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Don Ferdinando Rancan nato a Tregnago, Verona, il 14 giugno 1926. Dopo aver conseguito la maturit classica, si laurea in Scienze Naturali nel 1955 presso lUniversit La Sapienza di Roma. Tornato a Verona e completati gli studi teologici, riceve lOrdinazione Sacerdotale e si dedica per parecchi anni allinsegnamento nel Seminario diocesano e nei Licei della citt. Dopo essere stato parroco per ventanni presso la Pieve dei Santi Apostoli in Verona, attualmente svolge il suo ministero sacerdotale presso la chiesa di SantEufemia nella sua citt di Verona.
Altri scritti:
L dove cielo e terra si incontrano (La preghiera e la Messa nella vita del cristiano) Ricevi questo anello... (Riflessioni sullamore umano e il matrimonio). Non presentarti a mani vuote davanti al Signore - Come santificare il tempo Ed. Segno di Udine Fiori di melograno Raccolta di poesie. Ed. Athesis In quella casa cero anchio Vita di Ges narrata da un piccolo. Ed. Fede & Cultura
PREFAZIONE
Un millennio muore, un millennio nasce! Il tempo di fronte alleternit: luomo di fronte a Dio. La ruota del tempo non conosce stanchezze, ma anche il suo moto non soffre impazienze. Il tempo non invecchia mai, il giovane compagno di viaggio di tutte le cose. Quanti millenni avr visto nascere lumanit? Quanti ancora ne vedr tramontare? Le ere del cosmo sono nascoste nellet delle stelle, e le vicende della terra giacciono sepolte negli strati della sua corteccia; ma i millenni della storia, quelli passati e quelli che verranno, sono scritti in un libro che nessuno conosce. Non dato a voi di conoscere i tempi e i momenti.... Eppure, da sempre, luomo ha sentito il bisogno di misurare il tempo e le cose, segno che in lui qualcosa sfugge ad ogni misura; egli misurato dal tempo ma anche misura del tempo; qualcosa in lui attinge ad una coordinata trascendente: leternit. Per secoli il sole stato lunico orologio delluomo. Poi un giorno gli antichi inventarono la clessidra; vi facevano scorrere lacqua o la sabbia, ma in realt vi vedevano scorrere il tempo. Infatti, lassillo profondo del cuore umano non sta nel desiderio di misurare le cose, ma sta nel bisogno di capire il lento e inarrestabile scorrere del tempo che gli ricorda il problema cruciale dellesistenza: che senso hanno le cose, e soprattutto che senso ha ci che scorre dentro il tempo, cio la vita. E cos ciascuno di noi tiene nelle proprie mani la sua clessidra. C' chi la guarda come un giocattolo e magari ci scherza e se ne trastulla: sono le anime superficiali che si giocano la vita per il tempo, mentre le anime nobili e sagge si giocano il tempo per la Vita. C' chi guarda la sua clessidra con terrore: anime assillate dall'angoscia per il tempo che, inesorabile, non si ferma mai, e anime in ansia per la paura che improvvisamente si svuoti la clessidra e il tempo finisca nel nulla. C' chi guarda la sua clessidra giocondamente; vorrebbe che scorresse lenta per godersi il tempo; sono anime di buontemponi che "non hanno tempo" per la Vita. C' poi chi guarda la clessidra con gli occhi smarriti di chi s'interroga sull'oggetto che tiene tra le mani e non sa che farsene perch non sa a che cosa serve; non conosce n il tempo n la vita perch non conosce s stesso. C' infine chi la clessidra non la vorrebbe guardare affatto, vorrebbe nasconderla, eliminarla: la vede come un giudice implacabile che gli ricorda diritti e doveri, compiti e mansioni, progetti e responsabilit... gli ricorda la Vita. Ma la clessidra sempre l, incollata alle nostre mani. Non abbiamo alternative: o usarla per misurare il tempo, o usarla per misurare la Vita. Il cristiano guarda alla sua clessidra con gli occhi luminosi di un figlio di Dio. Ama la clessidra perch ama la Vita; vive la vita e perci gioisce della clessidra. La tiene nelle sue mani senza scuoterla o abbandonarla, e quando il momento la capovolge, perch il cristiano continuamente "ricomincia" nella sua vita di figlio di Dio. Il cristiano sa che gli appartiene la vita e gli appartiene il tempo, e non li separa perch, in noi creature, la vita senza il tempo un'utopia e il tempo senza la vita il nulla.
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Abbandonata la clessidra, la tecnica ci ha dato lorologio. Orologi sempre pi sofisticati, autentici capolavori di fantasia per la forma e di precisione per la tecnica stanno scandendo su tutti i meridiani della terra gli istanti infinitesimali della vita umana. E cos abbiamo prodotto milioni di orologi, ma forse abbiamo perduto il senso del tempo e smarrito il cammino della vita. Dio lunico, vero orologio delluomo, il solo che possa illuminare il nostro cammino nel tempo e far scorrere nel tempo il flusso della Vita. Dobbiamo tornare al Sole, il sole divino: Ges Cristo. E lui la pienezza del tempo. Egli abbraccia il tempo da cima e fondo e lo illumina tutto: Io sono lAlfa e lOmega, il Primo e lUltimo, il Principio e la Fine... Colui che era, che e che viene. Da duemila anni questo Sole illumina il mondo, ma da sempre e per sempre Egli illumina lumanit. E lui lorologio della storia umana, lui: Ges Cristo, unico Salvatore, ieri, oggi e nei secoli. Pronunciare queste parole nella societ di oggi come parlare un linguaggio indecifrabile, estremamente lontano e incomprensibile, di cui si perso completamente il vocabolario. Ges Cristo: la cultura secolarizzata in cui viviamo ha tolto a Ges di Nazareth ogni rilevanza storica, lo ha ridotto ad una figura fra le tante, perduta nella nebbia del passato. Tuttal pi serve come pretesto per tavole rotonde o per fictions televisive e cinematografiche. Unico Salvatore: il significato di queste parole esula completamente dai problemi delluomo contemporaneo. Luomo, oggi, ha bisogno di medicine che sconfiggano i grandi nemici dellumanit: il cancro, lAids, la senilit, ha poi bisogno di lavoro, di libert, di strutture sociali che lo garantiscano e gli forniscano sicurezza. Di quale salvezza sia portatore Ges Cristo, luomo del nostro tempo non lo comprende. Tuttal pi, quello che egli riesce a scoprire in Ges di Nazareth un affascinante esempio di solidariet umana, di onest, di fortezza e coerenza morale che lo collocano tra i grandi spiriti, tra i leaders morali e religiosi dellumanit, destinato quindi a condividere con loro lo spazio riservato ai problemi spirituali delluomo, in un pluralismo religioso dove tutte le risposte rivestono uguale dignit. Ieri, oggi e nei secoli: anche questa espressione contiene categorie che la nostra cultura, soprattutto occidentale, ha perduto da tempo. Nel senso tradizionale, cio nel senso comune dellumanit, ieri ha una sua consistenza oggettiva e appartiene alla storia. Nella cultura attuale non esiste un ieri vero e proprio, ma un passato puramente soggettivo che non appartiene alla storia ma alla memoria, un passato che diventa interpretazione puramente soggettiva di una memoria rovinata da ideologie e corrotta dalla menzogna. Cos pure, loggi delluomo moderno non ha un suo valore, un suo contenuto oggettivo, si riduce a pura fruizione di ci che il benessere pu offrire insieme allangosciosa tensione verso un futuroutopia conteso fra timore e desiderio. In altre parole, luomo del nostro tempo, ormai abbuffato di cultura scristianizzata, non conosce pi la realt, quella vera, quella profonda, quella che dura sempre perch radicata nei valori perenni che non passano e non invecchiano. E cos gli rimasto solo il moto, il fluire superficiale di ci che passa, di ci che effimero e apparente. E la cultura del non-senso, della mancanza di significato, cultura di cui imbevuto luomo contemporaneo. Ebbene, proprio a questuomo della societ secolarizzata, che non ha pi n mezzi n categorie culturali per capire, lunica voce disponibile che pu aiutarlo e pu rendergli possibile la conoscenza della Verit la voce di Ges Cristo che continua ad offrirsi al mondo come Via, Verit e Vita. 4
Occorre ripeterlo con forza: Ges Cristo l unico Salvatore, ieri, oggi e nei secoli: lo ieri di Cristo la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione nella loro realt storica come i Vangeli ce lhanno consegnata e nel loro perenne valore salvifico; loggi di Cristo la Chiesa; in essa, con il Vangelo e i sacramenti, Cristo continua la sua presenza di Salvatore. Il cristiano - occorre ripeterlo - non crede ad un uomo del passato, ad uno dei grandi spiriti dellUmanit. Budda morto, Confucio morto, Maometto morto, Socrate e Platone sono morti; e sono morti anche Abramo, Mos e i Profeti. Cristo vivo perch risorto e ha vinto la morte. Infatti la sua stessa morte non stata una morte, ma stata il sacrificio della sua Vita per la salvezza del mondo. infine, i secoli dei secoli sono la sua eternit, dove Cristo risiede alla destra del Padre nella gloria come unico, grande intercessore per tutta lumanit.
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Natale 1999: la Chiesa entra dunque nel terzo millennio della sua storia. Vi entra con una rinnovata e pi profonda consapevolezza che Colui che duemila anni fa nato a Betlemme, lha costituita come segno levato fra le Nazioni. Un segno che ha attraversato secoli di storia segnati dal sangue dei martiri, dalleroica dedizione di tanti pastori, dalla vita di innumerevoli testimoni dellamore di Dio; ma anche un segno che passato attraverso venti impetuosi e terribili tempeste che hanno inferto dolorose ferite e lasciato profonde cicatrici sul suo corpo, e tuttavia un segno del quale tutti i popoli della terra, oggi come non mai, hanno bisogno. Lumanit, questa folla sterminata di esseri umani che copre la terra, appare sempre pi come un gregge sbandato senza pastore. Negli ultimi secoli molt i mercenari hanno preteso di essere pastori, e i lupi hanno sbranato interi popoli, e i popoli stessi sono diventati lupi rapaci gli uni per gli altri. Unumanit stremata e sbandata approda cos, col suo carico di valori e di orrori, al terzo millennio dellera cristiana come su un altopiano dopo una lunga e faticosa scalata. Lultima rampa di questa scalata, il secolo ventesimo, stata la pi dura e drammatica di tutto il suo lungo viaggio nella storia. Questo secolo dilaniato dalle ideologie, drogato dai successi tecnici e materiali, rimarr come uno dei pi crudeli e disumani nellesperienza dellumanit. Milioni di esseri umani sono stati sacrificati dallodio: guerre senza interruzione, crudeli e devastanti, hanno attraversato quasi tutte le regioni del pianeta, idee impazzite e princpi delirant i hanno costruito lager, gulag, foibe, forni crematori, hanno giustificato genocidi, pulizie etniche, deportazioni forzate, violenze e terrorismi che non hanno risparmiato esseri innocenti e indifesi. Un secolo duro e violento in cui si distrutto molto e costruito sul nulla, un secolo in cui la dignit della persona umana ha subito violenze e umiliazioni che hanno pochi riscontri in altre epoche della storia. Questa progressiva pazzia che si scatenata contro luomo e contro Dio ha procurato alla Chiesa migliaia di martiri: dallEstremo Oriente al Messico, dalla Spagna ai Paesi dellEst, in molte regioni dellAfrica e dellAmerica Latina... Davvero, al termine di questo secondo millennio la Chiesa diventata nuovamente Chiesa di martiri (TMA n. 37). Essa dunque continua ad essere pi che mai segno di contraddizione, e tuttavia lunico segno levato fra le Nazioni che offra allumanit confusa e stressata una Verit certa e una salvezza vera. 5
Verit e salvezza hanno un Nome che di origine divina perch stato imposto dallalto: Lo chiamerai Ges, cio Dio-che-salva. E dunque un nome costitutivo della persona e della sua missione. La persona il Figlio di Dio, la missione la salvezza degli uomini. Luna e laltra non possono venire meno, ma riempiono il Tempo e la Storia. Incontrare Cristo, vivo e vivente nella Chiesa, la grande sfida del terzo millennio alla quale sono chiamati tutti i popoli della terra, tutte le Nazioni, tutte le culture e le civilt. E questo il grido profetico lanciato al mondo dal Pietro del 2000: Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potest aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civilt, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa dentro luomo. Solo lui lo sa. Oggi cos spesso luomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore, cos spesso incerto del senso della sua vita su questa terra. E invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi, - vi prego, vi imploro con umilt e con fiducia - permettete a Cristo di parlare alluomo. Lui solo ha parole di vita, si! di Vita Eterna. Anche noi, guardando a Cristo lungo le pagine di questo libro, terremo in mano la nostra clessidra, ricordandoci che il tempo un tesoro che Dio ci ha consegnato. Ci che scorre nella clessidra non pi sabbia e nemmeno oro o brillanti, un tesoro molto pi prezioso: la Vita, quella umana e quella divina che Cristo ci ha portato e che lAmore trasformer in Eternit.
LAutore
IL TEMPO
1 - Una leggenda
Alfonso il Savio, re di Castiglia e di Len, una delle personalit pi rappresentative del Medio Evo europeo, ha raccolto in una delle sue "Cantigas de Santa Maria" un'antica leggenda mariana che nella sua graziosa ingenuit pu farci sorridere e tuttavia possiede la forza delle cose vere, delle verit che fanno pensare. La leggenda narra che un pio monaco, la cui semplicit potrebbe degnamente figurare nei fioretti di S.Francesco, fu preso da un vivo desiderio di conoscere il Paradiso. Teneramente devoto com'era della Vergine Santa, si rivolse a Lei pregandola di ottenergli il privilegio di vedere il cielo, anche solo per un momento. La Madonna accolse il desiderio di quel monaco e lo fece portare in Paradiso, ma quando fece ritorno nel suo monastero, egli si trov completamente smarrito; non riusciva a riconoscere nessuno dei suoi compagni. In realt, la sua permanenza in Cielo nella contemplazione della gloria di Dio, permanenza che gli era sembrata brevissima, era durata tre secoli. Il Beato Josemara Escriv, che cita questa stessa leggenda in una delle sue omelie 1 (la applica al mistero della Santissima Eucarestia, dove Ges Cristo da venti secoli ci attende, ci ama e ci cerca), fa osservare che per un cuore innamorato venti secoli sono come un soffio. Ma la singolare vicenda di quel monaco potrebbe suggerirci un'altra riflessione, su una verit anch'essa importante per ogni cristiano, anzi per ogni uomo: esiste un nesso essenziale tra la nostra vita sulla terra e la nostra vita nel cielo, fra il tempo e l'eternit. In sostanza, l'esperienza vissuta dal pio monaco della leggenda stata questa: un solo istante di gloria nel cielo ha riempito tre secoli della sua vita sulla terra; come dire che il valore del tempo sta nel suo peso di eternit. Tutta la nostra vita sulla terra, quella pi breve e quella pi longeva, come anche la stessa vicenda umana con tutti i millenni della sua storia, ricevono valore e significato dall'Istante Eterno, cio da Dio che chiama tutte le creature a partecipare della sua gloria.
consuetudini sociali e rappresentazioni mitiche, e che hanno influenzato letteratura e folclore. Tutto questo la conferma che il mistero del tempo coinvolge intimamente il senso stesso della vita umana, chiama in causa il significato della nostra esistenza sulla terra; in definitiva, pone il problema del nostro destino, il destino di creature che sentono di avere qualcosa che non si pu ridurre al semplice divenire, al puro fluire della vita e delle cose. Ci che scorre sotto i nostri occhi e dentro di noi, accendendo desideri e progetti ma insieme consumando energie, risorse e prospettive non tutta la realt; c' qualcosa di immutabile e di eterno nella parte pi intima del nostro essere. Il desiderio stesso che spinge l'uomo verso i grandi valori della vita non sarebbe possibile se questi valori non fossero in qualche modo gi present i nell'uomo, se non a livello di esperienza, certamente come intuizione profonda del suo essere razionale; cos l'aspirazione insonne alla felicit, all'amore, alla pace, cos il bisogno stesso di Dio. Anche il desiderio di eternit che dentro di noi e che nessuna negazione o scetticismo possono eliminare, un sintomo di questa presenza che corre lungo tutto il filo della storia umana. In altre parole, la nostra vita terrena assetata di vita eterna, l'esistenza temporale dell'uomo suppone l'eternit come sua misura e suo valore. D'altra parte Dio non poteva lasciare inappagato l'essere che Egli ha creato a sua immagine e somiglianza, e dentro gli smarrimenti e le amare sconfitte della vicenda umana, l'eternit rimane la coordinata del tempo e della storia; tutto ci che temporale trova il suo fondamento nell'eterno, e tutte le creature hanno perci la loro traiettoria in Dio. E' questo il punto focale del mistero del tempo e dell'eternit, il luogo della loro analogia e perci della loro eventuale commensurabilit; e pertanto di qui bisogna passare per una vera comprensione di tutto ci che esiste. C', dunque, nell'essere umano un bisogno naturale di eternit, bisogno che conferma la trascendenza spirituale del nostro essere.
3 - Tempo ed eternit
Lo scopo di queste pagine non quello di percorrere ci che gli uomini hanno detto o pensato su questi argomenti, n di ascoltare la voce delle cose nel loro inarrestabile fluire. All'intelletto umano, sorretto dalle sole forze naturali, il mistero del tempo non ha mai svelato pienamente il suo volto, n ha aperto le profondit del suo abisso. Davanti al mistero del tempo, la mente umana stata dominata da un senso di smarrimento come davanti a una cosa troppo opaca e immanente per essere penetrata e insieme troppo irriducibile e trascendente per essere dominata. L'autore del Qoelet, il noto libro sapienziale dell'Antico Testamento, tutto pervaso da un senso di angoscia davanti alla precariet del mondo, ricorda l'impotenza dell'intelletto umano di fronte al mistero del tempo: "Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini... Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'Eternit nel loro cuore, senza per che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine".2 Solo la Rivelazione ha svelato pienamente il significato del tempo, lo ha illuminato e reso trasparente, ha aperto un varco attraverso il quale l'eternit ha fatto irruzione nel mondo. C' un passo stupendamente solenne che leggiamo nella liturgia del Natale: "Dum medium silentium tenerent omnia, omnipotens Sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus venit", 3 che possiamo liberamente tradurre: "Il tuo Verbo onnipotente, o Padre, dalle sedi eterne del cielo ha rotto il silenzio del tempo e delle cose ed entrato nel mondo". Cristo, la sua Umanit Santissima, ecco l'immensa
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finestra spalancata sul tempo: attraverso essa l'eternit ha inondato di luce la storia del mondo. Seguiremo, dunque, la strada della Parola di Dio; essa non esclude l'intelligenza e la riflessione degli uomini, ma vi aggiunge la luce della fede. Attraverso questa luce scopriremo che l'eternit non solo la coordinata del tempo, ma anche la sua "pienezza" e il suo significato, e costituisce la garanzia del suo compimento.
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O cara Eternit
La Parola, il Verbo di Dio, che nella "pienezza dei tempi" si fatta Carne, costituisce il punto di riferimento per ogni evento del pensiero e della vita dell'umanit. L'Incarnazione del Figlio di Dio nel grembo verginale di Maria, evento che non ci meraviglia pi, tanto vi siamo abituati, resta il fatto determinante nella storia dell'umanit e nell'intera creazione; esso divide il tempo in due, dando alla vicenda umana il senso di un "ritorno al Padre", che diventa il senso ultimo e finale della storia. Alla luce di Cristo, Luce vera che illumina ogni uomo, il tempo e l'eternit svelano il loro volto e il loro mistero: il tempo appare cos il luogo della fede, l'eternit il luogo della visione; al tempo appartiene la speranza, all'eternit appartiene il possesso; nel tempo ferve il desiderio, nell'eternit esplode l'amore. Fede, speranza, desiderio: il tempo; visione, possesso, amore: l'eternit. E tuttavia, in Cristo, la fede gi contiene la visione, la speranza contiene il possesso, il desiderio contiene l'amore. Tutto per in modo imperfetto. Infatti, finch siamo sulla terra non possibile "vedere" se non per speculum et in aenigmate, di riflesso come in uno specchio, nell'oscurit della fede; non possiamo amare se non nella speranza, perch quaggi nessun vero possesso possibile. L'eternit misura il tempo e, in un certo senso, rivela l'atteggiamento del cuore umano. Ci sono "anime di eternit" che vivono profondamente immerse nella luce della fede cos da non avere quasi cognizione del tempo; per loro il fluire degli avvenimenti un fatto accidentale perch la realt vera, quella che scorre sotto il loro sguardo contemplativo, ci che Dio compie in quegli avvenimenti. Ci sono poi "anime del tempo", che appartengono solo al tempo, che sono come naufragate nel fiume delle cose e degli avvenimenti, dove tutto viene divorato dalla precariet. Sono anime che non sanno vedere un futuro oltre le cose, e rischiano di perdere tutto il loro passato. Ma ci sono anche anime che soggiornano nella mediocrit perch vivono il tempo con una fede senza rischi, con una speranza senza pazzie, col cuore precluso all'estasi dell'amore. Il cristiano che vive nel mondo chiamato a coniugare insieme, nella sua vita, tempo ed eternit, a percorrere cio la strada della santit nelle situazioni ordinarie della sua esistenza. Non c' altra strada per essere felici. I cammini della fede, della speranza, del desiderio portano a Cristo, "Via, Verit e Vita". Ges Cristo: il Tempo e l'Eternit; Lui la pienezza del tempo, Lui sostanza dell'eternit. Cos il tempo cessa di essere un mistero e diventa un tesoro. Non un "tesoro nascosto" ma un tesoro che nasconde la stupenda ed esaltante avventura dell'uomo che cerca, incontra e incessantemente desidera il suo Dio. Dopo aver sperimentato l'incontro con la misericordia di Dio, in un crescendo splendidamente irresistibile, S. Agostino esclama:"O aeterna Veritas, et Vera Caritas, et cara Aeternitas! O eterna Verit, o vera Carit, o cara Eternit! Tu sei il mio Dio, a Te sospiro giorno e notte (...) Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e l ti cercavo. Mi avventavo, io deforme, sulle cose belle da te create, che, se 9
non fossero in te, neppure esisterebbero."4 Quel "tardi", cos pieno di nostalgia e di rimpianto, contiene tutto il tempo che abbiamo perduto lontani da Dio, ad inseguire i fuochi fatui della superbia o a giocare con i fantasmi dell'amor proprio, ad ingannarci con le menzogne del piacere. O cara Aeternitas! O Tesoro nascosto nel tempo! Luminoso Mistero che non ti dischiudi "ai sapienti e agli intelligenti ma ti riveli ai piccoli. A Te convergono i cammini della fede, i sentieri della speranza, tutti i desideri dell'Amore!
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sublimi, chiuso nel suo essere contingente, senza prospettive e senza futuro. In fondo, l'angoscia dell'uomo che ha perduto Dio e ha rifiutato la fede non che una claustrofobia dello spirito. Il suo pensiero ripiegato su s stesso ha perduto il respiro dell'eternit, l'apertura agli orizzonti di Dio. Il termine stesso "esistenza", ex-sistere, indica che il mio essere viene da un Altro; io "in-sisto" su un fondamento che non sono io, mi appoggio, mi radico fuori di me stesso. Il mio rapporto esistenziale con Dio ci che mi definisce, mi fa essere, mi rende intelligibile. Senza Dio, io non sono nemmeno pensabile. Del resto, se l'uomo non creatura di Dio, chi ?...Forse un prodotto della Natura, cio di una matrigna che non ha nome, non ha volto, non ha identit? Forse il frutto di una forza cieca, anonima, indefinibile? L'uomo, cos, non sa pi da chi viene e perch esiste. Un senso acuto di smarrimento lo pervade, lo minaccia una sensazione di paura davanti a ci che egli non sa prevedere o non sa dominare, lo avvolge una insicurezza di fondo che si scatena nel bisogno di appropriarsi di s stesso, di trovare certezze nelle proprie risorse, spesso in atteggiamenti di aggressivit intellettuale, di violenza edonistica e di presuntuoso pragmatismo. In realt queste reazioni tentano di coprire una profonda tristezza, una nostalgia, un malessere esistenziale che insegue implacabilmente l'uomo che ha perduto Dio. E' la "sindrome dell'orfanello", di chi non sa chi suo padre, di chi ignora la sua appartenenza e la sua famiglia.
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8 - Ritrovare le origini
Dobbiamo tornare a Dio; dobbiamo ritrovare la strada che conduce a Lui perch abbiamo bisogno di ritrovare noi stessi, di riscoprire il nostro nome e la nostra "immagine", perch si illumini dentro di noi la nostra identit e il nostro destino. Dobbiamo ritornare al nostro posto di creature docilmente vincolate a Dio, all'Autore di tutto: del nostro essere, del nostro vivere, della nostra sorte futura. "In manu tua tempora mea" 5, nelle tue mani sono i tempi e le stagioni della mia esistenza. Dobbiamo tornare a Dio come creature sue per riassaporare il gusto della libert, per uscire dall'inganno di altre appartenenze, per rompere dentro di noi il cerchio della solitudine. Nessuno pu cacciare Dio, nessuno pu evitare la sua presenza, eludere la sua luce. Non c' buio, non c' nascondiglio che possano accogliere le nostre fughe da Dio. Victor Hugo ha messo in versi struggenti il disperato tentativo di Caino di proteggersi dall'Occhio di Dio che lo inseguiva ovunque. Ma Dio non ha bisogno di inseguirci; Egli con noi sempre, nel profondo del nostro essere. Egli, scrive S. Agostino, "intimius meo", nelle pi inaccessibili profondit di me stesso. L dove nessuno pu raggiungermi, Egli presente. Chi pu raccontare l'onda di gioia che sgorga dal profondo del nostro cuore quando ci apriamo a Dio affidandoci a Lui, quando ci lasciamo prendere dalle sue mani, mani grandi, potenti, tenere, come grembo dolcissimo, che scioglie con la forza del suo calore il freddo di una solitudine senza riparo, di una vicenda senza nome! Chi pu tradurre in parole umane il fremito di giubilo, l'estasi di felicit che percorre ogni fibra del nostro essere quando arriva al cuore, dal fondo dell'eternit, la Voce che invade di stupore il silenzio dell'anima: "Filius meus es tu, ego hodie genui te". 6 Sei mio figlio! oggi, adesso, ti genero alla mia vita? Filius meus! non un prodotto della Natura, imprevisto e fatalmente programmato; Filius meus! non un oggetto smarrito da recapitare al Monte di piet delle strutture umane; Filius meus! e non una "res nullius", cosa di nessuno, da contrassegnare con un numero o una sigla in attesa di un proprietario. Filius meus! Filius meus! Filius meus! Quale sapore di miele queste parole lasciano nell'anima quando il nostro essere si schiude alla voce di Dio, alla sua potenza di Creatore e Signore della nostra vita!
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sua ricchezza e verit. Questo rapporto di creatura pu aprirsi a un dialogo divino, a un colloquio intimo, o anche a un silenzio d'amore dove le parole sono intensi moti dell'anima che guarda a Colui che l'ha creata e contempla le meraviglie della sua sapienza e della sua onnipotenza. "Dominus, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum", Signore, nostro Dio, quanto grande il tuo nome su tutta la terra.8 In noi cristiani questo atteggiamento contemplativo si fa orazione, che diventa canto di lode, di adorazione, di gratitudine. La gloria di Dio, che lo splendore delle perfezioni divine, si dispiega davanti agli occhi stupiti dell'anima che non trattiene il suo grido di ammirazione e di esultanza: Laudamus Te! Benedicimus Te! Adoramus Te! Glorificamus Te! Lode a Te! Adorazione a Te! Grazia e benedizione per la tua gloria immensa, o Dio, mio Dio! Stare con verit al nostro posto di creature stare davanti a Dio avendo deposta ogni sufficienza, ogni pretesa, ogni malumore, ogni diffidenza, ogni aggressivit. E' libert, libert vera, piena; capacit di muoversi in mezzo a tutte le creature senza legami, perch quando si contempla il volto di Dio ogni altro volto svanisce, ogni creatura rivela la sua analogia che rimanda totalmente a Lui, alla sua onnipotenza, al suo splendore, alla sua grazia. Tutte le creature, anche le pi perfette, le pi seducenti, le pi affascinanti, hanno un'unica risposta alla inquietudine dell'animo umano: quaere super nos! cerca sopra di noi. (S.Agostino) Cos il massimo di dipendenza - quella di creatura che tutta da Dio e che tutta per Iddio, a Lui totalmente votata - anche il massimo di libert. E' la vera "devozione" cristiana. Il latino "de-vovere" significa appunto libert da ogni legame per diventare decisione interiore di servire Dio e la sua causa. Tutte le creature sono allora voci amiche che non ci distraggono da Dio ma ci raccontano invece la sua gloria esplosa nella creazione. "I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annuncia il firmamento". 9 Il cristiano sa essere contemplativo in mezzo al coro delle cose create e anche nel frastuono delle realt terrene: il lavoro, le attivit della vita quotidiana, gli affetti nobili e puliti, le vicende che accadono nella vita della societ e dei popoli. Dobbiamo metterci al nostro posto di creature e guardare a Dio per vivere in profondit. La profondit della vita, anzi la profondit di tutte le cose consiste nel loro rapporto con Dio; solo allora le cose diventano una strada per arrivare a Lui. Perci lo strepito di tutto ci che pu accadere intorno a noi non impedir il nostro raccoglimento interiore, n ci toglier la pace che propria di chi sa di vivere sicuro nelle mani di Dio. Chi non sa pensare s stesso come creatura amorosamente vincolata al suo creatore non sar mai un contemplativo, n di Dio n del creato, e finir sepolto nel chiasso di avvenimenti che non hanno storia n significato. Non c' solitudine pi opprimente e insieme pi assordante di quella in cui precipita un'anima quando ha perduto Dio o rifiuta il proprio rapporto con Lui. Il tempo diventa un baratro se gli togli l'eternit! E tu non sei fatto per il baratro o per la disperazione. Non ingannarti: quando l'uomo smarrisce o semplicemente dimentica Dio, dimentica l'Eternit, e diventa un vagabondo nel tempo, un errante nella propria storia, un barbone senza fissa dimora, sperduto tra le cose, una sorta di ubriaco che gira su s stesso, intorno a s stesso...; la sua esistenza terrena sar un cammino doloroso e difficile, diventer un viaggio agitato, in tutte le direzioni senza direzione, e alla fine si concluder in un naufragio, senza certezze e senza speranza. Se ritrovi Dio, le sue braccia forti, sicure, dolcissime, hai ritrovato il filo della tua vita, hai ritrovato te stesso, la tua eternit, la tua pace. Camminerai verso la vita, la verit, la gioia. "Ci che il nostro tempo chiede tempo e solo tempo, mentre ci di cui ha bisogno Eternit". (Kierkegaard).
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Quale Fede?
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Intanto, "finch abitiamo nel corpo, in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non nella visione". 13 "La Chiesa, scrive S.Agostino, conosce due vite: una nella fede, l'altra nella visione; una nel tempo del pellegrinaggio, l'altra nell'eternit della dimora; una nella fatica, l'altra nel riposo; una lungo la via, l'altra nella patria; una nell'attivit, l'altra nel premio della contemplazione". 14 Qui sulla terra, la nostra conoscenza del vero Dio, del Dio Uno e Trino rivelato da Ges Cristo, non pu essere che velata e mediata. Velata perch ha bisogno di segni, mediata perch passa attraverso i concetti e i simboli intellettuali. E' comunque una conoscenza che esige, anch'essa, una luce soprannaturale, il "lumen fidei", la luce della fede. "Nessun uomo in verit ha mai visto Dio n lo ha fatto conoscere, ma Egli stesso si rivelato. E si rivelato nella fede, alla quale soltanto concesso di vedere Dio". 15
11 - Fede umana
La fede - il "lumen fidei" - dunque una conoscenza soprannaturale. Ci viene infusa nell'anima col Battesimo e ci porta ad accogliere la Rivelazione di Dio. Non dobbiamo perci confondere la fede cristiana con altre manifestazioni analoghe. Esiste infatti una fede umana che consiste nell'accogliere la parola di un uomo, e ha per fondamento la testimonianza umana. Cos il bambino crede ai genitori, l'alunno crede all'insegnante, l'amico crede all'amico. La fede umana vale quanto vale la parola dell'uomo. Ora l'uomo pu ingannarsi a volte, e pu anche ingannare e tradire. Eppure molto spesso crediamo ciecamente al giornale, al dossier televisivo, ai testi scolastici, alle affermazioni degli "esperti", e cos via. Possiamo affermare che un'alta percentuale delle cose che sappiamo le conosciamo per fede umana. Ora, giusto avere fiducia nell'uomo, anzi doveroso; ma i gradi di certezza di questa fede variano enormemente e dipendono dal grado di credibilit offerto dalla testimonianza umana. Questa fede umana ancora una fede pre-religiosa, appartiene cio ai preamboli della Fede. E' una fede estremamente importante, indispensabile sul piano umano, perch senza di essa non si possono stabilire rapporti umani validi quali occorrono per una vera convivenza sociale e famigliare; non si d nemmeno vera cultura n scienza credibile. Vedremo la sua importanza anche come presupposto della Fede cristiana.
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cristiana...) per "scimmiottare", adulterandolo e deformandolo, il senso religioso insito nella coscienza dell'uomo, riuscendo spesso a farsi annoverare tra le espressioni della religiosit ufficiale. Se le ideologie rappresentavano una forma di razionalismo rigido ed esasperato, una pazzia pi o meno lucida dell'intelligenza, le stte e i moviment i pseudo-religiosi hanno le caratteristiche dell'irrazionalit, della negazione dell'intelligenza; sono espressioni, a livelli pi o meno intensi, di una emotivit esasperata e confusa che cerca la sua sicurezza nel fanatismo di massa o nella figura di un leader religioso, un santone, un "predicatore" illuminato, un guru, un qualsiasi "fondatore" purch carismatico, la cui personalit sappia incarnare gli ideali di forza, di successo e di potenza che si nascondono nel "super-uomo" mancato, presente in tante psicologie deboli, o che almeno costituisca, tale leader, una garanzia contro le proprie frustrazioni, contro la carenza di senso esistenziale, o la perdita di consenso nel proprio ambiente di vita: la famiglia, la professione, il ruolo sociale, sia esso civile o religioso. Si tratta dunque di una "fede" umana ma adulterata, fondata cio tutta su una testimonianza umana assolutamente inaffidabile perch sganciata da ogni riferimento con la realt, da ogni supporto storico legato a fatti o ad avvenimenti, farcita di principi astratti pseudo-scientifici e pseudo-mistici che hanno impatto sull'emotivit e scatenano atteggiamenti acritici, istintuali. Da qui il loro facile aggancio al mondo dello spiritismo, della magia, della stregoneria, con rituali iniziatici e occulti. A questa fede umana falsificata e corrotta pienamente applicabile il noto anatema di Geremia: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore". 17
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diffondendosi nel mondo sotto la spinta di una "civilt dell'uomo" sempre pi secolarizzata. Tuttavia le religioni naturali possono costituire un ostacolo alla fede cristiana quando esse si identificano con la cultura, la storia, la vita di un popolo e a volte con la sua politica; il pericolo del nazionalismo religioso. In questo caso le religioni "somatizzano", perdono in profondit spirituale e sfociano nel fondamentalismo fanatico e intollerante. Al contrario, la salvezza offerta dalla fede cristiana destinata, per volont di Cristo, a tutti i popoli, di tutte le razze e di tutte le culture. Di di esse e di ogni altra civilt, la Chiesa pu e deve salvare, valorizzare e utilizzare tutto ci che si presenta umanamente valido, nobile e compatibile con la verit rivelataci da Dio. Infine, la fede cristiana non va confusa con il vago teismo di chi dice di credere in "Qualcuno" che al di sopra di noi, non importa con quale nome venga chiamato dai vari popoli, il nome non ha importanza, l'importante sapere che Qualcuno c'. Sotto queste affermazioni, del resto molto superficiali, si nasconde un atteggiamento scettico e offensivo che prescinde da qualsiasi conoscenza di Dio e da qualsiasi culto verso di Lui. Sono affermazioni prive di contenuto religioso; esprimono solo un teismo vago e teorico, assolutamente ininfluente, che non costa nulla e lascia in noi le cose come sono, senza minimamente influire sulla vita. Eppure, a questo livello scaduta la "fede" in molti cristiani, diventata una religiosit rozza ed elementare che non ha niente in comune con la vera fede.
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presente nella sua realt di Signore e di Salvatore. La conseguenza di questo incontro folgorante con la persona di Cristo, vivo e presente, stata immediata: "Che devo fare, Signore?". 20 La fede diventa la nuova coordinata della sua vita, il nuovo criterio di valutazione di ogni cosa, la presenza determinante di Cristo che d'ora in avanti decider di tutta la sua esistenza. Anche in noi, questo atteggiamento di assoluta e totale apertura a Dio presupposto indispensabile per la vera fede. "Fede cristiana" - lo ripetiamo - precisamente questo: l'incontro personale con Dio in Ges Cristo, al quale rispondiamo con una adesione piena e totale.
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Rosso, lo ha condotto nel deserto guidandolo con la nube luminosa e la colonna di fuoco, lo ha nutrito con la manna e dissetato con l'acqua fatta zampillare dalla roccia, lo ha salvato dalla morte con il segno del serpente di rame innalzato sopra gli accampamenti, infine lo ha reso vittorioso sui nemici con la preghiera di Mos. Con questi "segni" della sua potenza, Dio mostrava di essere in mezzo al suo popolo e di accompagnarlo nel suo cammino; si trattava dunque di una presenza salvifica che avrebbe portato a una libert nuova in una terra nuova. Ma tutto questo era anche una figura che anticipava profeticamente la vera salvezza. Quei "segni" infatti, diventeranno realt in Cristo; in Lui si compir la salvezza vera, la salvezza dal peccato e dalla morte. E' Lui infatti la salvezza di tutto il genere umano; la sua Umanit Santissima il "segno efficace" della presenza salvifica di Dio nel mondo. Ges stesso si richiama a quei segni quando spiega alle folle e ai suoi apostoli come in lui si sono compiute le Scritture. Quei segni compiuti da Dio per mezzo di Mos, erano puramente "indicativi" e operavano solo una salvezza temporale; in Cristo i segni della salvezza diventeranno "efficaci", cio opereranno realmente la salvezza eterna per ogni credente. Cos, l'agnello sacrificato, il cui sangue ha scampato gli Ebrei dallo sterminio e li ha liberati dalla schiavit, figura di Cristo sacrificato sulla croce: il suo sangue fa dell'intera umanit un "popolo redento", e il suo sacrificio verr perpetuato ogni giorno sugli altari nella Santa Messa; le acque del Mar Rosso, che seppellirono il Faraone e salvarono la vita a Mos e al suo popolo, diventeranno le acque del battesimo che seppelliscono "l'uomo vecchio", schiavo del peccato, e lo rigenerano alla Vita; la manna, che ha nutrito il popolo nel deserto, sar per noi l'Eucaristia, "pane vivo disceso dal cielo" che ci nutre e ci sostenta nel nostro cammino sulla terra; il serpente di rame che guariva dai morsi dei serpenti, figura di Cristo crocifisso che perdona e ci guarisce dai morsi letali delle nostre colpe quando a lui "guardiamo" attraverso il sacramento della Confessione; l'acqua viva scaturita dalla roccia percossa dalla verga di Aronne lo Spirito Santo che sgorga dal cuore trafitto di Cristo Crocifisso; infine, nella colonna di fuoco che guidava il popolo e nella nube luminosa che lo proteggeva nel deserto, possiamo vedere l'opera dello Spirito che, con la sua presenza nella Chiesa, guida e custodisce nel cammino coloro che Cristo ha liberato. La fede, dunque, ci conduce a Cristo presente nella Chiesa e operante nei suoi Sacramenti. Cos il "Dio-che-salva" ormai definitivamente presente in mezzo agli uomini. Perci: Fede e Grazia. La fede da sola non basta, occorre la grazia, e Dio ha voluto che "la verit e la grazia venissero a noi per mezzo di Ges Cristo". 25 Ges poi continua ad essere presente e ad operare nel mondo attraverso la Chiesa che, per mezzo del vangelo e dei sacramenti, fa arrivare la verit e la grazia a tutti gli uomini. Dio ha voluto che questi fossero i mezzi normali per raggiungere la salvezza. Non c' dunque vita cristiana senza sacramenti, e la fede stessa senza la grazia morta.
