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La rappresentazione non va pensata soltanto come un regime operativo e tecnico particolare: questo termine propone anche un nome generale

di quellevento e di quella configurazione che vengono di solito chiamati Occidente. Jean-Luc Nancy, in La rappresentazione interdetta Pino Blasone

Orientalismo, stereotipi e archetipi

1 Ritratto fotografico di Etty Hillesum, e la foto della ragazza marocchina, cui si fa riferimento nei suoi scritti (cfr. Karima Berger, Etty et la petite Marocaine ou lapprentissage de laltrit, conferenza organizzata dalla Association des Amis dEtty Hillesum a Parigi, in data 31/3/2012: http://www.amisdettyhillesum.fr/archives.htm) La ragazza marocchina Sia nel campo letterario sia in quello pittorico, lorientalismo fu una moda culturale spesso fatta di stereotipi, i quali omologavano o deformavano la realt dei soggetti e delle ambientazioni che esso pretendeva di ritrarre. pur vero, molti artisti o scrittori occidentali
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si confrontarono con una civilt quella vicino e medio-orientale caratterizzata da uninterdizione religiosa della rappresentazione. Facilmente e perfino involontariamente, il loro immaginario o immaginazione empiva un tradizionale vuoto di raffigurazione, laddove aveva supplito unarte decorativa e calligrafica o tuttal pi la riduzione della miniatura. Ci vero a tal punto, che non di rado le loro rappresentazioni hanno concorso a una nostalgica auto-rappresentazione da parte di lite locali colte, in maniera pi o meno critica. Nei migliori esempi di cui disponiamo, se non altro perch svincolata da certi condizionamenti inerenti alla propria cultura o proprio perch essa fungeva da pretesto per rappresentare aspetti rimossi di quella stessa cultura, talvolta quella modalit trasversale di rappresentazione si mostrata in grado di ricondurre quegli stereotipi esotici ad archetipi di ordine pi generale. In una visione culturale dialettica, pu giovare tenerne conto. Non pochi dei clich qui in questione hanno a che vedere con la figura femminile. Non sempre n necessariamente essi sono il frutto di una fantasia maschile. Uno degli esempi pi singolari del genere a carattere letterario, comunque ispirato a unimmagine visuale. Nei Diari e lettere di Esther Etty Hillesum, stesi fra il 1941 e il 1943 da questa giovane intellettuale olandese ebrea, morta nel campo di sterminio di Auschwitz, ricorre il riferimento a una foto ritagliata dalla copertina di una rivista e attaccata a una parete della sua stanza. Essa non appare poi troppo dissimile da tante altre di bellezze orientali allora ancora in circolazione, perfino su cartoline postali firmate dai fotografi Rudolf Lehnert e Ernst Landrock, che si erano stabiliti a Tunisi e poi al Cairo fin dai primi del secolo, o dalloriundo svizzero Jean Geiser operativo ad Algeri allincirca nello stesso periodo. Basti citare un passo, dove la figura ivi ritratta spicca con maggiore intensit: Mi sento, alla mia scrivania, con la sua grande superficie scura, come su unisola deserta. La bruna ragazza marocchina guarda fuori nella mattina grigia, coi suoi seri occhi scuri che sono animaleschi e limpidi al tempo stesso. E che importa se studio una pagina di libro in pi o in meno? Purch tu viva dando ascolto al ritmo che ti porti dentro a ci che sale dal fondo di te stessa. Gran parte del tuo comportamento una forma dimitazione, oppure risponde a doveri inventati, o a preconcetti errati su come una persona debba essere. Lunica sicurezza su come tu ti debba comportare ti pu venire dalle sorgenti che zampillano nel profondo di te stessa (12 dicembre 1941: trad. Chiara Passanti; edizione Adelphi, 1992). La scrittura della Hillesum influenzata dalla psicologia del profondo di Carl
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Gustav Jung, cui lautrice era stata iniziata dal suo terapista-amante Julius Spier. Tipica junghiana la ricerca di un s autentico. Potenzialmente in sintonia con la natura e con lassoluto, esso sarebbe soffocato da un io artificioso allinterno dellinconscio personale, a causa di una civilt moderna inibitoria o aberrante. Espressioni quali il comportamento come forma dimitazione, i doveri inventati, i preconcetti errati evocano pure il concetto di Super-Io, elaborato nella psicoanalisi pi matura di Sigmund Freud. Ma qui interessa lideale contrapposto in positivo a tutto ci, in quanto simbolico di una femminilit istintiva o perfino primitiva, e in maniera tale da essere vagheggiato da Etty come intimo alter ego. Altrove nei suoi scritti paradossalmente vi si affianca un modello di donna affascinante ed emancipata, pi sofisticato e meno anonimo, impersonato della scrittrice e psicoanalista Lou Andreas-Salom; quasi che la Hillesum fosse contesa fra due personalit. Allinterno della differenza rispetto al maschile, ne insorge unaltra fra figure femminili, che la civilt moderna aveva reso pressoch inconciliabili tra loro.

2 Zinaida E. Serebriakova, Illuminata dal sole e Una giovane ragazza marocchina (1928; si veda la bibliografia) Occultamento e svelamento In effetti, quello della ragazza marocchina era un topos dellorientalismo prossimo al tramonto. Pi in generale, esso rientrava nello stereotipo-archetipo che veniva definitito Mauresque o Moorish rispettivamente in francese e in inglese in tanta pittura e fotografia esotistica depoca, riferita a soggetti femminili del Nord-Africa. Se nelle rappresentazioni di pittori e fotografi maschi il tema si carica volentieri di coloniale e a volte
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morboso erotismo, nondimeno in quelle dipinte da donne limmagine mantiene una forte impronta di sensualit. il caso in particolare delle francesi Marcelle Andre Rondenay (1880-1940) e Alice Martinez-Richter (1911-96), a lungo vissute in Algeria, o della russa Zinaida Evgenievna Serebriakova (1884-1967). Di questultima sono da segnalare il ritratto a figura intera Illuminata dal sole e il nudo Una giovane ragazza marocchina (pubblicati in un volume dedicato a Zinaida Serebriakova, Mosca: Izobrazitelnoe Iskusstvo, 1987). Entrambi gli stupendi pastelli sono datati 1928, quando lartista, esule a Parigi, intraprese un viaggio a Marrakech e sui monti dellAtlante. Un altro pregevole dipinto a olio, venduto allasta a Parigi il 5 luglio 2010 recante la scritta Suzanne Rifanite , raffigura un busto seminudo di donna del Rif marocchino ed probabilmente da attribuire alla francese Suzanne Drouet-Reveillaud (1885-1973), operante in Marocco a partire dagli anni Venti del secolo scorso. NellOttocento, almeno in parte pittrici orientaliste erano state le francesi Mathilde L. W. Bonaparte, Louise Canuet e Henriette Browne, pseudonimo di Sophie Boutellier. Avendo viaggiato in Egitto e Turchia insieme al marito diplomatico, la Browne dipinse scene di genere e ritratti femminili. Fra questi, Una bellezza orientale e Ritratto di signora risalgono rispettivamente al 1861 e al 1877. Poco concedendo allesotismo di maniera, essi cercano di conciliarsi con lo sguardo di un virtuale osservatore orientale, sia nella scelta dei soggetti da ritrarre sia nella dignit in loro colta o loro conferita. Piuttosto su questa scia si collocheranno i primi orientalisti orientali, cio quegli artisti locali spesso seguaci di pittori europei, che cominciarono a rappresentare le proprie realt in maniera tendenzialmente autonoma. Per esempio, la libanese cristiana Marie Hadad (1889-1973) e la turca Mihri Mfik (1885-1954), allieva dellitaliano Fausto Zonaro. In un suo ritratto a pastello intitolato Donna in nero, assistiamo a un curioso e significativo compromesso: il velo tradizionale indossato in pubblico dalle donne di religione islamica diventa una trasparente veletta scura calata sul viso, simile a quelle adottate da non poche signore occidentali contemporanee allora alla moda. Assai pi tardi lorientalismo verr rivisitato in chiave ironica o provocatoria da artisti orientali, come le marocchine Majida Khattari e Lalla Essaydi. Pi ardite, le scene da harem fotografate dalla prima. Nellambito della serie Les Femmes du Maroc, nel 2008, la seconda eseguir una sua imitazione di una delle opere di culto dellorientalismo pittorico
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classicista: La Grande Odalisque dipinta nel 1814 dal francese J. A. Dominique Ingres, e oggi al Museo del Louvre a Parigi. Nella versione della Essaydi, solo in parte rispettata loriginaria nudit della modella ritratta da Ingres, in veste di odalisca di qualche harem immaginario. Piuttosto con un procedimento altrimenti impiegato anche dalliraniana Shirin Neshat , il suo corpo seducente interamente ricoperto dal tatuaggio di una minuta calligrafia araba, in omaggio alla tradizione non figurativa dellarte islamica. Alla dinamica occultamento-svelamento, croce e delizia delle raffigurazioni femminili nella convenzione orientalistica, lintuito della pittrice e fotografa sovrappone quella fra rappresentazione e non-rappresentazione, pi essenziale e problematica con riguardo a una civilt radicalmente e, a volte, visceralmente aniconica. Una cultura, comunque tale in base a una scelta storico-teologica, anzich a un fattore istintivo o tantomeno primitivo. Proprio in quanto non rappresentativa in senso figurativo, del resto larte dellarabesco aveva riscosso il plauso di Paul Valry, nel suo scritto del 1938 Orientem versus (poi, nella raccolta Regards sur le monde actuel et autres essais; 1945).

