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openp2pdesign.org_1.

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Design for Complexity

Massimo Menichinelli
Open
Software Hardware
Research Social Innovation
Crowdsourcing Knowledge Economy
Technology
Peer-to-Peer
Design Community
Web 2.0
Platform
Community-based
Service
Co-creation
Enabler
Local
Product

Complexity Sustainability
Business
Methodology
Activity
Self-organization
Social Network Locality Participation
Institutions
openp2pdesign.org_1.1
Massimo Menichinelli

in English:
openp2pdesign.org
in Italiano
en Castellano:
openp2pdesign.org
openp2pdesign.org_1.1
in Italiano

Massimo Menichinelli
Some Rights Reserved, 2008
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/

Scritto e progettato da Massimo Menichinelli


con Scribus, OpenOffice, Gimp, Inkscape, Ubuntu

Anivers, Fontin, Fontin Sans Typefaces: Jos Buivenga


http://www.josbuivenga.demon.nl

Una copia di questo libro e delle sue versioni in Inglese e Spagnolo può essere
scaricata qui:
http://www.openp2pdesign.org/
http://www.scribd.com/people/view/98493
http://stores.lulu.com/openp2pdesign

info@openp2pdesign.org
http://www.openp2pdesign.org
IT

openp2pdesign.org_1.1
in Italiano

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Indice

Introduzione 11
01 Design e Dimensione Locale 13
02 Design e Comunità 15
03 Design, Comunità e Free Software / Open Source / Peer-to-Peer 17
04 Design e Complessità per le Comunità 21
05 Design e Complessità verso la Sostenibilità 25
06 Comunità Open P2P 31
06.01 Una prima definizione di Comunità Open P2P 31
06.02 Una definizione lasca, tra tante classificazioni 34
06.03 Un primo elenco di Comunità Open P2P (1.1) 37
06.04 Comunità Open P2P e tipo di partecipazione 40
07 Attività di una Comunità Open P2P e Design dei Servizi 45
07.01 Attività di una comunità e Sistema di Attività 45
07.02 Attività e struttura delle Comunità Open P2P 47
07.03 Comunità Open Peer-to-Peer descritte da Sistemi di Attività 49
07.04 Sistemi di Attività e Design dei Servizi 51
08 Comunità Open P2P Communities e Piattaforma 55
09 Open P2P Design: il designer come facilitatore 61
10 Primi casi di un Design Open P2P 65
10.01 Design di Servizi Co-creati: il progetto Open Health di RED 66
10.02 Open Design, Open Source Software e Open Hardware: Openmoko 73
10.03 Open Design e Open Hardware: VIA OpenBook 81
11 Prime linee guida per un Open P2P Design 89
11.01 Analisi 91
11.02 Concept 91
11.03 Co-progettazione / sperimentazione / realizzazione parallele 92
11.04 Auto-organizzazione 93
12. Sviluppi futuri per Open P2P Design 98
12.01 Direzioni progettuali e di ricerca 98
12.02 Una ricerca per una disciplina sociale della conoscenza 102
Bibliografia 109

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Introduzione
Questo breve libro rappresenta da un lato una versione
riassunta e multilingue della mia tesi, dall'altro una
introduzione al sito openp2pdesign.org (con il punto della
situazione per la sua versione 1.1).
Le mie linee di ricerca che stanno alla base di
openp2pdesign.org, infatti, derivano dalla tesi che ho
sviluppato dal marzo 2005 all'aprile 2006, "Reti Collaborative.
Il design per una auto-organizzazione Open Peer-to-Peer", con
il prof. Ezio Manzini come relatore, al Politecnico di Milano,
Facoltà del Design. Linee di ricerca che partivano dalla
relazione tra design e dimensione locale, e quindi
progettazione per un territorio, passando per progettazione
per una comunità, e infine forme organizzative comunitarie
quali Free Software, Open Source, Peer-to-Peer e Web 2.0 (o,
riassumendo, Open Peer-to-Peer).

Questa tesi ha rappresentato una enorme opportunità di


osservare un fenomeno quale il passaggio delle forme
organizzative Open Source e Peer-to-Peer dal campo
dell'informatica e delle ICT ad un numero ben più ampio di
campi, quando ancora il termine Web 2.0 era nei suoi primi
mesi di vita e il servizio YouTube non era ancora diventato
famoso.

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IT
http://www.openp2pdesign.org/

Non solo ho potuto venire a conoscenza di queste tendenze e


opportunità alla loro nascita, ma ho potuto anche iniziare a
riflettere e capire come inserirsi in queste e come imparare da
queste per interventi progettuali.

openp2pdesign.org è nato per poter pubblicare, diffondere ed


approfondire la mia tesi, e per stimolare su di essa una
discussione collettiva. Si sta quindi cercando di rendere le idee
della tesi non frutto e proprietà di una singola persona, ma di
elaborarle e condividerle collettivamente all'interno di una
comunità. La tesi come primo codice sorgente su cui
sviluppare la comunità. L'idea di riassumerla e di tradurla
anche in inglese e spagnolo si inserisce quindi in questa
direzione.

Questa pubblicazione rappresenta una sintesi della tesi ed una


fotografia di openp2pdesign.org ad un anno e mezzo dalla sua
nascita. Una trasposizione del formato blog nel formato libro,
nel tentativo di mantenere gli elementi più interessanti di
entrambi i media. C'è uno spazio per i commenti, e per ogni
capitolo potete trovare il link della pagina online, e quindi
lasciare un commento o leggere quelli presenti, per facilitare
una discussione collettiva su una teoria e pratica di un
Design Open Peer-to-Peer.

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Design
Territorio

01 Design e Dimensione Locale


http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/24
Negli ultimi anni (dal 2000 circa in poi), il mondo del design ha
cominciato a rivolgere una crescente attenzione verso la
dimensione locale, intesa come insieme delle caratteristiche
del territorio a cui è diretto il progetto (da cui parte il progetto
e a cui è diretto il progetto). Il territorio degli utenti ma anche
dei progettisti: più in generale, il territorio di tutti gli
stakeholder. Diverse iniziative sono sorte quindi a livello
europeo e nazionale, nel tentativo di ridefinire una relazione
che non è mai esistita (o quasi): la relazione tra Design e
Dimensione Locale.
Prodotto della Rivoluzione Industriale e della sua Modernità, il
Design potrebbe essere preso ad esempio di come questa
abbia tentato di ridurre al minimo la complessità delle
caratteristiche locali per poterle sfruttare maggiormente. Non
a caso, nell’immaginario del designer (di prodotto) rimangono
la grande serie e le economia di scala.
Nato dall’esigenza del pensiero e dell’agire economico
moderno, il Design però ne segue anche i tragitti: e come
questo si sta interessando sempre maggiormente alla
dimensione locale (vuoi anche per un tentativo di gestire
meglio la globalizzazione), anche al Design è richiesto un
tentativo di ideare soluzioni (e/o nuovi prodotti e servizi) a
problematiche locali.

Commenti:

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IT

La dimensione locale diventa quindi il piano di azione sia per


individuare nuove opportunità commerciali che per proporre
soluzioni sostenibili (ai problemi generati dalle vecchie
opportunità). Non a caso la maggior parte dei pensieri
economici, da quelli più comuni e accettati (ad es. sviluppo, e
quindi sviluppo locale) a quelli più radicali e innovatori (ad es.
decrescita e quindi localismo), vedono la dimensione locale
come il luogo di ogni agire del futuro.
Conformismo o rottura radicale, non si può prescindere dalla
dimensione locale.

Ho interesse a riflettere più a fondo in seguito sul rapporto tra


Design ed Economia (e tra Economia e Dimensione Locale, ed
Economia e Sostenibilità): ciò che mi preme far notare ora è
come la relazione del Design con la Dimensione Locale stia
assumendo importanza. Ciò che in particolare mi ha
interessato è le maggiori possibilità di ottenere risultati per
una maggiore sostenibilità della società.

Per capire questa relazione, potremmo costruirci una mappa


di come si sia arrivati all’interesse verso la dimensione locale
da parte di Economia, Marketing, Design, Architettura,
Urbanistica. E vedere quindi come la parola chiave di questa
mappa sia partecipazione, e quindi di come ora sia
importante la dimensione sociale e comunitaria della località.

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IT
Design
Comunità

02 Design e Comunità Sosteniblità


http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/10

Perchè ci si interessa di comunità e quindi di partecipazione


al progetto per intervenire sulla dimensione locale verso la
sostenibilità? Il Design non si è confrontato da anni con il
tema della sostenibilità?

Certo, il Design si è confrontato a lungo con il tema della


sostenibilità, imparando da successi ed insuccessi1. La
conclusione è che non basta intervenire con un semplice
redesign (o ecodesign) riducendo il numero di materiali e la
loro quantità, nè proponendo servizi, che non sono poi così
immateriali come si vorrebbe. Questi tentativi hanno infatti
avuto un effetto contrario (rebound effect), che ha portato
all’aumento di prodotti e servizi offerti (e quindi all’aumento
di risorse utilizzate).

La strada che ora si pensa sia più promettente è quella di


proporre (e favorire la diffusione) di stili di vita sostenibili,
basati su un utilizzo ragionato ed equo delle risorse. Stili di
vita che possono essere proposti da designer ed imprese, ma
che molto più spesso sono già esistenti, anche se minoritari:
poco diffusi e poco conosciuti nella società.

1. Manzini E., Jegou F. (2003)

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http://www.sustainable-everyday.net/manzini/

Casi che Ezio Manzini chiama Comunità Creative2. Iniziative


bottom-up di auto-organizzazione (perlopiù su base
comunitaria) per la messa in pratica di attività sostenibili
nella propria dimensione locale.

Un ruolo che il Design potrebbe rivestire è quindi anche quello


di favorire l’emergenza e la diffusione di queste Comunità
Creative, attraverso la fornitura di prodotti, artefatti
comunicativi, servizi e strategie che permettano loro di
svolgere le proprie attività con successo. Ma come può il
Design relazionarsi ad una comunità, dato che non ha,
tradizionalmente, una tale esperienza?

Si potrebbe imparare qualcosa da Architettura, Urbanistica e


Web Design, discipline che tradizionalmente hanno preso in
considerazione la partecipazione ai processi progettuali.
Ci si auspica quindi che il Design apprenda a relazionarsi con
la complessità delle comunità e della loro dimensione locale,
osservando quelle discipline e quei casi che sono riusciti a
farlo con successo…come ad esempio anche le comunità Open
Source, P2P e simili…

2. Manzini E. (2006)

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IT
Open P2P Design Free Software
Communities Comunità

03 Design, Comunità e Free Software / Open Source


Open Source / P2P
http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/11 Peer-to-Peer

Perché il Design dovrebbe imparare da Free Software, Open


Source e P2P come relazionarsi ad una comunità?

Perché le comunità Free Software, Open Source e P2P hanno


sviluppato forme organizzative e principi che hanno
dimostrato di permettere una auto-organizzazione ottimale su
base comunitaria, riuscendo a raggiungere dimensioni
potenzialmente elevate. Hanno sviluppato, cioè, un approccio
alla dimensione comunitaria che ha dimostrato la propria
validità. Per questo motivo, i loro principi e le loro forme
organizzative sono stati adottati esplicitamente anche in
numerosi altri ambiti, e vi sono stati anche casi che, anche se
non ispirati direttamente, presentano forme organizzative e
principi da esse derivanti. Dato il loro successo, infatti, si è
diffuso un interesse generale verso forme collaborative su
base comunitaria; interesse che a portato alla scoperta anche
di alcuni casi antecedenti al fenomeno Free Software, Open
Source e P2P ma che presentano alcuni elementi in comune.

Tutti questi casi (ispirati, derivanti ed antecedenti) possono


essere raggruppati, almeno temporaneamente, in Comunità

Commenti:

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IT

Open P2P, comunità caratterizzate da una partecipazione


aperta (Open) e paritaria (P2P). La classificazione di tutti
questi casi è infatti un tema delicato, in continua ridefinizione
(arrivando anche sino al Crowdsourcing e al Web 2.0).
Da questo successo, da un lato, una ulteriore prova che la
forma organizzativa comunitaria sia promettente, e dall’altro
lato la prova che vi siano elementi per portare queste forme
organizzative anche a comunità con dimensioni elevate,
riuscendo così a costruire reti collaborative, sia brevi che
lunghe, con maggiori probabilità di diffusione e successo
all’interno della società. Sono infatti modelli che hanno
dimostrato una certa scalabilità: anzi, sono forse gli unici
modelli di partecipazione che riescono a funzionare con
successo con un numero potenzialmente elevato di
partecipanti. E maggiore il numero di partecipanti, maggiore
le probabilità di successo e la rapidità nell’ottenerlo.