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fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile (...). Non ti farai idolo n immagine alcuna di ci che lass nel cielo n di ci che quaggi sulla terra (...) non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perch io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso (...) Non pronunciare invano il nome del Signore tuo Dio (...) Osserva il giorno del Sabato per santificarlo, come il Signore tuo Dio ti ha comandato (...) onora tuo padre e tua madre, perch la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dar. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non pronunciare testimonianza falsa contro il tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, n il suo campo, n il suo bue (...)". Queste parole pronunci il Signore parlando a tutta la vostra assemblea sul monte, dal fuoco, dalla nube e dalla oscurit, con voce poderosa, e non aggiunse altro. Le scrisse su due tavole di pietra e me le diede". 27 I Comandamenti diventano cos agli occhi degli Ebrei uno dei segni pi evidenti e insieme pi commoventi della presenza di Dio in mezzo a loro; una garanzia che Dio non li aveva abbandonati e che si prendeva cura di loro. Tutta la storia dIsraele sotto il segno di questa alleanza, e la Legge, che sar considerata da tutto Israele come un dono di predilezione, rimarr il termine di confronto nel rapporto tutto singolare del Popolo eletto con il suo Dio. Ora, la fede ci fa vedere in Cristo il nuovo e definitivo legislatore dell'umanit, il nuovo e unico Mediatore della nuova Alleanza tra Dio e gli uomini, Colui che ha portato la grazia all'interno della Legge e ha dato ad essa una nuova dimensione: la dimensione della libert e dell'amore. Perci la Legge diventa, in Cristo, vocazione ad essere perfetti secondo le Beatitudini del Vangelo, cio secondo la nuova dignit di figli di Dio. Se viene meno la fede, anche la coscienza, come testimone della legge, si oscura, e se manca la grazia, non solo rimane incomprensibile la morale delle Beatitudini, ma gli stessi Comandament i dell'Alleanza risultano gravosi e spesso impraticabili.
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osserver la mia parola, e il Padre mio lo amer e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui".29 Scopriremo anche che proprio i Comandamenti di Dio e la legge morale che egli ci ha dato sono garanzia e difesa dell'essere umano e della sua dignit, sono il pi autorevole baluardo contro ogni sopruso ed ogni violenza, e infine sono il fondamento pi solido alla retta convivenza tra gli uomini. Con ragione Israele considerava la Legge un dono immensamente prezioso, segno della predilezione di Dio. Il Signore tuttavia dovette rimproverare frequentemente il popolo ebreo per la "durezza del suo cuore", perch non seppe leggere con la fede quei "segni" e non si fid della parola del Signore: "Mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere (...) e io dissi: sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie". 30 Quando Mos scese dal Sinai, trov il popolo "che sedeva a mangiare e a bere e si alzava per divertirsi" e danzava davanti al vitello d'oro cantando: "Ecco il tuo dio, o Israele, colui che t'ha fatto uscire dal paese d'Egitto!". 31 Non c' dubbio che il consumismo sfrenato dell'uomo contemporaneo uno dei sintomi pi evidenti dell'abbandono della fede, e si presenta come la somma di tutte le innumerevoli idolatrie che hanno contagiato il cuore dell'uomo. Proprio nel Deuteronomio, Mos mette in guardia il popolo dall'uomo consumistico che, dimentico di Dio, tutto intento ad adorare il suo vitello d'oro. "Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio, cos da non osservare i suoi comandi, le sue norme e le sue leggi (...) quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto in questo deserto grande e spaventoso (...) per farti felice nel tuo avvenire (...) guardati dunque dal pensare: la mia forza e la potenza delle mie mani mi hanno acquistato queste ricchezze (...)".32
Gv. 14,23 Salmo 94,10 Es. 32,4-6 Deut. 8,11... Es. 25,10...
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Cristo ha affidato non tanto le tavole della legge ma il suo Vangelo e tutta la ricchezza del suo insegnamento, non la manna ma i Sacramenti che comunicano la grazia e la Vita, non la verga di Aronne ma il suo sacerdozio con cui pasce e conduce il gregge del Padre. La Chiesa diventa cos il "segno levato sulle Nazioni", perch gli uomini non dimentichino, perch sappiano che c' Dio in mezzo a loro, perch comprendano finalmente che possono ottenere salvezza e redenzione, e che li attende una "terra promessa" costituita da "cieli nuovi e terra nuova" dove "Dio sar tutto in tutti".
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Betlemme. Anche per loro c' stato un "roveto ardente" dal quale il Signore li ha chiamati e si loro manifestato come in una teofania: "Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo". 36 Quella stella stata per loro una rivelazione, il segno di una chiamata, di un invito a cercare il "Dio-che--venuto-a-salvarci". Per loro, pagani e uomini di mondo, la salvezza aveva il significato della regalit, il "Redentore" avrebbe ristabilito la signoria di Dio su tutte le cose, avrebbe riunito tutti i popoli della terra in un unico regno, governato con giustizia e nella pace. Quei Magi risposero alla chiamata e si misero in cammino alla ricerca di Cristo "per adorarlo", disposti cio a riconoscerlo come Re e Salvatore, a sottomettersi a Lui e a servirlo. Commuove innanzitutto la prontezza con la quale questi uomini saggi e potenti rispondono alla chiamata di Dio; si lasciano condurre con fiducia e senza incertezze dalla fede e non temono di affrontare un viaggio di cui non conoscono il percorso, la durata, le difficolt, un viaggio che offriva una sola certezza: li avrebbe portati a incontrare il Re dei Giudei, il grande Atteso da tutti i popoli. E difficolt ne hanno certamente incontrate prima di arrivare a Gerusalemme: fatiche, stanchezza, sacrifici. Ma la certezza che veniva loro dalla fede stata pi forte di tutti i timori e di tutti i dubbi che venivano dalle situazioni difficili di un viaggio pieno di incognite e, umanamente parlando, molto simile a una pazzia. Arrivati poi a Gerusalemme, la prova della loro fede tocc il momento pi duro e cruciale. Si aspettavano di trovare la citt in festa, tutta un tripudio per la nascita del Gran Re; trovarono invece una citt indifferente, dominata dal sospetto e dalla paura. Per di pi quella che era stata la loro certezza e la loro guida, la stella apparsa in Oriente, scompare dal loro cammino. Le stesse informazioni, pur esatte e sicure dei sacerdoti e degli Scribi, celavano una strana freddezza e un inspiegabile disinteresse. Infine l'ignoranza di Erode, pur cammuffata da un ostentato entusiasmo, come poteva accordarsi con l'importanza di un fatto cos grande e atteso? Ebbene, nonostante tutto questo i Magi continuano a "credere"; non dubitano, non desistono, non si lasciano scoraggiare o fermare. Avevano visto la stella e non potevano dubitare. Gli uomini possono anche ingannarsi o ingannare, e possono anche tradire, ma il Cielo no! Il loro viaggio non era finito e la strada intrapresa, anche se per un momento nascondeva la sue tracce, non poteva esaurirsi nel nulla, come nella sabbia del deserto. Bisognava continuare, insistere, cercare; la meta era certa, il cammino sicuro, la direzione era giusta. Fu allora che la stella riapparve, e con la stella la luce e la gioia: il cielo confermava il suo messaggio. Giunsero cos a Betlemme, e quella stessa fede che li aveva guidati li fece cadere in ginocchio senza esitazioni e senza scandalo anche se il grande Re, l'Atteso delle genti, si presentava a loro in un alloggio umile e disadorno, nella debolezza e nella semplicit di un Bambino che non aveva nulla di regale, in un luogo lontano dai centri della potenza mondana. Videro il Bambino e adorarono il Re, videro l'uomo e credettero in Dio.
Mt. 2,2
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emarginazione, o anche lo sconcerto per il silenzio di Dio davanti alla violenza delle passioni umane....; ma non dobbiamo fermarci, non possiamo dubitare. Abbiamo visto anche solo una volta, magari da bambini, la stella della fede nel cielo della nostra anima? Abbiamo udito, sia pure tra mille voci assordanti, la voce della Chiesa che ci indicava la strada? Ebbene, non dubitiamo, non lasciamoci intimorire o fermare da nulla e da nessuno. La meta non potr essere che la grotta di Betlemme con il Bambino e sua Madre. L, in quella grotta, si incontrano la verit di Dio e la verit dell'uomo, l la vita prepara la sua rivincita sulla morte, l la nostra offuscata dignit di creature trova lo splendore della nuova dignit di figli di Dio.
Lc. 24,13-35
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speranza e amore; una solitudine che rimane anche nel chiasso delle ambizioni e dei piaceri mondani, e ancor pi rimane nel vuoto alienante delle discoteche e degli stadi. Tuttavia dobbiamo mantenerci fermamente convinti che Ges non si stacca da noi mai, che continua ad accompagnarci soprattutto nei momenti pi duri e difficili del nostro cammino. Qualunque cosa succeda, qualunque situazione interiore possa verificarsi, non dobbiamo mai allontanarci dal Signore. I due discepoli, pur senza riconoscerlo e pur appesantiti dallo scoraggiamento, trattennero Ges durante il viaggio e lo forzarono a fermarsi con loro come ospite. Se lo avessero lasciato andare e proseguire oltre non sarebbe successo nulla; forse avrebbero smarrito definitivamente la fede e sarebbero naufragati nello scetticismo, delusi per sempre. Dobbiamo continuare a frequentare Cristo nel Vangelo, nella preghiera e nei Sacramenti, anche se tutto ci sembra inutile e falso, anche se non avvertiamo pi in modo sensibile la sua presenza, anche se tutte le nostre speranze e le nostre certezze sembrano crollate. Non ci pu essere dentro di noi una notte cos buia che non possa essere illuminata dalla Parola di Dio; non ci pu essere nel nostro cuore una tristezza tanto cupa e tanto fredda che non possa essere riscaldata dalla presenza dolce e amorosa di Cristo. Dobbiamo "volere" fermamente la fede; cio, dobbiamo anche noi, come i due discepoli di Emmaus, saper "trattenere" Ges, quasi costringerlo a continuare il suo cammino con noi. Si scioglieranno nella nostra anima le durezze, le oscurit, le tristi freddezze; arriveremo anche noi a dire, per averlo provato direttamente: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, mentre ci spiegava le scritture?". 38 Non stacchiamoci da Cristo, mai! Egli vincer i nostri dubbi, le nostre angosce, le nostre delusioni. Ritorner la luce, fiorir la speranza, rinascer la gioia." Non si turbi il vostro cuore e non abbia timore, non vi lascer orfani, ritorner a voi (...) Ora siete nella tristezza; ma vi vedr di nuovo, (e anche voi mi vedrete) e il vostro cuore si rallegrer e nessuno vi potr togliere la vostra gioia". 39 Comprendere le cose di Dio, riconoscere Cristo accanto a noi anche quando avvenimenti difficili e dolorosi lo nascondono ai nostri occhi: ecco il cammino della fede, il nostro itinerario che deve portarci sulla strada di Gerusalemme. E la nostra gioia dovr essere cos contagiosa da trascinare con noi verso il Signore tant i discepoli scoraggiati e delusi che hanno smarrito la strada della fede, la strada della pace. Dobbiamo avere in noi tanta fede, tanta certezza da essere un altro Ges per quanti incontriamo nella vita, e per quanti incrociano la nostra strada.
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mezzi comodi e veloci che il Padrone della strada - il Signore - ci mette a disposizione. Sul nostro cammino della fede, infatti, il Signore presente con la luce della sua verit - il suo vangelo - e con la grazia dei suoi sacramenti. Inoltre la Chiesa ci guida e ci accompagna lungo il percorso con l'attenzione e la cura proprie della sua missione materna. Talvolta succede anche che il Signore ci fa "volare" nella fede con interventi particolari della sua grazia e con i doni dello Spirito Santo. Da parte nostra i passi che muoviamo su questa strada corrispondono ai singoli atti di fede che esprimiamo nella nostra vita aderendo di volta in volta al Signore. Ora, ci sono cristiani che non compiono mai atti di fede; sono coloro che hanno dimenticato Dio nella loro vita e hanno abbandonato la preghiera e i sacramenti. In loro la fede morta e la loro vita non molto diversa da quella dei pagani che non conoscono Dio. Senza la fede, il loro cammino sulla terra molto simile a un viaggio nel buio, nella nebbia pi fitta, e non sanno da dove viene e dove conduce il loro sentiero. Il lungo silenzio che li separa da Dio e che dura da anni, conosce solo il vociare assordante dei ragionamenti umani; essi continuano nella vita accontentandosi delle provvisorie certezze del sapere umano, della buona salute, del successo economico ma in realt portandosi dentro un immenso bisogno di Dio.
Ebr. 10,38
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non si nota pi distinzione tra fede e amore; tutto nella loro vita illuminato dalla fede, tutto mosso dall'amore.
28 - Fede e preghiera.
Possiamo dire che il grado di fede raggiunto dalla nostra anima pu darci la misura della nostra vita cristiana. Vediamolo in alcuni aspetti particolari della vita spirituale dove la fede ha un ruolo insostituibile. Innanzitutto il rapporto tra fede e preghiera. E' un rapporto reciproco: senza la fede non si d preghiera cristiana e senza la preghiera la fede manca del suo respiro e si spegne. Abbiamo detto "preghiera cristiana", cio la preghiera di Cristo, quella che lui ha praticato e che lui ci ha insegnato. La preghiera di Ges si differenzia da tutte le altre forme di preghiera che troviamo nella religiosit umana. Nelle varie religioni la preghiera nasce dall'uomo; suppone un naturale bisogno del divino che spinge la mente e l'animo dell'uomo a cercare Dio. La preghiera assume cos la forma di invocazioni propiziatorie, di riti e pratiche cultuali che hanno forte incidenza sulla emotivit e che a volte si esprimono con formule elaborate e di effetto, oppure si sviluppano in forme pi interiori come meditazioni intellettuali, esercizi spesso impegnativi di ascesi e di purificazione, tecniche psicologiche per approppriarsi del proprio corpo e del proprio mondo interiore. Esprimono comunque la nostalgia dell'animo umano che ha sempre desiderato Dio e lo ha affannosamente cercato. Tuttavia l'unione con Dio una realt che trascende l'uomo e ogni sua iniziativa, una realt della quale non ci si pu impossessare con nessuno sforzo naturale e con nessuna tecnica umana per quanto raffinata. La preghiera l'elevazione dell'anima a Dio. Noi cristiani sappiamo di non poter appoggiarci su alcuna forza nostra per arrivare al trono di Dio, e sappiamo anche di non avere titoli per essere da Lui ascoltati: non abbiamo meriti, non abbiamo virt, non abbiamo opere proporzionate. L'unico titolo che abbiamo quello conferitoci da Ges: siamo figli. Lui stesso ce lo ha ricordato: "Quando pregate dite cos: Padre..." Gi questo, di rivolgerci a Dio e di chiamarlo Padre, un grande atto di fede; ma poi ogni preghiera, da quella pi semplice a quella pi sublime deve nascere dalla fede nella paternit di Dio. Quanto pi viva questa fede tanto pi la nostra preghiera si trasforma nel colloquio intimo di un figlio con suo padre. La strada dell'orazione si identifica dunque con quella della fede. Una fede vera, autentica, genera in noi un senso vivo e gioioso della nostra filiazione divina, ci mette subito al nostro posto, non solo di creature ma di figli che Dio ha chiamato alla sua intimit, alla partecipazione della sua stessa vita. E' una prospettiva cos bella e affascinante che dovrebbe rendere la preghiera facile e spontanea, invece la nostra superbia, la nostra paura, il demonio stesso, ce la rendono cos difficile e faticosa che il Signore ha dovuto rimproverarci: "Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto pi il Padre vostro celeste dar lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono". 41
Lc. 11,13
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assolutamente esemplare di stare con Dio e di parlare con lui. Per questo una preghiera che nasca dalla filiazione divina sempre efficace perch Dio non vuole rifiutare nulla a un figlio che crede in lui e si abbandona al suo amore paterno. Anzi, sappiamo che Dio ascolta anche i peccatori quando la loro preghiera scaturisce da un cuore umile e contrito, quando si riconoscono bisognosi della sua misericordia e si affidano alla sua bont di Padre. Il vero impedimento alla preghiera la superbia; essa ci fa stare davanti a Dio con l'atteggiamento della pretesa, come se avessimo dei diritti o potessimo contare sui nostri meriti. La nostra condizione davanti a Dio quella di debitori insolventi che non hanno di che pagare. 42 Anche le nostre opere buone pi preziose non sono che poveri spiccioli che valgono ben poco agli occhi di Dio. Gli unici meriti che possiamo vantare sono quelli che ci ha guadagnato Ges sulla croce. Il suo sacrificio ha accumulato per noi un tesoro infinito, e solo attingendo a questo tesoro noi possiamo pagare i nostri debiti con Dio e riparare il male fatto con i nostri peccati. Ges porta ancora nella sua carne i segni della passione, e con essi sta davanti al Padre nella gloria del cielo come nostro Grande Intercessore. Perci la Chiesa, nella sua liturgia conclude tutte le preghiere rivolgendosi al Padre "per i meriti di nostro Signore Ges Cristo.". Questa umilt caratteristica esclusiva della preghiera cristiana; anche l'atteggiamento che garantisce autenticit e gioia al nostro rapporto con Dio. Possiamo infatti stare davanti a Lui e dirgli con assoluta fiducia: "Padre, sono tuo figlio, peccatore e pieno di miserie, ma tuo figlio. Tu hai chiesto a Ges, il tuo figlio prediletto, di dare la sua vita per me; io te lo offro, e insieme con lui ti offro me stesso, la mia vita, tutte le cose che porto nel mio cuore. Ti offro anche tutto ci che mi appartiene, non esclusi i miei peccati, le mie miserie, la mia debolezza". Noi saremo ascoltati da Dio non per la nostra preghiera, ma per la nostra fede; quella fede che ci porta ad essere fermamente convinti che Dio ci ama, e ci ama non per i nostri meriti, per le nostre virt o qualit che spesso non ci sono, ci ama solo in forza della sua paternit divina. Dubitare di Lui il torto pi grave che possiamo fare a Dio, perch mettere in dubbio quello che lui ha fatto per noi: ci ha fatti suoi figli e ci ha dato Ges come Redentore. Sono questi i due punti di forza della nostra preghiera. Questa fede umile ma fermamente convinta ci libera dalla pretesa e ci riempie invece di audacia santa, secondo quelle parole di Ges: "In verit, in verit vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, Egli ve la dar. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete ed otterrete, perch la Vostra gioia sia piena". 43 Chiedere nel suo nome vuol dire appoggiare la nostra preghiera su Cristo crocifisso, ma vuol dire anche che dobbiamo pregare come ha pregato Ges: Egli si sempre fidato e affidato alla volont del Padre. Dal primo momento, da quando entrato nel mondo - "Vengo, o Padre, a compiere la Tua volont" - fino al momento estremo della passione - "Padre, non sia fatta la mia ma la tua volont" - tutta la vita di Cristo stata una preghiera di obbedienza al Padre. Anche noi, quando andiamo a pregare, andiamo a consegnarci con assoluta fiducia nelle mani di Dio; Egli sa pi di noi, e ci ama.
30 - La fede e la croce.
Il riferimento a Cristo crocifisso ci porta a considerare un secondo aspetto della preghiera, quello del suo rapporto con la Croce. Innanzitutto, la croce del Signore essa stessa una preghiera: la pi grande, la pi sublime preghiera in tutta la storia umana. Da allora, da quando il Figlio di Dio ha preso su di s il dolore e la
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morte, ogni sofferenza umana pu diventare preghiera. Saper vedere nel Cristo sofferente disteso sulla croce, con le braccia aperte verso il cielo, la preghiera vivente, la preghiera che sgorgata dal cuore del Sommo ed Eterno Sacerdote, penetra nei cieli e sale fino al Padre ottenendo la salvezza per tutta l'umanit, questo uno dei frutti pi consolanti della fede. Questa stessa fede aiuta poi ognuno di noi ad unire al dolore di Cristo le proprie sofferenze, piccole o grandi che siano, soprattutto le sofferenze che non riusciamo a capire, come la sofferenza innocente, quella ingiusta, quella provocata da cattiveria gratuita e crudele o da calamit che fanno pensare ad una natura matrigna e impietosa, in una parola le sofferenze che sembrano senza senso, assurde per la ragione e per il cuore. Saper unire queste sofferenze al dolore dell'unico Innocente, di Colui che "nei giorni della sua vita terrena offr preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua piet... e divenne causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono" 44, un frutto prezioso della nostra fede. La croce di Ges santifica il dolore, lo riscatta dalla maledizione, impedisce che diventi bestemmia, trasformandolo invece in preghiera, in espiazione, in salvezza. Anche in questo trova valore e significato la nostra partecipazione al sacrificio della Messa. Sul Calvario accanto a Ges Crocifisso e Innocente c'erano due colpevoli condannati alla stessa pena. Uno di loro si contorceva nella ribellione e trasformava il suo dolore in bestemmia, l'altro, consapevole che il dolore nasce dal peccato o comunque sempre segno del peccato, seppe trasformare la sua sofferenza in preghiera: "Ges, ricordati di me nel tuo regno!". In quel momento il dolore dell'uomo diventa dolore di Cristo, l'unico dolore veramente innocente, che salva e che redime. "In verit ti dico, oggi sarai con me in Paradiso". 45 Talvolta la sofferenza arriva improvvisa e violenta, come un urto, mette alla prova la solidit della nostra fede, rivela quali sono i veri atteggiamenti della nostra anima, e mostra fino a che punto sia abituale in noi la preghiera e quanto sia filiale il nostro rapporto con Dio. La sofferenza pu portare allora a quella forma squisitamente cristiana di preghiera che chiamiamo "preghiera di abbandono"; Ges l'ha vissuta in modo sublime nel momento supremo della sua vita: "Padre, nelle tue mani abbandono il mio spirito". 46
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vicenda terrena; la morte l'ultima nostra preghiera, il nostro definitivo abbandono al Dio della vita. L'itinerario della fede non facile, deve superare lo scandalo della Croce, deve passare attraverso il Venerd Santo, e saper anche accettare che la luminosa certezza di Cristo Risorto rimanga un mistero; esso attende la sua piena rivelazione nella "Parusia", cio al ritorno del Signore. Solo allora comprenderemo il significato di tutte le cose. Intanto la fede rimane una continua provocazione ad "andare oltre": oltre il sentire, oltre il conoscere, oltre il comprendere. La fede ci permette di rompere la crosta delle cose, di andare oltre il mondo delle apparenze; ci permette di vedere ci che sta "dietro" gli avvenimenti, dietro la storia e le vicende umane. La fede vedere Dio presente e nascosto; Dio che tiene in mano i fili di ogni esistenza e va tessendo l'arazzo della nostra vita in un misterioso e commovente dialogo tra la sua grazia e la nostra libert. L'arazzo pi prezioso e stupendo fatto di tanti fili di lana che, presi uno per uno, non dicono nulla; potresti sfilarli uno dopo l'altro e distruggere l'arazzo. Solo vedendoli nel loro insieme, cio nel loro rapporto col disegno dell'Artista, puoi capire il senso di ogni filo. Anche una cattedrale romanica fatta di mattoni; potresti levarli uno per uno e la Cattedrale non esisterebbe pi, e dove prima ogni mattone aveva il suo posto, il suo significato, ora non ci sarebbe che un mucchio di pietre senza senso. Qui sulla terra, solo la fede pu farci intravedere il disegno di Dio; ma non possiamo scorgerlo con chiarezza e completamente perch il tempo non basta per spiegarlo e il nostro sguardo incapace di abbracciarlo per intero. Anche ogni avvenimento della tua vita un filo di lana che, preso da solo, pu apparirti insignificante e a volte assurdo. Anche inserito nell'insieme pu sembrarti, visto in questa vita, come un groviglio inestricabile. Devi attendere - la fede anche attesa - di passare "dall'altra parte", dalla parte dell'eternit. Solo allora vedrai ogni cosa con chiarezza; allora non solo l'arazzo della tua vita, ma tutta la storia e la vicenda umana riveleranno il loro volto, la loro bellezza, il loro splendore. E capirai che la fede non ti ha ingannato, che la sua oscurit stata l'unica certezza che abbia veramente illuminato il tuo cammino sulla terra.
L'ATTO DI FEDE
32 - Latto pi nobile.
Abbiamo visto qual l'oggetto della nostra fede: Dio che rivela s stesso e realizza, per mezzo di Cristo, il suo progetto di salvezza, la redenzione dell'uomo, chiamandolo alla perfetta comunione con Lui. Ma al fine di fortificarci nella fede e di comprendere pi chiaramente la nobilt e la preziosit di questo dono, giova ora esaminare l'atto di fede in s stesso, cos come si compie in noi. Sulla terra non c' atto pi nobile di quello di aderire a Dio attraverso la fede; questo, infatti, l'atto pi sublime dello spirito umano. Ogni atto di fede impegna profondamente tutto l'uomo, la sua facolt intellettiva, la sua volont, il suo cuore; un atto profondamente umano e tuttavia un atto totalmente soprannaturale perch esige l'azione di Dio nella nostra anima; ogni atto di fede un mistero di libert e di grazia. Dall'analisi sul ruolo che ciascuna facolt del nostro spirito svolge nellatto di fede, comprenderemo anche la necessit di una sempre pi generosa purificazione interiore perch la fede si liberi pienamente e pervada tutta la nostra vita. 31
Vediamo innanzitutto il ruolo dell'intelletto. Ci riferiamo, ovviamente, a un intelletto normale, cio sano nel suo modo naturale di conoscere, libero quindi dalle ideologie, quelle malattie dell'intelligenza che rendono l'uomo incapace di formulare il bench minimo atto di fede. Il ruolo dell'intelletto fondamentale, non solo perch la fede implica un'attivit conoscitiva, ma anche perch l'intelligenza chiamata a svolgere un triplice lavoro nell'atto di fede: 1) ci documenta l'esistenza di verit rivelate da Dio; 2) ci mostra che queste verit sono credibili, perch vengono da Dio e sono accompagnate dalla sua testimonianza; 3) ci ricorda, infine, il dovere di assentire a queste verit perch Dio il Signore, e ha diritto all'omaggio anche intellettuale della sua creatura.
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di menzogna. San Luca, all'inizio del suo Vangelo, dice apertamente di essere andato a consultare coloro che furono testimoni fin da principio, e di aver fatto ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi, per poter farne un resoconto ordinato; e questo proprio perch la nostra fede fosse solida, cio fondata. A conferma della nostra convinzione su questi presupposti della fede, ricordiamo le parole del Concilio Vaticano II: "La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massime, che i quattro Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicit, trasmettono fedelmente quanto Ges, Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente oper e insegn per la loro eterna salvezza fino al giorno in cui fu assunto in cielo". 48
34 - Purificare lintelligenza.
A questo punto diventa necessaria una purificazione dell'intelligenza, che consiste nel liberarla dal dubbio gratuito, dal pregiudizio intellettuale e dall'ignoranza. Il dubbio gratuito non un dubbio vero e serio; spesso un atteggiamento da adolescenti che negano tutto per partito preso, un atteggiamento superficiale e sciocco; pi frequentemente si tratta di una tentazione, e la tentazione si vince cacciandola mediante un atto esplicito di fede che diventa preghiera. Il pregiudizio intellettuale nasce da lacune o deformazioni nella propria preparazione culturale; spesso vuol coprire altre motivazioni dove non estraneo l'amor proprio o l'attaccamento a opinioni personali, attaccamento che arriva fino a difendere come verit scientifiche quelle che sono pure ipotesi tutte da dimostrare. L'ignoranza infine non soltanto la non conoscenza dei Vangeli e della Rivelazione; questa purtroppo un'ignoranza molto diffusa e costituisce uno dei peggiori nemici della fede. Sul vuoto prodotto da questa ignoranza prende posto la cultura del dubbio e del sospetto cos largamente distribuita nelle scuole e dai massmedia. E' tuttavia un'ignoranza che si pu vincere facilmente con lo studio, con la lettura del Vangelo e attraverso l'insegnamento della Chiesa. Ma c' un'altra ignoranza pi pericolosa, e che potremo definire ignoranza saccente: l'ignoranza di chi, appoggiandosi a pregiudizi pseudo-scientifici, magari paludati da sfoggio di erudizione, ignorano il serio lavoro della critica storica che ha fatto dei Vangeli i libri pi studiati, analizzati e documentati di tutta l'antichit, arrivando a conclusioni che confermano la plurisecolare tradizione della Chiesa; tradizione che ha sempre proposto i Vangeli come documenti non solo ispirati ma anche autentici, e legati fedelmente alla testimonianza storica degli apostoli. Da questa ignoranza presuntuosa viene l'uomo della "modernit", cos tipico della nostra civilt occidentale: scettico, diffidente, che crede solo a s stesso e a chi gli d ragione, che non si fida della Chiesa e del Vangelo, e che guarda con sospetto a Ges Cristo. Eppure, con quale fermezza e rigore gli Apostoli si appellavano alla propria testimonianza! Scrive San Giovanni: "Ci che noi abbiamo udito, ci che noi abbiamo veduto coi nostri occhi, ci che noi abbiamo contemplato e ci che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunciamo anche a voi". 49 In nome di questa testimonianza obiettiva e verace egli invita alla fede affinch possiamo anche noi aver parte con i credenti alla conoscenza di Ges Cristo.
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in s stesse, sono tuttavia credibili. Il ragionamento di Nicodemo, uomo saggio e sincero, uomo di scienza, vale per tutti: "Rabbi, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti pu fare i segni che fai tu se Dio non con lui" 50. Proprio perch Ges viene da Dio un testimone degno di fede. Del resto il Padre stesso gli ha reso testimonianza: "Le opere che io sto facendo testimoniano di me che il Padre mi ha mandato". 51 Non dunque l'evidenza delle cose che muove la nostra intelligenza alla fede, - non sarebbe pi fede ma scienza - il fatto che Ges testimone di Dio. "Dio nessuno mai l'ha visto: proprio il Figlio Unigenito che nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato". 52 Inoltre, le verit che Ges ci ha rivelato sono spesso oscure e impenetrabili alla nostra mente. "E' duro questo discorso; chi pu intenderlo?" mormorava la folla davanti alle parole di Ges sul Pane vivo. Ma proprio allora l'intelligenza chiamata a dire con Pietro: "Signore, tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio.". 53 A questo punto la purificazione dell'intelligenza richiede il rifiuto della pretesa razionalistica. Pretendere di capire tutto, significa pretendere che Dio sia a misura dell'uomo. La ragione stessa invece comprende che la verit pi grande di noi perch Dio trascende infinitamente l'uomo. L'orgoglio intellettuale, che non ammette limiti alla ragione umana e che rifiuta tutto ci che non umanamente comprensibile, cio contenibile nelle categorie della ragione, considera la fede come umiliazione dell'intelligenza. Questa pretesa trova oggi consensi soprattutto negli ambienti delle scienze. Il potere della scienza non avrebbe limiti e il suo progresso sarebbe inarrestabile. Nulla dunque pu esserci oltre i confini della scienza se non il mito e la superstizione. La fede, secondo il pregiudizio illuminista, equivarrebbe ad un'aperta dichiarazione di impotenza intellettuale, di ignoranza, e continuerebbe a mantenere l'uomo in una umiliante condizione di inferiorit e di oscurantismo; tutt'al pi si potrebbe accettare la fede come stadio transitorio, una sorta di immaturit intellettuale da superare e abbandonare quanto prima. Ora, questi intelligenti secondo il mondo, questi luminari del sapere scientista, sono in realt degli stolti, vittime di un orgoglio che riduttivo dell'intelligenza, oltre che del sapere. Senza dubbio le parole di Pietro: "Signore, tu solo hai parole di Vita Eterna; e noi abbiamo creduto che tu sei il Figlio di Dio", sono una confessione di ignoranza che spinge ad affidarsi ad un altro; ma Pietro aveva una chiara consapevolezza che nella fede egli si affidava a "Colui che sa" e che degno della pi assoluta fiducia. La fede partecipazione al sapere di Dio, e contiene l'affidabilit propria della santit di Dio. "Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio pi grande; e la testimonianza di Dio quella che ha dato al suo Figlio". 54 Per questo, la fede non soltanto potenziamento dell'intelligenza umana, ma anche segno di grande saggezza. E' la sapienza che fa grande lo spirito dell'uomo. 55
36 - Il dovere di credere.
La terza attivit dell'intelletto, nell'atto di fede, di natura morale: ci ricorda il nostro dovere di creature verso l'autorit di Dio. Nella Rivelazione, Colui che ci parla Dio e non un uomo; Colui dal quale tutte le cose hanno principio nel cielo e
Gv. 3,2 Gv. 5,36 52 Gv. 1,18 53 Gv. 6,68-69 54 1 Gv. 5,9 55 Proprio in questi giorni, Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Fides et Ratio, al capitolo secondo, tratta della fede come sapienza.
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sulla terra; a Lui noi tutti siamo vincolati nella nostra stessa esistenza di creature. Quando colui che ci parla Dio, noi abbiamo il dovere di prestargli attenzione e di dargli il nostro assenso, tanto pi che nella sua Rivelazione non ci comunica opinioni umane, ma la sua Verit. E la Verit vincolante non solo dell'intelligenza ma di tutta la nostra persona: necessario attuare nella vita la verit in cui crediamo. "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminer nelle tenebre ma avr la luce della vita". 56 Non si respinge impunemente la Rivelazione di Dio, perch in essa Dio impegna la sua autorit. "Chi non crede a Dio fa di lui un bugiardo perch non crede alla testimonianza che Dio ha reso a Suo Figlio. E la testimonianza questa: Dio ci ha dato la Vita eterna e questa vita nel Suo Figlio". 57 L'intelligenza dunque ci ricorda il nostro posto di creature davanti a Dio e il dovere fondamentale che abbiamo di ascoltarlo quando egli ci parla. Ricordiamo Mos davanti al roveto ardente. Per questo S.Paolo parla della fede come di un "ossequio" della nostra persona, e S.Giovanni la chiama "un comandamento". Istintivamente l'uomo non si fida di ci che non capisce; se lo accetta, perch si fida di un altro "che sa", e che attesta onestamente quello che sa. E' un atteggiamento senza dubbio valido e ragionevole, e lo in sommo grado quando chi sa e chi attesta Dio stesso. Ma quando si pensa che la fede non offre le stesse garanzie della scienza o la stessa sicurezza offerta dalla propria esperienza, dalle proprie convinzioni, o dalle stesse evidenze razionali, allora la fede guardata con sospetto e con diffidenza, come se fosse un tranello, oppure come un palliativo per mascherare la propria ignoranza. Quando poi la fede sembra contrastare le proprie decisioni personali o le proprie scelte di vita, allora viene istintivamente rifiutata come una limitazione alla libert interiore e un impedimento alla propria maturit. Se infine si arriva, come nelle moderne ideologie, a trasformare il sapere in potere, la conoscenza in dominio, la libert di pensiero in volont di potenza, allora l'autorit respinta come una minaccia e l'ossequio della fede rifiutato fino alla ribellione in nome della propria coscienza, considerata fonte della libert. Il libero pensatore e l'anarchico sono sempre andati a braccetto sulle strade di tutte le ribellioni.
37 - Intelletto cristiano
Ma il compito dellintelletto nei riguardi della fede non si limita a rendere possibile latto di fede e a giustificarlo razionalmente, compito che in certo senso previo alla fede, ma va anche oltre: cio lintelletto ha un proprio ruolo allinterno della fede stessa. Del resto, non potrebbe essere diversamente dal momento che la fede una conoscenza, e noi non abbiamo altra facolt conoscitiva che lintelletto. Perci, anche il contenuto della fede non pu prescindere dalla ragione. Qual dunque questo compito o servizio che lintelligenza svolge allinterno della fede? Per comprendere meglio, ricordiamo il mistero dellIncarnazione: il Figlio di Dio si fa uomo e assume la nostra natura umana nella sua limitatezza; dal canto suo la nostra natura mette a disposizione della seconda Persona della Santissima Trinit le proprie facolt umane per mezzo delle quali il Dio-Figlio agisce come uomo e pu compiere la missione ricevuta dal Padre: la Redenzione. Analogamente, le verit che Dio ci ha fatto conoscere nella Rivelazione e che sono oggetto e insieme contenuto della fede, sono proposte allintelletto umano il quale, a sua volta, mette a servizio della Rivelazione le categorie razionali che, sia pure nella loro limitatezza, servono ad esprimere rettamente quelle verit; esprimere rettamente, servono cio non a spiegare ma a formulare senza deformarle le verit
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rivelate da Dio. In altre parole la fede, sia per il contenuto come anche per la sua origine e per il suo fondamento, trascende lintelletto umano ma nello stesso tempo non pu farne a meno perch ha bisogno delle sue categorie razionali per esprimersi. In un certo senso la Rivelazione si incarna nellintelletto umano, lo eleva ma anche ne utilizza i mezzi per rendersi conoscibile. Daltra parte questo servizio che la ragione rende alla fede ben ripagato perch la fede virt teologale infusa con la grazia nel Battesimo eleva la ragione e la rende capace di conoscenze che prima le erano totalmente sconosciute, e di altre che le erano molto oscure e difficili. Cos, ad esempio, la conoscenza intorno a Dio e al suo mistero, la conoscenza intorno alluomo: la sua identit naturale, la sua origine, il suo destino, concetti come quelli di persona, natura, grazia, ecc. sono conquiste che la ragione umana ha realizzato nella luce della fede. Mediante la rivelazione divina, la fede potenzia la ragione, la rende pi penetrante, capace di raggiungere quella Verit di cui lintelletto umano sente un insopprimibile e mai appagato desiderio. Lapprofondimento razionale dei contenuti della fede compito di una scienza, che possiamo chiamare la regina di tutte le scienze umane: la scienza teologica. Il lavoro della teologia proprio quello di offrire alla fede le categorie razionali pi adeguate ed efficaci per penetrare sempre pi profondamente le verit rivelate e illuminare il loro rapporto con la vita delluomo e con il suo destino; inoltre, anche se tali categorie sono inadeguate a spiegarci il mistero, possono tuttavia indicarci dove sta il mistero davanti al quale al nostro intelletto non resta che inginocchiarsi e adorare. Ora, non tutte le categorie razionali sono adatte ad esprimere rettamente, senza deformarli, i contenuti della fede. Ed ecco che in aiuto allintelletto umano, Dio ha provveduto istituendo la Chiesa che, col suo Magistero, garantito dallazione dello Spirito Santo, pu discernere fra le categorie razionali elaborate dalla teologia, quelle che sono pi idonee ad esprimere correttamente le verit rivelate. La fede, dunque, non ha nulla da temere dalla ragione e la ragione non ha nulla da temere dalla fede; luna e laltra fanno parte di quella strada della luce che conduce luomo verso la Verit, strada garantita dallazione dello Spirito Santo attraverso il Magistero della Chiesa. Esiste perci una continuit tra ragione e fede, continuit che garantisce quella unit profonda della vita cristiana che qualifica la nostra identit di cristiani nel mondo. La fede fa del nostro intelletto un intelletto cristiano; questo leffetto specifico assolutamente originale e fondamentale che la fede opera sulla ragione umana. Infatti la fede eleva il nostro intelletto nel senso che non solo lo rende capace di pi alte conoscenze (le Verit rivelate) per le quali spinto ad elaborare categorie razionali adeguate restando tuttavia un intelletto puramente umano, potremmo dire mondano, ma anche lo eleva nel senso che lo trasforma in un intelletto cristiano, capace di pensare cristiano, di vedere cio lesistenza, la storia e tutte le realt create in modo cristiano, e di muoversi costantemente nella luce soprannaturale della Rivelazione. E appunto questo uno degli aspetti essenziali di quellunit di vita che ci identifica come cristiani. Ed ecco perch pu verificarsi il paradosso di un teologo non credente, che non si muove allinterno della fede, contrariamente a quanto afferma la S. Scrittura: iustus meus ex fide vivit, il giusto vive di fede e per la fede.
ragione in ginocchio davanti a Cristo, "Credi tu nel Figlio dell'uomo? - chiese Ges al cieco nato - ed egli disse: "Io credo, o Signore!" e gli si prostr dinnanzi". 58 . In altre parole l'intelligenza indica alla coscienza dell'uomo e alla sua libert, a chi e che cosa deve credere e perch deve credere, ma poi l'atto di fede dipende dalla volont. L'uomo crede se vuole credere, e se non vuole non crede, quali che siano i ragionamenti e anche le evidenze razionali che gli vengano presentate. E' cos che l'atto di fede diventa un atto di adorazione all'autorit di Dio. A questo punto la purificazione dell'intelligenza strettamente legata alla rettitudine della volont in quella che la virt pi difficile per il nostro spirito: l'obbedienza. E' una virt che viene considerata, come abbiamo visto, indegna dell'uomo perch ritenuta lesiva della sua libert, di quella libert soprattutto che si ritiene costitutiva dell'uomo adulto e autonomo: la libert di pensiero. Non c' dubbio che l'ossequio intellettuale sia la forma pi profonda e pi impegnativa di obbedienza e costituisca un vero "omaggio", cio sottomissione della nostra persona in ci che gli appartiene di pi nobile e prezioso: l'intelligenza; la fede come obbedienza oboedientia fidei - perci una vera e propria oblazione della nostra persona all'autorit di Dio. Ma la nostra intelligenza dovrebbe allora ricordarsi che abbracciare la Verit diventare profondamente liberi, che "servire Dio regnare". Tra verit e libert c' un rapporto assoluto, quasi univoco. Nella menzogna non c' libert. La forma di menzogna oggi pi diffusa il mancato rispetto della verit delle cose, verit che viene sostituita dal pensiero inteso come criterio ultimo di verit, e dalla coscienza soggettiva eretta a norma suprema di comportamento. Il principio evangelico: "La Verit vi far liberi" 59 ha enorme importanza riguardo ai problemi della conoscenza, come vedremo. Qui interessa ricordare il peso morale che ha la coscienza ai fini di un atto di fede che sia omaggio della nostra libert all'autorit di Dio. Solo una coscienza integra pu combattere con successo una battaglia che esige lealt, umilt, sincerit e fortezza per arrivare alla oboedientia fidei, obbedienza che la pi alta espressione di libert e insieme l'atto di adorazione pi nobile che possiamo compiere verso Dio. Talvolta questa decisione della volont di consegnarsi a Dio nell'atto di fede comporta unintensa sofferenza, accompagnata da una lotta interiore che fa gemere la coscienza. Ma una decisione estremamente liberante, e fa sperimentare la verit delle parole di Ges che possiamo cos parafrasare: "Chi vorr salvare la propria libert, la perder, ma chi perder la propria libert per me, la salver". Infine questo omaggio della nostra libert, questo chinarsi della volont all'autorit di Dio, costituisce il valore meritorio dell'atto di fede, come avvenne ad Abramo, che credette a Dio contro ogni speranza, e Dio glielo accredit come giustizia. 60 La Chiesa nella sua liturgia definisce Abramo: "nostro padre nella fede"; egli obbed a Dio fidandosi totalmente ed eroicamente di lui anche quando ci che Dio gli chiedeva - come il sacrificio del figlio Isacco 61 - appariva incomprensibile e umanamente assurdo, anzi crudele e inaccettabile. Credere aprire un credito con Dio, il quale ripaga restituendo il cento per uno.