3 Eugne Delacroix, Nozze ebraiche in


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Marocco, 1839; e Francisco Lameyer y Berenguer, Sposalizio ebraico a Tangeri, 1875 Una festa di nozze La ragazza moresca, berbera o beduina, la donna velata e svelata, lodalisca dellharem, la danzatrice orientale, sono frequenti e talora contrastanti stereotipi nelle rappresentazioni femminili orientalistiche. Ne va aggiunto almeno uno, meno frequente e pi circoscritto. Quello della sposa ebrea ha antecedenti tutti europei nella pittura olandese del Seicento, si pensi a Rembrandt van Rijn probabilmente ispirato a una sua lettura del biblico Cantico dei Cantici , e poi ricompare assai pi tardi nella produzione romantica orientalistica del francese Eugne Delacroix. Questi, a differenza di Ingres, soggiorn in Nord-Africa, visitando lallora fiorente comunit ebraica di Tangeri e ricavandone durature suggestioni e vari schizzi. Il 21 febbraio 1832, fu pure invitato a una cerimonia nuziale. Nel dipinto Nozze ebraiche in Marocco, del 1839, non manca una figura di danzatrice orientale ad animare la scena di festa, ambientata in un cortile. Sullo sfondo, un complesso di suonatori la accompagna con la sua musica. Di gran lunga anteriore lo studio ad acquerello Sposa ebrea di Tangeri, abbigliata nel caratteristico costume (oggi entrambe le opere sono al Louvre). Colorata e radiosa, limmagine quasi unallegoria minore di quella che i cabbalisti avevano chiamato Shekinah, manifestazione della divina presenza nel mondo dellimmanenza, e che non di rado avrebbe assunto un aspetto femminile: appunto, la Sposa. possibile che il pittore fosse al corrente di questa tradizione esoterica. A ogni modo, limpressione ricevuta dal laico Delacroix andava ben al di l di un interesse folclorico. Egli ha lasciato altri acquerelli e dipinti a olio ispirati o influenzati da tale esperienza: La visita alla sposa, Lorchestra ebraica e il doppio ritratto Saada, moglie di Abraham Benchimol, con una delle loro figlie, Preciada, dove questultima indossa labito da cerimonia per assistere alle nozze. La tematica della cultura ebraica nord-africana o il tema specifico della sposa ebrea incontreranno un seguito presso altri pittori soprattutto francesi dellOttocento, quali Thodore Chassriau, Camille Corot, mile Vernet-Lecomte, Flix Lauwich, Zacherie Landelle, Alexandre Lunois, Jean Lecomte du Nouy, Jan-Baptist Huysmans, Johann C. Weidenmann, John F. Lewis, Jean-Franois Portaels...

In particolare, di Alfred Dehodencq vanno ricordati La sposa ebrea e Sposa ebrea in Marocco, quadro questultimo conservato al Museo Saint-Denis di Reims. Nel secondo caso, ella compare seduta in un interno con alle spalle una serva di colore, secondo una altrimenti diffusa iconografia orientalistica. Ancora Delacroix ci ha lasciato una Donna ebrea dAlgeria, e una Sposa ebrea di Algeri, che alcuni non a torto ritengono sia piuttosto da collegarsi con la Sposa ebrea di Tangeri. Pure degni di nota sono unaltra Sposa ebrea di Tangeri, della ritrattista francese Julie Lorain (1880; Muse dArt Juif Marocain, Bruxelles), e una tela dello spagnolo Francisco Lameyer y Berenguer dipinta nel 1875 e raffigurante uno Sposalizio ebraico a Tangeri, con la solita orchestrina popolare e ballerina al centro. Almeno stando alle apparenze, tali festeggiamenti poco si distinguono da analoghi ambientati nel contesto islamico egemone. Ci sembra dovuto ad analogie culturali pi che a superficialit dei pittori orientalisti, malgrado tensioni ricorrenti fra i due gruppi religiosi gi allora documentate da Lameyer y Berenguer in un dipinto intitolato Assalto di mori a un quartiere ebraico, e riferito a incidenti verificatisi a Tangeri nel 1863. In entrambi i contesti fra loro contigui, un dato di fatto che il compito della rappresentazione venne demandato ad altri pi che da essi usurpato. Si tratta di una specie di delega, destinata a durare a lungo. Linteresse dei migliori fra essi specialmente di quanti non si limitarono a fonti secondarie o alla propria fantasia, esplorando di persona non fu solo esteriore o estetico, ma, sia pure episodicamente, sociale e politico. In casi come quello delle comunit ashkenazite del Nord-Africa, il loro sguardo, per quanto approssimativo e ambiguo, ha fornito preziose testimonianze oltre la memoria tramandata dai soggetti collettivi in questione, in gran parte poi sradicati ed emigrati altrove. Ancora nel 1954, in buona e tacita parte il narratore e saggista ebreo europeo Elias Canetti ripercorrer le tracce ideali di Delacroix, sebbene la citt da lui prescelta sia unaltra anzich Tangeri. Il resoconto letterario di tale soggiorno, Le voci di Marrakech, fu pubblicato in tedesco nel 1964.

