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Aiace Nota del traduttore Traduzione in prosa, prima di tutto: conseguenza a mio avviso necessaria del rispetto che si deve alla specificita del teatro, meraviglioso ircocervo composto di un testo linguistico stabile (che é@ legittimo chiamare copione anche se é opera di Sofocle o di Shakespeare), e di una parte mutevole e affidata all’inafferrabilita dell’istante, e solo per questo capace di creare un livello di empatia ineguagliabile, autenticamente esperienziale ed esistenziale. II presente di questa esperienza - converra esplicitarlo per evitare usi incongrui del concetto di attualita, col suo peggiorativo attualizzazione — pud e deve caricarsi di ogni memoria, coscienza, lontananza. In questa sintesi i valori del ritmo verbale e discorsivo escono dalla dimensione testuale per diventare quella che il maggior drammaturgo italiano di ogni tempo, Giuseppe Verdi, chiamava “parola scenica”, per farsi cio@ corpo sonoro organizzato e rideterminato dallo spazio teatrale: pertinenza dunque del regista. Ascanso di equivoci, servono due precisazioni: la prima é che questo spostamento non vale soltanto per una traduzione destinata a una specifica rappresentazione; al contrario varrebbe perfino per un testo destinato a non essere mai rappresentato, perché comunque lo sarebbe in quel teatro della mente, quella regia virtuale che ogni lettore di teatro é tenuto ad attivare, sotto pena che la sua lettura manchi appunto di specificita, e dell’interpretazione che le @ connessa, e che verrebbe a cadere se una tragedia 0 commedia venisse letta appunto come un romanzo o una lirica. La seconda é che qualsiasi traduzione di qualsiasi testo possiede un suo ritmo, che anzi é decisivo nel definirne identita e valore; ma il ritmo prosastico si presenta come un sistema di suggestioni aperto e relativamente poco marcato (potremmo definirlo discreto nel duplice senso che questa parola pud assumere, come il contrario cioé sia di impositivo che di continuo); il verso invece costruisce una gabbia perentoria, anche nel caso di metri liberi o irregolari; direi anzi pit perentoria quanto piu irregolare (cioé pili idiosincratica). Secoli di grande teatro si sono giovati di questa gabbia, che come ogni costrizione del codice é feconda produttrice di significati; oggi al contrario essi ci si possono aspettare dal ruolo opposto che le pud attribuire una forte innovazione creativa. Troppo pit frequente é il rischio che il verso funzioni da pura marca classicistica, sancendo la presunzione di un linguaggio elevato nello stesso senso in cui lo adopera nientemeno che Shakespeare quando all’interno della stessa struttura drammatica lo alterna alla prosa. Nella traduzione della tragedia greca spesso si ricorre a un’alternanza che sortisce lo stesso effetto anche se viene altrimenti motivata, con Vesigenza cioé di rendere in prosa le parti recitate (i giambi che gia Aristotele definiva prosaici) e in versi le parti cantate, in maggioranza i cori. Ma a parte il fatto che proprio la musica @ la massima destabilizzatrice delle strutture metriche (come ben sapevano i librettisti del melodramma europeo), la dignita reverenziale che in tal modo si attribuisce al coro collude malamente con uno dei pit’ dannosi pregiudizi romantici: quello che gli conferisce il ruolo di occhio divino, spettatore ideale, depositario della verita sapienziale. || coro é tutt’altro: rappresentante della cittadinanza degli spettatori, costituisce la mediazione della vicenda mitica e della sua straordinarieta al livello standardizzato dei loro valori: esemplificando su Aiace, troviamo la lode della concordia sociale (vw. 178-181), l’elogio e la nostalgia della patria (vv. 598-600, 1216-1221), la demonizzazione della guerra (vv. 1192-1210, che addirittura richiamano alla memoria una celebre quanto melensa elegia di Tibullo). Un’etica e una Weltanschauung che non é troppo antistorico chiamare borghesi, e talvolta addirittura piccolo-borghesi. Ancora dal coro dell’Aiace l’esempio pil eloquente: commoventi nella loro fedelta al loro capo, i marinai di Salamina sono tanto confinati nella generalita del principio di conservazione quanto Aiace, nel suo grandioso dolore, ne é libero: il confronto stride con una sgradevolezza degna di Shaw (0 pit semplicemente di Euripide) quando alla notizia della morte dell’eroe la reazione del coro é (v. 900) pot énGv véoTuv. Il “ritorno” che la morte di Aiace rischia di compromettere @ evocato con una brachilogia che attraverso il genitivo esclamativo patetizzante rende |’automatismo irresistibile col quale il desiderio primario si fa largo tra le remore sociali, che imporrebbero un’attenzione esclusiva alla sventura altrui. Purtroppo non @ opportuno trasportare pari pari in italiano Vesclamazione per via di una suggestione che illustro volentieri con qualche dettaglio, perché risulta un esempio metodologicamente utile dell’esigenza di concepire il traduttore come persona cosciente della cultura del suo tempo, e in essa degli imprescindibili depositi cristallizzati della tradizione. Trasportato infatti in italiano, Spot €wav véotwv rischia di sovrapporsi a una frase gemella che oltretutto ha dalla sua il valore aggiunto dell’explicit: alludo alle parole finali del Don Giovanni di Moliére, in cui Sganarello reagisce alla catastrofe del suo padrone, che come sappiamo coinvolge cielo e terra, enfatizzando la perdita che /ui ha subito con la ripetizione ossessiva di Mes gages (“i miei salari”). Gemella dunque non solo per la tournure, ma per la demistificazione parallela di quell’umano troppo umano che da voce all’egoismo naif. Tradurre “il mio ritorno!”, o piuttosto “il nostro ritorno!” (perché mi sembra prioritario conservare il carattere collettivo della persona corale) da un lato rischia di sembrare una citazione o mise en abime, con insopportabile effetto di raffreddamento; dall’altro, e ancor peggio, rischia di integrare nella nostra situazione dimensioni che appartengono all’altra, a cominciare dal degrado che é specifico del

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