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Camillo Ruini, cardinale di Santa romana Chiesa, è da gran tempo uno degli uomini
più potenti d'Italia. Lo era già all'inizio degli anni Novanta, quando si affannava
vanamente a salvare la Democrazia cristiana dalla dissoluzione. E lo è ancor di più
oggi, nei primi anni del nuovo Secolo, come leader del partito politico in cui ha
trasformato la Conferenza episcopale italiana.
L'enorme potere del cardinale Ruini è quanto di più temporale si possa immaginare.
Oltre a governare la diocesi di Roma in nome e per conto del pontefice, lui è il capo
assoluto dell'episcopato italiano. Come tale, maneggia a sua discrezione le migliaia di
miliardi che i contribuenti italiani versano annualmente alla Chiesa, Contratta di
persona con vari leader politici i sì e i no dei programmi di governo. Partecipa
direttamente alle campagne elettorali, e stabilisce quale debba essere il
comportamento di voto dei cittadini. Decide quali proposte di legge siano conformi
alla dottrina della Chiesa, e nel caso non lo siano esige che esse non vengano
approvate dal Parlamento. Avversa determinate leggi dello Stato, come quella che ha
legalizzato la possibilità di aborto, invocandone la cancellazione per impedire che tale
facoltà venga esercitata non solo dai credenti ma anche dai cittadini che credenti non
sono. Pretende che le scuole private cattoliche vengano finanziate dallo Stato, benché
la Costituzione espressamente lo vieti. È di fatto l'editore di un lussuoso e costoso
quotidiano nazionale ("Avvenire") tenuto in piedi da ingenti contributi erogati dallo
Stato italiano.
Nel corso del 2005 il cardinale Ruini si è superato. Prima, al colmo dell'ambizione, ha
tentato senza riuscirvi di farsi eleggere papa. Quindi ha partecipato alla contesa
referendaria sulla fecondazione assistita, guidando il fronte della astensione "tattica"
dal voto (in modo da vanificare il referendum per mancanza di quorum). Infine è
pesantemente intervenuto nello scandalo Fazio: ha difeso a spada tratta l'indifendibile
governatore della Banca d'Italia (devoto dell'Opus Dei, e tramite della Chiesa per
condizionare il sistema creditizio), e si è spinto a polemizzare con la magistratura
contestando la legittimità delle intercettazioni telefoniche. A conferma del fatto che
ormai, in violazione dello spirito e della lettera del nuovo Concordato del febbraio
1984, il cardinale Ruini si muove sulla scena politica italiana proprio come leader del
partito-Cei. Confortato da papa Benedetto XVI, secondo il quale i diritti derivano non
già dallo Stato ma direttamente da Dio.
Dunque definire opportuno il ritratto biografico che i "Discepoli di verità" hanno qui
dedicato al cardinale Ruini è dire poco. Questo libro riempie un vuoto di
informazione, dato che nessuna pubblicazione libraria ha mai raccontato le gesta del
condottiero della Cei. E nella migliore tradizione della Kaos edizioni, è un libro che
accende un faro di conoscenza su un personaggio il quale nella penombra esercita da
vent'anni un potere smodato sulla scena politica nazionale.
Ma quanto avviene negli Stati Uniti merita una valutazione più approfondita. La
religione che torna nella sfera pubblica o che sta tentando di farlo non è quella
cattolica. I cattolici statunitensi hanno un atteggiamento più aperto di quello della
Curia e del cardinale Ruini7. Quanto va emergendo in Usa è invece un
fondamentalismo di origine protestante, una sorta di radicalismo che in Italia, sul
versante cattolico, è rappresentato dalle posizioni dei Legionari di Cristo8. Sono
posizioni che talvolta possono apparire critiche nei riguardi della Chiesa ufficiale,
accusata di lassismo e ambiguità.
In terzo luogo, la Chiesa del cardinale Ruini - quella che i politici italiani tengono in
così tanto conto - non è affatto una "Chiesa trionfante". Mentre Giovanni Paolo II
moriva, nel Venerdì santo del 2005 il futuro Benedetto XVI ancora cardinale
pronunciava parole amare sulle condizioni della Chiesa stessa. E il 1° aprile il
cardinale Ruini parlava di «Pasqua di resurrezione contrariamente alle apparenze».
Il fatto è che il cattolicesimo, in declino in Europa e critico negli Stati Uniti, si è oggi
diffuso in aree dove subisce una trasformazione: lo studioso cattolico Vittorio Messori
ha potuto rilevare che «oggi l'America Latina si avvia a diventare un continente ex
cattolico, e in Africa Isiam e sette cristiane sgretolano il lavoro di generazioni di
missionari cattolici»9. Di queste aree, dove i cattolici sono la metà del miliardo
complessivo, lo storico delle religioni Philip Jenkins ha scritto:
GIORGIO GALLI
11 "Ateo" è una definizione che, secondo il filosofo marxista Luciano Parinetto, non si addice neppure
a Marx. Cfr. Corpo e rivoluzione in Marx, Moizzi editore 1977.
12 «La religione ha ancora un futuro?» è il titolo del numero di settembre-ottobre 2005 di "Diorama",
la bella rivista dell'ex missino Marco Tarchi che ha pubblicato l'intervento di Alain de Benoist.
Il santo protettore
Camillo Ruini mosse i passi decisivi della sua fulgida carriera di potere a metà degli anni Ottanta,
all'ombra del cardinale Ugo Poletti. Si potrebbe anzi affermare -anche in base a quanto si
mormorava all'epoca nei corridoi della Curia vaticana - che monsignor Ruini fosse il pupillo di Sua
eminenza Poletti, del quale infatti fu per anni il più stretto collaboratore e del quale fu il successore
come Vicario generale di Sua Santità il Pontefice e come presidente dei vescovi italiani.
Sia stato o meno il santo protettore di monsignor Ruini, di certo il cardinale Poletti ne fu il
superiore gerarchico per molti anni, e a quanto è dato sapere i due procedettero quasi sempre
d'amore e d'accordo. Dunque nella biografia ruiniana il cardinale Poletti ha avuto uno spazio e un
ruolo non secondari.
Nato nel 1914 a Omegna (Novara), ordinato sacerdote nel 1938 e consacrato vescovo nel 1958,
monsignor Ugo Poletti aveva poi scalato le vette curiali grazie ai molti santi che aveva nel paradiso
vaticano. Fino a una cima vertiginosa: nel marzo 1973 era stato nominato Vicario generale di Sua
Santità per la Città di Roma, e papa Paolo VI lo aveva creato cardinale.
L'anno prima della porpora, il 29 luglio 1972, su carta intestata del Vicariato di Roma, Pallora
vicegerente monsignor Poletti aveva scritto all'onorevole Giulio Andreotti, presidente del
Consiglio:
«Cara Eccellenza, mi rincresce disturbarla e Lei sa che, se lo faccio, è contro le mie abitudini. Mi
trovo a Novara per qualche giorno di ferie. Persone amiche mi pregano di segnalare personalmente
a Lei il generale di Corpo d'armata Raffaele Giudice: egli sarebbe nella terna per la nomina a
Generale comandante della Guardia di finanza. Lei stesso lo conoscerà: se Le è possibile, veda se
può favorire la sua candidatura. Mi assicurano che è persona molto degna. Le sarò grato se potesse
spendere una parola per lui. Anche da lontano, seguo con attenzione e con sensi di amicizia e di
assoluta fiducia il suo lavoro. Dio l'assista tra tutti gli scogli. Mi creda cordialmente suo».
Il 3 agosto 1972, su carta intestata "Il Presidente del Consiglio dei Ministri", l'on. Andreotti gli
aveva risposto: «Eccellenza Reverendissima, ho ricevuto la Sua viva e calda segnalazione a favore
del Generale Raffaele Giudice. Non mancherò di vedere che cosa si possa fare in ordine alla di lui
aspirazione. Le esprimo i miei cordiali ossequi».
Nell'estate del 1974 il generale Raffaele Giudice era stato effettivamente nominato comandante
generale della Guardia di finanza (dal V governo Rumor, con Andreotti ministro della Difesa). Del
resto, per favorire quella nomina si era attivato anche monsignor Fiorenzo Àngelini, ausiliario del
vicario Poletti e molto amico dell'onorevole Andreotti.
Nel settembre del 1978, pochi giorni prima del conclave che avrebbe eletto papa Giovanni Paolo II,
l'agenzia "Op" aveva scritto che il cardinale Poletti avrebbe fatto parte - insieme ad altri 120 alti
prelati, fra i quali monsignor Angelini e monsignor Paul Marcinkus - di una segretissima loggia
massonica radicata in Vaticano. L'agenzia non aveva però fornito alcun riscontro documentale o
testimoniale alla grave affermazione, nessun Un,, di prova. Di sicuro, c'era solo che il direttore di
"OP" il giornalista Mino Pecorelli, era affiliato alla P2, una Loggia massonica segreta i cui capi -
Licio Gelli e Umberto Ortolani - in Vaticano erano di casa. E due importanti banchieri massoni
entrambi affiliati alla P2 Michele Sindona e Roberto Calvi, erano in affari con lo Ior (Istituto opere
di religione), la banca papale guidata da monsignor Marcinkus.
Nell'ottobre del 1980 lo scandalo dei petroli portò in carcere il generale comandante della Guardia
di finanza Raffaele Giudice, artefice - con vari complici - di una colossale truffa petrolifera
all'Erario per circa 2 mila miliardi di lire. Pochi mesi dopo (maggio 1981) scoppio lo scandalo della
Loggia massonica segreta P2: il generale Giudice risultò tra gli affiliati, insieme a vari suoi
compiici nella ruberia petrolifera.
" A dicembre del 1982 i magistrati torinesi che indagavano sullo scandalo dei petroli interrogarono
il cardinale vicario Poletti nella basilica di San Giovanni in Laterano (cioè in territorio vaticano) in
merito alla lettera che Sua eminenza aveva inviato anni prima al presidente del Consiglio Andreotti
per sollecitare la nomina del generale Giudice al comando generale della Guardia di finanza Ma il
cardinale Poletti negò di avere scritto una simile lettera, e si proclamò del tutto estraneo alla
vicenda.
Pochi giorni dopo l'interrogatorio, trapelò sulla stampa la notizia che i magistrati di Torino erano
entrati in possesso sia della lettera firmata Poletti, sia de la risposta dell'on.le Andreotti. Allora il
cardinale Poletti fece diffondere dal Vicariato di Roma una smentita ufficiale.
«In riferimento alle notizie apparse sulla stampa di un presunto carteggio fra il cardinale vicario Ugo Poletti
e l'on. Giulio Andreotti circa il "caso Giudice", si precisa che il medesimo cardinale ha già espresso
autorevolmente le sue considerazioni in proposito, e quindi riafferma la sua totale estraneità ai fatti.
Oggi, nei locali del Palazzo lateranense, i più diretti collaboratori del Vicariato e rappresentanze delle
istituzioni diocesane, interpretando i sentimenti di tutta la Chiesa locale e deprecando un costume
giornalistico fatto di leggerezze e di strumentalizzazioni, hanno espresso al Cardinale Vicario, tramite il
vicegerente, monsignor Giovanni Canestri, la loro piena solidarietà».
La smentita del cardinale Poletti era solo una pubblica menzogna. Infatti, nel corso di un secondo
interrogatorio, il 13 gennaio 1983, i magistrati torinesi mostrarono all'impudente Vicario del Papa
copia delle due lettere, e il porporato, a quel punto, non poté che ammetterne l'autenticità.
Subito ricevuto in udienza privata da Giovanni Paolo II, il cardinale Poletti dopo il colloquio papale
smentì le voci che lo volevano dimissionario: disse che il Santo padre gli aveva confermato «piena
fiducia», e che pertanto non intendeva dimettersi né chiedere di essere trasferito ad altra sede. Anzi,
esibì una lettera, inviatagli dai parroci di Roma, di «solidarietà per le calunnie che ascoltiamo»1.
Nonostante questa vicenda piuttosto squallida, il cardinale Poletti tre anni dopo ottenne una
poltronissima aggiuntiva: i suoi santi nel paradiso curiale erano talmente potenti che a luglio del
1985 indussero Giovanni Paolo II ad attribuire al suo Vicario pure la carica di presidente della Cei
(la Conferenza episcopale italiana). Un vero miracolo, dato che - oltretutto - il cardinale Poletti
versava in pessime condizioni di salute: solo tre mesi prima era stato sottoposto a ben due interventi
chirurgici, dopo i quali lui stesso aveva confessato di aver rischiato la vita.
Una seconda vicenda, ancora più scandalosa, ebbe per protagonista il cardinale Poletti all'inizio del
1990. All'epoca, Sua eminenza era appunto Vicario generale nonché presidente della Cei, mentre
monsignor Camillo Ruini era il suo più stretto e autorevole collaboratore come segretario della
Conferenza episcopale.
Con apposita lettera datata aprile 1990, il cardinale Poletti autorizzò la sepoltura, nella cripta della
basilica romana di Sant'Apollinare, del boss malavitoso Enrico De Pedis, uno dei capi della banda
della Magliana. La banda era un sodalizio criminale attivo negli anni Settanta e Ottanta a Roma, e
dedito a traffico di stupefacenti e di armi, sequestri di persona, usura, rapine e omicidi; alcuni dei
suoi capi erano in contatto con politici democristiani, coi servizi segreti italiani, con la massoneria e
con la P2. Assassinato a Roma il 2 febbraio 1990 durante una faida, De Pedis era stato
provvisoriamente sepolto nel cimitero comunale al Verano. Il successivo aprile - grazie appunto
all'autorizzazione scritta del cardinale Poletti - la salma del boss, in gran segreto, era stata
trasportata a Sant'Apollinare e tumulata nella cripta della basilica: in un sarcofago di marmo bianco,
decorato di oro e pietre preziose.
Una faccenda tanto più scandalosa se si considera che fu irrorata di denaro, il denaro sporchissimo
dell'usura e del traffico di droga. Anzitutto, i lavori di allestimento del marmoreo sepolcro per il
boss: affidati a una ditta di fiducia del Vaticano, erano costati molte decine di milioni. Del resto, De
Pedis aveva lasciato un'ingente eredità di beni intestati a prestanome: ristoranti, negozi, imprese
edili, società commerciali e un piccolo impero di immobili. Nei corridoi curiali si mormorava di
lasciti in denaro del boss per il Vicariato e per un paio di superporporati della Curia coi quali De
Pedis, in vita e nell'esercizio delle sue funzioni criminali, aveva avuto a che fare. Donazioni
talmente generose, e servigi talmente preziosi, da giustificare prima la sepoltura esclusiva nella
basilica, poi il detto «Parce sepulto».
1 Due mesi dopo, il cardinale Poletti pubblicò il libro Fede e politica, una raccolta della sue omelie
impreziosita da una prefazione firmata dall'onorevole Giulio Andreotti.
[Il Vicario di Sua Santità - Il ventennio di potere del cardinale Ruini, Kaos edizioni, 2005]
Totale docilità
L' ascesa carrieristica di Camillo Ruini comincia il 24 maggio 1983: quel giorno
Giovanni Paolo II lo promuove vescovo, e lo nomina ausiliare del vescovo di Reggio
Emilia e Guastalla, monsignor Gilberto Baroni.
Nato a Sassuolo (Modena) nel 1931, laureato in teologia all'università Gregoriana di
Roma, ordinato prete nel 1954, il neovescovo Ruini ha già collezionato un piccolo
medagliere di incarichi: assistente dei laureati cattolici; delegato vescovile per
l'Azione cattolica; vicepresidente del Consiglio pastorale diocesano; preside dello
studio teologico interdiocesano di Reggio Emilia e Modena; animatore del Centro
diocesano di Reggio Emilia per la formazione culturale e apostolica dei laici;
insegnante di teologia nello studio teologico accademico di Bologna. Il curriculum
non deve impressionare, il cin' quantaduenne Ruini non manifesta alcuna particolare
eccellenza: non è un intellettuale né un comunicatore, non è un teologo né un pastore,
ha un aspetto emaciato e un eloquio soporifero. All'epoca, nella Curia vaticana, fra le
grappolate carrieristiche, c'è chi lo accosta per lo zelo, il grigiore e la tenace
ambizione a un burocrate della nomenklatura sovietica.
È chiaro che il neovescovo Ruini ha dei santi in paradiso, nel paradiso della Curia
romana egemonizzata dalle grappolate dei Piacentini e dei Romagnoli1. Uno dei santi
è il cardinale Ugo Poletti, Vicario generale di Sua Santità per la Città di Roma.
Dopo otto anni di negoziati, il 18 febbraio 1984 la Santa sede e la Repubblica italiana
sottoscrivono un nuovo Concordato. La cerimonia della firma ha luogo a Roma, a
Villa Madama. Per la Santa sede, insieme al segretario di Stato cardinale Agostino
Casaroli, sono presenti i monsignori Eduardo Martinez Somalo (sostituto della
Segreteria di stato) e Achille Silvestrini (segretario del Consiglio per gli Affari
pubblici della Chiesa). Per lo Stato italiano, con il presidente del Consiglio Bettino
Craxi (socialista) ci sono gli onorevoli democristiani Arnaldo Forlani (vicepresidente
del Consiglio) e Giulio Andreotti (ministro degli Esteri).
Il nuovo Concordato è una revisione dei Patti Lateranensi del 1929, e codifica il
superamento dello Stato confessionale cancellando «il principio, originariamente
richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello
Stato italiano»2. La principale innovazione sociopolitica contenuta nel nuovo
Concordato è all'art. 9, relativo all'insegnamento della religione nelle scuole,
questione che però dovrà essere definita nei dettagli mediante una intesa tra la
Conferenza episcopale italiana e il governo. L'art. 9 recita:
«La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i
principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad
assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche non universttarie di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito
a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.
All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta
dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di
discriminazione».
«Le somme da corrispondere a far tempo dal 1° gennaio 1987 e sino a tutto il 1989 alla
Conferenza episcopale italiana e al Fondo edifici di culto in forza delle presenti norme sono
iscritte in appositi capitoli dello stato di previsione del ministero del Tesoro [...].
A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è
destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione
statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della chiesa cattolica.
Le destinazioni di cui al comma precedente vengono stabilite sulla base delle scelte espresse
dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da
parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse.
Per gli anni finanziari 1990, 1991 e 1992 lo stato corrisponde, entro il mese di marzo di
ciascun anno, alla Conferenza episcopale italiana, a titolo di anticipo e salvo conguaglio
complessivo entro il mese di giugno 1996, una somma pari al contributo alla stessa
corrisposto nell'anno 1989, a norma dell'articolo 50.
A decorrere dall'anno finanziario 1993, lo stato corrisponde annualmente, entro il mese di
giugno, alla Conferenza episcopale italiana, a titolo di anticipo e salvo conguaglio entro il
mese di gennaio del terzo periodo d'imposta successivo, una somma calcolata sull'importo
liquidato dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali relative al terzo periodo di imposta
precedente con destinazione alla chiesa cattolica».