4 Eugne Delacroix, Sposa ebrea di Tangeri (Rachel AzencotBenchimol), 1832; e Alfred Dehodencq (1822-82), Sposa ebrea in Marocco, data imprecisata La sposa ebrea Prevedibilmente, i capitoli centrali del libro di Canetti sono dedicati a una visita nel Mellah, il vecchio ghetto israelitico. A differenza di Delacroix, egli non viene invitato a una festa nuziale. Ciononostante, ha la fortuna di capitare nel cortile di una casa il giorno immediatamente successivo alla celebrazione del rito, e di esservi accolto con circospetta cortesia, accreditandosi in quanto pure lui giudeo. loccasione per conoscere i parenti degli sposi, convenuti anche da altre citt del Marocco e non ancora ripartiti. Ma la rispettosa attenzione dellospite rivolta alla neo-sposa: una donna giovane, bruna, estremamente radiosa. [...] Ancora pi giovane di quanto avessi pensato, avr avuto sedici anni. [] Continuavo a pensare che la bella e silenziosa persona che sedeva davanti a me si era da poco alzata dal suo letto nuziale. Erano ormai le ultime ore della mattina, ma certo stamane si era alzata tardi. Io ero il primo estraneo che la vedeva da quando nella sua vita era intervenuto quel mutamento cos essenziale. La mia curiosit per lei era identica alla sua per me. Poco pi avanti, lautore si duole della sua supponente estraneit (trad. Bruno Nacci; edizione Adelphi, 2004). Una identificazione, dunque, che paradossalmente si fonda in una tendenziale estraneit e curiosit reciproche. Ci coincide con una delle conclusioni del Premio Nobel
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per la letteratura nel 1981: Gli altri, la gente che ha sempre vissuto l e che non capivo, erano per me come me stesso. Chi sospetti che tale familiarit virtuale si basasse solamente sullessere pure lui di estrazione ebraica, viene smentito da altri passi dello stesso libro, in cui lautore si riferisce a personaggi musulmani con pari volont di empatia. Certamente, un movente era riscoprire la componente orientale delle proprie radici culturali e religiose, cio una cultura che avrebbe potuto fungere da ponte anzich da cesura fra Occidente e Oriente. In questo caso, lebraicit dello scrittore aveva funto da pretesto, e a un buon fine: quello di riconoscersi in quanto essere umano, ovunque e a oltranza. Con Canetti, lorientalismo esce definitivamente dal mito e cede il posto a una nuda speranza: quella di una possibile e plausibile, simpatetica convivenza, perfino senza la necessit o pretesa di una completa comprensione altrui. Va da s, una tale supponente comprensione pu sovente risultare sfalsante o riduttiva, prestandosi a un progetto pi o meno consapevole di integrazione e assimilazione dellaltro. Nonostante qualche rischio retorico, un orientalismo pensante, espresso per immagini, lo incontriamo anche allestremo opposto del cosiddetto oriente mediterraneo, agli inizi del Novecento in quella Turchia che era ancora per poco il cuore dellimpero ottomano. Se ne fa promotore un italiano, immigrato a Istanbul dal 1898 al 1909. Ritrattista e autore di vedute e scene di genere, Fausto Zonaro divenne perfino pittore di corte. Alcune sue figure femminili hanno un chiaro carattere allegorico-progressista, come suggeriscono i titoli Libert o La nuova Turchia, rappresentata come una donna che solleva il velo dal proprio viso. Molto belli, i ritratti della poetessa Nigar Hanim, raffigurata velata e svelata o nellatto di svelarsi, preferibilmente con la vista del Bosforo sullo sfondo. Tuttavia, il simbolismo trov un esponente di punta nellartista e archeologo Osman Hamdi, allievo degli orientalisti francesi Jean-Lon Grme e Gustave Boulanger. Le sue Lettrici del Corano appaiono reali e insieme stilizzate, in un tentativo di recupero della tradizione della miniatura. Ma c un dipinto, Mihrb (1901; Collezione DemirBank, Kyrgyzstan), che un vero enigma. Nelle moschee, il mihrb la nicchia rigorosamente vuota, verso cui pregano i fedeli. Nel quadro di Hamdi, essa occupata da una dama maestosa, seduta su uno scanno e con ai suoi piedi un cumulo di volumi in disordine. Il suo sguardo diretto oltre, verso dove il nostro attendibilmente non pu spingersi.

5 Fausto Zonaro, In visita (ritratto di Nigar Hanim, venduto allasta presso Christies, New York, nel 2004), eseguito prima del 1910; e Osman Hamdi, Mihrb, 1901, particolare Lodalisca dellharem La figura della signora del mihrb pu ricordare le immagini della Sofia, ovvero della divina sapienza bizantina. In ogni caso, il mihrb resta lo spazio concavo simbolico della non-rappresentazione, tuttal pi pensato per leco della voce o lombra della scrittura. Ogni altra rappresentazione, che volessimo introdurvi, sarebbe destinata a vanificarsi. Nientaffatto sacro, anzi lopposto, nellimmaginario orientalistico sussiste un diverso spazio pressoch impenetrabile, che ha un reale fondamento storico. Si tratta, ovviamente, dellharem. In esso abitano sempre una o pi odalische, e magari una favorita. Cos come vagheggiata dallorientalista, di solito lodalisca il luogo corporeo femminile della rappresentazione esteriore di s, bench celato al di fuori di un ambiente privato esclusivo o forse proprio per questo. Ella vive in funzione della propria autoesibizione, per lo pi con una finalit dichiaratamente e ineludibilmente erotica, laddove desiderio e piacere coesistono in maniera immediata. Il rischio pittorico di una sovraesposizione del soggetto, o di infinite variazioni sul tema, dalle pi sofisticate alle pi corrive o anche lascive, ma tutte tese ad alimentare una seduzione remota e illusoria. Fin dagli esordi dellorientalismo, di conseguenza lodalisca ritratta preferibilmente sdraiata e svestita o poco vestita, come in lOdalisca bruna (1745; Museo del Louvre,
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Parigi) e lOdalisca bionda (1752; Alte Pinakothek, Monaco) del francese rococ Franois Boucher, che diversamente dal suo contemporaneo svizzero Jean-tienne Liotard dellOriente non ebbe alcuna conoscenza diretta. Fin dallinizio, quindi, gli orientalisti si distinguono fra sedentari e viaggiatori. Particolarmente le raffigurazioni dei primi si condensano intorno allaffabulazione dellodalisca, frequente pretesto per ritrarre nudi pi o meno integrali di donna, in precedenza altrimenti giustificati con spunti mitologici classici. Questa distinzione si rinnover agli inizi dellOttocento, con pittori quali Ingres da una parte e Delacroix dallaltra. Entrambi dipingono odalische. Per il secondo, esse sono per un incentivo ad ampliare le proprie conoscenze e sperimentare vere emozioni nei luoghi dellOriente stesso. Egli pure pioniere di una collaborazione-contaminazione fra pittura e fotografia artistica. Un confronto tra Studio di figura del fotografo Eugne Durieu, del 1854, e la piccola Odalisca del 1857, di Delacroix, mostra chiaramente che il dipinto modellato sulla scorta del dagherrotipo, anche se caratterizzazione e ambientazione sono state orientalizzate: quanto, del resto, viene confermato nei diari tenuti dal pittore. Altri pittori idulgono a una drammatizzazione allusiva del tema, talora in maniera sensazionalista o con una punta di sadismo, come in certe opere dellungherese FerenczFranz Eisenhut (1857-1903), dove compare il sinistro particolare di ceppi per le caviglie di concubine in attesa di punizione, colpevoli di chiss quale inconfessabile peccato o infrazione. In genere, lindolenza forzosa delle recluse nella gabbia dorata dellharem si converte piuttosto in solitaria malinconia, in nostalgia di un mondo esterno loro precluso. Qualche volta questa straordinariamente pensosa, in virt delle intenzioni introspettive dellartista, sia pure nel quadro della simulazione o nella simulazione del quadro. Ci accade eminentemente per le odalische ritratte dallitaliano Francesco Hayez, la cui parziale nudit contende un primato estetico a quelle pi famose di Ingres. Una di esse, Odalisca con libro, perfino assorta nella lettura, anzich intenta al suono o allascolto di qualche strumento musicale (1866; Villa Carlotta, Tremezzo). Facilmente il pensiero corre a Shahrazd, la grande narratrice in verit, pi che lettrice della cornice narrativa delle Mille e una notte. Altre volte ancora, un po pi vestite, le viziate odalische pittoriche ingannano il tempo o la noia fumando narghil, chibouk o sigarette, in accordo col detto nostrano fumare come un turco o, meglio, una turca.