Si può quindi ipotizzare che questi modelli organizzativi e i


loro principi potrebbero essere utilizzati per supportare e
diffondere le attività delle Comunità Creative (o, in generale,
per comunità). Inoltre, user-generated content ed iniziative
commerciali basate su comunità rappresentano ora grandi
opportunità di business (come YouTube, per esempio), e
quindi una ridefinizione del ruolo del Design potrebbe portarlo
a nuove opportunità commerciali.

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IT

L’idea è quindi non solo di portare pratiche e principi Open


P2P all’interno del processo progettuale, ma di diffonderli
nella società attraverso il processo progettuale. Forme
organizzative e principi Open P2P come strumento e come
oggetto di progettazione per il supporto alle Comunità
Creative (o, in generale, ad una comunità). Casi in cui si è
tentato di portare la filosofia Open P2P all’interno del processo
progettuale non sono mancati (anche se questo è un processo
in continua ridefinizione); ma ora ci si propone di utilizzare il
progetto per la diffusione della filosofia Open P2P all’interno
della società, se non altro in quegli ambiti che ne potrebbero
giovare maggiormente.

A questo punto sappiamo dove il Design possa attingere


informazioni ed expertise per rapportarsi ad una comunità.
Ma una comunità è una entità complessa, un sistema
complesso vero e proprio. E se le sue dimensioni aumentano
notevolmente, questa dimensione complessa non può non
essere considerata.

Come ci si rapporta, progettualmente, a comunità che


possono avere un alto numero di partecipanti? Come ci si
rapporta alla complessità di una comunità?
E quindi, in generale, come un progettista si dovrebbe
rapportare con la complessità?

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IT

Ed in questa direzione proprio il fenomeno Free Software e


Open Source potrebbe esserci di aiuto…

Commenti:

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Free Software
Complessità Design
Design dei Servizi
04 Design e Complessità per le Open Source
Comunitàhttp://www.openp2pdesign.org/blog/archives/12

Perché il Design dovrebbe imparare a relazionarsi alla


complessità?

Perché il territorio e le comunità che in esso vivono sono


caratterizzate da una tale complessità che un processo
progettuale ad essi dedicato deve tenerne conto, se si vuole
che abbia dei risultati con maggiori probabilità di successo. La
comprensione della Complessità, per un progettista, significa
progettare nella e per la Complessità3. Quindi, nella e per la
complessità di una comunità e del territorio in cui si inserisce.

La relazione tra Design e Complessità rappresenta un campo


di studio estremamente affascinante, che sta muovendo i suoi
primi passi: le Teorie della Complessità sono relativamente
recenti e sussiste nella società (e quindi anche nella comunità
del progetto) una mentalità più vicina alla riduzione della
complessità, che alla sua valorizzazione. Potremmo passare
molto tempo quindi prima di comprendere come affrontare la
complessità di una comunità, ma per fortuna dal fenomeno

3. Pizzocaro S. (2004)

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del Free Software / Open Source ci viene in aiuto una


considerazione molto importante. Secondo Ko Kuwabara4
infatti la comunità di Linux ha avuto successo perché è
riuscita ad affrontare la complessità senza ridurla, attraverso
la propria complessità intrinseca. Le forme organizzative
Open P2P sono quindi potenzialmente adatte a gestire la
complessità.
Possono esserci molti insegnamenti da trarre dal fenomeno
Free Software / Open Source, ma questo è forse il più
importante. Da un lato, è una ulteriore prova della validità
della forma organizzativa e dei principi Open P2P, che
permettono una gestione promettente della complessità.
Dall’altro lato, mostrano come non sia poi così distante il
Design dalla Complessità, se apprenderà a rapportarsi ad essa
dalle comunità Open P2P.

Ma come è possibile legare il Design alle Comunità Open P2P,


tenendo conto della loro complessità? Sintetizzando, le
Comunità Open P2P si caratterizzano attorno ad una attività
principale. Fortunatamente, una attività può essere
considerata con una visione sistemica attraverso la Teoria
dell’Attività, che a sua volta è stata collegata al Design dei
Servizi da Daniela Sangiorgi5 (si veda il capitolo 07).

4. Kuwabara K. (2000)

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L’approccio alla Complessità, per un intervento progettuale,


non è necessario solo per comunità o territorio, ma è
auspicabile per ogni ambito di progetto. Ad esempio ogni
prodotto, in tutto il suo ciclo di vita, ha relazioni con la
dimensione sociale (chi lo progetta, produce, vende,
distribuisce, utilizza) e la dimensione locale (dove queste
persone agiscono e da dove provengono le risorse che
permettono loro di farlo). Comprendere queste relazioni
nascoste può portare a sviluppare progetti (prodotti, artefatti
comunicativi, servizi, strategie) con maggiori probabilità di
sostenibilità e successo commerciale.

Per questo motivo è strategica la relazione tra Design e


complessità. Inoltre, la realizzazione della esistenza della
dimensione della Complessità non è solo utile nello sviluppo di
un progetto (e quindi del Design), ma anche nell’ottica della
Sostenibilità.

http://www.mediadigitali.polimi.it/ddd/ddd_07/numero/w_articoli/72_05_sangiorgi.pdf

5. Sangiorgi D. (2004)

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Complessità Design Modernità

05 Design e Complessità verso la Sostenibilità


Sostenibilità
http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/13

Perchè la comprensione della Complessità può essere utile per


la comprensione della Sostenibilità? Perché la mancata
comprensione della insostenibilità della società attuale è
anche un problema di mancata comprensione della
complessità dei sistemi naturali, sociali ed economici in cui
viviamo.

Il tentativo di riduzione (o di sopravvalutazione) della


Complessità è nato con la Modernità, che lo ha applicato ai
sistemi sociali, ambientali e territoriali (portandoci verso
l’insostenibilità). Per Rullani6 infatti la Modernità (e in special
modo la programmazione della grande impresa fordista)
genera ambienti artificiali a complessità ridotta, che hanno il
pregio di rendere controllabili i comportamenti degli agenti.
E una modernità che procede riducendo la complessità del
mondo umano e sociale ha pochissimi punti di contatto con la
nozione di territorio, inteso come sintesi sedimentata in un
luogo, di storia, cultura e di relazioni tra gli uomini e
l’ecosistema.

06. Rullani E. (2002)

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Nella teoria e nella pratica dell’economia moderna, il


territorio è di fatto scomparso; al suo posto spazi artificiali,
privi di complessità e posti a disposizione del calcolo di
convenienza. Un territorio senza complessità è un territorio
senza qualità, uno dei tanti luoghi (o nonluoghi7),
addensamenti o rarefazioni prodotte dall’algoritmo di
calcolo. Se il Design si interessa di territorio (per la sua
qualità), deve affrontare questa complessità.

Questa strategia riduzionista ha mostrato nel corso degli anni


di essere efficace solo nel breve termine, aumentando invece
problemi ed effetti secondari nel lungo termine, soprattutto in
termini di impatto sostenibile. Di fatto, persiste una tendenza
maggioritaria a considerare la sostenibilità in maniera
riduzionista, ricercando singole soluzioni pratiche e
tecnologiche a singoli problemi, e non soluzioni sistemiche
per la complessità del sistema sociale.

Emerge tuttavia una consapevolezza dell’importanza di


affrontare la complessità rivalutando la dimensione locale
come il luogo specifico di ogni azione per il raggiungimento
della sostenibilità. La complessità della società attuale e degli
ecosistemi in cui risiede richiedono la comprensione delle

7. Augé M. (1992)

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interrelazioni sottostanti alla scala locale e a quella globale.


Per capire a che risultati le pratiche economiche (e quindi
anche progettuali) attuali ci stiano portando, bisogna infatti
comprendere le connessioni nascoste tra le dimensioni
economiche, sociali ed ambientali, e i cicli di retroazione che
generano. La sostenibilità, a livello locale e globale, ha una
dimensione complessa ineludibile.
La nostra società, la nostra economia, e gli ecosistemi in cui
viviamo (e da cui traiamo risorse) sono sistemi complessi, che
interagiscono a vicenda; la mancata comprensione delle loro
connessioni (e quindi della loro complessità) porta alla
mancata comprensione delle iniziative realmente necessarie
per il raggiungimento della sostenibilità.

In un sistema complesso, le connessioni tra tutti gli elementi


del sistema rappresentano l’architettura che lo sostiene e ne
permette la sopravvivenza. L’eliminazione di anche un solo
elemento, può provocare effetti a catena, sino a portare al
collasso dell’intero sistema (in un ecosistema, ad esempio,
tutti gli esseri viventi presenti in esso). E quindi la stessa cosa
avviene anche nel sistema sociale e nel sistema economico:
ogni azione (anche progettuale) deve essere pensata senza
sopravvalutare la complessità e le connessioni tra gli elementi.
http://www.fisherycrisis.com/coral7.html

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IT

In queste connessioni tra sistema sociale, economico e


naturale, vive il designer e quindi agisce il Design, che può
forse imparare dalle Comunità Open P2P come gestire questa
molteplicità di elementi e direzioni. La diversità è il carattere
distintivo della natura e il fondamento della stabilità
ecologica, e le comunità Open P2P presentano pratiche in
grado di valorizzare la diversità dei propri partecipanti
riuscendo a costruire una intelligenza collettiva, basata su un
apprendimento reciproco e quindi aperto e tollerante.
http://www.firstmonday.org/issues/issue4_8/moglen/index.html
Forme organizzative e principi Open P2P sono sì ben definiti,
ma ancora molto laschi e malleabili, tant’è che c’è chi crede
siano un esempio di Anarchia, di Comunismo, di Capitalismo
puro, che non siano Comunismo (o quasi), oppure un
fenomeno radicalmente differente, da studiare in profondità.
http://blog.p2pfoundation.net http://www.freeos.com/articles/4133/
É quindi possibile studiare come modificare e applicare
queste forme organizzative comunitarie, che possono
assumere differenti forme: proprio la loro flessibilità ne ha
causato la diffusione ad altri ambiti. Quindi potremmo
utilizzare forme organizzative Open P2P per diffondere attività
discutibili come attività militari, attività di controllo, o attività
che, aumentate di scala, aumentano il loro inquinamento e il
divario tra ricchi e poveri (rappresentando una prospettiva
futura inquietante).

http://www.timboucher.com/journal/2006/11/05/texas-border-watch-website/
Commenti:

http://www.nytimes.com/2005/10/15/opinion/15robb.html?ex=128702880
0&en=c62742c466b5ed1e&ei=5088&partner=rssnyt&emc=rss

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IT

Oppure potremmo utilizzare per diffondere attività sostenibili


dal punto di vista sociale, economico ed ambientale.
Possiamo vedere queste forme organizzative come una
scatola: hanno una forma (valori e pratiche organizzative), ma
è il contenuto che dà loro un senso ed una direzione.
Contenuto che deve sì essere adatto alla forma della scatola,
ma abbiamo visto che questa è abbastanza flessibile: occorre
quindi decidere quali contenuti utilizzare. Vista la capacità
queste forme di gestire la complessità, è possibile scegliere di
utilizzarle per entità complesse come il territorio e la
sostenibilità e quindi per un Design ad esse diretto.
http://www.boingboing.net/2005/01/05/bill-gates-free-cult.html
Design, Dimensione Locale, Open Source, P2P, Web 2.0, ecc.
sono quindi al centro di questa ricerca, ma analizzati dal
punto di vista della complessità e della sostenibilità.
Verranno quindi analizzati anche tutti quei casi che non si
interessano esplicitamente alla sostenibilità, ma che
potrebbero esserci utili per capire come possa essere fatto.
http://www.wired.com/culture/lifestyle/news/2005/01/66209
Quindi non ci resta che sapere qualcosa in più sulle Comunità
Open P2P e su come il Design possa progettare per loro.

http://www.theonion.com/content/news/chanel_develops_durable_low_cost

http://www.nextbillion.net/blogs/2007/01/23/bop-spoofed-by-the-onion
Commenti:

29
IT

Commenti:

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Peer-to-Peer Open Source IT
Web 2.0
Comunità Open P2P

06 Comunità Open P2P


http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/37
Crowdsourcing
http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/144

06.01 Una prima definizione di Comunità Open P2P


Prima di arrivare alla parte più metodologica ed alle
conclusioni da trarre, penso sia utile una precisazione su quei
casi che sono stati definiti Comunità Open P2P. La
metodologia proposta, infatti, è stata sviluppata prendendo in
considerazione prima alcuni casi esistenti, ed in seguito quali
strumenti e teorie del design fossero a loro adatti.