Dopo la firma del nuovo Concordato, il cardinale Casaroli afferma che lo Stato e la
Chiesa «indipendenti e sovrani» si impegnano alla «reciproca collaborazione per la
promozione dell'uomo e il bene comune», e sostiene che il nuovo accordo
concordatario «viene affidato al vaglio della storia. E lo sarà, ancor più, alla verifica
della vita quotidiana». Infine, il segretario di Stato vaticano precisa: «L'accordo oggi
sottoscritto non definisce nella sua interezza e nei suoi particolari l'insieme dei
rapporti giuridici fra lo Stato e la Chiesa cattolica in Italia. Esso prevede su qualche
punto specifico ulteriori intese integrative, con la Santa sede o con la Conferenza
episcopale italiana. In ogni caso, non impedisce ai cattolici italiani, nell'esercizio dei
loro diritti civili, di adoperarsi per la definizione dei punti non contemplati
nell'accordo, nel quadro di una sana dialettica democratica». Il riferimento alla
Conferenza episcopale è assai pertinente: infatti il nuovo Codice canonico, in vigore
da soli tre mesi, assegna ai vescovi italiani un inedito ruolo di notevole rilievo.
II mondo politico italiano saluta il nuovo Concordato come un lieto evento. La sola
voce dissonante è quella del leader radicale Marco Pannella, che appunta i suoi strali
polemici proprio sull'insegnamento scolastico della religione e sui finanziamenti dello
Stato alla Chiesa: «Questo patto madamense è stato voluto in primo luogo dal
governo e dal suo presidente [Bettino Craxi, ndr] per motivi non dissimili, ma di certo
più indecorosi, di quelli che portarono Mussolini a volere i Patti lateranensi. È un
accordo senza anima e senza avvenire. L'attuale regime partitocratico del
finanziamento pubblico ai partiti crede probabilmente di riuscire meglio a
sopravvivere a se stesso, rinnovando il finanziamento pubblico della Chiesa e il
monopolio ecclesiastico dell'insegnamento della religione».
II 9 aprile del 1985 si apre a Loreto (Ancona) il secondo Convegno della Chiesa
italiana. È una specie di congresso che ha lo scopo di tracciare il solco programmatico
della Chiesa italiana dei prossimi anni: infatti vi partecipano 150 tra vescovi e
cardinali, 700 tra sacerdoti, religiosi e religiose, e più di mille laici.3
Al convegno l'ala progressista è rappresentata dai cardinali Anastasio Ballestrero
(presidente della Cei) e Carlo Maria Martini (arcivescovo di Milano). Le si
contrappone la fazione integralista e reazionaria, capeggiata non da personalità bensì
da organizzazioni: Comunione e liberazione e Opus Dei. Il movimento "Comunità
cristiane di base", non invitato al Convegno, manda a Loreto un polemico
comunicato: «Come può una Chiesa che consolida continuamente le proprie fortune
bancarie e le proprie strutture diplomatiche presentarsi al mondo come segno e
riconciliazione?... Il vento della
restaurazione soffia forte, e la Chiesa italiana diviene sempre più efficientemente e
visibilmente intrinseca al potere politico».
L'11 di aprile al Convegno interviene papa Giovanni Paolo II, e le sue parole
seppelliscono qualunque prospettiva progressista. Dell'intervento wojtyliano a Loreto
colpisce in particolare un brano politico, anzi partitico. Il Santo padre, infatti, afferma
che nella società italiana è in atto «un processo di secolarizzazione che, spesso, si
esprime in una vera scristianizzazione della mentalità e del costume per il diffondersi
del materialismo pratico cui si aggiunge il peso culturale e politico di ideologie atee»;
tuttavia, aggiunge, «gli uomini e le donne di questa grande nazione» non devono
avere paura del «ruolo anche pubblico che il cristianesimo può svolgere per la
promozione dell'uomo e per il bene dell'Italia». Dopodiché il Papa invita i cattolici
italiani a restituire alla loro fede un «ruolo guida» e una «efficacia trainante»,
ricordando che nella loro storia è «sempre prevalsa la tendenza verso un impegno
[che] non poteva non manifestarsi unitario soprattutto nei momenti in cui lo ha
richiesto il bene supremo della nazione». Un insegnamento che assolutamente «non
va dimenticato, anzi, nella realtà dell'Italia di oggi va tenuto presente nei momenti
delle responsabili e coerenti scelte che il cittadino cristiano è chiamato a compiere». È
un chiaro appello "elettorale" proDc, e nei corridoi della Curia vaticana si mormora
che il ghostwriter di questo italianissimo passo del discorso papale sia l'arcivescovo
Camillo Ruini, presente al convegno di Loreto e intento a mettersi in mostra, a farsi
notare 3.
All'inizio di luglio 1985 il vicario papale cardinale Poletti viene nominato, a sorpresa,
anche presidente della Conferenza episcopale italiana, al posto del cardinale Anastasio
Ballestrero. Una nomina stupefacente, miracolosa, dato che, oltre a essere piuttosto
chiacchierato, oltre a ricoprire la carica di vicario papale per la diocesi di Roma,
l'eminenza Poletti è in condizioni di salute molto precarie: dal 22 marzo all' 11 aprile
è stato ricoverato al policlinico Gemelli e operato due volte per un'occlusione
intestinale; dopo gli interventi chirurgici, lui stesso ha reso noto che il suo organismo
ha subito «un forte trauma, fino a rasentare il limite critico della vita», e che è afflitto
da una «sofferenza cardiaca». Ma la nuova, prestigiosa poltrona aggiuntiva è la
miglior convalescenza: rimette tutte le cose a posto, anche la salute.
Nei corridoi della Curia vaticana si mormora che la nomina del navigato cardinale
Poletti alla presidenza della Cei sia da mettere in relazione al nuovo Concordato e a
3 «II discorso di papa Wojtyla a Loreto», protesta il deputato Franco Bassanini della Sinistra
indipendente, «rappresenta un'interferenza pesante nella politica italiana. È un ritorno all'indietro
rispetto al Concilio Vaticano II, che aveva riconosciuto pienamente i principi di laicità dello Stato, di
pluralismo dell'impegno politico dei cattolici, di rinuncia ai privilegi temporali e a ogni confusione tra potere
statale e istituzioni ecclesiastiche. Dovrebbe far riflettere anche i sostenitori del nuovo Concordato fra Stato e
Chiesa». Secondo l'onorevole Bassanini, «rinunciando a compiere un deciso passo avanti nel senso dei valori
costituzionali di uguaglianza e libertà religiosa, ribadendo molti dei privilegi del Concordato fascista, i sostenitori
del nuovo Concordato hanno dato via libera a interferenze politiche dei settori più retrivi della gerarchla
ecclesiastica».
qualche perdurante problema attuativo. Per esempio, la normativa sull'insegnamento
della religione cattolica nella scuola. Non solo: c'è anche la nuova normativa relativa
agli «impegni finanziari dello Stato italiano e agli interventi del medesimo nella
gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici».
Forse è ancora in relazione a queste due importanti questioni scuola e finanziamenti
che il 28 giugno 1986 avviene un altro miracolo: su proposta del cardinale Poletti,
Giovanni Paolo II nomina monsignor Ruini segretario generale della Conferenza
episcopale. Ruini prende il posto di monsignor Egidio Caporello, il quale
promoveatur ut amoveatur lo stesso giorno è stato nominato dal Papa vescovo di
Mantova. La regia di tutta l'operazione è del cardinale Poletti, Giovanni Paolo II
come sempre si è limitato a ratificare.
«L'Ufficio a cui sono chiamato esige di essere svolto in atteggiamento di totale
docilità alle indicazioni del Santo Padre», dichiara monsignor Ruini con la dovuta
solennità. Quindi il neosegretario della Cei esprime «profonda gratitudine» anzitutto
al Papa che lo ha nominato, in secondo luogo (ma sarebbe il primo...) al presidente
della Cei che lo ha prescelto, e infine al vescovo monsignor Baroni «che da oltre
vent'anni ha guidato i passi del mio sacerdozio e poi quelli del mio episcopato».
Dopodiché, un cenno programmatico:
«Mi occorrerà tempo per prendere gradualmente conoscenza dei problemi, e fin da ora chiedo
a tutti pazienza, indulgenza e comprensione. Mi è di conforto la guida che il cardinale Ugo
Poletti, presidente della Cei, vorrà paternamente offrirmi. Al di là della differenza degli
incarichi, intendo essere umilmente al suo fianco con lo stesso spirito con il quale ho
collaborato in questi anni con monsignor Baroni».
Alla metà di ottobre 1986, dopo la riunione del Consiglio permanente della Cei, il
segretario generale Ruini presenta alla stampa il comunicato finale che ha contribuito
a redigere.
Primo argomento, l'ora di religione nella scuola italiana come previsto dagli accordi
concordatari. I vescovi, per bocca di monsignor Ruini, esprimono vari «motivi di
disagio». Anzitutto «il problema della collocazione oraria dell'insegnamento della
religione cattolica nella scuola elementare e materna. In queste scuole l'indirizzo di
collocare l'insegnamento della religione cattolica soltanto all'inizio o alla fine delle
lezioni, nelle classi ove siano presenti alunni che si avvalgano dell'insegnamento e
alunni che non se ne avvalgano, là dove viene applicato in modo non attento alle
complesse situazioni delle diverse realtà scolastiche crea serie difficoltà». Il
linguaggio dei vescovi italiani comincia a essere caratterizzato dallo stile ruiniano:
allusività tra ammiccamenti e sottintesi, arzigogoli da politicanti che suggeriscono
senza affermare, che invece di dire insinuano.
Nel documento letto da monsignor Ruini, i vescovi italiani passano dal particolare al
generale: «Constatato il decadimento morale dei vari settori della vita pubblica e
privata», affermano la necessità di «rievangelizzare» l'Italia. Perché «la cultura oggi si
caratterizza sempre più come informazione e descrizione, rinunciando alla ricerca dei
valori assoluti. I grandi problemi della verità, del bene e del male, della vita e della
morte, sono lasciati al singolo e alla coscienza individuale. Alla domanda del
religioso, ancora largamente presente nella nostra gente, si tende a dare una risposta
rifugiandosi in un vago intimismo». Conclusione, letta da monsignor Ruini con
particolare solennità: «Sono pertanto urgenti da parte della Chiesa la formazione di
personalità mature e coerenti nelle proprie scelte di fede e l'impegno di
evangelizzazione della cultura, che faccia emergere anche a livello di coscienza
collettiva le questioni della verità e della moralità».
Dopo la riunione del Consiglio permanente della Conferenza episcopale, il cardinale
Poletti e il ministro democristiano della Pubblica istruzione Franca Falcucci trovano
un accordo: gli alunni che rifiutino l'ora di religione, dovranno sobbarcarsi lo studio
obbligatorio di un'altra materia scolastica.
Alla fine del 1986 il cardinale Poletti partecipa, come presidente della Cei, alla
assemblea nazionale della Fidae, la Federazione delle scuole cattoliche italiane, e
lancia un grido d'allarme. Il porporato afferma che molte delle 1.547 scuole cattoliche
in attività hanno gravi problemi economici, e nel corso del 1986 un'ottantina di istituti
ha dovuto chiudere i battenti. La ragione della crisi economica delle scuole cattoliche
dice il cardinalepresidente è nel fatto che su 20.675 insegnanti, solo poco più della
metà sono religiosi. È dunque necessario conclude Sua eminenza Poletti che il
Parlamento legiferi sulla parità scolastica pubblicoprivato, stanziando i relativi
finanziamenti per gli istituti cattolici.
Il 17 dicembre la Conferenza episcopale, con un comunicato, afferma che la nuova
normativa concordataria sull'insegnamento della religione nella scuola ha comportato
alcune difficoltà «alle quali nella maggior parte dei casi i responsabili della scuola
hanno fatto fronte con impegno e intelligenza». Tuttavia lamenta la Cei permangono
forti pressioni politiche contrarie all'Intesa del dicembre 1985, pressioni che
«rischiano di compromettere valori fondamentali garantiti dalla Costituzione» come il
diritto alla libertà religiosa, il rispetto dei patti, e la collaborazione fra Stato e Chiesa.
«Le famiglie e i giovani che hanno apprezzato, in così grande numero, il valore
formativo e culturale dell'insegnamento della religione cattolica», conclude la Cei con
una minacciosa allusività di stile ruiniano, «non mancheranno di valutare la situazione
e i suoi sviluppi, e saranno in grado di esprimere, nelle forme e nei modi propri della
vita democratica, il loro giudizio». Monsignor Ruini illustra il senso del comunicato
della Cei in un'intervista a "Famiglia cristiana":
Non c'è sproporzione tra il constatare che nella scuola la situazione è abbastanza normale, e
l'allarmata denuncia del rischio anticostituzionale? «Il contrasto non è nella nostra dichiarazione
ma nei fatti. Vediamo che, mentre nella maggior parte delle scuole vi è normalità sia per
l'insegnamento religioso sia per le attività alternative, vi sono forze culturali, sindacali e
politiche impegnate in una battaglia che crea un clima di tensione. Queste forze hanno
avanzato delle richieste che, se accettate, comporterebbero non solo l'abrogazione dell'Intesa
[del dicembre 1985, ndr] ma anche la violazione degli accordi concordatari».
La nota della Cei [contiene] un appello alla mobilitazione politica? «Non si tratta di questo.
Diciamo però che non si può combattere o emarginare l'insegnamento religioso nella scuola
senza con ciò avversare il sentimento religioso della popolazione e i valori religiosi in sé.
Occorre tirare tutte le conseguenze di un atteggiamento del genere».
Quali conseguenze? «Non sono tanto le conseguenze che potrebbe tirare la Cei, quanto quelle
che potrebbe tirare la gente nei riguardi di forze che, opponendosi sistematicamente
all'insegnamento della religione nella scuola, rivelano il loro orientamento verso la religione
in quanto tale. E poiché le forze politiche italiane hanno sempre sostenuto di essere rispettose
del fatto religioso, comportamenti di questo genere smentiscono quelle affermazioni e
obbligano i cittadini a riesaminare il loro rapporto con quelle forze».
Cioè, nelle future elezioni i cattolici dovrebbero presentare il conto? «È chiaro che il
comportamento delle forze politiche su questo, come sugli altri grandi temi della vita morale e
religiosa, deve essere valutato dai cattolici, e da ogni cittadino, nelle diverse sedi, compresa
quella elettorale».
Non c'è il rischio di ritornare a contrapposizioni politiche nel nome della religione? «Noi non
intendiamo trascinare questo problema sul terreno del confronto politico e, men che mai,
partitico...»4.
Benché sia impegnatissimo sul frontescuola, e sebbene manchino ancora tre anni alla data
fatidica, monsignor Ruini si sta anche preparando per affrontare la "rivoluzione" dell'8 per
mille, un tema sul quale ha le idee molto chiare: «Va superato il falso spiritualismo, quasi che
la solidarietà sia solo un fatto affettivo, intimo, e la Chiesa possa vivere senza un supporto
economico: oggi molte iniziative pastorali non si attuano per mancanza di mezzi».
In effetti, tra la fine del 1986 e l'inizio del 1987 il segretario generale della Cei incomincia a
manifestare quella che diventerà la sua vera identità di fondo: l'essere un politico in tonaca, un
alto funzionario clericale impegnato nella battaglia politica a salvaguardia del potere e degli
interessi temporali della Chiesa in Italia. E come ogni politico che si rispetti,
monsignor Ruini insinua, sottintende, allude, e soprattutto contratta e mercanteggia.
All'inizio del 1987 c'è chi scrive che la Cei «sta progettando di istituire un suo
osservatorio del mondo politico e di aprire un canale diretto con i partiti italiani,
saltando la tradizionale mediazione della De»; il progetto «sarebbe maturato con la
nomina di monsignor Camillo Ruini a segretario generale della Cei avveduta il 28
giugno dell'anno scorso» 5.
«Lo stesso fatto che il segretario generale della Cei si sia preoccupato di attenuare l'impatto
della nota sull'opinione pubblica e di darne una vera interpretazione, diversa da quella di una
secca scelta per la Dc, è un segno dei tempi. Ora, grazie al segretario generale della Cei, tutti
sanno che la nota non solo non era prescrittiva nel dire quale partito si dovesse votare, ma
neppure era rivolta "a dare una mano alla Dc". Già il documento della Cei era sibillino, non
nominava esplicitamente la Dc, non aveva un carattere prescrittivo. E adesso, di precisazione
in precisazione, è stemperato ancora di più il suo significato di avallo elettorale dato alla Dc.
Se non ci saranno ulteriori messe a punto o appelli dell'ultima ora, forse finalmente l'Italia, da
buon ultimo nei Paesi dove numerose sono le comunità cattoliche, si avvierà a voltare pagina
e a lasciarsi alle spalle una vecchia tradizione di intromissione diretta e strumentale della
Chiesa nelle vicende politiche».
Nell'estate del 1987 scoppia la guerra per l'ora di religione. È uno scontro fra la
Chiesa e lo Stato italiano, nel corso del quale monsignor Ruini fa vedere di che pasta
è fatto.
Il 22 luglio il Tribunale amministrativo del Lazio sentenzia che gli studenti i quali non
seguono l'ora di religione non possono essere obbligati a partecipare a corsi alternativi
(come invece stabilito da una circolare dell'ottobre 1986 del ministro della Pubblica
istruzione). Secondo il Tar, l'ora di religione ha un carattere aggiuntivo ed è
espresso preoccupazione per quello che ha definito «il dilagare di pornografia e droga», e per l'attacco
contro «la sacralità della vita», cioè l'aborto.
non sono nemmeno obbligati a frequentare lezioni alternative. Secondo la Corte,
obbligare gli studenti che non optano per lo studio della religione cattolica a frequentare
altre lezioni costituirebbe un «condizionamento della loro coscienza» e una «patente
discriminazione a loro danno».
Il commento alla sentenza del segretario generale della Conferenza episcopale è una
dichiarazione da consumato politicante:
«Noi richiamiamo il rispetto degli accordi di revisione del Concordato, che demanda
all'intesa tra Cei e ministero della Pubblica istruzione le modalità di organizzazione di
tale insegnamento anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle
lezioni. Nell'intesa stessa si è poi convenuto che il diritto di scegliere se avvalersi o non
avvalersi della religione cattolica assicurato dallo Stato, non deve determinare alcuna
forma di discriminazione neppure in relazione ai criteri per la formazione della classi, alla
durata dell'orario scolastico giornaliero e alla collocazione di detto insegnamento nel
quadro orario delle lezioni.
Se invece fosse avvalorata l'opinione, diffusa subito dopo la sentenza della Corte,
secondo la quale gli studenti che non si avvalgono degli insegnamenti della religione
possano lasciare la scuola liberamente, avverrebbe uno stravolgimento del concetto di
libertà. Nessuna materia reggerebbe di fronte a questa prospettiva...
Comunque la questione dell'ora di religione continua a stare a galla non perché interessi
veramente la gente, ma solo per volontà dei politici e degli intellettuali dell'area laica. È
una questione che è solo di vertice, non è una questione di base. Con questo non voglio
dire che i laici non hanno i loro motivi o che sono in malafede, niente del genere. Dico
solo che c'è un tipico scollamento del Paese reale, e non solo con gli uomini politici, ma
anche con gli uomini di cultura che agitano continuamente questo problema. Io questo
problema dell'ora di religione non lo vedo proprio, e credo di essere in un buon
osservatorio: a noi fanno capo tutti gli uffici diocesani, e quindi c'è una capillarità
enorme, da cui possiamo capire bene la situazione. Insomma, secondo me questo dell'ora
di religione è un falso problema».