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puramente emotivo. Le emozioni rappresentano spesso un fatto piuttosto superficiale. E nemmeno vogliamo riferirci a qualcosa che presiede agli stati d'animo; anche gli stati d'animo interessano prevalentemente la parte periferica della nostra personalit. Troppo spesso si parla della fede come di un sentimento, con tutte le conseguenze di volubilit, di fragilit, di superficialit che sono proprie dei sentimenti e degli stati d'animo. La fede qualcosa di ben diverso e coinvolge un centro ben pi profondo della nostra persona. In questo senso il cuore come la camera nuziale dell'intelletto e della volont; dal loro incontro scaturiscono e si accumulano dentro di noi le esperienze vissute: le vittorie e le sconfitte, le decisioni e le fughe, le virt e le vergogne...., tutte quelle vicende interiori che hanno delineato la fisionomia profonda della nostra persona. Il cuore appunto la nostra fisionomia interiore, la radice profonda dei nostri atteggiamenti, il centro delle disposizioni dell'anima. Si parla perci di un cuore buono o malvagio, di un cuore docile o ribelle, di un cuore freddo o generoso. Potremmo definirlo il centro vitale che presiede all'orientamento profondo della nostra anima. "Dove c' il tuo tesoro, l c' pure il tuo cuore". 62 E' anche vero che il cuore il luogo di risonanza delle situazioni emotive; l si accumulano i dati delle nostre sensazioni e delle nostre esperienze. E quando queste sono state negative, hanno cio provocato dolore, lacerazioni o ferite, possono diventare determinanti nell'orientare in senso negativo il nostro cuore. In persone di natura particolarmente sensibile, certe umiliazioni subite nell'adolescenza, i vuoti affettivi dell'infanzia, le ingiustizie patite, gli insuccessi nella vita professionale o sentimentale, possono provocare atteggiamenti di protesta, di rifiuto e anche di chiusura alla fede e al rapporto personale con Dio. Ancora peggiore la situazione di un cuore corrotto, un cuore che si sia abbandonato ad amori illeciti o ignobili, ai piaceri dei sensi o alle comodit della vita, all'avidit delle ricchezze o alle soddisfazioni di questo mondo, al disordine di una vita senza ideali e senza scrupoli. Tutte queste cose contribuiscono a legare l'uomo alla terra, a gettarlo nel disordine di una vita senza valori. E' il caso dell'uomo carnale che non comprende le cose di Dio. A un cuore corrotto Dio risponde con il silenzio; tale fu il comportamento di Ges davanti ad Erode. Possiamo perci comprendere facilmente l'importanza della purificazione del cuore in ordine all'atto di fede. "Beati i puri di cuore, perch vedranno Dio". 63 La fede non possibile quando il cuore non retto e pulito. La purificazione del cuore comincia dalla sincerit interiore alla quale corrisponde la sincerit della vita e della condotta. Molti non credono "..perch le loro opere sono malvage. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perch non siano svelate le sue opere". 64 Il rifiuto della fede spesso conseguenza di una vita bugiarda: "Voi avete per padre il diavolo... egli non ha perseverato nella verit perch in lui non c' verit. Quando dice il falso, parla del suo, perch menzognero e padre della menzogna. A me invece voi non credete, perch dico la verit". 65 Un secondo aspetto della purificazione del cuore consiste nella lotta interiore contro le passioni. Sono soprattutto due le passioni che appesantiscono il cuore: l'impurit e la cupidigia delle ricchezze. L'una come fango appiccicoso e malsano che toglie ali alla fede, l'altra una sorta di pinguedine spirituale che soffoca il respiro dell'anima. Sono come catene che imprigionano il cuore e gli impediscono di muoversi verso Dio.
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41 - La fede di Maria
Con Santa Teresa d'Avila interminabile il corteo di anime che, come Abramo, Mos, i Profeti, gli Apostoli e i Martiri, hanno percorso la strada della fede nel loro cammino sulla terra, e potremmo anche dare spazio a pi profonde e ampie riflessioni sul dono e sulla virt della fede, ma tutto sarebbe insufficiente e incompleto se, alla fine, non fermassimo lo sguardo e il cuore davanti a Colei che, come nessun'altra creatura si pone a modello e ad esempio di fede, e che sulla strada
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della fede precede ogni credente. E' lei, la Vergine credente, che nella fede ha accolto il disegno di Dio per la salvezza degli uomini - "Sono la serva del Signore; avvenga di me quello che tu hai detto" 68 - lei, la Vergine madre, che attraverso l'obbedienza della fede ha concepito e partorito il Figlio di Dio fatto uomo; lei, la Vergine corredentrice che, unita alla morte del Figlio, ha accettato che fosse piantata la croce anche nel suo cuore - "Una spada ti trapasser l'anima" - lei, la Vergine Sposa, che nel Cenacolo ha atteso nella fede lo Spirito Santo diventando madre della Chiesa pellegrinante nel tempo. Questa fede di Maria costituisce la sua beatitudine sulla terra - "Beata Colei che ha creduto" 69 - ed questa la beatitudine riservata ad ogni credente, ad ogni cristiano che voglia imitare Maria e seguirla nel cammino della fede. "Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete" 70, e "Beati coloro che pur non avendo visto, crederanno". 71 La sera del Venerd Santo, la fede si era spenta sulla terra; Lei, la Vergine Maria, ha perseverato nella fede quando pi nessuno credeva, ha conservato la speranza quando pi nessuno sperava, rimasta fedele quando tutti erano fuggiti. Credere "vedere" Dio: vedere Dio nel mistero dell'Universo che mi circonda; vedere Dio nell'uomo-Ges, Figlio di Dio-Padre, il quale ha posto in Ges la pienezza della divinit; vedere Dio nel Crocifisso, che ha dato s stesso per la salvezza dell'umanit; vedere Dio negli uomini che Egli ha posto come fondamento della sua Chiesa e li ha mandati nel mondo per annunciare il Vangelo ad ogni creatura; credere vedere Dio "nascosto" nei segni sacramentali: nell'acqua del battesimo che mi fa figlio di Dio, nel pane e nel vino che nell'Eucarestia diventano il Corpo e il Sangue di Cristo sacrificato per me, nell'accusa umile e contrita dei miei peccati sui quali, nel sacramento del perdono, scende la misericordia di Dio per mano del sacerdote, nel dono casto e fecondo del proprio corpo nell'amore coniugale per servire la vita; credere vedere Dio nel futuro della mia esistenza, oltre la morte, quando, dopo avermi accolto nelle sue braccia, Dio chiamer il mio corpo alla risurrezione e mi render partecipe della sua vita eterna. Su questa traiettoria dell'esistenza umana, lungo questo cammino della fede, Maria ci precede, ci apre la strada, ci fortifica e ci ottiene di perseverare con fedelt e tenacia. Il suo fiat, un s pieno e totale a Dio che la interpella, che la chiama, che si impossessa di lei per farla madre della nostra salvezza, un fiat che esprime la sua fede umile e innamorata la radice della sua beatitudine: "Beata colei che ha creduto". In un mondo secolarizzato che ha voltato le spalle a Dio, lo ha emarginato dalla propria vita e lo ha dichiarato inutile se non ingombrante ed oppressivo, vivere la fede in lui andare contro mano, contro la cultura ufficiale che ha forgiato la mentalit scettica e mondana oggi dominante. Maria sta davanti all'umanit come colei che "indica la strada" - la Odigitria - e gli uomini devono convincersi che la vera felicit, la "beatitudine" non conosce altre strade se non la strada della fede che porta a Ges Cristo e, attraverso di lui, al Padre. Beata colei che ha creduto, ma anche Beato chiunque accoglie la parola di Dio e la osserva. 72
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Lc. 1,38 Lc. 1,45 Lc. 10,23 Gv. 20,29 Lc. 11,28
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43 - La speranza mondana.
In questo modo di pensare, la speranza cristiana del tutto assente, anzi sconosciuta; il termine stesso speranza ha perduto il suo contenuto religioso e soprannaturale. L'ottimismo mondano prescinde da Dio e ha per oggetto quella "societ perfetta" che l'utopia di tutte le ideologie moderne. Una societ perfetta che non riguarda solo le strutture e le infrastrutture sociali e politiche dalle quali rimarrebbero per sempre eliminate ingiustizie, emarginazioni, violenze, e ogni altro male incompatibile con l'utopia vagheggiata dalla Ragione, ma riguarda anche il singolo individuo che verrebbe liberato dalle varie schiavit: il lavoro, l'ignoranza, la precariet fisica e tutti i condizionamenti che pregiudicano la qualit della vita; in una parola, l'ideale dell'ottimismo mondano una societ felice dove ognuno vive felice. La strada di questo ottimismo il Progresso, uno sviluppo indefinito e ininterrotto, di conquista in conquista, che viene considerato legge fondamentale della storia. L'errore fatale dell'ottimismo mondano quello di identificare l'eternit col tempo, il Regno di Dio con la Storia. Scrive il card. Ratzinger: "L'ottimismo ideologico in realt pura facciata di un mondo senza speranza, di un mondo che, con questa illusoria facciata, vuole nascondere la propria disperazione. (.....) A questo punto si colloca anche il problema della morte. L'ottimismo ideologico un tentativo di dimenticare la morte con il continuo discorrere di una storia protesa alla societ perfetta. Qui si dimentica di parlare di qualche cosa di autentico e l'uomo viene calmato con una bugia; lo si vede sempre quando la morte stessa si avvicina. Invece la speranza della fede apre su un vero futuro oltre la morte e solo cos i veri progressi che ci sono diventano un futuro anche per noi, per me, per tutti". 74 Questo non vuol dire che il desiderio e l'impegno per un mondo migliore siano estranei alla speranza cristiana, quasi che essa si collochi oltre o al di fuori della storia. Ogni sforzo e ogni iniziativa che tendano a rendere il mondo presente pi giusto, pi pulito, pi degno dell'uomo, non solo entrano pienamente nella speranza cristiana ma ne sono, in certo senso, il necessario presupposto e insieme la prima conseguenza. I "cieli nuovi e la terra nuova" che sono oggetto della nostra speranza di cristiani, non sono una entit completamente nuova, diversa dal mondo attuale, come se essi dovessero uscire dall'annientamento totale dell'universo presente; essi saranno gli stessi cieli e la stessa terra che Dio ha creato e che ora giaciono sotto il potere del maligno, ma liberati dal peccato e fatti partecipi della gloria di Cristo risorto. E' questa una delle tesi fondamentali dell'ottimismo cristiano: " La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti stata sottomessa alla caducit - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavit della corruzione, per entrare nella libert della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nella doglie del parto; essa non la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poich nella speranza noi siamo stati salvati". 75 La fede ci ricorda che il mondo attuale non risponde pi al disegno di Dio e che esso, per quanto purificato e reso pi vivibile dallo sforzo umano, pu diventare solo una figura, l'ombra, del mondo futuro. Perci la lotta contro il peccato e le sue conseguenze - l'ingiustizia, la violenza, il dolore, la malattia, la morte stessa (ultimo nemico che Cristo abbatter) - un elemento costitutivo della speranza cristiana, che nell'impegno di umanizzare questo mondo, anzi di santificarlo, tende a renderlo pi
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conforme al progetto di Dio, come figura di quel mondo nuovo che appartiene alla resurrezione e alla vita eterna, dove "non ci sar pi la morte, n lutto, n lamento, n affanno, perch le cose di prima sono passate". 76
44 - La speranza teologale.
Accanto all'ottimismo ideologico esiste un ottimismo mondano pi comune che frutto di speranza puramente umana, e che emerge in espressioni frequenti sulle labbra di molti, come: "speriamo che tutto vada bene" o "auguriamoci che le cose si mettano su una buona strada" ecc.. Sono espressioni che indicano l'atteggiamento di chi si affida prima alle risorse della scienza e dell'esperienza e poi alla buona sorte. E' un ottimismo che spesso si allea al felice temperamento di un'indole naturalmente ottimista e positiva, ma che ha ben poco in comune con la virt della speranza; tutt'al pi un suo buon alleato, ma resta sempre un ottimismo intra-mondano. Ben diverso l'augurio dellApostolo Paolo a Timoteo: "Paolo, apostolo di Ges Cristo, per comando di Dio nostro Salvatore e di Cristo Ges, nostra speranza: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Ges nostro Signore". 77 Noi cristiani siamo chiamati a percorrere il tempo della nostra vita sostenuti dalla virt teologale della speranza. Virt teologale perch ha come oggetto Dio o meglio la comunione perfetta con Lui nel cielo. La meta della speranza cristiana, la speranza dei figli di Dio, dunque altissima; il Sommo Bene, conosciuto, desiderato e amato da noi come l'unico bene veramente prezioso e importante. Conosciuto e amato: la speranza infatti sta tra la fede e l'amore. E' virt tipicamente transitoria, legata esclusivamente al tempo, alla nostra vita sulla terra. Nell'eternit la fede cambier il suo modo di conoscere e l'amore cesser da ogni desiderio. Dalla fede, che qui sulla terra ci d una conoscenza di Dio "per speciem", cio attraverso i concetti umani, passeremo a una conoscenza di Dio "faccia a faccia", attraverso Dio stesso, cio attraverso la sua essenza divina; cos l'amore: da desiderio insonne e inappagato di incontrare Dio si trasformer in una comunione piena e stabile con lui, sar un possesso e un essere posseduto dell'amato nell'Amante in un'estasi senza fine. In queste condizioni la speranza non ha pi senso, non pi possibile. Per davvero: finito il tempo, finita la speranza. Quaggi la speranza sta tra la fede e l'amore, e dalla fede e dall'amore dipende, anzi partecipa dell'una e dell'altro. Per questo, se finisce la speranza anche il nostro viaggio si ferma. Inoltre, il nostro cammino sulla terra conosce ostacoli e difficolt ed contrassegnato da momenti di stanchezza, di tentazione e di oscurit. Sono i moment i in cui avvertiamo pi intensamente la necessit della speranza. In quei momenti il desiderio di superare gli ostacoli e di vincere le difficolt contrasta con il senso vivo della nostra debolezza e della nostra impotenza, e forse siamo assaliti dallo sconforto e dall'angoscia. Parlavamo del pane della speranza; di speranza, infatti, si nutre non solo il nostro desiderio di Dio, desiderio di vederlo e desiderio di possederlo, ma anche il nostro vivere quotidiano, fatto di vicende e di situazioni che mettono alla prova la nostra perseveranza, la nostra continuit, in una parola, la nostra volont di continuare la strada, di servire Dio e di piacergli in ogni cosa.
45 - Speranza e santit.
Dire che l'oggetto ultimo della speranza Dio stesso in una perfetta ed eterna comunione con lui, come dire che siamo chiamati alla santit. E' una meta che va
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oltre ogni possibilit umana e nessuno potrebbe aspirare a tanto se non sapesse che ci corrisponde ad una precisa volont di Dio; questo infatti il suo progetto su di noi dall'eternit: "In lui (in Cristo) ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto". 78 La meta tanto alta che pochi cristiani sono veramente convinti di essere chiamati alla santit. Sono invece molti che giudicano perfino poco praticabili i Comandamenti di Dio e vogliono adattarsi ad una vita cristiana pi "normale". La loro speranza non va oltre le esigenze della mediocrit, si accomodano su un livello di vita onesto, da galantuomini, limitandosi a non fare del male a nessuno e a rispettare tutti. Tarpano cos le ali della speranza cristiana che in tal modo non conosce pi le divine audacie della santit evangelica, le pazzie di un amore che non si appaga di mediocri desideri. Dicevamo che la speranza sta tra la fede e l'amore, e partecipa dell'una e dell'altro. Ora, se la fede " fondamento delle cose che si sperano", 79 poco spera chi poco crede. E poich sulla terra il nostro modo di amare il desiderio e non si pu sperare ci che non si desidera, poco spera chi poco ama. Pi grande la fede, pi profondo l'amore e pi audace diventa la nostra speranza. "Non volare come le galline quando puoi elevarti come le aquile". 80 I Vangeli si concludono con l'Ascensione, e tutto il Nuovo Testamento si chiude con l'invocazione dell'Apocalisse: "Vieni, o Signore Ges". Tra i Vangeli e l'Apocalisse ci sono in mezzo gli Atti degli Apostoli, come dire che tra la salita di Ges al cielo e il suo ritorno nella gloria c' in mezzo il cammino della Chiesa nei secoli. E' il cammino della speranza. Una speranza, questa della Chiesa, assoluta, piena, tanto intensa da essere traboccante. E' fondata sulla certezza che si sta realizzando il disegno di Dio e si vanno compiendo le sue promesse. Questo atteggiamento traspare evidente da tutto il comportamento degli Apostoli, e da ogni parola dei loro discorsi e delle loro lettere. Tanto che Pietro ricorda ai primi cristiani di essere stati "rigenerati per una speranza viva, per una eredit che non si corrompe, non si macchia e non marcisce". 81 I cristiani perci devono essere testimoni sempre pronti a "rendere ragione della speranza che in loro". Il martirio infatti stato sempre, agli occhi dei primi cristiani, la prova della loro speranza.
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volont di Dio alle folle della Galilea, prescindendo totalmente dalle loro circostanze e dalla loro situazione. Erano infatti persone di ogni et e condizione: vecchi, bambini. malati, pescatori, madri di famiglia, piccoli artigiani, autorit, perfino pubblici peccatori come i pubblicani, i profittatori, le prostitute. Di una di esse ha affermato: "Le sono perdonati i suoi molti peccati, perch molto ha amato". 82 Dunque tutti, perch tutti possiamo amare, possiamo tendere alla santit. Possiamo amare nelle poche cose grandi che ci dato di fare nella vita, ma soprattutto possiamo molto amare nelle tante cose piccole della vita quotidiana, nei piccoli doveri di ogni momento. E' questa la strada "ordinaria" della santit, quella che il beato Escriv chiamava l'eroismo di fare con perfezione - per Amore - le piccole cose di ogni giorno. E' cos che la nostra comunione con Dio, meta ultima della nostra speranza, diventa una realt meravigliosa che illumina ogni momento della nostra giornata. Il "pane della speranza", un pane quotidiano; non deve venir meno nella nostra bisaccia di viandanti, perch deve sostentarci in ogni passo del nostro cammino sulla terra.
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creature. La Risurrezione infatti inseparabile dalla croce e la presuppone. Ges crocifisso appare come la sconfitta di Dio e vittoria del Maligno; ma fu vittoria apparente, perch sulla croce stato crocifisso "l'uomo vecchio", l'uomo del peccato. Il Crocifisso infatti rivela la nostra condizione: la condizione dell'uomo "mortale", sconfitto, ripudiato da Dio, l'uomo fatto maledizione, devastato dal peccato e dalla morte. Cristo crocifisso ha preso su di s la sconfitta dell'uomo. Gli Apostoli, invece, e tutti noi, siamo tentati di vedere nella croce la sconfitta di Dio e perci la fine di ogni speranza. Per tutti noi, come per gli Apostoli, la croce rimane uno "scandalo", una incomprensibile assurdit, e comprendiamo perfettamente l'atteggiamento di Pietro che tenta di distogliere Cristo dalla decisione di "salire a Gerusalemme". Nella prospettiva della croce, la vicenda di Ges appariva sconcertante, contraddittoria. Ges era sempre stato signore delle situazioni e degli avvenimenti, aveva mostrato di conoscere i pensieri e le intenzioni di tutti e non era mai caduto nei tranelli e nelle insidie dei suoi nemici. La sua potenza soprannaturale, - "Dio era con Lui", diceva la gente - e la sua forza morale erano sotto gli occhi di tutti. Come spiegare allora la sconfitta della croce? Dove era finita tutta quella "forza che usciva da Lui e sanava tutti?". 86 Ges nella passione appariva irriconoscibile e inspiegabile. Il suo contegno di assoluta remissivit, la sua impotenza di fronte agli avvenimenti, la sua debolezza davanti a tante accuse ridicole e ingiuste, il suo abbandono totale in bala dei suoi nemici...., tutto questo era incomprensibile. La morte di Ges appariva perci come la sconfitta totale, la catastrofe che travolgeva ogni attesa e ogni speranza. "Noi speravamo che fosse lui!...." dicevano tristi i due discepoli di Emmaus. N il fatto impensabile della risurrezione, n le spiegazioni, pur cos chiare e persuasive di Ges, servirono a illuminare il mistero della sua morte. Per gli Apostoli come per tutti noi, capire la croce, saper vedere in essa non la sconfitta di Dio, ma la sua vittoria, non la fine di ogni speranza, ma l'inizio della vita e della redenzione, sar un dono dello Spirito Santo. Lo troviamo come uno dei temi fondamentali nella predicazione di San Paolo. Egli vedeva nella morte di Ges non la debolezza di Dio ma il trionfo della sua potenza. "Noi predichiamo Cristo Crocifisso, ... potenza di Dio e sapienza di Dio. Perch ci che stoltezza di Dio pi sapiente degli uomini, e ci che debolezza di Dio pi forte degli uomini". 87
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costituiscono le prove della nostra vita, ma anche lo imprime sulle circostanze ordinarie della vita quotidiana: ecco la fatica che accompagna il nostro lavoro, lo sforzo nella lotta interiore di ogni giorno, ecco l'impegno nei piccoli doveri della vita famigliare, il sacrificio gioioso di s stessi per rendere felici gli altri, ecco l'umile pazienza nelle contrariet della giornata, la fedelt mille volte rinnovata agli invit i della grazia, il ricominciare con ottimismo e fiducia dopo ogni insuccesso compreso quello dovuto alle nostre debolezze e alle nostre miserie che tanto ci umiliano. E' la croce di ogni giorno. A questo si riferiva Ges con le parole: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua". 88 Perci: "Quando vedi una povera Croce di legno, sola, senza importanza e senza valore... e senza Crocifisso, non dimenticare che quella Croce la tua Croce: quella di ogni giorno, quella nascosta, senza splendore e senza consolazione..., che sta aspettando il Crocifisso che le manca: e quel Crocifisso devi essere tu".89 Ma dobbiamo imparare a stare accanto a Ges e a seguirlo da vicino. "E' meglio per me, Signore, subire la tribolazione avendoti accanto, che regnare senza di te, godere senza di te, gloriarmi senza di te". 90 Solo cos non saremo pi soli e impauriti di fronte al dolore, ma sperimenteremo tutta la forza che ci viene da lui. Egli ci precede, traccia la strada e la percorre con noi, una strada che non finisce sul calvario perch si apre alla luce e alla gioia della Risurrezione. Cos la croce non sar pi un peso, ma sar il segno e la garanzia di tante vittorie. Sperimenteremo che dalla croce nasce la gioia perch fonte di Salvezza, e uniremo la nostra voce a quella della Chiesa che non teme di cantare nella sua liturgia: "Ave, Crux spes unica!" Ti salutiamo, o Croce, nostra unica speranza!
Lc. 9,23 Cammino, n. 178 S. Bernardo, Sermone 17 Ebrei 10,23 2 Tim. 2,13
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dubitare di Dio, non possiamo abbandonarci alla sfiducia o al pessimismo. Dubitare della sua misericordia e della sua magnanimit l'offesa pi brutta che possiamo fare al Signore ed anche l'ostacolo pi pericoloso sulla strada della speranza, perch ci tiene lontani da Dio e ci paralizza in una vita cristiana mediocre e triste. Infatti, dubitare della fedelt di Dio dubitare della sua misericordia e non avremo pi argomenti per la nostra speranza. Nei momenti difficili, come quelli segnati dalla fatica, dal dolore, dall'insuccesso, o quelli che testimoniano le nostre sconfitte personali, le cadute, le oscurit o i cedimenti, e cos in tutte le altre tribolazioni, il nemico pi pericoloso per la speranza lo scoraggiamento e la tristezza. Noi cristiani non possiamo permettere a questi "alleati del nemico" di insinuarsi in noi e di prendere posto nel nostro cuore. In quei momenti potremo attingere molto aiuto e molto conforto dalle parole che Ges rivolse agli apostoli nell'ultima Cena. Il Signore sapeva che i suoi stavano per passare attraverso la grande tribolazione del venerd santo, che avrebbe messo alla prova soprattutto la loro speranza; perci s'intrattenne con loro, in una lunga, intensa e affettuosissima conversazione, con lo scopo di sostenerli e di fortificarli nella speranza. Possiamo riassumere le sue parole in quella affermazione che Egli ripet pi volte e con la quale concluse quella sua conversazione: "Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (....) nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!". 93 Come se avesse detto: Non lasciatevi prendere dalla tristezza e dal timore, ma fidatevi di Dio, della sua forza e della sua fedelt.
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52 - Pazienza e fortezza.
Ma c' anche una pazienza che gli autori spirituali mettono in relazione pi direttamente con la virt della fortezza: la pazienza necessaria per testimoniare la nostra fede o per portare a compimento i nostri doveri e la nostra missione nonostante gli ostacoli e le difficolt che si possono incontrare. Questa pazienza vista come virt dei forti, di quelle anime che sopportano le tribolazioni e le persecuzioni a causa della loro fede, per amore di Dio e di Ges Cristo, restando a lui fedeli fino al sacrificio supremo. Molti servi di Dio furono mirabili esempi di questa pazienza, ad esempio: Abramo, Mos, Giobbe..., per non parlare dei martiri che portarono all'eroismo questa virt. Ma l'ideale supremo di pazienza rimane il "Servo di Jahv": Ges; egli, nella sua passione, ci ha lasciato di questa virt il documento pi commovente: "Maltrattato, si lasci umiliare e non apr la sua bocca; era come agnello condotto
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al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori". 95 Ma anche per noi, e per ogni cristiano, la pazienza come fortezza riveste un'importanza a volte decisiva se pensiamo che nella nostra vita non mancheranno le tribolazioni e le avversit, e che la fedelt al nostro cammino di cristiani deve essere frequentemente pagata con le persecuzioni. Perci Ges avvertiva: "Sarete odiati da tutti per causa del mio nome. (...) Con la vostra perseveranza - fedelt paziente salverete le vostre anime". 96 La mentalit del mondo portata a considerare la pazienza nelle prove non come fortezza bens come debolezza. E' forte - si dice- chi si ribella, chi protesta e magari reagisce alle avversit con la violenza. Si guarda perci con sospetto all'ascetica cristiana. E' vero che a volte si rischia di confondere la pazienza con la rassegnazione inerte e passiva; dobbiamo allora ricordarci che grava su di noi il dovere di difendere la verit, la giustizia e la pace fra gli uomini, e che il compito arduo ed esige sempre molta paziente fortezza. Anche qui il nostro modello supremo Ges; Egli, che "non spezzer la canna incrinata e non spegner il lucignolo fumigante" 97 e si proporr a noi come esempio di mansuetudine - "imparate da me che sono mite e umile di cuore" 98 - ha, tuttavia, agito con divina fermezza nel difendere la verit e la giustizia a favore di tutti, specialmente dei piccoli, dei poveri e perfino dei peccatori. Del resto, in tutta la Bibbia ci viene frequentemente ricordata la lunga pazienza di Dio con gli uomini: Egli non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Egli stesso si dato il titolo di "Paziente" riferendosi alle continue infedelt del suo popolo.
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terrene che formino il presupposto per il "momento della grazia"; in altre parole, rispetta e collabora con il misterioso dialogo tra l'umano e il divino, tra il tempo e l'eternit, tra la storia degli uomini e il progetto di Dio. Esempio mirabile di questa speranza paziente stata l'attesa dei Profeti che per secoli hanno aspettato e invocato Colui che doveva venire, l'Atteso da tutta l'umanit. Dio non ha mai forzato i ritmi della natura o degli eventi; dall'eternit Egli ha preparato la "pienezza dei tempi" per l'Incarnazione del Verbo. Ges stesso ha camminato decisamente verso la "sua ora", quella del sacrificio supremo, ma ha atteso il "momento" segnato dal Padre. Cos pure gli Apostoli hanno atteso con Maria, ma nella preghiera, "l'adempimento della promessa del Padre", 99 l'effusione dello Spirito Santo. Del resto Ges aveva avvertito i suoi discepoli: la cosa importante non conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, quello che conta mantenersi fedeli ed essere suoi testimoni nel mondo "fino alla fine dei tempi e fino agli estremi confini della terra". 100
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perci la pazienza non ha niente a che vedere con la sterile rassegnazione e tanto meno con la neghittosit; si esprime invece nella fedelt piena alla missione, al compito e alla responsabilit, anche piccola, di ciascuno; una fedelt senza inquietudini, senza abdicazioni e precipitazioni, ma anche senza lentezze, senza rinvii, senza approssimazioni.
56 - Fedelt e operosit.
Nella Chiesa e nella societ occorrono uomini capaci di pazienza, che sappiano stare nella propria vita con la stessa fedelt di Dio. Spesso la fretta nasconde le nostre infedelt: vogliamo scavalcare i disegni di Dio e deviamo per altri cammini che non sono quelli voluti da lui, o pi spesso, restiamo indietro sulle sue attese. Se pensiamo che il tempo il luogo della nostra fedelt a Dio ci torna alla memoria un episodio del Vangelo narrato da San Marco. Un giorno di primavera, uscendo di buon mattino, Ges ebbe fame. Lungo la strada che esce da Betania, ecco un albero di fico che sembra messo l apposta per la fame del Signore, un albero rigoglioso con una chioma florida e invitante. Ma sotto tutta quell'abbondanza Ges non vi trova un solo frutto. E subito si abbatte su quell'albero la maledizione del Signore: "Nessuno possa mai pi mangiare i tuoi frutti" 103; una maledizione che ci sembra eccessiva e quasi ingiusta. Cos sembr anche ai discepoli che, presi dallo stupore, gli fecero notare che era primavera, non era dunque il tempo dei frutti! Ges certamente lo sapeva e tuttavia maledisse quell'albero; ci che egli non sopport fu l'apparente vitalit di quel fico e la sua reale infecondit. Abbiamo a disposizione molti modi per ingannarci, per condurre una vita apparentemente laboriosa ma in realt sterile e inefficace. Una madre di famiglia pu agitarsi in mille cose lungo la giornata, un uomo d'affari pu correre molto nelle ventiquattro ore, un operaio pu sudare abbondantemente alla macchina o al suo strumento di lavoro, ed un politico impegnarsi in molte battaglie sociali, come pure il sacerdote nelle sue "battaglie pastorali", ma tutto questo pu portare in s l'inganno, la tristezza dell'infecondit. Possiamo fare molto rumore e "lavorare" pochissimo, correre molto ma invano, senza frutti. Non una critica a chi fa molte cose nella sua giornata; tutti dobbiamo avere mani cos operose che non ci avanzi un solo minuto del nostro tempo. Ci che dobbiamo temere l'inganno della presunzione, credere nella sola efficienza umana dei nostri mezzi, accecarsi con l'orgoglio di chi vede solo s stesso in quello che fa; voler edificare sul vuoto della vita interiore, pretendere di misurarsi solo sul volume e sulla risonanza del proprio lavoro; insomma, lavorare molto ma col cuore lontano da Dio. La fretta diventa cos la chioma frondosa della nostra vanit. Dobbiamo convincerci che ogni istante della nostra vita "tempo dei frutti". L'unica fretta che possiamo avere che in ogni istante si compia in noi la Volont di Dio.
57 - Speranza e povert.
Ges, nel Vangelo, ci parla insistentemente e con forza delle virt della fede e dell'amore; non parla mai esplicitamente della speranza. Il Signore non intende certo ignorare o negare l'importanza di questa virt, ma la considera cos intimamente unita alla fede e all'amore che diventa superfluo parlarne. In realt, tutto il Vangelo resterebbe incomprensibile se si prescindesse dalla speranza. Ges stesso, il Figlio di David, appariva agli occhi degli apostoli e delle folle di Palestina come la realizzazione delle promesse di Dio; era dunque una speranza fatta certezza. Ma
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vediamo alcuni insegnamenti del Signore che contengono un implicito riferimento alla speranza. Particolarmente importante il suo insegnamento circa il nostro rapporto con le cose e con i beni della terra: speranza e povert. Nel Discorso della montagna, il Signore ci mette in guardia ripetutamente dal pericolo di attaccare il nostro cuore ai beni della terra. Gi nelle Beatitudini, che possiamo definire "il cammino della speranza", il Signore afferma: "Beati i poveri in spirito, perch di essi il Regno dei Cieli". 104 Vale a dire che il Regno dei Cieli non pu essere retaggio di chi ha messo il cuore nei beni della terra, perch non si pu "servire a Dio e a Mammona". E' una scelta che non ammette alternative; infatti, "difficilmente un ricco entrer nel regno dei cieli". Perci Ges conclude: "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo dove n tignola n ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano. Perch, l dove il tuo tesoro, sar anche il tuo cuore". 105 San Luca nel capitolo dodicesimo del suo Vangelo ha raccolto una parabola del Signore che ci mette in guardia dalla cupidigia come da uno degli ostacoli pi temibili per la speranza cristiana. "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra s: Che far? perch non ho ove riporre i miei raccolti, e disse: Far cos: demolir i miei magazzini e ne costruir di pi grandi e vi raccoglier tutto il grano e i miei beni, poi dir a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sar richiesta la tua vita e quello che hai preparato di chi sar? Cos di chi accumula tesori per s, e non arricchisce davanti a Dio". 106 L'uomo di questa parabola il tipico uomo d'affari che la gente di mondo giudica fortunato e previdente: sa utilizzare la sua fortuna e sa programmare con intelligenza e realismo il suo futuro. Ma Ges condanna quest'uomo; lo condanna non per la sua intraprendenza e per la sua intelligente concretezza, ma per la sua miopia e mancanza di prospettiva. La sua speranza si esauriva nelle certezze offerte dai beni della terra, e tutto finiva nella felicit dell'effimero. Quest'uomo fortunato e intelligente agli occhi del mondo era, in realt, un idiota agli occhi di Dio. Aveva dato pi peso e pi importanza alla felicit del benessere che alla dignit della propria persona, soffocando nella quantit di beni terreni la sete incolmabile della sua anima, e aveva commisurato l'eternit, che configura il futuro della vita umana, alla durata effimera delle cose che passano. Sono gli stolti che costruiscono sulla sabbia; tutte le cose della terra, infatti, le ricchezze e i tesori di questo mondo sono sabbia mobile che non pu offrire alcun fondamento al desiderio di felicit che urge nel nostro cuore.
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C' dunque un legame profondo tra speranza e povert, tra speranza cristiana e la libert interiore di chi si sforza di viaggiare nella vita "senza valigie". Quelli, infatti, che mettono il cuore nei beni della terra sono per definizione "coloro che non hanno speranza". 108 C' tuttavia un modo per usare le cose della terra e camminare in mezzo ad esse senza che diventino un ostacolo per il nostro cammino o un peso per la nostra speranza: orientarle a Dio perch proclamino la sua gloria, e impiegarle per il bene di tutti gli uomini. Infatti tutte le cose dell'universo sono state create perch manifestino la gloria di Dio, e rivelino la misericordia divina verso l'uomo, il quale nella variet, abbondanza e ricchezza delle creature, pu contemplare la magnanimit di Dio, rendergli grazie, e utilizzare ogni cosa per elevare non solo la qualit della sua vita terrena, ma soprattutto per affinare lo spirito e promuovere la generosit nel servizio di Dio. L'uomo chiamato cos a dare voce a tutte le creature, e a diventare interprete del loro valore e del loro significato. E' questo l'aspetto positivo della povert cristiana, che fa di essa una virt non rinunciataria bens fortemente operativa. Il cristiano poi chiamato a glorificare Dio nel lavoro, nella professione, negli affetti nobili e onesti della vita, nelle responsabilit sociali e politiche, e quindi ha bisogno di mettere in opera tutti i talenti che il Signore gli ha dato e di utilizzare tutti i mezzi umani che servono per la maggiore efficacia della sua attivit. La speranza cristiana genera una povert operosa, che si adopera generosamente a promuovere il progresso umano in tutte le sue espressioni. Il male, dunque, non st nelle ricchezze ma nellegoismo del cuore. Le ricchezze vanno collocate, perci, al loro posto: sono mezzi, strumenti che devono servire perch si realizzi il progetto di Dio nell'uomo e nel mondo. Farle diventare il fine della vita significa falsare la loro identit, e soprattutto ingannare miseramente noi stessi. Dobbiamo dunque fissare il cuore l dove deve tendere la nostra speranza; realizzeremo cos quella libert interiore che necessaria per mettere mano ai beni e alle ricchezze della terra senza timore e senza timidezza, con l'audace iniziativa e con la coraggiosa intraprendenza di chi sente la responsabilit di operare per un mondo pi giusto e pi degno dell'uomo. E' vigliaccheria lasciare alla merc dei figli delle tenebre che operano al servizio dell'egoismo umano le risorse e i beni della terra che Dio ha destinato al bene di tutta l'umanit.
59 - Speranza e libert.
Questo distacco non facile e non mai scontato. Il denaro si sposa facilmente a tutte le altre inclinazioni disordinate: alla superbia, alla sete di dominio, alla ricerca del piacere come fine a s stesso, alla vanit, alla prepotenza. "L'attaccamento al denaro, infatti, la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede, e si sono da s stessi tormentati in molti dolori". 109 Invece il distacco cristiano, frutto della speranza, ci libera dalla schiavit delle cose e ci permette cos di esercitare su di esse il nostro dominio, quello giusto, quello voluto da Dio quando disse: "Riempite la terra e soggiogatela". 110 La prima espressione di questo dominio il rispetto delle cose, riconoscendole come creature di Dio. Lo spreco, la noncuranza degli oggetti, il degrado a cui lasciamo andare gli strumenti che usiamo, e ogni altra forma di abbandono delle cose, disprezzo di Dio e offesa verso l'uomo.