È stata necessaria quindi una ricerca di casi con una forma


organizzativa comunitaria, basata sulla collaborazione, in
grado di costruire reti collaborative sia brevi che lunghe, dove
i partecipanti ricoprono un ruolo attivo importante, arrivando
fino ad un numero potenzialmente elevato. Certamente
questa era una definizione ancora vaga, quindi iniziai
cercando quei casi che si stavano ispirando al fenomeno Free
Software / Open Source / P2P, in quanto già allora (inizio 2005)
si pensava che avessero sviluppato forme organizzative e
principi in grado di essere adottati in altri campi con
successo8.

8. Mulgan G., Steinberg T., Salem O. (2005)

Commenti:

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IT

La collaborazione è sempre esistita, ma solo oggi la sua


importanza è stata amplificata a tali livelli da poter essere
considerata, in molti ambiti, più promettente della sola
competizione. Grazie alle infrastrutture distribuite delle ICT, la
collaborazione si sta diffondendo come modalità organizzativa
anche al di fuori delle comunità Free Software / Open Source /
P2P.
A tutti questi casi direttamente ispirati dal fenomeno Open
P2P9, ne sono quindi affiancati altri che, pur non
richiamandosi ad esso esplicitamente, presentavano tratti in
comune (e quindi potevano essere stati influenzati
indirettamente)10. Infine, alcuni casi precedenti (e quindi
senza relazioni dirette), ma che avevano sviluppato forme
organizzative comunitarie in grado di costruire reti
collaborative lunghe, con un ruolo attivo dei partecipanti11.

L’esistenza di queste ultime due categorie di casi è di


importanza fondamentale: le forme organizzative su base
comunitarie non sono un caso isolato al software Open
Source / Free Software / P2P, ma sono quindi promettenti e
tendono a sviluppare alcune caratteristiche comuni, che

9. Ad esempio: Thinkcycle, OSCar, Open Health.


10. Ad esempio: BBC Action Network, Neubauten.org, Pledgebank.
11. Ad esempio; Amul, Dabbawalla, Grameen Bank.

Commenti:

32
IT

quindi possono essere utilizzate per un ampio raggio di


situazioni e discipline, indipendentemente dal grado di
tecnologia utilizzato.
Il fenomeno Open Source / Free Software / P2P è quindi
importante per aver agito da modello alla ricerca di casi in cui
l’organizzazione comunitaria ha costituito un vantaggio
notevole rispetto alle altre forme organizzative. Inoltre, ha
esplicitato proprie forme organizzative scalabili ed innovative,
adatte a raccogliere le sfide della società della conoscenza.

Tutti questi casi rappresentano forme organizzative


comunitarie, basate sulla collaborazione attraverso la
condivisione di flussi di informazioni e a volte di risorse
materiali. Mentre le organizzazioni tradizionali si basano su
una gerarchia verticale che comanda e controlla, le comunità
Open P2P si basano su una rete orizzontale in cui ogni
partecipante comanda solo se stesso e contribuisce a
controllare la rete. Mentre nelle gerarchie verticali i rapporti
sono definiti dal potere (top-down), nelle comunità Open P2P
sono definite dalla reputazione (bottom-up).
La struttura è quindi di tipo reticolare orizzontale, dove la
reputazione diventa una forza centripeta di influenza verso gli
altri partecipanti. Queste comunità possono assumere forme
sia localizzate che globali e virtuali; le accomuna la capacità
di costituirsi e auto-organizzarsi nello svolgimento di una

Commenti:

33
IT

attività principale per la soluzione di uno specifico problema,


a cui né le istituzioni né il mercato pongono soluzioni
soddisfacenti. La loro caratteristica di comunità permette la
creazione di capitale sociale, in grado di generare ulteriori
processi di miglioramento della dimensione locale, attraverso
il collegamento che effettuano tra reti brevi (ossia l’interesse
per la dimensione locale) con reti lunghe (coinvolgendo un
numero potenzialmente ampio di partecipanti).

06.02 Una definizione lasca, fra tante classificazioni


Questa è quindi la definizione concisa di quei casi che sono
stati denominati Comunità Open P2P. Certamente, come ogni
classificazione, si corre il rischio di generalizzare
eccessivamente e quindi di accomunare casi tra loro
differenti. A questo rischio, sempre presente, si aggiunge il
fatto che queste comunità rappresentano un fenomeno
recente ed in continua evoluzione.
Ora forse la definizione di Comunità Open P2P potrebbe essere
ripensata e ridefinita. Probabilmente in futuro potrebbe essere
conveniente o necessario fare una distinzione tra quei casi in
cui la comunità rischia di venire “usata” per produrre valore, e
quei casi in cui è essa stessa che dirige l’attività. Ma per il
momento è meglio continuare ad osservare questi fenomeni,
mentre sono vivi e agiscono, lasciando pretese di definizioni

Commenti:

34
IT

esaustive a periodi futuri. Rimaniamo, almeno per il


momento, con una definizione che sappiamo lasca ma al
contempo adattabile.

Bisogna ora segnalare altri due fenomeni (o se si vuole quindi,


anche categorie di definizione) che sono esplosi verso la fine
della mia tesi o dopo, e che con le Comunità Open P2P
mantengono relazioni strette. Si tratta del Web 2.0 e del
Crowdsourcing.
La mia ricerca è partita da casi esistenti, con una
classificazione iniziale ampia e flessibile, ed il suo punto di
partenza è stato il fenomeno Free Software / Open Source /
P2P e la sua diffusione in altri ambiti. All’epoca (marzo 2005)
era già stato definito il termine Web 2.0, ma non era ancora
esploso come è successo nel 2006, a mio avviso, con il
successo di YouTube. Mi sembrò più utile basarmi invece sul
Free Software / Open Source / P2P. E il termine Crowdsourcing
è nato nel Giugno 2006, quando la tesi era ormai terminata.
Quindi, il motivo principale per la mancanza del Web 2.0 e del
Crowdsourcing all’interno della tesi è dovuta principalmente
per un fattore temporale.

L’interesse verso le forme organizzative e i principi sviluppati


dai fenomeni del Free Software (e Open Source e P2P) nasce
alla fine degli anni Novanta. Bisogna aspettare tuttavia il 2003

Commenti:

35
IT

per assistere ad una prima consapevolezza generale di questa


possibilità, grazie all’articolo di Goetz apparso su Wired12. La
metodologia organizzativa dell’Open Source viene vista come
l’infrastruttura più adatta per l’attuale economia basata sulla
conoscenza, così come la catena di montaggio lo è stata per
una economia di tipo fordista.
L’interesse per forme organizzative Open Source / Free
Software / P2P nasce quindi prima della definizione del Web
2.0 Ad esempio, Thinkcycle viene fondata nel marzo 2000, 4
anni prima della definizione di Web 2.0 .

Inoltre, rappresentano secondo me dei fenomeni strettamente


correlati, la cui classificazione e distinzione sta avvenendo
lentamente. Anche il Web 1.0 è stato sviluppato da comunità,
con dinamiche bottom-up e P2P, attraverso la condivisione e
con software Open Source / Free Software. Quindi non è stato
il Web 2.0 ad introdurre queste dinamiche, già presenti da
anni nell’ambiente della programmazione informatica sotto
forma di etica hacker. Il Web 2.0 rappresenta quindi una fase
in cui queste dinamiche sono state sicuramente ampliate,
rinforzate e diffuse. Web (1.0, 2.0), Free Software / Open
http://web.mit.edu/is/isnews/v17/n03/170301.html
12. Goetz T. (2003)
13. Ad esempio, Thinkcycle viene fondata nel marzo 2000, 4 anni
prima della definizione di Web 2.0.
http://en.wikipedia.org/wiki/Web_2.0

Commenti:

36
IT

Source e P2P rappresentano a mio avviso dei fenomeni


strettamente correlati, che non conviene considerare
separatamente. La classificazione di Comunità Open P2P, così
com’è ora, va bene anche per servizi Web 2.0 come YouTube.
Sebbene il tema della classificazione sia in costante sviluppo e
riflessione, è possibile assumere per il momento la
classificazione parziale delle comunità Open P2P che ha il
vantaggio di raccogliere casi direttamente ispiratisi dal Free /
Open Source / P2P Software, sia quelli che ad esso non si
richiamano direttamente (ma che ne condividono principi e
forme organizzative), siano essi casi recenti o antecedenti.
Se vogliamo imparare dalle comunità per progettare con e
delle comunità, mantenere una classificazione lasca può
essere utile (mantenendo ovviamente la dimensione
comunitaria al centro).

06.03 Un primo elenco di Comunità Open P2P (1.1)


Ecco di seguito l’elenco delle Comunità Open P2P da me
raccolte durante lo svolgimento della tesi (inizio 2005 - inizio
2006). Il numero di casi è aumentato notevolmente,
soprattutto se consideriamo quei casi che ora classificherei
come Web 2.0 e Crowdsourcing; per il momento consideriamo
questo elenco, in seguito parlerò di nuovi casi interessanti.

Commenti:

37
IT

I casi sono stati classificati in base all’attività principale per


cui si riuniscono e formano reti collaborative.

Reti collaborative per raggiungere una massa critica di


partecipanti
http://www.pledgebank.com/
PledgeBank
Meetup http://www.meetup.com/
Smart Mobs http://www.smartmobs.com
Reti collaborative per produrre informazioni e conoscenza
http://www.indymedia.org/
Indymedia
http://www.globalideasbank.org/
The Global Ideas Bank
http://english.ohmynews.com/
Ohmynews
Kuro5hin http://www.kuro5hin.org/
Slashdot http://slashdot.org/
OpenLaw http://cyber.law.harvard.edu/openlaw/
Wikipedia http://wikipedia.org/
Connexions http://cnx.org/
Silver Stringers http://stringers.media.mit.edu/
NASA Mars Clickworkers http://clickworkers.arc.nasa.gov/
Distributed Proofreaders http://www.pgdp.net/c/
SETI@Home http://setiathome.berkeley.edu/
Grid.org http://www.grid.org/
Reti collaborative per svolgere ricerche
http://www.hapmap.org/
The International HapMap Project
The Tropical Disease Initiative (TDI)
http://www.tropicaldisease.org/

Commenti:

38
IT

The Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi) http://www.dndi.org/


The SNP Consortium Ltd http://snp.cshl.org/
The CAMBIA BIOS http://www.cambia.org/
Reti collaborative per progettare http://www.bios.net/
Open Source Green Vehicle (OSGV) http://www.osgv.org/
OSCar - The Open Source Car Project http://www.theoscarproject.org/
Episodi di innovazioni tecnologiche collettive
Thinkcycle http://opensource.mit.edu/papers/meyer.pdf
iCompositions http://www.thinkcycle.org/
Solar Roof
http://www.icompositions.com/
http://www.solaroof.org/wiki
instructables http://www.instructables.com/
Zeroprestige.org
http://www.zeroprestige.org/
Reti collaborative per organizzare attività economiche
Neubauten.org http://neubauten.org/
Amul http://www.amul.com/
Dabbawalla http://en.wikipedia.org/wiki/Dabbawala
Napster http://en.wikipedia.org/wiki/Napster
GNUtella http://en.wikipedia.org/wiki/Gnutella
Amazon http://www.amazon.com/
eBay http://www.ebay.com/
P-grid http://www.p-grid.org/
The Sims http://thesims.ea.com/
Grameen Bank http://www.grameen-info.org/
Reti collaborative per migliorare la condizione locale
Terra Madre / Slow Food http://www.slowfood.com/
http://www.terramadre2006.org/
Commenti:

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IT
http://www.bbc.co.uk/gardening/neighbourhood_gardener/
http://www.designcouncil.info/mt/RED/health/
Open Heatlh
Development Gateway
BBC’s Neighbourhood Gardener
The BBC iCan/Action Network
http://www.kiva.org/ Self-Help Groups
Honey Bee network
Kiva http://www.sristi.org/honeybee.html
Reti collaborative per sostenere altre comunità
Sustainable Everyday Project / EMUDE
The New Earth Fund http://www.newearth.info/
mySociety http://www.mysociety.org/
The Launchpad (Young foundation)
http://www.microfinancegateway.org/content/article/detail/3249
http://launchpad.youngfoundation.org/

06.04 Comunità Open P2P e tipo di partecipazione


Si è sempre detto che queste Comunità Open P2P si auto-
organizzano, e questa affermazione andrebbe precisata meglio
ora. Innanzitutto, si formano per risolvere un proprio
problema/necessità attraverso lo svolgimento di una attività
collaborativa. Le relazioni sociali possono essere già
preesistenti ma spesso, se si sviluppano, lo fanno attraverso lo
svolgimento dell’attività. Possiamo inoltre effettuare una

Commenti:

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IT

distinzione sul tipo di partecipazione possibile: ci sono tre


modi in cui possono auto-organizzarsi. E sono con:
http://www.developmentgateway.org/
_una partecipazione bottom-up: una comunità si forma
autonomamente, per la risoluzione di un proprio problema
(es: Amul). La comunità si forma in maniera bottom-up;
http://www.bbc.co.uk/actionnetwork/
_una partecipazione top-down: viene offerto un servizio
(pubblico o privato), che permette la formazione di una
comunità e su di essa basa il suo funzionamento. I
partecipanti agiscono con il fine di soddisfare gli obiettivi e il
lavoro della impresa privata/ente pubblico (cioè: i partecipanti
dipendono dalla impresa/ente pubblico) (es: YouTube). Il
servizio viene offerto in una maniera top-down, e i
partecipanti si comportano di conseguenza.
http://www.sustainable-everyday.net/EMUDE/
_una partecipazione mercantile (marketplace participation):
viene offerto un servizio (pubblico o privato), che permette la
formazione di una comunità, dove i partecipanti si riuniscono.
I partecipanti si comportano indipendentemente, creando
nuove relazioni con il fine di sviluppare i propri obiettivi/lavori
(cioè, operano indipendentemente, con una vera dinamica
peer-to-peer) (ad esempio: BBC Action Network). Il servizio
viene offerto in una maniera top-down, ma i partecipanti
agiscono in esso con dinamiche bottom-up.

