formiche viene argomentato con una certa sicurezza).
Un particolare interesse riveste in questo quadro luso del tono e del gesto come mezzi di comunicazione intenzionale (nel senso sopra spiegato). Osservazioni di naturalisti
come Ray e Rengger sono richiamate per identificare rudimentali forme di linguaggio
nelle modulazioni del richiamo presenti nelle galline o dei segnali di allarme del Cebus

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azarae, come pure nel cane domestico, che ha imparato a differenziare i suoi latrati (solo
apparentemente uniformi) a seconda delle sue emozioni e delle modalit di interazione
con luomo. Il tono , in questo senso, un importante link fra i linguaggi delle specie
inferiori e il linguaggio umano, se solo si pensa, nota Romanes, alla funzione che esso ha
nellespressione delle passioni o in certi casi, come nel cinese, nella vera e propria moltiplicazione dei sensi delle parole che esso consente. Lo stesso dicasi del gesto: elefanti,
gatti, cani, maiali risultano capaci di comportamenti corporei che assumono il valore di
veri e propri gesture-signs di carattere indicativo, come esemplarmente testimoniato dal
caso del cane da punta. Che negli animali si possano identificare gesti ha evidentemente
importanza strategica, non solo al fine di dimostrare che in essi si annida the germ of
the sign-making faculty, ma anche che il linguaggio umano possa having arisen by
way of a continuous development from this germ (1886: 102). Del resto, la tradizionale
teoria del gesto come nocciolo originario del linguaggio (si pensi almeno ai segni mutoli
di Vico e al langage daction condillachiano) era stata ultimamente rinverdita da Edward
Burnett Tylor (1832-1917) nella chiave di una inchiesta antropologica sulla genesi delle
capacit mentali umane: come sembrava testimoniare da pi parti lesperienza delle
popolazioni semiprimitive raggiunte dai ricercatori, senza il supporto dei segni-gesto la
stessa parola (speech) non avrebbe preso forma, finendo poi con limporsi grazie ai suoi
superiori poteri funzionali e adattivi (cfr. Researches into the Early History of Mankind,
1878, ripetutamente citate da Romanes).
La parola in quanto tale sembra prestarsi per Romanes allesercizio delle facolt psicologiche superiori: mentre il gesto, per quanto flessibile, resta ancorato agli oggetti materiali (1889: 147) e alla situazione contingente di comunicazione, la parola, pi leggera
da fruire (in quanto lascia libera la mano) e pi indipendente dal contesto (anzitutto da
quello fisico delle condizioni di luce), asseconda il formarsi dellastrazione, ovvero di
concetti che radunano sotto classi interi insiemi di fatti e circostanze concrete. La parola
abilita cio uno spostamento dalla considerazione meramente indicativa delloggetto alla
sua denominazione, che implica la sussunzione delloggetto medesimo in una classe di
elementi retta da qualche criterio di similarit; ed naturalmente questo il presupposto
per la predicazione, ovvero per lapposizione concettuale di due denominazioni, nocciolo di ogni possibile processo argomentativo. Erede in ci della tradizione empirista
britannica, rafforzata dal logicismo milliano, Romanes vede pertanto una sinergia fra
parola e pensiero, che tendono a concrescere e a condizionarsi reciprocamente. In questo
quadro si pongono diversi problemi, convergenti nellesigenza di indicare, se c, il punto
di confine del linguaggio umano rispetto a quello delle altre specie animali.
Un tema centrale, dal punto di vista psicologico, il seguente: posto (cfr. il curioso
albero dei segni offerto in Romanes 1889: 88) che gli animali non umani partecipino
dei segni convenzionali, si apre nel novero di questi la biforcazione fra segni emozionali
e segni intellettuali. Sia pure con cautela, Romanes dellidea che anche alcune specie
non umane siano in grado di un uso intellettuale del segno, beninteso di livello basico.
Visto che questa tipologia di uso ammette una quadripartizione in usi denotativi e
connotativi, e successivamente denominativi e predicativi, si pu formulare lipotesi che
sia il livello denotativo quello sul quale collocare le espressioni animali evidentemente
intese a indicare loggetto nella realt. Sappiamo bene quanto, ancora nei dibattiti degli
anni Duemila, sia controversa lopinione che riconosce agli animali non umani capacit
di additamento referenziale: Romanes non ha dubbi in proposito:

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The parrot which depresses its head to invite a scratching, the dog which begs
before a wash-stand, the cat which pulls ones cloche to solicit help for her
kitten in distress all these animals are making what I call indicative signs.
(1889: 158)

Pi in dettaglio, i celebri e discussi uccelli parlanti ad esempio condividono con


i bambini che cominciano a apprendere il linguaggio luso di nomi as notae, marks,
of particular objects, qualities, and actions (1889: 158-9); ma mentre essi si fermano
a questo stadio denotativo, i bambini velocemente imparano a estendere quei nomi to
any other similar objects, qualities, or actions of the same class (1889: 158-9), evolvendo cio verso un uso connotativo degli stessi segni. Si sa come Vygotskij avr modo,
qualche decennio dopo, di ribaltare questo punto di vista, ingenuamente induttivista,
proposto da Romanes e tanti altri psicologi.
Un secondo, e ancor pi delicato tema verte sul rapporto fra articolazione e parola.
Che larticolazione sia data, in base a certi caratteri anatomici, a specie certamente
lontane dalle capacit psicologiche delluomo, come corvi e pappagalli; e che invece
non sia data a specie, come le scimmie antropomorfe, che hanno cos tanto in comune
con noi, rivela secondo Romanes che quel rapporto non rigidamente determinato:
dallarticolazione non discende di necessit la parola, cos come dalla mancanza di essa
non discende necessariamente una inferiorit psicologica. Ma come spiegare questi apparenti squilibri, come pure il fatto che, nel novero delle scimmie antenate delluomo, ne
sia finalmente apparsa una dotata di capacit articolatoria? La risposta rimane, comera
e in parte resta ovvio che sia, in sospeso. Seguendo Huxley, Romanes fa riferimento al
fatto che ogni tappa evolutiva caratterizzata da una complessit di fattori adattivi che,
mentre rende le specie volta per volta attrezzate alla sopravvivenza, pu sfuggire a chi
cerchi a posteriori di ricostruirne la logica. Lo studioso tende per a separare sviluppo
anatomico e sviluppo psicologico, attribuendo a accidenti evolutivi la mancata coincidenza dei due processi che ha luogo nelle specie di scimmie a noi note. In termini pi
espliciti, le scimmie superiori would be psychologically apt to learn the use of words
from man, were it not for some accident of anatomy which stands in the way of their
uttering them (1889: 153).
Rimandando la spiegazione del mancato link a una sfuggente complessit del processo evolutivo, Romanes si preclude pertanto la possibilit di intendere come ladattamento (e dunque linterazione fra aspetto psicologico e struttura anatomica) possa implicare
una riconversione, parziale o totale, di certi organi agli scopi della sopravvivenza. Lidea,
oggi familiare, della rifunzionalizzazione a fini fonatori dellapparato respiratorio e della
struttura del cavo oro-faringeo resta pertanto fuori da questo orizzonte; la dimensione
del gesto e del gesto vocale (tali sono tipicamente le vocalizzazioni di gorilla e scimpanz) resta il terreno pi avanzato per istituire il confronto allinterno del mondo dei
primati.
1.5. Il canone di Morgan ovvero leclissi dei linguaggi animali
Come ricordato sopra, la critica di Morgan a Romanes sort effetti distruttivi. La polemica cominci con un articolo, Animal intelligence, pubblicato da Morgan in Nature

