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I cinque skhandha

di Fred van Allmen

Desidero presentare un modello dellessere umano che si potrebbe anche definire un mandala
delle possibilit umane, oppure uno dei molti possibili approcci alla domanda "chi sono io?".
Basandoci sul tradizionale modo buddista di guardare al problema, esamineremo i cinque skandha o
aggregati. Personalmente non mi piace la parola aggregati, ma non ne ho ancora trovata una
migliore.
In questa tradizione si attribuisce un grande valore allaccostarsi alla realt con un
atteggiamento di attenta investigazione, di osservazione diretta, con un immediato sentire come
sono le cose. Questo vedere, questo riconoscere ripetutamente che cosa reale o vero, ci che
viene detto insight o saggezza. Linsight un vedere diretto, un immediato esperire la realt per ci
che , ed presente quando la percezione non velata dalle nostre approssimative credenze abituali.
Pu fiorire in aspetti differenti e modellare 1o splendido fiore del risveglio.
Nel guardare a noi stessi, al nostro cuore, mente e corpo, nel guardare allessere umano,
vediamo unesperienza sotto forma di vari aspetti specifici, e cio di quei gruppi di propriet o
funzioni che costituiscono una persona.
Da un certo punto di vista si possono distinguere due aspetti: la realt fisica e la realt psicomentale, ovvero corpo e mente. Nel buddismo mente significa sempre cuore/mente, cio la qualit
che esperisce percezioni, emozioni, volizioni, pensiero, coscienza, tutti i fenomeni non fisici che
costituiscono l essere umano.
Possiamo anche distinguere cinque gruppi basilari di funzioni o propriet, i cinque skhandha o
khandha, parole spesso tradotte con aggregati. Essi sono:
forma o gli elementi corporei, fisici;
la tonalit affettiva della nostra esperienza;
tutte le funzioni percettive;
le funzioni emotive, mentali, volitive;
la coscienza stessa.
Comprendere e riconoscere chiaramente questi aggregati non solo rivela molto in termini di come
noi funzioniamo, ma pu anche essere un grande aiuto nel riconoscere la natura priva di s, la
natura non separata, non-indipendente del nostro essere. Esaminando dunque questi cinque fattori,
osservando prima ciascuno separatamente, e vedendo poi come interagiscono insieme, forse
potremmo ottenere il senso di ci che si intende con il termine, talvolta oscuro, di anatta, o non-io,
cos spesso frainteso.
FORMA
Il primo aspetto, o skhandha. la forma. Comprende le forme corporee, materiali, fisiche.
Secondo la tradizione buddhista questo aspetto della forma costituito da quattro elementi
fondamentali, distinti non scientificamente, ma esperienzialmente: terra, acqua, fuoco e aria. Questi
quattro elementi implicano non tanto un certo tipo di sostanza esoterica, ma le differenti
manifestazioni e funzioni che governano la realt fisica.
Lelemento terra fa riferimento allestensione, al fatto che le cose materiali occupano spazio. Nella
meditazione pu essere percepito direttamente, ed esperito come durezza o morbidezza. Questa
sensazione di tangibilit fisica ci dice che c una materia presente. Unimportante parte della
pratica meditativa consiste nel ricondurre la consapevolezza a questo livello di esperienza, che
diverso dal rimanere al livello dei concetti. I concetti sono corpo, ginocchio, mano, mentre
noi ci riferiamo a quel livello di sensazione che ci dice che c qualcosa che solo in un secondo
tempo chiamiamo mano o piede.
Provate a pensare al vostro piede destro. Si pu pensare al piede in modo da avere in mente una
sorta di immagine del piede ovvero un certo oggetto con una sua forma e cinque appendici
allestremit. Ma esiste anche un altra possibilit: invece di pensare al piede, cercate di avvertire,