Commenti:

41
IT

Il punto fondamentale è: chi prende l'iniziativa e cerca


persone per formare una comunità? E con quali obiettivi? E
che tipo di relazioni, e quindi rete sociale, facilita?

Se si vuole definire meglio questa distinzione: Free Software è


bottom-up, Open Source e P2P potrebbero essere bottom-up o
top-down, Web 2.0 e Crowdsourcing sono molto spesso top-
down. Inoltre, da questa distinzione bottom-up e top-down,
viene una ulteriore considerazione: quanto sono Open e P2P?
I dati, le informazioni, i processi, i risultati, sono accessibili e
gestibili in maniera aperta e paritaria? Certo questo è un tema
delicato e va approfondito, ma rimane sempre di centrale
importanza. Queste distizioni hanno come conseguenza che,
come designer, possiamo intervenire per una comunità in due
modi: o offrendo le proprie capacità professionali a comunità
esistenti, o ideando e sviluppando servizi (sia pubblici che
privati, quindi sia in istituzioni locali, regionali e nazionali,
sia in imprese) che si basino su comunità.

Prima di arrivare alle conclusioni, rimane ancora una cosa da


riassumere: come si relaziona il designer ad una Comunità
Open P2P (e quindi verso un Open P2P Design). Come si può
sviluppare un progetto per una comunità che si forma attorno
ad una attività collaborativa?

Commenti:

42
IT

In breve: attraverso la co-progettazione della sua attività (e


delle caratteristiche che la permettono) come un servizio
collettivo complesso.

Commenti:

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IT

Commenti:

44
Teoria dell'Attività IT

Comunità Open P2P

07 Attività di una Comunità Open P2P Design dei Servizi


e Designhttp://www.openp2pdesign.org/blog/archives/45
dei Servizi
07.01 Attività di una comunità e Sistemi di Attività
Per poter comprendere appieno le caratteristiche generali
condivise delle comunità Open Peer-to-Peer, è possibile
utilizzare una teoria sviluppata appositamente per lo studio
delle attività umane: la Teoria dell’Attività (Activity Theory).
Comprendendo come avvengono le attività svolte dalle
comunità Open Peer-to-Peer, possiamo comprendere il loro
funzionamento e le loro caratteristiche generali, dato che le
comunità Open Peer-to-Peer si formano principalmente per lo
svolgimento di una o più attività.
http://www.edu.helsinki.fi/activity/pages/chatanddwr/chat/
La Teoria dell’Attività sottolinea il carattere situato dell’azione
umana, evidenziando come gli obiettivi e lo svolgimento
dell’azione, dato lo scopo generale dell’attività a cui
appartiene, siano costruiti e negoziati continuamente in
funzione delle condizioni locali. La mediazione sociale che sta
alla base dell’attività si traduce in un continuo processo di
apprendimento e di creazione di nuova conoscenza.
http://www.edu.helsinki.fi/activity/pages/chatanddwr/activitysystem/
Nella Teoria dell’Attività, il Sistema di Attività rappresenta
l’unità di analisi per lo studio del comportamento umano, una
sorta di “mappa concettuale” che evidenzia i luoghi principali

Commenti:

45
IT

attorno ai quali la cognizione umana è distribuita e attraverso


cui l’azione umana è mediata. Il modello del Sistema di
Attività, unità di analisi dinamica dell’attività umana, descrive
gli elementi principali attraverso i quali l’azione umana è
mediata ovvero gli artefatti (mediazione strumentale) e la
comunità (mediazione sociale) con cui il soggetto individuale
o collettivo interagisce secondo regole, implicite o esplicite, e
una divisione del lavoro (ruoli), ovvero l’organizzazione di
ruoli e compiti.

Il Sistema di Attività è uno strumento di lettura delle azioni


umane, utilizzabile a differenti scale: l’attività di una singola
persona, quella di un gruppo, quella di una comunità, quella di
una società. La singola azione umana non viene inoltre letta
come unità discreta ed isolata, ma riceve significato dal suo
essere parte di un Sistema di Attività collettivo socialmente e
storicamente generato; a sua volta l’azione individuale
contribuisce dal basso alla continua creazione e riproduzione
dei Sistemi di Attività.
Il Sistema di Attività rappresenta quindo uno strumento di
analisi sistemico della complessità delle attività umane. Non
è una realtà statica, ma è in continuo movimento e
trasformazione a seconda di come i singoli elementi si
modifichino ed evolvano e di come l’attività venga rinegoziata
nel tempo.

Commenti:

46
IT

Le trasformazioni a cui è soggetto un Sistema di Attività nel


tempo sono dovute infatti al fatto che le attività non sono
unità isolate, ma sono più come nodi all’interno di reti
formate da altri Sistemi di Attività che si incrociano e si
influenzano a vicenda. Un Sistema di Attività non si trova mai
isolato, ma interagisce con una rete di altri Sistemi di Attività.

artefatti di mediazione

soggetto oggetto risultato

regole comunità divisione del lavoro

Figura 01. Sistema di Attività (Fonte: Sangiorgi D. (2004))

07.02 Attività e struttura delle Comunità Open P2P


Dunque la Teoria dell’Attività, attraverso il modello del
Sistema di Attività può essere utilizzata per analizzare e
descrivere il funzionamento delle comunità Open Peer-to-Peer.

Commenti:

47
IT

Data la natura particolare delle comunità Open P2P, è utile


aggiungere a questo modello una descrizione della struttura
della comunità. Le comunità Open Peer-to-Peer non sono
infatti caratterizzate da gerarchie, ma ciò non significa che
non vi siano posizioni preminenti al loro interno: le posizioni
di potere (gerarchia) impongono un comportamento alle
persone, mentre le posizioni di reputazione indicano quali
siano le direzioni e i comportamenti più promettenti.

Molti ricercatori14 hanno così notato come le comunità Open


Source (e quindi anche molte comunità Open Peer-to-Peer) si
organizzino con una struttura orizzontale caratterizzata da un
centro gravitazionale dove la “forza gravitazionale” che muove
i partecipanti verso il centro o verso l’esterno è la
reputazione15 e non il potere. Si ha quindi una forma
organizzativa non gerarchica, ma reticolare ed orizzontale;
questa struttura è simile a quella identificata da Lave e
Wenger16 nelle Comunità di Pratica e denominata Legitimate
Peripheral Participation (LPP).

14. Crowston K., Howison J. (2005); Madanmohan T.R. (2002);


Nakakoji K., Yamamoto Y., Nishinaka Y., Kishida K., Ye Y. (2002)
15. Watson A. (2005)
16. Lave J., Wenger E. (1991)

Commenti:

48
IT

Le comunità Open Peer-to-Peer hanno quindi una struttura


radiale, dove si susseguono, dall’esterno verso l’interno, vari
livelli caratterizzati da una reputazione ed impegno maggiori
per chi vi si trova. Ad ogni livello può corrispondere un
determinato ruolo (si può accedere ad un ruolo solo se in
possesso di una determinata reputazione), oppure uno stesso
ruolo può essere visto con una struttura centripeta basata
sulla reputazione (vi sono vari livelli di reputazione all’interno
di uno stesso ruolo, ognuno caratterizzato da un impegno e
mansioni differenti).
È quindi utile ragionare in termini di livello di reputazione ed
impegno: andando verso il centro aumenta l’impegno da parte
dei partecipanti e la loro reputazione. Si muovono verso il
centro grazie al fatto che il loro impegno aumenta la loro
reputazione, ed aumentano il proprio impegno per mantenere
o aumentare la propria reputazione. Di questo modo si viene a
formare un ciclo di retroazione positivo che spinge i
partecipanti ad impegnarsi con crescente intensità.

07.03 Comunità Open P2P descritte da Sistemi di


Attività
Utilizzando il Sistema di Attività (e integrandolo con una
descrizione dei livelli di reputazione presenti) è possibile
quindi descrivere una Comunità Open P2P (tabella 01).

Commenti:

49
IT

BBC Action Network


fornire strumenti ed informazioni affinché possano
attività
essere svolte campagne di pressione pubblica da parte
dei cittadini per migliorare le condizioni locali
BBC, cittadini che desiderano risolvere alcuni problemi
soggetto
locali, istituzioni
informazioni necessarie per l'organizzazione di
oggetto
campagne di pressione
permettere ai cittadini che lo desiderano la
risultati
organizzazione di campagne di pressione pubblica per
sensibilizzare la società su problemi locali
sito web (informazioni, spazio personale ad ogni utente,
artefatti
motore di ricerca di altri utenti)
non svolgere campagne politiche o commerciali, non
regole
insultare
cittadini britannici, istituzioni
comunità

webmaster, coordinatore di campagne, organizzatore di


divisione del
gruppo, responsabile delle pubbliche relazioni,
lavoro (ruoli)
coordinazione dei nuovi membri, tesoriere, mentore
nucleo centrale: BBC
livelli di
membri attivi: cittadini che organizzano campagne
reputazione
membri periferici: cittadini in cerca di campagne cui
aderire

Tabella 01: Esempio di una Comunità Open Peer-to-Peer descritta attraverso un


Sistema di Attività (Fonte: Menichinelli 2006)

Commenti:

50
IT

07.04 Sistemi di Attività e Design dei Servizi


Questa centralità dell’attività, in una Comunità Open P2P, può
facilitare interventi progettuali ad essa diretti, grazie ad alcune
riflessioni provenienti dal design dei servizi, incentrate sullo
studio dei servizi come interazioni prima e dei servizi come
interazioni tra Sistemi di Attività poi.
Un servizio infatti può essere visto in molti modi, come
prestazione, processo ed interazione, visioni che mettono in
luce la sua natura di azione umana e quindi di intangibilità. Se
visti come interazione, la loro progettazione quindi diviene
tradizionalmente la progettazione di interazioni fra un utente
ed ente erogatore, suddiviso in front office (la parte dell’ente
con cui l’utente interagisce) e back office (la parte dell’ente
attiva nella erogazione del servizio ma con cui l’utente non
interagisce).

L’interazione quindi come incontro tra erogatore e fruitore,


che diviene il punto fondamentale per capire la qualità del
servizio (service encounter), e dove quindi indirizzare la sua
progettazione17.
Per Pacenti, il fulcro dell’attività di progettazione strategica
del servizio sta infatti nella definizione della “piattaforma di
interazione” tra il servizio e l’utente.

17. Pacenti E. (1992/1993), Pacenti E. (1998)

Commenti:

51
IT

La piattaforma dell’interazione è il contesto (l’architettura del


sistema) in cui ha luogo l’interazione tra servizio e utenti.
Nella costruzione della piattaforma confluiscono i valori
proposti dall’azienda, che si materializzano nella sua offerta, e
la co-produzione di tali valori da parte dell’utente, che
partecipa mettendo in campo il proprio impegno, le proprie
risorse e le proprie competenze. La piattaforma di interazione
è il luogo di incontro tra l’offerta del servizio e la
partecipazione dell’utente all’interno di un contesto valoriale
condiviso.

È in questo ambito di studio dei servizi come interazione che si


inserisce l’opera di Daniela Sangiorgi18, che collega il design
dei servizi con la Teoria dell’Attività, in modo da risolvere la
mancanza di un modello interpretativo del servizio che tenga
in considerazione i principali elementi del servizio che
influenzano la percezione ed il comportamento dei
partecipanti all’interazione. Insomma, un modello
interpretativo in grado di contemplare la elevata complessità
sociale che caratterizza un servizio.