Interrogato dai giornalisti sulle voci che periodicamente dal fronte laico si levano per
chiedere la soppressione del Concordato, monsignor Ruini lascia il bastone e esibisce la
carota: «Sono voci che ogni tanto ricorrono. D'altra parte non dobbiamo nasconderci che
già molto prima che venisse stipulato il nuovo Concordato [29 febbraio 1984, ndr]
c'erano istanze, qua e là, per la sua soppressione. Noi le valutiamo con attenzione e
rispetto. Però è altrettanto certo che per noi vige il principio che il Concordato recente,
stipulato nello spirito della Costituzione e del Concilio Vaticano II, può essere lo
strumento quanto mai utile per la vita del Paese».
Alla fine di marzo il segretario generale della Cei pubblica il libro // Vangelo nella nostra
storia (Città Nuova), una raccolta di brevi saggi sul ruolo della Chiesa nella società
italiana con tante adulazioni e genuflessioni per Giovanni Paolo II. Alla cerimonia di
presentazione dell'opera, a Roma, rendono omaggio all'augusto autore schiera di
personaggi altrettanto eccellenti: il principe della Curia cardinale Achille Silvestrini; il
nunzio apostolico in Italia monsignor Luigi Poggi; il presidente dell'Iri professor Romano
Prodi; il ministro delle Finanze onorevole Emilio Colombo; l'ambasciatore d'Italia esso la
Santa sede Emanuele Scammacca; il rettore dell'Università cattolica Adriano Bausola; il
senatore democristiano Giuseppe Medici; il direttore de "L'Osservatore romano" Mario
Agnes; il direttore del quotidiano "II Tempo" Gaspare Barbiellini Amidei.
Alla metà di maggio del 1989 accade un fatto di grande rilievo: anche in Italia
dall'interno della Chiesa si muovono critiche pubbliche alla gerarchia vaticana.
Analogamente a quanto è già avvenuto in Germania con la nota "Dichiarazione di
Colonia", infatti, 63 teologi italiani firmano e diffondono un documento nel quale
esprimono, con linguaggio pacato ma chiaro, «disagio per determinati atteggiamenti
dell'autorità centrale della Chiesa nell'ambito dell'insegnamento, in quello della disciplina
e in quello istituzionale».
Immediata la reazione del vertice della Conferenza episcopale italiana, con un risentito
comunicato dallo stile ruiniano:
Il duo Poletti - Ruini non tollera dissensi nell'ambito della Chiesa italiana, e intende il
comunicato dei 63 teologi come un'insidia alla propria autorità di potere. Le parole del
cardinale Poletti sono taglienti:
«II popolo di Dio, di cui abbiamo la cura pastorale, certo non è aiutato nella sua fede e
nel suo senso di appartenenza alla Chiesa dal gesto in sé, anche a prescindere dai singoli
contenuti, di teologi e studiosi cattolici che si uniscono per esprimere pubblicamente
considerazioni che nella sostanza sono pesantemente e ingiustamente critiche verso chi
ha la responsabilità della guida della Chiesa. Le preoccupazioni riguardano poi gli allievi
dei nostri seminari e istituti teologici, coloro che domani saranno i nostri nuovi sacerdoti,
e che certo non ricevono oggi da alcuni loro maestri un esempio formativo, sotto il
profilo della teologia, della spiritualità e del senso della Chiesa».
Ai primi di ottobre 1989 il consiglio permanente dei vescovi italiani, riunito a Roma, si
conclude con un comunicato, illustrato alla stampa dal segretario generale della Cei.
Il documento si occupa di politica della crisi elettorale della Dc, e delle voci di un nuovo
partito cattolico ma senza darlo a vedere: il testo è permeato di ambiguità, di allusioni, di
sottintesi e ammiccamenti, come se lo avesse redatto un politicante azzeccagarbugli.
Invece monsignor Ruini lo presenta ai giornalisti come se fosse un limpido proclama
"neutrale", farina del suo sacco. Nel comunicato, i vescovi italiani esortano i fedeli a una
«corretta partecipazione alla vita sociale», e sebbene si dicano «non direttamente
coinvolti nelle vicende di parte» confermano «gli orientamenti da tempo maturati per
promuovere anche nella vita civile una coerente presenza cristiana». Quindi auspicano
che «le gravi responsabilità di chi è tenuto a governare trovino larga comprensione e
collaborazione, per la prosperità sociale e la pace vera della gente». Monsignor Ruini
spiega che i vescovi italiani si occupano della vita sociale mossi unicamente «dalla
solidarietà e dalla carità pastorale», e che, come pastori, si sentono «pur sempre immersi
nella realtà e nella storia del Paese, a ragione dei valori religiosi, etici e sociali che sono
universali e non divisibili da ideologie».
Ai giornalisti un po' perplessi, monsignor Ruini spiega: «Sostanzialmente ci siamo
limitati a riaffermare l'attenzione dei vescovi sulla vita sociale, politica, economica e
culturale del Paese, nei termini che sono noti, senza sconfinamenti e d'altra parte senza
che vi siano cambiamenti negli orientamenti dei vescovi italiani... Iniziative che si
ponessero al di fuori di questa continuità certamente non sarebbero in sintonia con
l'orientamento dei vescovi». In parole povere: la De deve continuare a rappresentare e
tutelare gli interessi della Chiesa, i fedeli devono continuare a votare De, l'episcopato
boccia qualunque ipotesi alternativa.
La conferenza stampa del segretario generale della Cei si conclude con due annunci.
Primo: prossimamente l'episcopato pubblicherà un documento sui problemi del
Mezzogiorno, compreso quello sulla malavita organizzata [meglio tardi che mai, ndr].
Secondo: domenica 15 ottobre sarà una giornata di sensibilizzazione dei fedeli, nelle
25.827 parrocchie italiane, perché contribuiscano alle spese della Chiesa secondo il
nuovo Concordato che avrà applicazione nella dichiarazione dei redditi.
Sabato 14 ottobre monsignor Ruini è in televisione, a Canale 5, e spiega ai telespettatori
le nuove frontiere del finanziamento pubblico alla Chiesa previste dall'intesa
concordataria del 18 febbraio 1984:
«Era ormai anacronistico che i mezzi finanziari indispensabili per la vita della Chiesa
fossero forniti direttamente dallo Stato. Con questa scelta la Chiesa ha compiuto un atto
di fiducia in se stessa, cioè nel suo rapporto con la gente. Mettendosi in un certo senso in
mano alla gente, la Chiesa ritiene che la gente stessa abbia stima della Chiesa. Oltre a
questo atteggiamento di fiducia c'è anche un aspetto di umiltà: in fondo, con questo
nuovo sistema la Chiesa si sottopone a un giudizio o almeno a una valutazione, una
verifica che le viene dalla gente.
In questo futuro contributo [l'8per mille del reddito lordo Irpef, ndr] entra tutto: dal
sostentamento del clero alle attività educative per i giovani, all'edilizia di culto, fino alle
missioni e agli aiuti al Terzo mondo. Occorre che la gente sappia che questa scelta è
completamente gratuita. Qui non si tratta di pagare, ma di esercitare un atto della propria
responsabilità di cittadini, interessante anche sotto il profilo civile. Credo infatti che sia la
prima volta che lo Stato chieda direttamente ai cittadini come destinare una parte del
reddito che preleva dalle loro tasche. Vorrei sottolineare che non è un referendum tra chi
è cattolico e chi non lo è, o fra chi è praticante o meno. Al limite, un cattolico potrebbe
preferire la gestione dello Stato e viceversa».
Monsignor Ruini è sempre più esperto di politica e di denaro, sempre più immerso
nell'esercizio del potere, per il quale manifesta uno speciale talento. Forse è per questo
che Giovanni Paolo II gli attribuisce anche la carica di facente funzioni di assistente
ecclesiastico generale "ad tempus" dell'Azione cattolica, dato che l'assistente generale
dell'Ac, monsignor Antonio Bianchin, è stato colpito da un ictus 2.
Del resto il segretario generale della Cei come uomo di potere non si risparmia, e il 15
ottobre del 1989, dai microfoni della Radio vaticana, batte cassa mischiando il sacro col
profano:
«Siamo tutti consapevoli dei molteplici servizi che la Chiesa fa al nostro popolo.
Anzitutto il servizio religioso, che è il fondamentale, la proposta del Vangelo di Cristo,
del Vangelo di salvezza per ogni uomo... Una Chiesa, insomma, che è vicina alla gente.
Credo che valga anche il contrario: la gente, cioè, deve essere vicina alla Chiesa. Perciò
io credo che la nostra gente saprà essere sensibile, come in fondo è sempre stata, ai
bisogni della vita complessiva della Chiesa. Vita complessiva che non riguarda soltanto il
sostentamento del clero, ma riguarda la costruzione delle chiese, la riparazione delle
chiese vecchie, riguarda il culto, riguarda la catechesi, riguarda appunto le molteplici
forme della carità ecclesiale in Italia e nei Paesi del Terzo mondo».
Ai primi di dicembre 1989 si riunisce a Imola l'assemblea nazionale dei 130 settimanali
cattolici italiani, i cui lavori sono aperti da monsignor Ruini. Il segretario generale della
Cei afferma, tra l'altro, che la «trasmissione della fede» è in crisi al punto che occorre una
nuova evangelizzazione; quindi lamenta il modo in cui i mass media si occupano della
Chiesa, considerandola una realtà mondana e troppo spesso dipingendola come
politicizzata e conflittuale.
Monsignor Ruini è molto sensibile alla problematica dei mezzi di comunicazione di
massa, essendo essi strumenti di potere: dunque partecipa ben volentieri al convegno
internazionale "Mass media e religione" promosso a Roma in dicembre dall'Iscos (Istituto
per le comunicazioni sociali) collegato alla Congregazione dei salesiani. I media
richiamano il denaro, e il segretario generale della Cei, per mezzo di una apposita
conferenza stampa, informa che dal precedente aprile i contributi versati dagli italiani per
il «sostegno economico della Chiesa» come «erogazioni liberali» fiscalmente deducibili
ammontano a circa 8 miliardi di lire: «Una piccola goccia» rispetto alle esigenze del clero
precisa monSignor Ruini ma comunque «promettente» data la «disinformazione dei
contribuenti».
Sul finire dell'anno di grazia 1989 il segretario generale della Cei non dimentica il suo
2 Quattro mesi dopo, il 2 febbraio 1990, il Papa nominerà nuovo assistente ecclesiastico generale dell'Ac
monsignor Salvatore De Giorgi.
interessatissimo amore per la Democrazia cristiana: infatti, intervenendo all'assemblea dei
lavoratori di Azione cattolica, annuncia con enfasi che «sta incominciando un processo
per fare santo Alcide De Gasperi». La notizia della stravagante beatificazione dello
storico leader democristiano provoca polemiche. L'europarlamentare socialista don
Gianni Baget Bozzo addebita a De Gasperi il «peccato mortale di avere favorito la
carriera politica di Giulio Andreotti». Secondo il filosofo cattolico Augusto Del Noce, «è
impossibile non scorgere in un uomo politilo, anche assolutamente onesto, qualche
atteggiamento machiavellico: una virtù politica poco cristiana».
La Conferenza episcopale italiana si occupa anche del crollo del Muro di Berlino e della
fine del comunismo nell'Europa dell'est. Lo fa con un documento intitolato «Messaggio
del Consiglio episcopale permanente per il rinnovamento cristiano dell'Europa e
dell'Italia», presentato ai giornalisti dal segretario generale della Cei il 22 gennaio 1990.
Questi avvenimenti dice monsignor Ruini illustrando il documento danno «nuova
concretezza storica» all'ideale di un'Europa unita e pacifica, ponendo all'Occidente e
all'Italia l'esigenza di una solidarietà «concreta e generosa» non limitata al solo aiuto
economico. Sul piano interno, «la presa d'atto del fallimento del comunismo sembra
accompagnarsi a un rafforzamento di tendenze laiciste che, appellandosi a un falso
concetto di libertà, si mantengono comunque chiuse ai valori spirituali e trascendenti».
Insomma, oltre ai necessari aiuti economici, ai Paesi ex comunisti occorre dare «qualcosa
di più profondo, che riguarda il nostro modo di essere e di vivere, l'uso delle nostre
libertà, la testimonianza che sapremo offrire ai popoli che ora riprendono il cammino
della democrazia».
L'anno 1991 è quello dell'approdo carrieristico del segretario generale della Cei,
specie di consacrazione una e trina come la Santissima trinità. Il 17 gennaio Giovanni
Paolo II da corso alle dimissioni del cardinale Poletti dalla carica di Vicario papale
per la diocesi di Roma, e nomina provicario monsignor Ruini.
Durante la cerimonia, allestita in Vaticano nella Sala del Concistoro, papa Wojtyla
afferma che il successore del cardinale Poletti è «persona particolarmente preparata
per assumere l'importante e delicato incarico»: lo è non solo per l'esperienza che ha
maturato «nei vari campi dell'apostolato» e per la sua «profonda conoscenza della
nazione italiana» e della città di Roma. Ecco perché - dice Giovanni Paolo II rivolto a
monsignor Ruini - «ho deciso di affidarle ciò che ho di più mio e di più caro: Roma
apostolica, coi suoi incomparabili tesori di spiritualità cristiana e di tradizione
cattolica; con le sue forze vive di sacerdoti, di comunità religiose, di laici impegnati;
ma anche con le sue innumerevoli esperienze umane, con i suoi mille fermenti e con i
suoi problemi, con le sue certezze e le sue inquietudini, con le sue realizzazioni e le
sue attese... Sono certo di trovare in lei», conclude il Pontefice, «come nel degnissimo
suo predecessore in questo alto incarico, un collaboratore esperto, fidato, generoso,
che saprà posporre ogni altro interesse alla cura assidua e affettuosa della città».
Subito dopo la nomina, monsignor Ruini rivolge il suo primo messaggio da provicario
papale agli oltre mille sacerdoti di Roma. Afferma di voler avviare con loro un
«rapporto fatto di comunione, amicizia e fiducia nella missione che ci è comune al
servizio della diocesi di Roma», consapevole «per lunga esperienza personale della
fatica, difficoltà e sofferenze che si incontrano nel nostro ministero». Quindi rivolge
un pensiero «riconoscente e affettuoso» al cardinale Poletti, ricordando l' «eccezionale
impulso che egli ha saputo dare all'edificazione di un'autentica comunità diocesana».
Fra i molti telegrammi di felicitazione ricevuti da monsignor Ruini per la prestigiosa
nomina, quello del ministro dell'Interno italiano, il democristiano Vincenzo Scotti, è
particolarmente intenso: «La sua saggezza e la sua esperienza nei vari campi
dell'apostolato renderanno un grande servizio alla Chiesa cattolica romana che con i
suoi problemi e i suoi fermenti è stata sempre al centro dell'attenzione del suo illustre
predecessore. Le assicuro, per quanto di mia competenza, ogni possibile sostegno alla
sua futura azione pastorale a beneficio della comunità ecclesiale».
Il pensionato cardinale Poletti cessa anche nella carica di presidente della Conferenza
episcopale, che è una poltrona cardinalizia. Il Papa nomina provvisorio presidente il
cardinale Salvatore Pappalardo (arcivescovo di Palermo e vicepresidente della Cei).
Tra il serio e il faceto, monsignor Ruini si definisce segretario generale della Cei
provvisorio, e annuncia che manterrà la carica fino a quando il Papa nominerà il
nuovo presidente. È una commedia, un gioco delle parti, dato che è tutto già definito:
sarà lo stesso Ruini a sedere sulla poltrona di numero uno della Cei, appena verrà
creato cardinale nel Concistoro di giugno.
Ma i giochi di potere della Curia vaticana non possono aspettare fino a giugno, è
opportuno stringere i tempi. Ed ecco allora, ai primi di marzo, l'annuncio: il Papa
nomina monsignor Ruini presidente della Conferenza episcopale (con monsignor
Dionigi Tettamanzi come segretario generale). Per la prima volta nella storia della
Cei, il presidente non è un porporato, ma del resto la carriera ruiniana è tutta un
miracolo. Il nuovo numero uno della Conferenza episcopale assicura «totale docilità
alle indicazioni del Papa» (il termine "docilità" è quanto mai appropriato), e si rivolge
«con speciale affetto e gratitudine al cardinale Poletti, che mi ha immediatamente
preceduto in questo ufficio e con il quale ho avuto la possibilità di una diretta e
strettissima collaborazione per tutto il mio mandato di segretario».
Al neopresidente Ruini pervengono le felicitazioni del presidente della Repubblica
italiana Francesco Cossiga. Segue un ricevimento in onore del provicario &
presidente all'ambasciata d'Italia presso la Santa sede, con illustrissimi invitati
democristiani: tra gli altri, il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, il ministro
Rosa Russo Jervolino, i sottosegretari Francesco D'Onofrio e Mariapia Garavaglia, il
segretario della Dc Arnaldo Forlani, i parlamentari Scalfaro, Malfatti, Colombo e
Maria Eletta Martini.
Come previsto, durante il Concistoro del 29 giugno Ruini viene creato cardinale. Due
poltronissime più la porpora, un tris d'assi che rende il fortunato particolarmente
euforico. Infatti la sera stessa il neocardinale organizza, nella solenne Sala dei papi
del palazzo del Vicariato, un party all'insegna della mondanità di potere: ben 800
invitati, un tripudio di politici, alti prelati, banchieri, boiardi di Stato, cardinali,
aristocratici, che arrivano al Palazzo del Laterano a bordo di auto blu, limousine,
targhe del corpo diplomatico, scorte armate.
Benché il party sia esclusivo e non siano ammessi fotografi né cineoperatori, trapela
l'identità di alcuni dei partecipanti: il segretario di Stato vaticano cardinale Angelo
Sodano, il principe Lilio Sforza Ruspoli e gentile signora, più una schiera di ministri e
parlamentari democristiani: Arnaldo Forlani, Mauro Bubbico, Francesco D'Onofrio,
Gianni Prandini, Franco Marini, Leopoldo Elia, Maria Eletta Martini e Rosa Russo
Jervolino; più i giornalisti democristiani Angela Buttiglione e Gustavo Selva; il
presidente dell'Iri Romano Prodi, il sindaco di Roma Franco Carraro, l'amministratore
delegato di Comunione e liberazione Giancarlo Cesana, il boiardo di Stato Ettore
Bernabei. Eccetera, eccetera, eccetera 1.
All'inizio del 1991 è scoppiata la guerra del Golfo: l'Occidente contro l'Iraq invasore
del Kuwait. La posizione dei vescovi italiani sul tema la illustra alla stampa il loro
presidente Ruini: «Consapevoli che la guerra non risolve i problemi esistenti fra le
nazioni, i vescovi italiani, con il Papa, chiedono a Dio la rapida fine del conflitto e il
ristabilimento dell'ordine internazionale, per il bene di tutti e in particolare per una
giusta pace nell'intera regione del Medio oriente». Però la Cei ruiniana non apprezza
l'eccessivo pacifismo di associazioni e movimenti cattolici, che si spingono a
sollecitare non solo l'obiezione di coscienza ma anche la diserzione.