sentire che cosa c l dove c il piede. Non so che cosa avvertiate voi specificamente; io sento
durezza o pressione, un certo tipo di superficie e una sensazione di freddo. Non c un piede. Ma
poi so che questa esperienza chiamata piede. Nella meditazione, per la maggior parte del tempo, si
cerca di rimanere in contatto con l esperienza immediata, diretta della sensazione. Se penso piede
mi riferisco a qualcosa di immutabile: " sempre stato il mio piede, per cinquantadue anni. Ma se
avverto direttamente ci che sta succedendo, mi accorgo che ce unesperienza costantemente
cangiante, che la realt.
Lelemento fuoco si riferisce alla temperatura, al fatto che gli oggetti materiali vibrano a una certa
frequenza e quindi possono essere percepiti o sentiti come temperatura: freddo, caldo, bollente,
incandescente. Mentre stiamo seduti potrebbe sorgere il pensiero: "Fa caldo qui!". Ma che cosa
vediamo se nello stesso momento portiamo lattenzione al corpo? Scopriremo che in certe parti del
corpo c una gamma di sensazioni mutevoli di calore. Durante la meditazione si porta la
consapevolezza a questo livello, vedendo cos la differenza tra lesperienza immediata e il pensiero:
"Fa caldo qui!" Questo il nudo, reale accadere. II resto un reale pensiero, ma se dica qualcosa o
meno sulla realt dipende da molte cose. Io potrei dire: "Fa veramente caldo qui!", e voi potreste
ribattere: "No, piuttosto freddo, sto addirittura tremando". Dobbiamo dunque esaminare questi
differenti livelli di realt.
Lelemento aria si riferisce al movimento, al fatto che le cose materiali si muovono. Questo
elemento pu essere percepito come movimento, pressione, vibrazione.
II quarto elemento lacqua. Si riferisce al fatto che le cose materiali sono tenute assieme dalla
forza della coesione. Si dice che non pu essere percepita dai sensi corporei poich la sua funzione
connettere, fondere le cose che sincontrano.
Anche la lingua e il gusto, il naso e lodore, gli orecchi e i suoni, gli occhi con forme e colori,
fanno parte dellaggregato della forma. Tutti gli oggetti dei sensi sono parte della nostra
meditazione.
SENSAZIONE
II secondo aggregato pu essere definito sensazione o tonalit esperienziale. II problema che nelle
nostre lingue non c una parola corrispondente al termine vedan. E uno dei concetti pi fraintesi
tra gli insegnamenti buddhisti. Soltanto il concetto di vacuit viene frainteso altrettanto spesso. Non
altro che il modo in cui ciascuna esperienza che abbiamo in ogni momento viene avvertita. La
gamma va da delizioso a piacevole, da neutrale, a spiacevole, a doloroso. Questo aggregato non si
riferisce ai sentimenti o emozioni (che rientrano invece nell aggregato successivo). Forse alcuni
esempi ci aiuteranno a chiarire questo punto: il pensiero auto-giudicante, lauto-condanna, pu
essere avvertito come spiacevole. Questa spiacevolezza vedan, non il pensiero in s. Oppure, per
esempio, una bella vista piacevole. Laspetto piacevole dellesperienza vedan. Una medicina
amara probabilmente creer unesperienza spiacevole di gusto. Tale spiacevolezza vedan.
Uninspirazione pu avere una tonalit affettiva neutra. Proprio quellessere avvertita come neutra e
vedan. Un momento di rabbia pu essere esperito come alquanto doloroso. La dolorosit dell
esperienza vedan, non la rabbia in s. Una tensione nel collo pu essere spiacevole. La
spiacevolezza, di nuovo, vedan.
Vedan viene definita semplicemente come esperienza, o forse come quel nostro elemento o
aspetto che ha la capacit di esperire. Ma, di nuovo, c uninfinita gamma di possibilit di
vedan: dallintenso al sottile, dal corporeo o sensoriale, allemozionale, al mentale. Si pu anche
dire che vedan la parte ricettiva della nostra esperienza. E in un certo senso ci che riceve il
mondo, interiore ed esteriore.
Vedan ha implicazioni molto ampie, perch a vedan,, a questa tonalit emotiva, che noi
reagiamo. Non al suono, per esempio. Se ci fosse un suono in questa sala, qualcuno potrebbe
pensare: "C qualcuno che tossisce, forse non si sente bene". Qualcun altro, invece, potrebbe
reagire cos: "Queste persone non riescono neanche a mantenere il silenzio". Un tempo nei ritiri
cera labitudine di mettere un poco di musica durante la prima seduta della giornata. Tutti udivano
la stessa musica. Qualcuno veniva e diceva: " meraviglioso, fatelo ogni giorno!". Altri dicevano:
"Non potreste smettere? terribile!". Quando qualcosa gustoso ci piacerebbe averne ancora di
pi. Quel qualcosa seguito dallattaccamento e dal desiderio. Una giornata intensiva di
meditazione pu sembrarci orribile, possiamo convincerci di odiare la meditazione, e non volere pi
avvicinarci al luogo dove abbiamo meditato. Ma forse, proprio alla fine della giornata, facciamo una
splendida seduta e pensiamo: "Forse potr raggiungere di nuovo questo stato, devo fare un altro