Un servizio può quindi essere descritto come un’attività


formata da una sequenza di service encounter (o interazioni),

18. Sangiorgi D. (2004)

Commenti:

52
IT

descrivibili come sistemi di azioni situate co-prodotte


nell’incontro/confronto tra il Sistema di Attività dell’utente e il
Sistema di Attività dell’impresa di servizio (o, più in generale,
tra i vari partecipanti del servizio).
L’attività, quindi, se vista come una rete di interazioni tra
partecipanti, può essere considerata come un servizio. E
quindi progettata come un servizio. Essa infatti viene svolta
attraverso una rete di interazioni tra i vari partecipanti, i quali
assumono i ruoli derivanti dalla divisione del lavoro.

artefatti artefatti

oggetto
soggetto oggetto potenzialmente oggetto soggetto
condiviso

regole comunità divisione del lavoro divisione del lavoro comunità regole

Figura 02. Interazione tra Sistemi di Attività (Fonte: Sangiorgi D. (2004))

Commenti:

53
IT

Nel caso del design dei servizi, quindi, l’oggetto di design


coincide con il Sistema di Attività stesso, che diventa l’oggetto
del progetto, ma anche lo strumento di analisi e progettuale.
Si potrebbe quindi pensare di poter “progettare” le Comunità
Open P2P “progettando” la loro attività. In realtà occorre
effettuare ancora due passaggi per poter giungere ad una
metodologia appropriata, tenendo in considerazione
correttamente la complessità di una comunità e del progetto
ad essa diretto.

È possibile “progettare” una comunità? Che cosa di essa è


possibile progettare?

Commenti:

54
Teoria dell'Attività IT

Piattaforma Comunità Open P2P

08 Comunità Open P2P e Piattaforma


http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/106 Design dei Servizi

Che cosa è possibile “progettare” di una comunità?

Non è pensabile infatti pensare di poter progettare


direttamente le relazioni e la complessità di una comunità
(cioè le caratteristiche che la rendono tale). Le discipline che
tradizionalmente si sono interessate alle comunità
(architettura, urbanistica, web design) non si sono orientate a
progettare le relazioni ma le caratteristiche che, realizzate,
favoriscono e sostengono la nascita e lo sviluppo di relazioni.
L’infrastruttura necessaria alle relazioni, la loro piattaforma.

In questo senso, è conveniente parlare di piattaforma19 come


oggetto dell’intervento progettuale. È possibile progettare e
fornire quelle condizioni fondamentali che, condivise
all’interno della rete sociale dei partecipanti, fungono da
infrastruttura all’emergenza della comunità e della sua
attività caratteristica. Si è infatti in presenza (e in necessità)
di una piattaforma ogni volta che si forma una comunità
derivante dalle interazioni fra un alto numero di agenti.
Facente parte dell’attività, la piattaforma può quindi essere

19. Menichinelli M. (2006)

Commenti:

55
IT

descritta attraverso i Sistemi di Attività. La piattaforma


consiste quindi nell’insieme di artefatti (sia materiali che
cognitivi e comunicativi), regole e divisione del lavoro che
rendono possibile lo sviluppo e la messa in pratica dell’attività
collettiva. Ha quindi una natura reticolare e dinamica.

Se la piattaforma è necessaria per processi che richiedono una


interazione tra un numero elevato di agenti, allora anche
l’approccio progettuale richiederà una piattaforma per poter
essere svolto. La piattaforma esiste precedentemente al
processo progettuale, che ha come scopo il suo miglioramento
verso una determinata direzione, proveniente da una scelta
progettuale. Risulta quindi necessario, all’inizio dell’intervento
progettuale, analizzare la piattaforma esistente per la
discussione collettiva, grazie alla quale è possibile stabilire un
contatto con i partecipanti. I progettisti, infatti, entrano a far
parte della più ampia comunità del progetto: una comunità la
cui attività è una progettazione aperta (open) e paritaria
(peer-to-peer).

Ma come cambia il ruolo del designer una volta che questi


entra a far parte di una più ampia comunità del progetto?

Commenti:

56
IT

artefatti

soggetto oggetto

regole comunità divisione del lavoro

Figura 03. La Piattaforma, descritta attraverso un Sistema di Attività


(Fonte: Menichinelli M. (2006))

Commenti:

57
IT

Figura 04. La Piattaforma è distribuita all'interno della rete sociale


(Fonte: Menichinelli M. (2006))

Commenti:

58
IT

Figura 05. Natura distribuita della Piattaforma (Fonte: Menichinelli M. (2006))

Commenti:

59
IT

Commenti:

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Complessità IT
Comunità Open P2P
Linux Enabler/Facilitatore

09 Open P2P Design: il designer come Metodologia


facilitatore
http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/107 Progettuale

Definendo la piattaforma, è possibile comprendere a cosa, Istituzioni


operativamente, un designer può progettare per una comunità
Open P2P. Rimane ora da definire come questo progetto possa
essere svolto tenendo conto della complessità della comunità.
Occorre definire una metodologia progettuale (o almeno delle
linee guida) in grado di valorizzare la partecipazione aperta e
paritaria della comunità e la sua la complessità.

La comunità è un sistema complesso, ed è necessario un


processo progettuale che sappia affrontare la sua complessità
senza ridurla ed impoverirla. Come si è visto, forme
organizzative Open Peer-to-Peer sembrano promettenti nel
fornire maggiori probabilità di affrontare problemi complessi e
di elaborare artefatti complessi. Ciò avviene proprio grazie
alla propria complessità intrinseca: la complessità del
progetto è un riflesso della complessità della comunità, ed
entrambe si rafforzano a vicenda. Nel caso della
progettazione di una attività, è la comunità stessa (un sistema
complesso) che progetta collettivamente un progetto
complesso (la propria organizzazione e le condizioni
necessarie).

Commenti:

61
IT

Un intervento progettuale rivolto verso comunità deve tenere


in conto inoltre delle caratteristiche del contesto in cui questa
si trova, tra cui anche le caratteristiche territoriali, che si
configurano come vere e proprie risorse. E le risorse sono tali
perché riconosciute dai membri della comunità; questa è una
ulteriore ragione per dare loro una maggiore opportunità di
partecipazione diretta al processo progettuale, in quanto sono
in grado, meglio di altri, di riconoscere le risorse utilizzabili. Si
tratta quindi di un intervento progettuale che si avvale della
partecipazione di un numero potenzialmente elevato di
partecipanti, attraverso un processo complesso caratterizzato
dal suo specifico percorso (path dependency), orientato ai vari
livelli di interazione: tra partecipanti, tra partecipanti e
comunità, tra comunità e comunità, tra comunità ed enti
esterni, tra comunità e società. Bisogna quindi adottare un
approccio progettuale basato sulla partecipazione, in grado
quindi di basarsi sulle conoscenze che gli attori hanno del
contesto di intervento progettuale al fine di rendere il
progetto finale più aderente alla realtà.

Si può quindi affermare che un intervento progettuale rivolto


a comunità Open Peer-to-Peer deve essere esso stesso Open
Peer-to-Peer, basato sulla partecipazione della comunità al
progetto (open: aperto alla partecipazione), ai cui membri
viene riconosciuto un ruolo paritario e attivo (peer-to-peer:

Commenti:

62
IT

riconoscimento delle competenze e conoscenze altrui). Una


progettazione Open Peer-to-Peer quindi, che essendo aperta e
paritaria diviene una co-progettazione, dove designer e
partecipanti collaborano collettivamente (una intelligenza
collettiva) venendo a costituire una più ampia comunità del
progetto.

Il designer viene così ad assumere un ruolo specifico negli


interventi progettuali rivolti a comunità Open Peer-to-Peer.
Grazie alle sue competenze, può fornire le condizioni ottimali
affinché prenda forma un’attività, e fornire gli strumenti di
auto-organizzazione a queste comunità, ricoprendo più un
ruolo di enabler (o facilitatore) che di provider (o fornitore di
soluzioni definite). Non più un semplice fornitore della propria
creatività, ma un facilitatore della creatività distribuita. Non
più la semplice progettazione di prodotti o soluzioni finite, ma
il supporto a comunità fino a che non siano in grado di
sviluppare soluzioni adatte alle proprie caratteristiche.
Lo stesso passaggio sta avvenendo negli enti pubblici, dove da
local government si passa a governance. Una ridefinizione del
ruolo dell’ente pubblico che diventa enabler, facilitatore della
partecipazione e del coordinamento fra enti pubblici, privati e
sociali, invece che provider, cioè fornitore di regole e di
servizi20.
20. Vicari Haddock S. (2004)

Commenti:

63
IT

Un designer si trova naturalmente in grado di agire da


facilitatore, dato che le sue competenze lo hanno portato ad
essere in grado di stabilire connessioni tra utenti ed imprese,
mediando quindi tra differenti interessi. Grazie alle sue
capacità di visualizzazione e di anticipazione, può gestire la
compresenza di interessi multipli e discordanti, ricordando
allo stesso tempo i vantaggi che derivano dalla collaborazione
collettiva. Il ruolo di facilitatore consiste inoltre nel fornire il
supporto all’auto-organizzazione dei membri nel breve
termine evitando di renderli dipendenti nel lungo termine. Il
ruolo di enabler sociale dello sviluppo delle comunità è ciò a
cui il design risponde; il ruolo che Linus Torvalds scelse di
assumere nella progettazione di Linux, rifuggendo quello più
tradizionale di progettista-provider21.

21. Kuwabara K. (2000)

Commenti:

64
Open Hardware Business/Servizio Servizi basati su Comunità IT
Open Source Free Software
Design dei Servizi Telefonia Mobile

10 Primihttp://www.openp2pdesign.org/blog/archives/162
casi di un Design Open P2P Co-creazione
Product Design
http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/172
http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/173
Per vedere come le possibilità di applicazione di metodologia
Tecnologia
di progetto Open P2P siano reali e soprattutto attuali,
possiamo segnalare alcuni primi casi di progetti di design
basati su strategie di apertura e di coinvolgimento degli utenti
nelle fasi di progetto e di utilizzo del prodotto/servizio offerto.
Si tratta del progetto Open Health sviluppato dal team
progettuale RED (primo in ordine cronologico, ed ancor oggi
uno dei più innovativi), del cellulare Openmoko e del
subnotebook VIA OpenBook. Questi tre casi propongono delle
prime riflessioni e tentativi di iniziative di Co-created Service
Design (Design di Servizi Co-creati con gli utenti), Open Design
ed Open Hardware: casi che presentano quindi una apertura
del progetto attraverso dinamiche paritarie e la costruzione di
comunità.

L'obiettivo non è qui di presentare un elenco completo dei casi


ed una loro analisi, ma fornire un breve spunto di riflessione,
una prova della validità dell'approccio Open P2P e della sua
integrazione nel mondo del design. Prima di passare alla
presentazione dei singoli casi, possiamo notare come essi
presentino dinamiche open oppure p2p, ma mai congiunte.

Commenti:

65
IT

Openmoko e VIA OpenBook sono dei progetti i cui codici


sorgenti sono stati aperti (cioè sono Open Design), ma dove
non si investe esplicitamente nella costruzione di dinamiche
p2p: si lascia che si sviluppino da sole. Il progetto Open Health
invece ha come obiettivo la facilitazione dell'emergenza di
dinamiche p2p (P2P Design), ma il progetto non è aperto (se
non in un breve periodo di confronto durante il suo sviluppo
iniziale).

Un progetto Open P2P invece, contempla sia l'apertura del


progetto, del proprio codice sorgente, che la facilitazione
dell'emergenza di dinamiche p2p: non è solo la pubblicazione
di un codice, ma la facilitazione di un sistema sociale
attraverso l'utilizzo di un codice di progetto. Nel capitolo
successivo verrà presentata più in dettaglio la proposta di una
metodologia di design Open P2P.

http://www.designcouncil.info/RED/
10.01 Design di Servizi Co-creati: il progetto Open
Health di RED
Open Health è uno dei primi esempi di Design che si ispira alle
dinamiche P2P. Una attenta riflessione ha portato Hilary
Cottam e Charles Leadbeater a sviluppare questo progetto
sperimentale di riforma dei servizi pubblici, elaborato
all'interno della divisione RED del Design Council britannico,

Commenti:

66
IT

che si è occupata di proporre nuovi approcci a problemi


economici e sociali attraverso un utilizzo innovativo degli
strumenti di design. Durante la sua esistenza, RED ha
sviluppato i propri progetti richiamandosi esplicitamente sui
principi sviluppati dal movimento di sviluppo del software
Open Source, ovvero sviluppando rapidamente le idee
progettuali e rendendole discutibili anche all'esterno della
divisione.
Gli approcci attualmente utilizzati nei confronti della riforma
dei servizi pubblici stanno dimostrando i loro limiti.
Mantenendo una struttura gerarchica e istituzionalizzata, top-
down, si può fare poco nella risoluzione di problemi
complessi, come ad esempio la crescita delle malattie
croniche o altri problemi sanitari, che potrebbero essere risolti
semplicemente incoraggiando comportamenti e stili di vita
differenti da quelli attuali.
Il nuovo approccio proposto porta allo sviluppo di innovazioni
non incrementali, ma bensì radicali: i nuovi servizi pubblici
devono essere co-creati con gli utenti finali. Per fare ciò
devono rendere mobili risorse, know-how, azioni ed esperti,
affinché siano distribuiti nelle comunità locali, invece di
localizzarli solo all'interno delle istituzioni, anche se locali.
Queste risorse distribuite potranno essere più efficaci se usate
collaborativamente condividendo idee, fornendo supporto
reciproco e dando voce alle esigenze dei cittadini.