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6 Jean-Auguste-Dominique Ingres, La Grande Odalisque, 1814; e Lalla Essaydi, Grande Odalisque, 2008 (vedi bibliografia) Una visita allharem Se le odalische dipinte sdraiate o sedute in pose conturbanti si compiacevano di ornare non poche camere da letto europee, le pi generiche scene di harem potevano ben figurare nei salotti e sale da pranzo borghesi. Rispetto alla media dei suoi colleghi, lapproccio della pittrice e viaggiatrice Henriette Browne risulta pi discreto o veritiero, se non altro perch alle visitatrici poteva essere consentito laccesso ai serragli, di norma vietato ai visitatori. Come nei suoi dipinti di ambienti conventuali europei, linteresse della Browne sembra rivolto alla vita della clausura, tanto quanto della reclusione, femminile. Fatto sta che il quadro intitolato Visita allinterno di un harem, Costantinopoli 1860, esibito insieme ad altri suoi lavori al Salon parigino nel 1861, non manc di deludere le aspettative del pubblico, o di sconcertarlo per la realt dimessa e per laspetto familiare che esso mostrava, ben diversi dalla retorica immaginifica prevalente nellorientalismo
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dellepoca. Le donne velate o svelate che appaiono in questo harem di Istanbul, e i bambini in loro compagnia, si discostano sia dagli stereotipi sia da presunti archetipi. Concubine o favorite, esse vengono restituite alla loro problematica quotidianit. Agli abbagli del lusso o della lussuria, subentrano le ombre di unassorta intimit. Il che fece annotare al critico Charles-Olivier Merson che quei dipinti distruggono alquanto i nostri sogni sullOriente. Se abbiamo delle immagini di quelle donne, anche grazie alla Browne, difettano le loro voci. In proposito, nel saggio Islam e democrazia. La paura della modernit, la sociologa marocchina Fatema Mernissi nel 1992 scriveva: Muhammad al-Fasi, uno studioso marocchino, ebbe lidea di raccogliere alcune canzoni che circolavano negli harem di Fez negli anni 30. Molte parlavano di passioni proibite, di incontri notturni, di avventure folli, e alcune mettevano in ridicolo lefficacia delle serrature e delle catene (trad. E. Chiappo e G. Miccich; edizione Giunti, 2002). Ci vuol dire che non solo gli orientalisti sognavano sulle odalische. A loro volta, esse pure nutrivano sogni, sebbene di natura alquanto differente e diversamente orientati. Nella non-comprensione reciproca, per dirla con Elias Canetti, cera il condivisibile spazio di qualche umana reciprocit. Questo terreno comune era il sogno, o almeno dal punto di vista delle cosiddette odalische la speranza in un domani migliore e pi libero, senza dover in cambio rinunciare alla propria identit del tutto. E nemmeno ai propri sentimenti e sensualit, tanto sognata o mistificata dai cosiddetti orientalisti. Leggiamo di nuovo, nel libro della Mernissi: Gli harem ormai esistono solo nelle cartoline o nei palazzi di quei pochi emiri che hanno abbastanza soldi per ricreare una versione dozzinale di quelli della Baghdad dellEt delloro (pag. 179). Tuttavia, lautrice stessa ci ha informato che in Marocco essi esistevano ancora negli anni Trenta del Novecento. Occorre notare che, nellimmaginario pittorico occidentale, la dissoluzione della figura dellodalisca praticamente contemporanea se non precedente. Essa coincide con la fine dellorientalismo in senso stretto e, in buona parte, con lopera dellespressionista francese Henri Matisse. Probabilmente nessuno come lui, che aveva viaggiato in Marocco, ha dipinto tante odalische. Ma queste ormai sono pure forme, fatte di linee e colori, soprattutto incredibili colori. Quelle inventate da Matisse dimostrano come un eccesso di raffigurazione possa portare alla saturazione dellimmaginario, e alla vanificazione della rappresentazione stessa. Ancor prima che nella realt, le odalische
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dellharem si sono estinte nellimmaginazione di Matisse. Le poche, che verranno rappresentate in seguito, lo saranno per forza dinerzia, o per quel tanto di oggettivo che una iconografia acquista nel corso del suo strutturarsi, al di l dei soggetti che la producono.

7 Henriette Browne, Visita allinterno di un harem a Costantinopoli, 1861; venduto allasta presso Christies, Londra, nel 2000. Altra pittrice cosmopolita, che ebbe accesso agli harem orientali nell800, fu la tedesca-danese Elisabeth JerichauBaumann, di cui rimangono vari quadri pertinenti La danzatrice orientale Fra le immagini di odalische di Matisse, un paio sono abbastanza particolari. Sia Odalisca con paravento (1923; Alte Nationalgalerie, Berlino) sia Odalisca con tamburello (1926; Norton Simon Museum, Pasadena) raffigurano una giovane danzante, nel succinto abbigliamento delle danzatrici del ventre. In realt, il pittore fonde tra loro figure distinte, anche se entrambe assai diffuse: quella dellodalisca dellharem e quella della danzatrice orientale o danzatrice del ventre, cos come chiamata da noi occidentali. Certo, una odalisca poteva essere una brava ballerina, ma generalmente occasionale. Quelle professionali potevano a volte intervenire dallesterno, dietro compenso, ad allietare la monotona vita dellharem, cos come spesso nelle feste di matrimonio, e simili, a
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intrattenere gli sposi e gli invitati con le loro augurali esibizioni. Ci accade volentieri ancora al giorno doggi in vari paesi del Vicino e Medio Oriente, malgrado la moralistica opposizione degli integralisti religiosi. Le esibizioni in locali pubblici sono abbastanza moderne. Questo non significa che le danzatrici non si esibissero in pubblico, nel passato. I luoghi prescelti potevano essere strade e piazze, fiere o tuttal pi i caff delle citt. Le ballerine potevano essere pi duna, di frequente formando un duetto, in modo da movimentare meglio il piccolo spettacolo da loro improvvisato. La danza era accompagnata dalla musica di suonatori ambulanti o di veri e propri complessi. Stiamo per parlando di categorie differenti. La danzatrice popolare, la semplice ghziyyah, ancheggiava e talora cantava aiutandosi col suono ritmato di un umile tamburello. In Egitto ella veniva usualmente ascritta a un gruppo etnico, o pseudo-etnico, socialmente poco apprezzato, di presunta origine zingaresca. In Algeria le migliori ballerine, bench di dubbia fama, si riteneva appartenessero alla popolazione berbera dellUlad Nail. Secondo un uso originario egiziano la vera danzatrice professionale, istruita e qualificata in quanto tale, veniva invece definita almeh o almah, forma dialettale dellarabo limah, letteralmente sapiente al femminile. Che tipo di sapienza? Un sapere sicuramente tradizionale, ma ben diverso da quello tutto religioso che denota il maschile della stessa parola, lim. Un paradosso che tra gli ulam, plurale del termine, si contavano i principali avversari dellarte della danza. I due saperi sembravano essere antitetici fra loro. La spiritualit, in lotta contro la fisicit? Tanto per parafrasare qui il poeta francese Paul Valry, un Oriente del corpo, opposto a uno dello spirito? Non tutti la pensavano alla stessa maniera. Abu Hamid al-Ghazali, noto allEuropa medievale come Algazel (1058-1111), si era mostrato tollerante nei confronti della musica e della danza, tanto da dedicare un capitolo del suo trattatello in persiano Lalchimia della felicit al ruolo della musica e della danza come sostegni della pratica spirituale. Anzich alle danzatrici, il teologo musulmano alludeva ai balli estatici dei dervisci. Ma la sua posizione lo port a una certa indulgenza: nella formula alchemica della felicit, metafora in voga fra i mistici, pu esserci posto pure per la danza in quanto puro intrattenimento. Perlomeno, non detto che essa debba sempre apportare turbamenti riprovevoli. Quanto alle almeh, nel suo saggio Orientalismo. Limmagine europea dellOriente (1978 e 1995) lo studioso palestinese Edward W. Said ci informa che nella societ egiziana
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del Settecento il nome indicava delle recitratici di poesie, riconoscendo loro qualche educazione letteraria. Nel secolo successivo il termine sarebbe passato a designare ballerine esperte, eccezionalmente disposte a prostituirsi. Ci sarebbe confermato nelle lettere scritte dallEgitto di Gustave Flaubert, che viaggi in quel paese nel 1849-50. tuttavia probabile che il romanziere francese si riferisse piuttosto a delle ghawz plurale di ghziyyah , considerate ballerine di basso livello (la distinzione avanzata da Grard de Nerval nel 1851, nel suo Viaggio in Oriente, Le donne del Cairo, fra ghawz danzatrici e awlim cantanti, inesatta ma denota una maggiore raffinatezza delle seconde rispetto alle prime).