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Il pi grande innamorato della povert, Francesco D'Assisi, fu anche il pi grande innamorato delle creature. Egli ci ha insegnato che la sete di possesso, il desiderio di "appropriarsi" delle cose, per motivi di egoismo, di prestigio o di potere, la forma pi brutale di violenza che possiamo esercitare sulle creature, perch in tal modo esse vengono deviate dal loro fine. Si capisce allora perch la mentalit consumistica dei nostri giorni la negazione della povert e della speranza cristiana: perch anch'essa una forma di violenza sulle cose, vuole asservirle al capriccio, alla vanit, alla comodit egoistica. Altra espressione di un giusto dominio sulle cose la capacit di "sacrificarle", offrirle in dono, staccandosi effettivamente da esse. Pensiamo con quanta facilit accumuliamo cose, per cui finiamo col possedere molto pi di quanto ci serve per vivere decorosamente, per assolvere i nostri doveri, per realizzare le giuste aspirazioni della nostra personalit. "Sacrificarle" significa, allora, metterle a disposizione del bene comune, cominciando da quello della propria famiglia, ma anche al servizio di iniziative sociali o di attivit apostoliche. L'alternativa a questo distacco praticato volontariamente durante la vita il distacco forzato in punto di morte, dopo aver accumulato beni sui quali forse litigheranno eredi e parenti. Ben diverso l'avvertimento del Signore; Egli ci invita a procurarci amici con il bene compiuto attraverso le ricchezze di questo mondo, amici che verranno ad accoglierci quando arriveremo alla vita eterna. Infatti, ci porteremo via da questo mondo non quello che abbiamo accumulato ma solo quello che abbiamo donato. Possiamo chiedere a Dio questa libert che nasce dalla speranza con la preghiera della liturgia della Chiesa: "O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perch, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni." (Domenica XVII Tempo ord. )
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dell'errore, e che l'amore pu sciogliere ogni durezza e ogni ribellione; sapeva che Dio non ha indebolito la sua forza di fronte alle resistenze dell'uomo, e non poteva deluderla. La speranza non si ferma mai; come le acque dei torrenti, sa aprire strade tra le montagne, nelle gole e nei deserti, inter medium montium pertransibunt acquae. Pensiamo all'emorroissa nel Vangelo di Marco: la sua perseveranza nel tentare ogni mezzo, la sua fatica ad aprirsi un varco tra la folla che seguiva Ges, i disagi per superare la calca con le inevitabili spinte, insulti, umiliazioni, l'ansia per non sapere quali reazioni avrebbe incontrato da parte di Ges....; ma la speranza di non restare delusa ha prevalso, l'ha sostenuta nei suoi sforzi e nella sua perseveranza. 112 Infine, la speranza sempre accompagnata da una santa inquietudine interiore; un'inquietudine che non significa la perdita della pace ma l'insonne, gioiosa, dolcissima ricerca di Colui che l'oggetto di un intimo desiderio d'amore. Vengono alla memoria le parole del Cantico: "...lungo la notte, ho cercato l'amato del mio cuore; l'ho cercato ma non l'ho trovato. "Mi alzer e far il giro della citt; per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amato del mio cuore". L'ho cercato ma non l'ho trovato. Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda: "Avete visto l'amato del mio cuore?". Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l'amato del mio cuore". 113 E' questa speranza propria degli innamorati la vera speranza cristiana. Se la fede sposata alla speranza genera la fiducia, la speranza sposata all'amore genera la fedelt e la perseveranza. Un innamorato non cessa mai di sperare; in lui la speranza una forza incontenibile, che lo spinge su tutte le strade della vita interiore finch non trova "l'Amato del suo cuore"; una speranza laboriosa, anche sofferta, ma che gi contiene la gioia della vittoria, la felicit dell'abbraccio con l'Amato del suo cuore. Un tempo il pane veniva preparato e distribuito dalla madre di famiglia: impastava la farina, la faceva riposare, la ripartiva in pani e la cuoceva riempiendo la casa di fragranza. Per noi, figli di Dio, il pane della speranza ce lo prepara e ce lo dona Colei che Madre nella Chiesa e della Chiesa, Colei che ha confezionato il Pane con le mani verginali del suo grembo, e ce lo dona spezzato dal dolore e dall'amore sulla tavola della Croce, perch ognuno di noi lo porti con s nella sua bisaccia lungo il viaggio della vita, lungo i cammini della terra. "Cristo, nostra Speranza". Maria, fiducia dell'umanit, "vita, dolcezza, speranza nostra", prega per noi!
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61 - Dio amore.
La nostra vita di figli di Dio sulla terra un viaggio nella fede, nella speranza, nell'amore. La fede la luce, la speranza il pane, l'amore la vita. L'uomo, si dice, non pu vivere senza amare e senza essere amato. Dove non c' amore, non c' vita. La vita dono, sete d'amore, capacit d'amore. Dove non c' amore, non c' nemmeno vera convivenza umana. Infatti percorriamo il nostro viaggio sulla terra non da soli; siamo una moltitudine, un fiume, e non possiamo stare insieme senza amarci. E tuttavia l'amore non di questa terra. "Dio Amore!", afferma S. Giovanni in una delle espressioni pi folgoranti di tutta la Bibbia. L'amore, infatti, appartiene a Dio, all'essenza stessa dell'Essere divino. Se nelle creature c' capacit d'amore perch Dio si fatto presente nel tempo, si fatto dono alle sue creature. L'Amore fluisce da Dio alle creature, le unisce a s e tra di loro; l'amore congiunge il tempo e l'eternit. Tutta la creazione e tutta la storia degli uomini costituiscono un poema splendido e grandioso, un inno immenso all'Amore di Dio e all'Amore di Colui che, fattosi uomo, ha voluto chiamarsi lo Sposo. Tutto nel tempo stato acceso da un atto d'amore: Dio crea perch ama; la creazione Amore. La storia del mondo tutta percorsa dall'amore: Dio custodisce le cose che ha creato e le conduce con forza e con grazia perch ama; la Provvidenza Amore. Ma la creatura che pi di tutte le altre rivela al mondo l'amore di Dio l'essere umano. Nell'uomo, Dio-Amore ha impresso il sigillo della sua immagine e ha comunicato il dono della sua somiglianza. L'uomo "immagine" di Dio per lo spirito ed "somiglianza" di Dio per la Grazia. Lo spirito tende al bene e vuole il bene: ama; la Grazia fa l'uomo partecipe della vita divina e perci dell'amore. L'amore dunque costitutivo della nostra natura di persone: possediamo una duplice conformit, naturale e soprannaturale, all'Essere di Dio, al suo Essere-Amore. Ma l'immagine di Dio in noi non soltanto per la nostra natura di persone, ma anche per la natura relazionale del nostro essere. Dio, infatti, nel creare l'uomo a sua immagine e somiglianza, "maschio e femmina li cre", fissando cos la forma pi profonda di relazione interpersonale, quella dell'uomo e della donna nell'amore nuziale. 114 Infatti Dio disse: "Non bene che l'uomo sia solo". 115 Il Signore aveva posto Adamo nell'Eden, nel Grande Giardino del mondo, di fronte allo splendore del creato. I suoi occhi potevano riempirsi di ogni bellezza: il verde intenso e tenero delle foreste, l'azzurro del cielo, il bianco luminoso delle nubi, il turchino del mare,
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il rosso vivo delle rocce, e i fiori...; non c'era bellezza che non fosse presente in quella immensa sinfonia di fogge e di colori. Tutta la tavolozza con cui Dio aveva dipinto il mondo era l, davanti ai suoi occhi, in tutto il suo splendore... Ma il cuore di Adamo era triste. Allora Dio fece sfilare sotto lo sguardo di Adamo, come in una grande parata, tutti gli esseri viventi nelle loro perfezioni: la forza del leone, l'agile potenza della tigre, la solennit dell'elefante, la tenera mansuetudine dell'agnello, la raffinata eleganza dell'antilope,... e tutti gli uccelli del cielo con il loro canto e nella splendida variet del loro piumaggio... Ma il cuore di Adamo era triste: "...non trov un aiuto che gli fosse simile". "Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo che si addorment; gli tolse una delle costole... e plasm con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna, e la condusse all'uomo". Adamo, svegliatosi dal sonno, vide accanto a s Eva e un grido gli usc dalla bocca e dal cuore: Ecco! questa s " carne dalla mia carne e osso dalle mia ossa!" 116 e la tristezza se ne and dal suo cuore. In quel momento nacque l'amore sulla terra, e l'uomo, gi "immagine" di Dio come persona, divenne immagine della Trinit del cielo, come "due in una sola carne". L'amore sponsale infatti fondamento di tutte le altre dimensioni dell'amore umano: l'amore paterno e materno, l'amore filiale, l'amore fraterno, lo stesso amore coniugale, e anche l'amore famigliare in tutte le sue diramazioni: la parentela, la nazione, la razza, fino all'immensa e unica famiglia costituita dal genere umano; infine, l'amore verginale, che realizza la forma pi sublime della sponsalit.
62 - La benevolenza.
Tutte le espressioni dell'amore hanno una radice comune: la benevolenza, ossia la naturale tendenza a scambiarsi il bene, a volere il bene per noi stessi e per gli altri; o, pi profondamente, benevolenza l'apertura al dono di s, alla comunione con gli altri. Questa benevolenza il fondamento dell'amicizia e raggiunge la sua espressione pi alta quando dal semplice "volere il bene" per la persona amata, passa a "volere la persona" stessa; una specie di intima felicit perch quella persona esiste. Lo stesso amore coniugale si fonda sulla benevolenza: se due coniugi non diventano sinceramente amici tra di loro, cos da essere profondamente felici l'uno dell'altro, rischiano di far naufragare il loro amore. Volere una persona, volere che esista ed esserne felici, la forma d'amore che fa l'uomo pi somigliante a Dio. Infatti, l'amore che Dio porta alle sue creature sola e infinita benevolenza. Per ora consideriamo che Dio l'Essere per definizione e perci Egli la vetta pi alta per ogni amore creato. Nasce di qui la profonda inquietudine del cuore umano, un'inquietudine che definisce la nostra condizione nel tempo: viandanti. E' un viaggio, il nostro, che non pu essere percorso in solitudine e che non ha quaggi il suo approdo ultimo. L'amore, nel tempo, desiderio; desiderio di eternit, desiderio di Dio. "L'amore non pu trattenersi dal vedere ci che ama; per questo tutti i sant i stimarono ben poco ci che avevano ottenuto, se non arrivavano a vedere Dio. Perci l'amore che brama vedere Dio, bench non abbia discrezione, ha tuttavia ardore di piet". 117 Ma questa tendenza verso il bene, in particolare verso il Bene Sommo, cos profondamente radicata nel nostro essere, ha un nemico mortale: il peccato. Dio infatti aveva partecipato il suo amore all'uomo in modo ineffabile e trascendente con il dono soprannaturale della Grazia. Nel Paradiso terrestre Adamo conversava familiarmente con Dio. Era come un rapporto "alla pari", un'amicizia divina, una
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partecipazione intima all'amore increato. Ma Adamo non si fid di Dio e gli oppose un rifiuto. Non appena i nostri progenitori si sono ribellati a Dio hanno cominciato ad accusarsi reciprocamente; l'amore era finito. Il peccato infatti la negazione dell'amore, il rifiuto di lasciarsi amare; quasi un tentativo di distruggere l'amore. Il nostro allontanamento da Dio ha lasciato via libera all'egoismo, che si introdotto nel nostro cuore portando un duro colpo alla nostra capacit di amare. La volont, facolt spirituale propria dell'amore, rimasta profondamente ferita e debilitata, viene facilmente portata fuori strada da un intelletto non pi capace di vedere il bene e di indicarlo con chiarezza e con verit. Cos l'odio ha cacciato l'amore, e il desiderio diventato disperazione.
Gv. 3,16 1 Gv. 3,2 Rom. 8,19 S. Paolo, Lettera ai Romani, 8, (passim)
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64 - Ferita damore.
Molte anime grandi, le anime innamorate come quelle dei santi, hanno sperimentato sulla terra il dolore dolcissimo del desiderio di Dio, un desiderio insaziabile di comunione con Lui e di contemplazione del suo volto. Perci molti mistici definiscono questo desiderio: "una ferita d'amore". Ferita dolorosa e insieme dolcissima che guarisce solo nella vita eterna. Pensiamo alle pagine ardenti e alle espressioni infuocate uscite dalla penna di S.Agostino, di S. Bonaventura, di Teresa d'Avila, di Caterina da Siena, di Bernardo di Chiaravalle, di Sant'Alfonso de' Liguori, e di tanti altri che hanno sperimentato quale peso di felicit e di dolore comporti, sulla terra, l'effusione dell'amore di Dio nell'anima. Sono giustamente famosi questi versi di Santa Teresa: 122 L'alto fuoco d'amore mio Prigioniero, Dio! da cui vivo afferrata ma a pensarmi signora don libert di Colui che voglio e adoro al mio spirito felice; muoio perch non muoio. In queste condizioni l'anima non ha altro desiderio che di identificarsi pienamente con il suo Dio. E' un desiderio insito nell'amore fin dal suo inizio. In tutto il Nuovo Testamento quando si parla di amore lo si attribuisce sempre all'iniziativa di Dio: "non siamo stati noi ad amare Dio, ma Lui che ha amato noi". 123 Il nostro atteggiamento non pu essere allora che la docilit, l'obbedienza del Figlio; una obbedienza intensamente attiva perch esige un continuo "si" alla volont amabilissima di Dio. E' quanto diciamo nel Padre Nostro: Venga il tuo regno, sia fatta la tua volont; in altre parole, il nostro amore verso Dio consiste nel lasciarci amare da Lui e rimanere nel suo amore. "Come il Padre ha amato me, cos anch'io ho amato voi, rimanete nel mio amore". 124 Lasciarci amare e rimanere nell'amore significa aderire intimamente a Dio e alla sua volont. Questa infatti l'attivit propria dell'amore: volere la persona amata. Fare la volont di Dio volere ci che Lui vuole; in definitiva, volere Lui stesso. Ma la nostra volont impotente riguardo all'essere di una persona; non in nostro potere fare in modo che una persona esista. Possiamo per contemplarla ed essere felici che esista. Questo vale in senso assoluto riguardo a Dio. Non in nostro potere volere la sua esistenza, accade invece esattamente il contrario: Lui che ha voluto e vuole continuamente la nostra; infatti Lui che ci ama. Possiamo invece essere sommamente felici che Egli esista. E' una felicit che si alimenta incessantemente nella contemplazione di Dio e nell'adesione intima a Lui. Essere in Dio e rimanere nel suo amore: questa la radice della nostra felicit. Concludeva infatti il Signore: "Vi ho detto questo - di rimanere nel mio amore - perch la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". 125
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propiziazione, di invocazione, mai di amore. La stessa "pietas" pagana verso gli di era l'esercizio dei doveri di culto, la cui fedelt rendeva l'uomo religioso un "uomo pio", ma il culto restava sempre l'espressione di sentimenti che rimanevano estranei all'amore. Gli di erano onorati, temuti, propiziati, mai amati. E d'altra parte la divinit era considerata qualcosa di lontano, al di sopra dei sentimenti umani. Tra gli di e gli uomini esisteva una sorta di incommensurabilit. La divinit poteva essere verso l'uomo benevola, non ostile, benigna e protettrice, mai avrebbe potuto avere sentimenti d'amore. L'amore suppone ed esige una certa "proporzione" fra le persone che si amano; ma nessuna proporzione era pensabile tra l'uomo e Dio Inoltre, nella religiosit cosmico-naturalista che troviamo nelle religioni primitive, nelle varie religioni orientali e che arriva ad infiltrarsi anche nel pensiero filosofico occidentale (vedi il panteismo di Spinoza, lo Spirito eterno di Hegel, il vago teismo massonico-razionalistico che rivive in certe frange del laicismo contemporaneo, ecc.), la divinit concepita come una realt impersonale, indistinta dal mondo, nella quale l'uomo pu venire assorbito perdendosi come un frammento nel tutto. (Nirvana). Evidentemente ogni rapporto tra Dio e l'uomo rimane radicalmente cancellato, in particolare diventa impossibile ogni rapporto d'amore. Anche l'amore che esisteva tra le persone, era sempre un amore "profano"; non nasceva da Dio ma si fondava sulla affinit, una specie di convergenza di forze istintuali, affettive, culturali, etniche o semplicemente di simpatia, che portavano a rapporti interpersonali poveri di contenuto, limitati, nei casi migliori, all'amicizia e alla solidariet. Il paganesimo, poi, aveva portato a un indurimento dell'animo umano, a una atonia dei sentimenti. Un autore antico scrive che i Romani erano "sine affectione", privi di sentimento, incapaci di affetto e di commozione. Lo testimoniano la durezza delle consuetudini, la condizione degli schiavi, il trattamento dei bambini e della donna, la crudelt delle punizioni, la brutalit disumana nei giochi gladiatori. Nelle lettere scritte dagli Apostoli alle prime comunit cristiane troviamo molte descrizioni della condotta perversa presente nella societ pagana di allora, societ che non conosceva n l'amore di Dio n l'amore del prossimo, e alla quale appartenevano anche i cristiani prima della loro conversione. Valga per tutti questo passo della lettera di S.Paolo a Tito: "Anche noi un tempo eravamo (come loro) insensati, ribelli, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagit e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda". 126 Purtroppo, lungo i secoli, sono molti i paganesimi che hanno conosciuto analoghe malvagit di uomini senza sentimento. Ai nostri giorni le ideologie della miscredenza hanno inventato i lager, le camere a gas, le torture spietate e crudeli, le deportazioni forzate, i gulag, la tratta e il commercio dei bambini e innumerevoli atrocit che hanno del diabolico, dove l'odio verso Dio diventa odio verso l'uomo. Si comprende perci la gioia che pervade il cuore di S.Paolo e che traspare nel brano immediatamente successivo: "Quando per apparve la bont di Dio, salvatore nostro e il suo amore per gli uomini, - benignitas et humanitas salvatoris nostri Dei - Egli ci ha salvati.... per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione nello Spirito Santo effuso da Lui su di noi abbondantemente per mezzo di Ges Cristo nostro Salvatore". 127
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vocazione all'Amore. Gli uomini devono capire che non possibile costruire nessuna "civilt dell'amore" se non in Dio, creatore e padre di tutti; in Cristo che ci ha amato e ha dato s stesso per noi; nello Spirito Santo che, effuso nei nostri cuori, vi accende il fuoco del desiderio e della contemplazione di Dio. Lo Spirito Santo ha reso possibile l'amore tra l'uomo e Dio, perch la sua azione nell'anima ha prodotto una sorta di "proporzione" fra noi e il Padre. Siamo diventati "connaturali" con Dio per il dono della Grazia. Perci non siamo pi "stranieri n ospiti, ma famigliari di Dio".128 Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo 129. E' questo il fondamento della nostra amicizia col Signore. Vivere come amici di Dio, amici che non hanno segreti, che si parlano cuore a cuore, che si trattano con intimit e fiducia; questo, a pensarci bene, pu apparire impossibile, quasi inaudito. Eppure, in Ges, Dio ha voluto farsi amico degli uomini: "Non vi chiamo servi, ma amici." Dobbiamo dunque perdere la paura, dobbiamo non trattare il Signore a distanza, dobbiamo avvicinarci a Lui fino a vedere il colore dei suoi occhi, il sorriso delle sue labbra, ascoltare i battiti del suo cuore. Come Giovanni, come gli Apostoli. Dobbiamo arrivare all'audacia santa di volergli bene, di chiamarlo per nome, di dirgli: Ges, mi succede questo e questo..., ma tu sei la mia forza, la mia certezza, la mia luce; tienimi vicino a te, perch voglio esserti fedele, voglio lavorare con te e per te, voglio che i miei amici diventino tuoi amici, che ti conoscano e ti amino." Volergli bene e insieme sapere che egli mi vuol bene, il cuore della vita spirituale, l'antidoto pi efficace contro la mediocrit, il segreto della fedelt e della pace. Molti cristiani si sono allontanati dalla fede, sono caduti nella tiepidezza o non hanno desideri di santit perch non sono convinti che Dio li ama e che possono avvicinarsi a Lui sicuri di essere accolti, capiti, perdonati, amati. Quando un'anima non crede all'amore di Dio, quando non si sente amata ma solo giudicata da Lui, condannata a vivere un cristianesimo triste, angosciato e mediocre, perch si affanner a cercare in s stessa titoli e motivi per essere amata, per meritarsi l'amore di Dio, ma non trovandoli, diventer facile preda dello scoraggiamento e della tristezza. Dobbiamo lasciarci attirare dall'amore di Cristo, un amore divino e umano perch ci arriva attraverso un cuore di carne come il nostro, che conosce l'affetto umano e il calore dell'amicizia. Egli ci chiede il cuore - praebe mihi cor tuum -, ma noi pensiamo che ci domandi cose: un po' di tempo, di lavoro, opere buone, prestazioni.... L'amore non dare le nostre cose, anche tutte, preziose o meno, ma dare il cuore, dare noi stessi, perch questo ha fatto il Signore. "Dilexit me et tradidit semetipsum pro me" 130, esclamava in un impeto di commozione l'Apostolo Paolo - mi ha amato, fino a dare s stesso per me! - E' davvero sconvolgente il pensiero che Dio si fatto uno di noi, e donandosi a noi come Figlio e come Spirito Santo ci ha resi partecipi dell'intimit del suo Essere divino e del suo Amore.
FARSI DONO
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Dio amore e l'amore, in Dio, dono; dono del Padre al Figlio e del Figlio al
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Padre: lo Spirito Santo, Donum Dei. L'Amore non pu essere che dono; ogni amore porta al dono e si fa dono. Perci l'amore la vita, perch la vita dono, tutta e soltanto dono. Dono che si riceve e dono che si offre. Ricevere e donare, sono come le pulsazioni della vita; come il battito del nostro essere. Ricevere e donare: come i movimenti del cuore; se viene meno uno dei due momenti la vita si spegne. Anche l'esistenza umana senza il battito dell'amore si spegne; anch'essa scandita dal ritmo dell'amore. In Dio troviamo solo il donare. Egli la pienezza dell'essere, ed totalmente sufficiente a s stesso, non vincolato, non necessitato, assolutamente esaustivo. Dio, quindi, pu agire solo donando, anzi possiamo dire che solo Lui pu donare. Tutto quello che Egli ha creato puro dono, puro amore. Da questo amore viene ciascuno di noi. La nostra esistenza creaturale pura ricettivit, piena apertura all'essere, al dono che ci viene dall'Alto. Dono assolutamente gratuito perch dal nulla veniamo. Tutto in noi dono. Siamo dono e continuiamo ad esserlo in ogni istante della nostra vita: siamo dono a noi stessi, e siamo chiamati a diventare dono di noi stessi. E' questa la struttura intima della nostra creaturalit. E' questa la libert; libert di ricevere, libert di donare. Libert dell'amore. Questo ritmo dell'esistenza ha un senso: va dal ricevere al donare, non viceversa. Si riceve per donare. Perci ogni egoismo, ogni ripiegamento su noi stessi, ogni chiusura al dono perdita di libert, perdita di essere. Tutto ci che abbiamo ricevuto per essere donato. Dobbiamo farci dono totale, pieno, incondizionato, a immagine e somiglianza di Dio. Ogni persona si realizza se si apre alla vita; si apre alla vita se ama, ama se si dona. Tutte le malattie dell'esistenza, molti malesseri spirituali e molti disturbi psichici della personalit nascono dal fatto che non ci siamo realizzati come dono, non abbiamo saputo trovare un modo oblativo di stare nella nostra vita e nel mondo.
dono e quindi dalla legge dell'amore. Ecco perch la contraccezione un controsenso; essa distrugge il dono nell'atto stesso di farlo; uccide l'amore trasformandolo in egoismo e umilia la dignit della donna nella sua vocazione ad essere dono per il dono: la maternit. C' di pi: quando la donna concepisce nel suo grembo, avverte istintivamente che quello che avvenuto in lei non un puro fenomeno naturale, un intervento divino "sempre"; sempre un dono di Dio prima ancora di essere un dono dell'uomo. Perci un figlio sempre da accettare come un dono, anche quando fosse frutto di violenza. In tal caso quel figlio non un dono dell'uomo, un dono tutto e solo di Dio. Perci va amato ancora di pi. La violenza dell'uomo, la vita e l'amore sono di Dio. Parimenti, contrasta profondamente con la realt e la natura del dono l'atteggiamento della "pretesa". Un figlio non mai un diritto, sempre un dono. Il volere un figlio a tutti i costi, con qualsiasi mezzo, non nasce dall'amore perch la pretesa figlia dell'egoismo. La scienza biologica pu manipolare le leggi della vita e pu anche "fabbricare" un figlio, ma un figlio "artificiale" rischia di restare figlio della scienza, cio figlio di nessuno. Il desiderio della maternit senza dubbio l'aspirazione pi nobile e profonda nascosta nell'essere della donna, anzi la sua vocazione, ma se il desiderio diventa pretesa, quella vocazione si trasforma in arbitrio, e il figlio "preteso" difficilmente sar amato come un dono perch posseduto come una propriet. Esiste la violenza dell'uomo sulla donna, ma esiste anche la violenza della donna sulla natura; il femminismo ha molte facce, questa certamente una delle pi brutte. La donna, brutalmente aggredita dalla nostra cultura edonistica e derubata dei valori pi preziosi della sua femminilit, deve trovare il senso autentico del suo essere donna, soprattutto la sua profonda capacit di amare che si esprime nel servizio gioioso e nel sommo rispetto verso l'essere umano che le viene affidato come un dono, e infine deve riscoprire la dimensione trascendente della maternit. Sappiamo infatti che la fecondit naturale, biologica, come la maternit fisica non sono le uniche e nemmeno le pi alte e gratificanti forme del dono che l'uomo e la donna possono ricevere e possono scambiarsi. Esiste una maternit (e una paternit) spirituale che va oltre e pu anche prescindere dalla maternit fisica, e anzi ne costituisce il contenuto profondo; come l'anima stessa della maternit. Nessuna donna pu dimenticare questa vocazione e questa missione di farsi dono, missione che costituisce il volto autentico della sua femminilit, perch a lei Dio ha affidato l'essere umano, ogni essere umano. E' una maternit, quella spirituale, che quando associata al dono della verginit, intesa come amore sponsale che lega a Dio interamente, raggiunge le vette pi alte e pi gratificanti del dono perch partecipa all' Essere divino, all'Amore, in modo pi trascendente e soprannaturale. Chi pu dire che Caterina da Siena, Teresa d'Avila e mille altre donne fino a Madre Teresa di Calcutta siano state meno madri, perch vergini, di tutte le altre donne che hanno concepito e partorito figli? La fecondit secondo lo spirito un dono assai pi grande della fecondit secondo la carne, ed un privilegio che diventa insieme un dovere per ogni donna. Anche il bambino, appena uscito dal grembo materno, nel suo essere spinto verso la vita, nell'incominciare in quel momento la sua magica avventura nel mondo, la sua progressiva apertura verso l'esistenza, avverte inconsciamente quasi biologicamente che deve farsi dono. E subito il suo aggrapparsi ai seni materni, la ricerca del contatto fisico col corpo della madre, il sussulto nel sentire risuonare la voce paterna, non rispondono soltanto a un bisogno di sicurezza, ma anche esprimono il suo modo, tutto istintivo e affettivo, di sentirsi dono per i suoi genitori. Le esperienze negative nel primo periodo dell'infanzia, quando il bambino non si sente accolto e amato, creano nodi affettivi e blocchi istintuali che possono gravare pesantemente sullo sviluppo della personalit; sviluppo che deve esprimersi 65
come apertura verso il dono di s, sempre pi profondamente e compiutamente nelle successive stagioni della vita.
Mc. 8,34
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s per perdersi nella gratuit del dono all'amato. Molte anime di orazione conoscono la sofferta fatica di questa gratuit dell'amore, quando il loro cammino attraversa la "notte oscura dei sensi". E' l'amore nudo, spoglio di ogni consolazione, privo di qualsiasi gratificazione sensibile, muto e arido come un deserto; un amore che non pi avvertito come amore, e tuttavia accompagnato dal senso vivo di Dio, della sua amorosa presenza, e dalla ferma intenzione di non abbandonarlo per nessuna cosa al mondo. L'amore tanto pi vero, quanto pi conosce la purificazione del dolore, del distacco, della contrizione del cuore. L'amore perfetto va dunque verso la perfetta libert, verso l'assoluta gratuit. L'amore che vuol essere dono si trasforma, allora, in opere d'amore. Come Dio, che ci ha amato con opere. La creazione amore; la Provvidenza amore; la Rivelazione amore; la Salvezza amore. Ges Cristo il dono dell'amore assoluto e totale. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da darci il suo Figlio Unigenito...., il quale ci ha amati e ha dato s stesso per noi... perch chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna". 132 Sono queste sono le grandi opere dell'amore di Dio per noi. Anche in noi, l'amore deve esprimersi in opere. Le nostre opere d'amore sono: l'osservanza dei comandamenti di Dio, l'adempimento fedele dei nostri doveri e il servizio gioioso e generoso dei nostri fratelli. "Non c' amore pi grande di questo: dare la vita per i propri amici". 133 Dare la vita significa servire, saper sacrificarsi per gli altri, specialmente per i pi poveri, i pi deboli e per quelli che sono lontani da Dio. Servire vuol dire dare la vita, non solo la nostra nel dono di noi stessi vissuto quotidianamente in famiglia, sul lavoro, nelle responsabilit civili e sociali, ma soprattutto dare "la Vita", quella divina, quella eterna, quella che Cristo ci ha guadagnato col suo sacrificio sulla croce. Servire Dio farci strumenti di grazia per i nostri fratelli. "Se ami il Signore, devi "necessariamente" sentire il peso benedetto delle anime, per condurle a Dio". 134 Conoscere, amare, servire. E' questo il senso oblativo della nostra vita sulla terra. Conoscere: dono dell'anima alla verit di Dio; amare: dono della libert alla libert di Dio; servire: dono del nostro lavoro e delle nostre fatiche al lavoro di Dio, un lavoro di salvezza verso tutti gli uomini. E' cos che l'amore ha aperto sulla terra le vie della pace e della gioia. Avvenne a Nazareth; lo Spirito Santo ha fatto di un'umile Donna il luogo del Dono; dono dell'umanit a Dio: ecce Ancilla Domini, e dono di Dio all'umanit: et Verbum caro factum est. Ma ognuno di noi pu essere, deve essere, il luogo di questa pace e di questa gioia. Il luogo dell'Amore!
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mondo creato un ventaglio grandioso e stupendo che dispiega i mille volti dell'unica bont divina. E tuttavia Ges, rispondendo allo Scriba, affermava: "Perch mi chiami buono? Nessuno buono se non Dio solo". 136 Ges vuole ricordarci che solo Dio la fonte di ogni bene e di tutto il bene. Tutta la bont presente nelle creature una partecipazione alla bont di Dio, ed misurata dalle perfezioni distribuite in vario grado e forma nelle creature; esse appaiono cos ordinate al Creatore secondo un suo sapientissimo disegno. Perci gli esseri creati manifestano l'infinita bont di Dio non solo come causa prima ma anche come fine ultimo di ogni bont. Tutto da Dio procede e tutto a Lui si ordina. In questa sinfonia di voci che proclamano la bont divina, l'uomo occupa un posto e un ruolo unico; egli partecipa alla bont di Dio innanzitutto come sua immagine per lo spirito, e ancor pi come sua somiglianza per la filiazione divina. Ma a questa bont creaturale, "discendente", che procede da Dio, deve corrispondere una bont morale, "ascendente", che ordina l'uomo a Dio. Questa bont morale, che mobilita le nostre facolt spirituali e impegna quindi la nostra responsabilit, consiste nell'orientare a Dio la nostra vita e il nostro agire, rispondendo alla chiamata divina di collaborare alla edificazione del regno di Dio, al suo disegno di salvezza. Ora, accaduto che l'uomo, buono per creazione, si fatto cattivo per sua decisione, disorientandosi da Dio e allontanandosi dalla sua bont.
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presta a una duplice interpretazione; la prima la pi ovvia: l'osservanza dei comandamenti la prova della sincerit dell'amore. "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrer nel regno dei cieli, ma colui che fa la volont del Padre mio" 139; l'altra interpretazione, ribaltando il significato della frase, vede affermata nell'amore la vera osservanza dei comandamenti; in altre parole, l'osservanza dei comandament i autentica e sincera solo se nasce dall'amore. Per quanto possa sembrare assurdo, ci pu accadere di osservare i comandamenti di Dio, anche i pi piccoli, e non amare. Lo possiamo constatare a proposito del fratello maggiore del "figliol prodigo" nella ben nota parabola di San Luca. 140 Quel fratello maggiore, che non si era rattristato quando il fratello pi piccolo se n'era andato malamente da casa (anzi, forse aveva pensato in cuor suo, come traspare dalle parole del padre, che gli sarebbe rimasta tutta l'eredit paterna), e si rattrista invece quando il fratello pentito viene accolto con gioia festosa dal padre, quel fratello fa notare a suo padre di essergli sempre rimasto fedele. Infatti da tanti anni lo serviva senza aver "mai trasgredito un suo comando". Ma gli mancava l'amore, era vissuto pi da servo che obbediva anzich da figlio che amava. Perci, osserva davvero i comandamenti solo colui che mosso dallamore.
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Perci, se vero che si attenta al bene comune emanando leggi ingiuste o inique, ed evadendo dalle leggi giuste costituite, ancor pi si attenta al bene della comunit e alla sua ordinata convivenza quando si provoca o si coopera al degrado morale dei cittadini demolendo i principi e i valori che sono fondamento delle virt morali. In questo campo, enorme la responsabilit dei movimenti politici e culturali, dei potentati che detengono i mass-media, i quali spesso uniscono l'agire delittuoso alla vilt di mascherarsi dietro presunti diritti all'informazione e alla libert di espressione per avallare invece il libertinaggio morale. L'aver separato il progresso tecnico-scientifico, l'organizzazione politica e sociale dall'etica e dalle virt morali una delle falsificazioni pi rovinose operate dalla ideologia laicista. Fondamento di ogni societ la persona umana con i valori morali che essa incarna; e se vero che non tutti possono essere buoni architetti, buoni poeti, filosofi, scienziati, buoni tecnici, ognuno pu essere per buon cittadino, o semplicemente un uomo buono. Non dunque la scienza, la politica, l'arte o qualsiasi attivit professionale sono alla base del valore di una persona, ma il suo essere morale, le sue virt, che costituiscono anche il fondamento di ogni retta convivenza sociale. E tuttavia non basta un uomo virtuoso per fare un cristiano. Il cristiano tale per il Battesimo che ha ricevuto, cio per la grazia che lo ha fatto partecipe della natura divina come figlio di Dio. Perci, se le virt morali sono ordinate a perfezionare l'uomo naturale come immagine di Dio, per noi cristiani necessaria la Carit, cio l'amore soprannaturale, che forgia e promuove in noi la filiazione divina, ci configura sempre pi a Cristo e ci fa entrare per mezzo di lui in una pi profonda intimit con Dio. Nel cristiano, dunque, le virt morali che gi costituiscono la base della bont naturale, devono aprirsi ad una bont pi alta, soprannaturale, alla santit, che la pienezza dell'amore di Dio, Amore che trova la sua perfezione nelle Beatitudini.
74 - Un nemico: lipocrisia.
Sappiamo che tutto questo opera di Dio che agisce in noi per mezzo dello Spirito, ma sappiamo anche che c' in noi un nemico mortale che si oppone all'amore di Dio: la superbia. E' cos che si possono praticare le virt ma cercando esclusivamente la propria perfezione, cio per amore di s stessi. Si pu cadere in una sorta di narcisismo spirituale che porta il nostro io a girare intorno alla propria immagine e a considerarsi superiore agli altri per le virt di cui si vede adorno. Oppure ci si pu appoggiare alle proprie virt per sentirsi meritevoli davanti a Dio e graditi ai suoi occhi. In altre parole si possono cercare e anche praticare le virt e non amare. Se manca l'amore mancher alle virt il valore soprannaturale, l'impronta divina che le fa essere virt cristiane, veramente perfettive del nostro essere figli di Dio. Quante persone si angustiano per la propria perfezione morale e perdono la pace! Esse inaridiscono intorno ad un ideale astratto di perfezione, misurata sul corredo di virt che sono riuscite a indossare. E' fin troppo nota la figura del fariseo salito al tempio per esporre davanti a Dio le proprie virt e i propri meriti vantando la propria superiorit sugli altri considerati invece peccatori. Certo noi difficilmente indosseremo la sfrontatezza e la presunzione del fariseo, ma il desiderio di apparire giusti davanti a Dio, non mescolati alla folla dei peccatori, tutti puliti e in ordine per sfilare senza timore davanti - si pensa- al giudizio di Dio e degli uomini, in realt davanti al proprio giudizio, questo pericolo sempre in agguato in ognuno di noi. Anche arrivassimo ad avere il guardaroba pi ricco e ridondante, il pi completo di ogni virt, ma ci mancasse la veste nuziale, la carit soprannaturale, la 70
veste fiammante dell'amore di Dio e del prossimo, il nostro guardaroba servirebbe a coprire una scimmia, un pupazzo inconsistente, che risulta ridicolo agli occhi di Dio. San Paolo, nel suo "Inno alla carit", ha affermazioni che non possono lasciarci indifferenti: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carit, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede cos da trasportare le montagne ma non avessi la carit, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carit, niente mi giova". 141 L'amore dunque deve essere come l'anima di tutta la vita morale dell'uomo, nella sua dimensione naturale e soprannaturale, "cos che ogni esercizio di perfetta virt cristiana non pu scaturire se non dall'amore e nell'amore ha il suo ultimo fine". 142
1 Cor. 13,1-3 Catechismo Romano, Prefazione 1 Cor. 9,24 Beato J. Escriv, E' Ges che passa n. 76
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E' dunque l'amore che deve ispirare e sostenere la lotta ascetica, l'amore di Dio e non il desiderio di meritarci un certificato di buona condotta. Cos non ci lasceremo prendere dallo scoraggiamento se la nostra lotta personale conoscer i momenti di stanchezza, di debolezza e anche di sconfitta, perch l'amore ci porter a ricominciare mille volte. Ges caduto sotto la croce - sotto il peso dei nostri peccati non rimasto a terra; e a farlo rialzare non sono stati i calci e le frustate dei soldati ma l'amore, l'amore per il Padre e l'amore per gli uomini; e fu l'amore a trascinarlo fino sul calvario, fino sulla croce. La lotta ascetica, che esige spesso il sacrificio e la penitenza, precisamente una partecipazione alla croce di Cristo, ma anche partecipazione alla sua vittoria, al suo trionfo, alla sua libert, alla sua gloria. Il beato J. Escriv mettendo l'ultima pietra all'ultima delle sue opere, vi lasci scritte queste parole, che suonano come un testamento: Questo il nostro destino sulla terra: lottare, per amore, fino all'ultimo istante. Deo Gratias!. Per amore! Dove c' amore, la lotta interiore diventa gioiosa, perseverante, efficace, e d'altra parte, la lotta ascetica conferisce all'amore la garanzia della sincerit e della verit.
76 - Amore e Beatitudini.
Infine, le virt trovano il loro coronamento nelle Beatitudini del Vangelo. Le Beatitudini, infatti, costituiscono la vera caratteristica del cristiano perfetto: esse esprimono il programma essenziale della santit cristiana e conducono alla pienezza della carit. Perci senza la carit esse non sono n praticabili e nemmeno pensabili. Presentano due caratteristiche: proclamano le virt evangeliche nella loro perfezione pi alta, cammino del perfetto discepolo di Cristo; e hanno poi significato escatologico, fanno cio riferimento alla vita eterna e alla condizione che le propria: la beatitudine. In altre parole, il perfetto discepolo di Cristo, seguendo le Beatitudini, vive tali disposizioni interiori da anticipare qui sulla terra le condizioni proprie della vita eterna. Non deve apparire strano che nelle Beatitudini non si parli della carit; ci viene infatti presentata la sua conseguenza pi alta, la beatitudine appunto. E' beatitudine il possesso pieno e perfetto di ci che si ama, l'appagamento completo e duraturo di tutte le aspirazioni del cuore e dell'anima, aspirazioni che non hanno limite perch aperte verso il Bene sommo. Solo la contemplazione di Dio e la partecipazione piena alla sua intimit possono appagare il nostro essere e inondarlo dell'Amore beatifico. A questa beatitudine dell'amore fanno riferimento le beatitudini del Vangelo. "L'amore di Dio, diffuso nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo che ci stato dato, rende capaci i laici di esprimere realmente nella loro vita lo spirito delle Beatitudini." 145 Il guaio che non ci crediamo, o non ne siamo seriamente convinti. L'umilt perfetta, il distacco perfetto, la castit perfetta, la mansuetudine, l'amore ai nemici, il perdono delle offese, la fedelt fino al martirio...., ci spaventano. Pensiamo che in queste cose non ci possa essere la felicit e tanto meno la beatitudine. E' che non sappiamo vedere in esse l'Amore. Siamo talmente inclinati a vivere sotto la schiavit della legge, che non ci sfiora nemmeno il desiderio di assaporare la libert dell'amore. Vero che sulla terra la nostra libert di creature soffre i limiti della condizione umana segnata dalla debolezza e dal peccato, e perci ha bisogno della legge; ma non per questo si sono chiuse le strade dell'amore, perch Dio per mezzo del Suo Figlio fatto uomo ha riaperto sulla terra i "cammini divini" dell'Amore. Bisogna diventare anime assetate di Dio per dilatare i confini della libert. E quando
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la sete di Dio diventa desiderio incontenibile, la legge lascia il posto allo Spirito e la libert scioglie le vele verso l'amore che diventa un mare senza confini, una luce inebriante che alimenta fuochi nuovi di desiderio. "Come la cerva anela alle sorgenti delle acque, cos l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verr e vedr il volto di Dio?". 146 A questo punto anche la preghiera non ha pi parole; un lungo anelito dell'anima, come un grido. S.Agostino cos commenta le parole del salmo 37: "Signore, davanti a te ogni mio desiderio e il mio gemito a te non nascosto". 147 C' un gemito segreto del cuore che non avvertito da alcuno; (...) la voce del desiderio (...) Il tuo desiderio la tua preghiera: se continua il tuo desiderio continua pure la tua preghiera.... Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato (che il riposo di Dio), non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio continuo, continua la tua voce. Tacerai, se smetterai di amare. La freddezza dell'amore il silenzio del cuore, l'ardore dell'amore il grido del cuore. Se resta sempre vivo l'amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, desideri sempre; se desideri, hai il pensiero rivolto alla pace". 148
IL COMANDAMENTO DELL'AMORE
77 - Amore e libert.