Commenti:

67
IT

Sviluppare nuove risposte richiede infatti una creatività diffusa


nella società, l'attivazione di reti di conoscenze e risorse anche
al di fuori delle istituzioni pubbliche.

Queste riflessioni si incrociano inoltre con la situazione del


settore della sanità, dove è importante porre l'attenzione sulle
comunità perché è ormai evidente come molte malattie
croniche siano fortemente legate alle pratiche ed al giudizio
che la società esercita sugli individui. È quindi necessario
sviluppare delle comunità di co-creazione, come vengono
definite da Cottam e Leadbeater, cioè comunità di utenti e
professionisti, che collaborano utilizzando tutte le risorse già
esistenti in maniera innovativa, basandosi su una piattaforma
comune che renda possibile l'azione di molti partecipanti
senza dover richiedere una gerarchia di controllo.

Comunità che sono quindi simili in alcune caratteristiche alle


comunità di software Open Source, anche se il loro
funzionamento dipende dalle caratteristiche di tutti gli attori
del sistema sanitario. La prevenzione e cura delle malattie
croniche può avvenire quindi nelle proprie case, se vengono
fornite consulenze, tecnologie e servizi, e soprattutto grazie a
gruppi di supporto: le conoscenze, capacità ed esperienze
diffuse tra le persone permettono la costruzione di una rete di
relazioni e collaborazioni.

Commenti:

68
IT

Possono essere quindi elaborate delle soluzioni per affrontare


stili di vita insalubri solo se verrà creato un sistema di tutti gli
attori, dove le risorse, conoscenze, consulenze e finanziamenti
saranno distribuiti al di fuori delle istituzioni pubbliche, tra le
comunità e i singoli cittadini: in questo modo saranno gli
stessi cittadini e le stesse comunità protagoniste nella
elaborazione collettiva di soluzioni attente alle condizioni
locali. Bisogna quindi distribuire le conoscenze che ora si
trovano solo all'interno delle istituzioni, utilizzare le risorse
che già alcuni cittadini hanno facendoli diventare agenti per la
fornitura di supporto ad altri cittadini (peer-to-peer, da pari a
pari).

Con queste considerazioni in mente, la divisione RED ha


sviluppato due progetti in collaborazione con due località,
Kent e Bolton, come prototipi per la sperimentazione di futuri
servizi, non ancora pronti per l'introduzione su tutto il Paese.
Nella città di Kent è stato affrontato il problema
dell'invecchiamento della popolazione, nella città di Bolton il
problema della gestione di malattie croniche, nel caso
specifico il diabete. I progetti sono stati sviluppati in sei mesi
dal team progettuale RED costituito da designer, medici,
economisti, antropologi ed esperti di politiche, in
collaborazione con professionisti, impiegati e residenti delle
due località.

Commenti:

69
IT http://www.activmob.com
http://www.designcouncil.info/mt/RED/files/REDActivmobs.pdf

Il problema affrontato nella città di Kent è stato quello di


incoraggiare i cittadini (inizialmente di età fra i 50 e 70 anni) a
svolgere attività fisiche per ridurre le probabilità di incorrenza
di problemi legati alla vecchiaia, come fratture, osteoporosi,
diabete, ecc.. Il team progettuale ha sviluppato Activmobs, un
servizio volto a fornire supporto alle persone che vogliono
mantenere buone le proprie condizioni di salute, motivandole
a svolgere attività fisiche seguendo le proprie inclinazioni.
Un mob è formato da un gruppo di conoscenti che, riuniti,
svolgono un'attività fisica regolarmente (come ad esempio il
giardinaggio o andare a passaggio con il cane). Il servizio, i cui
artefatti comunicativi sono una rivista e un sito web, permette
l'auto-organizzazione delle attività dei mob, e la loro messa in
rete con allenatori e risorse. La rivista, il sito web, i gruppi
mob, i ruoli di allenatori e motivatori fanno parte del sistema
del servizio co-progettato e co-gestito dai cittadini e
professionisti.

Un gruppo già formato può registrarsi attraverso il sito web,


scegliere la propria attività e costruirsi un calendario per il suo
svolgimento. Attraverso il sito web, singole persone possono
cercare mob nella propria zona, mob ricercare partecipanti per
raggiungere un numero minimo oppure suggerire un'attività
per formare un mob (prendendo anche spunto da un'area
apposita del sito che riporta consigli ed esempi).

Commenti:

70
IT

Quando si forma uno di questi mob, chi lo aveva proposto


viene denominato motivatore (motivator), e riceve un buono
apposito, che può essere utilizzato per coprire i costi di
organizzazione del mob oppure per seguire corsi per divenire
un allenatore (trainer) per mob. Gli allenatori vengono scelti
dopo una intervista, e possono aiutare i mob a scegliere la
propria attività, a migliorarne l'efficacia per la propria salute
fisica, a fissare degli obiettivi da raggiungere attraverso
l'attività. Un mob può scegliere un obiettivo da raggiungere
attraverso la propria attività ed un premio relativo: gli obiettivi
possono essere basati sulla presenza di partecipanti, su una
distanza spaziale, su un periodo di tempo o un punteggio
raggiunto. Si possono anche scegliere degli obiettivi
individuali, e una volta che tutti i componenti del mob li
abbiano raggiunti si guadagna un premio di gruppo. In questo
modo i componenti del mob sono stimolati ad incoraggiarsi a
vicenda per il raggiungimento degli obiettivi, proprio come
accade nei servizi di microcredito della Grameen Bank.

La rivista mostra idee, interviste a mob, elenco dei mob


esistenti, consigli, ricompense, istruzioni su come gestire i
mob, interviste ad allenatori e motivatori, elenco degli
allenatori suddivisi per area, elenco di strutture che possono
essere utilizzate, elenco dei mob che cercano membri, ecc.
Il sito web mostra tutte le informazioni presenti sulla rivista, e

Commenti:

71
IT

www.designcouncil.info/mt/RED/publications/publicationscontainer/me2_story.pdf
inoltre permette ai mob di auto-organizzarsi contattandosi e
vedendo i progressi personali e collettivi. I membri dei mob
compilano infatti ogni mese tre schede sul sito web per
monitorare i propri progressi, ricevendo in cambio un
punteggio e dei buoni per le attività all'interno del mob o per
la propria famiglia.

Nel secondo progetto, riguardante la città di Bolton, il team


progettuale di RED si è interessato dei pazienti affetti da
diabete, circa uno ogni dieci famiglie. In questo caso è stato
proposto un servizio co-creato basato sull'incontro tra
iniziative top-down e iniziative bottom-up per la distribuzione
di risorse e la motivazione dei pazienti a seguire stili di vita più
salutari. Il servizio sviluppato cerca quindi di fornire una
interfaccia tra i cittadini affetti da diabete, in modo che si
sostengano a vicenda attraverso dinamiche peer-to-peer, e tra
loro ed i medici, favorendo la condivisione delle proprie
conoscenze.
Il team progettuale della divisione RED ha sviluppato un
servizio basato su due approcci per la risoluzione del
problema. Il primo riguarda lo sviluppo di un set di carte
(Agenda cards) che i pazienti e i medici utilizzano durante i
loro incontri per migliorare la loro comunicazione: infatti non
sempre i pazienti riescono a comunicare le proprie sensazioni
riguardanti la malattia. Il vantaggio delle carte risiede nella

Commenti:

72
IT

facile e veloce prototipizzazione e sperimentazione, che


avviene utilizzando il feedback dei partecipanti per indirizzare
gli ulteriori sviluppi del progetto.
Il secondo approccio consiste nell'organizzazione di un
servizio di consulenza chiamato Me2Coach Service, dove
persone con una lunga esperienza di convivenza con la
malattia svolgono il ruolo di allenatori (coach) delle persone
affette dal problema solo recentemente, che sanno quali siano
i cambiamenti da intraprendere ma non sono abbastanza
decisi da farlo. Gli allenatori, con la loro lunga esperienza,
forniscono una consulenza preziosa al di fuori del servizio
sanitario pubblico, costituendo così un servizio non gerarchico
dove i partecipanti sono allo stesso livello e hanno gli stessi
problemi: da pari a pari, peer-to-peer.

10.02 Open Design, Open Source Software e Open


Hardware: Openmoko
Il caso di Openmoko riveste un ruolo fondamentale nel nostro
discorso, perché rappresenta il primo e più completo caso di
prodotto di massa completamente open source. E quindi il
primo effettivo esempio di Open Design, non legato a singoli
esperimenti o mercati di nicchia (seppure molto importanti): il
primo esempio di come l'open source possa prendere piede
non solo in altri ambiti oltre all'informatica e alla produzione

Commenti:

73
IT
http://www.openmoko.com/
http://www.openmoko.org/
http://www.thinkcycle.org/
di contenuti, ma anche in un contesto di produzione di beni
fisici, di beni rivali.
Si tratta dell'associazione Openmoko, un progetto di telefono
cellulare di tipo smartphone completamente open source,
prima per quanto riguarda il suo software, ed ora anche per
quanto riguarda il suo hardware e progetto di design.
Possiamo dire che sia questo il primo, vero, prodotto di design
di massa, poiché gli esempi precedenti o non hanno
perseguito sino in fondo la filosofia Open Source, oppure
perché hanno avuto risultati limitati o, infine, perché il
contesto non era pronto per iniziative di questo tipo.
Thinkcycle, che è il primo ed il più sviluppato esempio
(almeno fino ad ora), ha rappresentato un esperimento rivolto
a mercati di nicchia; per questo anche più meritevole, perché
rivolto ad aiutare contesti svantaggiati, ma pur sempre
limitato nei risultati e nell'influenzare il mondo della
progettazione perché troppo in anticipo rispetto alla
diffusione della consapevolezza sull'Open Source all'interno
della società. L'iniziativa di Ronen Kadushin, sebbene
meritevole, rappresenta solo un esperimento solitario, senza
grande seguito e sviluppo. La proposta di Martí Guixé prende
l'Open Source solo come una metafora e cerca di adottare
alcune sue caratteristiche "collaterali", nel senso che ricerca
alcuni effetti dell'open source ma nella sostanza non è open
source. http://www.ronen-kadushin.com/Open_Design.asp
http://www.guixe.com/exhibitions/2003_mtks-lisboa/index.html
Commenti:

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IT
http://www.openmoko.com/products-neo-base-00-stdkit.html
http://www.fic.com.tw/
L'iniziativa Openmoko (e la sua prima incarnazione, Neo1973
prodotta dalla FIC) è importante perché l'adottazione della
filosofia Open Source avviene da un prodotto che viene
presentato nel mercato e venduto: si tratta quindi non di un
esperimento ma di una reale iniziativa. Siamo passati quindi
dalla fase di ispirazione e sperimentazione dell'Open Design a
quella della messa in pratica. Certo, la sperimentazione non è
finita e va portata avanti ulteriormente, ma ora stiamo
parlando di un prodotto che il grande pubblico vedrà nei
negozi e che si trova in competizione con il prodotto più
atteso del momento, l'iPhone della Apple. E questo facendo
riferimento alla libertà che questa scelta di apertura può dare
http://www.openmoko.com
all'utente, richiamandosi alla filosofia del Free Software:
"If you can’t open it, you don’t own it. Our first key unlocked the
software, unleashing the community to recraft the code. Now, we
free the case and share the keys to Industrial Design. Developers
who want to re-craft the case are set free". http://wiki.openmoko.org/wiki/Neo1973
Non a caso, è in vendita anche una versione advanced
(avanzata), corredata di tutto ciò che è necessario per poter
aprire e modificare il cellulare, fare il suo hacking per poterlo
personalizzare e apprendere allo stesso tempo.
La distribuzione dei file del progetto di design non rappresenta
quindi che una logica e coerente conseguenza; i file del
progetto (IGES, STEP, ProE), sono stati pubblicati sotto licenza
Creative Commons ShareAlike. http://downloads.openmoko.org/CAD/