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(26, 1882), che reagiva alle posizioni palesate dal seguace di Darwin sia nello scritto
Intellect in brutes (pubblicato dalla stessa rivista tre anni prima), sia nellampio volume
del 1882. Ma in tutte le sue opere successive Morgan ribad il suo punto di vista sia sul
piano metodologico (il carattere episodico delle osservazioni riportate da Romanes le
rendeva poco attendibili scientificamente), sia sul piano dei princpi (meglio, dinanzi
a una presunzione di razionalit nelle bestie, utilizzare il rasoio occamiano invocando
spiegazioni di basso livello, pi economiche e meglio fondate fattualmente). La sostanza della questione toccava il concetto di astrazione, sollevato da Romanes a proposito
di quel che succede nella testa di un cane quando questo vede un biscotto. Lidea di
Morgan era che il cane elaborasse concetti come buono da mangiare in esclusivo nesso
col biscotto, il suo odore, il suo gusto ecc.; solo lessere umano perviene a cogliere la
commestibilit in quanto concetto a s stante, separabile dalle sue instanziazioni concrete, e pu farlo perch dispone di un linguaggio che gli consente, appunto, di fissare
e isolare le nozioni.
In un saggio pubblicato nel 2000, Gregory Radick ha aggiunto un elemento importante al quadro appena esposto, illustrando come, per quanto concerneva il problema
del linguaggio, un punto-chiave (per ovvi motivi) della polemica con Romanes, Morgan
attingesse a piene mani agli argomenti di Max Mller, col quale entr peraltro in rapporto diretto a partire dal 1887. Mller era ben noto per il suo antidarwinismo e il suo
antimaterialismo, che lo avevano portato a respingere la rilevanza delle recenti scoperte
sullallocazione cerebrale del linguaggio, sostenendo che ridurre questa miracolosa dotazione umana a una piega della corteccia fosse poco meno che uneresia. Non su
questo terreno, ovviamente, che Morgan segue il linguista tedesco, bens sullassunto
della particolarit tutta e solo umana del linguaggio, sinonimo di razionalit dispiegata, che si incastrava perfettamente con gli assunti comparativi dello psicologo inglese.
La congiunzione delle due prospettive, quella idealistica di Mller e quella, presentata
come prudentemente empirico-scientifica, di Morgan, ebbero leffetto di togliere spazio
da due lati diversi, se cos si pu dire, al lavoro di Romanes. Sta di fatto che quando
nel 1903 Morgan pubblica, a mo di summa della sua lunga ricerca, la gi ricordata
Introduction to comparative psychology, il tema della intelligenza animale recisamente separato da quello della razionalit ed confinato al concetto di inferenza pratica;
mentre il tema del linguaggio retrocede sullo sfondo. Pochi anni dopo, nella trattazione
Animal Intelligence (1911) del successore di Morgan, Edward L. Thorndike (1874-1949),
il fondatore riconosciuto della psicologia comparata di impostazione behaviorista, la
dimensione intellettiva dei primati non umani definitivamente localizzata nel territorio dellapprendimento per associazione, e si cercherebbe invano un solo paragrafo
dedicato al tema del linguaggio.
Si ha dunque, tra fine Ottocento e primo Novecento, una sorta di eclissi del tema
del linguaggio animale nella psicologia comparata pi accreditata sul piano accademico-scientifico. A ci non dovette essere estraneo linsuccesso toccato agli esperimenti dellautodidatta naturalista nordamericano Richard Lynch Garner (1848-1920)
in tema di simian tongue7. Dopo aver pubblicato una quantit di articoli in riviste di
divulgazione scientifica, questi aveva dato alle stampe a Londra unattraente monogra7

La storia di questo caso ora raccontata e discussa storicamente da Radick (2007).