Parlando dell'amore abbiamo accennato alla libert come condizione e presupposto indispensabile per poter amare. Libert e amore: quale rapporto? Queste due parole sono forse quelle che, oggi soprattutto, ricorrono pi frequentemente nel vocabolario degli uomini. Non solo nel vocabolario delle scienze umane e della cultura in genere ma anche in quello corrente, nel linguaggio dell'uomo comune. Tutto si decide in nome della libert, tutto si misura in termini di libert. Soprattutto l'amore - si dice - non pu essere che "libero"; libert e amore non conoscono leggi, non possono avere limitazioni; l'amore nell'uomo il sentimento pi spontaneo, pi libero, e non pu soffrire inibizioni. Si pu intuire facilmente a quali equivoci si prestino queste espressioni e come proprio in queste parole si nasconda la piaga del nominalismo moderno. Un nominalismo che svuota le parole del loro significato, le priva del loro valore originario, e poi le utilizza per rivestire concetti pre-costituiti, secondo ideologie che spesso sono tra loro contraddittorie. Si arriva fino alla falsificazione dei significati con la inevitabile conseguenza della confusione della lingue. Si confonde cos la libert con l'istinto, la libert col capriccio, la libert col libertinaggio, la libert con "le libert". Ora, l'istinto una forza cieca che nell'uomo non ordinata razionalmente, il capriccio l'immaturit di chi non ha ancora realizzato il dominio di s stesso, il libertinaggio disprezzo delle persone e delle leggi, "le libert" sono le possibili applicazioni della libert, i campi dove essa pu esprimersi ed esercitarsi. Ma tutto questo non ancora la libert. Uno dei passi pi noti di tutta la Bibbia, un passo che viene citato da Ges nel Vangelo, esprime i valori della libert e dell'amore nel loro rapporto pi profondo, e proprio in riferimento alla nostra condizione umana: il famoso "Shem Israel", la
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Salmo n. 41,2-3 Salmo n. 37,10 S.Agostino, Commento sui Salmi: Sermone 37,13-14
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preghiera che ogni buon ebreo recita ogni giorno. Essa dice: "Ascolta Israele: il Signore il nostro Dio, il Signore uno solo. Tu amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze". 149 E' il comandamento dell'amore, il primo comandamento della Legge, ma anche il compendio di tutti i comandamenti e di tutta la legge.
78 - Quale libert?
Nasce allora una domanda: com' possibile "imporre" l'amore con un precetto? Non forse contraddittorio un simile comandamento? Se l'amore viene imposto gli si toglie il suo requisito fondamentale: la libert; lo si priva perci di autenticit e di valore. Per rispondere a queste domande, occorre restituire alle parole il loro significato proprio, occorre cio uscire da quel nominalismo intellettuale che ha rovinato tanta parte del pensiero moderno e condiziona tuttora la cultura contemporanea. Che cos' veramente l'amore? E la libert, cos' essa veramente? Di quale libert si parla quando si discute sulla libert dell'amore? Dovremo necessariamente limitarci a semplici considerazioni dettate dal senso comune, un senso comune che, almeno per noi cristiani, gode dell'aiuto inestimabile della fede. Di solito quando parliamo di libert pensiamo alle varie espressioni di essa nella vita corrente: libert di opinione, libert di movimento, libert di espressione, libert di scelte professionali, politiche, artistiche, libert di rapporti umani, di amicizie ecc. In tutti questi campi ha senso e va rispettata la "libert di scelta". Di fatto, nella vita quotidiana, noi esercitiamo continuamente la libert di scelta. Scegliamo le scarpe, la cravatta, il rossetto, il men di mezzogiorno o, pi seriamente, abbiamo possibilit di scegliere la professione, l'ambiente di vita, le amicizie, i candidati di un partito..., e cos si possono scegliere infinite altre cose, ma tutte relative; relative non solo in s stesse perch la loro natura limitata, ma anche perch contingenti, non necessarie, legate al tempo e alla nostra condizione di creature. Ci sono invece cose che non si scelgono, che sfuggono totalmente alla nostra volont e alle nostre decisioni, e per le quali la "libert di scelta" non ha senso. Cos la vita: non si sceglie ma si riceve; cos la verit: non si sceglie, ci viene data; cos il bene: non si sceglie, lo si accoglie. La nostra stessa identit personale con le caratteristiche di natura, di carattere, di personalit non l'abbiamo scelta noi, ci stata data; e ancor pi ci viene data la grazia, la vocazione, il nostro destino. Cos l'amore. Tutte queste cose si possono accogliere o rifiutare, non scegliere. In definitiva si tratta della nostra realt di creature, creature che sono state "scelte", volute da Dio per amore. "(Egli) ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carit, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Cristo", 150 il quale ricorda ai suoi apostoli: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi". In ultima analisi, Dio non pu essere oggetto di scelta, n Dio n il suo disegno su di noi. La libert vera, nella sua identit profonda e radicale, non sta dunque nella possibilit di scelta, ma nella capacit di aderire pienamente e totalmente a Dio. E' un atto proprio dell'essere spirituale: lo chiamiamo "responsabilit"; essa suppone in noi il dominio delle nostre azioni e delle nostre decisioni. Senza libert non possibile amare. Ci stata data la libert per poter rispondere all'Amore con l'amore. Ecco perch il rifiuto di obbedire a Dio e alle sue "chiamate" non espressione di libert, ma autodistruzione della libert.
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79 - Libert e verit.
Perci la libert fine a s stessa, la libert per la libert, diventa un idolo, un feticcio, un tragico inganno che genera la morte, perch contiene la pretesa dellautonomia ontologica ed esistenziale, cio il tentativo di emancipazione da quel rapporto con Dio che costitutivo del nostro essere. Si intuisce allora il profondo legame che esiste tra libert e verit. Rispettare e aderire alla verit, alla verit del nostro essere e di ogni essere, alla verit che esiste nella realt delle cose, in una parola alla verit di Dio, significa tracciare la strada alla libert, renderla possibile, significa garantirla nel suo esercizio. Fuori della verit, la libert si paralizza o impazzisce; mortifica le pi vitali energie dello spirito, o genera distruzioni irreparabili e tragiche. Tutti conosciamo, e molti di noi ne siamo stati testimoni, di quali orribili crimini e rovinose catastrofi si sia fatta responsabile, nel nostro secolo, una libert impazzita nell'errore e nella menzogna. E' triste constatare come noi uomini non sappiamo imparare mai abbastanza dalla storia. Fin da principio, infatti, i nostri progenitori hanno preteso di affermare la loro libert rifiutando il disegno di Dio, e hanno considerato il suo comando "...Dell'albero della conoscenza del bene e del male non dovete mangiarne, perch certamente morirete" 151 come un inganno, (oggi lo diremmo un atto di terrorismo psicologico); sono cos usciti dalla verit e dalla grazia, rimanendo confusi e smarriti, nudi di ogni dono di Dio, coperti solo dalla propria vergogna e dalla paura. Da allora cominci per l'umanit una lunga storia di oscurit e di miseria, di oppressione e di violenza, finendo di volta in volta sotto le varie tirannie della superbia e dell'odio. Ma noi continuiamo a celebrare le nostre liturgie libertarie non fidandoci di Dio, diffidando di Cristo, rifiutando la Chiesa, per seguire la "libert di pensiero", la "libert di coscienza", la "libert di scelta", e tutti i dogmi del laicismo mondano.
80 - La libert dellamore.
Tornando dunque al nostro ragionamento, ci sono "le libert", che riguardano tutto ci che relativo, opinabile, eleggibile, e c' poi "la libert" che, invece, riguarda il fine ultimo, assoluto: il Bene, il Giusto, cio Dio stesso e ci che a Lui si riferisce. Le libert si perdono con la coazione e con la violenza, la libert si perde solo con il peccato. Ora la nostra condizione sulla terra quella di peccatori. Il peccato entrato nel mondo e si insediato nel cuore dell'uomo. La nostra libert ha perci bisogno della legge, cos come la nostra responsabilit e la nostra fedelt hanno bisogno della grazia. Ecco giustificato il "Comandamento dell'amore". Peccatori, soggetti alla tirannia del peccato, abbiamo perduto la "libert dell'amore", abbiamo dimenticato e disimparato ad amare. Ci rimasto, s, il desiderio, la tendenza, il bisogno dell'amore, perch il peccato non ha distrutto la natura, non l'ha soppressa e non le ha tolto l'immagine di Dio, l'ha per ferita mortalmente, l'ha resa "dissimile" da Dio, e perci incapace, senza l'intervento divino, di vivere nella libert dell'amore. Dicendo "intervento di Dio" non intendiamo qualcosa di esterno, un aiuto saltuario e momentaneo, una mano che Dio ci offre per superare i momenti difficili della vita; abbiamo bisogno certamente anche di questi aiuti, che la teologia chiama "grazie attuali" perch legate a momenti e circostanze particolari, e che vanno chieste
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continuamente a Dio nella preghiera, ma qui, nella nostra condizione di peccatori, necessario un intervento di Dio radicale e profondo: la Redenzione. Si tratta di una "creazione rinnovata", una ri-creazione dell'uomo a partire dal suo essere profondo, dalla sua natura, perch diventi conforme al progetto di Dio, e riacquisti la sua "somiglianza" con Lui, capace di quel destino di eternit al quale l'amore di Dio lo ha chiamato. Questo intervento soprannaturale, divino, immensamente commovente, si compiuto in Ges. Egli, Figlio di Dio, facendosi uomo ha ricuperato la nostra natura umana, morendo sulla croce ci ha liberati dal peccato, e nella sua risurrezione, ci ha restituito la nostra dignit di figli di Dio, eredi del Cielo. Ecco dunque da chi viene la "libert dell'amore", ecco qual la vera libert dell'amore, ed ecco anche perch sulla terra abbiamo bisogno del comandamento dell'amore, della "legge dell'amore". Cristo infatti ci ha liberati dal peccato e perci ci ha liberati dalla legge del peccato: "Siete liberi di quella libert di cui Cristo vi ha liberati"; "Quando infatti eravate sotto la schiavit del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino la morte. Ora, invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio...avete come destino la vita eterna. Perch il salario del peccato la morte. Ma il dono di Dio la vita eterna in Cristo Ges...o forse ignorate, fratelli, che la legge ha potere sull'uomo solo per il tempo in cui egli vive?". 152 Nella vita eterna, infatti, non avremo pi bisogno n della legge n della grazia, entreremo nella libert della gloria, la gloria dei figli di Dio. Ci sar dunque solo l'amore, la pienezza dell'amore, la piena libert dellamore.
81 - Il Comandamento dellamore.
La misura della nostra libert data dalla capacit di amare, la capacit di rispondere all'amore. Senza libert non possibile amare, ma senza l'amore la libert si perde. Ben venga dunque il comandamento della Legge: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze". Il Signore dovuto arrivare fino a questo punto: comandarci di amarlo. Esaminiamo dunque pi a fondo questa legge dell'amore. Dobbiamo "amare Dio sopra ogni cosa, con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze". Questo comandamento afferma innanzitutto la supremazia dell'amore di Dio su ogni altro amore. Amare Dio sopra ogni cosa infatti significa professare non solo che Dio pi importante di ogni altra realt, ma anche che ogni cosa deriva la sua importanza da Lui. E', in fondo, il contenuto del primo comandamento: Io sono il Signore, Dio tuo, l'Unico; non avrai altro Dio che me; per cui Ges poteva dire: "Chi ama il padre e la madre pi di me non degno di me".153 Purtroppo la nostra condizione sulla terra ci impedisce di vedere Dio, di riconoscerlo con evidenza come il Sommo Bene. Perci spesso i beni parziali di questo mondo ci attirano pi di Lui e ci portano a mettere Dio non al primo posto ma dopo altri interessi, se non addirittura ad eclissarlo nella nostra vita. Il Comandamento nel quale Dio ci chiede di amarlo sopra ogni cosa viene cos incontro alla nostra debolezza, ci fortifica nei momenti di incertezza e di oscurit, e contribuisce a rendere pi convinta e sincera la lotta contro ci che pu allontanarci da lui. Dio il Primo e dobbiamo perci metterlo al primo posto; prima della salute, prima del lavoro, prima della carriera, prima degli interessi materiali, anche prima dei figli e perfino dei genitori. Questo non significa che l'amore di Dio debba competere o addirittura entrare in alternativa con gli amori nobili e belli della
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nostra vita; anzi, amare Dio sopra ogni cosa ci porta ad amare ogni cosa con amore giusto e ordinato perch amare le creature come Dio le ama. Diversamente ci allontaniamo dalla verit, non la pratichiamo e lasciamo entrare il disordine nella nostra vita.
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Non dobbiamo aver paura di amare Dio con il nostro cuore di carne perch Dio stesso ha voluto amarci cos, con l'affetto umano proprio di un cuore che sa vibrare e commuoversi, gioire e intenerirsi, che sa comprendere, perdonare, soffrire. Tale fu il cuore di Cristo, un cuore che non la lancia del soldato ma l'amore verso gli uomini ha squarciato e aperto perch potessimo vedere l'abisso dell'Amore divino e trovassimo in lui il nostro riposo e la nostra pace. "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse gi acceso!". 155 Quando la nostra mente torpida e stanca, la nostra anima confusa e sonnolenta, facciamo agire il cuore; mettiamolo accanto al fuoco portato da Cristo perch si riscaldi e si apra a sentimenti di lode, di gratitudine, di gioia, di amicizia, di contrizione, di fiducia, di serenit; e tutto questo senza bisogno di parole, senza faticosi ragionamenti. E' l'orazione affettiva, la "contemplatio ad amorem". Infine pu capitare che anche il cuore entri in uno stato di apatia e di indifferenza. Non solo l'anima tace, non solo i pensieri balbettano, ma anche il cuore rimane freddo, insensibile, e ci che prima lo infiammava, lo inteneriva, lo faceva vibrare, ora sembra cenere spenta. E' allora il momento della volont, il momento di amare con "tutte le forze". Tutte, a cominciare da quelle fisiche impedendo al corpo di lasciarsi andare a pigrizie o a pesantezze che spesso conseguono alla aridit interiore; e pi ancora con le forze psichiche, non cedendo agli stati d'animo, alla malavoglia o alla ripugnanza di fronte ai propri doveri e al proprio lavoro, reagendo pazientemente ma inflessibilmente a quella astenia interiore che minaccia di paralizzare le energie dello spirito; infine smascherando l'inganno che pu nascondersi in vari pensieri di scoraggiamento e di diserzione, come ad esempio giudicare inutile tutto quello che facciamo, pensare che quella preghiera senza fervore e senza entusiasmo non valga nulla, credere alla sensazione di essere tornati indietro e di lavorare senza frutto, per cui non vale la pena di lottare, di continuare a impegnarci. Ma soprattutto sono le forze spirituali che dobbiamo mobilitare, le energie che fanno capo alla volont. In queste condizioni interiori lei, una volont forte e tenace che deve prendere in mano la situazione, collocarsi al centro del nostro mondo interiore ed esercitare con fermezza il suo ruolo di facolt operativa. Allora, amare "con tutte le forze" significa amare con opere: portare a compimento il proprio dovere anche il pi piccolo, anche se ci costa, con voglia o contro voglia, con gusto o con ripugnanza; essere fedeli ai compiti, agli incarichi, al lavoro affidatoci; dedicarci agli altri in mille gesti, piccoli o grandi, di carit e di apostolato, con generosit, con perseveranza, senza attendere compensi. Tutto questo amare con opere, volere ci che gradito a Dio e perch gradito a Dio. Anche l'orazione richiede, allora, sforzo e pazienza; simile al lavoro faticoso di chi cava acqua dal pozzo con la forza delle braccia, secchio dopo secchio, con la sensazione di raccogliere ben poco con tanto sudore. Fare le cose per pura volont e andare avanti nel cammino per pura fedelt, , allora, l'unico modo per dire al Signore che gli vogliamo bene. E' certo un amore faticoso, arido, poco gratificante, ma amore autentico, amore squisitamente soprannaturale, che Dio premia con grazie abbondanti e con doni di sapienza.
84 - Il Comandamento nuovo
Ma il precetto divino che ci comanda di amare diventa particolarmente urgente e impegnativo, data la nostra condizione di peccatori, quando si tratta dell'amore del prossimo. Abbiamo gi detto che il nostro viaggio sulla terra non lo percorriamo da soli; siamo una moltitudine, un fiume e non possiamo stare insieme senza amarci.
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Lc. 12.46
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Eppure il peccato ha reso cos difficile l'amore reciproco che Ges, nel lasciarci come testamento l'imperativo dell'amore fraterno, ha dovuto chiamarlo "il comandamento nuovo". E nuovo davvero questo Comandamento del Signore non solo perch gli uomini ne avevano perduto il ricordo, e con esso la capacit e la volont di praticarlo, ma anche perch il contenuto, le motivazioni e il modo di viverlo indicati da Ges ne fanno una novit assoluta. Nell'Antico Testamento l'amore del prossimo era commisurato esclusivamente sulla giustizia: "Amerai il prossimo tuo come te stesso", per cui "tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro". Il Comandamento nuovo portato dal Signore esige invece che l'amore al prossimo sia una partecipazione dell'amore stesso di Dio. Se amiamo Dio, ameremo anche col suo amore e ameremo tutto ci che egli ama. L'uomo l'unica creatura che egli ama per s stessa e perci non possibile amare Dio senza amare ogni uomo. In definitiva, non esiste che un solo comandamento, come esiste un solo amore: l'amore verso Dio; un amore che da Lui si espande sulle creature a cominciare dal nostro prossimo. L'ideologia della secolarizzazione e la morale laica che ne deriva hanno compiuto una delle operazioni pi deleterie e immorali di tutta la storia della cultura occidentale: quella di separare l'amore del prossimo dall'amore di Dio. Operazione che rientra nell'antica e assurda pretesa autonomistica della creatura che rifiuta il suo creatore, dell'uomo che respinge Dio. Cancellato l'amore di Dio cancellato anche l'amore per l'uomo, amore che si tenta di far sopravvivere con surrogati che spesso finiscono nella ipocrisia o addirittura nella menzogna. Cos, cancellato l'amore cristiano, rimasta la "solidariet", una solidariet tuttofare, onnicomprensiva, buona per tutte le operazioni, che pu significare tutto e anche niente. Nella variante ecologica del laicismo, poi, la solidariet per gli uomini, l'amore per gli animali. E' inevitabile! Emarginato Dio, cancellato anche l'amore, perch l'amore Dio stesso. L'amore di Dio rimane fondamento dell'amore per l'uomo e per tutte le altre creature.
85 - Amore e misericordia.
L'amore cristiano partecipa cos alle caratteristiche dell'amore che Dio nutre verso gli uomini. In Dio l'amore innanzitutto misericordia. "Siate misericordiosi come misericordioso il Padre vostro". 156 E' misericordia la capacit che l'amore ha di aprirsi al dolore e alle necessit del prossimo, al suo bisogno e alla sua povert corporale, ma soprattutto alla miseria morale e spirituale in cui esso pu trovarsi. E' una disponibilit che spinge ad intervenire con gesti concreti di aiuto e di dedizione, quali sono le "opere di misericordia". La pi grande lezione e l'esempio pi commovente di misericordia Ges stesso. E' lui il buon Samaritano che "misericordia motus", spinto dall'amore misericordioso, si curva sull'uomo che si trova in condizioni di miseria perch lontano da Dio e mortalmente ferito dal peccato, lo raccoglie, gli fascia le ferite "versandovi l'olio e il vino" della sua passione e del suo sangue redentore, lo affida alla Chiesa -"lo port a una locanda" - alla quale consegna i due denari (il Vangelo e i Sacramenti), con l'incarico di prendersi cura di lui. Ma, anche fuori di parabola, Ges sent compassione della folla che da tre giorni lo seguiva e "si commosse per loro, perch erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose", 157 dopo aver guarito molti malati e provvedendo poi con la moltiplicazione dei pani alla loro necessit materiale. In questo comportamento di Ges, ci vengono indicate le opere di misericordia, quelle spirituali e quelle corporali. Ges si commuove alla vista della fame e del dolore, ma
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soprattutto si commuove alla vista dell'ignoranza. (Escriv) E non c' ignoranza peggiore di quella di chi ignora la salvezza che viene da Dio. La verit pi consolante che Ges ci ha rivelato che il Padre "ricco di misericordia verso quanti lo invocano" 158; perci il nostro amore verso il prossimo trova la sua pi alta espressione nella partecipazione alla misericordia di Dio il quale "vuole che tutti gli uomini siano salvati" 159. Ora, un amore fraterno che sia impregnato di misericordia e cerchi la salvezza dei fratelli, esige sacrificio, dimenticanza di s stessi e donazione. La strada della misericordia percorsa da Ges quella della croce, espressione suprema del dono di s; e proprio sulla croce Ges ha compiuto il gesto di misericordia pi commovente quando, dopo aver chiesto al Padre di perdonare i suoi crocifissori, ha Lui stesso donato la salvezza al ladrone pentito: "In verit ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso". 160
86 - Amore e perdono.
Altro contenuto nuovo portato da Ges al comandamento dell'amore il perdono. Prima di Ges il perdono era considerato debolezza, vigliaccheria, mancanza di virilit. Ges ci ha rivelato che l'onnipotenza di Dio, pi ancora che nella creazione dell'universo, si manifesta nella misericordia e nel perdono. 161 Se c' una cosa che pi ci fa simili a Dio il perdono. Anzi perdonare, il vero perdono, proprio solo di Dio. Il nostro perdono, infatti, rimane esterno alla persona che ci ha offeso; essa rimane nella sua colpa. Dio, invece, quando perdona raggiunge l'intimo della nostra coscienza e ci rinnova interiormente. Il perdono di Dio cancella le nostre colpe e rinnova, "rende nuovo", il nostro cuore. "Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo". 162 Perci il perdono un intervento dell'onnipotenza del Padre, un atto creativo in cui la potenza di Dio si mette al servizio della sua misericordia. Ecco perch un Dio che perdona commuove pi profondamente di un Dio che crea (Escriv). Il nostro perdono, esigenza dell'amore cristiano, anche se non ha efficacia sulla coscienza della persona, tuttavia importante per lei e per noi: per lei, perch col perdono possiamo guadagnare il nostro fratello; per noi, perch nel perdono no i rinneghiamo il male e giudicando noi stessi peccatori possiamo ottenere il perdono dei nostri peccati. E' quanto diciamo nel Padre Nostro: "Rimetti a noi i nostri debit i come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Il nostro perdono deve quindi ispirarsi al perdono di Dio; perci dobbiamo perdonare sempre, dobbiamo perdonare di cuore, dobbiamo perdonare sinceramente e totalmente. Siamo infatti tentati di perdonare alcune volte - "fino a sette?" domand Pietro - e perdonare solo alcune offese; siamo portati a perdonare col cuore stretto, con qualche rivincita, magari lamentandoci vittimisticamente e perdendo la pace; siamo infine disposti a perdonare ma a certe condizioni, con clausole di risarcimento al proprio orgoglio ferito, tenendo sempre pronto in tasca il conto dei torti e dei danni. Non questo il perdono di Dio. Se poi ci sforziamo di amare come ci ha amati Cristo, quel Ges che appunto dalla croce ha pregato per i suoi crocifissori, allora il nostro amore fraterno includer, anzi anticiper il perdono. Diceva il Beato Escriv che egli non aveva mai avuto bisogno di perdonare perch il Signore gli aveva insegnato ad amare. Questa espressione ci ricorda un aspetto rivoluzionario dell'amore cristiano:
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Sal. 86,5 1 Tim. 2,4 160 Lc. 23,43 161 Deus, qui omnipotentiam tuam parcendo maxime et miserando manifestas..." Orazione della 26.ma Domenica T.O. 162 Salmo n. 50,12
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l'amore verso i nemici. Ges stato esplicito: "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perch siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti". 163 Tuttavia, la carit fraterna e il perdono non escludono la giustizia, ci aiutano invece a coniugarla nel modo pi nobile e retto. La giustizia ispirata dalla carit e dal perdono esclude innanzitutto la vendetta, mira poi ad impedire al malfattore di compiere il male, lo induce a riconoscere lealmente il male compiuto e a pentirsene per ottenere la salvezza, e gli esige infine il ripararne, nella misura del possibile, le ingiuste conseguenze. Tale la giustizia di Dio, il quale "non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva", e tuttavia ha chiesto riparazione per l'ingiustizia del peccato attraverso la passione e la morte di Ges, suo Figlio, offrendo cos a tutti noi la possibilit di pagare i nostri debiti. Davanti a Ges crocifisso possiamo ben dire: "Giustizia fatta!", ma nella misericordia e nel perdono.
87 - Amore e servizio.
Una terza novit di contenuto nel comandamento dellamore fraterno lasciatoci da Ges la gratuit del dono di s che si esprime nel servizio. Dopo che ebbe lavato i piedi ai suoi, Ges sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ci che vi ho fatto? Voi mi chiamate maestro e Signore e dite bene perch lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perch come ho fatto io, facciate anche voi". 164 Servire, secondo l'insegnamento di Ges, significa sapersi sacrificare - "dare la vita" - per gli altri, sapersi sacrificare generosamente e senza desiderare compensi, "...appunto come il Figlio dell'uomo che venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti". 165 Il sacrificio di s stessi finalizzato al servizio, come dimensione dell'amore cristiano, esige una profonda umilt, un distacco generoso da s stessi, dalle proprie comodit, da interessi ed ambizioni personali. Ai due discepoli che ambivano i primi posti nel regno messianico Ges ricorda: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi per non cos; ma chi vuol essere grande tra voi si far vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sar il servo di tutti". 166. Servire, dunque, l'esatto contrario di dominare, di prevalere sugli altri, di sottometterli al proprio criterio personale. Le parole di Ges infatti non escludono n l'autorit n il prestigio umano e professionale, anzi, esigono proprio l'esercizio fedele e responsabile dell'autorit per il bene comune, e spingono al prestigio umano e professionale onde poter servire meglio e con pi efficacia i propri fratelli. Le applicazioni pratiche di questo atteggiamento sono, nella vita di ogni giorno, innumerevoli e continue. Nell'ambiente di lavoro, nella vita di famiglia, nelle responsabilit civili e sociali, le occasioni di sacrificarsi, di servire, di dedicarsi al bene spirituale e corporale dei nostri fratelli, soprattutto dei pi bisognosi, dei pi deboli e indifesi, devono diventare appannaggio di ogni cristiano, un vanto, una santa ambizione per ogni discepolo di Ges.
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dell'agricoltura o dell'ecologia, cos come ha insegnato le vie della giustizia e della pace ma non venuto per risolvere con formule politiche i rapporti sociali, giuridici o istituzionali dei popoli. "Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo" e ha dato la sua vita sulla croce. Se dunque dobbiamo vivere il comandamento nuovo che ci chiede di amarci con l'amore stesso di Cristo, saremo aperti generosamente alle necessit, alle sofferenze, alle attese dei nostri fratelli e ci dedicheremo con impegno e responsabilit alla soluzione dei problemi sociali, economici e politici per dare a questo mondo un volto sempre pi umano e sempre pi conforme alla nostra dignit di figli di Dio. Ma in tutto questo e al di sopra di tutto questo cercheremo per noi e per i nostri fratelli la Salvezza, cio la Vita Eterna. Non dimentichiamo che, se non arriviamo in cielo, abbiamo miseramente fallito la nostra vita.
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distinguere il male dalla persona che lo compie; e mentre respinge il male con assoluta giustizia, paziente, benigno e misericordioso con colui che lo compie. Perci, discolpare significa anche non condannare. E' ancora Ges a ricordarcelo: "Non condannate e non sarete condannati, perdonate e vi sar perdonato". 170 Tutti noi abbiamo in cuor nostro un tribunale permanente, davanti al quale facciamo sfilare le persone sulle quali lasciamo cadere giudizi e condanne, spesso impietosi, che non ammettono n dubbi, n attenuanti. Dobbiamo demolire dentro di noi ogni tribunale negativo, e se dobbiamo decidere interventi o prendere misure di giustizia verso i nostri fratelli, non sar mai giustizia vendicativa o esclusivamente punitiva, lascer aperta la strada alla speranza, al desiderio di conversione, alla possibilit di riparazione.
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IL TEMPO E L'UOMO
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92 - Luomo chi ?
Da un certo punto di vista, non sono in errore quei filosofi e pensatori che hanno posto l'uomo al centro di tutte le cose; una visione antropocentrica del mondo ha una sua giustificazione. Occorre perci conoscere l'uomo, sapere chi . C' chi lo ha definito un essere di frontiera, una cerniera tra due mondi: il mondo della materia e il mondo dello spirito; un essere che respira il tempo e l'eternit. L'uomo - disse Giovanni Paolo II - "come l'orizzonte del creato, nel quale si configurano il cielo e la terra; come vincolo del tempo e dell'eternit; come sintesi del creato". 175 Questa duplice estensione fa dell'uomo la sintesi vivente di tutta la realt creata. Ma proprio in questa estensione, in questo esistere proteso tra due universi sta l'essenza del mistero dell'uomo, la sua natura abissale. Pochi temi hanno tanto appassionato la mente umana. L'uomo l'unico essere "composto", o meglio, "coestensivo". Nella natura troviamo esseri che sono pura materia, pura molteplicit; nel mondo angelico troviamo gli Angeli che sono puro spirito, pura semplicit. L'essere dell'uomo invece una "unit duale". Qui sta la radice del mistero dell'uomo, ma qui sta anche la linea di conflitto, il confine dove si scontrano le diverse concezioni dell'uomo nella storia del pensiero. C' chi nega l'unit dell'essere umano, cadendo in un dualismo che spezza l'uomo e lacera irrimediabilmente la sua natura; e c' chi nega la sua dualit cadendo in una concezione riduttiva dell'uomo impoverendone la natura o falsandone l'identit. In questi errori si nasconde il desiderio o il tentativo di semplificare il mistero dell'uomo, di spiegarlo o almeno di capirlo. Ma il mistero rimane. E rimane proprio qui, nella "coestensione" di materia e spirito, nell'essere, l'uomo, simultaneamente presente e partecipe a due universi che appaiono tra loro incompatibili e incommensurabili.
93 - Interpretazioni riduttive
Abbiamo cos da un lato le varie concezioni dualistiche che dividono l'essere dell'uomo, e vedono da una parte il corpo, cio la materia che viene considerata come principio del male, e dall'altra lo spirito considerato principio del bene, il quale per tenuto prigioniero nel corpo. Condividono questa dottrina il dualismo manicheo, il dualismo cartesiano e il dualismo delle religioni orientali; per queste ultime un male che l'anima sia unita al corpo e dal corpo deve liberarsi per realizzare la propria perfezione in Dio. Dall'altra parte abbiamo il lungo elenco di concezioni riduttive dell'uomo. La maggior parte di esse sono riduttive in basso, cio in senso materialistico. Abbiamo cos i vari materialismi: quello marxista che riduce l'uomo alle sole istanze economiche, quello freudiano che limita tutto l'uomo alla pura pulsione sessuale, quello scientista che vede l'uomo come il risultato della sola evoluzione biologica, quello edonista che vede l'uomo come un fascio di forze istintuali che si appagano nel piacere sensibile. Altre concezioni, meno materialistiche ma ugualmente riduttive dell'uomo, sono quella esistenzialista: l'uomo solo problema, senza soluzione e senza risposta; quella laicista: l'uomo sola e assoluta libert (uomo autonomo); quella esistenziale per cui l'uomo nella sua esistenza pura angoscia del limite; quella faustiana per cui l'uomo esclusivamente dominato dalla sete di potenza (Nietzsche); infine la concezione sociologica che dissolve l'uomo nella societ o
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nello Stato, riducendolo a puri rapporti comunitari. Molto spesso queste concezioni si sposano tra loro dando origine a immagini dell'uomo ancor pi deformate e distorte. Esprimono, tutte, il tentativo della ragione di spiegare il mistero dell'uomo, e invece lo distruggono. Non ci fermeremo ad analizzare queste concezioni dell'uomo, che del resto appaiono gi da s stesse insufficienti ed erronee. Torniamo invece alla espressione di S.Ireneo: "Gloria di Dio l'uomo vivente".
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per il corpo l'uomo appartiene alla natura, soggiace alle sue leggi, mette profonde radici nel mondo della natura, radici diciamo pure profonde quanto lunga la sua filogenesi naturale, ma nello stesso tempo esso, in ogni sua parte e in ogni momento del suo sviluppo, trascende la natura. La convinzione che l'uomo costituisce una "discontinuit" nel mondo della natura sempre stata presente nella coscienza umana; un dato elementare nel senso comune dell'umanit. Del resto questa discontinuit solennemente affermata dalla Bibbia nel passo gi citato, un passo fondamentale per qualsiasi antropologia. Nel primo capitolo della Genesi si dice che Dio cre il cielo e la terra, fece poi germogliare dalla terra le piante e fece uscire dalle acque gli animali; il libro sacro presenta cio una specie di "creazione progressiva" che costituisce il "continuum" della natura. Ma arrivato all'uomo, Dio in certo qual modo si ferma, parla con s stesso, si consiglia quasi dovesse prendere una decisione importante e solenne. "E Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame e su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio cre l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio li cre, maschio e femmina li cre". 178 Ecco qui affermata una discontinuit nella successione naturale delle creature, un salto oltre la natura: l'Uomo. Non un prodotto della terra, non uscito dalle acque, non frutto di pure forze naturali, ma voluto direttamente da Dio, frutto di un suo intervento creativo. Inoltre la superiorit dell'uomo, qui affermata, su tutti gli altri esseri creati non soltanto una superiorit di dominio, ma anche una superiorit di trascendenza. L'uomo, cio, che pure appartiene alla natura, e ne l'espressione pi perfetta, tuttavia emerge dalla natura, la trascende, la supera; si sottrae alle eventuali leggi dell'evoluzione biologica, quasi la interrompe, o meglio introduce nel mondo una dimensione nuova, diversa, la dimensione dello spirito che costituisce la trascendenza naturale dell'essere umano.
LA CORPOREIT
96 - Trascendenza del corpo
Per questo, il corpo stesso dell'uomo non riducibile ad un corpo animale. Dobbiamo riscattare il corpo umano dalla collocazione in cui l'animalismo naturalistico, oggi cos in voga, l'ha situato. L'ideologia scientista del nostro secolo ha indotto nella mentalit corrente la convinzione che tra gli animali e l'uomo c' una differenza puramente quantitativa: la quantit di materia cerebrale o del numero dei neuroni con la conseguente complessificazione delle strutture e delle funzioni. E cos, non potendo abbassare l'uomo a livello degli animali, - operazione troppo impopolare e controproducente -, si sono innalzati gli animali a livello dell'uomo. Si parla perci di "diritti" dell'animale, di un trattamento "alla pari", di una "uguaglianza giuridica tra l'uomo e l'animale". In realt si tratta di una animalizzazione dell'uomo, ormai dilagante non solo in ambienti scientifici (etologia, scienze mediche, scienze umane), ma in molte correnti culturali e politiche condizionate dal materialismo ateo o laicista. In realt il corpo dell'uomo un corpo "umano", e non un corpo puramente animale, anche dal punto di vista strettamente biologico. C' infatti pi "informazione" genetica in una sola cellula del corpo umano che non in tutte le cellule animali messe insieme.
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Ma soprattutto il corpo dell'uomo umano perch gi per sua natura preforgiato e predisposto per una sostanza spirituale: l'anima. Il corpo umano, infatti, tutto e sempre profondamente penetrato dall'anima. Quando io tocco la mano di una persona, sento che quella mano viva di una vita non soltanto biologica, ma trascendente; non la zampa fredda di un'animale, quella mano ha un'anima; essa parla, esprime cose e nello stesso tempo nasconde un mistero; c' "qualcuno" in quella mano; e cos per il volto, per i piedi ecc....Il corpo umano non mai solo un organismo: qualcuno! Anche quando la vita abbandona quel corpo, quando esso diventa cadavere, continua a conservare la "memoria" di quel qualcuno; lo stesso disfacimento nel sepolcro, la decomposizione materiale di quel corpo, non un fatto puramente biochimico, la fase conclusiva di un ciclo vitale, come per gli animali, ma un fatto che appartiene a "qualcuno" che sta subendo l'umiliazione del sepolcro, il disfacimento del suo essere corporeo come fatto esistenziale che appartiene alla sua vicenda personale. Questo spiega perch la Chiesa tratti con sommo rispetto il corpo umano senza vita, lo asperge con l'acqua benedetta, lo incensa, ne cura la sepoltura con onore, ne difende la dignit. Perci non possiamo non pensare con tristezza a certi riti funebri "laici" in cui si ignora ogni riferimento alla trascendenza di quel corpo, come se esso fosse la camicia vuota di un nome che non esiste pi. La fede ci dice che la corruzione del sepolcro non l'ultima parola per il nostro corpo, perch Dio lo far risorgere dalla terra cos come dalla terra lo aveva plasmato. La risurrezione della carne, affermata esplicitamente da Cristo e testimoniata dalla sua stessa risurrezione, la verit luminosa che ci fa guardare al nostro corpo con il rispetto e con l'amore che si deve a una creatura chiamata a partecipare alla gloria di Dio.
rimarcare la coerenza e la sincerit di una persona, si dice che "un uomo tutto d'un pezzo". Del resto, la nostra stessa natura alla fine si ribella. L'insincerit, la doppiezza, l'incoerenza creano un malessere esistenziale che, prima o poi, porta ad una profonda crisi interiore, alla rottura dell'equilibrio psicologico o, comunque, a una dolorosa deformazione della coscienza. L'insegnamento di Ges: "Il vostro parlare sia si quando si, no quando no". 179 anche una preziosa regola di sanit mentale. Il corpo, dunque, segno e specchio dell'anima. Ma esso conserva scritta anche la nostra storia personale, le vicende della nostra vita interiore. Il corpo , in certo qual modo, l'archivio storico della nostra esistenza; un archivio dove vengono registrate le nostre vicissitudini spirituali, il "curriculum" della nostra anima nel suo agire e nel suo sentire. Il corpo non possiede n virt, n vizi, che sono invece propri del nostro spirito; ha per sensazioni, impulsi e istinti. Questi nell'uomo, a causa del peccato originale, non sono pi ordinati in s stessi, e inoltre possiedono una memoria biologica che registra le conseguenze delle decisioni e del comportamento della nostra anima, secondo i suoi abiti di virt o di vizio. In altre parole, il nostro corpo, pur essendo soggetto alle leggi naturali della biologia, soggiace all'influsso della nostra anima che lo plasma in sintonia col suo proprio modo di essere. L'anima trascina il corpo nella direzione verso cui essa orientata. Cos il corpo di un santo, ormai sottomesso interamente allo spirito, si illumina di serenit, di forza, di dolcezza; il corpo di un vizioso trasuda disordine, durezza, a volte ripugnanza. Ci voleva la psicologia attuale per inquadrare l'origine spirituale e morale di molte anomalie e disturbi psico-somatici. Tanto che molte volte potremmo dire che l'uomo non muore, l'uomo si uccide. Non si fa violenza impunemente alla natura; essa non perdona mai. Abbandonarsi al vizio sempre fare violenza al proprio corpo. Quante malattie sono la paga per il peccato: intemperanza nel cibo, ubriachezza, fumo, droga, l'omosessualit, ecc. Oggi il mondo spaventato per l'AIDS, e tuttavia continua a spingere verso il libertinaggio sessuale, verso la frenesia del piacere, l'idiozia della discoteca, il fanatismo divistico o sportivo...., cose che per un verso coprono il vuoto esistenziale, il malessere delle frustrazioni e la povert morale delle attuali generazioni, e dall'altro sono il terreno di cultura ideale per tanti virus; e a farne le spese sono spesso esseri innocenti come i bambini, personale sanitario, i tanti malati incolpevoli delle loro infermit.