8 Henri Matisse, Odalisca con paravento, 1923, e Odalisca con tamburello, 1926 Awlim e ghawz Insomma e sia pure alla lontana, le almeh o awlim, se vogliamo rispettare il plurale arabo del nome sarebbero state una specie di nostre cortigiane rinascimentali. Tutti questi elementi contribuiscono a spiegare come uno dei pi bei ritratti femminili dellOttocento raffiguri Una Almeh. Attualmente in una collezione privata, esso fu eseguito nel 1882 da Jean-Lon Grme. La donna vista seduta, in posa frontale, con un sontuoso abbigliamento semitrasparente e il suo tamburello ancora in una mano. La nobilt dellespressione e lo sguardo distaccato rivolto allosservatore confermano la qualifica
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attribuita a una almeh dallarchitetto tedesco Hermann von Pckler-Muskau, nella relazione di un suo viaggio in Egitto pubblicata nel 1844: solenne come un pasci. In toni assai meno solenni, il soggetto ricorre nella produzione di Grme, come in Almeh con pipa (1873; Mathaf Gallery, Londra) o Almeh che giocano a scacchi in un caff (1870; collezione privata). Rappresentazioni dallambientazione altrettanto caratteristica ma pi movimentate sono La danza della almeh (1863; Dayton Art Institute: Dayton, Ohio) e Danza delle spade in un caff, dove linnocuo tamburello sostituito da ben due scimitarre (1875; Herbert F. Johnson Museum: Ithaca, New York). Danzare in pubblico, fumare il chibouk, giocare a scacchi, roteare spade, cantare o suonare e recitare: queste potevano essere alcune delle attivit svolte da una almeh, di solito interdette o praticate con riserbo dalle donne di buona reputazione. Unaltra se ne aggiungeva assai meno confessabile, sebbene facoltativa: lesercizio della prostituzione. Il culmine della trasgressione morbosa viene raggiunto in alcuni quadri ispirati alla danza orientale dellespressionista olandese Kees van Dongen, quali La bella Fatima (1906), Anita, come almeh (1908) e specialmente Danzatrice moresca (1910), il cui volto velato contrasta col nudo integrale del corpo della modella. Come hanno reagito a tutto ci gli artisti orientali? Decisamente pi castigate o allapparenza morigerate, quasi in sintonia con i precetti di Al-Ghazali, sono le Danzatrici pi volte rappresentate dallalgerino Mohammed Racim, innovatore dellarte della miniatura (1896-1975). Ma lo stereotipo comincia a essere demistificato in produzioni come Le Donne del Marocco, di Lalla Essaydi. Tra le opere che compongono la serie su citata, una la imitazione-rivisitazione di Almeh con pipa di Grme. A quanto pare, la Mathaf Gallery di Londra non avrebbe permesso che essa fosse messa a confronto con una copia delloriginale, per un malinteso senso di rispetto verso lartista francese. Permane, comunque, unambiguit di fondo. Il fatto che, mai come in questo caso, ci troviamo di fronte non tanto a uno stereotipo quanto a un complesso archetipo. N sembra del tutto casuale che, nella letteratura europea, esso affiori proprio in un testo dellautore di Leducazione sentimentale, il quale ha suscitato una durevole impressione negli orientalisti e, di riflesso, negli occidentalisti come E. W. Said. Verso le awlim o ghawz che fossero, Flaubert prov un misto di attrazione e repulsione, con una prevalenza della prima. Nellincontro egiziano con esse, si addirittura insinuato, egli contrasse la malattia venerea
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che gli sarebbe stata infine fatale. Eppure la principale tra loro, sedicente di origine siriana, si faceva chiamare Kk Hanim, in turco piccola signora. Questultima starebbe, in ultima e metaforica istanza, per la morte stessa? A ben vedere, forse un conflitto psicologico si annida nella convenzionale ma fluttuante distinzione fra almeh e ghziyyah, in quanto danzatrici rispettivamente di alto e basso rango. Esse possono rammentare i concetti junghiani di Anima e Ombra, immagini inconsce idealizzate in positivo e viceversa in negativo, ma che in realt convivono, cercando un equilibrio o compromesso nelle vicende della personalit.

9 Jean-Lon Grme, Una Almeh, 1882; e due ghawz danzanti, particolare di illustrazione dello scozzese David Roberts per un volume dellopera Egypt & Nubia, Londra 1848 Salom, una almeh perversa? Larabo e lebraico sono entrambe lingue semitiche, affini tra loro bench scritte con alfabeti differenti. In effetti, una delle prime volte in cui ci si imbatte nel termine almah nellAntico Testamento, Isaia 7:14, dove si profetizza che da una almah nascer un figlio, il quale dovr chiamarsi Emanuele. La traduzione vergine poi adottata dagli esegeti cristiani inclini a identificare Emanuele con Ges, sulla scorta del Vangelo secondo Matteo (9:2223) alquanto approssimativa, poich in ebraico si sarebbe piuttosto usato il nome comune bitullah. Una traduzione pi generica giovane donna. In un caso come questo, la lingua biblica avrebbe per ben potuto preferire una parola pi specifica quale naara.
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plausibile che gi allora almah possedesse qualche significato supplementare, assai pi tardi espresso dallarabo egiziano almeh. Non improbabile che almah fosse una donna non ancora maritata, istruita nella danza sacra e in altri compiti rituali. Nel Salmo 68:25, sono cos chiamate fanciulle che incedono suonando tamburelli in una processione celebrativa. In seguito, la connotazione sacrale si sarebbe persa per intero o quasi. Ci che qui maggiormente interessa leventuale conessione con la danza, anche al di fuori di un ambito religioso, perch essa far una sua memorabile apparizione nel Nuovo Testamento. Lepisodio si legge sia nel Vangelo secondo Marco (6:17-28) sia, pi brevemente, in quello secondo Matteo (14:3-11; traduzione Nuova Riveduta): Erode, fatto arrestare Giovanni, lo aveva incatenato e messo in prigione a motivo di Erodiade, moglie di Filippo suo fratello; perch Giovanni gli diceva: Non ti lecito averla. E, bench desiderasse farlo morire, temette la folla che lo considerava un profeta. Mentre si celebrava il compleanno di Erode, la figlia di Erodiade ball nel convito e piacque a Erode; ed egli promise con giuramento di darle tutto quello che avrebbe richiesto. Ella, spintavi da sua madre, disse: Dammi qui, su un piatto, la testa di Giovanni il battista. Il re ne fu rattristato ma, a motivo dei giuramenti e degli invitati, comand che le fosse data, e mand a decapitare Giovanni in prigione. La sua testa fu portata su un piatto e data alla fanciulla, che la port a sua madre. Il nome della figlia di Erodiade, Salom, fu rivelato dallo storico di origine ebraica Giuseppe Flavio nelle sue Antichit giudaiche. Nel 1877, la storia di Salom verr romanzata da Flaubert nella novella Erodiade. Scrivendola, con ogni probabilit lautore si ispirer anche al ricordo personale di Kk Hanim conosciuta in Egitto, almeh o ghziyyah che fosse. Nella sua fantasia, la favolosa danza dei sette veli di Salom pot facilmente sovrapporsi alla danza dellape, una sorta di spogliarello a suo tempo da lui visto ballare alla Piccola Signora. Cos facendo, Flaubert contribu non poco alla nascita di un mito letterario poi drammatizzato da Oscar Wilde e musicato da Richard Strauss, nonch di uno stereotipo decadente quale quello della donna fatale. Ai primi del Novecento, celebri interpreti del personaggio di Salom furono, nel cinema muto, lattrice nord-americana Theda Bara e, nella danza, la ballerina olandese Margaretha Zelle. Nota col nome darte di Mata Hari, la seconda and incontro a una fine tragica e controversa, fucilata come spia in Francia durante la prima guerra mondiale. Quanto alla prima, in privato si chiamava Theodosia Burr Goodman ed era di estrazione
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ebraica. Il suo pseudonimo non che lesotico e sinistro anagramma dellespressione inglese Arab Death, cio morte araba. Pioniera della moda della danza del ventre dimportazione, Mata Hari fu pi fatale a se stessa che ad altri. Per una ballerina, a meno che non fosse classica, non cera piena sicurezza neppure sullonda del successo. A lei non and meglio che alle quattrocento ballerine cairote vittime di una strage esemplare per le loro esibizioni o altri rapporti con le truppe francesi al tempo di Napoleone, almeno stando a una testimonianza riportata nel saggio Il Serpente e la Sfinge della coreografa inglese Wendy Buonaventura (Como: Lyra Libri, 1986). Le awlim si sarebbero invece salvate, sdegnando di avere contatti con gli occupanti. Pi tardi e per certo, a partire dal 1834, le scandalose ghawz come Kk Hanim furono esiliate dalle grandi citt come il Cairo nella provincia egiziana.