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fia, intitolata The speech of monkeys (1892, trad. ted. 1905), nella quale si presentava
una sorta di rassegna delle parole delle scimmie ospitate nel giardino zoologico di
Cincinnati e successivamente in quello di New York: dopo una (a suo dire) accurata
registrazione mediante il fonografo, e sulla scorta della osservazione sistematica delle
circostanze di enunciazione, Garner poteva ritenere di aver identificato i segni vocali
mediante i quali le sue scimmie si chiamavano fra loro, indicavano il cibo e lacqua,
affermavano e negavano, esprimevano emozioni e pensieri e cos via. Lassunto di
base era, ovviamente, che le scimmie, e in particolare quelle pi prossime alluomo
come gli scimpanz, fossero in grado di processi psicologici di alto livello; ma Garner
si spingeva, senza peraltro dare evidenze empiriche di ci, perfino a sostenere che the
phonetic basis of human speech more closely resembles that of the Simian than any
other sounds (1892: 137).
Si situa a questo punto il progetto di un viaggio in Congo, al quale Garner affidava
la speranza di una ampia e sistematica registrazione, mediante il fonografo, delle performances vocali delle scimmie, non pi solo, per, di quelle in stato di cattivit, ma di
animali allo stato libero, in condizione quindi di offrire un documento massimamente
obiettivo delle proprie capacit. Il progetto ebbe una certa risonanza negli ambienti
dellantropologia del vecchio continente, anche perch Garner si trattenne a lungo in
Gran Bretagna per certi suoi lavori preparatorii. A detta di Radick, perfino Morgan deve
aver guardato con curiosit a questo naturalista dilettante, forse alla vigilia di scoperte
empiriche del massimo momento; e ci, malgrado The speech of monkeys esibisse a
iosa quel carattere aneddotico e un po romanzato che Morgan deprecava quando si
trattasse delle capacit conoscitive delle bestie. Tuttavia, limpresa africana si rivel un
fallimento: Garner non port a casa nessuna nuova evidenza empirica (il suo Gorillas
and Chimpanzees, pubblicato nel 1896, fu del tutto deludente sotto questo rispetto),
insorsero sospetti sui veri scopi del suo viaggio (si ipotizzava fossero non scientifici,
ma commerciali), si disse perfino che lamericano non aveva passato un solo giorno in
compagnia delle sue amate scimmie. Si comprende senza fatica, a questo punto, come
Morgan e i suoi avessero buon gioco nel respingere i tentativi di accreditare di un linguaggio gli animali diversi dalluomo: secondo lespressione utilizzata in Animal behavior (1900), la parola animale un mattoncino isolato; possiamo, studiando le galline o
se si preferisce i cani, mettere insieme una o due dozzine di questi mattoncini, ma non
arriviamo a mettere insieme un edificio: language, properly so called, is the builded
structure, be it a palace or only a cottage (1900: 205). Il linguaggio, insomma, o un
tutto organizzato, o semplicemente non : ladagio humboldtiano, giunto a Morgan
tramite Max Mller, tornava a farsi valere. Sicch, come giustamente conclude Radick,
[b]y the turn of the century the victory of Morgans canon over Garners phonograph
was virtually complete (2000: 21).
1.6. Da Khler a Cassirer: verso un nuovo paradigma
Bisogner aspettare un quarto di secolo perch, grazie stavolta al lavoro pionieristico di un naturalista di mestiere, Robert M. Yerkes (1876-1956), il programma di
Garner venga posto su serie basi scientifiche: Chimpanzee intelligence and its vocal
expressions (1925), realizzato da Yerkes con la collaborazione di Blanche W. Lear-