Una delle prime decisioni della Cei presieduta da Ruini è l'inclusione di Comunione e
liberazione nella Consulta dell'Apostolato dei laici della Chiesa. E uno dei primi
appelli di Ruini Vicario papale e presidente della Cei è per l'incremento delle nascite:
«I bambini sono una benedizione di Dio. Vorrei vederne molti nella città di Roma,
perché il problema delle nascite nella capitale e in Italia è sempre più grave. È un
segno di poca fiducia in Dio e nella speranza nella vita». È subito chiaro, però, che il
nuovo capo della Chiesa italiana ha come primario obiettivo quello di ottenere che le
scuole cattoliche non vengano più considerate private, ma siano equiparate alla scuola
pubblica e come tali vengano finanziate dallo Stato:
«L'episcopato intende operare con sollecitudine e energia per giungere alla concreta
promozione in sede legislativa e amministrativa dell'uguaglianza e della parità delle scuole
1II buffet, nella Sala della Conciliazione, è ricco di bevande e di cibo (crèpes alla besciamella, sformati
di carciofi, medaglioni di vitello con funghi, mozzarelline... fino a dolci d'ogni genere), giusto per
esorcizzare il flagello della sete e della fame nel mondo
cattoliche... Le scuole cattoliche sono una risorsa sulla quale sviluppare coerentemente il
disegno di una società fondata sui valori della libertà, della solidarietà, della partecipazione,
dell'autonomia. L'episcopato chiede una più risoluta attuazione dei principi di democrazia che
sono iscritti nella stessa Costituzione, così da garantire in concreto piena uguaglianza e libertà
ai cittadini anche nella scelta scolastica. Dare alla scuola cattolica la pienezza dei suoi diritti
non rappresenta una rivendicazione assistenzialistica: è la strada necessaria dello sviluppo
della democrazia, che già molti Paesi d'Europa hanno coerentemente percorso».
A beneficio di chi non avesse ben compreso, il cardinale Ruini spiega: «Assicurare,
con precisi interventi normativi, amministrativi e finanziari, alla scuola cattolica e in
concreto alle famiglie l'effettivo esercizio di una libertà costituzionalmente garantita,
significa inoltre contribuire alla crescita della scuola italiana nel suo complesso,
secondo una linea globale di parità e di autonomia, ma anche di reciproca
collaborazione, integrazione e stimolo. La scuola infatti, in un momento di così ampie
e profonde trasformazioni sociali, culturali, economiche e politiche, deve essere
riconosciuta come una vera priorità per lo sviluppo del nostro Paese». Il cardinale
Ruini è scaltro come un vero democristiano: poiché la Costituzione italiana, all'art. 33,
stabilisce espressamente che le scuole private sono legittime ma «senza oneri per lo
Stato», basta togliere alle scuole cattoliche l'etichetta di private e il gioco è fatto, il
divieto costituzionale è aggirato e i finanziamenti statali possono arrivare.
Nell'autunno del 1991 la politica italiana è in fibrillazione. Con la caduta del Muro di
Berlino e la fine del "pericolo comunista", la vecchia e corrotta Democrazia cristiana
è attanagliata da una profonda crisi: studiosi cattolici parlano di irreversibile tramonto
del partito, si susseguono voci di scissioni e progetti di nuove formazioni politiche
rivolte all'elettorato cattolico.
Allora il cardinale Ruini si erge a baluardo della Dc: in un'Italia nella quale il
cattolicesimo è «una realtà ben presente e capace di futuro», nonostante le insidie del
relativismo religioso e morale, i vescovi italiani ritengono ancora «pienamente valida
l'indicazione verso l'impegno unitario» dei cattolici in campo politico. Esistono valori
- afferma convinto il presidente della Cei - che richiedono «la convergenza e l'unità di
impegno dei cristiani», come ad esempio «il carattere sacro e inviolabile della vita
umana, il ruolo e la stabilità della famiglia fondata sul matrimonio, il pluralismo
sociale e la libertà di educazione». Secondo il cardinale Ruini, è necessario che i
cattolici continuino a riconoscersi nella Dc perché «anche dopo il fallimento
dell'ideologia comunista, permangono e anzi sembrano rafforzarsi nel nostro Paese
quelle tendenze culturali e politiche che, appellandosi a un falso concetto di libertà,
tendono a emarginare dalla realtà sociale e dalle istituzioni ogni riferimento all'etica
cristiana e alle più genuine tradizioni del nostro popolo». La sortita ruiniana a
sostegno della Dc scatena una tempesta nel mondo politico italiano. Il segretario
socialista Bettino Craxi (cioè il firmatario per lo Stato italiano del nuovo Concordato)
è indignato: «La libertà politica dei cattolici è un valore democratico infinitamente più
grande di qualsiasi pretesa del presidente della Conferenza episcopale di vincolare il
voto del cittadino cattolico a un determinato partito». Il Psi denuncia «i rischi di
un'indebita ingerenza in ordinamenti liberi, sovrani e distinti, quali sono quello dello
Stato e quello della Chiesa». Il segretario del Movimento sociale Gianfranco Fini
definisce le parole del cardinale Ruini «assolutamente inopportune», tanto più che
«nel recente passato da autorevoli esponenti della Chiesa era giunta la forte condanna
della scristianizzazione della società italiana sempre più atea e secolarizzata dopo un
quarantennio di egemonia politica della Dc». Duramente critico verso la tesi ruiniana
è il segretario del Pds Achille Occhetto: «L'unità politica dei cattolici è stata il portato
della guerra fredda, e dietro la scudo dell'unità sono stati possibili la convivenza tra
persone oneste e biscazzieri nello stesso partito, e l'affermarsi di quel partito-stato che
ha condotto al degrado attuale del sistema politico». Per il politologo gesuita
Bartolomeo Sorge, «senza una coraggiosa rottura con le collusioni, le clientele, gli
opportunismi deteriori, la Dc rischia di non corrispondere più alle domande dei
cattolici». Critico verso il cardinale Ruini anche il presidente della Repubblica
Francesco Cossiga. Di tutt'altro tono il commento del segretario democristiano
Arnaldo Forlani: «Tutti i farisei di questo mondo salgono in cattedra per dire cosa
dovrebbero fare i cattolici, e poi si strappano le vesti se in proposito anche i vescovi
esprimono la loro opinione. Curiosa concezione della libertà».
La ridda di polemiche induce il cardinale Ruini a una precisazione: «Dobbiamo avere
la preoccupazione di non confondere la Chiesa con la comunità politica, ma dobbiamo
anche avere un'altra preoccupazione: quella cioè di non consentire che la fede sia
ridotta a un fatto puramente privato senza una dimensione pubblica e sociale... Non
voglio negare che il mio sia stato un intervento con conseguenze politiche e con
rilevanze che possono essere anche politiche, però le finalità non erano certamente
politiche, ma erano di ordine morale e religioso... Si è detto che l'unità politica dei
cattolici non sarebbe più valida per il venir meno del pericolo comunista, anche se,
certamente, sotto questo profilo ha avuto un ruolo storicamente rilevante. Ma non è
nata di lì e non ha lì la sua radice più vera, più autentica. L'unità politica dei cattolici
si riferisce a dei valori, a dei contenuti che dobbiamo cercare di far vivere nel tessuto
sociale».
L'esecutivo del Partito socialista manda a Giovanni Paolo II e alla Cei un documento
di protesta con scritto: «Nel momento in cui la Repubblica italiana, democratica e
laica, riconosce l'importanza del magistero della Chiesa, un esercizio della autorità dei
vescovi volta a costringere il voto cattolico in un solo partito diviene una obiettiva e
grave coartazione della libertà di voto per i cittadini di un Paese a larga maggioranza
cattolica e costituisce quindi un vulnus a quei valori di libertà che ispirano la nostra
Costituzione, nella acccttazione dei quali è stata costruita l'ampia e articolata revisione
del sistema concordatario». La Conferenza episcopale replica al documento socialista
(definito di «totale impertinenza») con un comunicato ruiniano letto dal segretario
monsignor Tettamanzi: «I vescovi del Consiglio permanente unanimi riaffermano la
piena validità dell'impegno unitario dei cattolici italiani. I vescovi sottolineano
come si imponga ora in un modo molto più acuto il dovere irrinunciabile della
coerenza globale verso i molteplici valori connessi con la dignità dell'uomo. È un
dovere che si impone a ogni persona chiamata a compiere le proprie scelte e in
particolare ai cristiani che operano in campo politico».
All'inizio del 1992, mentre si avvicina la campagna elettorale per le politiche del 16
aprile, il cardinale Ruini si abbandona a una tipica esibizione di arroganza del potere.
All'inizio del 1993 la crisi del sistema politico italiano tocca l'apice. Lo scandalo di
Tangentopoli travolge tutti i partiti e mezza classe imprenditoriale: l'inchiesta Mani
pulite ha scoperchiato un verminaio di corruttele, tangenti, ruberie, evasioni fiscali,
fondi neri. Un sistema di illegalità così diffuso da vanificare lo Stato di diritto. Il
governo Amato è in agonia.
La Democrazia cristiana, al governo da quasi mezzo secolo, è l'epicentro delle
corruttele di Tangentopoli, la forza politica con le maggiori responsabilità: quasi tutti i
suoi leader sono coinvolti nell'inchiesta Mani pulite. È un partito ormai decomposto
(si scioglierà pochi mesi dopo, nel gennaio del 1994), indifendibile, così anche il
cardinale Ruini prende coraggio e sfodera una buona dose dell'opportunismo di cui è
dotato. Sua eminenza il presidente della Cei non può più far finta di niente, non può
più tacere: «Via i corrotti dalla politica!». E ancora: «Coloro che hanno mancato
devono farsi da parte!», tuona il Vicario-presidente nell'inedito e improvvisato ruolo
di moralizzatore della politica. Perché «è triste e preoccupante constatare come la
questione morale coinvolga in larga misura esponenti politici, responsabili
amministrativi, operatori economici e altri cittadini che si professano cristiani».
Il vescovo di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi, critica la Cei per il ritardo col quale i
vescovi si sono espressi sulla corruzione pubblica: «Finalmente ha parlato anche il
cardinale Ruini! Finalmente, perché ho sentito non pochi lamentarsi che i vescovi,
così pronti a parlare in altri campi, non avessero levato tempestivamente una voce
chiara di condanna per questo disordine così diffuso e così esiziale per la vita della
società».
Il sacerdote-politologo don Gianni Baget Bozzo (non ancora sedotto dal potere
berlusconiano) mette il dito nella piaga senza giri di parole:
Ai primi di aprile 1993 l'agenzia dell'episcopato italiano Sir annuncia che i vescovi
pongono all'attenzione della Dc la necessità di «selezionare mille nuovi candidati da
proporre al Paese alle prossime elezioni politiche», e sollecitano il partito
democristiano «a ripensare la forma-partito, in relazione alle novità strutturali di
questi anni». Davanti ai vescovi italiani riuniti in Vaticano, il cardinale Ruini
imbriglia gli ardori innovativi: «È un'illusione che attraverso un cambiamento
politico, sociale o istituzionale, possano essere eliminate radicalmente le cause del
malessere e della corruzione... Occorre la fede cristiana, per cambiare ciò che ostacola
o corrompe il bene comune del Paese»; quindi ripropone l'unità dei cattolici in una Dc
rinnovata. Ma alcuni vescovi dissentono, come l'arcivescovo di Firenze monsignor
Silvano Piovanelli: «L'unità politica dei cattolici si fa sui valori. E se ci fossero tre,
quattro, cinque partiti coerenti con questi valori, ebbene, l'elettore cattolico potrebbe
scegliere».
Alle elezioni amministrative del giugno 1993 la Dc registra un nuovo tracollo di
consensi. Il settimanale "Famiglia cristiana" commenta: «Le elezioni del 6 giugno
hanno portato all'evidenza più compiuta la fine dell'unità politica (o meglio, partitica)
dei cattolici... Si è conclusa l'esperienza dell'unità sotto il simbolo democristiano». Ma
la Cei del cardinale Ruini non sente ragioni: «L'unità politica dei cattolici è un valore
pastorale e sociale che in Italia non è finito, anzi serve ancor più in questo momento
in cui nel Paese si progetta il nuovo e si deve garantire una presenza cattolica
politicamente rilevante».
Approfittando del terremoto politico-istituzionale in corso, il cardinale Ruini viola il
Concordato e fa politica apertamente, senza più remore o cautele formali. L'ingerenza
ruiniana nella politica italiana si fa ossessiva, petulante, opprimente. Il Vicario-
presidente non si rassegna alla fine della Dc, e cerca di tenere in vita il partito
democristiano quale garante della presenza cattolica nella politica italiana, a tutela
degli interessi temporali della Chiesa. Mentre con una mano finge di cavalcare
l'indignazione popolare per Tangentopoli e di condividere le istanze innovative, con
l'altra mano Sua eminenza vuole che niente cambi, pretende che la Dc resti
l'architrave e il perno del sistema politico.
Alle elezioni politiche del marzo 1994 - le prime con il nuovo sistema maggioritario -
la Dc non partecipa. Infatti il partito democristiano non c'è più, e dalle sue ceneri sono
nati due partiti cattolici: il consistente Ppi (Partito popolare italiano) di centro, e il
minuscolo Ccd (Centro cristiano democratico) di centro-destra.
11 cardinale Ruini, pur continuando a predicare l'unità dei cattolici in un'unica forza
politica di ispirazione cristiana, propende comunque per il più robusto Partito
popolare, che riunisce gran parte dell'ex Dc. Ma le elezioni le vince il partito-azienda
di centro-destra Forza Italia alleato col Ccd, e allora Sua eminenza comincia a
guardare a destra.
Il capo di Forza Italia, l'ex palazzinaro Silvio Berlusconi, è un personaggio
impresentabile: benché si dica ultra-cattolico ha due mogli e due famiglie, conduce
uno stile di vita che del cattolicesimo è la negazione, è stato affiliato alla massoneria
segreta della P2, è uno dei protagonisti di Tangentopoli, è stato riconosciuto colpevole
di falsa testimonianza da un tribunale, è stato sospettato di riciclaggio di denaro
sporco e di collusioni mafiose; in più, si è dato alla politica per salvare il suo illecito
impero televisivo e per evitare di finire in carcere. Ma tutte queste cose al pragmatico
cardinale Ruini non interessa no: a Sua eminenza interessa piuttosto stabilire un
rapporto di potere con l'onorevole Berlusconi, padrone del più votato partito italiano e
nuovo capo del governo.
Durante il suo discorso programmatico in Parlamento, il presidente del Consiglio
Berlusconi si dice «di fede cattolica», chiede «l'aiuto di Dio», e promette alla Chiesa
provvedimenti ad hoc per famiglia e scuola privata «Chi intende operare da cristiano
in ambito sociale e politico», gli risponde il cardinale Ruini, «è chiamato a una
coerenza non settoriale. È logico, e direi è fisiologico, che la comunità cristiana abbia
una attenzione speciale per chi agisce realmente secondo questa prospettiva, facendo
della visione cristiana dell'uomo l'orizzonte e il quadro del suo impegno».
Impegnato, come presidente della Cei, a blandire il nuovo potere berlusconiano, il
cardinale Ruini non per de certo di vista il suo ruolo di Vicario del Papa per la diocesi
di Roma. A maggio del 1994 benedice la prima pietra della chiesa parrocchiale
dedicata al fondatore dell'Opus Dei, il beato Jose Maria Escrivà de Balaguer, che
sorgerà nei pressi dell'Eur. Quindi lancia un grido d'allarme: «Roma non è più
cristiana... Cresce spontaneamente in noi l'impressione di essere in presenza di una
società, ma anche di persone e di famiglie, non più cristiane: anzitutto nei
comportamenti e nei valori a essi sottesi, quindi anche nelle convinzioni».
Il governo Berlusconi dura solo pochi mesi, la maggioranza di centro-destra si sfascia
alla fine del 1994; il cardinale Ruini ne è deluso e come indispettito. «Nella fase di
cambiamenti rapidi e profondi, e talvolta traumatici, che già da qualche anno stiamo
attraversando», dichiara Sua eminenza nel gennaio del 1995 al Consiglio permanente
dell'episcopato, «è in ogni caso una necessità primaria non dimenticare che
apparteniamo tutti a un'unica Nazione. Perché la volontà di influire più direttamente
sugli indirizzi del Paese, e il connesso acuirsi della competizione politica, possono
avere esiti positivi e non dilaceranti soltanto se restano ancorati alla ricerca del
superiore interesse del Paese, evitando da parte di ciascuno di eccedere negli attacchi
e nei processi alle intenzioni».
Nel marzo del 1995 il Partito popolare subisce una mini scissione: la minoritaria ala
destra guidata da Rocco Buttiglione passa con il centro-destra berlusconiano, mentre
il partito si schiera con il centro-sinistra. La spaccatura sancisce ulteriormente la fine
dell'unicità del partito cattolico tanto cara al cardinale Ruini, la Seconda repubblica
bipolare ha ormai due partiti cattolici: uno nel centro-sinistra e uno nel centro-destra.
Il Vicario-presidente ne prende atto: «Eventi recentissimi e dolorosi hanno condotto a
un'ulteriore e più grave frattura nella rappresentazione politica che fa riferimento
all'ispirazione cristiana. È andato così ancora più avanti e sembra praticamente giunto
a compimento quel processo che, nell'arco di dieci anni, ha visto declinare l'impegno
unitario organizzato dei cattolici in ambito politico». In fondo, pensa Sua eminenza,
non tutto il male vien per nuocere: con due partiti di riferimento, la Chiesa vince
sempre e comunque, sia che si affermi il centro-destra, sia che prevalga il centro-
sinistra.
Nell'autunno del 1995 monsignor Arrigo Pintonello, vescovo emerito di Terracina-
Latina oramai novantenne, denuncia alla procura della Repubblica di Roma il
cardinale Ruini e tre suoi collaboratori (i monsignori Liberio Andreatta, Luigi Moretti
e Mario Allario).
Il denunciante afferma che i denunciati gli avrebbero sottratto un patrimonio del
valore di 113 miliardi di lire: l'opera pia Mater Ecclesiae, la fondazione Pro Gioventù,
l'emittente televisiva laziale Telejolly, e vastissime proprietà terriere a Pomezia. «Mi
hanno tolto tutto», scrive monsignor Pintonello nella denuncia, dicendosi vittima di
«colpi di mano, abili artifizi, raggiri, pressioni, violenza morale e psicologica». Un
quotidiano ricostruisce i fatti così:
«Il piccolo impero di monsignor Pintonello, ex ordinario militare d'Italia, entrò in crisi alla
fine del 1992, per debiti. Monsignor Pintonello chiese aiuto al Vicariato, e intervenne
monsignor Liberio Andreatta, a cui l'ex ordinario militare firmò una procura generale, con il
beneplacito del cardinale Ruini. In seguito ad alcune operazioni con passaggi societari e
aumenti di capitale, la proprietà dell'Opera e della Fondazione passarono sotto il controllo
della Arciconfraternita dei Santi Angeli custodi, e anche Telejolly cambiò padrone. Ma
monsignor Pintonello si sentì estromesso, revocò la procura data a monsignor Andreatta, e
decise di adire le vie legali»1.