ritiro!". a questa piacevolezza o spiacevolezza, a questa tonalit esperienziale che noi reagiamo.
Reagiamo con attaccamento o con avversione, con desiderio o con odio, con gelosia o paura. Cos
facendo creiamo la nostra sofferenza. Ecco perch, se 1o scopo della pratica liberarci dalla
sofferenza, questa unarea cos importante a cui applicare la consapevolezza. Talvolta nella pratica
quotidiana o in un ritiro si pu dedicare lintera seduta o un certo numero di sedute o camminate, ad
esaminare solo come ci si sente, limitandosi a notare: "Piacevole... piacevole... spiacevole...
piacevole... neutro...". piuttosto sorprendente notare quanto spesso ci siano sensazioni intermedie,
neutre. Pi diveniamo consapevoli a questo livello di esperienza e pi vediamo che in realt siamo
noi che possiamo scegliere le nostre reazioni. Non necessario essere ogni volta intrappolati da ci
che ci attrae e da ci che non ci piace. Meditando cominciamo ad essere in grado di scegliere, ad
avere la libert di rispondere con saggezza: incontriamo un determinato evento con equanimit, con
agio, piuttosto che con reattivit. Ecco limportanza di conoscere il secondo aggregato, vedan.
PERCEZIONE
Il terzo aggregato quello della percezione o discernimento. Comprende le funzioni che sono al
nostro interno e che permettono di percepire le cose, dandoci la capacita di distinguere una cosa
dallaltra. E una capacita che lavora molto velocemente, e, naturalmente, basilare. Ci permette di
dire: "Qui c un pilastro!", cos che non ci andiamo a sbattere contro. Riconosce Le persone. Non
ci sarebbe il mondo senza questa funzione di percezione e discernimento. Ovviamente abbiamo
svariate migliaia di dati che ci pervengono attraverso i sensi in un solo secondo. E la percezione che
Ii ordina e da loro un significato. In realt quello che mi sta davanti sono solo forme e colori sparsi,
ma ce qualcosa in me che ha la capacita di vedere delle persone. Ecco il terzo Skhandha. Forse il
DOS del nostro computer. Lama Govinda in un libro fa questo esempio: essere capaci di guardare
una rosa e dire "vedo una rosa" implica una quantit di complessi processi di percezione visiva.
Processi che distinguono colori e forma, e li separano dallo sfondo. Questo avviene nella mente
alcune centinaia di volte, finch un altro processo, detto sintetico, incomincia la sua azione.
Costruisce unimmagine composita di tutte le fogge e forme, fa una sintesi delle parti in precedenza
percepite. Poi c il processo detto afferrare il significato, che si ripete svariate volte. II quarto il
processo detto afferrare il nome. Fabbrica un nome o un concetto anche se si tratta di qualcosa mai
visto prima. Ma se il nome e gia noto, come per una rosa, intervengono altri tre processi, Uno
detto convenzione, un altro si chiama comparazione, compara infatti quello di rosa con gli altri
nomi di fiori in modo di arrivare alla conclusione "questa e una rosa". E infine c un ultimo
processo detto afferrare i nomi che riconduce i nomi delle classi agli oggetti.
Questi processi incredibilmente complicati di immaginazione e memoria, percezione e
discriminazione, giudizio e classificazione, si svolgono nella mente in maniera cos rapida che noi
pensiamo istantaneamente: "Questa una rosa". Tale la complessit del processo che confluisce in
un singolo atto di percezione. Questo processo, rapido e dinamico, include anche gli organi fisici;
nel caso della rosa il corpo e gli occhi. Crea una tonalit affettiva. Tutto linsieme viene conosciuto
dalla coscienza. E il quinto skhandha, di cui parleremo pi avanti. C anche una risposta o
reazione, costantemente attiva, a tutto ci che costituisce il quarto skhandha.
FORMAZIONI MENTALI
II quarto aggregato viene chiamato il gruppo delle formazioni e volizioni, o attivit e tendenze.
Potremmo forse dire che questo skhandha la parte attiva del nostro cuore/mente. Vedan, come
abbiamo visto, ci che riceve il mondo. Questo aggregato invece rappresenta lagire. Include tutti
i sentimenti ed emozioni positivi e negativi. Include tutti i fattori e le qualit mentali. Ci significa
che comprende desiderio e brama, odio e rabbia, illusione e ignoranza, ma include anche rinuncia e
lasciar andare, gentilezza e amore; comprende anche la saggezza, ci che vede chiaramente; include
la sonnolenza, la distrazione, lirrequietezza, ma anche vigilanza, concentrazione e calma. lintera
gamma degli eventi attivi. la forza che motiva e muove che sta dietro tutte le nostre azioni. alla
base di tutte le azioni del corpo, della parola, del pensiero. anche ci che crea il karma.
lintenzione dietro ogni azione, che colora karmicamente lazione stessa. Non svilupper oltre
questo argomento che necessiterebbe di una trattazione molto ampia. Ma potremmo aggiungere che