10 Ella Ferris Pell, Salom, 1890; e Franz von Stuck, Salom, 1906 LOmbra dellOccidente Dal canto suo, gi da prima della pubblicazione del racconto di Flaubert, lorientalismo pittorico aveva associato il personaggio di Salom alla figura della danzatrice orientale. Risale al 1870 il dipinto Salom del pittore e viaggiatore francese Henri Regnault, la cui modella chiaramente una ballerina araba ritratta seduta in un momento di riposo.
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Con sobriet, poggiati sulle sue ginocchia, soltanto un vassoio e una spada nel fodero rimandano alla narrazione evangelica. Evidentemente influenzate dal quadro di Regnault sono due Salom dipinte da mani femminili: luna dellitaliana Juana Romani (1898; Muse dOrsay, Parigi), e laltra della statunitense Ella Ferris Pell (1890; collezione privata). Se la ballerina della Romani seduta e mantiene in mostra gli attributi distintivi del vassoio e della scimitarra, quella della Ferris Pell in piedi e regge il solo vassoio risplendente con una mano. A differenza che per le altre appena sorridenti, lespressione dellultima ingioiellata e discinta insieme altera e pensosa, mentre ella evita di guardare gli eventuali osservatori del quadro negli occhi, col suo atteggiamento quasi prevedendo e prevenendo i loro sguardi di viscerale fascinazione e riprovazione. Anticipando alquanto i tempi, lidentificazione della principessa ebrea con lOmbra junghiana raggiunse il suo acme nelle produzioni del simbolista tedesco Franz von Stuck, e poi dellaustriaco Leopold Schmutzler. Nel 1906, il primo esegu ben tre versioni del soggetto Salom danzante. Nella meglio conosciuta di queste, esposta nella Lenbachhaus a Monaco di Baviera, ella raffigurata come una danzatrice orientale nuda dalla vita in su, ingioiellata e con una espressione di compiacimento trionfante sul viso. Sulla sua sinistra in basso, dallo sfondo tenebroso emerge la sagoma deforme e ghignante di un servo di colore, che regge fra le mani un piatto con sopra il capo mozzo e luminoso del Battista. Probabilmente non a caso, ma anche a causa di un ricercato cattivo gusto, le opere di Von Stuck sarebbero state pi tardi apprezzate da un razzista quale Adolf Hitler. Il riferimento incidentale al dittatore anti-semita offre qui lo spunto per evocare tuttaltra Salom, che nondimeno con quella biblica condivise il nome e forse un po del suo potere di seduzione. Si tratta della su menzionata Louise von Salom. La pensatrice tedesca nata in Russia fu fra laltro amante di Friedrich W. Nietzsche e di Rainer M. Rilke, amica di Jung e di Freud, moglie dello studioso iranista Friedrich C. Andreas. La sua teoria che sessualit, arte e religiosit, siano forme diverse di un unico slancio vitale, non dest meno scandalo della propria immagine trasgressiva delle convenzioni della morale pubblica. La propaganda nazista impieg contro di lei lepiteto ebrea finnica, che nelle intenzioni avrebbe dovuto suonare spregiativo o ingiurioso. Poco dopo la sua morte nel 1937, la Gestapo devast la sua biblioteca con la motivazione di epurarla dai libri di autori ebrei. Oltre la suggestione esercitata dal cognome, attendibilmente questa lorigine
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del diffuso equivoco che Lou fosse di stirpe o religione ebraica. Ancor pi che lebraismo, islamismo e buddhismo furono tra i suoi molteplici oggetti di studio. A ogni buon conto, a noi non dispiace lidea che la creazione artistica possa fungere da arrischiata mediatrice, per lo pi inconscia, tra eros e sentimento religioso o ricerca di esperienze mistiche. Nel suo autonomo Ringraziamento a Freud del 1931, tale intuizione della Von Salom si riveste di un velo metaforico: Unopera darte se ne sta silenziosa in un mondo di pace e di speranze, ma molto sottile il velo trasparente che cela le sue estreme possibilit e il pericolo terribile che si nasconde dietro a ci che noi, tanto amabilmente interessati, chiamiamo estetica (trad. M. A. Massimello: edizione Bollati Boringhieri, 2006; p. 92). Qui pure traspare unallegoria dellambigua eroina, di cui lautrice aveva ereditato il nome. Un giudizio di ambiguit, che si pu in gran parte traslare sul fenomeno dellorientalismo, nei suoi aspetti sia culturali sia di costume.

11 Vincenzo Marinelli, Il ballo dellape nellharem, particolare, 1862 (Museo di Capodimonte, Napoli; si veda Gli Orientalisti Incanti e scoperte nella pittura dellOttocento italiano, mostra a cura di E. Angiuli e A. Villari, Chiostro del Bramante, Roma, dal 20 ottobre 2011 al 22 gennaio 2012) La piazza dellannullamento
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Nellimmaginario orientalistico decadente lantica Salom evangelica e nel suo piccolo la danzatrice-prostituta, il cui ricordo tramandato da Flaubert, rappresentarono entrambe uno svelamento pi o meno totale del corpo femminile. pur vero che la donna vicino o medio-orientale venne percepita soprattutto come velata, e tale suo velo si estendeva fino a coprirne il volto. Le donne del Cairo una sezione del Viaggio in Oriente in cui Grard de Nerval, al secolo Grard Labrunie, aveva descritto un suo soggiorno in Egitto avvenuto nel 1843. Perseguendo il suo utopico assunto io sono laltro, ma senza troppo dimenticare la dialettica premessa di essere laltro per gli altri, Grard inizi a imparare larabo per sforzarsi di capire mentalit e cultura locali, prima che orientalisti, colonialisti e turisti, equivocassero in merito o rischiassero di adulterarle. Ci si pu perci fidare abbastanza quando, nel capitolo La maschera e il velo, egli affronta la questione del velo: In lungo e in largo per i paesi del Levante, non si trova citt dove le donne siano tutte e completamente velate come al Cairo. [...] Eppure, in una terra dove si suppone che le donne siano prigioniere, possiamo vederne a migliaia nei bazar, nelle strade, nei giardini, passeggiare da sole o in coppie o con un bambino. Di fatto, esse godono di maggiore libert rispetto a quelle europee. vero, le donne di una certa posizione sociale escono da casa issate sui loro asinelli e nessuno pu loro accostarsi, ma anche da noi quelle di un ceto corrispondente quasi mai vanno in giro se non in carrozza. Allo scrittore e poeta francese, non sfugge per il particolare che perfino il velo pu divenire elemento o strumento di seduzione: Appena arrivato, io non mi rendevo ben conto di quale attrattiva possa esserci nel mistero, con cui si avvolge la met pi interessante della popolazione orientale. Pochi giorni sono stati sufficienti per farmi accorgere che una donna la quale sa di essere oggetto di attenzione pu di solito trovare modo e occasione per farsi scorgere, a patto che sia bella. Sorvoliamo sulla mascolina malizia dellultima battuta. un dato di fatto che la rappresentazione di s cerca e trova quasi sempre una via per manifestarsi, anche prima che al soggetto capiti di essere rappresentato dallesterno. In un certo senso e non senza pericoli di eccessi o inganni, cui accennava Lou von Salom, lestetica si impone al di l di ogni possibile schermo o proprio grazie a esso. Beninteso, ci non vale solamente per laspetto femminile. In una societ in cui la volont di rappresentazione inibita dalla cultura dominante, di per s la dinamica fra occultamento e
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svelamento emerge in primo piano. Il che pu verificarsi in maniera originale e inedita. Se c un posto nel mondo arabo, dove una opposta volont di non-rappresentazione si rappresenta a oltranza, e senza assumere la forma decorativa dellarabesco o quella riduttiva della miniatura, probabilmente quello spazio architettonico vuoto Djema el Fna o, meglio, Jmi al-Fan. la piazza principale del centro storico di Marrakech. Non per niente, l termina la narrazione di Le voci di Marrakech di Elias Canetti, col capitolo intitolato Linvisibile. Molto del fascino esercitato da questa grande piazza centrale della citt, con i suoi mille colori e la sua vivacit, dipende non tanto da una particolare forma architettonica, quanto dalla sua spaziale vacuit e dal nome enigmatico e controverso. Nel recente romanzo Jamaa al Fna ou le rassemblement de la dernire heure, il marocchino Mohamed el Habib Fassi Fihri opta per una metaforica interpretazione escatologica: convegno dellultima ora. Effettivamente, oltre che moschea nellaccezione religiosa, in arabo jmi vuol dire genericamente luogo di riunione. E non c dubbio che Jmi al-Fan lo sia, di tradizionale incontro cos come di affollato transito. Ma fan, termine caro ai mistici, significa sia annullamento sia mondo, nel senso di realt transitoria e deperibile se non illusoria. Nellespressione araba, riaffiora lantico concetto semitico della vanit delle vanit. In effetti, il piazzale una specie di fiera delle vanit. Cantastorie, indovine, marabutti, ristoratori, incantatori di serpenti, oggi venditori di souvenir e simili, vi si alternano fin dai tempi andati, quando il sito era approdo di carovane provenienti dal sud o teatro di esecuzione delle pene capitali. Un concentrato di folclore orientale, neanche tanto in quanto effetto artificioso, o a uso esclusivo, del turismo moderno. Un pittore o un fotografo vi avrebbero trovato facile materia per le loro raffigurazioni. Ma Canetti era alla ricerca non tanto di figure caratteristiche, quanto di voci per lui, scarsamente comprensibili e di suoni, fino a quando, nella piazza immensa, non restava che questunico suono, il suono che sopravviveva a tutti gli altri. Questunico suono era quello dellinvocazione di Dio ripetuta allinfinito da un mendicante: non importa se in arabo, in ebraico, o piuttosto come un verso a stento distinguibile e decifrabile.