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ned, sar il frutto, destinato a ampia eco internazionale, di questa nuova stagione
di studi. Quando appare il libro di Yerkes, lo scenario della psicologia comparata
gi profondamente mutato: davanti al poderoso filone behaviorista, che durer fino
a Skinner e oltre, prende piede ormai la ricerca zoologica, orientata in senso gestaltista, di Wolfgang Khler (1887-1967), la cui celebre monografia sullintelligenza nelle
scimmie antropoidi (ed. orig, in ted., 1917, 2a ed. 1921), testata attraverso la capacit
di utilizzare strumenti, viene tradotta in inglese nel 1925 e in seguito pi volte riedita.
Accanto agli esperimenti di Khler, cominciano a circolare i risultati delle ricerche
sul linguaggio delle api dello scienziato austriaco Karl von Frisch (1886-1982, ber
die Sprache der Bienen. Eine tierpsychologische Untersuchung esce negli Zoologische
Jahrbcher del 1923), che come si sa dovevano assumere col tempo un valore paradigmatico sia in etologia sia in zoosemiotica cognitiva. Lidea che i processi cognitivi
degli scimpanz abbiano carattere non meramente associativo, ma olistico, funzionino
cio come strutture unitarie, guidate dalla percezione dello spazio, in riferimento a
situazioni complesse in cui grande peso ha la posizione e il ruolo dellanimale nel
gruppo e la relazione di questo con lambiente, apre una nuova fase nello studio delle
somiglianze e differenze rispetto alla organizzazione intellettuale degli umani. Dinanzi
a delle difficolt nel raggiungimento del cibo, gli scimpanz di Khler riescono a esibire
un Umwegverhalten, trovano cio vie indirette di successo mediante lutilizzazione
come veri e propri strumenti di oggetti resi disponibili nellambiente (un bastone, delle
casse che si possono sovrapporre ecc.).
Lesemplarit del lavoro di Khler non sfugg a chi, come Lev S. Vygotskij, in quegli
anni si interrogava sulla genesi e la struttura delle funzioni psichiche superiori dal punto
di vista sia filogenetico che ontogenetico e sul ruolo giocato dal linguaggio nel transito
dalla prima infanzia allet scolare. Nei risultati di Khler, Vygotskij vede la conferma
che la dimensione della strumentalit, esibita, sia pure in maniera rudimentale, dagli
scimpanz di Tenerife, rappresenta il punto di congiunzione fra levoluzione del pensiero nei primati non umani e nelluomo, mentre i risultati di Yerkes e collaboratori
rivelano importanti analogie nella fase espressiva-emozionale delle produzioni fonicoacustiche. Pensiero e linguaggio sembrano dunque avere, sia nello scimpanz sia nel
bambino piccolo, radici genetiche differenti, nel senso che lincontro e la reciproca
influenza delle due variabili pi un punto darrivo che un punto di partenza del processo di crescita, destinato, nellessere umano, a innescare capacit cognitive superiori,
realmente specie-specifiche. Nella lettura del grande psicologo russo, la cui profondit
solo di recente stata apprezzata nel mondo di lingua inglese, tocca al potere regolativo e
auto-regolativo del linguaggio, che fra i tre e i sette anni si sdoppia in linguaggio interno
e linguaggio sociale, dare la spinta che consente agli umani di conferire oggettivit agli
strumenti, finalizzandoli non solo alla soluzione di problemi locali, ma al controllo e
alla trasformazione del loro ambiente8.
Nello stesso anno di Pensiero e linguaggio, lo psicologo tedesco Karl Bhler d alle
stampe la sua Sprachtheorie, forse la trattazione filosofico-linguistica pi importante
della prima met del Novecento: la consistenza e il significato teorico delle ricerche sul
8
Si vedano i lavori del 1930 raccolti in La scimmia, luomo primitivo e il bambino, realizzati in collaborazione con Alexander Lurija, e soprattutto lampia discussione di Pensiero e linguaggio, 1934, capp. IV
e VII nella bella edizione italiana a cura di Luciano Mecacci.