2 Il sindaco Rutelli, prostrato ai piedi di Sua eminenza, risponde: «Abbiamo già costruito 6 chiese,
mentre altre 6 sono in corso di costruzione, 9 sono state localizzate, per le restanti occorre variare il
piano regolatore...».
necessario uscire, per almeno due motivi: perché la dialettica politica non può essere
troppo a lungo condizionata dagli interventi giudiziari, e perché la giustizia non deve
in alcun modo apparire come un fattore del gioco politico». A Sua eminenza replica lo
scrittore cattolico Vittorio Messori:
«Con tutto il rispetto, non si può essere così sbrigativi. Proprio quella Chiesa che
dell'esortazione all'esame di coscienza ha fatto uno dei perni della sua predicazione dovrebbe
in questo caso praticarla essa stessa... A partire dal 1948, per 45 anni, un partito che portava
l'aggettivo "cristiano" è stalo protagonista assoluto della vita politica italiana. E allora è
inconcepibile che esortazioni al colpo di spugna non siano precedute da una domanda
drammatica: perché, dopo quasi mezzo secolo, tanta gente che si presentava come cattolica ha
concluso la carriera fra un gran tintinnare di manette, nella vergogna e nel disonore? Il
problema della giustizia riguarda, insieme agli esponenti degli altri partiti, coloro che militava
no sotto la bandiera "cristiana". Questo mettere da parte la domanda essenziale francamente
mi spaventa.
Il mondo cattolico deve anzitutto interrogarsi sulle ragioni del suo scacco, esattamente come
la classe dirigente liberale all'indomani di Caporetto. Dopo la disfatta, è necessario spiegare
perché leader politici che facevano la comunione tutti i giorni ci abbiano portato
all'emergenza giustizia [...].
La mia critica [è] rivolta a Ruini. E costretto, come tutta la gerarchia, a pronunciare discorsi
"politicamente corretti". Diciamolo pure, a barcamenarsi. Solo che, negando il contraccolpo
subito dalla comunità cattolica dopo l'esplosione della Dc, afferma qualcosa che non posso
condividere»3.
Alla metà di luglio 1997 una "soffiata" curiale fa scoppiare lo scandalo del defunto
boss della banda della Magliana Enrico De Pedis: sepolto dal 1991 nella basilica
romana di Sant'Apollinare, in una lussuosa cripta di marmo e ori e pietre preziose,
grazie all'autorizzazione del cardinale Ugo Poletti.
L'opinione pubblica è allibita, i fedeli sono sconcertati. Il segretario del sindacato di
polizia Usp, Giampaolo Tronci, annuncia che la salma del boss verrà trasferita
in un normale camposanto: «L'unica soluzione possibile per non continuare a
Poco prima del Natale 1999 il cardinale Ruini rilascia un'intervista lunga e articolata.
Comincia con accenti autobiografici: «Non sono per nulla infastidito dal confronto
con chi avanza critiche alla Chiesa. Già da studente, al liceo scientifico "Tassoni" di
Modena, mezzo secolo fa, facevo i conti con i rilievi dei compagni e dei professori,
spesso improvvisandomi apologeta. Chissà, forse la vocazione al sacerdozio, che
allora non presentivo, fu stimolata in me da quella esperienza». Quindi Sua eminenza
tocca i temi più disparati. L'imminente Giubileo: «Gli italiani [credenti e non, ndr]
vivono insieme una complessa vicenda storica che ormai da molti secoli è segnata
dialetticamente dal cristianesimo. Poiché il Giubileo ci propone la memoria di
duemila anni di storia, e in particolare il Papa punta sul secondo millennio che appare
il più problematico, ecco un terreno di riflessione comune. Ma ancor più deve unirci
la proiezione verso il futuro. Come saprà, l'uomo, far fronte alla velocità del
cambiamento scientifico e tecnologico? Come sapremo padroneggiarlo restandone
guida, senza disii manizzarci? È una domanda che non riguarda solo i cristiani». La
paura dell'invasione dell'Europa cristiana da parte dell'Isiam: «È una paura indotta
dalle difficoltà purtroppo spesso incontrate con i Paesi islamici nella attuazione del
principio di reciprocità, riguardo alla libertà religiosa. Ma per la verità, lo dico
5 "la Repubblica", 28 novembre 1999.
sottovoce, ho l'impressione che siano più i musulmani convertiti al cristianesimo che
l'inverso». Budda e la New Age: «[Mi preoccupa la] perdita inconsapevole dei
riferimenti cristiani all'interno della nostra popolazione. Mode culturali come la new
age, o certe pratiche buddiste, o il diffondersi di un sostanziale nichilismo, in fondo
sono solo la conseguenza di questa perdita». Infine il ruolo di singole personalità
cattoliche, come il supercattolico governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio
(legato all'Opus Dei): «In passato siamo stati accusati di clericalismo. Ben vengano
dunque nuove figure di laici cristiani in grado di incidere sulla opinione pubblica del
Paese. Con loro abbiamo rapporti personali, ma soprattutto auspichiamo che
personalità significative in campo economico, politico, sociale e culturale possano
dire una parola alla nazione. Laici o sacerdoti, il soggetto ultimo resta sempre la
Chiesa come popolo di Dio»6.
Per il cardinale Ruini l'inizio del Duemila è segnato da due eventi diversamente
infausti. Il primo è la morte in latitanza del simbolo di Tangentopoli, Bettino Craxi: il
leader socialista che ha distrutto il Psi a colpi di corruzione e di arroganza del potere,
ma anche il generoso firmatario del nuovo Concordato del 1984.
I1 Vicario-presidente sente il bisogno di impegnare la Conferenza episcopale italiana
in un necrologio nel quali si afferma che «l'improvvisa scomparsa di Craxi colpisce,
addolora... e invita al cristiano suffragio per l'illustre defunto nell'orizzonte di una
fede che non gli era estranea». Il necrologio ruiniano non manca di ricordare
«l'apporto decisivo dato dal governo da lui presieduto» per il nuovo Concordato:
«Dopo lunghi anni di riflessione e di dibattito, Craxi ebbe l'intelligenza e il coraggio
di dare volto nuovo all'assetto delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa, in piena
coerenza con i principi della Costituzione e con gli indirizzi del Concilio».
Il 24 gennaio 2000, al consiglio permanente della Cei, il cardinale Ruini riserva al
defunto leader socialista una estrema menzione. Prima ne evoca i meriti concordatari
e anticomunisti: «Noi ricordiamo con gratitudine non solo l'apporto decisivo che
Craxi ha dato all'accordo per la revisione del Concordato, ma anche il contributo alla
causa della libertà e di fatto al mantenimento della pace, in una situazione
internazionale oggettiva mente difficile e minacciosa». Poi ne celebra la statura di
protagonista della politica italiana cui va il merito di avere impresso «un impulso al
processo di modernizzazione del Paese». Infine, forse per un soprassalto di pudore,
Sua eminenza però aggiunge: «Non per questo vogliamo ignorare i lati oscuri del suo
operato», anch ese - precisa ambiguo, un colpo al cerchio e uno alla botte - c'è il
bisogno di una rilettura «equa e sincera» di quanto avvenuto.
A fine gennaio 2000 il secondo evento infausto: ricoverato presso il policlinico
Gemelli di Roma, il cardinale Ruini subisce un'operazione chirurgica al cuore, con
l'applicazione di 4 by-pass aorto-coronarici. Sua eminenza è alla soglia dei
settant'anni, e da 15 anni è alla ribalta del potere: per 5 anni come segretario generale
della Cei, da 10 anni con la doppia carica di Vicario papale per la diocesi di Roma e
di presidente dei vescovi italiani. A questo punto l'età e le condizioni di salute, oltre
che il senso della misura, dovrebbero indurre il Vicario-presidente a farsi da parte, a
lasciare responsabilità così onerose a nuove e più fresche energie. Neanche per idea!
Sua eminenza è inchiodata alle due poltrone su cui siede da anni, è avvinghiata alle
cariche di Vicario papale e presidente episcopale, ormai non può più farne a meno,
non potrebbe più vivere senza ribalta mediatica e senza potere. Sua eminenza non
concepisce gli alti incarichi che da così tanti anni ricopre come impersonali e
provvisori: ritiene di incarnare di persona il titolo di Vicario papale, non distingue più
se stesso dalla carica di capo dei vescovi, ormai è un tutt'uno con le due poltrone, si
sente un monarca e come tale regnante Vicario-presidente fino alla fine dei suoi
giorni, una doppia investitura a vita.
Ecco perché un anno dopo l'operazione chirurgica, nel febbraio del 2001, nonostante
le voci contrarie, il cardinale Ruini ottiene dal Papa (meglio dire: dal clan che fa le
veci di un Giovanni Paolo II da tempo infermo) il terzo mandato quinquennale di
presidente della Cei. Sua eminenza resterà alla guida dei vescovi italiani fino al 2006,
stabilendo un record grottesco: vent'anni ininterrotti al vertice della Conferenza
episcopale (5 come segretario, 15 come presidente). «Era meglio un ricambio»,
obietta sommessamente il vescovo emerito di Foggia monsignor Giuseppe Casale,
«perché la Chiesa in Italia ha bisogno di essere vivacizzata. L'episcopato italiano non
dice più niente di autonomo, ci si limita a applicare ciò che dice il Papa». Ma il
cardinale Ruini è superiore a tutto, anche alle critiche, e celebra il terzo mandato
presidenziale con la seguente "Lettera di saluto" indirizzata il 6 marzo 2001 ai membri
della Cei:
Nella allegata dichiarazione, Sua eminenza dice che «nel momento in cui viene resa
pubblica la mia conferma a presidente della Cei per il prossimo quinquennio»
desidera esprime al Santo padre «profonda e filiale gratitudine». Secondo la lingua
italiana, gratitudine è "il sentimento di riconoscenza per un bene ricevuto". Infatti: la
presidenza della Cei, gravosa carica dalle plurime responsabilità, per il cardinale
Ruini è invece "un bene" meritevole di gratitudine per chi gliel'ha attribuito.
Superata la crisi di salute, e ottenuta la conferma presidenziale, Sua eminenza Ruini
affronta il nuovo millennio con rinnovata dedizione all'esercizio del potere. Niente di
nuovo: piaggeria pubblica per il Papa e adulazione privata per l'entourage polacco,
alternate a periodiche interferenze nella politica italiana, interferenze palesi e occulte.
Come sole novità, un sovrappiù di ieratica alterigia (dovuta forse all'ambizione di
succedere a Giovanni Paolo II), e un piglio vieppiù autoritario (dovuto forse agli
orientamenti politici sempre più reazionari di Sua eminenza).
Anche le predicazioni ruiniane sono le stesse. Quando il Parlamento europeo
raccomanda di introdurre nelle legislazioni nazionali il riconoscimento della
convivenza fra persone dello stesso sesso, il Vicario-presidente protesta scandalizzato:
«Questa è la strada più sicura per andare contro la struttura fondamentale del nostro
essere, articolata secondo il binomio del maschile e del femminile, e quindi per
umiliare, con la famiglia, la dignità delle persone e per favorire la disgregazione del
tessuto sociale». Non va bene nemmeno la legge sulla fecondazione assistita
approvata alla Camera e all'esame del Senato: perché - dice il Vicario-presidente - è
una legge che suscita «gravi perplessità etiche», per cui si devono evitare «sia ulteriori
rinvii sia qualsiasi modifica del testo che portasse a un suo peggioramento,
specialmente quella che consentisse la fecondazione eterologa». Il cardinale Ruini si
pronuncia sul sistema elettorale, e tra il maggioritario e il proporzionale sceglie il
secondo: «Il principale nodo da sciogliere ci sembra quello di riuscire a coniugare una
vera possibilità di governo, con la necessaria stabilità e capacità di decisione
dell'esecutivo, e una rappresentanza parlamentare per quanto possibile espressiva
delle aspirazioni e degli orientamenti vivi nel nostro popolo». Poi arriva al punto di
sollecitare il Parlamento a onorare l'Anno santo varando un'amnistia: «Avvertiamo
forte l'esigenza, etica ma a sua volta anche sociale, di misure di clemenza che valgano
ad abbreviare, secondo criteri di equità, i tempi della pena». Quindi si esprime contro
il "Gay pride" a Roma: «La Chiesa non è contro il diritto dei gay a manifestare.
Quello che la Chiesa giudica inopportuno e che chiede non sia fatto, è che questa
manifestazione avvenga proprio a Roma nell'Anno santo». Infine denuncia: «Una
delle carenze più serie che abbiamo nelle scuole è che sono pochi i libri di testo
veramente validi e diffusi che abbiano un'ispirazione cristiana. E le case editrici
cattoliche, con qualche eccezione, sono deboli rispetto a altri editori che
monopolizzano il mercato».
Confortato dai silenzi di un governo inetto e di una classe politica di modestissimo
spessore, il Vicario-presidente non risparmia nessuno, men che meno il ministro della
Sanità Umberto Veronesi. Prima gli rimprovera "permissivismo" in materia di droga:
«Problema delicatissimo, in rapporto non solo alla salute ma alla formazione delle
persone, è quello della droga, a proposito del quale rincresce di dover constatare come
persone investite di pubbliche responsabilità si esprimano in termini tali da consentire,
quantomeno, interpretazioni "permissive" che certo non aiutano a sviluppare col
necessario vigore quell'opera anzitutto educativa e preventiva, oltre che di autentico
ricupero delle vittime della droga, che è un preciso dovere dello Stato come della
intera società civile». Poi Sua eminenza accusa il ministro Veronesi di avere
autorizzato il contraccettivo chiamato "pillola del giorno dopo":
«La decisione di mettere in commercio questa pillola finisce per introdurre un conflitto
all'interno delle norme dello Stato: la legge 194 garantisce infatti il diritto all'obiezione di
coscienza da parte del personale sanitario a cui sia richiesto di collaborare all'aborto. Non è
giustificabile togliere questo diritto ai farmacisti. E ben strano e altamente preoccupante che
una decisione così grave sia stata presa per via amministrativa con una decisione del ministro
della Sanità, che per di più ha presentato questa pillola semplicemente come un contraccettivo
d'emergenza. Così si è aggirata la stessa legge 194 che, pur avendo il difetto radicale di
rendere legale l'aborto, si preoccupa almeno di porre una serie di condizioni perché ciò possa
verificarsi: condizione che, nel caso dell'uso di questa pillola, chiaramente non vengono
rispettate»1.
Le piaggerie ruiniane verso l'infermo Giovanni Paolo II, sempre più anziano e malato,
ormai si sprecano. «Il Papa continua a dimostrare di essere veramente capace di
sopportare anche i più grandi sforzi fisici». «Il Papa ci ha mostrato quella semplicità,
quella immediatezza, quella spontaneità che contraddistingue il suo rapporto con i
giovani. Questo succede quando la fede diventa vera esperienza di vita e sviluppa una
grande capacità di rapporto col nostro prossimo». «Io prego perché Dio ci conservi
papa Wojtyla ancora molto a lungo». «Il Santo padre continua a essere quella persona
che io ho conosciuto bene: cioè uno che riserva le sue migliori energie ai momenti più
impegnativi perché è saggio, ma che ha ancora molte più energie di quello che dicono
i media». «Il Papa è combattivo ma in modo sereno e pacato». Eccetera. È come se
Sua eminenza il Vicario-presidente, implicitamente, si arrogasse il diritto di giudicare
Eminenza,
non ho alcuna delega per scrivere questa lettera, che indirizzo a Lei come vicario del vicario
per Roma e anche come capo della Conferenza dei vescovi italiani. Ma vorrei che Lei la
considerasse almeno come un caso degno di attenzione perché non del tutto isolato ed
eccezionale nel panorama della cristianità italiana, forse persino rappresentativo di un disagio
e di un insieme di stati d'animo diffusi tra i cattolici -tali anche solo perché, essendo
battezzati, sono così censiti dall'anagrafe [...].
Perché deve essere così difficile per tante persone mantenersi in contatto con il Vangelo,
dovendo superare lo scandalo continuo che proviene dalla Chiesa - e non da suoi aspetti
marginali, quali ci siamo abituati a considerare la predicazione della povertà da parte di un
sovrano temporale vestito come un satrapo (espressione sentita dalla bocca di Giovanni
XXIII, altri tempi), ma dal modo in cui la rivelazione biblica viene legata a una cultura che, in
nome di una pretesa essenza naturale dell'uomo, della società, della famiglia, è pronta a
calpestare il comando cristiano della carità? La sessuo e omofobia papale non è uno di questi
aspetti accidentali (che forse accidentali non sono) dello scandalo storico della Chiesa. [...]
Che cosa succede ancora oggi quando la Chiesa, in Italia per lo meno, rivendica il diritto di
imporre limiti alla legislazione dello Stato sulla famiglia, alla ricerca biologica o ad altri
fondamentali aspetti della democrazia, pretendendo di parlare in nome della natura stessa?
Non si può (poteva) ammettere il divorzio o l'aborto perché è contro la natura della famiglia e
le leggi della procreazione; non si possono ammettere le unioni civili perché la famiglia è solo
unione eterosessuale con il fine della procreazione. E via dicendo. Voglio dire che sia sul
piano delle (sempre più pesanti) ingerenze della Chiesa nelle questioni di competenza dello
Stato democratico, sia sul piano della filosofia che mi interessa più da vicino, la Chiesa
cattolica, soprattutto ma non solo in Italia, mi scandalizza e mi allontana perché - spero
naturalmente con l'intento della salvezza delle anime - rimane sempre quella che nei secoli
passati ha agito con ogni mezzo per salvare le anime anche contro la loro volontà, secondo il
motto «compelle intrare». [...]
Tutto si tiene, nella Chiesa wojtyliana. Non è difficile, mi sembra, riconoscere che questa
Chiesa non può cedere sulle questioni dell'etica sessuale e familiare perché altrimenti
dovrebbe cedere anche sul legame tra fede cristiana e oggettività delle leggi naturali su cui
fonda la propria autorità. Ma queste leggi non sono nient'altro che la natura come appariva a
società ed epoche che la Chiesa considera archetipiche, identificandole con la verità eterna
dell'uomo e della società. Le donne non saranno mai preti perché la loro vocazione naturale -
come appariva ai tempi di Gesù - è un'altra; ma allora non c'erano nemmeno donne avvocato
o donne dirigenti d'azienda. Gli omosessuali non potranno mai vivere unioni familiari
"normali" (e saranno dunque condannati a essere o eunuchi o puttanieri). Uno Stato davvero
democratico ha il dovere di finanziare le scuole religiose perché è "naturale" che l'educazione
apra le menti alla rivelazione cristiana; o, molto peggio: che l'educazione corrisponda in tutto
e per tutto, ed esclusivamente, alle preferenze e alle convinzioni della famiglia. Ma in
generale: se c'è una verità naturale e universale, sull'uomo e il mondo, e questa verità è solo
affare della ragione illuminata dalla fede (senza, la ragione erra, c'è il peccato originale), e
cioè dall'insegnamento della Chiesa, la democrazia è solo un male che si deve accettare
quando si è minoranza; non ha un vero valore come tale, checché si dica sulla libertà umana
come dono divino: anche la libertà, se esercitata fuori dalla verità, è illusione e tracotanza. La
Chiesa come istituzione non ha mai abbandonato questi princìpi; il Sillabo è stato messo da
parte, ma forse solo in attesa di tempi migliori, dobbiamo pensare.