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12 Marcel Busson, francese, nato nel 1918, Piazza Jamaa el Fna, Marrakech (collezione privata) LOriente dello spirito Se per De Nerval lOriente era il luogo idealizzato delloccultamento-svelamento, sia per Valry sia, in parte, per Canetti, il cosiddetto Oriente dello spirito lo di rappresentazioni non immediate n necessariamente figurative. Polemico nei confronti della tradizione dellarte occidentale, in Orientem versus Valry si spinge oltre: Imitare, descrivere, rappresentare luomo o le altre cose, non significa imitare la natura nella sua operativit, bens imitarne le produzioni, il che assai diverso. Quanto allinterdizione delle raffigurazioni vigente nella cultura islamica, lo stesso autore non nasconde una sua iperbolica ammirazione: Essa elimina dallarte lidolatria, il trompe-loeil, laneddoto, la credulit, la simulazione della natura e della vita tutto quanto impuro (op. cit., p. 139). Si pu obiettare che, se sussistono rischi in un eccesso di figurazione, a maggior ragione ci sembra possibile per una carenza di rappresentazioni, specialmente laddove tale vuoto venga riempito dallesterno. Inoltre, per quanto in funzione dialettica, ogni idealizzazione pu lasciare adito a una disillusione, pi che a un ridimensionamento delle aspettative. In qualche minima misura, il ricordo delle delusioni provate in loco dal tardo romantico e gi quasi maledetto De Nerval in fuga dallOccidente dovette
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contribuire al suo suicidio, intervenuto quattro anni dopo la pubblicazione di Viaggio in Oriente; perlomeno, non serv a scongiurararlo. LOriente da lui cercato o incontrato, e nostalgicamente descritto come ormai in uno stato di avanzata decadenza, non aveva evidentemente rappresentato unalternativa valida o un modello plausibile. Nemmeno le amate immagini femminili erano riuscite a essere abbastanza concilianti, al riguardo. In compenso, non manc chi trov quellOriente a s congeniale e vi ader integralmente, o quasi. il caso del pittore francese Alphonse-tienne Dinet, che nel 1884 si trasfer nel sud dellAlgeria e nel 1913 si convert allIslam, assumendo il nome Nasr alDin. Ci non gli aveva impedito di ritrarre, con edenica poesia, le nudit di giovani grazie berbere. In generale la sua opera un pacato inno alla spontaneit e gioia di vivere di quel popolo, allora poco conosciuto o trascurato, con particolare attenzione alla componente femminile. Le stesse circostanze non gli impedirono, in un dipinto a sfondo sociale come La ripudiata (1913; collezione privata), di denunciare diffusi abusi del diritto di famiglia religioso. Perfino le sue danzatrici o cortigiane Ulad Nail appaiono pi vere e meno sofisticate, di quelle dipinte dal connazionale e pi anziano Georges J. V. Clairin, ma meno oleografiche delle donne berbere ritratte dal belga e pi giovane douard Verschaffelt. Altro noto caso quello della scrittrice e giornalista svizzera Isabelle Ahnni nata Eberhardt, che condusse una vita prima avventurosa e poi ritirata ai margini del deserto algerino. Di madre ebrea convertita al cristianesimo, anche lei si convert allIslam, e fu iniziata al sufismo, la mistica islamica. Lettrice appassionata del romanziere orientalista Pierre Loti, fu amica del pittore Maxime Noir, cui dedic uno dei suoi racconti. Noir, Dinet e George Rochegrosse illustreranno le sue Note di viaggio, uscite postume nel 1908. Fautrice del dialogo culturale fra Oriente e Occidente, alloccorrenza ella avvers apertamente la politica coloniale francese, esponendosi a polemiche in campi opposti. Uno scampato attentato alla sua vita fu presumibilmente motivato da sospetti avanzati nei suoi confronti, di aver collaborato con quella stessa politica, svolgendo attivit informativa. Isabelle aveva avuto simpatie politiche anarchiche. Progressivo o involutivo che fosse, il suo desiderio di evasione si accompagn a un sentito rifiuto dei modi di vita e valori occidentali a lei contemporanei. Tale insofferenza non risparmia lambito femminile: Sono sempre stata stupita che un cappellino alla moda, una camicetta elegante, un paio di stivaletti ben tirati, un po di arredamento fatto di mobiletti ingombranti, un po di
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argenteria e porcellane, bastassero per calmare la sete di felicit di tante persone. Pi in generale, e con qualche preveggenza circa lodierna societ dei consumi, sono le prospettive esistenziali borghesi a essere prese di mira: Il famigerato benessere comporta benefici solo apparenti che, come le speranze sul futuro, svaniranno nella sabbia. Perfino il turismo di massa previsto e criticato dalla giovane esploratrice, convinta di poter venire a sapere cose, che un turista non capir mai, nonostante tutte le spiegazioni delle sue guide. La ricerca di una perduta naturalezza, spontaneit, purezza, pot comunque unirsi al fascino del mistero non di rado, condito di erotismo , al desiderio di evasione e addirittura alla speranza in una illuminazione mistica. Queste motivazioni o alcune di esse orientarono i nostri orientalisti, e il loro lettori o committenti, verso il Vicino o Medio Oriente. In campo filosofico, il percorso seguito dal francese Ren Gunon fu per certi versi affine a quelli di Dinet o della Eberhardt. Quanto a questultima, che era solita usare lo pseudonimo maschile Mahmud al-Sadi o altri femminili pure arabi, anche la sua morte accidentale fu eccentrica e drammatica. Ella per nel 1904, a ventisette anni, travolta da una imprevedibile inondazione in pieno deserto. Al di l dellindividuazione del proprio s, lannullamento di ogni auto-rappresentazione individuale in un orizzonte onnicomprensivo, predicato dai mistici, non poteva assumere una forma simbolica meglio pertinente.