ci che causa le guerre, ci che pu creare immensa sofferenza, ma anche ci che pu aiutare,
ci che pu guarire, che pu amare e capire, ci che libera.
COSCIENZA
Il quinto aggregato quello della coscienza. Parlare della coscienza particolarmente insidioso,
poich non un qualcosa di materiale. Tradizionalmente definita come chiara e conoscente. Se
non esistesse la conoscenza, non ci sarebbe nulla. Tutto potrebbe essere qui, ma nessuno lo
saprebbe. E non riguarda il conoscere in modo intellettuale, ma ci che sa che registratore,
suono, rosso, sono presenti. La coscienza di per s priva di forma o contenuto. Non ha colore o
foggia. Non ha misura o estensione, non possiamo dire che grande o piccola. Non ha un sito, non
possiamo dire che la coscienza qui o l. Quando diciamo che vuota, lo nel senso che non ha
alcuna di queste qualit. Forse si pu dire che , in un certo senso, simile a uno specchio. Uno
specchio non contiene gi i colori o le forme che sta per riflettere. In questo senso anche uno
specchio vuoto. Tuttavia la coscienza ha il potere di conoscere le cose. In questo senso
ovviamente diversa da uno specchio, perch uno specchio probabilmente non conosce ci che
riflette. La coscienza non ha una sua propria forma o contenuto ma ha la capacita di conoscere, di
esperire. In altri termini si potrebbe dire che questa capacit dinamica e ha il potere di
manifestare. In questo senso molto diversa da uno specchio. Ha un potere in se, una brillantezza.
In un certo senso ha il potere di piroettare le apparenze come se fossero reali. Credo che si capisca
perch difficile dire qualcosa di determinato sulla coscienza. vuota in se stessa, conosce, ha il
potere di manifestare.
Si distinguono sei tipi in base alloggetto con cui si connettono e precisamente:
I. coscienza visuale, connessa agli occhi e alle forme;
2. coscienza uditiva, o coscienza del suono, connessa alle orecchie e al suono;
3. coscienza olfattiva, o coscienza dellodorato;
4. coscienza del gusto;
5. coscienza tattile o corporea;
6. coscienza mentale/emotiva; connessa al cuore/mente, ai pensieri,
emozioni e sentimenti.
la coscienza che conosce, che cosciente, a differenza delle rocce, dellacqua o dellaria. In tal
modo, in connessione con il corpo o skhandha della forma, il nostro mondo interno ed esterno
esperito o gustato da vedan, la tonalit esperienziale, e interpretato e dotato di senso dallo
skhandha della percezione o discernimento, quindi e agito dallo skhandha della formazione o
volizione, e infine conosciuto dalla coscienza.
LA DANZA DEGLI SKHANDHA
Noi siamo questa danza degli elementi; siamo molto vivi, molto dinamici. Ma questa danza non
ci che abbiamo. Non che qui ci siamo noi e abbiamo i cinque skhandha. Questo chi noi
siamo, non c niente al di fuori di questo. Non c nessuno - dentro o al di sopra di questa danza che possieda i cinque aggregati. Nel danzare i cinque aggregati talvolta si aggrappano a se stessi
cos strettamente che iniziano a chiamarsi io. Non ancora un problema chiamare se stessi io;
bisogna pur chiamarsi in qualche modo. Qualcuno chiama se stesso Fred, oppure Corrado. Ma poi
gli skhandha iniziano a separarsi dal resto delluniverso e allora si verifica una sorta di
identificazione con un qualcuno diverso dagli altri, un aggrapparsi. Viene presa la decisione che
questo qualcuno finisce qui, con la pelle. Talvolta egli dice: "Questa mia moglie", e dunque, in un
certo senso, estende se stesso. Cos comincia a fabbricare non soltanto un io, ma anche un mio. E
comincia ad aver bisogno di conferme di questa separatezza. Essere separati fa sentire molto soli.
Dover affermare se stessi significa intrappolarsi. Ogni volta che luniverso segue il suo corso, non
facendo ci che questo mucchio di aggregati desidera, nasce la sofferenza. Ci che sto cercando di
sottolineare come talvolta questo processo finisca per annodarsi su se stesso. II concetto di s, un
forte sentimento di s che cerca di percepirsi come solido, finisce per separarci dalla vita e dunque
produce sofferenza. Ci che noi realmente siamo, come avete appena visto, un modello
incredibilmente dinamico. un modello di elementi e funzioni interagenti. Tutte le cose vengono in