C'è nel Vangelo qualcosa come la legge naturale? O la carità - cioè, anzitutto, l'accoglienza
dell'altro e la rinuncia a qualunque imposizione violenta sulla sua libertà - è l'unica legge che
Gesù ci ha insegnato? Persino lo scandalo per la ricchezza della Chiesa come istituzione, che
da buoni credenti abbiamo imparato a superare, mettendolo da parte con ironia e
comprensione per i limiti storici in cui ogni "incarnazione" si trova impigliata, anche questo
scandalo forse non era poi così superficiale. L'Anticristo di cui parla san Paolo è forse proprio
questo, una Chiesa invischiata nella solidarietà con culture e situazioni storiche che certo non
può evitare di assumere, ma che dovrebbe con altrettanta franchezza esser capace di lasciar da
parte, per amore dell'uomo come, anche per effetto della salvezza di Cristo, è diventato.
Mi accorgo, Eminenza, di essermi lasciato prendere dalla passione per l'etica (e forse la
teologia?), trascurando la politica. Ma che, al di là di ogni motivazione contingente, la Chiesa
italiana da Lei guidata sia pronta a vendere il suo appoggio al Polo [di centro-destra] per il
piatto di lenticchie del finanziamento alle scuole cattoliche, della revisione della legge
sull'aborto (e il divorzio? Prima o poi), del mantenimento e interpretazione sempre più
restrittiva del Concordato, di una regolamentazione oscurantista della ricerca scientifica,
persino della discriminazione contro le confessioni religiose non cattoliche e non cristiane nel
nostro Paese (Biffi: cattolicesimo è italianità!), non è certo il motivo meno grave dello
scandalo che mi tiene lontano dalle chiese edifici di culto. Non crede che, come vicario del
papa per la Chiesa in Italia, dovrebbe pensare anche a questo?2
«Passano leggi vergognose... c'è un degrado generale del senso di legalità, dei principi che
fondano la democrazia, e in tutto questo mi sento desolato e sgomento di fronte al silenzio di
una parte del Paese... soprattutto della Chiesa. Anche da parte dei non credenti si avverte
delusione, l'attesa di una parola dei vescovi, un orientamento. Ricordo che dieci anni fa la Cei
uscì con un testo fondamentale, Educare alla legalità... Prendiamo il rientro dei capitali
all'estero, o la legge [che depenalizza] il falso in bilancio: quando si continua con i condoni, e
si dice che fare un bilancio vero o falso è la stessa cosa, perché mai si dovrebbe seguire un
principio etico? Si abbassa la soglia di moralità e si finisce per rendere legittimi e approvati
comportamenti contro la legge... C'è bisogno che la Chiesa recuperi la capacità di
discernimento etico».
Per quanto possa sembrare incredibile, sono parole testuali di un cardinale di Santa
Romana Chiesa.
Il mercimonio ruiniano con il governo di centro-destra comincia a dare i primi frutti,
salutati con soddisfazione da Sua eminenza verso la fine del gennaio 2003, nella
prolusione al Consiglio permanente della Cei:
«Sono positivi gli interventi a favore della famiglia e della natalità approvati [dal governo
Berlusconi] con la legge finanziaria», e positivissimo «il disegno di legge sullo stato giuridico
degli insegnanti di religione che si spera possa ricevere ben presto la ratifica definitiva da
parte del Senato. Con quest'ultimo provvedimento, atteso da tanto tempo, avrà luogo il pieno
inserimento scolastico di una benemerita categoria di docenti, in grande maggioranza laici,
nel rispetto del giusto equilibrio tra le esigenze dello Stato e la specificità dell'insegnamento
della religione cattolica».
Ma c'è chi dissente e contesta il cardinale Ruini: sia per il sostegno al governo
berlusconiano, sia nel merito del provvedimento sullo stato giuridico degli insegnanti
di religione. È il caso di don Antonio Di Lalla (direttore dell'Ufficio catechistico della
diocesi di Termoli, Campobasso), che sfida l'imperante censura dei media catto
lici indirizzando a Sua eminenza una polemica lettera aperta:
«Molte, troppe leggi di questo governo più che rispondere a criteri di giustizia e al bene
comune sono legittimazione di interessi di gruppi, risposte a lobby di potere, e questa legge,
per come è concepita e strutturata, è unicamente un favore alla Chiesa cattolica italiana, come
già quella sugli oratori, per averla, se non dalla propria parte, almeno neutrale e silenziosa,
che poi è la stessa cosa. Ho il timore che continuino a riempirci lo stomaco per tenerci
impegnata la bocca e impedirci di parlare. Per un piatto di lenticchie abbiamo abdicato al
dovere della profezia»3.
3 «Entrando nel merito della legge», scrive don Di Lalla, «non posso sottrarmi ad alcuni interrogativi.
È fatta salva lo sovranità dello Stato che rappresenta tutti i cittadini, dunque laico, se l'immissione in
ruolo di un dipendente pubblico è demandata a un esponente di una confessione religiosa? Possibile
che non si abbia il coraggio di scommettere sul laicato, e prima ancora sulla forza della parola, per cui
bisogna tenere gli insegnanti di religione sotto stretto controllo e in uno stato di costante minorità, visto
che l'ultima parola spetta al vescovo, che oltre a designare gli insegnanti deve vigilare perennemente
sulla loro vita per quello che dicono e per quello che fanno? Con la revoca dell'idoneità agli insegnanti
con contratto di lavoro a tempo indeterminato, da parte dei vescovi, come previsto dalla legge, non
corriamo il rischio di fabbricare "esuberi" a carico dello Stato? Non è una furbesca variante di quello
che già facciamo con gli insegnanti che maturano punteggio nelle nostre scuole (spesso sottocosto) e
poi si trovano avvantaggiati nei concorsi e nelle assunzioni rispetto ai "figli di un dio minore"? E quel
30 per cento di posti non a concorso, che altro è se non un ulteriore modo per incrementare il
clientelismo che regna, ancora oggi, troppo spesso, nelle nomine degli insegnanti di religione da parte
degli uffici di curia? [...] Mi aspetto un atto di coraggio: il rifiuto unilaterale di questa legge da parte
della nostra Chiesa, altrimenti con l'inizio del nuovo anno, poiché "tanto è ladro chi ruba quanto chi
tiene il sacco", mi ritirerò dall'insegnamento, ponendo fine ai compromessi con la coscienza che mi
hanno accompagnato in tutti questi anni». Cfr. Agenzia Adista, 27 settembre 2003.
successione a Tivoli, per esempio, lo scontro è tra il card. Angelo Sodano, segretario
di Stato della Santa sede, che lì vuole collocare un suo amico corregionale, nella
persona del P. Giovanni Scanavino, attuale provinciale dei padri Agostiniani, e il card.
Camillo Ruini, che, per favorire il suo vicepresidente in Cei, spedirebbe a Tivoli
l'attuale vicario generale di Pisa, mons. Giovanni Paolo Benotto. Con molta
probabilità, vincente per Tivoli sarà proprio quest'ultimo, con grande disappunto del
card. Sodano che, per consolarsi, tenterà di promuovere al grado di generale di corpo
d'arma ta, come ordinario militare, il suo ex segretario personale, mons. Riccardo
Fontana, attualmente vescovo di Spoleto.
Ma neanche qui è detto che la spunti. Questa volta è il card. Giovanni Re a opporsi al
candidato di Sodano e a met tere in campo ben due concorrenti: mons. Angelo
Bagnasco, vescovo di Pesaro, e mons. Francesco Tamburrino, monaco benedettino,
segretario della Congregazione per il Culto divi no. Bagnasco gode anche del
sostegno del card. Ruini che, per conto suo, in subordine, ritenta di mandare
all'Ordinariato militare mons. Angelo Comastri, arcivescovo prelato del Santuario di
Loreto, già bocciato una volta per salute cagionevole, insieme all'altro candidato di
Ruini, mons. Giuseppe Matarrese, bocciato a sua volta perché non raggiungeva la
statura prevista per i militari. L'altro candidato del card. Re, mons. Tamburrino,
potrebbe facilmente ottenere il nulla osta di Ruini verso la sede di Foggia, rafforzando
così l'alleanza con Re contro Sodano.
A questo punto diventa facilissima la collocazione dell'ordinario uscente nella
prestigiosa sede di Cagliari, che per un breve periodo è stata anche sede cardinalizia.
Qui mons. Mani inizierebbe un nuovo percorso pastorale senza più i galloni di
generale, ma con il lauto sostentamento economico della pensione militare4.
Il puzzle carrieristico-episcopale non distoglie il Vicario-presidente dalla crisi
internazionale. Favorevole alla "guerra preventiva" scatenata dagli Stati Uniti in
Medio oriente come ritorsione per le stragi dell'11 settembre, il cardinale Ruini vede
con favore anche l'ambigua presenza dei carabinieri italiani nell'Iraq bombardato e
occupato dagli anglo-americani (presenza decisa dal governo berlusconiano per
compiacere l'amministrazione Bush). Se ne ha conferma il 18 novembre 2003, durante
l'omelia gladiatoria pronunciata da Sua eminenza alle esequie dei 19 carabinieri
italiani uccisi a Nassiriya:
«Non fuggiremo davanti ai terroristi assassini, anzi li fronteggeremo con tutto il coraggio,
l'energia e la determinazione di cui siamo capaci. Ma non li odieremo, anzi, non ci
stancheremo di sforzarci di far loro capire che tutto l'impegno dell'Italia, compreso il suo
coinvolgimento militare, è orientato a salvaguardare e promuovere una convivenza umana in
cui ci siano spazi e dignità per ogni popolo, cultura e religione».
Alle parole ruiniane gonfie di retorica patriottica da cappellano militare, concetti del
tutto contrari agli insegnamenti evangelici, replica il vescovo di Caserta monsignor
Raffaele Nogaro:
1 Uno dei capitelli del potere ruiniano è lo stuolo di compiacenti giornalisti che da anni ne
celebrano i fasti e ne decantano le gesta.
2 Alcuni mesi prima era stata firmata un'analoga intesa per la scuo la dell'infanzia e le elementari.
3 Recentemente Sua eminenza ha acquisito un nuovo, sorprendenti-estimatore: il vaticanista de
"L'Espresso" Sandro Magister.
schiere di nuovi poveri. Dilagano varie forme di illegalità (compresa la corruzione
genere Tangentopoli), mentre la tv veicola stili di vita e valori miserevoli. Poi c'è il
gravissimo problema dell'immigrazione, dalle molteplici implicazioni sociali. C'è uno
scandaloso presidente del Consiglio dedito alla tutela dei propri interessi giudiziari e
affaristici, impegnato a raccontare barzellette pecorecce o a esibire lifting di chirurgia
plastica oppure ville faraoniche. Addirittura, in Parlamento la maggioranza
berlusconiana si appresta a manomettere la Costituzione repubblicana. Eppure il
Vicario-presidente Ruini mantiene il suo silenzio connivente, dato che il governo di
centro-destra sta per fargli un bellissimo regalo multimilionario: la detassazione degli
immobili della Chiesa a uso commerciale. E si appresta a versare nelle casse della Cei
l'8 per mille relativa all'anno 2004: la somma-record di 984.115.165,49 euro (cioè
poco meno di duemila miliardi di lire).
Agenzia Adista, 27 novembre 2004.
«Pochi giorni fa la Corte costituzionale si è pronunciata sui referendum abrogativi della legge
sulla procreazione medicalmente assistita, respingendo il quesito che aveva di mira
l'abrogazione dell'intera legge e ammettendo invece gli altri quattro che ne domandavano
l'abrogazione parziale.
Prendiamo atto di queste decisioni della Corte, al di là dei non pochi interrogativi e
perplessità che esse possono legittimamente suscitare. Non cambiamo però, e non possiamo
cambiare, la valutazione e la posizione che abbiamo ripetutamente espresso riguardo a questa
legge, che sotto diversi e importanti profili non corrisponde all'insegnamento etico della
Chiesa, ma ha comunque il merito di salvaguardare alcuni principi e criteri essenziali, in una
materia in cui sono in gioco la dignità specifica e alcuni fondamentali diritti e interessi della
persona umana.
Pertanto, mentre non abbiamo cercato e non cerchiamo alcuna contrapposizione, non
possiamo per parte nostra essere favorevoli a ipotesi di modifiche della legge fatte con
l'intento di evitare i referendum: esse non sarebbero infatti in alcun modo "migliorative", ma
al contrario dovrebbero forzatamente abdicare proprio a quei principi e criteri essenziali.
Daremo invece il nostro contributo affinché la campagna referendaria si svolga in forme
serene e rispettose, e al contempo attente all'obiettiva gravità dei problemi. A tal fine
auspichiamo e chiediamo che le diverse posizioni abbiano ciascuna spazio adeguato sui mezzi
di comunicazione, specialmente su quelli di maggiore diffusione.
Il confronto referendario, sebbene da noi certamente non desiderato, può contenere infatti
un'opportunità per rendere il popolo italiano più consapevole dei reali problemi e valori in
gioco [...]. Quanto alle modalità attraverso le quali esprimere più efficacemente il rifiuto del
peggioramento della legge, sembra giusto avvalersi di tutte le possibilità previste in questo
ambito dal legislatore.
Siamo consapevoli delle difficoltà che ci attendono e delle critiche a cui potremo essere
sottoposti. È però doveroso per noi esprimerci con sincerità e chiarezza, anche in questa
materia, e siamo interiormente sostenuti dalla coscienza di adempiere alla nostra missione e di
operare per il bene concreto delle persone, delle famiglie e del corpo sociale».
L'involuto politichese ruiniano può essere semplificato così. La legge in vigore sulla
procreazione assistita è pessima, però al momento è il minore dei mali. Questa legge
non deve essere modificata nel senso voluto dai promotori del referendum, dunque
niente accordi parlamentari, e la consultazione elettorale deve avere regolarmente
luogo. Basterà cavalcare l'astensionismo per far mancare il quorum e vanificare così il
referendum e "il pericolo" che vincano i sì.
La sola voce della gerarchia ecclesiastica che contesta il diktat ruiniano è quella solita
dell'arcivescovo emerito di Foggia monsignor Giuseppe Casale:
«Il referendum è brutale anche nelle sue domande, qui si parla di questioni molto delicate che
esigono quella mediazione politica propria del Parlamento. In una società complessa
dobbiamo tenere conto di tutte le opinioni, delle varie posizioni morali religiose e laiche, e
allora la legge che è fatta per tutti non può mai essere la traduzione immediata di una istanza
etica, esprime un punto di equilibrio, se vogliamo il male minore».
Protestano anche i cattolici del gruppo "Noi siamo Chiesa" con un duro comunicato:
Il cardinale Ruini, senza ascoltare l'opinione dei vescovi né tanto meno quella di altre
autorevoli voci presenti nella Chiesa, ha rifiutato l'ipotesi di un accordo in Parlamento per
evitare i referendum sulla legge n° 40 e ha, in sostanza, chiesto il boicottaggio della
consultazione popolare mediante l'astensione dal voto. Il cardinale Ruini è ormai diventato
un'istituzione della Repubblica col diritto di intervenire e di cercare di imporre. I suoi
interventi sono sempre più politici e sempre più lontani dall'ispirarsi al Vangelo di Gesù.
Nella pretesa che ogni posizione in materia di bioetica, anche molto controversa ma sostenuta
dalle gerarchie della Chiesa, si traduca in legge dello Stato e nel rifiuto della democrazia
referendaria, il cardinale Ruini trova la contrarietà e l'imbarazzo di molti cattolici. Sono quelli
che credono nelle istituzioni democratiche e che hanno comunque come principale punto di
riferimento, su problemi tanto complessi e delicati come quelli della fecondazione assistita, la
carità e la misericordia di cui parla il Vangelo e la propria coscienza.
«Voi potete dire e ridire fino alla noia che l'embrione è una persona», scrive il giornalista
rivolto all'episcopato, «così come i vostri confratelli di quattrocento anni fa sostenevano che il
sole gira intorno alla Terra e misero in catene il grande scienziato che sosteneva il contrario.
Ciò che invece non potete assolutamente fare è di prescrivere agli elettori quale sia il modo
più efficace per impedire l'abrogazione (parziale) d'una legge attraverso il legittimo esercizio
del voto popolare».
«Lei sarà pur convinto di adempiere alla sua missione prescrivendo agli elettori se debbano
votare o no. Ma sta di fatto che (come presidente della Cei) ha violato gli articoli 1 e 2 del
Concordato lateranense. Se avessimo un presidente del Consiglio di normale sensibilità per le
prerogative e la dignità dello Stato, lei avrebbe già ricevuto una nota di protesta
dall'ambasciatore italiano presso la Santa sede. Ma noi non abbiamo purtroppo un presidente
del Consiglio che senta questo tipo di doveri. E infatti egli è proprio colui che a una
Conferenza episcopale così poco riguardosa dei principi di laicità fa più comodo di avere
come frontaliere».
«È chiaro il senso dell'indicazione di non partecipare al voto: non si tratta in alcun modo di
una scelta di disimpegno, ma di opporsi alla maniera più forte e efficace ai contenuti dei
referendum e alla stessa applicazione dello strumento referendario in materie di tale
complessità».
«Spiego il mancato raggiungimento del quorum con la maturità del popolo italiano, che si è
rifiutato di pronunciarsi su quesiti tecnici e complessi, che ama la vita e diffida di una scienza
che pretenda di manipolare la vita, che è radicato in alcuni valori fondamentali e vuole
conservarli per il presente e per il futuro... Il cattolicesimo popolare italiano ha dato ottima
testimonianza di sé».
E a quanti rimproverano la Cei di avere interferito nella vita dello Stato ledendone la
laicità, Sua eminenza risponde con la tronfiaggine del politicante vittorioso:
«Questo è totalmente sbagliato. Se per laicità dello Stato si intende che la Chiesa non può
avere una espressione pubblica, allora non si tratta di laicità, ma si tratta di un laicismo che fa
male allo Stato prima ancora che alla Chiesa. Se, invece, si intende per laicità la libertà di
ciascuno e la distinzione dei compiti, questa laicità non è stata in alcun modo toccata. La
Chiesa, in materia di grandissimo rilievo umano e morale, aveva il dovere di esprimere
chiaramente la sua voce, una voce che è stata accolta e condivisa da moltissimi cittadini,
anche in base alla loro coscienza personale».
La battaglia referendaria s'intreccia con il Conclave di aprile 2005, che però per il
cardinale Ruini è una delusione: nonostante si sia dato tanto da fare, la sua
candidatura papale non decolla. Lunedì 18 aprile Sua eminenza in Conclave rimedia 6
voti. Martedì 19 i porporati suoi sostenitori - previ accordi di corridoio -
contribuiscono a eleggere papa il cardinale Joseph Ratzinger. Allora il Vicario-
presidente è lestissimo a inneggiare al nuovo Pontefice tedesco, tessendone lodi
sperticate: «Papa Ratzinger non è un puro difensore della fede: ha una mente creativa,
e ha fatto molto per ripensare il cristianesimo nel nostro tempo». Si capisce: nel 2006
Sua eminenza dovrà dare le dimissioni per raggiunti limiti di età, e vuole ottenere da
Benedetto XVI una lunga proroga, la più lunga possibile.