13 Mathilde Laetitia Wilhelmine Bonaparte, Una fellhah (contadina; Muse des Beaux-Arts, Nantes), 1861; e Mihri Mfik, Donna in nero (da: Taha Toros, lk Kadn Ressamlarmz; Istanbul: Akbank Yay., 1988, pag. 8)

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In abiti orientali Per i lettori pi pazienti, un aspetto dellintera questione rimane ancora da esaminare. Almeno in apparenza, il pi superficiale, frutto di un orientalismo trasformista basato sullo sguardo. Eppure, un motivo relativamente antico, risalente alla prima modernit. Nella storia dellarte, basti pensare a dipinti quali La maga Circe dellitaliano Dosso Dossi (Galleria Borghese, Roma). Ispirata al personaggio omerico alcuni vogliono invece che si tratti dellariostesca maga Melissa , la prima una antesignana dello stereotipo-archetipo della donna fatale, neanche tanto meno della Salom evangelica. Con una geniale trovata, gi intorno al 1530 Dossi la riveste di principeschi abiti orientali a lui contemporaneai. Pi espressamente esotica Ritratto di giovane donna o La schiava turca del 1532, di Girolamo F. M. Mazzola detto il Parmigianino, pure lei raffigurata con tanto di turbante sul capo e oggi nella Galleria Nazionale a Parma. linizio di una lunga serie di ritratti in abbigliamento orientale anche di uomo, che include opere dei secentisti olandesi Rembrandt, Jan Lievens, Frans van Mieris il Vecchio, del fiammingo Philippe de Champaigne o un po pi tardi dellitaliano Vittore Ghislandi detto Fra Galgario. Nel Secolo dei Lumi, vi si possono aggiungere gli italiani Domenico Tiepolo, Giacomo Ceruti e Andrea Soldi, o gli inglesi Matthew W. Peters e Benjamin Wilson. Eseguito nel 1835 dallinglese Thomas Phillips, uno dei pi famosi di George Byron, poeta che contribu in maniera non trascurabile allorientalismo letterario (National Portrait Gallery, Londra). Ma torniamo alla ritrattistica femminile, senza dimenticare che il ritratto unimmagine che si ritrae dal soggetto raffigurato, per acquisire unestensiva oggettivit: femminilit pi orientalismo possono produrre risultati inediti. Siamo in pieno Settecento, quando lorientalismo comincia a prendere forma e consistenza di fenomeno, non solo iconografico. Allora, si fondano gli stereotipi del genere. Se Franois Boucher ritrae le sue voluttuose e immaginarie odalische, il fiammingo Jean-Baptiste van Mour, i francesi JeanBaptiste Hilaire e tienne Jeaurat, i fratelli veneziani Gianantonio e Francesco Guardi dipingono le prime scene di harem, ancora assai discrete, nellambito degli allora cosiddetti quadri turcheschi. Singolare o plurale, la presenza femminile vi ovviamente rilevante. Mentre il francese Jean Barbault raffigura una ben strana Sultana greca nel secondo quarto del secolo (Museo del Louvre, Parigi), il franco-olandese Carle van Loo ritrae
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Madame de Pompadour in veste di Sultana, in un lussuoso interno dove una cameriera di colore le serve un caff (1747; Muse des Arts Dcoratifs, Parigi). Anche in questo tipo di scene, la serva o il servo di colore un personaggio frequente. In un altro dipinto attualmente allHermitage di San Pietroburgo, lo stesso pittore rappresenta Due sultane intente al ricamo, laddove sultane sta palesemente per odalische o favorite dellharem. Assai accurati i particolari, caratterizzati in senso orientale. Pi che quella voyeuristica per gentiluomini di Boucher, questa di Van Loo una Turquerie a uso delle dame dellepoca. Nel ritratto in abiti orientali, si cimentarono peraltro i francesi lisabeth Vige Le Brun, Maurice Q. de La Tour, Antoine Favray, linglese Joshua Reynolds e il nordamericano John S. Copley. Perfino limperatrice Maria Teresa dAustria si fece ritrarre alla turca dallo svedese Martin van Meytens, nel 1744. Tuttavia il sotto-genere raggiunse la maturit nelle opere di Jean-tienne Liotard, grazie a una sua permanenza attiva in loco, che poterono vantare anche Van Mour, Hilaire e Favray, ma in diversa misura. Di Liotard, sono notevoli un presunto ritratto di Maria Adelaide di Francia vestita alla turca (1753; Galleria degli Uffizi, Firenze) e una giovane Donna in abbigliamento turco (1749; Museo Pera, Istanbul): forse Mary Gunning, contessa di Coventry, di cui sussiste un ritratto simile al Rijksmuseum di Amsterdam. Del suo pure presunto e coevo ritratto Laura Tarsi, in costume turco, abbiamo alcune varianti, e si gi ritenuto che esso raffigurasse Mary Wortley Montagu. La pi effigiata allorientale, da parte di vari artisti, resta infatti questa nobile inglese (1689-1762), che segu il marito in missione diplomatica nellimpero ottomano. Per la maggior parte di tali ritratti, sicuramente siamo di fronte a poco pi che ladozione occasionale di maschere o il travestimento in costumi da scena. Barbault abbozz i suoi figurini turcheschi, proprio in occasione di una festa mascherata a Roma. Altrettanto per non pu dirsi per la Montagu, le cui Lettere scritte durante i suoi viaggi in Europa, Asia e Africa mostrano sinceri interesse e immedesimazione nelle culture incontrate, con particolare riguardo a quella turca. Sotto questo aspetto, le sue esperienze e relazioni di viaggio anticipano quelle di altre scrittrici viaggianti del secolo seguente, da Isabelle Eberhardt allinglese Julia Pardoe e alla patriota italiana Cristina di Belgiojoso. Non meno della Eberhardt, questultima imperson la figura dellesule ancor pi che della viaggiatrice. In particolare le sue descrizioni di vita familiare, a partire dagli harem, suonano pi autentiche di quelle di tanti pittori orientalisti, con la rara eccezione di Henriette Browne.
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14 Jean-tienne Liotard (?), Dama ritratta a tre quarti di figura, in costume orientale; probabile ritratto di M. W. Montagu o della greca Laura Tarsi, venduto allasta presso Christies, Londra, nel 1998. Del dipinto esistono pi versioni o copie e miniature, di cui questa sembra la pi bella e stilisticamente coerente con altre opere del ritrattista. A fianco: J.- . Liotard, Donna in abbigliamento turco, ca. 1749 Riferimenti bibliografici Lou Andreas-Salom, Il mio ringraziamento a Freud, trad. M. A. Massimello; Torino: Bollati Boringhieri, 2006. Emanuela Angiuli e Anna Villari (a cura di), LOriente nella pittura dellOttocento italiano, catalogo di mostra; Cinisello Balsamo, MI: Silvana, 2011. Cristina (Trivulzio) di Belgioioso, Vita intima e vita nomade in Oriente, prefazione di G. Cusatelli e traduzione dal francese di O. Antoninetti; Pavia-Como: Ibis, 1993. Wendy Buonaventura, Il Serpente e la Sfinge, trad. G. Nobile; Como: Lyra Libri, 1986. Elias Canetti, Le voci di Marrakech. Note di un viaggio, trad. B. Nacci; Milano: Adelphi, 2004. Eugne Delacroix, Diario (1804-1863), a cura di L. Vitali, 2 voll.; Torino: Einaudi, 2002. Isabelle Eberhardt, Notes de route: Maroc, Algrie, Tunisie, con prefazione di V. Barrucand e illustrazioni di G. Rochegrosse, . Dinet, M. Noir, P. Bonnard; Parigi: E. Fasquelle, 1908 (riedito da Actes Sud, Arles, 1998). Isabelle Eberhardt, Sette anni nella vita di una donna. Lettere e diari, trad. L. Prato Caruso; Milano: Guanda, 2002. Lalla Essaydi, Les Femmes du Maroc, libro fotografico artistico a cura di F. Mernissi;
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