Mt. 5,37
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vita il soffio di Dio, immagine e somiglianza dello spirito di Dio, comprendiamo la sacralit della vita umana, la grandezza e il valore trascendente della vita dell'uomo. Perci ogni violenza, ogni attentato alla vita umana un attentato contro Dio. Se poi la violenza contro la vita che si sta forgiando nel grembo materno, cio nella fase in cui la vita pi debole, la violenza allora un crimine indegno e vile. Quell'uomo in miniatura che una donna si porta nel grembo non pu essere soffocato o seviziato impunemente. Non sappiamo in che modo Dio riparer a questa ingiustizia degli uomini, ma certo il grido di un'anima che reclama il "suo" corpo che le stato negato e strappato violentemente, rimane vivo e implacabile davanti a Dio. Ma il corpo non soltanto segno e specchio dell'anima, archivio che ne conserva la storia, non soltanto il luogo dove lo spirito vive e si muove nel tempo, esso anche richiamo alla bellezza e alle perfezioni divine. Dio, creando l'uomo, ha voluto che anche nel corpo fosse in certo qual modo sua immagine. "Dio cre l'uomo a sua immagine: maschio e femmina li cre." Anche per il corpo valgono dunque le parole di S.Ireneo: "L'uomo la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio". Il corpo umano un inno alla bellezza, all'armonia, alla vita; un inno all'amore. Chi non conosce i capolavori che l'arte, la poesia, la musica hanno creato per cantare le perfezioni del corpo umano? Tutto questo, Dio l'aveva gi realizzato nel suo progetto originario. Infatti nell'Eden non c'era bisogno di nascondere il proprio corpo; tutto era armonia, bellezza, dono luminoso di vita. "Adamo e sua moglie erano tutti e due nudi e non ne provavano vergogna". 180 Nell'Eden la nudit del corpo era segno dell'integrit morale e spirituale dell'uomo, del suo rapporto di totale conformit al disegno di Dio. Fuori dell'Eden quella nudit diventata il segno della miseria dell'uomo. Il peccato passato come un ciclone sull'essere umano, ha spogliato l'anima ribelle al suo Dio di tutti i doni dei quali era stata adornata, e ha spogliato il corpo ribelle alla sua anima della sua integrit e docilit. Con il peccato, nell'anima dell'uomo scesa la notte e nel corpo calata la fatica, il dolore, la morte. Di qui la necessit del pudore; esso un'autodifesa della propria dignit ferita e oltraggiata, dignit che l'uomo sente il bisogno di ricuperare e di proteggere; e insieme esso esprime la piet divina, rivela la misericordia di Dio contenuta in quel gesto cos umano e cos divino narrato dalla Genesi: "E il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vest". 181 Vestire il corpo appartiene in certo qual modo al mistero della redenzione, fa riferimento al disegno di Dio di restaurare la dignit dell'uomo. Il Figlio di Dio si rivestito del nostro corpo mortale e lo ha fatto diventare il luogo della nostra salvezza.
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idolatria futile i cui idoli si chiamano: bellezza, prestanza fisica, efficienza atletica, o peggio, ricerca sfrenata del piacere da quello della tavola a quello dei sensi, a quello deleterio dell'alcool e della droga. E' perci una idolatria che divora i suoi idoli e quelli che li adorano. San Paolo bollava questo paganesimo come una idolatria il cui dio il ventre. Del resto, quando si nega l'anima con la sua vita spirituale e trascendente e con il suo anelito soprannaturale, non resta che il corpo, disordinato nei suoi appetiti, tirannico nei suoi bisogni, insaziabile nella sue brame. Esso diventa cos la tomba dell'anima che rimane come spenta nell'animalit.
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la sola, ma anche noi... gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 184 E' la redenzione che risplende nella risurrezione di Cristo, "il quale trasformer il nostro corpo mortale a immagine del suo corpo glorioso". "E' necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilit e questo corpo mortale di immortalit. Quando poi questo corpo corruttibile si sar vestito di incorruttibilit e questo corpo mortale di immortalit si compir la parola della Scrittura: "La morte stata ingoiata per la vittoria: dov' o morte la tua vittoria? Dov', o morte, il tuo pungiglione?". 185
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dell'altissimo... ecco, concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Ges... sar Santo e chiamato figlio di Dio... e il Verbo si fatto carne ed abit fra noi". 186 Cos, un Corpo Verginale di donna il luogo dove il Figlio di Dio ha celebrato le nozze con l'umanit; il grembo intatto di Maria diventato "architriclinium totius Trinitatis", la stanza nuziale della Santissima Trinit. Cos, lIncarnazione, come mistero sponsale del Figlio del Re, intimamente legata alla verginit di Maria. Attraverso di lei, l'eternit entrata nel tempo, lo ha percorso da cima a fondo abbracciandolo interamente, e ha dato a tutta la storia umana una dimensione divina. Analogamente, il Sacrificio della Croce un inno alla "virilit", alla sua forza soprannaturale per cui ha sconfitto il peccato e la morte. Quel Corpo immolato e quel Sangue versato stato il prezzo del nostro riscatto e della nostra pace. "Ges disse: Tutto compiuto e, chinato il capo, spir... vennero dunque i soldati e vedendo che era gi morto non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colp il costato con la lancia e subito ne usc sangue ed acqua... questo avvenne perch si adempisse la Scrittura: non gli sar spezzato nessun osso. E...volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto". 187 Un Corpo integro e verginale di Uomo appeso alla croce stato il luogo dove il Figlio di Dio ha celebrato le nozze con la sua Chiesa. La contemplazione di quel Corpo che, nonostante la violenza brutale ha conservato un' immensa dignit e un fascino sovrumano, ha dato origine a una delle sequenze pi commoventi nella Liturgia della Chiesa: Ave, verum Corpus natum de Maria Virgine! Vere passum, immolatum in cruce pro homine. Cuius latus perforatum fluxit aqua et sanguine; esto nobis praegustatum mortis in exanime. o Jesu dulcis, o Jesu pie! Jesu, fili Mariae! Salve, o vero Corpo nato da Maria Vergine umiliato e immolato sulla croce per gli uomini. Dal tuo fianco perforato sgorg sangue ed acqua; sii per me, in vita e in morte cibo amabile e desiderato. O Ges dolce, o Ges pio, O Ges, Figlio di Maria!
Cos, il corpo umano, riportato ad una perfezione ancora pi alta di quanto non fosse il corpo di Adamo nella sua integrit originale - Ges il nuovo Adamo, e Maria la nuova Eva -, entrato in un pi grande disegno di Dio; la femminilit e la virilit nella loro collaborazione verginale al mistero della salvezza sono diventate l'espressione pi sublime dell'Amore sponsale.
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capace di una comunione con Dio assolutamente unica e indicibile. L'incarnazione del Figlio di Dio ha inaugurato un nuovo ordine di cose, un nuovo modo di esistere delle creature nel tempo, un modo salvifico: l'ordine sacramentale. Esso anticipa e prelude la novit definitiva: l'ordine della Gloria. L'umanit di Ges sulla terra chiamata "Sacramento della comunione dell'uomo con Dio", e la Chiesa "Sacramento universale di salvezza". La morte di Cristo sulla croce ha chiuso il tempo, - "Tutto si compiuto" - La Risurrezione di Ges ha inaugurato l'eternit. L'umanit di Cristo risorto dunque il Corpo nuovo, per una Umanit nuova, per un universo nuovo. Possiamo dire che la corporeit si presenta in Cristo con una triplice dimensione: temporale, sacramentale, mistica. La dimensione temporale data dal Corpo fisico di Ges, quello cantato dall'Ave Verum, un vero Corpo, nato da Maria Vergine, immolato sulla croce e risorto nella gloria. La dimensione sacramentale data dal Corpo eucaristico di Cristo, quello cantato dalla Liturgia nell'"Adoro Te devote": Panis vivus vitam praestans homini, un Corpo "velato" sotto i segni sacramentali del pane e del vino per attuare la nostra comunione con Dio. La dimensione mistica data dal Corpo mistico di Cristo, cio la Chiesa, che realizza l'unit del genere umano, l'umanit nuova che ha il suo compimento ultimo nella "Citt di Dio", la Gerusalemme del cielo. Cos, il Corpo fisico, il Corpo eucaristico e il Corpo mistico di Cristo hanno fatto del corpo umano "un'Ostia vivente, santa, gradita a Dio; questo il nostro culto spirituale". 189 Perch anche il corpo coinvolto nel culto a Dio. Lo nel sacrificio di lode e lo nella preghiera.
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disciplina dei moti istintivi e degli impulsi, affinamento della sensibilit, del tratto e del comportamento, cadenza nei ritmi (orario), freschezza nelle abitudini, e tutta una serie di esercizi che rendono il corpo disponibile all'anima. Questo lavoro compete proprio all'anima che va cos acquistando un sempre maggior dominio sul proprio corpo. La mortificazione diventa cos "l'orazione dei sensi".
Lc. 9,28
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106 - Lanima
Abbiamo fin qui descritto il corpo dell'uomo, ma in realt abbiamo parlato quasi sempre dell'anima. In effetti non possibile descrivere realisticamente il corpo umano senza vederlo nella sua identit di co-principio, con l'anima, della persona umana. Abbiamo gi detto che il corpo umano "umano" proprio perch tutto e in ogni sua parte penetrato e vivificato dall'anima. Perci tutte le volte che si parlato dell'anima se n' parlato di riflesso, nelle sue relazioni col corpo. Ci significa che non possibile pensare l'anima, e di conseguenza l'uomo, senza il suo corpo. Ma viene ora spontaneo domandarci: "Cos' l'anima umana in s stessa?" Una prima cosa che possiamo dire che pensando all'anima pensiamo a qualcosa di sottile, di invisibile, di assolutamente leggero, che esiste in s stesso e per s stesso. Ci significa che l'anima, rispetto al corpo, presenta due caratteristiche: spirito, non appartiene cio al mondo della materia, dove troviamo il peso, il colore, la figura e tutti gli altri aspetti visibili e misurabili ad essi collegati; secondo, una sostanza sussistente, vale a dire che, mentre ha bisogno del corpo per manifestarsi e per agire, non ha bisogno del corpo per esistere. In altre parole l'anima ha in s stessa (anche se non "da" s stessa) la "forza" di esistere, forza che chiamiamo "atto di essere" (di cui ci occuperemo ai nn. 172-175) e che essa possiede in proprio, per cui sopravvive al suo corpo. L'anima umana dunque una sostanza sussistente, principio esistenziale di tutto l'uomo. Ci comporta due conseguenze: che l'anima il principio dell'unit sostanziale dell'essere umano, essere che - l'abbiamo visto - si presenta come "unit duale", e inoltre che la sorte a cui essa andr incontro la sorte che toccher a tutto l'uomo, compreso il corpo. Da tutto questo derivano alcune conseguenze che gi sono emerse in tutto quello che abbiamo detto sui rapporti corpo-anima. Innanzitutto, che l'anima nella sua essenza di natura spirituale. La spiritualit dell'anima gi stata ricordata nella descrizione che abbiamo fatto del corpo e delle sue manifestazioni, ma pi ancora appare, come vedremo nei capitoli seguenti, dal fatto che l'anima possiede le facolt proprie e tipiche dello spirito: l'intelletto, il quale a sua volta conta su una facolt operativa: la volont, dotata di una prerogativa fondamentale: la libert. L'intelletto rende l'anima "sottile", cio capace di raggiungere l'essere delle cose; la volont rende l'anima padrona dei propri atti per cui essa diventa il soggetto di attribuzione di tutto ci che l'uomo compie; la libert fa l'uomo responsabile di tutto il suo agire, e perci lo fa un essere morale. Ma qual la spiritualit propria dell'anima? Pur essendo una sostanza sussistente, con un suo proprio "atto di essere" di natura intellettuale, l'anima dell'uomo presenta dei limiti che sono inerenti alla sua propria natura, natura di anima "umana", titolare cio di una spiritualit "incarnata" che dice esigenza ad un corpo materiale. Ci significa che l'anima umana non pre-esiste al suo corpo ma viene creata da Dio con il suo corpo, al momento del concepimento (cfr. n.171); inoltre pur potendo continuare nell'esistenza senza il suo corpo, l'anima in tale condizione verrebbe a trovarsi come in uno stato innaturale, uno stato che le fa desiderare fortemente e quasi "invocare" il suo corpo. Questa "incompletezza" dell'anima pu considerarsi il presupposto naturale della risurrezione corporea alla 97
fine dei tempi, risurrezione che resta un dono gratuito della bont e dell'onnipotenza di Dio. Sono considerazioni che possono aiutarci a capire anche il dono preternaturale dell'immortalit con cui Dio aveva perfezionato la nostra natura nella sua condizione originaria, e possono anche illuminarci sull'esplicita affermazione di Ges riguardo alla risurrezione dei morti, risurrezione che sar per tutti gli uomini: buoni e cattivi.
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non hanno alcuna preoccupazione per la propria anima; la lasciano in bala delle proprie miserie e debolezze, impoverita dall'ignoranza nella fede, inaridita e indurita da sentimenti di rancore, di superbia, di egoismo, spesso la infangano con cose ignobili e vergognose, la lasciano intristire senza il conforto della preghiera, o addirittura languire lontano da Dio senza la veste nuziale della grazia col pericolo di perdere per sempre la gioia del cielo. E' una pazzia quella che ha portato gli uomini a dimenticarsi della propria anima e a disinteressarsi della sua salvezza. Nel pianto di Ges su Gerusalemme, la sua citt, c' tutta l'amarezza del suo cuore divino per ogni anima che non ha saputo accoglierlo, rendendo vano cos il suo sacrificio sulla croce.
alla sua condizione di creatura posta nel mondo e che del mondo utilizza i beni e ne porta le responsabilit. Scrive San Paolo: "Tutto quello che vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che virt e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri". 197 Il fine soprannaturale al quale l'uomo chiamato non esclude la natura ma la suppone e la perfeziona. Cos, la Rivelazione non elimina la ragione, la fede non umilia l'intelligenza, la legge di Dio non impedisce la libert, la grazia non vanifica l'impegno, la storia della Salvezza non ignora la storia umana. L'Incarnazione valorizza pienamente tutto il positivo della natura umana: Dio che si fa uomo ci dice quanto l'uomo sia "capace" di Dio. Davvero, l'uomo - anima e corpo - non solo la sintesi del creato ma anche il luogo dove natura e grazia si sposano. La natura con i suoi valori: la ragione, la cultura, la libert, la scienza, la storia, la base per il soprannaturale, il terreno sul quale interviene l'opera divinizzante della grazia. Ripetendo ancora una volta le parole di S. Ireneo, davvero "l'uomo la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio."
Fil. 4,8
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come tali, non hanno un nome; la natura "anonima". La persona, invece, "soggetto di operazioni" , autocosciente, autotrasparente, autodeterminantesi, e perci unica e ha un nome; un nome che le appartiene in esclusiva fra i miliardi di tutti gli esseri umani. Ogni persona irrepetibile; e davanti a Dio ha un valore assoluto. Il concetto di Persona una delle pi grandi conquiste del pensiero umanocristiano, e possiamo dire che essa ha operato la pi profonda rivoluzione culturale, civile e religiosa della storia. Ci spiega perch l'umanesimo cristiano e tutto l'insegnamento della Chiesa sull'uomo gravitino intorno al valore e alla dignit della persona umana.
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E' unaffermazione che vale sia riguardo all'essere che al divenire della persona. In altre parole, l'uomo non solo porta l'immagine di Dio nella sua struttura naturale (ontologica), ma ha Dio come traguardo e come ultimo fine anche nel suo dinamismo esistenziale, cio nella spinta interiore che lo porta a superarsi continuamente, ad autotrascendersi senza soste e senza limiti. Come dire che, in tutto l'universo creato, l'uomo il massimo di densit ontologica e insieme il massimo di espansione esistenziale. La persona umana un cosmo, completo nella sua unicit, impartecipabile nella sua solitudine, luminoso nella sua autocoscienza e che si autopossiede nella sua pienezza; ma insieme un cosmo che si espande in tutte le direzioni e confluisce poi, nel suo ineffabile rapporto con Dio, in un'unica dimensione: l'eternit.
Fil, 2,7-8
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Dalle ceneri dell'umanesimo iconoclasta degli ultimi secoli che ha distrutto l'uomo e i suoi valori, occorre far rinascere una nuova civilt dell'uomo che metta al centro del suo umanesimo la Persona umana come "Icona di Dio", l'Icona che riflette l'immagine del suo creatore, l'icona dell'uomo redento da Cristo e chiamato alla comunione eterna con Dio. Solo cos l'uomo riacquista la sua giusta posizione di fronte a s stesso e di fronte a tutte le cose create, e si realizza in lui quello che fu, fin da principio, il sogno di Dio. Ognuno di noi chiamato a diventare ci che Dio vuole. O realizziamo in noi il suo disegno di amore o abbiamo miseramente fallito tutta la nostra esistenza.
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INTELLETTO E CONOSCENZA
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Gen. 1,2
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messaggi rimane, in un certo senso, modificato dai loro contenuti; viceversa, anche l'intelletto si muove verso le cose, e in tal caso viene chiamato "intelletto attivo" perch compie un lavoro di penetrazione nelle cose, presenti e quasi possedute nei loro "fantasmi", fino a formulare un giudizio sul loro essere, sulla loro identit, cio sulla loro verit. Questo percorso dell'intelligenza umana chiamato dalla filosofia "astrazione" ed il percorso che permette al nostro intelletto, anzi al nostro spirito nella pienezza di tutte le sue facolt, di passare di creatura in creatura, da un essere creato ad altri esseri creati, fino all'Essere per eccellenza, increato ed eterno, all'Essere che "", assolutamente ed esaustivamente: Dio. Finisce appunto in Lui questa esaltante avventura dell'intelletto umano, il suo stupendo viaggio nel tempo. Questa esposizione sommaria, semplice, in un linguaggio non strettamente filosofico, meriterebbe una ben diversa trattazione, pi profonda e pi rigorosa, per arrivare ad un efficace recupero dell'intelligenza umana. Varie infatti sono, oggi, le malattie che affliggono l'intelligenza ma due tormentano da sempre l'uomo, manifestandosi in varie forme e sotto aspetti diversi ma identiche nella sostanza: la presunzione razionalistica e l'astenia intellettuale. La prima ritiene che la ragione umana sia tutto, e tutto sia misurato dalla ragione. Perci ogni conoscenza che non sia puramente razionale-scientifica, quindi anche la conoscenza della Fede, va esclusa e rifiutata: il Razionalismo. La seconda ritiene invece che la ragione umana sia impotente, cio incapace di conoscere la verit: la verit su Dio, la verit sull'uomo e la verit delle cose: lo scetticismo. Razionalismo e scetticismo sono sempre un fallimento dello spirito, una sconfitta dell'intelligenza: sono la perdita della verit, in definitiva sono la perdita di Dio. E' questa la disgrazia pi grande in cui precipitata la nostra civilt occidentale; la sua vera povert, la sua vera debolezza.
materiale: dati, sensazioni, stati emotivi; su di esso si proiettano, come su un magma incandescente, la fantasia e la memoria. Sono le due ali dell'intelligenza che elaborano una pi alta forma di conoscenza sensibile, quella immaginativa, ormai intimamente connessa con l'attivit intellettuale. Senza addentrarci in un'analisi scientifica e filosofica della vita sensitiva, ci rendiamo conto del ruolo essenziale che essa svolge nella vita e nell'attivit dell'uomo. Sensi e intelletto: il loro rapporto analogo a quello che intercorre tra corpo e anima, e rientra nel mistero della natura umana. Il discorso sar ripreso pi avanti: qui vogliamo ricordare queste cose per metterci in guardia dall'uso improprio che viene fatto dell'intelligenza nella cultura attuale. Un uso improprio e, come spesso accade, contraddittorio. Infatti, se da una parte viene esaltata l'esperienza sensibile nella ricerca scientifica sperimentale fino a considerarla criterio unico di verit (la conoscenza viene limitata al verificabile), dall'altra parte, nelle ideologie, l'esperienza sensibile viene disattesa e derisa nella sua testimonianza sulla realt oggettiva, fino ad escluderla come fonte di conoscenza, oppure viene separata dalla conoscenza intellettiva. Come vedremo, c' invece continuit tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettiva. L'occhio vede e l'intelletto conosce, ma ci che l'intelletto conosce la stessa cosa che l'occhio vede. Separare l'intelletto dai sensi e quindi la conoscenza intellettuale dalla conoscenza sensibile si commette lo stesso errore del dualismo che separa l'anima dal corpo e condanna l'intelletto all'incapacit di conoscere veramente le cose. Il pensiero prende cos il posto della realt e si pone come fonte e creatore della verit. E' il trionfo del soggettivismo ideologico.
LA CONOSCENZA E I SENSI
116 - I sensi e il tatto
Ma oltre a questo significato importante per la filosofia della conoscenza, i sensi hanno una valenza umana e ascetica che giova ricordare per l'influsso che essa esercita nella vita spirituale. In noi infatti la conoscenza sensitiva non mai una conoscenza puramente sensibile, sempre conoscenza umana; ha perci un valore trascendente che dato dalla presenza dell'anima in ogni attivit del corpo. Partiamo dall'organo di senso pi "corporeo": il tatto. Distribuito, ancorch in modo e intensit disuguali, su tutta la superficie del nostro corpo, il tatto ci fornisce i dati della nostra corporeit e ci fa percepire i confini del nostro essere nello spazio. Nell'atto stesso di cogliere gli oggetti del mondo esterno, il tatto ci d la percezione dei limiti del nostro io corporeo e insieme ci rimanda al nostro ambiente interno fino a quel mondo, possiamo ben dire "abissale", che la nostra persona. E' dunque il senso che ci aiuta a percepire la nostra individualit e la nostra intimit. Per questo il tatto collegato con l'istinto di difesa dell'io e insieme coinvolto intensamente nella manifestazione e nella partecipazione della propria intimit personale. . Quando una madre stringe a s guancia a guancia la sua creatura, l'esperienza tattile di quell'incontro esprime l'intimit profonda che lega i due esseri tra loro; la madre sente il figlio come la pelle della sua pelle, lo vede come una dilatazione della sua persona, una estensione della sua individualit; quando poi quella creatura si attacca ai suoi seni, l'intensit della percezione tattile esprime il grado di intimit che si stabilisce fra lei e il figlio, anche se lei, la madre, sente che in quel momento molto pi quello che riceve dalla sua creatura in termini di 107
gratificazione, di quello che lei d in termini di alimentazione nutritiva e anche affettiva. Ma l'espressione pi intima di comunione interpersonale che coinvolge il senso del tatto certamente l'intimit coniugale. L la conoscenza sensibile massima; l'uomo e la donna si "conoscono" nel dono della propria intimit che coinvolge tutto il corpo, e si realizza, possiamo dire alla lettera, l'espressione biblica: "e saranno, i due, una sola carne". 206 Tralasciando altri segni che sono espressione tattile della nostra interiorit, come la carezza, il bacio, l'abbraccio, che esprimono l'affetto fraterno, l'amicizia, la partecipazione al dolore e alla gioia degli altri, ci limitiamo a richiamare l'importanza che pu avere questo senso riguardo alla vita interiore. Proprio per essere il senso pi corporeo, che coinvolge la nostra intimit personale, il tatto un senso estremamente delicato, e va perci custodito con finezza e con delicata prudenza. D'altra parte, per la sensazione intensa di benessere e di piacere fisico che esso fornisce, il tatto diventa un senso pieno di insidie per la vita dello spirito. Pu infatti trasformare il dono della propria intimit come espressione d'amore, in ricerca egoistica del proprio piacere e arrivare all'ignobile strumentalizzazione della persona altrui per interessi edonistici. Naturalmente la custodia del tatto ha bisogno del dominio dei moti interiori dell'animo e poggia sulla rettitudine delle intenzioni e del cuore soprattutto l dove il servizio alla vita e alla persona esige l'integrit degli affetti e dei sentimenti. E' un lavoro di ascetica delicato e paziente ma indispensabile per la vita dello spirito. Infine, propria del tatto la percezione del caldo e del freddo, percezione che portata sul piano spirituale ci richiama la fisionomia che pu avere l'ambiente umano che ci circonda. La stima, la comprensione, l'affetto di chi vive intorno a noi ci danno quasi la sensazione tattile del calore di cui abbiamo bisogno. Non si pu vivere senza calore; c' una temperatura limite, come per la nostra pelle cos per la nostra persona, e dobbiamo ricordarci che la freddezza e l'indifferenza una delle sensazioni pi crudeli a cui possiamo sottoporre un essere umano. Il bacio fraterno che esprime il perdono, la carezza dolce su un corpo malato e mille altri gesti di tenerezza su membra umiliate o trafitte dal dolore sono segni preziosi che rompono la durezza di un mondo gelido e disumano. L'abbraccio materno con cui Caterina da Siena accompagna il condannato a morte fino al patibolo commovendolo fino alle lagrime, le braccia verginali e materne di madre Teresa che raccoglie i moribondi sui marciapiedi di Calcutta perch possano morire avvolti da un calore che non hanno mai conosciuto, e tante altre espressioni dell'eroismo cristiano, riscaldano l'umanit e innalzano la temperatura del cuore umano molto di pi di tutte le scoperte del sapere scientifico. Il tatto pu servire l'amore o pu servire l'egoismo; dipende dal cuore, se l'abbiamo puro, nobile, innamorato.
117 - Lolfatto
L'olfatto il senso che percepisce presenze invisibili. Si tratta di presenze gradevoli che ispirano fiducia, segnalate dal profumo, o di presenze sgradevoli che ingenerano sospetto, segnalate da cattivo odore. Il profumo d un tono piacevole e fresco all'ambiente rendendolo godibile; si ricollega alla sensazione della bellezza - i fiori profumano - e segnala una presenza amabile o amata che stimola alla gioia. Queste sensazioni legate all'olfatto hanno suggerito a San Paolo l'immagine del cristiano come il buon profumo di Cristo. Dove vive un cristiano, l deve sentirsi la presenza invisibile di Cristo: invisibile per la naturalezza con cui il cristiano vive la sua vita, al pari di tutti gli uomini onesti, ma
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Gen. 2,24
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presenza vera per le virt che profumano la condotta di un discepolo del Signore. Un cristiano disonesto infetta l'aria, corrompe l'ambiente, rende ingodibile la convivenza umana. Il profumo delle virt fa invece pensare alla bellezza dell'anima e d fascino alla vita cristiana. Il profumo stimola anche l'attrattiva sessuale. Pu diventare perci un'arma, soprattutto femminile, per sedurre e adescare. Occorre perci andare premuniti per non lasciarsi ingannare. Ma anche pu servire per facilitare l'approccio affettivo e l'amore nuziale. Comunque esprime sempre una presenza amata. La libbra di nardo purissimo, di gran pregio, che Maria ha versato sui piedi di Ges servita ad esprimere il profumo dell'amore che pu attirare le anime a Cristo. Infatti la seduzione esercitata dal profumo suggerisce l'idea del fascino che la vita del cristiano e la figura stessa di Cristo possono esercitare su tante anime, soprattutto di giovani, per attirarle alla sequela e ad una dedizione incondizionata al Signore. Nel Cantico dei Cantici si descrive l'attrattiva che esercita il profumo della persona amata: "Post te curremus in odorem unguentorum tuorum," - ti seguiamo correndo dietro la scia del tuo profumo. 207
118 - Il gusto
Il gusto, invece, ha una funzione critica ed ordinato alla conservazione dell'individuo attraverso il cibo; infatti localizzato all'inizio dell'apparato digerente. La funzione critica sta nel distinguere l'alimento utile da quello dannoso e, gustando il sapore dei cibi, stimola il desiderio di nutrirsi. E' un senso legato esclusivamente al corpo e quindi porta con s il suo pericolo: pu sponsorizzare una visione materialistica della vita ridotta ai suo i bisogni primari. Il culto del cibo, infatti, una specie di idolatria, e San Paolo attribuisce a questi idolatri il titolo di pagani "il cui dio il ventre". Questo non vuol essere un giudizio di condanna della tavola, che invece rimane un'occasione di condivisione fraterna e simbolo di abbondanza; anche nel Vangelo essere commensali a una tavola imbandita simbolo di partecipazione ai beni eterni del Regno messianico. Del resto, il possedere un raffinato senso del gusto ha creato una categoria di persone molto apprezzata e riconosciuta: i buongustai. Cos questo senso, un senso legato alla materialit della vita, ha assunto un significato traslato pi nobile, addirittura spirituale; tanto che, non solo auspicabile essere persone di "buon gusto", che hanno il senso delle cose belle, del comportamento appropriato, della finezza nel discernimento, ma diventa anche un dono dello Spirito Santo: "il gusto delle cose di Dio", la sapienza, appunto. Dobbiamo considerare perci una grande disgrazia "perdere il palato" nelle cose della fede, sentire quasi disgusto delle cose che riguardano Dio. Ancora San Paolo scriveva che questa insensibilit una caratteristica "dell'uomo animale". "Quanto sono dolci al mio palato le tue parole esclama invece l'autore dei salmi - pi del miele per la mia bocca". 208 Da sempre nella Chiesa, il digiuno, la mortificazione del gusto e della tavola hanno avuto il significato di una affermazione dello spirito sulla materia, una sorta di difesa della "leggerezza", della vitalit dello spirito, una libert dell'intelligenza sul torpore del corpo. In definitiva, avere buon olfatto e buon gusto sinonimo di "conoscenza critica"; conoscenza sensibile, certamente, ma che rimanda a una capacit di discernimento intellettuale e spirituale che fondamentale e a volte determinante nella nostra vita. Poco importa essere buoni conoscitori degli aromi e dei sapori delle vivande se poi non sappiamo discernere il cattivo odore del
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peccato dal profumo delle virt, il sapore vano delle cose del mondo dalla dolcezza delle cose di Dio, la felicit illusoria dei beni terreni dalla beatitudine senza fine dei beni eterni.
119 - Ludito.
Tra i sensi, i pi nobili, i pi spirituali appaiono senza dubbio l'udito e la vista. Essi hanno un'importanza enorme nel rapporto interpersonale, perch soprattutto attraverso loro che possiamo comunicare gli uni con gli altri. Hanno infatti la capacit di ricevere dagli altri e di elaborare per gli altri i segni che sono specificamente destinati alla comunicazione: basta pensare al suono che diventa parola e alla parola che diventa suono. Senza questi segni ognuno di noi resterebbe un atomo isolato, chiuso, incapace di una vera crescita come persona. Sappiamo infatti come la mancanza dell'udito e della vista possa influire sulla personalit stessa e condizionare o accentuare certi lati del nostro carattere che incidono sul rapporto interpersonale. Proprio quando essi vengono meno ci rendiamo conto di quanto sono doni preziosi di cui ringraziare grandemente Dio con l'impegno di usarli per il bene. L'udito, lo sappiamo, il senso che avverte i suoni. Enorme la variet di suoni che arriva a noi dal mondo che ci circonda, ma tra tutti c' un suono unico, prezioso, immenso nelle sue espressioni: la voce umana. Non c' in tutto il creato un suono pi melodioso, pi amato, pi desiderato, pi espressivo. La voce la persona, e proprio dalla voce la riconosciamo perch ogni persona ha una "sua" voce. In quella voce ci sono i suoi sentimenti, il suo atteggiamento interiore, i suoi stati d'animo, le sue passioni: gioia, dolore, tristezza, amore, felicit, rabbia, tenerezza, c' il calore o la freddezza del suo cuore. Parliamo della voce, non ancora della parola; la parola esprime il pensiero, la voce esprime l'animo. Udire la voce della persona amata motivo di gioia profonda e di commozione. "Appena la voce del tuo saluto giunta ai miei orecchi - esclam Elisabetta davanti alla Madonna - il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo". 209 E' la stessa gioia che fece trasalire Maddalena quando ud la voce inconfondibile del Maestro che la chiamava per nome: "Maria!". Quando poi il nostro animo assalito da sentimenti pi intensi, la nostra voce si fa canto, melodia. La musica infatti dilata le possibilit della voce, la espande in dimensioni di profondit e di intensit che accendono bagliori nuovi, irrepetibili, nella nostra anima. Il canto due volte preghiera. L'udito e la parola - la voce - sono intimamente collegati: quando manca l'udito manca anche la parola; ambedue sono un dono prezioso. Tra i prodigi compiuti da Ges, uno dei pi applauditi dall'entusiasmo della folla fu la guarigione del sordomuto: "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e parlare i muti". 210 e la Chiesa, dopo il rito del Battesimo, ripetendo il gesto di Ges, ci fa l'augurio "di ascoltare presto la Parola (di Dio) e di professare la nostra fede". Ascoltare la Parola: l'uso pi nobile e pi importante che possiamo fare dell'udito. Per: ascoltare per capire. "Chi ha orecchi, intenda!" ripeteva frequentemente il Signore. C' un ascolto interiore senza il quale l'udire non serve. Ascoltare la parola e accoglierla nel cuore indispensabile per saper discernere le voci. Ci sono voci amiche per le quali dobbiamo avere orecchi aperti: la voce del Sacerdote nella confessione, la voce della Chiesa nel suo insegnamento, la voce di un amico che ci invita ad avvicinarci a Dio; come pure dobbiamo avere orecchi aperti alla voce del dolore, alla voce dell'innocenza, alla voce della povert o dell'indigenza..; ci sono poi voci nemiche alle quali dobbiamo chiudere gli orecchi:
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sono le voci del mondo con le sue lusinghe e le sue menzogne, le voci che parlano contro Dio e contro la fede, le voci dell'odio, della ribellione, della violenza; le voci che urlano canzoni indegne, che inquinano l'amore o che parlano contro il prossimo ; le voci che invitano all'infedelt, al dubbio, alla vilt. "Volta le spalle all'infame che ti sussurra all'orecchio: "Perch complicarti la vita?". 211 . Per tutte queste voci non abbiamo orecchi e non vogliamo ascoltare. Ma la voce pi amica, la voce che parla al cuore con forza e dolcezza, la voce di Dio. E' una voce senza suono, senza rumore di parole, ma irresistibile; una forza divina. E' la presenza viva di Qualcuno che ti chiama, dal quale non puoi fuggire perch ti insegue sempre e ti raggiunge dovunque, perch non ti abbandona mai, perch dentro di te. E non avrai pace finch non gli avrai detto "Si". "Se ascolti, oggi, la sua voce, non indurire il tuo cuore". 212 Ascoltare la Parola per professare la Fede. Vivere la Fede perch risuoni nel mondo la Parola. E' il compito affidato agli Apostoli, ed anche il compito di ogni cristiano: "Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola". 213 Un cristiano che non parla una voce spenta nella Chiesa, un muto che ha bisogno di sentirsi dire dal Signore "Effet" - Apriti! E se siamo balbuzienti perch timidi, insicuri, impreparati, dobbiamo almeno far parlare la nostra vita; perch la fede non pu tacere, non pu rimanere soffocata. Il comando di Ges chiaro: "Quello che avete ascoltato all'orecchio, predicatelo sui tetti". 214
120 - La vista
Ma il senso che pi si avvicina all'intelletto la vista. Oggetto della vista la luce, oggetto dell'intelletto la verit. Luce e verit sono quasi sinonimi; la loro analogia corre sul filo di una stretta corrispondenza di significati. Significati le cui proporzioni non vanno dimenticate: la verit infatti una luce ben pi importante della vista, cos come l'errore una tenebra ben pi temibile e tragica che non la cecit. Vivere nella verit vivere nella luce, e per essere figli della luce occorre farci discepoli di Cristo. Perch Cristo " la Verit". Noi non saremo mai abbastanza grati a Dio per averci donato Ges Cristo, "luce del mondo". Senza di Lui, senza la sua verit - la verit che viene da Dio - non ci rimangono che i lumi fumiganti del nostro intelletto, povere lanterne che non valgono a illuminarci il cammino. Deve starci a cuore la strada della luce: non solo la luce della vista, ma anche la luce dell'intelletto e ancor pi la luce della fede. Nella luce della vista riverberano le forme, le figure, i colori delle cose; nella luce dell'intelletto riverberano le sostanze, le essenze, l'essere delle cose, la loro verit; nella luce della fede riverberano il volto di Dio e le sue meraviglie. "Vedere" perci un termine che si applica sia alla vista che all'intelletto, alla Fede come alla Gloria (quella Gloria che "visione" beatifica: "in lumine tuo videbimus lumen, nella tua luce vedremo la luce)". 215 Dunque, la "strada della luce": dalla luce degli occhi, alla luce dell'intelletto, alla luce della fede, alla luce della gloria; l'ineffabile, inebriante itinerario dell'uomo. Inutile dire che se non raggiungiamo la meta: la Luce trinitaria, sorgente di ogni luce, il nostro itinerario resterebbe incompiuto, e sarebbe il fallimento. Abbiamo accennato alla gloria del cielo, abbiamo anche parlato della fede
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come itinerario della nostra vita terrena, e ci fermeremo tra poco sulla conoscenza intellettuale. Rimane la conoscenza visiva, che la forma pi elementare di approccio al mondo sensibile; essa coglie del mondo la figura e il colore, e perci il suo un mondo notevolmente ridotto e limitato; sfuggono le profondit di mistero e la valenza trascendente in esso nascoste, che si rivelano soltanto alla luce della fede. Quando manca questa luce si rimane prigionieri di un mondo povero di significati, il mondo di tanti ecologisti che hanno solo la luce della vista e per i quali il mondo semplicemente l'ambiente di vita e di benessere per l'uomo e tutt'al pi stimolo per emozioni scientifiche o turistiche. Rimane invece vero che la bellezza del creato apre davanti agli uomini il ventaglio dei suoi splendori che riempiono gli occhi e deliziano la vista e si presenta come un meraviglioso codice dove Dio ha scritto a caratteri d'oro e con miniature splendide il suo Nome, la sua potenza, la sua sapienza, il suo splendore. Gli occhi sono come finestre, possiamo dilatarle con lo stupore e far entrare dentro di noi la luce del creato perch inondi la nostra mente e la nostra anima. Ma pu accadere anche che a queste finestre si affacci la nostra vana curiosit, le nostre voglie malsane, la nostra triste avidit e il nostro io con le sue vampate di gelosia, di rabbia, di arida indifferenza. Gli occhi sono allora brecce per le nostre fughe, passaggi segreti per le nostre complicit. David passato attraverso di loro per i suoi appuntamenti con il tradimento e con l'omicidio. Del resto Ges ci ha ammoniti: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha gi commesso adulterio con lei nel suo cuore". 216 Dobbiamo trasformare i nostri occhi in sentinelle che proteggano il nostro cuore e ne custodiscano la fedelt. Gli occhi non servono solo per vedere, essi anche rivelano. Mai un luogo comune stato cos vero: "gli occhi sono lo specchio dell'anima". Il nostro comportamento pu mentire ma gli occhi non mentono. Lo sguardo un testimone diretto dell'anima; ha il suo stesso linguaggio. Degli occhi si soliti dire che piangono, ridono, sono tristi, brillano, sono tenebrosi o limpidi, pieni di stupore, di attesa, di terrore, di dolcezza, di tenerezza, di rabbia, ecc., esattamente come si parla dell'animo. Quando una persona semplice, pulita, sincera, i suoi occhi sono trasparenti, luminosi, accoglienti; lo sguardo di un animo contorto difficilmente regge a lungo alla finzione. Gli "occhi di sfinge", impenetrabili, enigmatici, appartengono alla leggenda, difficilmente alla realt, mentre gli occhi di ghiaccio, che non lasciano trapelare alcuna emozione sono occhi disumani, nascondono la morte. Cos, occhi ambigui sono gli occhi sfuggenti, che temono l'incontro degli sguardi, occhi da temere quando nascondono ipocrisia o doppiezza, ma occhi che chiedono rispetto quando esprimono pudore e nascondono l'intimo disarmo della propria fragilit. Ancora: una meraviglia dal fascino incontenibile sono gli occhi dei bambini, un meriggio ardente, pieno di sole gli occhi degli innamorati, un grido di piet gli occhi velati di un morente, occhi spenti dai quali la vita sta fuggendo e viene la notte. Ma un dono prezioso, una grazia, sono gli occhi che sanno piangere; gli occhi capaci di lagrime sono gli occhi pi umani, perch capaci di gioia, di dolore, di pentimento, di contrizione; capaci d'amore. E finalmente una vera beatitudine sono gli occhi che sanno "vedere" Dio e cercare le sue orme: "Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete" (...) E' un vedere ancora velato perch le orme di Dio nella natura e nella storia non sono ancora il volto di Dio, sono "specchio e mistero" - speculum et aenigma - , e lo stesso volto di Ges, il volto pi amabile tra tutti i figli dell'uomo, il volto "che molti re e profeti desiderarono di vedere", il volto che, trasfigurato sul Tabor, ha inebriato di luce gli occhi di Pietro e di Giovanni, il volto che, sfigurato dal dolore e dall'offesa, mani dolenti e innamorate hanno accarezzato di piet e di tenerezza, quel volto
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Mt. 5,29
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ancora il volto umano dell'Unigenito, "che nel seno del Padre" e che nessuno ha mai visto, ma anche il volto che accende in noi il desiderio e tiene viva l'attesa per il giorno della sua rivelazione, "quando i nostri occhi vedranno il suo volto, e noi saremo simili a lui, e canteremo per sempre la sua gloria". 217
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quanto pi la volont estende la sua presenza nel mondo della sensibilit, tanto pi lo spirito afferma la propria trascendenza, la propria perfezione intellettuale, morale e spirituale. Tutto il materiale psichico del nostro mondo interiore, che costituisce gran parte di quello che normalmente chiamiamo "il nostro animo", - si parla di stati d'animo, di moti dell'animo, di sensibilit d'animo, di sentimenti dell'animo ecc. - il luogo immediato nel quale si muovono le nostre facolt spirituali, le quali per hanno su di esso un dominio limitato e relativo. Si dice infatti che noi possiamo esercitare un controllo soltanto "politico" sul nostro mondo interiore. Ci significa innanzitutto che noi non possiamo impedire il sorgere dei moti della sensibilit. Posso "sentire" antipatia o simpatia senza volerlo, posso "sentire" invidia, avversione o attrattiva per una persona senza volerlo, cos come, senza volerlo, posso "sentirmi" arido, svogliato, irritato, gioioso o depresso, felice o scontento, e ancora senza volerlo, posso provare entusiasmo, malanimo, piacere, affetto (innamorarmi) ecc. Tutti questi moti della sensibilit, in s stessi, non hanno ancora un significato morale, non sono passibili di responsabilit - si dice infatti "sentire non acconsentire" - e perci non sono ancora n virt n peccato. Abbiamo detto "in s stessi", perch la responsabilit pu esserci nella loro causa, quando cio abbiamo provocato o lasciato che vengano provocati questi moti. Oggi, ad esempio, il mondo della nostra sensibilit , come non mai, sotto un pesante influsso dei mezzi di comunicazione sociale, sui quali siamo chiamati ad esercitare un controllo sia di filtraggio che di critica. Conosciamo bene il potere e la forza che, attraverso tecniche sempre pi sofisticate, questi mezzi esercitano sui sensi, sulla fantasia e sulle emozioni di innumerevoli folle di spettatori, cos da diventare la fonte pi importante e insieme pi efficace di messaggi e di stimoli. Da ci la tremenda responsabilit connessa all'uso dei mezzi di comunicazione sociale: dal linguaggio, agli scritti, agli audiovisivi. Quando si dimentica che sono mezzi, e che dovrebbero servire la verit, la crescita civile e morale della societ, e invece si usano come fine a s stessi, o peggio, come strumenti a servizio della menzogna, degli interessi ideologici o di parte, del guadagno ad ogni costo, e tutto in nome di un presunto "diritto di informazione", allora i mezzi di comunicazione diventano uno dei peggiori nemici dell'intelligenza, una delle maggiori cause del degrado intellettuale e culturale della societ. Quanti delitti contro la giustizia, l'onore, la verit, commessi da giornali, riviste, servizi televisi, e dagli altri mezzi di comunicazione, delitti rimasti impuniti, vergognosamente protetti da coperture politiche o da omert professionale, e ipocritamente giustificati come servizio alla societ! Di fronte ad essi dobbiamo esercitare la libert di non usarli o di filtrare i loro messaggi non solo per proteggere la nostra serenit interiore ma anche per non cadere nel pericolo di colpevoli complicit. Altrettanto importante, per guadagnare spazio alla coscienza, sviluppare di fronte al mondo della sensibilit l'intervento critico della nostra ragione; occorre razionalizzare i nostri stati psichici per non restarne condizionati o peggio per non rimanere vittime della loro oscura irrazionalit con le conseguenze di confusione, di inquietudine, di ansia o di paura che ne derivano e che sono spesso strada alla nevrosi. Dobbiamo mantenere il pi possibile luminoso il nostro mondo interiore con una sana intelligenza coadiuvata dalla luce soprannaturale della fede. Non si tratta dunque di sopprimere la sensibilit, di spegnere i moti interiori e le passioni, come vorrebbero certe dottrine mistiche delle religioni orientali; le nostre energie psichiche, soprattutto le passioni, sono forze importanti per la nostra vita, sono una vera ricchezza per la nostra personalit. I grandi uomini, anche i santi, ebbero grandi passioni. Anzi possiamo dire che gran parte del nostro impegno morale sta nel dominare le passioni e trasformarle in virt. E' il cammino dell'ascetica cristiana. 114
Dio stesso si serve per rivelarsi all'uomo. Il capitolo sul simbolismo che caratterizza tutta la realt visibile e trova nel linguaggio umano la sua espressione pi alta e originale, costituisce uno dei capitoli fondamentali dell'antropologia attuale. Ma un campo dove il linguaggio simbolico assume particolare importanza il campo della religiosit umana che, per noi cristiani, ha nei Sacramenti e nella Liturgia della Chiesa la sua espressione pi importante. La Liturgia, infatti, si serve di riti fortemente simbolici; essi attraverso lo splendore del loro linguaggio sensibile parlano all'intelligenza e con l'efficacia della loro azione soprannaturale operano nell'anima. Non c' dubbio che nella Liturgia della Chiesa, soprattutto nella liturgia sacramentale, il linguaggio simbolico raggiunge l'apice dello splendore e della completezza. Basterebbe scorrere la terminologia usata nei testi liturgici per rendersi conto della ricchezza e variet di significati simbolici che essa contiene. Ma soprattutto nella struttura del rito sacramentale che il linguaggio dei segni assume un ruolo fondamentale. Infatti, gi come segno "sensibile" il rito sacramentale si presenta costituito da materia, forma e ministro. La "materia" del Sacramento sono le cose materiali che si usano nel rito; esse sono significative degli effetti spirituali operati dal Sacramento. Cos, il pane e il vino sono "materia" dell'Eucaristia e sono significativi del Corpo e del Sangue di Cristo; in quei segni sacramentali egli si render presente realmente e sostanzialmente. Cos l'acqua battesimale, che segno della purificazione dal peccato e della nascita alla vita divina, costituisce la materia del Sacramento del Battesimo, e proprio mediante l'acqua il Battesimo produce realmente i suoi effetti spirituali. E la stessa cosa si potrebbe dire degli altri Sacramenti. Ma necessario che la materia diventi sacramento per produrre realmente quello che significa; per questo occorre l'intervento di Cristo. Per opera dello Spirito Santo e a mezzo del ministro, Cristo d forza soprannaturale alle parole che il ministro pronuncia. Sono le parole che chiamiamo "forma" del Sacramento perch trasformano la materia, che prima era solo segno significante, in segno efficace della Grazia. I Sacramenti sono dunque interventi di Dio nella nostra anima, sono azioni di Cristo che, attraverso il rito sensibile, ci comunica la salvezza. Essi sono stati affidati da Cristo alla sua Chiesa, e perci soltanto lei pu intervenire sul rito, sia per conservare la significanza originaria dei gesti e dei segni, sia per impedire che esso fossilizzi nella sua struttura e diventi illeggibile nel mutevole linguaggio simbolico dei vari popoli e delle varie culture. Dunque: cose materiali, gesti, parole pronunciate dal ministro, costituiscono l'aspetto fortemente sensibile della liturgia, la quale, attraverso il rito, ha lo scopo di muovere l'intelligenza alla fede e di disporre l'anima a ricevere la grazia. In nessun altro campo della vita umana, la conoscenza sensibile chiamata ad un ruolo cos alto e importante come questo che riguarda il culto di Dio e la salvezza dell'uomo. Tutto questo giustifica l'atteggiamento della Chiesa che sempre stato di grande rispetto e di gelosa attenzione verso i segni e i riti della Liturgia. Essa, con grande sensibilit, finezza umana e soprannaturale, ha sempre coniugato la solennit e la preziosit di quanto concerne la liturgia con la semplicit e il rigore, senza mai cedere alla sciatteria, al cattivo gusto o alla volgarit. Esiste un linguaggio liturgico che va rispettato e non pu essere aggiornato col politichese o con il gergo giornalistico; cos come esiste un canto liturgico ben definito come genere musicale e che non pu essere mutuato dai cantautori o scambiato con i repertori da discoteca. Esiste infine una suppellettile liturgica e un abbigliamento liturgico la cui semplicit e linearit non deve impedire la solennit e la preziosit decorativa.
