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02/11/2010
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Luciano Giannini «No, non mi sento vecchio. Sono gli altri a farmi notare che mi porto sulle
spalle una bella cifra. Però, me lo dicono con affetto». Oggi Gigi Proietti compirà 70 anni. Come
passerà il giorno? «Lavorando sul set del ”Signore della truffa”, a Verbania». In questa nuova
fiction, che arriva dopo «Preferisco il Paradiso», in cui ha impersonato san Filippo Neri, Proietti
sarà nel ruolo di un ex truffatore che aiuta dei condomini finiti in un raggiro. Dunque, nessuna
festa? «No, ma anche mia moglie è Scorpione, del 14 novembre, e allora rinvieremo tutto a
quella data o a quei giorni lì». Bilanci? «Vorrei farli ogni sera, ma mi addormento prima. E, poi,
sa, prima o poi di errori ne facciamo tutti». Ecco, cominciamo con l’autocritica: difetti e pregi?
«Vizi alimentari ne ho pochi: un goccio di vino senza strafare. Per il resto, ho una qualità che può
diventare un errore: sono troppo tollerante. Lascio correre e dopo me ne pento, ma credo che
dipenda dalla pigrizia». Se non avesse fatto l’attore che cosa avrebbe scelto? «Mio padre mi
diceva: prendi un pezzo di carta, ma io non avrei mai fatto l’avvocato. Sarei finito impiegato,
controvoglia; mi dispiace, invece, di non studiato meglio la musica. Se vagheggio, mi vedo
direttore d’orchestra». Perché attore? «Sono un estroverso. Da ragazzo, per curiosità, mi scrissi
al Cut, il Centro universitario teatrale. Dopo, cominciai a cantare e suonare nei locali. Un giorno
Giancarlo Cobelli mi chiamò per uno spettacolo, ”Il can can degli italiani”. A quei tempi non erano
molti gli attori che conoscevano anche un po’ di musica. Avevo 24 anni. La passione scoppiò
dopo. E ancora di più quando cominciai a produrmi da solo. Ora recitare è la mia seconda
pelle». Rinuncerebbe più al teatro o al cinema e alla tv? «Non rinuncerei a niente. Anche se oggi
quel che mi darebbe più piacere sarebbe dirigere un film tutto mio». L’ha già fatto in tv, su
Canale 5. «È vero, era ”Un nero per casa”, riscrittura divertente di ”Indovina chi viene a cena”.
Ma io parlo di cinema, e a un film come intendo io dovrei dedicare tutto me stesso. Dovrei
fermarmi. E non mi sono ancora fermato». Già, gli impegni. Per esempio, cosa risponderà al
sindaco Alemanno che le ha chiesto di dirigere il Teatro di Roma? «Vent’anni fa avrei detto sì.
La proposta è interessante, di grande dignità, ma se accettassi dovrei escludere tutto il resto. E
poi c’è il mio Globe Theatre, la sala romana in cui permetto a tanti giovani di conoscere e
recitare Shakespeare. Mi sa che rinuncio. Potrei accettare qualche incarico alternativo, meno
gravosi... Mah, vedrò di nuovo il sindaco, ne discuteremo ancora». È stato chiamato anche al
Sistina. «Ne hanno parlato i giornali, ma ci sono stati solo un incontro e una ipotesi di
collaborazione; e poi non m’interessa ripetere una esperienza già fatta al Brancaccio». Però al
Sistina dovrebbe tornare come attore. «Questo sì, con ”Di nuovo buonasera”. A Napoli s’è visto
all’Augusteo, dove ho avuto l’ardire di fare un atto unico del grande Eduardo. Ricordo che ero
terrorizzato. Purtroppo non sono napoletano». Purtroppo o per fortuna. «Io ho fiducia. Perché le
immagini di Terzigno non possono cancellare le qualità di una città e di un popolo». Che cosa la
lega a Shakespeare e a Petrolini? «Shakespeare è il massimo riferimento del teatro del
millennio. Le sue strutture drammaturgiche sono di una modernità straordinaria. Petrolini era
dotato di gran genio e di un senso irriverente della libertà, con cui ha scardinato i riti del teatro
accademico, inventando e rinnovando stili e modelli di comunicazione artistica. A lui mi sono
ispirato anch’io in ”A me gli occhi, please”, che pure metteva alla berlina certe ritualità della
prosa». Come vede, da attore e cittadino, la situazione del Paese e della cultura? «Noi... perché
io non dico, come certi politici, ”gli italiani debbono...”. ”E chi sei tu? Non sei italiano?”, rispondo
io. Dunque: ”noi” dobbiamo ritrovare una identità comune. A un certo punto ci siamo distratti,
credendo che fosse tutto più facile. Cerchiamo troppi alibi, mentre avremmo bisogno di una sana
autocritica. Ma è possibile che nessuno riesca più a dire: ”Scusate, ho sbagliato, è colpa mia”?
Insomma, dobbiamo riscoprire il senso della responsabilità per affermare quello della collettività
e dello Stato. E, invece, c’è addirittura qualcuno che vuole dividerlo, quello Stato». Alla fine, chi
è un attore? «Il teatro dovrebbe essere un terreno di incontro e di scambio, e l’attore il suo
strumento. Oggi, invece, quel terreno di scambio - presunto - si è trasferito nei dibattiti tv, dove
c’è gente che ruba all’attore maschera ed esibizionismo». E chi è Gigi Proietti? «Bella
domanda... Diciamo che è uno che ce crede ancora». © RIPRODUZIONE RISERVATA

1 di 1 02/11/2010 22.14

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