Commenti:

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IT

Figura 06. Openmoko (Fonte: http://openmoko.com/)

Commenti:

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IT

Figura 07. Openmoko (Fonte: http://openmoko.com/)

Commenti:

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IT

Figura 08. Openmoko, Open Source Software (Fonte: http://openmoko.com/)

Commenti:

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IT

Figura 09. Openmoko, Open Hardware (Fonte: http://openmoko.com/)

Commenti:

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IT

Figura 10. Openmoko, Open Design (Fonte: http://openmoko.com/)

Commenti:

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IT

Il fatto che sia un telefono cellulare di nuova generazione (uno


smartphone) ad essere il primo vero prodotto open source,
rende l'evento ancora più importante. Questo perché i telefoni
cellulari rappresentano un enorme potenziale per lo sviluppo
di servizi collaborativi su base comunitaria.
Uno strumento, insomma, che ci permetterà, in futuro, di
sfruttare e valorizzare l'intelligenza collettiva con maggiore
facilità e diffusione di quanto non si possa fare ora, perché ha
la capacità di abbattere ulteriormente le barriere all'accesso
del servizio, dato che molte più persone hanno accesso e
familiarità con telefoni cellulari rispetto a computer e World
Wide Web.
Quindi, con una metodologia progettuale Open P2P potremmo
progettare, con/per una comunità, i telefoni cellulari, il loro
software e i loro servizi, in base alle loro esigenze specifiche.
Siamo quindi in grado di co-progettare con una comunità i
loro servizi collaborativi e gli strumenti che ne permettono
l'implementazione, anche per contesti dalle dimensioni
limitate.

10.03 Open Design e Open Hardware: VIA


OpenBook
Dopo il primo caso di un prodotto veramente Open Design e
per le masse, è arrivato il momento del secondo esempio, a

Commenti:

81
IT http://en.wikipedia.org/wiki/VIA_Technologies
http://www.viaopenbook.com/

testimoniare quanto ormai strategie di business aperte (o


meglio: Open Business) stiano diventando sempre più
comprese e quindi diffuse. La taiwanese VIA Technologies,
l'impresa indipendente produttrice di chipset per schede
madri più importante sul mercato, ha pubblicato i file CAD del
suo ultimo modello di notebook, il modello VIA OpenBook.
Questi file sono disponibili sotto una licenza del tipo Creative
Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported License.

Tra le varie ragioni per adottare strategie di questo tipo le più


probabili sono due. Da un lato, si gettano le basi affinché si
sviluppi un ecosistema di hacker / modificatori / fornitori/
produttori con cui co-creare valore e profitti. Dall'altro lato, si
compie una mossa strategica in un mercato, quello dei
subnotebook, che sta esplodendo in questi mesi (vedi il
fenomeno dell'Asus eeePC). Rendere il progetto aperto infatti
aumenta le probabilità che l'innovazione e la competizione si
sposti dal progetto del subnotebook alla costruzione di un
ecosistema aperto e paritario con utenti ed imprese.
Inoltre, VIA è principalmente un produttore di componenti per
computer, più che un produttore di notebook. In questo modo
chiunque potrebbe produrre un OpenBook, ma sono molto
alte le probabilità che lo faccia usando (e quindi comprando) i
chipset e le schede madri prodotte da VIA.

Commenti:

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IT

Figura 11. VIA OpenBook (Fonte: http://www.viaopenbook.com/)

Commenti:

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IT

Figura 12. VIA OpenBook (Fonte: http://www.viaopenbook.com/)

Commenti:

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IT

Una conseguenza del "distribuire" prodotti ed il loro codice


sorgente è che in questo modo compiamo un piccolo passo
verso la sostenibilità.
I prodotti Open Design possono essere infatti prodotti
localmente (evitando così eccessivi spostamenti di merci, per
quanto possibile, e quindi consumo di combustibili fossili ed
emissioni di CO2). E potendo conoscere tutto di questi
prodotti, possiamo produrli e poi anche ripararli in modo che
durino più a lungo e che quindi non debbano essere sostituiti
con frequenza. Certamente questi aspetti non rappresentano
un raggiungimento della sostenibilità in maniera totale, ma
sono comunque da tenere in considerazioni per strategie
commerciali aperte e sostenibili.

La apertura dell'iniziativa VIA OpenBook è considerevolmente


limitata (i file CAD si riferiscono alla sola scocca in plastica,
l'hardware non viene trattato e neppure il suo software),
soprattutto se la paragoniamo a quella adottata dalla iniziativa
Openmoko. La sua importanza quindi risiede nel mostrare che
prodotti di Open Design ed Open Hardware non sono casi
isolati ma rappresentano un modello di business fattibile, e
nel farci riflettere quanto dobbiamo porre attenzione ai livelli
di apertura adottati. Di seguito possiamo vedere una delle
prime riflessioni in merito, elaborata riguardo all'Open
Hardware da parte di Michel Bauwens della P2P Foundation:

http://blog.p2pfoundation.net/how-open-is-vias-openbook-design/2008/06/07
Commenti:

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IT

Closed: Closed Hardware is any hardware for which the creator of


the hardware will not release information on how to make
normal use of the hardware, in such a way that that information
may be freely shared with others. A sure sign of closed hardware
is requiring the signing of an NDA to receive documentation on
how to make use of a device.

Open Interface: In the case of Open Interface hardware, all the


documentation on how to make a piece of hardware perform the
function for which it is designed is available. In the case of
computer hardware, this means that all the information
necessary to produce fully functional drivers is available. This is
the minimum level of openness that makes hardware useful to the
open software community. Surprisingly, large amounts of
integrated circuits fall into this category. Any device for which you
can get a complete data sheet from the manufacturer, with no
limitations on sharing the data contained within, meets the Open
Interface definition.

Open Design: Open Design hardware is hardware in which enough


detailed documentation is provided that a functionally compatible
device could be created by a third party. It is not at all uncommon
for the programmer’s guides for a microcontroller to have
complete instruction encoding formats, memory maps, block
diagrams of the processor core, and other technical details that

Commenti:

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IT

would make it possible to reproduce a compatible


microcontroller. Open Design hardware allows you to see what
was implemented and what it should do, but still keeps the finer
details of how it was implemented closed.

Open Implementation: Hardware for which the complete bill of


materials necessary to construct the device is available fall into
the category of Open Implementation. In the realm of computer
chips, this means the hardware definition language description of
the device is available. For a circuit board, this would include the
schematic. Everything needed to reproduce an exact copy of a
device is available. This is the hardware parallel to the concept of
open source software. The debate between ‘open’ and ‘free’ (libre)
that exists in the software space exists for hardware as well. In
this regard, the only hardware that can truly be claimed to be
free, in the same manner that the Free Software Foundation
defines free, is that which falls into the Open Implementation
category. Unfortunately, unlike software, an idea and the desire
to produce a hardware device that is free and open is not
sufficient. Certainly in the semiconductor space, the ability to do
so is beyond the individual and in most cases, beyond even a
reasonably equipped development group.

Commenti:

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IT

Commenti:

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Partecipazione Enabler/Facilitatore IT
Auto-organizzazione Comunità Open P2P Piattaforma

Metodologia
11 Prime linee guida per un Open P2P
Progettuale
Design http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/108
Complessità
A differenza della progettazione tradizionale, lineare, una
progettazione Open Peer-to-Peer è, a causa del numero Social Network
elevato di agenti e delle loro interazioni, non-lineare, aperta e Analysis
caratterizzata da più processi in svolgimento parallelo.
Un processo progettuale Open Peer-to-Peer fornisce quindi le
basi affinché si sviluppino più progetti paralleli, un Comunità
ecosistema di agenti progettisti con una evoluzione
memetica dei progetti più “adatti” alla comunità, la cui
selezione porterà ai risultati migliori.

Un processo progettuale Open Peer-to-Peer è caratterizzato


dalla apertura e condivisione del progetto (il codice sorgente
del software) della piattaforma e della attività che permette
che, una volta fornito alla comunità dai designer, verrà da essa
sperimentato e modificato più volte ed in più direzioni (nel
software, la compilazione nel codice binario), sino al
raggiungimento di una definizione soddisfacente (la versione
stabile del software) per garantire l’auto-organizzazione.
Il codice sorgente del progetto (community source code) è
costituito da strumenti provenienti dal design dei servizi, con
l’introduzione di una descrizione dei livelli di reputazione

Commenti:

89
IT

presenti all’interno della comunità, delle licenze che regolano


la collaborazione e la fruizione dei risultati, di una mappa
della rete sociale in grado di mostrare punti deboli e forti della
comunità. Il codice sorgente è accessibile a tutti i partecipanti,
che lo sperimentano con crescenti livello di realtà (la
piattaforma viene mano a mano migliorata durante questa
fase) segnalando ai designer gli eventuali errori (bug, nel
software) presenti. Maggiore il numero dei partecipanti,
maggiori sono le probabilità che gli errori vengano rilevati e
corretti.
La comunità, durante il processo progettuale e anche alla sua
fine, si auto-organizzerà modificando se necessario il progetto,
per quanto è possibile; è questa capacità di auto-
organizzazione e di modifica del reale che rende le comunità
vive ed interessanti.

La partecipazione è aperta e paritaria, ma è regolata da due


principi: auto-selezione e reputazione, che danno luogo a
differenti livelli di partecipazione nelle diverse fasi progettuali,
in base al possesso delle conoscenze necessarie nelle diverse
fasi progettuali. Le differenti fasi del processo progettuale,
quindi, richiederanno differenti livelli di partecipazione e
quindi di impegno e visibilità del partecipanti. Questi differenti
livelli danno luogo a varie fasi di vita tipiche (simili in alcuni
punti alle fasi delle comunità di pratica): potenziale,

Commenti:

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IT

coalizzazione, maturazione, auto-organizzazione ed


espansione, declino (figura 13).

11.01 Analisi
L’intervento progettuale inizia con una necessaria analisi dei
partecipanti, al fine di comprendere le risorse esistenti e
quindi utilizzabili, le limitazioni, i punti critici. Attraverso
l’analisi i designer cominciano a conoscere i partecipanti,
potendo così cominciare a prefigurare quali caratteristiche
l’attività della comunità avrà. L’obiettivo della fase di analisi è
quello di definire degli obiettivi e della strategia su cui
costruire il concept di attività per la comunità. L’analisi, svolta
attraverso indagine etnografica ed analisi delle reti sociali,
riguarderà la piattaforma, le caratteristiche dei singoli
partecipanti ove possibile, e le attività già esistenti.

11.02 Concept
Una volta terminata l’analisi dei partecipanti, delle loro
attività e della loro rete sociale, viene elaborato un primo
concept della attività (e sua piattaforma) della comunità. I
designer elaborano quindi una prima versione (si potrebbe
dire la 0.0.1) del progetto della attività-piattaforma,
formalizzato nel codice sorgente della comunità.

Commenti:

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IT

11.03 Co-progettazione / sperimentazione /


realizzazione parallele
Una volta elaborato, il concept viene mostrato ai partecipanti
e discusso collettivamente. Da questo momento inizia una
fase di co-progettazione dell’attività/piattaforma,
caratterizzata da una crescita costante di impegno, quindi
energia impiegata e visibilità. In questa fase il concept di
attività viene sviluppato collaborativamente fino ad ottenere
un progetto funzionante, una “versione stabile” del codice
sorgente (la versione 1.0). Il codice sorgente della comunità
viene testato dai partecipanti che simulano l’attività, per
capire quali siano i punti deboli, gli errori (i bug del codice
sorgente della comunità) e quindi le modifiche da apportare. Il
codice sorgente viene sottoposto cioè ad un processo di peer
review, in cui sia i designer (che osservano la simulazione) che
i partecipanti segnalano gli errori presenti e le necessarie
modifiche. Non appena viene identificato un bug il codice
sorgente viene modificato e la sperimentazione riparte dal
nuovo codice.

Affinché si possa simulare l’attività, i partecipanti devono


condividere le condizioni necessarie per svolgerla,
rappresentate dalla piattaforma. Regole e ruoli dovranno
essere adottati e sviluppati, e gli artefatti che non sono già
presenti dovranno essere realizzati o acquisiti.