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Lc. 10,23
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SENSI E INTELLETTO
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significato diversi. Nell'animale la conoscenza sensibile ha una struttura chiusa, cio fine a s stessa, legata agli istinti della conservazione dell'individuo e della specie. Essa raggiunge le cose nella loro materialit, nella loro forma esteriore e nel loro aspetto particolare. Nell'uomo la conoscenza sensibile ha una struttura aperta, finalizzata alla forma pi alta di conoscenza, quella intellettiva. La conoscenza sensibile dunque una via di passaggio; attraverso di essa le cose del mondo materiale entrano in noi e trasformate nelle rispettive immagini, vengono offerte all'intelletto. Esso le "legge" in profondit, (intus-legit) e raggiunge ci che di universale ed essenziale esse contengono. Dire che la nostra conoscenza sensitivo-intellettiva significa dunque affermare che c' continuit fra la conoscenza sensibile e la conoscenza intellettuale ma non identit. La conoscenza sensibile una conoscenza materiale, quella intellettuale una conoscenza immateriale. E', questa, una conseguenza e perci anche una prova che l'anima dell'uomo una sostanza non materiale di natura intellettuale. Perci dicevamo che l'intelletto umano una "scintilla" divina, una luce interiore che rende l'essere umano autotrasparente. Al contrario, la conoscenza dei sensi , per sua natura, limitata e superficiale, e la nostra stessa sensibilit interiore, cio il mondo dei sentimenti e degli stati d'animo, rappresenta la zona periferica della nostra persona. Queste caratteristiche possono nascondere qualche insidia per la nostra vita interiore. Se, ad esempio, la conoscenza sensibile non si apre alla intenzionalit oppure se la nostra sensibilit si chiude e si ripiega su s stessa, allora il livello della nostra vita spirituale va progressivamente abbassandosi, fino ad immiserirsi in una vita "animale". Chi poi possiede una sensibilit esuberante, una istintivit prepotente, ha bisogno pi degli altri di esercitare l'intelligenza, di curarla e di fortificarla. Il prevalere degli istinti e dell'emotivit si verifica pi facilmente l dove l'intelligenza povera, o si fatta debole. Spetta certamente alla volont dominare la sensibilit e le forze istintuali, ma la volont la facolt operativa propria dell'intelligenza (i filosofi la chiamano "appetito razionale"); per cui non esistono volont "deboli" o "forti", ma volont debolmente o fortemente illuminate e orientate dalla "forza" spirituale dell'intelletto.
dialogo tra le facolt spirituali e i vari contenuti della coscienza. Nei casi patologici, che qui non ci riguardano, indispensabile il lavoro del medico-psicologo. Ma anche nella condizione normale necessario un paziente e deciso lavoro spirituale affinch tutto il nostro mondo sensitivo-emotivo sia illuminato da una retta intelligenza e dominato da una sana volont. Non quindi lecito abbandonare a s stessi i sensi e gli istinti perch sarebbe condannarli al disordine e al caos. Razionalizzare il nostro mondo sensitivo-emotivo - lo abbiamo gi ricordato - non signfica spegnerlo, neutralizzarlo o peggio sopprimerlo come avviene in certe filosofie pagane, come lo stoicismo, o in certe correnti asceticomistiche delle religioni orientali. Le "passioni", dicevamo, sono una forza della nostra natura e costituiscono una ricchezza della nostra personalit. S.Giovanni, S.Paolo, S.Agostino, Francesco D'Assisi, Teresa D'Avila, Ignazio di Loyola, Caterina da Siena e tanti altri sono state anime grandi anche perch sostenute e pervase da grandi passioni. Le forze vanno dominate, incanalate e orientate, non soppresse. Pensiamo alla regina di tutte le passioni: l'amore. Intendiamo qui l'aspetto sensibile ed emotivo dell'amore; l'amore infatti una virt dello spirito: si ama con l'anima, ma essa coinvolge profondamente e a volte tempestosamente il mondo della sensibilit, fa cio risuonare pi o meno intensamente il cuore. "Ora, il nostro cuore nato per amare, e quando non gli viene dato un affetto puro, limpido e nobile, si vendica e si riempie di miseria. (...) E' una pena non avere cuore. Sono infelici quelli che non hanno mai appreso ad amare con tenerezza. Noi cristiani siamo innamorati dell'Amore: il Signore non ci vuole freddi, rigidi, come materia insensibile. Ci vuole impregnati del suo affetto".221
Beato J. Escriv, Amici di Dio, n. 183 Beato J. Escriv, E' Ges che passa, n. 11
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essa il giudizio di verit, abdica alla sua funzione e apre la strada al soggettivismo pi banale. Tanti slogans che corrono nel linguaggio della cultura attuale, (esaltante!.. sensazionale! ...eccitante!...ecc.) sono espressioni di questo atteggiamento. E' importante - si dice - non che una cosa sia vera, ma che sia "sentita". Spesso si usano i due termini: "vera" e "sentita" come sinonimi; una cosa vera quando sentita. Ha qui la sua radice il fanatismo collettivo, (vedi i concerti rock), ed questo il criterio di tanti falsi giudizi di valore che dominano la mentalit corrente.
Mt. 6,23
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Un pericolo analogo si pu verificare nella vita liturgica. Abbiamo ricordato quanta importanza abbia il rito sacramentale come segno sensibile; esso deve parlare ai sensi ma deve al tempo stesso raggiungere l'anima. Ogni sacramento costituito da un suo particolare rito liturgico, ma in quel rito si fa presente l'azione salvifica di Cristo che agisce nella nostra anima. Quando la nostra intelligenza poco formata nella dottrina o non sostenuta dalla luce della fede, facilmente perder di vista il mistero che si compie nel Sacramento e dar importanza esclusivamente al rito. Allora, una Messa che non sia "animata", "partecipata", "coinvolgente", pu lasciare indifferenti o perder molto del suo interesse. Il rito, pi che dirigersi all'anima per facilitare l'incontro con Dio, servir soprattutto per suscitare emozioni, provocare entusiasmi, appagare vanit. Allora si corre il rischio di non saper vedere ci che fa Cristo nella Messa, - Lui la Vittima, Lui il Sacerdote, Lui che fa di noi una "Chiesa che celebra" - ma di fermarsi esclusivamente a ci che fa l'assemblea, con i suoi strumenti, i suoi gesti, le sue azioni. Abbiamo gi detto che la Chiesa ha sempre dato molta importanza al rito liturgico ed ha avuto molta cura per il suo svolgimento, ora splendido e ora austero, ma sempre solenne; tuttavia, ci ricorda continuamente che nessun rito, per quanto intenso e commovente nella sua solennit, pu sostituire la nostra fede, e che l'efficacia e i frutti di un rito liturgico-sacramentale dipendono dalle disposizioni interiori di umilt, di fede, di purezza di coscienza e di amore di Dio che muovono colui che vi partecipa. Non dimentichiamo che nell'azione liturgica il rito un mezzo, e il mistero che vi si compie il fine. E quando il mezzo prende il posto del fine, non viene pi rispettata la verit delle cose e si apre la strada all'inganno e alla magia. La magia, infatti, attribuisce al rito ci che proprio di Dio, il suo intervento soprannaturale di salvezza. Allo stesso modo nascono la superstizione e il bigottismo, espressioni in cui il sensibile condiziona e soffoca la dimensione spirituale e soprannaturale della religiosit. E' necessario ridare forza all'anima, restituire ruolo all'intelligenza, sostenerla e illuminarla con la fede. E' necessario che la coscienza, integra e forte, riprenda il suo posto di garante della legge morale, di "voce di Dio" che si pone come guida nel nostro cammino, di luce che veglia sul nostro comportamento di esseri liberi, chiamati a realizzare la verit nel bene. Senza una intelligenza forte e una fede luminosa, senza una coscienza "libera", la visione materialistica della vita, che caratterizza la nostra cultura contemporanea, continuer ad imporre la tirannia dei sensi, il disordine delle passioni, la cieca violenza dell'edonismo. La liberazione dell'uomo comincia dalla liberazione della sua intelligenza, liberazione dall'ignoranza e dall'errore ma anche liberazione dalle ideologie e dal caos informe della sensitivit. Senza questa libert impossibile ricomporre l'ordine e l'armonia interiore dell'uomo.
esso dipende non solo la validit del nostro pensiero ma anche il senso che assumer la nostra vita e tutto il nostro comportamento su questa terra. Non la stessa cosa che la nostra esistenza scorra nella verit oppure nell'errore, nella luce o nella menzogna. Aderire intellettualmente alla verit delle cose non solo rende vera la nostra conoscenza ma permette l'itinerario della nostra mente verso Dio. E' percorrendo la strada degli esseri finiti che essa giunge all'Essere-senza limiti, a Colui che , senza principio e senza fine, Eterno, Onnipotente, Assoluto. Non solo, ma diventa anche possibile incontrare Dio in Colui che l'ha rivelato nel tempo e nella storia, il Signore Ges. Egli ha potuto affermare: "Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminer nelle tenebre, ma avr la luce della vita". 224 Queste parole di Cristo sono la conferma che la verit dell'intelletto dipende da noi. Aderire alla Verit non un atto puramente conoscitivo, solamente intellettuale; esso coinvolge tutta la nostra persona, perci un atto morale. Si parla infatti di "culto della Verit". Il culto implica l'offerta della nostra libert a ci che le superiore, in definitiva l'omaggio della nostra persona a Colui che la Verit, la Verit somma e assoluta. Dicevamo, infatti, che Dio la pienezza della verit perch la pienezza dell'essere. Perci conoscere Dio e servirlo per l'uomo il massimo dell'onore e della grandezza, ed anche decisivo per il suo destino e per la sua felicit.
IL "TRIPLICE" INTELLETTO
A) INTELLETTO SPECULATIVO
Gv. 8,12
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dell'intelletto umano secondo la triplice attivit che esso svolge, attivit che possiamo collegare, sul piano soprannaturale, alle tre virt teologali. Parleremo, dunque, di un intelletto ascendente per la sua attivit speculativa (intelletto speculativo): la sua forza la virt della fede; di un intelletto discendente per la sua attivit pratica (intelletto pratico): la sua forza la virt della speranza; di un intelletto "immobile" per la sua attivit contemplativa (intelletto contemplativo): la sua forza l'Amore. a) Intelletto speculativo. E' l'intelletto che svolge la sua attivit in ordine soprattutto alla conoscenza teorica. Nascono da questa attivit: le scienze, la filosofia speculativa e la teologia. E' l'attivit primaria dell'intelletto, che in questo caso abbiamo chiamato intelletto ascendente. Dicevamo che l'oggetto di questa conoscenza speculativa la verit, e la verit non ha limiti perch anche l'essere pi semplice, il pi limitato nella sostanza partecipa all'infinit dell'Essere, a Dio. Perci l'intelletto speculativo pu penetrare sempre pi profondamente nella natura delle cose e salendo la scala degli esseri arriva a perdersi nel mistero di Dio, nell'infinita grandezza della Verit. Ecco perch la caratteristica fondamentale dell'intelletto speculativo l'insaziabilit. Un desiderio insaziabile di conoscere, una sete mai spenta di indagare spinge l'intelletto umano a sempre pi luminose conquiste. L'insaziabilit speculativa, insieme al desiderio di felicit, una delle inquietudini pi nobili dell'animo umano, una insonnia invincibile dello spirito; perci una prova di tipo esistenziale ma validissima dell'esistenza di Dio e della spiritualit dell'anima. Questa nostalgia di sapere, questo bisogno di verit, l'uomo se lo porta dentro da sempre e se lo trascina dietro per tutta la vita. Ecco perch la carenza colpevole di intelligenza, intesa come rifiuto di usare l'intelletto, uno dei mali pi tristi e purtroppo pi diffusi del nostro tempo. Troppa gente non usa affatto l'intelligenza perch condizionata quasi totalmente dal consumismo conformista e dall'edonismo imperante che trovano i loro adepti pi sprovveduti e incolpevoli nelle masse giovanili, mentre contano i loro adepti pi tristi in larghi strati di adulti. Il vuoto interiore e la carenza di senso esistenziale sono prima di tutto un fallimento dell'intelligenza che, rinunciando alla nobile avventura della verit, ha portato, come conseguenza, ad una pusillanimit morale di fronte alla vita.
(l'obbedienza della fede), ma la fede ha anche un contenuto. Dio nel rivelare s stesso ci ha detto anche delle cose che lo riguardano e che ci riguardano, ci ha parlato di s stesso e del suo disegno di amore su di noi. A questo contenuto della fede - contenuto fatto di verit fondamentali per l'esistenza umana - Dio ha dato una veste concettuale appropriata per la nostra intelligenza. Ci significa, in altre parole, che esiste una "Dottrina della Fede" che ogni cristiano ha l'obbligo grave di conoscere e di assimilare nella propria vita. E' una dottrina che ha per maestro Ges stesso. Egli "percorreva i villaggi insegnando" e si commuoveva davanti alle folle che non avevano n maestri, n pastori, e "si mise a insegnare loro molte cose". 225 Questo insegnamento Ges lo ha consegnato come un prezioso deposito alla sua Chiesa per mezzo degli Apostoli; ad essi diede il preciso comando: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni... insegnando loro...".226 La Chiesa ha dunque in custodia il "deposito della Fede" con la missione di annunciarlo e di insegnarlo. Annunciarlo significa proclamarlo con la forza dello Spirito, insegnarlo significa proporlo come dottrina. Insegnare, infatti, vuol dire esporre una dottrina in modo ordinato, sistematico e completo. La Chiesa fa questo incessantemente con il suo Magistero, il quale pu anche avvalersi della scienza teologica e della riflessione di autori ecclesiastici e dei Santi. Lo fa normalmente attraverso la catechesi, elaborando anche importanti strumenti dottrinali come i catechismi. L'ignoranza delle verit della fede dunque inescusabile; lo soprattutto nelle persone di cultura, tra le quali spesso maggiormente diffusa l'ignoranza religiosa, frequentemente accompagnata dalla presunzione, dalla deformazione dottrinale e dall'orgoglio intellettuale.
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"scontro frontale", dalla santa intransigenza della verit per timore di essere giudicata intollerante, massimalista, oppure retrogada. Lintelligenza si fortifica se viene esercitata al pensiero, alla riflessione, all'applicazione tenace, perseverante, condotta con ordine e con metodo.
2 Timoteo, 4,3-4
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Un terzo pericolo per l'intelligenza quello di "intasarla" con l'eccesso di erudizione. Non si pu confondere la dottrina con l'erudizione. Nell'epoca dei dizionari, delle enciclopedie, delle innumerevoli pubblicazioni a fascicoli settiminali, e soprattutto nell'epoca del "usa e getta" giornalistico e televisivo, la quantit di nozioni, di notizie, di immagini che viene versata ogni giorno nella nostra mente tale che non ci resta pi spazio per "pensare", n spazio n tempo perch l'ansia di smaltire quello che abbiamo visto e udito ci ruba in evasioni da relax il poco tempo che sopravanza al vivere quotidiano. Anche l'intelligenza ha bisogno di una dieta appropriata che le assicuri il vero nutrimento e la vera sostanza. Spesso ci comportiamo con la nostra intelligenza come ragazzini che si impinguano di pasticcini e perdono il fragrante sapore del pane. L'intelletto ha bisogno di "pensare", di poter andare in profondit nelle cose, di penetrare la ricchezza della verit che non mai esaurita fino in fondo; ha bisogno soprattutto di contemplazione, di "perdere tempo" a guardare ci che non passa, ci che non invecchia, ci che vale oggi, domani e sempre; ci che eterno. "Non multa, sed multum", dicevano gli antichi: "Non la quantit, ma la qualit", diremo noi oggi. L'erudizione non dottrina. L'intelletto intasato si paralizza, e quando l'intelletto non pensa, impazzisce. Infine, un altro modo di non usare l'intelligenza quello di applicarla alle cose frivole, a ci che effimero, futile e vano. Se questo un atteggiamento fisiologico nell'et dell'adolescenza, diventa una vera malattia nei giovani e negli adulti; una malattia che porta il nome di stupidit, che ha in certi salotti-bene il suo reparto dozzinanti, e ha nelle discoteche i suoi templi pi affollati.
Sembra un atteggiamento astratto che interessa solo persone strane chiamate filosofi; invece un atteggiamento profondamente deleterio che entrato nella mentalit corrente, nel modo di pensare comune. Affermare che la nostra intelligenza tutto, negare che ci possa essere qualcosa fuori di essa o sopra di essa; tutto si riduce al Pensiero, con la pretesa della sua autonomia assoluta. L'uomo non dipende da alcunch nella sua attivit conoscitiva, n deve rendere conto a nessuno di ci che pensa; il Pensiero umano prende cos il posto di Dio e si sostituisce alla realt stessa delle cose. Unaffermazione di Kant - che pure era religiosissimo - estremamente significativa al riguardo: "Dio non pu essere conosciuto, ma pu essere pensato." E' come dire: Non possiamo affermare che Dio esiste, perch l'idea che abbiamo di Lui una creazione del nostro pensiero. Ora, vero esattamente il contrario: Dio possiamo conoscerlo perch "", anzi, "Io Sono", - "pienezza dell'essere" - perci l'oggetto pi sublime della conoscenza umana. Non possiamo invece "pensarlo" perch trascende infinitamente il nostro pensiero. L'affermazione di Kant la pi esplicita dichiarazione che il Pensiero deve sostituirsi alle cose, le quali no n avrebbero una loro consistenza propria, un loro valore, una loro verit: l'intelletto umano che fa tutto.
viene usata per giustificare la pi sfacciata trasgressivit. Dalla crisi del Diritto nasce inevitabilmente la crisi della legalit, con una progressiva sfiducia dei cittadini verso le leggi dello Stato. Lo Stato laico, nella sua versione agnostico-laicista di qualsiasi tendenza politica, a dispetto dei suoi sforzi per salvaguardare la sua figura di Stato etico, rivela alla fine tutta la sua debolezza; nei casi migliori, ridurr la sua efficacia al campo dei problemi sociali strettamente economici e amministrativi, ma si mostrer incapace di tutelare e difendere i veri diritti dell'uomo, favorendo cos un degrado culturale e morale che inevitabilmente aprir la strada a una societ selvaggia e violenta.
tecnica si sono oggi notevolmente sgonfiati e che i fumi della ubricatura stanno smaltendo il loro effetto sulla mentalit contemporanea; oggi non ci stupiamo pi di nulla e siamo molto pi disincantati anche di fronte alle realizzazioni pi sensazionali della tecnica. Ma non dobbiamo illuderci, perch sono rimasti fortemente presenti nella cultura contemporanea proprio gli aspetti pi deleteri della Scienza come ideologia. Ne ricordiamo particolarmente due, che sono tra i postulati fondamentali della cultura secolarizzata; primo: il sapere scientifico l'unica forma valida e accettabile di conoscenza; la conoscenza scientifica presa come unico criterio di verit. Il secondo l'affermazione della Scienza come criterio etico: la Scienza non pu essere soggetta a norme esterne a s stessa; la Scienza essa stessa criterio di moralit. Il primo postulato afferma che vero solo ci che "scientifico", reale (esiste) solo ci che sperimentabile, constatabile scientificamente. Esso porta alla negazione delle realt spirituali: l'anima, lo spirito, Dio stesso, oppure alla riduzione delle sostanze spirituali a fenomeni "naturali", pure manifestazioni della realt materiale. Cos, il pensiero sarebbe un'attivit del cervello, anzi una sua facolt, e l'anima una forza, un fluido vitale di natura biologica, corruttibile, che si spegne col corpo. Questa tesi favorita dalla visione materialistica della realt, visione che nega ogni trascendenza anche naturale nell'uomo, e riduce tutto a materia. Il sapere scientifico sarebbe, perci, incompatibile con qualsiasi atteggiamento di fede, e preclude ogni apertura al soprannaturale. Tuttavia la tesi scientista non ha valore scientifico; unaffermazione aprioristica di carattere ideologico; perci lo scienziato che la sostiene cade in contraddizione, e rischia di rendersi poco credibile come scienziato. In realt, la conoscenza della verit un problema che ha anche una dimensione morale; esige il superamento dell'orgoglio intellettuale che ritiene la verit immanente alla nostra intelligenza, e pretende di ridurla a misura della ragione umana: l'uomo che crea la verit.
semplicemente inutile. In definitiva, il criterio del bene e del male non ha valore scientifico e perci viene sostituito dal criterio dell'efficacia o inefficacia di ci che si sperimenta ai fini del successo.
Rom. 1,18-23
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liberante, soprattutto libera dall'angoscia esistenziale; infatti, se non siamo creature, chi siamo? Riscoprirci creature riscoprire le nostre radici, le nostre origini e il nostro destino; origini non semplicemente temporali e destino che non un destino qualunque. Inoltre riscoprire il senso profondo di quel viaggio infinitamente esaltante che abbiamo gi ricordato pi volte e che costituisce il tema fondamentale di tutto il nostro discorso sul tempo: l'itinerarium mentis in Deum, il viaggio che, iniziato in Dio, a Dio ritorna attraverso le strade del tempo: le strade della fede, della speranza, dell'amore, le strade della santit. Se il sapere scientifico accettasse il riferimento ai valori morali non solo risanerebbe l'intelligenza ma si risparmierebbe le amare conseguenze di una Ragione tirannica che non vuole rendere conto a nessun altro che a s stessa. Mai la nostra intelligenza ha avuto tanto bisogno di libert, perch mai stata tanto povera di Verit. Le conquiste delle scienze umane - la politica, l'economia, la sociologia, la medicina... ecc. - quando sono vere, sono sempre verit parziali, che rispondono ai bisogni contingenti, quelli legati al tempo, ai problemi del nostro vivere terreno, del nostro essere-nel-tempo. Ma la nostra intelligenza ha bisogno della verit trascendente, della Verit Totale, della risposta risolutiva e definitiva al bisogno insaziabile di significato che la tormenta. Ha bisogno, insomma, di non vagare continuamente tra "verit" che sono a loro volta interrogativi, rimandi, isole inospitali di un arcipelago fatto di attracchi provvisori, per qualche soggiorno temporaneo; ha bisogno di ci che definitivo, esaustivo, totale. Ha bisogno di Eternit.
sufficientemente radicate in quei valori irrinunciabili, perch fondati sull'essenza dell'uomo, che debbono essere alla base di ogni convivenza, e che nessuna maggioranza pu rinnegare, senza provocare funeste conseguenze per l'uomo e per la societ (...) Totalitarismi di opposto segno e democrazie malate hanno sconvolto la storia del nostro secolo". E concludeva: " I sistemi che in Europa si sono avvicendati e contrapposti hanno ciascuno la propria inconfondibile fisionomia, ma non credo che ci si sbagli considerandoli tutti figli di quella cultura dell'immanenza che si largamente affermata in Europa negli ultimi secoli, inducendo a progetti di esistenza personale e collettiva ignari di Dio e irrispettosi del suo disegno sull'uomo". La democrazia - affermava ancora il Papa - "non implica che tutto si possa votare, che il sistema giuridico dipenda soltanto dalla volont della maggioranza e che non si possa pretendere la verit nella politica. Al contrario, bisogna rifiutare con fermezza la tesi secondo la quale il relativismo e l'agnosticismo sarebbero la migliore base filosofica per una democrazia (...) Una tale democrazia rischierebbe di trasformarsi nella peggiore delle tirannie". 229
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stagione del pensiero umano, un ringiovanimento, quasi una rinascita dell'intelligenza, che aprendosi alla verit e alla fede, lascia entrare tutta la luce trascendente di Dio e della sua Rivelazione nell'universo grandioso e stupendo edificato dalla scienza, dalla tecnica e da tutto il sapere dell'umanit di questi secoli, un universo che ancora nel buio, nella tristezza, e manca della sua anima. Ancora una volta le parole profetiche di Giovanni Paolo II appena eletto Pontefice: "Aprite le porte a Cristo..." sono le parole di cui ha bisogno prima di tutto l'intelligenza dell'uomo di oggi. La grande strada maestra, o, se vogliamo, le ali possenti dell'intelletto speculativo, di quest'aquila chiamata alle altezze della verit, sono le ali della Fede. Di essa abbiamo gi parlato, qui vogliamo ricordare ancora una volta, il profondo legame tra scienza e fede, tra l'intelletto speculativo e la teologia; credo ut intelligam... rationabile obsequium vestrum: cio, la fede aiuta e potenzia l'intelletto, e l'intelletto si fa umile servitore della fede attraverso la riflessione teologica. Non a caso l'evangelista Giovanni, che pi potentemente e solennemente ha proclamato la Verit e l'Amore, ha come simbolo l'aquila. La Verit e l'Amore sono le ali della libert che possono spingere l'aquila del nostro intelletto verso il Sole di Dio, alle altezze inebrianti della contemplazione.
B)
INTELLETTO PRATICO
Uno dei pericoli maggiori della tecnica come sapere pratico quello della sua strumentalizzazione mondana. Sappiamo l'esaltazione della prassi nel pensiero marxista; secondo Marx l'uomo deve essere tutto teso a cambiare la Storia, a realizzare la societ perfetta. La caratteristica principale dell'uomo perci "l'impegno", che dovr essere rivoluzionario quando lo richiede la necessit, politico nel governo dello stato laico, possibilista dove lo richiede la convenienza. Dio vuole che l'uomo collabori al proprio destino, alla propria storia terrena, al suo realizzarsi nel tempo; lo vuole collaboratore non passivo, puramente servile, ma consapevole e responsabile, attivo; per il progetto di Dio, viene dalla sua infinita sapienza e ha come fine la sua gloria, la quale, come sappiamo, coincide con la felicit dell'uomo. Ma, anche qui, il peccato originale continua il suo inganno e l'uomo vuole collocarsi al posto di Dio, vuole essere lui il progettista; si autopropone, si autoprogetta, si autorealizza.
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speranza infatti virt operativa; ci spinge a mettere mano a progetti che sono sproporzionati alle nostre forze ma che sono proporzionati alla grazia di Dio. Tale il progetto divino della nostra santificazione. La santit ci che Dio vuole per ognuno di noi, secondo un disegno che personale, quasi "su misura" per ciascuno. La speranza di essere santi secondo la grazia di Dio la forza che deve sostenere il nostro impegno ascetico al di sopra di ogni ostacolo e difficolt, compresi gli insuccessi e i fallimenti.
dell'intelletto pratico "fare" la verit. Fare non nel senso che sia l'intelletto a creare la verit, ma nel senso che lui, lintelletto, a indicarci come tradurla nella vita pratica, come conformare cio il proprio agire alla verit che emana dall'ordine creato e soprattutto alla verit che ci stata data in dono nella Rivelazione di Dio. La coscienza il ruolo fondamentale dell'intelletto pratico, la sua funzione pi importante; da essa dipende tutto il valore morale della persona, come vedremo parlando della maturit dell'uomo adulto.
C)
INTELLETTO CONTEMPLATIVO
immediatamente tutti i suoi sogni e rimane come stregata. "Contempla" quella creatura quasi incredula, senza parole, solo qualche esclamazione che esprime stupore, meraviglia, gioia inesprimibile, molto simile alla felicit. Cos il ragazzo, quando ha visto inaspettatamente la ragazza che lo ha innamorato, rimasto a guardarla, a "contemplarla". Quella persona non era un fantasma, un'idea che gli appartenesse e che avrebbe potuto modellare o manipolare a piacimento, era un essere vivo, reale, una persona in carne ed ossa con una sua identit, una sua storia personale, magari tutta da scoprire, una persona con le sue doti e i suoi limiti, con le sue caratteristiche individuali, con la sua esistenza indistruttibile. E quella persona viva, entrata in lui, ha preso il posto di tutti gli altri fantasmi, e ha cancellato ogni senso di solitudine. Prima egli viveva in compagnia di s stesso, dei suoi ideali, delle sue aspirazioni, dei suoi fantasmi, ma solo. Da quando entrata in lui la persona che lo ha innamorato, cambiato tutto. Sente che quella presenza ha influito sulla sua vita, ha cambiato il suo mondo interiore; una presenza non cercata, non voluta, non fabbricata, perch quella persona, che apparteneva solo a s stessa, gli stata data, era un dono.
contemplazione; in realt l'anima oggetto dell'azione divina; l'anima avverte una dolcissima impotenza, accompagnata da una percezione chiarissima del suo nulla come creatura; in cambio la pervade un senso vivissimo della presenza di Dio che la tiene fra le sue mani, l'avvolge con la sua misericordia, la unisce intimamente alla sua amabilissima volont. Non dunque solo l'intelletto bens l'anima tutta con le sue facolt ad essere coinvolta nel rapporto contemplativo con Dio. Quando la contemplazione opera di Dio, infusa dall'azione dello Spirito Santo, puro dono, assoluto privilegio dovuto alla sovrana e imperscrutabile predilezione divina.
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Sap. 4,13
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stesso ritmo. Il moto nelle cose sempre uguale; possiamo calcolarlo e misurarlo con unit di misura precise e sempre uguali. Il nostro tempo interiore segue il ritmo della libert e della grazia. Il suo moto imprevedibile e non sai le sue scadenze: "il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: cos di chiunque nato dallo Spirito". 233 Perci S.Agostino diceva di temere il Signore che passa, perch non sai quando passa, e lasciarlo passare senza seguirlo rischiare, a volte il proprio destino, a volte la santit, sempre rischiare di "perdere il tempo", perdere un'occasione per amare. Libert e grazia: misurano la vera densit del nostro vissuto. Il nostro tempo interiore corre su due semirette: il passato e il futuro, che si uniscono in un punto comune: l'istante presente. Sono, - il passato, il presente, il futuro, - le tre dimensioni del nostro io e del nostro tempo interiore.
Gv. 3,8
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L'esercizio positivo della memoria, infatti, non possibile senza una sufficiente libert di fronte ai propri ricordi. La memoria una facolt "passiva", incapace di presiedere alla propria attivit; infatti mossa e governata dalla volont. La volont agisce nel presente ed per lei che il passato della nostra memoria diventa attuale. Ora pu accadere che questa presenza del passato pesi negativamente sul nostro presente. E' necessario perci che la memoria non diventi un peso morto e mortificante, ma rimanga saldamente ancorata all'intelligenza e governata dalla volont perch sia stimolo alla nostra vitalit interiore. Le radici devono alimentare l'albero, non mortificarlo.
quello di essere passate. Non si pu giocare con i ricordi o servirsene per le nostre nostalgie. La memoria vita, conserva cose che appartengono alla nostra vita, e richiamarle secondo un ordine, secondo un criterio di storia "leggere la nostra vita", scoprirne il senso, la traiettoria; rivisitare i luoghi della nostra libert dove passato il Signore con la sua grazia e con la sua misericordia. In questo senso la memoria un luogo privilegiato per l'intelletto contemplativo. S. Luca ci narra ripetutamente che la Madonna "conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore". 234 Quando la nostra memoria conserva il ricordo di quello che il Signore ha fatto per noi, essa diventa uno scrigno prezioso dal quale possibile far uscire lentamente il lungo filo dei ricordi; su quel filo dorato, come su una strada che attraversa le stagioni e i paesaggi della nostra vita, possiamo contemplare con intelletto d'amore le orme lasciate da Dio nella nostra anima, le ore di grazia lasciate cadere sulla nostra vicenda di creature, l'ombra silenziosa di un Padre che stava accanto ai nostri passi quando ci sembravano pesanti, smarriti e senza speranza. Tutto questo non pu che riempirci di commozione e di intima gioia, e soprattutto di gratitudine. A volte ci viene da pensare che la nostra vita passata assomigli, come si dice, ad un romanzo, e agli occhi della psicologia e della valutazione umana delle cose pu essere cos; ma, per noi cristiani, la nostra vita passata una "storia sacra", un intreccio originale e unico, tessuto dalle dita di Dio che tante volte ha giocato con la nostra libert. Quanto pi la fede illumina la nostra memoria, tanto pi i ricordi raccontano la storia profonda della nostra esistenza, la storia scritta da Dio, che ci verr pienamente rivelata nel cielo.
Lc. 2,19
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spinta per un amore pi grande. Senza umilt non possibile la pace nella nostra anima; non possibile vivere in pace con s stessi e con la propria vita.
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gioia". 239
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Mt. 5,45
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ribellione degli istinti, la debolezza di un intelletto che non era pi in grado di illuminarla; perci il disordine, la paura, l'anarchia. A questa disobbedienza dell'uomo, Dio rispose con l'obbedienza del Figlio, obbedienza che non solo ha riparato il peccato della nostra ribellione, ottenendoci il perdono della colpa, ma ci ha anche meritato la grazia che salva. Nell'agonia del Getsemani, nella notte che precedette la sua passione, Ges si consegn nelle mani del Padre con un atto di obbedienza totale:"Padre, si faccia non la mia ma la tua volont", 243 obbedienza che poi lo port sulla croce. Ora, per trovare misericordia davanti a Dio e ricevere la grazia della salvezza, necessario che entriamo anche no i nell'obbedienza del Figlio; occorre che anche la nostra volont si unisca alla volont di Cristo per compiere con Lui la volont del Padre. Cristo avrebbe potuto portare a compimento la nostra salvezza distruggendo in noi tutte le conseguenze del peccato: il disordine delle passioni e le inclinazioni al male, ristabilendo cos, in noi e nel mondo intero, l'armonia originale. Egli invece ha voluto che anche l'uomo collaborasse, con libera decisione, alla propria salvezza in modo da completare nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo". 244 Non basta perci che la nostra volont si riordini a Dio, torni ad orientarsi verso di lui con l'obbedienza, ma occorre che riprenda il suo posto all'interno dell'uomo, occorre che restauri il suo dominio sulle altre facolt per ripristinare l'unit interiore, l'ordine e la pace all'interno della nostra natura. E' un lavoro che chiamiamo "ascetico", di ascesi, in quanto la volont chiamata a spingere tutto il nostro essere verso l'alto, appunto verso Dio. Perci chiamata, la volont, a riprendere il dominio sui sensi, a ordinare verso il bene la forza delle passioni, a spingere l'intelletto ad accogliere la Rivelazione di Dio e anche ad esigere da se stessa di disporsi sulla strada dei Comandamenti.