Archiviata la delusione del Conclave, e conclusa con una grande vittoria la battaglia
referendaria, il cardinale Ruini è superattivo su più fronti. Come vicario papale
rimuove un parroco romano troppo pacifista. Come presidente della Cei annuncia: a)
guerra alla «deriva laicista» dell'Europa e al «relativismo etico»; b) guerra all'ipotesi
che il Parlamento italiano codifichi le unioni gay con un'apposita legge; c) guerra alla
vigente legislazione abortista, che dovrà essere cambiata.
Il 19 settembre, aprendo a Roma il Consiglio episcopale permanente, il Vicario-
presidente si cimenta nel consueto comizio politico comprensivo di proibizioni e
diktat. Anzitutto rivendica la vittoria referendaria, la quale «ha confermato che la
indicazione di non partecipare al voto era non solo efficace praticamente ma anche in
sintonia con il sentire della grande maggioranza della nostra gente». Poi dice no a
qualunque forma di «riconoscimento giuridico pubblico delle unioni di fatto»: la
Chiesa - precisa Sua eminenza - può al massimo tollerare norme a tutela di «esigenze
specifiche», ma solo per conviventi eterosessuali. Quindi si occupa di un aspetto
minimale dello scandalo che ha per protagonista il governatore della Banca d'Italia
Antonio Fazio, affermando «la necessità di porre fine, per quanto possibile, all'abuso
della pubblicazione delle intercettazioni telefoniche che da troppi anni condiziona la
vita della nostra Repubblica e ha prodotto gravi danni alle perso ne e guasti
difficilmente riparabili alla dialettica politi ca e al funzionamento delle istituzioni»4.
Assai pertinente il commento del cattolico Pierre Carniti, ex segretario generale della
Cisl: «Sarebbe meglio che il cardinal Ruini insistesse sull'annuncio del Vangelo,
piuttosto che sulle intercettazioni telefoniche».
Il 23 settembre il Vicario-presidente partecipa, in veste di premiato, a una
manifestazione politica organizzata a Siena dalla lobby reazionaria Fondazione
Liberal; nell'occasione, un gruppo di studenti di sinistra contesta rumorosamente Sua
eminenza. «La Chiesa non si lascia intimidire», protesta la Cei con un comunicato
4 Il cardinale Ruini non dice una parola sull'incredibile comportamento di Antonio Fazio così come
emerge dalle intercettazioni telefoniche. Non è distrazione: è che il governatore della Banca d'Italia,
oltre a essere un uomo molto potente, è un pupillo dell'Opus Dei. Due buonissime ragioni per non
criticarlo.
ufficiale, e annuncia che continuerà a «parlare in modo forte e chiaro»: perché è
evidente che il cardinale Ruini e la Conferenza episcopale sono oramai sinonimi, sono
un tutt'uno, la stessa cosa.
A conferma che Sua eminenza è ormai un protagonista-mattatore della politica
italiana, la contestazione senese scatena tutti i partiti politici in una gara nel
condannare gli studenti contestatori e nel solidarizzare con il porporato contestato. Il
giornalista laico Eugenio Scalfari commenta:
Le recenti esternazioni del cardinal Ruini hanno provocato a Siena, in occasione d'un forum di
parte al quale il presidente della Cei era intervenuto come ospite d'onore, chiassose
contestazioni di un gruppo di studenti favorevoli al "Pacs" (Patto di solidarietà per i
conviventi non sposati). Il cardinale ha definito quelle contestazioni una «piacevole
interruzione» dimostrando in quest'occasione una buona dose di umorismo di cui gli va dato
atto. Non altrettanto umorismo ha visitato le menti di quanti, naturalmente del centrodestra
ma anche del centrosinistra, si sono affrettati a biasimare i chiassosi studenti e hanno porto le
loro (non richieste) scuse al cardinale.
Dispiace che tra di essi ci sia stato anche Romano Prodi. Di che cosa si doveva scusare Prodi
e tutto il centrosinistra con lui? Il cardinale fa il dover suo quando esprime l'opinione dei
vescovi, confortata da quella del Papa, sulla dottrina della Chiesa, sull'etica, sulla famiglia,
sulla catechesi, sulla liturgia. Invade invece terreno altrui quando prescrive i comportamenti
specifici che non solo i cattolici e gli "uomini di buona volontà" dovrebbero assumere, ma
anche le istituzioni dello Stato in occasioni politiche rilevanti: il modo di compilare le leggi, il
modo di votare nei referendum, l'esercizio della giurisdizione. (Vedi a quest'ultimo proposito
le critiche che Ruini ha rivolto alle intercettazioni giudiziarie disposte dalle procure italiane.)
Di invasioni di campo di questo genere è piena la recente biografia del presidente della Cei.
Esse creano inevitabili reazioni non solo dei laici non credenti ma anche nel laicato cattolico
più avvertito, che vorrebbe dai propri vescovi più religiosità e meno politica [...].
Ruini si dimentica troppo spesso, mi pare, la differenza profonda che passa tra una Chiesa
libera da ogni vincolo e da ogni beneficio e una Chiesa concordataria come quella italiana. E
ovvio che i preti e i vescovi abbiano piena libertà di parola ma non è vero che essi siano
cittadini italiani come tutti gli altri. Essi godono di vari privilegi tutt'altro che marginali:
celebrano matrimoni in qualità di ufficiali di stato civile, hanno insegnanti di religione nelle
scuole pubbliche pagati dallo Stato ma scelti e revocabili da loro, ricevono un contributo
dell'8 per mille sul reddito dichiarato dai contribuenti e calcolato con modalità che vanno
assai oltre alla crocetta apposta dal singolo dichiarante sull'apposito spazio modulistico,
ricevono ampio sostegno finanziario e urbanistico per le opere d'arte allocate nelle chiese.
In compenso di questi e di molti altri benefici hanno accettato di lasciare interamente
all'autorità civile l'organizzazine politica e legislativa della società, alla quale possono certo
far giungere la loro parola d'orientamento ma non la loro precettistica e la loro casistica»5.
«Con l'approvazione ecclesiastica card. Camillo Ruini, Vicario generale di Sua Santità per la
Diocesi di Roma».
Mentre con una mano glorifica il defunto Pontefice, Sua eminenza con l'altra mano è
impegnatissimo a incensare e blandire il regnante Benedetto XVI. Di papa Ratzinger
scrive che «ha raccolto questa grande eredità lasciatagli dal suo Predecessore», che
pronuncia parole le quali «hanno, accanto alla forza e alla profondità, una nitida
consequenzialità e una straordinaria chiarezza». La piaggeria ruiniana verso papa
Ratzinger si esprime senza ritegno attraverso una ridda di notazioni e aggettivazioni
come «efficace e profondo», «semplice e gentile», «spontaneità e naturalezza», «il
carisma proprio del nuovo Pontefice», «dà concretezza al mistero della Chiesa»,
«grande forza e chiarezza». Fino all'apoteosi: «Il Signore ci ha dato, nella persona del
nuovo Pontefice, un grande Maestro della fede e al contempo un Pastore che conosce
la strada per introdurci nell'intimità di Dio: un catecheta di straordinaria profondità e
chiarezza che è però, ancora prima, un evangelizzatore che dolcemente sa quasi
costringere a prestare attenzione a Cristo»6. Intanto il vaticanista Giancarlo Zizola
scrive: «Soltanto nel tempo sarà dato di comprendere pienamente se siano fondati i
timori di quanti fra i cattolici hanno percepito con inquietudine il complimento rivolto
da alcuni leader politici al cardinale Ruini per la sua "genialità politica", un
apprezzamento su cui un vescovo cattolico dovrebbe riflettere». Questo, infatti,
perché c'è il rischio ricorrente «di uno snaturamento dell'identità pubblica della Chiesa
se venisse mischiata alle spregiudicate abilità politiche che la presentano come una
corporazione nel gioco dei poteri "forti", munita di una vasta disponibilità di capitali,
provenienti dall'8 per mille concordatario, e capace di farsi largo nella società a colpi
di decreti sulla Gazzetta Ufficiale e di pesanti ingerenze nell'ordine politico piuttosto
che con la forza dello spirito e la validità intrinseca della sua verità»7.
6 Tutte le citazioni riportate sono tratte dalla introduzione, firmata da Camillo Ruini, al libro di
Benedetto XVI La rivoluzione di Dio (Edizioni San Paolo-Libreria Editrice Vaticana, 2005).
7 G. Zizola, Benedetto XVI, Sperling & Kupfer 2005, pag. 369.
L'arcivescovo "pulito dentro"
Lo scandalo che alla fine degli anni Novanta ha avuto come protagonista l'arcivescovo
di Napoli, il cardinale Michele Giordano, è una vicenda che permette di conoscere
meglio la nomenklatura della Chiesa italiana presieduta dal cardinale Ruini.
Si tratta di uno scandalo molto istruttivo, nel quale i risvolti giudiziari e processuali
sono comunque secondari. Infatti è una storia di ingenti somme di denaro della
diocesi utilizzate da un arcivescovo per faccende private, fra plateali menzogne
pubbliche e conviventi coperture vaticane. Con la pretesa del protagonista di essere al
di sopra delle leggi dello Stato italiano. È soprattutto una vicenda che, sebbene abbia
come primattore un principe della Chiesa, non ha nulla di evangelico ed è permeata,
dall'inizio alla fine, di arroganza del potere.
Per le sue caratteristiche specifiche, e per alcuni suoi frangenti, lo scandalo Giordano
è a tutti gli effetti un sottocapitolo della biografia ruiniana. E come tale merita dunque
di essere qui raccontato.
1 Nato a Sant'Arcangelo (Potenza) nel 1930, ordinato sacerdote nel 1953, monsignor Giordano era
stato un modesto parroco a Scanzano Jonico per sei anni. Aveva cominciato la sua scalata carrieristica
nel 1971: prima vescovo ausiliare di Matera, poi amministratore apostolico di Gravina-Isernia-
Altamura, quindi - dal giugno 1974 -arcivescovo di Matera-Isernia. Alla carica arcivescovile si erano
poi aggiunte quella di segretario della Commissione episcopale per il clero, e di vicepresidente della
Conferenza episcopale regionale della Basilicata.
Tre mesi dopo il cardinale Giordano presenziò, nel Duomo di Napoli, alla tradizionale
liquefazione miracolosa del sangue di San Gennaro. Annunciando l'avvenuto
miracolo, disse ai fedeli: «Questo sangue è vivo, come ci hanno confermato gli
scienziati, e vivo deve essere il nostro cuore verso il prossimo... Ho provato una
grande emozione quando quel grumo di sangue si è sciolto, e nello stesso modo
occorre che si sciolgano i nostri cuori».
«Seguo con profonda amarezza le notizie di questi giorni sul gravissimo fenomeno dello
strozzinaggio, che provoca tragedie familiari terribili e, in questi ultimi giorni, suicidi a catena
determinati dalla disperazione di chi si è trovato senza via d'uscita, dopo aver perduto ogni
risorsa patrimoniale e imprenditoriale.
La Chiesa, per alleviare l'insostenibile peso di coloro che erano vittime degli strozzini, creò i
Monti di Pietà, che ispirarono poi la creazione di quegli istituti di credito che tanta importanza
avrebbero avuto nelle più varie attività produttive. Occorre dire che questi istituti, nati con
una funzione sociale di sostegno delle categorie più deboli, finirono spesso con il porre tali
condizioni per la concessione di crediti da consentire l'accesso solo alle categorie più forti.
Il sistema bancario ha assunto dimensioni e finalità molto diverse da quelle originali. Oggi
costituiscono una delle maggiori imprese economiche su scala mondiale e, senza volerlo,
hanno aperto le vie alla speculazione usuraia, che ha assunto il volto di attività finanziaria che
sfugge alla rete della legge. Contro questa piovra che strangola le piccole aziende e le
famiglie occorrono interventi legislativi, una capillare informazione che faccia desistere dal
ricorso alle lusinghe degli usurai, e la creazione di fondi di solidarietà per le vittime
dell'usura».
«La questione sarà portata al livello generale dei rapporti fra Stato e Chiesa, investendone
formalmente la Santa sede, che nel frattempo è già stata messa al corrente dei fatti». I
magistrati napoletani replicarono: «Non è affatto vero che sia stato violato il Concordato,
perché i beni culturali della Chiesa sono sottoposti alla giurisdizione italiana... Il cardinale
queste cose le sa bene, e dovrebbe sapere anche che, fino a pochi mesi fa, l'economo della
Curia ha riscosso i canoni d'affitto di quelle chiese trasformate in esercizi commerciali».
2 Eccone tre esempi. Il 19 settembre 1994, durante l'omelia della cerimonia per il rinnovarsi del
miracolo di San Gennaro, il cardinale Giordano accennò alla pornostar Moana Pozzi (da poco
prematuramente defunta per una grave malattia) definendola «quella povera figlia», e assicurando che
«a volte la fede in Dio emerge nei modi più insospettati».
Il 22 marzo 1995 i fulmini del cardinale Giordano presero di mira «superstizione, magia e satanismo».
L'occultismo, tuonò l'arcivescovo, «è incompatibile con la fede cristiana, è moralmente abominevole e
gravemente offensivo della dignità dell'uomo, un imbroglio colossale diretto a svuotare le tasche degli
adepti dopo averli resi schiavi di una superstizione senza fondamento».
Il 31 maggio 1996 polemizzò con il sindaco di Napoli AntonioBassolino, reo di avere aderito a una
manifestazione gay che rivendicava il riconoscimento delle "unioni di fatto" da parte dello Stato: «Il
primo cittadino dovrebbe andare là dove si chiedono cose legittime, non avallare rivendicazioni
illecite... È inaccettabile, e sottolineo inaccettabile, la pretesa di mettere sullo stesso piano la famiglia
normale e le unioni omosessuali».
L'11 febbraio 1998 il quotidiano "La Gazzetta del Mezzogiorno" pubblicò la notizia di
un'inchiesta della Procura di Lagonegro su un giro di usura nella provincia di Potenza,
e - fra gli altri - fece il nome del cardinale Giordano3. Secondo il giornale, infatti fra i
cinquanta indagati coinvolti nella vicenda criminosa c'era il geometra Mario Lucio
Giordano, fratello del cardinale, fra il materiale sequestrato dagli inquirenti c'erano
assegni bancari firmati dall'arcivescovo di Napoli.
La clamorosa indiscrezione suscitò una irata smentita del porporato:
«Sono strabiliato. È così che si danneggia la dignità di persone innocenti! Condanno con forza
un perverso meccanismo che porta alla pubblicazione di notizie non vere e non controllate,
fatte filtrare non si sa in quale modo o da quali ambienti. Episodi del genere devono far
riflettere sull'esigenza di una maggiore tute la di tutti i cittadini, a prescindere dal loro ruolo
sociale o dalle cariche che ricoprono».
E ai giornalisti che gli domandavano se avesse mai dato assegni a suo fratello, il
cardinale Giordano rispose:
«Può darsi, probabilmente si tratta dei pochi soldi necessari al mantenimento della nostra
vecchia casa di famiglia a Sant'Arcangelo - luce, acqua, telefono... Ma ora basta! Adesso mi
sembra più giusto parlare delle condizioni di degrado economico in cui vive il Sud. Domani
parteciperò a una riunione di imprenditori cattolici: chiederò loro di fare nuovi investimenti
per creare lavoro e sviluppo, e di lottare insieme contro l'usura e ogni forma di criminalità».
Una settimana dopo la Guardia di finanza interrogò l'avvocato Aldo Palumbo, il quale
amministrava, per conto dell'arcivescovo Giordano, i lasciti ereditari (immobili e
denaro) dei fedeli napoletani, lasciti che erano di pertinenza dello Ior vaticano4.
L'inchiesta della procura della Repubblica di Lagonegro si stava pericolosamente
avvicinando alla Curia partenopea.
L'arcivescovo Giordano, intanto, mostrava una apparente tranquillità, e proseguiva le
sue predicazioni moralizzatrici: «A Napoli ormai la povertà è talmente acuta da
mettere in pericolo i bisogni primari di migliaia di famiglie... Ogni giorno mi
giungono lettere di famiglie disperate che chiedono aiuto perché non sanno come
mangiare o come fare per pagare le bollette. E' un vero dramma, che dimostra come a
Napoli, negli ultimi anni, si siano fatti passi indietro sul versante della miseria».
Dietro le quinte, però, il porporato era invece preoccupatissimo per l'inchiesta della
Procura di Lagonegro, e tempestava di telefonate il fratello Mario Lucio: telefonate
criptiche, dal linguaggio allusivo e ammiccante, comprensive di insulti e minacce
verso l'ufficiale della Guardia di finanza che guidava le indagini bancarie per conto
dei magistrati: «Quel tenente è un cretino... Bisogna interessare gli organi superiori».
Fra le telefonate dell'arcivescovo partenopeo intercettate dei magistrati nella
primavera del 1998 non c'erano solo quelle con il fratello Mario Lucio. C'era anche,
per esempio, una conversazione telefonica con il presidente della Società autostrade
Giancarlo Elia Valori (ex affiliato alla P2, molto amico del capo massone Licio Gel-
li), che premeva con insistenza affinchè il cardinale Giordano si pronunciasse
pubblicamente in favore della Telon, società in lizza per ottenere la terza concessione
statale della telefonia mobile; infatti l'arcivescovo di Napoli, il 29 maggio, si era
espresso pubblicamente in favore della Telon.
3 L'inchiesta era stata avviata dalla denuncia di due vittime dell'u sura a Sant'Arcangelo: il
commerciante Leonardo Tatalo e l'assicu ratore Antonio Stipo.
4 L'avvocato Palumbo morirà all'improvviso il successivo 19 mag gio, a Roma, dove si era recato per
conferire con i vertici dello Ior in merito allo scandalo Giordano.
Poi c'era una simpatica telefonata con Mario Agnes, il direttore de "L'Osservatore
romano". Alla vigilia del premio "Buone notizie" promosso dalla diocesi partenopea,
fra i premiati c'era proprio il presidente della società autostrade Giancarlo Elia Valori:
Agnes diceva all'arcivescovo Giordano che essendo Valori «Loggia in senso stretto»
(allusione alla massoneria e alla P2), non avrebbe dovuto premiarlo personalmente ma
delegare l'incombenza ad altri. Infatti, subito dopo il cardinale Giordano telefonava a
un interlocutore non identificato: «Carissimo, faccia in modo che non sia io a
premiare quello delle Autostrade. Faccia l'impossibile perché io non venga né
fotografato né ripreso insieme a quella persona». E il giorno della cerimonia, infatti, il
premio speciale all'ex piduista Valori non lo consegnò il cardinale Giordano, che evitò
con cura il premiato.
Il 20 agosto 1998 l'inchiesta anti-usura della Procura di Lagonegro arrivò a una svolta:
finirono in carcere Filippo Lemma (ex direttore dell'agenzia del Banco di Napoli di
Sant'Arcangelo) e Mario Lucio Giordano (fratello dell'arcivescovo di Napoli).
Secondo i magistrati, i due gestivano una attività usuraia di molti miliardi, alimentata
attraverso la società Glf-Giordano Lucio Finanziaria srl, prestando denaro a tassi
annui anche del 400 per cento. La prima reazione del cardinale Giordano fu misurata:
«Apprendo con grande dolore la notizia dell'ordinanza di custodia cautelare contro
mio fratello, ma sono certo che in breve tempo sarà chiarita la sua completa
innocenza».