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linguaggio degli animali sono qui perfettamente presenti, le forme animali di comunicazione prendono il loro posto nellOrganon-Modell, o meglio ne coprono due dei tre
vertici definitorii: quello della funzione espressiva, per cui il segno notifica (Kundgabe)
della posizione psicologica del mittente, e quello della funzione appellativa (Auslsung
o Appell), per cui il segno fisiologicamente innesca una reazione da parte del ricevente.
La funzione rappresentativa (Darstellungsfunktion), per cui il linguaggio stabilisce un
rapporto di simbolizzazione rispetto a oggetti o stati di cose, sembra invece a Bhler
una prerogativa specie-specifica degli umani. Val la pena notare che questo punto di
vista, sostenuto da Bhler gi negli scritti degli anni Dieci, era stato accolto dallo stesso
Khler in un saggio sulla psicologia degli scimpanz (1922: 27), ripreso nelle edizioni
inglesi dellopera maggiore9.
Infine nel 1944, sintetizzando per il pubblico di lingua inglese la sua filosofia delle
forme simboliche, Ernst Cassirer prende lo spunto dalleterno problema dellintelligenza e della comunicazione animale per definire lo spazio tutto umano della simbolicit
del conoscere (che trova espressione nel linguaggio, nel mito, nellarte e nella scienza)
da cui dipende il suo progetto di una autentica filosofia della cultura. Le diverse, ma
convergenti lezioni di Khler e Bhler fanno capo secondo Cassirer allammissione del
pieno carattere segnico della comunicazione animale, imperniato sulla dimensione emotiva del linguaggio, che coinvolge membri della stessa specie e consente in particolare
agli animali domestici di reagire sensatamente al comportamento umano. Ma da essa
si distingue nettamente la comunicazione umana, che ha carattere simbolico nel senso
che accede alla rappresentazione / descrizione della realt e tramite ci alla dimensione
proposizionale (cognitiva) del linguaggio.
Nellaccingersi a tracciare le sue distinzioni, Cassirer sente la necessit, per dare un
ordine logico alla discussione sul cosiddetto linguaggio degli animali, di offrire una
Begriffsbestimmung der Sprache, una determinazione concettuale di ci che il linguaggio
veramente (1968: 86). Da questo, dallasserita simbolicit di questo, prende le mosse
largomentazione appena riassunta. Viene dunque spontaneo osservare che, per quanto
in questa nuova fase degli studi ci si sia lasciati alle spalle il pregiudizio riduzionista del
behaviorismo; per quanto un orientamento latamente semiotico abbia preso il posto del
rigido monocentrismo linguistico degli antidarwiniani; per quanto ammettere forme
di intelligenza e di comunicazione negli animali non umani non rappresenti pi, per
gestaltisti e filosofi neokantiani, un problema di principio: tuttavia la discussione resta
in qualche modo ancora una volta pregiudicata dallidea della inevitabile superiorit
del linguaggio umano, orientandosi secondo un percorso finalista che non pu che
penalizzare, collocandole in una sorta di limbo preparatorio al vero linguaggio, le
menti e i linguaggi altri.

9
Infatti Khler presentava come assodato (gesichert) che le loro [degli scimpanz] manifestazioni
fonetiche senza eccezioni esprimono condizioni e desideri soggettivi, sono cio suoni affettivi (Affektlaute) che non implicano mai descrizione o rappresentazione di alcunch di concreto. Con ci, nella fonetica
degli scimpanz occorrono cos tanti elementi fonetici delle lingue umane, che essi certamente non per
limiti periferici sono rimasti senza un linguaggio nel nostro senso. Avviene qualcosa di simile nella mimica
e nei gesti degli animali: nulla di ci indica qualcosa di obiettivo o ha funzione rappresentativa (Bhler)
(1922: 27). Val la pena rilevare che nella traduzione inglese (1951: 305) scompare il riferimento tecnico alla
Darstellungsfunktion e con esso il nome di Bhler.

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Lidea che ogni specie abbia lintelligenza e il linguaggio selettivamente adeguato per
la sua migliore, possibile sopravvivenza; e che dunque, senza nulla togliere alla ricchezza
e complessit del nostro linguaggio, si possa e si debba apprezzare ogni forma espressiva
di ogni specie iuxta propria principia, e non in relazione a noi umani: questa idea era
ai tempi di Cassirer, e in buona parte ancora oggi, pur dopo la crisi del cognitivismo,
filosoficamente e eticamente prematura. Per dirla con le parole di un grande zoologo
contemporaneo, Frans de Waal (2005 [2006: ???]), [o]gni periodo storico attribuisce al
genere umano un suo proprio tratto che lo distingue dagli animali. Poich consideriamo
noi stessi degli esseri unici, siamo sempre in cerca di conferme.

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