Commenti:

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IT

Ciò significa che con il procedere del processo di


progettazione/sperimentazione, la piattaforma viene mano a
mano realizzata, e quando il progetto raggiungerà la versione
stabile, i partecipanti potranno cominciare a svolgere
l’attività, rafforzando così il senso di comunità. Una volta
terminata la fase di co-progettazione/sperimentazione, il
progetto sarà già realizzato, non vi sono fasi di produzione o
esecuzione. Come nel software, a quel punto il codice
sorgente (il progetto) avrà dato luogo al codice binario
(l’attività svolta dai partecipanti).

11.04 Auto-organizzazione
Raggiunta la prima “versione stabile” del codice sorgente
dell’attività, la 1.0.0, la comunità sarà quindi in gran parte
formata: durante la simulazione/svolgimento dell’attività si
saranno formate alcune relazioni sociali, che vanno a
sommarsi a quelle preesistenti. Una versione stabile del codice
sorgente significa che questo può essere “compilato” (ossia,
svolto) e utilizzato da chiunque senza possibilità di errori
critici. In questa fase quindi la comunità è in grado di svolgere
l’attività ed auto-organizzarsi senza l’apporto dei designer: se
il loro ruolo era quello di facilitatori (enabler), ora la comunità
è in grado di agire con successo da sola.

Commenti:

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IT

energia e
visibilità

coalizzazione stabile

auto-organizzazione

singoli partecipanti

crescita della co-design /


analisi test /
consapevolezza
sociale massa critica costruzione
persone con gli di partecipanti comunicazione
stessi interessi
prime discussioni i partecipanti si del concept
si incontrano
sui problemi incontrano elaborazione
comuni del concept
decisione di formare una
comunità

Commenti:

94
IT

auto-organizzazione ed espansione declino

reti di comunità

singole comunità

tempo

versione stabile

Figura 13. Open Peer-to-Peer Design: timeline (Fonte: Menichinelli M. (2006))

Commenti:

95
IT

co-design

livello di
partecipazione
analisi elaborazione comunicazione
del concept del concept

nessuna
partecipazione

partecipazione
indiretta

consultazione

controllo
condiviso

pieno
controllo

Figura 14. Processo Open Peer-to-Peer Design (Fonte: Menichinelli M. (2006))

Commenti:

96
IT

co-design

auto-organizzazione

co-design/test

Commenti:

97
IT

In linea di principio, i designer hanno esaurito il proprio ruolo;


tuttavia, la comunità potrà sempre necessitare il suo apporto
in futuro, dato che i designer possiedono sempre conoscenze
ed expertise utili per fornire un supporto all’evoluzione
dell’attività e della comunità in risposta ai cambiamenti
dell’ambiente esterno.
Inoltre, se l’attività è di progettazione, le loro capacità li
rendono una figura importante all’interno della comunità, di
cui continueranno a fare parte anche nella fase di auto-
organizzazione.
http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,1569514,00.html
Queste riflessioni rappresentano quindi una prima proposta
(1.1) di linee guida progettuali, in un più ampio processo di
studio di una metodologia completa Open Peer-to-Peer.
http://nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/2006/press.html
Concludendo, quali sono le prospettive di applicazione e di
studio per queste linee guida progettuali?

Commenti:

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Design Research IT
Bottom of the Pyramid Innovazione
Metodologia Progettuale Servizi Locali Business/Servizio

12 Sviluppi futuri per Open P2P Design Knowledge


http://www.openp2pdesign.org/blog/archives/112 Economy

Le indicazioni precedentemente presentate rappresentano più


delle linee guida che una vera e propria metodologia: ancora
devono essere applicate, testate e approfondite, sia dal punto
di vista pratico e operativo che teorico e di ricerca.

E questo è il momento giusto per studiare e sperimentare


pratiche partecipative di questo tipo. Due casi possono essere
presi come riferimento: la decisione del Time di dedicare la
sua copertina di personaggio dell’anno a tutti gli utenti del
Web 2.0 e il premio Nobel per la Pace assegnato a Muhammad
Yunus per l’invenzione dei servizi di microcredito (anche se
non derivanti da Open Source e Peer-to-Peer, condividono la
caratteristica di basarsi su comunità aperte e con dinamiche
paritarie).
A questo punto è possibile trarre alcune conclusioni ed
elencare alcune possibili direzioni progettuali e di ricerca.

12.01 Direzioni progettuali e di ricerca


Le linee guida Open Peer-to-Peer possono essere applicate e
studiate in quattro direzioni:

Commenti:

99
IT

01. migliorare le condizioni locali


Le opportunità di progetti legati a specifiche dimensioni locali
stanno aumentando visibilmente, e una metodologia
progettuale Open Peer-to-Peer, che offre maggiori probabilità
di successo nel coinvolgere le comunità locali e nell’affrontare
oggetti complessi, non può che essere considerata con
interesse. Non a caso, la sua nascita avviene proprio in questo
contesto.

02. progettare / offrire servizi commerciali / no profit basati


su comunità (community-based services)
L’importanza di coinvolgere attivamente gli utenti, non più
come singole persone ma come comunità, sta prendendo
piede sia per attività commerciali che attività non-profit o
istituzionali. Una metodologia Open Peer-to-Peer può trovare
qui applicazione perchè permette un coinvolgimento delle
comunità dando loro un reale ruolo attivo e paritario nella
creazione di contenuti e nello sviluppo di progetti.

03. organizzare processi progettuali partecipati complessi


Le forme organizzative/metodologie progettuali Open Source
hanno dimostrato con Linux di essere in grado di sviluppare
progetti complessi in tempi relativamente brevi attraverso una
partecipazione aperta e paritaria. La metodologia Open Peer-to-
Peer è stata sviluppata partendo da queste, e quindi può

Commenti:

100
IT

trovare applicazione in progetti di cui si ha consapevolezza


della complessità (e necessità di una soluzione relativamente
rapida).

04.progettare per contesti e mercati dalle scarse risorse e


guadagni
La capacità di coinvolgere partecipanti al di là delle più
ristrette logiche di mercato delle comunità Open Peer-to-Peer
può trovare un impiego anche in contesti svantaggiati.
Sviluppare e fornire prodotti/servizi per paesi e mercati
caratterizzati da scarse risorse (o con scarse prospettive di
guadagno) è una operazione difficile, anche se recentemente
ci si sta interessando attraverso strategie che rientrano sotto
gli studi sulla Bottom of the Pyramid22. Una metodologia Open
Peer-to-Peer può essere applicata in queste strategie perché
permette lo sviluppo di progetti basati su un’ampia comunità
di volontari (riducendo quindi le risorse economiche
necessarie), e perché riesce a coinvolgere anche le comunità
locali di questi contesti all’interno del processo progettuale
(riuscendo così ad ottenere progetti adatti agli specifici
contesti socio-culturali). Ma non solo. Si svilupperebbero e
offrirebbero dei sistemi prodotto/servizio che cercano di
ricostituire/rafforzare il tessuto sociale, e non di sistemi

22. Prahalad C.K. (2004)

Commenti:

101
IT

prodotto/servizio che propongono stili di vita insostenibili sia


dal punto di vista ambientale che sociale.

12.02 Una ricerca per una disciplina sociale della


conoscenza
Ad una disciplina del design che comincia ad interessarsi non
solo all’innovazione tecnologica ma anche a quella sociale,
l’atteggiamento Open Peer-to-Peer può quindi offrire elementi
utili e molte direzioni di ricerca possibili.
Fino ad ora, la maggior parte dell’interesse verso
l’atteggiamento Open Peer-to-Peer si è indirizzato verso
l’organizzazione di ricerche scientifiche o di servizi legati
all’intrattenimento. È possibile invece studiare anche altri
ambiti in cui è possibile sviluppare servizi basati su comunità
Open Peer-to-Peer (e quindi anche attività economiche e
imprenditoriali). C’è un campo potenzialmente vasto e
promettente: quello legato più specificatamente alla
dimensione sociale, e quindi a servizi pubblici, enti non-profit
ed anche strategie che possono appartenere al settore
commerciale ma che si ricollegano alle strategie Bottom of the
Pyramid.

Ad esempio, nel caso dei servizi pubblici, le strategie di


eGovernement attuate fino ad ora (ed in generale le strategie
di riforma dei servizi pubblici) non hanno raggiunto un

Commenti:

102
IT

numero elevato di persone ed i risultati attesi. Per questo


motivo si prospetta l’introduzione di un atteggiamento Open
Peer-to-Peer, che prevede un ruolo attivo degli utenti nella co-
creazione ed erogazione dei servizi. Una introduzione che
prospetta le comunità e l’attitudine Open Peer-to-Peer utili
non solo a livello operativo, ma anche a livello strategico,
dove le istituzioni locali assumono il ruolo di loro facilitatori.
Con il passaggio dal local government alla governance, le
istituzioni locali assumono infatti il ruolo di facilitatore della
partecipazione (sia della società civile che del mondo
economico). In particolare, stanno cominciando a muoversi su
questa direzione Charles Leadbeater e Hilary Cottam23 e la
think-tank Demos. http://www.designcouncil.info/mt/RED/health/

I campi di applicazione di questo atteggiamento e delle sue


forme organizzative sono quindi ampi; l’attenzione all’ambito
“sociale” ha due vantaggi. Il primo consiste nel trovarsi in un
contesto adatto per l’introduzione di questo atteggiamento
(per affinità alla dimensione partecipativa e collaborativa, e
per la necessità di risoluzione di reali problemi complessi
irrisolti). La seconda consiste nella possibilità di studio della
dimensione sociale di un progetto Open Peer-to-Peer, che
questo contesto può offrire più di altri.
http://www.demos.co.uk/projects/participativepublicservices/overview
23. Cottam H., Leadbeater C. (2006)

http://www.demos.co.uk/projects/userledservicedesigninlocalauthorities/overview
Commenti:

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IT

Numerosi sono gli aspetti problematici nella relazione tra


design e atteggiamento Open Peer-to-Peer che potrebbero
essere presi ora in considerazione. Ma soprattutto alcuni si
presentano con una importanza maggiore:

Come può il design relazionarsi con l’atteggiamento Open


Peer-to-Peer?
L’atteggiamento Open Peer-to-Peer è recente e in evoluzione, e
porta con sé nuovi valori e nuove strategie; è necessario
quindi studiarlo a fondo, e studiare anche come la disciplina
del design si possa relazionare ad esso. E quindi come cambi il
ruolo del designer, il processo progettuale e l’oggetto del
progetto.

Come si relaziona il design con queste comunità Open Peer-to-


Peer e con la dimensione locale, il loro territorio?
Non va dimenticato che queste comunità Open Peer-to-Peer
hanno comunque una propria dimensione locale (anche se
distribuite). E la relazione con la dimensione locale è infatti
una delle tendenze più recenti che possono essere riscontrate
nei servizi Web 2.0. Fortunatamente la disciplina del design si
sta confrontando da alcuni anni con la dimensione locale.

Commenti:

104
IT

Come si relaziona il design con la conoscenza prodotta e


condivisa da una comunità?
La conoscenza e la sua condivisione (o meno) rappresentano
un tema delicato e attualmente di grande interesse e oggetto
di dibattiti e riflessioni. In questo caso bisogna comprendere
come gestire la conoscenza sia all’interno della disciplina del
design sia all’interno di comunità caratterizzate da un
atteggiamento Open Peer-to-Peer.

Come si relaziona il design con la complessità di una


comunità?
Che la comunità sia una forma organizzativa dotata di una
certa complessità, è cosa intuitiva. Nondimeno, alcuni studi
sulle forme organizzative Open Peer-to-Peer hanno mostrato
come queste siano dotata di una complessità elevata e dalla
capacità di valorizzarla nella risoluzione di problemi complessi
(capacità a cui ora anche le altre discipline guardano con
interesse). Ma i concetti legati alla complessità e la relazione
che il design ha con questi sono fenomeni recenti, che
necessitano di studi approfonditi

Come si relaziona il design con il rapporto tra economie del


dono ed economie di mercato?
Queste comunità Open Peer-to-Peer presentano differenti
forme di organizzazione economica, a cavallo tra economia di

Commenti:

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mercato ed economia del dono. Questa loro caratteristica va


studiata a fondo, per capire sino a che punto possano
sopravvivere in un contesto economico differente dal proprio,
e sino a che punto questa loro caratteristica possa essere
estesa nella società, attraverso il contatto con altre comunità.

Lo studio e la messa in pratica di questo atteggiamento Open


Peer-to-Peer all’interno della disciplina del design può portare
nuove opportunità sia progettuali che di ricerca. Ed introdurre
un atteggiamento che ha al suo centro la costruzione e
condivisione collettiva della conoscenza può apportare un
ulteriore elemento nella configurazione del design come una
disciplina della conoscenza per la società della conoscenza.

Commenti:

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107
IT

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