L'indomani trapelò la notizia che anche l'arcivescovo di Napoli era ufficialmente
coinvolto nell'inchiesta della Procura di Lagonegro in quanto i magistrati avevano
trovato suoi assegni al fratello per centinaia di milioni di lire, denaro che sarebbe poi
stato utilizzato da Mario Lucio Giordano per alimentare il giro di usura. Dal Vaticano
echeggiò la voce solerte del curialissimo cardinale Fiorenzo Angelini: «Giordano è un
grande arcivescovo, e io prego per lui. A volte, anche un grande arcivescovo è
chiamato a soffrire per colpe non sue».
Sabato 22 agosto la Guardia di finanza si recò negli uffici della Curia napoletana. I
finanzieri consegnarono all'arcivescovo un avviso di garanzia per usura, estorsione e
associazione a delinquere, e gli esibirono un mandato di perquisizione. Il cardinale
Giordano - che aveva provveduto a convocare giornalisti e tv - si cimentò in uno show
teatrale: si oppose alla perquisizione protestando a gran voce e invocando il
Concordato e l'extraterritorialità della Curia napoletana; poi accettò di consegnare ai
finanzieri i documenti contabili richiesti dai magistrati. Gli inquirenti avevano già
trovato traccia non solo di assegni dell'arcivescovo per ingenti importi in favore del
fratello, ma anche altri assegni dello Ior intestati ai figli di Mario Lucio Giordano, i
nipoti del cardinale Angelo Rosario (ingegnere) e Giovanbattista (architetto).
Lo scandalo dilagò sulle prime pagine dei giornali e in tv. La reazione vaticana si
manifestò con ambigua doppiezza. Il portavoce papale Joaquin Navarro Valls si limitò
a dichiarare asciutto che «la Santa Sede, come è ovvio, è sempre vicina a ogni
vescovo nei momenti di gioia come in quelli della prova, e segue il caso con
attenzione». Molto più veemente la reazione del Vicario-presidente Camillo Ruini:
«In questa tanto incresciosa circostanza desidero confermare pubblicamente stima,
fiducia e fraterna amicizia verso il cardinale Giordano, nella certezza che sarà presto
riconosciuta l'infondatezza di ogni accusa nei suoi confronti».
L'arcivescovo, da parte sua, protestò la propria innocenza, inveì contro la «giustizia-
spettacolo», e raccontò alla stampa una versione dei fatti minimizzatrice che tuttavia
conteneva gravi ammissioni:
«Mio fratello Mario Lucio è un costruttore, un piccolo imprenditore che ha sempre lavorato,
spesso con buoni risultati, una volta con un risultato disastroso: costruì una serie di
appartamenti e non riuscì a venderli. Per aiutarlo gli lasciai una serie di assegni in bianco
perché uscisse dalla situazione debitoria. Gli assegni che sono stati riscossi non so neppure a
quanto ammontano, forse a 70 o 90 milioni. Soldi miei per sonali, i risparmi di cinquant'anni
di un sacerdote.
L'indebitamento di mio fratello con le banche ammontava ultimamente, a circa 600 milioni.
C'è stato un assegno firmato dall'avvocato Palumbo [amministratore-procuratore, della Curia
napoletana, ndr] a favore di un mio nipote architetto [figlio di Maria Lucio Giordano, ndr]
come compenso per alcuni lavori eseguiti: 200 milioni. Restava un buco di 400 milioni. I miei
nipoti [fìgli di Mario Lucio Giordano, ndr] chiesero a Palumbo aiutarli a vendere un
appartamento. Lui consigliò di aspettare, e anticipò una cifra con la garanzia che, se non fosse
sta ta restituita, l'appartamento sarebbe passato nel patrimonio [della Curia, ndr].
Se sapessi che quei soldi dati a mio fratello per saldare debiti bancari lui li ha usati per fini
illeciti [usura, ndr] darei una mazzata in testa, altro che denaro! Dimettermi? Non ci penso
proprio, almeno finché il Santo Padre vorrà»5.
Il cardinale Giordano replicò piccato: «Se adesso il Messori vuole fare anche il padre
spirituale dei cardinali, posso dirgli che me ne scelgo un altro»; poi dichiarò alla
stampa:
«Ho letto che ci sarebbero state delle intercettazioni telefoniche fatte sulla mia utenza.
Ebbene, così non è stata violata la sovranità della Chiesa? E se stavo parlando con il Papa? Se
dall'altra parte del filo qualcuno mi stava confidando i suoi peccati? Avrebbero sentito e
registrato tutto, facendo venir meno il mio compito spirituale. In tal modo, oltre a ingerirsi
negli affari di uno Stato estero, si attenua la libertà di culto. E queste cose sono avvenute
soltanto nei regimi comunisti, mai in una democrazia e neppure durante il fascismo... I
magistrati hanno calpestato il Concordato e spettacolarizzato la giustizia!
Ho ricevuto tanta solidarietà, ma non voglio che una vicenda privata sconfini nell'ambito del
sacro. Ai fedeli, però, posso dire che continuerò a denunciare l'usura, anche se mio fratello
dovesse risultare colpevole. Parlano di una Curia napoletana miliardaria, dimenticando che
questa è la terza diocesi italiana. Personalmente sono povero, ho soltanto la casa che mi hanno
lasciato i miei genitori. I pochi soldi che ho risparmiato li lascerò alla Curia: ho già fatto
testamento».
5 "la Repubblica" e "Corriere della Sera", 23 agosto 1998. Il cardi nale Giordano ammetteva in pratica
che centinaia di milioni della Curia napoletana erano stati utilizzati per saldare i debiti bancari del
fratello costruttore. Si è visto come, solo poche settimane prima, il porporato avesse invece dichiarato -
mentendo - di avere probabilmente» consegnato al fratello solo «i pochi soldi necessari al
mantenimento della nostra vecchia casa di famiglia a Sant'Arcan gelo: luce, acqua, telefono...».
circa tre milioni mensili.Una delle vittime dell'usura che aveva originato l'inchiesta, il
negoziante Leonardo Tatalo, aveva dichiarato ai magistrati: «Notoriamente e da molti
anni Mario Lucio Giordano faceva l'usuraio a Sant'Arcangelo. L'associazione
criminosa tra lui e Filippo Lemma funzionava già dal 1993. Insieme raccoglievano
clienti, o meglio "polli da spennare", si informavano su chi aveva contratto debiti. Già
a quell'epoca noi imprenditori in crisi eravamo inviati da Lemma [direttore della locale
filiale del Banco di Napoli, ndr] a Mario Lucio Giordano, che attraverso lo scambio dì
assegni e prestiti usurai assicurava il mancato protesto per le nostre pregresse
difficoltà economiche».
Turbata dalla eco mediatica dello scandalo e dalle ripercussioni che avrebbe potuto
avere sui contributi finanziari dei fedeli italiani alla Chiesa (l'8 per mille nel 1997
aveva fruttato alla sola arcidiocesi napoletana circa 11 miliardi di lire), la Santa sede
si mobilitò.
Il 27 agosto 1998 il "ministro degli Esteri" vaticano, monsignor Jean Louis Tauran,
rivolse una protesta formale all'ambasciatore italiano presso la Santa sede Alberto
Leoncini Bartoli contestando la legittimità e i metodi dell'inchiesta della Procura di
Lagonegro. E il segretario personale dell'infermo papa Giovanni Paolo II, monsignor
Stanizlaw Dziwisz, rincarò la dose:
«Il Papa è turbato, è triste e soffre molto per questa drammatica vicenda: ma come sempre
trova conforto nella preghiera... Nemmeno durante le persecuzioni dei regimi comunisti
dell'Est dei decenni passati si sentivano accuse così terribili mosse nei confronti di prelati,
vescovi, cardinali non graditi ai governanti».
«Il cardinale Giordano è un bugiardo. In tv ha detto che qui a Sant'Arcangelo è venuto solo a
Pasqua e a Natale. Invece per due volte io ho accompagnato a casa sua Filippo Lemma [ex
direttore della filiale locale del Banco di Napoli, ndr], tra giugno e luglio del 1996. Ci siamo
andati con la mia auto. Notai che davanti alla casa del cardinale, in entrambe le occasioni,
mancava la scorta della polizia, non so se era un caso. So che Lemma aveva con sé una borsa
di documenti e che ciascun incontro è durato più di un'ora, da mezzogiorno alle 13 inoltrate.
"Con il cardinale devo sistemare una faccenda di 700 milioni", mi aveva detto Lemma. Dopo
il primo incontro non mi disse nulla, era deluso e preoccupato. Ma dopo il secondo era
raggiante, gasato. Tutto a posto?, gli chiesi. È lui: "Abbiamo sistemato tutto"».
6 Dai 7,6 milioni di lire dichiarati dall'arcivescovo nel 1989, si passava a 25 milioni nel 1991, a 24
milioni nel 1992, a 26 milioni nel 1994, a 27,5 milioni nel 1995.
L'arringa ruiniana in difesa del cardinale Giordano proseguì con un ammonimento che
sottintendeva una critica: l'azione dei magistrati doveva svolgersi con «il distacco che
ciò comporta dai propri sentimenti o preferenze di qualsiasi natura», distacco che
evidentemente i magistrati di Lagonegro, secondo Sua eminenza, non avevano. «È
indispensabile un più sicuro equilibrio fra i poteri dello Stato», concluse il Vicario-
presidente, «con particolare riguardo al ruolo proprio dei magistrati... Una società ben
ordinata non può mettere le decisioni sulla sua sorte futura nelle mani della sola
autorità giudiziaria».
L'arringa ruiniana in difesa di Giordano e contro l'operato dei magistrati provocò
polemiche e una replica dal fronte laico:
Sul piano della opportunità, è quantomeno discutibile la sortita con cui il presidente della
Conferenza episcopale italiana, cardinale Camillo Ruini, è tornato ieri a difendere il collega
cardinale di Napoli, Michele Giordano, coinvolto nella inchiesta sull'usura. Oltre a
esprimergli legittimamente «affetto e stima», Ruini gli ha rinnovato infatti anche la propria
«solidarietà»: e quest'ultimo atto, ancorché comprensibile in termini umani e personali, appare
invece più impegnativo nei confronti del mondo esterno e soprattutto in ordine al merito della
vicenda.
Nonostante alcuni aspetti ormai accertati che dovrebbero indurre a una maggiore cautela,
come l'emissione di un intero libretto di assegni in bianco da parte del cardinale Giordano a
favore del fratello in difficoltà economiche, il presidente della Cei s'è sentito in diritto
d'intervenire sull'inchiesta in corso, fino a definire «tanto gravi quanto inverosimili» le accuse
contro l'arcivescovo di Napoli. Ma è sul piano politico che il discorso di Ruini risulta ancora
più indebito e inquietante, laddove denuncia «fenomeni altamente preoccupanti che
accompagnano non di rado l'amministrazione della giustizia» e auspica «un più sicuro
equilibrio tra i poteri dello Stato», giudicandolo anzi «indispensabile».
Si può anche convenire con lui quando stigmatizza la violazione del segreto istruttorio e la
cosiddetta spettacolarizzazione delle indagini: tuttavia la decisione della Curia napoletana di
nominare un "inquirente ecclesiastico", con il compito d'indagare a sua volta sull'operato dei
giudici e dei giornalisti, risulta vagamente intimidatoria. E poi, con tutto il rispetto per un
"principe della Chiesa", che cosa autorizza il rappresentante di uno Stato estero qual è il
Vaticano a interferire con gli affari dello Stato italiano su un terreno così delicato? In che
senso il cardinale Ruini invoca un "riequilibrio" dei poteri? E infine, a quale titolo lo chiede?
Qui non si tratta, evidentemente, di rispolverare l'armamentario polemico di un
anticlericalismo che appartiene oramai al passato. Questo non è nelle nostre intenzioni. Si
tratta però di difendere e rivendicare la laicità dello Stato, ricordando anche che il sospetto o
l'accusa di usura a carico del cardinale Giordano non hanno nulla a che fare con il "governo
spirituale" della Chiesa né tanto meno con il "ministero sacerdotale" che lo stesso arcivescovo
di Napoli continua a esercitare liberamente nella propria diocesi7.
«Emerge evidente la circostanza che l'Ente Diocesi, anche grazie al cospicuo patrimonio
immobiliare di cui risulta pro-prietaria [650 immobili in gran parte affittati, ndr], svolge
attività di fatto commerciale, con ricavi sicuramente elevati che vengono impiegati in
operazioni a carattere speculativo, evidentemente esulanti dalle attività inerenti alle finalità di
religione e di culto...
Emerge una movimentazione di capitali di importi elevati e per operazioni di sicura
qualificazione economico-finanziaria (acquisto e vendita di titoli, operazioni di pronti contro
termine, versamenti di somme in contanti per pagamenti di forniture e prestazione di servizi),
operazioni i cui singoli importi sono di valore pure superiore al miliardo di lire, oltre che
numerose e reiterate negli anni a partire dal 1989».
La magistratura napoletana sosteneva che la Curia retta dal cardinale Giordano era
diventata, in stretto collegamento con lo Ior del Vaticano, un fiorente centro
"imprenditoriale", con investimenti in attività finanziario-speculative, commerciali e
immobiliari, e articolazione in varie società collegate. Un'attività nella quale -secondo
i magistrati - fiorivano false fatturazioni, irregolarità contabili, bilanci falsi, evasione
fiscale, e perfino un miliardo scomparso. Una attività economico-speculativa
comunque illecita, per un ente morale senza scopo di lucro come l'arcidiocesi.
Emergeva inoltre un collegamento fra l'inchiesta napoletana e quella di Lagonegro:
infatti, fra il giugno del 1997 e il marzo 1998, l'Ente Diocesi aveva emesso 14 assegni
per un totale di 167 milioni di lire, firmati dall'avvocato Palumbo e incassati dalla Glf-
Giordano Lucio Finanziaria srl; e il 10 marzo 1997 tre assegni dello Ior, ciascuno di
L. 200 milioni di lire, erano stati incassati dai nipoti del cardinale, Angelo e
Giovanbattista Giordano.
L'arcivescovo si autoassolse a mezzo stampa dalle nuove accuse: «Le norme tributarie
che regolano attività e tassazione degli enti ecclesiastici sono diverse da quelle
previste per le aziende e le imprese», e comunque escluse qualunque sua
responsabilità «fiscale o amministrativa per il semplice fatto che, come avviene nelle
diocesi di grandi dimensioni, il vescovo non può agire in questa materia se non
attraverso procuratori e delegati». Poi manifestò piena fiducia nei magistrati di
Napoli, ma attaccò frontalmente quelli di Lagonegro che indagavano sul giro di usura:
«Non ho nessuna fiducia in quei magistrati, perché hanno costruito un teorema con
animo di ostilità verso di me e, in generale, verso la Chiesa. Il loro è solo uno sfogo
anticlericale»; quindi rincarò la dose accusandoli di «malafede e inciviltà giuridica».
Dopodiché l'arcivescovo pensò bene di inviare una lettera-circolare alle 228
parrocchie della diocesi contenente un comunicato di autodifesa che i parroci
avrebbero dovuto leggere ai fedeli al termine della messa domenicale (ma pochi
ubbidirono).
Dalla Procura di Lagonegro trapelò la notizia che alla società di proprietà del fratello
del cardinale accusata di essere l'epicentro dell'attività usuraia, la Glf-Giordano Lucio
Finanziaria srl, la Guardia di finanza contestava un'evasione fiscale di ben 14 miliardi.
«L'organizzazione [usuraia] veniva alimentata nel 1994 con un primo finanziamento di 400
milioni erogati personalmente dal cardinale Michele Giordano, il quale operava l'apertura di
un conto corrente di comodo sul Banco di Napoli di Sant'Arcangelo e sul quale faceva
confluire la predetta somma rilasciando contestualmente al fratello un intero carnet di assegni
prefirmati in bianco, al fine di incrementare la capacità economica dell'associazione
medesima.
A tale primo finanziamento ne seguiva un secondo, nel 1996, per 500 milioni che il cardinale
Giordano consegnava materialmente al nipote Nicola Giordano, il quale se ne serviva per
continuare le operazioni di prestito in aiuto e in cogestione con lo zio Mario Lucio Giordano.
Seguiva, inoltre, un terzo finanziamento di Michele Giordano al fratello Mario Lucio per 600
milioni, al fine di consentirgli di mantenere la liquidità necessaria alla continuazione
dell'attività associativa».
«II giudice ha dato ragione all'accusa, basata su mesi di indagini dei vigili urbani che cinque
anni fa visitarono il cantiere all'interno del palazzo Montemiletto, una splendida costruzione
d'epoca nel centro di Napoli, con vista sul golfo, donato alla Curia da un privato. Nell'edificio,
in cui erano state autorizzate solo opere di ordinaria manutenzione, gli agenti
dell'antiabusivismo constatarono la realizzazione di sette miniappartamenti. I lavori, secondo
l'accusa, furono eseguiti in assenza delle concessioni edilizie e dell'autorizzazione del
ministero dei Beni culturali: l'edificio era sottoposto al vincolo della Sovrintendenza. Per i
lavori di ristrutturazione erano stati pagati, dallo Ior, 200 milioni di lire alla Glf. Titolare
dell'impresa era un nipote dell'arcivescovo, Angelo Rosario, mentre Giovanbattista Giordano
figurava come progettista e direttore dei lavori»10.
Ma il cardinale Giordano era un principe della Chiesa piuttosto fortunato, oltre che
innocente, o forse era protetto dalla divina provvidenza. Fatto sta che la Corte di
cassazione darà torto al tribunale e assolverà l'arcivescovo e i nipoti dall'accusa di
abusi edilizi.
La divina provvidenza protesse l'arcivescovo Giordano anche nell'altro processo,
quello per falso in bilancio e frode fiscale. Il tribunale di Napoli pronunciò sentenza di
9Anche il fratello del cardinale, Mario Lucio Giordano, fu scagionato dalle accuse di usura e estorsione
che gli erano state contestate dai magistrati.
10 Fulvio Milone, "La Stampa", 22 maggio 2002.
assoluzione: per il falso in bilancio «perché il fatto non è più previsto dalla legge
come reato» (infatti il governo Berlusconi aveva depenalizzato il falso in bilancio);
per la frode fiscale «perché il fatto non sussiste».
Sia durante l'inchiesta della magistratura, sia dopo la conclusione della vicenda in
sede giudiziaria, il cardinale Giordano ha continuato a ricoprire la carica di
arcivescovo di Napoli. Nessun disagio o imbarazzo per la evidente "incompatibilità
ambientale", nessuna opportunità di cambiare aria, nessuna sensibilità di farsi da
parte: è rimasto avvinghiato alla poltrona arcivescovile, per anni, come edera alla
quercia. Con la benedizione di Sua eminenza il Vicario-presidente Ruini.
Ancora alla fine del 2005, il cardinale Giordano è sempre inchiodato alla poltrona di
arcivescovo di Napoli nonostante abbia compiuto (il 26 settembre) i 75 anni e sia
dunque pensionabile. Sua eminenza Ruini l'età pensionabile la raggiungerà il 18
febbraio 2006, ma si può essere certi che anche lui resterà inchiodato alla sua doppia
poltrona.