essere legate luna allaltra, in stretta dipendenza .Le funzioni interne sono interdipendenti non solo
tra loro, ma dipendenti anche dallaria che si respira, da ci che si vede e da ci che si ode, da tutto;
insomma se noi cercassimo anche per un solo minuto di finirci al livello della pelle o del naso,
moriremmo immediatamente. realmente un processo di interdipendenza, in cui non esistono
entit solide o stabili. Non c niente che possa essere afferrato, nessuna parte della quale io possa
dire: " me." E naturalmente, fortunatamente per noi, non c nemmeno un s o ego di cui
sbarazzarsi. un incubo ben noto ai praticanti: "Non mi sono ancora liberato del mio ego!". Quale
ego? Non c nulla di cui abbiamo bisogno di sbarazzarci. Piuttosto abbiamo bisogno di vedere che
cosa realmente c, di riconoscere e scoprire chi siamo. Questatto completamente liberante.
molto differente dal dover divenire ci che non siamo. Abbiamo bisogno di questa comprensione
dellinterdipendenza: tutte le cose della vita sono strettamente interconnesse, non c parte che
esista indipendentemente dal resto. Non vi una parte che costituisca un io separato. Ogni volta che
non comprendete la parola non-io che si usa nel buddismo, usate nella vostra mente lespressione
autoesistenza non indipendente. Quando si dice non-s, la gente ribatte: Ma il s c!.
Qualcuno, anche famoso, dice: "II buddismo oltremodo nichilista, perch afferma che non c
nessuno qui". Ma c molto qui. Lintera vita qui. Dobbiamo riuscire a vederlo molto chiaramente
e a comprenderlo con il cuore.
Ogni volta che viviamo veramente in questa comprensione siamo collegati al senso di
interdipendenza e non-afferramento del s: siamo liberi. Come disse un monaco: "Nessun s, nessun
problema." Ma ogni volta che la mente si identifica con uno qualunque di questi cinque skhandha,
afferrandolo, il mio corpo, i miei sentimenti, i miei pensieri, ci rapportiamo con essi come se
fossero me, o fossero miei. Ogni volta che si verifica questa situazione siamo legati da nodi, e
soffriamo. Allora potremmo dire: "Molto s, molti problemi".
Ora, non solo in questi cinque skhandha non si pu trovare alcun io extra o s, ma inoltre ciascuno
skhandha vuoto di un che di sostanziale. In altre parole, anche allinterno di ciascuno di essi non
si pu afferrare niente. Essi sorgono, mutano, svaniscono, e lo fanno di momento in momento. Li
possiamo vedere facilmente nella nostra meditazione, non c bisogno di essere meditanti
incredibilmente esperti. Un pensiero sorge e il momento successivo svanito, un formicolio sorge
e il momento successivo non c pi. Ci sentiamo annoiati e poi la noia se ne va, ci sentiamo
interessati ma poi linteresse va via. C uninspirazione, ce unespirazione e poi se ne vanno.
Sembra piuttosto ovvio che niente di tutto ci possa essere trattenuto o afferrato. una danza che
dipende da cause e dalle circostanze. In un testo si afferma che le forme fisiche sono come bolle di
schiuma.
Le tonalit esperienziali sono come bolle. Le percezioni assomigliano a miraggi. I fattori volitivi, le
emozioni e gli stati della mente sono come il tronco di un banano dove non c un tronco vero e
proprio, ma solo foglie arrotolate luna con laltra. Sembra un tronco vero, ma se si guarda meglio
non lo si trova. Le coscienze assomigliano a illusioni magiche. uno spettacolo vivido, di mera
apparenza. Ma molto potente. Ci pu far soffrire, e sappiamo che pu farci soffrire terribilmente.
Guardandosi intorno e vedendo cosa accade nel mondo si capisce quanto sia potente. Ma abbiamo
la possibilit di non far soffrire pi noi stessi. Infatti possiamo riconoscere che sebbene ci sia una
realt qui, una presenza scintillante e ben manifesta, essa insostanziale. La piena comprensione
della realt ultima comprendere in maniera non concettuale questa natura trasparente e
inafferrabile. Quando il cuore e la mente si aprono pienamente al non-attaccamento, si aprono alla
non-resistenza, al non-odio, ed in tale apertura che risiedono pace e sollievo.

(Discorso tenuto per lA.Me.Co. l8/4/95; traduzione di Bruno LoTurco)


Pubblicato sulla rivista SATI

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