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Ges ci ha meritato la grazia santificante che divinizza la nostra anima, ma ci ha ottenuto anche la "grazia sanante", la grazia che risana le nostre facolt soprattutto la volont, fortificandola perch riprenda il dominio sulle passioni, e accompagnandola (grazia cooperante) nel suo impegno di esercitare le virt teologali e di acquisire le virt cardinali. Del resto, Ges ce l'ha detto apertamente: "Senza di me, non potete far nulla". Non qualche cosa, non un po' di bene: nulla. E questo non deve risultare umiliante per noi, quasi una dichiarazione di resa totale, di sconfitta; l'umilt della creatura che sa di essere stata salvata da Dio con una salvezza che viene tutta e solamente da lui. Abbiamo gi detto che Dio ci comunica la sua grazia attraverso i sacramenti, che tuttavia suppongono sempre e comunque la nostra preghiera, una preghiera umile, perseverante, fiduciosa. Questo tanto vero che un santo ha potuto dire:chi non prega non si salva.
corretti. La fortezza una virt pi profonda, pi spirituale. Possiamo dire che la forza con cui la nostra volont aderisce intimamente alla volont di Dio, una forza che non pu essere superata da nessun'altra, perch la forza dell'amore. Perci San Paolo esclamava: "Chi dunque ci separer dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudit, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo pi che vincitori per virt di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che n morte n vita, n angeli n principati, n presente n avvenire, n potenze, n altezza n profondit, n alcun'altra creatura potr mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Ges, nostro Signore". 245 Una volont forte una volont lungamente esercitata e intensamente innamorata. Ogni "si" detto a Dio per amore fortifica la volont, la rende sempre pi ferma nell'adesione alla volont divina e sempre pi efficace nel dominio sulle altre facolt; esse verranno orientate sempre pi fortemente verso il nostro fine ultimo e sottomesse alla legge dell'amore. Perci una volont forte e innamorata si vede nel comportamento quotidiano, in ogni istante e in ogni circostanza; essa vince il timore e la paura, non si preoccupa del giudizio altrui n teme il ridicolo, non subisce i condizionamenti dell'ambiente o della mentalit dominante, non fugge davanti al sacrificio o alla fatica per lo sforzo, perseverante nel lavoro incominciato e lo porta a termine fino al dettaglio, paziente nelle avversit e sopporta con garbo le contrariet della vita, domina il desiderio di vendetta e sa spingere il nostro animo al perdono, non si lascia trascinare dallo zelo amaro che aggredisce le persone ma anche sa soffrire per difendere la verit, aborrisce la vigliaccheria e il rispetto umano e respinge l'anonimato che un rifiuto alla propria responsabilit, infine perseverante nella testimonianza fino al sacrificio di s; il martirio la sua espressione suprema. L'elenco potrebbe allungarsi ma non arriverebbe ad esaurire tutte le possibili applicazioni di questa virt perch la fortezza abbraccia tutto il campo dell'agire umano. Importante, invece, convincersi che il campo privilegiato in cui possiamo fortificare la volont quello delle piccole cose, nelle circostanze ordinarie della vita quotidiana. Scrive il Beato Josemaria Escriv: "Volont. E' una caratteristica molto importante. Non disprezzare le piccole cose, perch nel continuo esercizio di negare e di negarti in esse - che non sono mai futili, n di poco conto - fortificherai, darai virilit, con la grazia di Dio, alla tua volont, per essere molto padrone di te stesso, innanzitutto. E poi, guida, capo, leader!..., per impegnare, spingere, trascinare, col tuo esempio e con la tua parola e con la tua scienza e con la tua autorit". 246
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santit e della perfezione cristiana. C' un ritornello, - possiamo anche chiamarlo slogan - che dovrebbe echeggiare continuamente dentro il nostro animo come una preghiera: "Vale la pena! Vale la pena! Vale la pena!". Tuttavia, la necessit della Grazia nell'educazione della volont - grazia che, come abbiamo visto, viene da Cristo e opera in noi come dono dello Spirito - fa si che la nostra fortezza sia tutta "prestata"; una fortezza non nostra, che non viene da noi perch un dono: "..la nostra capacit viene da Dio", scrive San Paolo ai Corinti, facendo eco alle parole di Ges:"Senza di me non potete far nulla". 247 Perci la Grazia fa della nostra fortezza una virt "cristiana", radicalmente diversa da ogni tecnica umana, venga essa dalla psicologia o dall'ascesi praticata nelle filosofie orientali. Esse infatti hanno come fine il miglioramento della vita psichico-spirituale dell'uomo e nascono dallesercizio e dalle risorse esclusivamente umane; la fortezza cristiana, invece, va oltre, perch nasce dallamore di Dio e sostiene la nostra fedelt a Cristo fino alleroismo. L'amore di s stessi pu prendere forme e motivazioni anche nobili e spirituali, ma rimane sempre una risorsa puramente umana. Ora, proprio l'amore disordinato di s stessi, amore che genera in noi l'egoismo, la malattia pi pericolosa della volont, il suo nemico pi temibile. L'egoismo ha mosso e muove continuamente l'uomo, ogni uomo, e quindi ognuno di noi, sulle strade della vanit e dell'orgoglio, della ricerca del proprio interesse, del solo benessere personale, del successo ad ogni costo, dell'attaccamento ai beni della terra e ai piaceri della vita. L'egoismo uccide la volont nella sua naturale tendenza verso il Sommo Bene, verso Dio. Sant'Agostino cos esprime le conseguenze di una volont divisa fra l'amore di s e l'amore di Dio: "Due amori hanno eretto due citt: l'amore di s fino al disprezzo di Dio, la citt della terra; l'amore di Dio fino al disprezzo di s, la citt di Dio. L'una si gloria in s stessa, l'altra nel Signore". 248 Non ci sono dunque volont deboli o volont forti, ma volont innamorate, trascinate dall'amore, o volont chiuse nell'egoismo, refrattarie all'amore. Dicevamo dell'intelletto "debole", quando manca della Verit; possiamo parlare di volont "debole" quando manca l'Amore. La Verit Cristo, l'Amore Cristo. E' lui la luce che illumina l'uomo, lui la forza che vince il mondo. "Il fiume delle cose temporali ti trascina, ma sulla sponda di questo fiume nato un albero... Ti senti rapire verso il precipizio? Tienti forte all'albero. Ti travolge l'amore del mondo? Tienti forte a Cristo. Per te egli entrato nel tempo, perch tu diventassi eterno!". 249
Gv. 15,5 S. Agostino, De civitate Dei S. Agostino. Commento alla Lettera di S.Giovanni. Tratt.2,10 Cammino n. 815
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tempo presente". 251 Stare al presente stare nella realt, ed segno di saggezza saper riconoscere e utilizzare pienamente tutte le possibilit umane e divine che la realt nasconde. C' infatti "qualcosa di divino nascosto in ogni circostanza che tocca a noi scoprire". 252 Il segreto sta nell'aver presenza di Dio e nel cercare il senso soprannaturale di ogni cosa. La presenza di Dio ci aiuta a portare davanti al Signore le cose che abbiamo tra le mani, cio ad offrire a Lui il lavoro che stiamo facendo, mettendo quella rettitudine e diligenza che rendono gradita a Dio la nostra offerta. Cos la saggezza diventa un realismo sereno e operoso che sa vivere l'"hodie, nunc" - oggi, adesso - con pienezza di impegno e di fedelt. "Dopo... domani..." sono gli avverbi dei pigri, alibi meschini di chi inganna s stesso per non compiere il dovere del momento. Eppure c' sempre in tutti noi la tentazione di scappare dal tempo presente. Il pi delle volte si tratta di fughe in avanti: facciamo le cose ma con l'assillo di ci che ci attende dopo e gi pensiamo a quello che faremo, come lo faremo, con chi lo faremo; ci carichiamo di timori per quello che accadr (che spesso non accadr), e ci lasciamo prendere dall'ansia e dalla preoccupazione per l'incertezza di come andranno le cose e per il peso, spesso immaginario, che esse comportano. E' una fuga in avanti che crea malessere e mette a nudo la nostra poca fede, la carenza di fiducia e di filiazione divina che impoverisce la nostra vita cristiana. Siamo tutti esposti a questa tentazione, tanto che Ges stesso, dopo aver ribadito con termini commovent i la paterna provvidenza di Dio, conclude: "Non affannatevi dunque per il domani, perch il domani avr gi le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena". 253 Ci sono poi fughe in avanti provocate non dalla preoccupazione di ci che si teme ma dall'attesa di ci che si desidera: mossi dall'impazienza, anticipiamo nel desiderio ci che ci attira e che piace. Rischiamo cos di essere completamente assenti da ci che facciamo e facilmente delusi da ci che aspettiamo. Ci sono infine le fughe nei sogni e nelle fantasie impossibili, non ispirate dalla magnanimit o da nobili ambizioni, perch sono futili romanzi per la nostra vanit, sterili progetti del nostro io megalomane, ipotesi irreali per quella che il Beato Escriv chiamava la "mistica del magari". E' l'atteggiamento di chi, insofferente della propria realt, sogna situazioni diverse e inattuabili: un lavoro diverso, una salute diversa, una famiglia diversa, figli diversi ...! Cos si vive di fughe; la nostra volont rifiuta di stare al presente e di vivere con pienezza la realt attuale. Quante ansie, paure e inquietudini potremmo evitare se avessimo la saggezza di vivere con fedelt il tempo presente e di compiere con gioiosa dedizione il dovere del momento. "Comportati bene, "adesso", senza ricordarti di "ieri" che gi passato, e senza preoccuparti di "domani", che non sai se per te arriver". 254
Ef. 5,16 Beato J. Escriv, Amare il mondo appassionatamente. Mt. 6,34 Cammino n. 253
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Facciamo le cose perch ci tocca farle, perch rientrano in un orario, in un programma stabilito da altri, perch ci troviamo inseriti in un contesto famigliare o sociale che prevede determinate prestazioni e servizi ai quali non possibile sottrarci senza compromettere una ordinata convivenza tra le persone. Sembra un paradosso, ma non sempre dove c' libert c' anche volontariet, come vorrebbe un ben noto luogo comune: io faccio quello che "voglio". Troppe volte, invece, ci lasciamo condurre non dalla volont ma dal capriccio, dallo stato d'animo, dalla malavoglia e dalla pigrizia, troppe volte sul nostro agire hanno peso la moda, la mentalit dominante, i modelli della pubblicit e, ancor pi, troppo spesso sprofondiamo nel sonno dell'abitudine. Agire con volontariet attuale garantire al nostro operato la forza dell'amore. Il piacere, infatti, pu renderci egoisti; il successo, superbi; la bellezza, vanitosi; le ricchezze, prepotenti; solo il sacrificio pu educare la volont e renderla capace di amare. Non possiamo dire che le generazioni della nostra epoca abbiano una volont allenata, fortemente motivata. Se pensiamo alla titubanza nelle decisioni, alla paura dello sforzo o dell'impegno soprattutto se deve durare nel tempo o magari per tutta la vita, se pensiamo a tanta instabilit emotiva, alla fragilit psicologica, alla scarsa fermezza d'animo che caratterizzano le generazioni del nostro tempo, ci rendiamo conto del perch sia cos difficile oggi trovare lealt, fedelt, coerenza; e anche perch la fede sia diventata cos incerta, cos traballante. Noi cristiani siamo chiamati ad essere nel mondo la forza di Dio, perch la potenza dello Spirito ci ha liberati dalla schiavit del peccato e ci ha resi capaci di amare con l'amore di Cristo. Dobbiamo comunicare fortezza intorno a noi e nel mondo; dobbiamo trasmettere certezze, diffondere sicurezza e fiducia. Ma dobbiamo anche ricordarci che "il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono". 255 Perci dobbiamo essere forti nella fede - fortes in fide fiduciosi nella speranza, "saldi e irremovibili nella fatica", 256 perseveranti nella preghiera, virili nel comportamento - viriliter agite - capaci di un amore pi forte della morte - fortis ut mors dilectio-. Tutto questo, Dio lo ha fatto risplendere in Colei che, pur essendo la pi dolce, la pi tenera, la pi amabile delle creature, sta in mezzo all'umanit come "Torre di fortezza" - Turris fortitudinis - e sta davanti al Maligno come "un esercito schierato a battaglia". La Vergine Maria, schiacciando la testa al serpente, ha riparato la debolezza di Eva e ha cancellato la sua sconfitta; il suo "fiat" deve insegnarci a stare nella volont di Dio con la dedizione, la fedelt e l'amore di un "si" che diventa vittoria di Dio, un canto di gioia e di pace.
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scorre nel tempo. Nel tragitto conoscitivo, la fantasia sta tra i sensi e l'intelletto, e partecipa di tutti e due. Come senso interno veste di fantasmi i dati della sensibilit; come strumento intellettuale spazia nel mondo delle idee con la libert dello spirito. La fantasia come la tavolozza dell'intelligenza. In questo senso la fantasia umana diversa da quella degli animali, avendo una attivit "poietica", cio creativa e non soltanto riproduttiva delle immagini. La fantasia si sposa felicemente con l'emotivit e con l'intuizione; rende perci la nostra mente mobile, versatile, rapida, imprevedibile: la fantasia donna. Per questo, forse, se n' talvolta parlato male, come di un ostacolo alla razionalit. E tuttavia, pur dipendendo dai sensi e dall'affettivit, la fantasia li supera e va oltre; con la fantasia che la nostra mente progetta, forgia e costruisce il futuro. Se nella perfezione delle sue leggi, la natura ci rivela l'infinita sapienza di Dio, nella ricchezza, variet e bellezza dei suoi elementi essa ci rivela l'inarrivabile "fantasia" di Dio. Senza fantasia non c' arte, non c' poesia, non c' genio. Non c' nemmeno gran parte della scienza che proprio dalla fantasia si avvale per formulare le sue ipotesi. Molte delle scoperte scientifiche pi importanti sono nate da lampi intuitivi della fantasia. A creare una cattiva fama intorno alla fantasia sono stati alcuni filosofi e alcuni teorici della mistica. I Platonici e tutti coloro che hanno una concezione negativa della materia e del mondo, vedono la fantasia come un castigo dell'anima, la quale si troverebbe a dover lottare contro una forma di conoscenza non realistica, in perenne contrasto col realismo della ragione. Anche molti intellettuali e politici diffidano della fantasia, ma non sanno che i peggiori politici si trovano proprio tra coloro che non hanno fantasia. Alcuni teorici della mistica mettono in guardia dalla fantasia da quando santa Teresa D'Avila la chiam "la pazza di casa", e la colpevolizzano per tante difficolt, distrazioni, difetti che affliggono la vita spirituale.
Una seconda malattia che pu affliggere la fantasia il compiacimento onirico. La fantasia, lo sappiamo, la fabbrica dei sogni. L'attivit onirica perci connaturale alla fantasia, e sarebbe segno di una grave menomazione se tale attivit mancasse. Gi conosciamo il ruolo importante che svolgono nella vita psichica i sogni notturni, quelli legati al sonno; ma qui ci riferiamo ai sogni "diurni", i sogni ad occhi aperti. Quando la fantasia "sbrigliata", abbandonata a s stessa, anzich mettersi al servizio dell'intelletto, rischia di cadere nel territorio dominato dal nostro "io". E il nostro io non trova nulla di meglio che cavalcare una fantasia al servizio della propria vanit, e inanellare su di essa narcisistici caroselli, interminabili, e sempre pi larghi, infarciti da assurde e inverosimili imprese, dove esso, il nostro io, re e dominatore assoluto. Una fantasia manipolata dalla vanit diventa stupida e sterile. Quando il nostro io dimentica di essere un pupazzo ridicolo e si gonfia di vanit, diventa mastodontico e ingombrante fino a occupare tutto il nostro mondo interiore e a chiudere cos ogni altro orizzonte al nostro spirito. Una fantasia che non abbia davanti a s orizzonti aperti morta. Dobbiamo invece liberare la nostra fantasia, svegliarla perch sogni in grande, aprirla agli orizzonti sconfinati di tutto ci che vero, bello, amabile, santo. I santi sono stati tutti dei grandi sognatori; i loro sogni erano sulla misura della potenza di Dio e della sua grazia. Perci furono spesso giudicati come pazzi e temerari; la loro fantasia obbediva invece all'audacia del cuore e alla magnanimit della mente: un cuore capace di amare e una mente capace di pensare cose grandi per la gloria di Dio. Tuttavia la vanit e il compiacimento ludico sono per la fantasia un pericolo meno grave dell'aridit e della sonnolenza dello spirito. Guai a togliere alla fantasia la libert di sognare! Il mondo invecchierebbe improvvisamente, sparirebbero i poeti e i bambini e la santit diventerebbe estremamente noiosa. Il mondo ha certamente bisogno di scienziati e di filosofi, ma non basta. Lo scienziato descrive i fenomeni della natura, ne studia le leggi e le misura: egli si interessa della "grammatica" delle cose; il filosofo penetra le ragioni profonde, i rapporti logici e metafisici tra gli esseri: egli si occupa della "sintassi" delle cose; solo il poeta, il mistico, e a suo modo il bambino, sanno leggere il "mistero" delle cose, il loro canto, il loro splendore, la loro analogia, il profumo di trascendenza che esse emanano: nel mistico, nel poeta e nel bambino la fantasia ha sciolto le vele, ha messo le ali, le ali dell'amore e dell'intuizione.
tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. Soprattutto in lui Dio "ci ha scelti prima della crezione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carit". 257 Immaginare il nostro futuro o, in altre parole, progettare la nostra vita senza Cristo, prescindendo da Lui, pensare la nostra vita fuori dal disegno di Dio. Ogni ragazzo, ma in fondo ognuno di noi, dovrebbe domandarsi: "Io, che cosa vedo nel mio futuro?" Potrei immaginarmi un lavoro, una professione, quell'impresa o quell'altra, il matrimonio, una famiglia, una sistemazione sociale, ecc. Ma se non vedessi in tutto questo Ges Cristo, la mia immaginazione non avrebbe nulla di diverso da quella di un onesto pagano. Un cristiano invece, nel progettare il proprio futuro si chiede: "Come posso immaginare Cristo nella mia vita? Cristo nel mio lavoro, Cristo nella mia professione, Cristo nel mio matrimonio, nella mia famiglia, nei miei impegni sociali, Cristo in tutte le mie imprese?" E' questa la fantasia profetica, che cerca di immaginare la "rivelazione" del disegno di Dio nel tempo durante la mia vita terrena, perch si compia un giorno, perfettamente, nella vita eterna. I Santi sono stati anche fervidi profeti; essi hanno saputo inventare, con la complicit dello Spirito Santo, le forme pi varie perch si riveli al mondo il disegno di Dio, il disegno cio di rinnovare in Cristo tutte le cose. E' infatti lo Spirito Santo la vera "fantasia dei Profeti".
Ef. 1,4
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peggiori tirannie di questo secolo, e ha portato al degrado morale e culturale della nostra civilt occidentale. In definitiva alla base di ogni utopia terrena si trova la delirante utopia di Lucifero: essere "come" Dio. Al disegno stupendamente amoroso di Dio che ci voleva "simili" a Lui, gli angeli ribelli e noi uomini abbiamo preteso di sostituire l'assurda utopia di essere "uguali" a Dio. E' l'utopia che ci prende col suo inganno ogni volta che sognamo la nostra vita in contrasto con il progetto di Dio, in un mondo governato dall'uomo, in un futuro che realizzi il sogno tanto bramato del paradiso terrestre. In definitiva, ogni volta che voltiamo le spalle a Dio col peccato. A questo punto, l'unica medicina efficace per guarire la fantasia dalle utopie mondane , ancora una volta, la fede. La "fantasia" di Dio supera ogni immaginazione, per cui "le cose che occhio non vide, n orecchio ud, n mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano". 258 Possiamo sciogliere la nostra fantasia e sognare, sognare, sognare..., ma tutti i sogni umani resteranno immensamente indietro rispetto alla realt "sognata" da Dio; la fede la nostra pi grande "utopia", ma il suo sogno la pi certa e pi sicura delle realt: l'immenso, ineffabile, inesauribile mistero di Dio che inonder la nostra anima per sempre!
258
1 Cor. 2,9
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IL TEMPO E LA VITA
La struttura di un non-vivente rigida, esterna ed estrinseca; molto simile a un manufatto, venga esso dalla natura (un cristallo, una roccia...) o venga dall'uomo (un utensile, una macchina...). La struttura di un vivente invece aperta, dinamica, sussistente e persistente, che si auto-mantiene e si auto-rinnova nei materiali. Il vivente un "turbine metabolico" nel quale l'incessante e totale rinnovamento degli elementi materiali non incide sulla struttura che, invece, si auto-conserva. Ecco perch il "meccanicismo" proprio della filosofia cartesiana, il considerare cio un vivente alla stregua di una macchina, l'errore pi grossolano al quale possono andare incontro e la scienza e la filosofia. L'uomo dunque potr arrivare anche a sintetizzare chimicamente e manipolare la "materia" vivente, ma non a fabbricare "un" vivente: un essere cio che non solo ha una struttura propria, permanente e individua, ma anche una struttura attiva, di unattivit di cui esso il "soggetto". Non dobbiamo confondere l'organizzazione della materia con la vita. Il vivente un essere capace di attivit propria ed il "soggetto" dei propri atti vitali: capace di selezionare gli elementi materiali e di assimilarli, cio farli propri, rendendoli biologicamente compatibili con quelli gi posseduti e rifiutando tutto ci che non compatibile; capace di adattarsi, di crescere, di presiedere alle proprie sintesi e alle proprie funzioni vitali, di riprodursi, rigenerarsi ecc. E questo a tutti i livelli, dai macrorganismi ai microrganismi.
Atti, 17,29
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creati senza colpi di bacchetta. Ogni "inizio" protetto dal silenzio di Dio: l'inizio dell'universo, l'inizio della vita, l'inizio del genere umano e della sua storia, cos come l'inizio di ogni uomo. Ogni uomo persona, e l'inizio della persona coincide con l'inizio della sua anima. Ci riferiamo non al quando di questo inizio ma al come. Dio infatti autore della vita non solo nel suo inizio, ma anche nel suo divenire; perci attualmente e continuamente presente come creatore nel fenomeno della vita e delle sue leggi. Perci Egli crea l'anima umana ogni volta che le leggi della vita fanno germogliare la prima cellula di un nuovo essere umano. Ci significa che l'anima non una sostanza preesistente che poi viene unita - infusa - da Dio ad una cellulauovo fecondata; il prodotto di un intervento peculiare ma normale di Dio che agisce all'interno delle leggi stesse della vita; si tratta di un atto creativo che trasforma la prima cellula dell'organismo umano in una "persona", con il suo principio esistenziale proprio e personale di natura spirituale. Il "come" tutto questo avvenga vero mistero, silenzio di Dio, la cui onnipotenza non fa rumore anche quando irrompe nel tempo per far scoppiare quel miracolo impressionante che la persona umana. Del resto tutto ci che Dio compie insieme straordinario e normale, miracoloso e "naturale".
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Si dice talvolta: "Io potrei non esserci e nulla cambierebbe nell'universo". Ma non vero. Se io non ci fossi ci sarebbe un "buco" nel tempo, anzi mancherebbe un filo nell'ordito della vicenda umana. Il "filo" di un essere umano pu avere lunghezze diverse: ci sono esistenze pi o meno lunghe e ci sono esistenze che vengono spezzate appena concepite: sono esistenze "puntiformi"; eppure anche un punto ha un suo ruolo e un suo significato. In un tessuto, poniamo in un tappeto, ogni punto non inutile, ha un suo colore e una sua posizione che concorrono all'insieme del disegno e della trama. Ogni vita umana ha valore perch un valore; lo in s stessa e per s stessa. Non siamo noi che dobbiamo dare significato alla vita, essa gi lo possiede. A noi spetta scoprirlo, entrarci dentro con la nostra responsabilit. La vita si riceve ma non dobbiamo subirla; il significato e il valore che essa porta con s viene affidato alla nostra libert e responsabilit di creature intelligenti, "chiamate" da Dio a gestire, in continuo dialogo con Lui, con il suo disegno e con la sua grazia, l'esaltante avventura di esistere e di vivere. La vita, prima ancora di essere una responsabilit, un dono; se ci limitiamo a vederla esclusivamente o anche prevalentemente come responsabilit, come qualcosa che dobbiamo noi inventare, progettare, pensarne il senso e il significato, essa ci peser addosso, e le conseguenze potranno essere la paura, l'angoscia, la frustrazione oppure il protagonismo titanico o l'utopia. Ma la vita innanzitutto e soprattutto un dono; tutta "data", tutta ricevuta. Quando non sappiamo vederla come un dono non ci resta che subirla come una fatalit. Succede cos quando ci si allontana da Dio, quando lo si rinnega o lo si emargina. L'uomo nasce per caso, ha scritto Sartre; ed un modo per dire che la vita non ha senso, non ha significato perch non ha nessun riferimento, nessuna radice, nessuna spiegazione; pura fatalit. Il senso della vita non lo danno nemmeno le creature; fossero anche le pi preziose o pi gratificanti. E' quanto succede, ad esempio, nell'amore possessivo: quando due sposi stanno insieme perch "hanno bisogno l'uno dell'altro per vivere", l'uno diventa schiavo dell'altro e se viene a mancare l'uno, l'altro non sa pi vivere; lo stesso avviene quando una ragazza ha bisogno di un ragazzo per vivere o per sentirsi qualcuno, diventa schiava di quel ragazzo e se le viene a mancare le sembra che la vita non abbia pi scopo; cos perfino per una madre che ha bisogno di un figlio per vivere... Nessuna creatura pu essere il fine della vita; sarebbe un idolo che genera schiavit.
una mano onnipotente pu averlo fatto. In quel momento percepisco nettamente che i miei genitori non c'entrano, sono stati soltanto strumenti per una cosa enormemente pi grande di loro. E' lo stesso sentimento che anch'essi hanno provato quando mi hanno visto per la prima volta, mi hanno contemplato: prima non c'ero, poi, come d'incanto, ero l nelle loro mani, vivo, in carne ed ossa, con una intelligenza, un'anima, una promessa carica di mistero..., e mi hanno visto come un miracolo, qualcosa di enormemente pi grande di ogni loro possibilit; si sono scambiati un sorriso pieno di stupore e d'incredulit come se si dicessero: non possibile! Hanno avvertito di essere stati soltanto strumenti di Qualcuno infinitamente pi potente che ha fatto tutto. Perci un figlio sempre una creatura che ci viene "data", sempre un dono che ci viene consegnato. Ma la conseguenza pi importante che pu venire dalla scoperta del nostro atto di essere la possibilit di percepire consapevolmente la nostra identit di creature. Spingersi fino a quel primo momento della nostra esistenza quasi fare l'esperienza diretta dell'esistenza di Dio; certamente percepire in modo vivo la nostra creaturalit. E' facile cos passare dall'amore verso i genitori all'amore verso Dio. Comprendiamo che i nostri genitori sono stati il luogo dove Dio ci venuto incontro dall'eternit e ci ha "voluto". Ognuno di noi viene dall'amore, sempre, indipendentemente dall'intenzione dei propri genitori. Perci non esistono figli "indesiderati" perch sempre, anche quando i genitori non lo desiderano, un figlio comunque desiderato, amato e voluto da Dio. Penetrare dunque nel nostro intimo e contemplare con stupore il nostro atto di essere ci d la possibilit di intravedere l'infinita fecondit del nome che Dio ha dato a s stesso: "IO SONO". "L'atto di essere" che Dio ci comunica partecipazione al suo nome, a quel "IO SONO" che fondante di ogni esistenza, soprattutto di ogni essere fatto a "sua immagine e somiglianza". Il Signore diceva a Santa Caterina da Siena: "Tu sei colei che non "", io sono "Colui-che-sono". E se Caterina, come ognuno di noi, pu dire: "Io sono", perch esiste "Colui che ". Il nostro "Io sono" partecipazione al "IO SONO" di Dio.
Qui sulla terra, possiamo trovare analogie nell'esperienza mistica di molt i santi. In essi, ma in fondo in ognuno di noi quando ci lasciamo condurre da Dio, l'esperienza creaturale, cio il senso vivo della nostra dipendenza esistenziale da Dio, unita all'esperienza morale, cio al senso vivo della nostra libera e cosciente vincolazione alla sua legge divina, si aprono inevitabilmente all'esperienza mistica nella quale la nostra vincolazione creaturale diventa esperienza globale di tutta la persona e occupa tutto lo spazio anche psichico del nostro essere: i sentimenti, l'immaginazione, i pensieri, gli affetti, i desideri... E' come se questi spazi non ci appartenessero pi; sono fatti propri da Dio e da lui abitati. Alcuni autori spirituali parlano di tre vie della vita spirituale: una ascetica, una illuminativa e una unitiva. Qualcosa di simile avviene nella nostra esperienza creaturale. Essa ha bisogno di una ascesi interiore; esige che la nostra anima si liberi dall'esperienza dell'effimero, di ci che apparente, che si liberi dalla superficialit e diventi un'anima profonda, che raggiunga le cose nella loro profondit, cio nel loro rapporto con Dio. Questo allenamento ascetico, che in definitiva un'ascesa verso la verit, rende l'anima capace di cogliere "l'essere", e la sua esperienza creaturale diventa allora simile a una "illuminazione". L'actus essendi come un lampo della nostra persona e lo si coglie non per ragionamento ma per intuizione. Infine, quando questa "illuminazione" si trasforma in contemplazione intima, quasi un'esperienza immediata ed intensa dell'anima che avverte nel proprio essere finito la presenza intima dell'Essere infinito, allora l'esperienza creaturale tocca il vertice delle sue possibilit: l'esperienza unitiva. L'anima si vede creatura, solamente creatura e totalmente creatura, unita al suo Creatore; si sente da lui presa e come soggiogata, talmente a lui unita da non avvertire pi una volont propria, un pensiero proprio, una vita propria. Tutto lo compie Dio. E nel vedersi creatura, con una consapevolezza immediata, abissale e luminosa, si riempie di una felicit indicibile che le toglie ogni interesse verso s stessa e verso tutto ci che riguarda la vita terrena.
continua in altri esseri viventi. Nell'uomo invece la continuit non solo della vita ma anche del singolo uomo che sopravvive a s stesso, nel suo spirito. Inoltre la continuit della vita animale e vegetale una continuit intra-temporale, si esaurisce nel tempo; nell'essere umano, invece, la continuit supera il tempo, sconfina nell'eternit; dunque una vera immortalit. Da quanto abbiamo detto, ne segue che il ciclo vitale non ha, nell'uomo, lo stesso significato che esso ha negli altri esseri viventi. In questi il ciclo vitale ha un significato strettamente biologico ed "chiuso", si spegne cio nel tempo; nell'uomo, invece, la dimensione immateriale propria dello spirito fa si che il ciclo vitale, pur soggetto alle leggi biologiche, le supera, dal suo inizio e lungo tutto il suo corso, conferendogli un significato e un valore trascendenti che perdurano oltre la sua fine. Dio aveva risparmiato ai nostri progenitori, nell'Eden, questo condizionamento biologico perfezionando la natura umana col dono dell'impassibilit e dell'immortalit. L'uomo cio non avrebbe conosciuto la negativit biologica della senescenza e della morte ma sarebbe entrato nella vita eterna senza passare attraverso la decomposizione del suo essere corporeo. Sappiamo che l'uomo, non solo perse questi doni ma rimasto profondamente ferito nella sua natura, per cui la percezione della propria identit spirituale diventata assai difficile e nebulosa, e la tensione verso Dio rimane pesantemente ostacolata dal disordine interiore. Perci la vita umana nella sua condizione attuale non come Dio l'aveva voluta, n come Egli l'aveva effettivamente creata. In tutte le fasi del suo ciclo vitale, la vita umana presenter i segni di questa condizione, razionalmente inspiegabile, di miseria e di grandezza. Ma Dio ha rifiutato tale condizione; Ges, Figlio di Dio fatto uomo, l'ha distrutta con la sua morte e risurrezione restituendo alla vita umana il suo destino di immortalit e di eternit.
verit stupenda e consolante che la Paternit di Dio. Ma questa esperienza non immediata e diretta perch del tutto soprannaturale ed esige la fede. L'esperienza creaturale, invece, pu essere immediata e diretta perch si tratta di una realt costitutiva del nostro essere e senza di essa non possibile nemmeno una vera religiosit puramente naturale. Su questa verit possiamo impostare la descrizione delle stagioni della vita umana e sul filo di questa esperienza percorreremo tutto il vissuto della nostra esistenza.
260
Sal. 30,16
166
L'infanzia
Mt. 18,3
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"convertirsi". Questo per dire che la vita d'infanzia un atteggiamento interiore non facile e trova le sue maggiori difficolt nella mentalit "adulta". Questa resistenza naturale ha una sua ovvia e comprensibile spiegazione sul piano umano, e si capisce perci il termine "conversione" usato da Ges, cio la necessit di cambiare modo di pensare per convertirsi alla logica di Dio. Ges stesso, essendo Figlio di Dio si fece "figlio dell'uomo", in tutto simile a noi, per insegnarci a vivere da figli di Dio, figli piccoli. filiazione Infatti nella vita spirituale del cristiano accade esattamente il contrario di quanto avviene nella vita naturale dell'uomo. La maturit umana si manifesta nel progressivo distacco dai genitori fino alla piena indipendenza da loro, in una completa autonomia delle proprie scelte e delle proprie decisioni. Nella vita cristiana, invece, la maturit spirituale frutto di un progressivo abbandono a Dio, di una vincolazione a Lui sempre pi piena e pi profonda fino a lasciarsi portare esclusivamente dalla sua volont divina. E' un abbandono che si esprime nella docilit sempre pi fine e delicata alla grazia che agisce continuamente in noi, e alla Chiesa che ci guida con il suo insegnamento. Questa vita d'infanzia costituisce il modo vero e autentico di essere adulti nella fede e diventa cos un correttivo fondamentale per la mentalit "adulta" che, soprattutto nell'et matura, vorremmo applicare alla vita spirituale. Sappiamo che questo insegnamento di Ges, questa conversione alla vita dinfanzia come atto fondamentale nella vita del cristiano, stato ripresentato con straordinaria semplicit ed efficacia dalla piccola Teresa di Lisieux, Santa Teresa di Ges Bambino, che ha chiamato piccola via questo modo di vivere abbandono filiale con Dio. Dal canto suo, il Beato Josemaria Escriv esprimeva questo legame tra la vita d'infanzia e la maturit umana con una frase molto incisiva: noi cristiani diceva - dobbiamo essere "por dentro muy ninos, por fuera muy fuertes"; "dentro", cio nella vita interiore, nel rapporto con Dio, dobbiamo essere "molto bambini", "fuori" cio nel rapporto con gli uomini, nelle nostre responsabilit e nei nostri doveri terreni "molto forti", molto maturi e responsabili. E spiegava: "Farsi bambini significa rinunciare alla superbia, alla sufficienza, riconoscere che, per imparare a camminare e perseverare nel cammino, da soli non possiamo nulla, ma abbiamo bisogno della grazia, del potere di Dio nostro Padre. Essere piccoli significa abbandonarsi come sanno abbandonarsi i bambini, credere come credono i bambini, pregare come pregano i bambini". 262 Questa infanzia spirituale - lo ripetiamo - tutt'altro che facile e spontanea, "anzi, richiede una volont forte, una maturit ben temprata, un carattere fermo e aperto" 263; dunque la meta di un impegnativo itinerario ascetico. Dobbiamo ricuperare i nostri occhi di bambini, gli occhi semplici, puliti o almeno purificati di chi sa guardare con stupore le meraviglie di Dio e col desiderio di conoscere i suoi disegni, occhi che lasciano trasparire la docilit di chi si fida di Dio, suo padre e da lui si lascia condurre per cammini di umilt, di donazione, di semplicit e di abbandono. Per cammini, appunto, d'infanzia.
262 263
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L'adolescenza
amichevolmente e di aprirgli la propria intimit. E' un enorme privilegio che la creatura ha ricevuto dal suo creatore. Ogni volta che Dio si manifestato all'uomo e ha parlato, ad esempio, a tu per tu, gli ha fatto sentire la sua amicizia e lo ha chiamato amico. E' accaduto con Abramo, che Dio stesso chiama "mio amico" 264; accaduto con Mos, che parlava con Dio "faccia a faccia", come un amico; accaduto con molti profeti. Ma soprattutto in Ges che Dio ha rivelato il mistero della sua intimit; in Lui, Dio si fatto amico degli uomini. Egli - il Figlio - venne ad abitare tra noi, pass sulla terra "et conversatus est cum hominibus" e s'intrattenne amichevolmente con gli uomini. 265 Pensiamo all'amicizia intima di Ges con gli apostoli, con tanti discepoli: Lazzaro, Nicodemo, Zaccheo... e, sia pure con toni e modi diversi, con ogni persona che si avvicinava a Lui. Una delle sue affermazioni pi commoventi, che l'apostolo Giovanni - il pi intimo confidente di Ges, l'apostolo quasi adolescente - ci ha tramandato, riguarda proprio l' amicizia: "Voi siete miei amici... Non vi chiamo pi servi, perch il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perch tutto ci che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a Voi". 266 Nel vivere l'amicizia con Cristo, la difficolt tutta nostra; per quanto egli sia apparso in mezzo a noi come vero uomo, tuttavia egli ora non pi visibilmente sulla terra e dobbiamo perci lavorare di fantasia. Ma, in compenso, ci ha dato la possibilit di incontrarlo personalmente attraverso due doni preziosi che esprimono il suo amore e il suo desiderio di incontrare ciascuno di noi nellintimit dellamicizia: il Vangelo e l'Eucaristia. Sappiamo come l'adolescente, man mano che prende coscienza del suo io, va scoprendo la propria interiorit; un mondo nuovo dove si alternano sentimenti, stati d'animo, pulsioni e fantasmi a cui non era abituato, e pur essendone estremamente geloso non riesce tuttavia a portarne il peso da solo e sente un impellente bisogno di aprirsi, di confidarsi con qualcuno che gli ispiri fiducia, un amico, appunto; spesso finisce col consegnare la propria intimit alle pagine di un diario personale, che diventa il suo confidente. L'adolescente che scopre Ges, - la sua persona, la sua figura, la sua vita cos come Egli si rivela nel Vangelo, e incomincia a vivere una personale amicizia con Lui, ha certamente imboccato la strada sicura non solo per la sua crescita umana ma anche per la sua formazione cristiana; infatti la vita cristiana non altro che la sequela di Cristo. Alla scuola di Ges, l'unico vero amico e maestro, l'adolescente pu trovare il modo pi efficace per conoscere s stesso e far emergere la propria identit personale. Sappiamo infatti quale importanza hanno nell'adolescente i modelli, i leaders, come ideali di vita nei quali portato a specchiarsi per imitarli nel suo comportamento. Conoscere Ges Cristo, osservare con amorosa curiosit la sua vita e camminare con Lui, dovrebbe diventare l'ideale per ogni cristiano fino al punto di entrare in quella amicizia divina capace di aprire al nostro cuore gli orizzonti della donazione e del servizio.
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amicizia con Dio - pu essere un coetaneo, o un adulto o un sacerdote - e lo aiuti a vivere la propria adolescenza come amicizia con Cristo, ha trovato un vero tesoro, che pu essere determinante nella sua vita. Infatti l'adolescenza l'et dei facili entusiasmi e delle improvvise depressioni, delle decisioni impulsive e delle incertezze, della instabilit e del bisogno di sicurezza. Ora, aiutare un ragazzo a scoprire l'amicizia con Cristo, un Amico che lo capisce, che lo ama, che gli sempre vicino e che gli fedele nonostante tutto e al di sopra di tutto, e che conta su di lui sempre, significa salvarlo dai pericoli che insidiano l'et pi esaltante ma anche pi ingrata nella vita dell'uomo. Il primo pericolo cui esposto l'adolescente la fretta; la fretta di essere adulto. Sono soprattutto due le impazienze che lo assillano: l'impazienza della libert e l'impazienza dell'amore. La fretta della libert la pi sofferta e combattuta. L'adolescente rivendica un'autonomia che mal sopporta le limitazioni, ed essendo priva di un sufficiente supporto di esperienza e responsabilit, rischia il disordine, l'anarchia, il non rispetto delle persone e delle istituzioni. Un dato che l'adolescente difficilmente riesce a cogliere la differenza tra la libert esteriore poter "fare" quello che si "vuole" - e la libert interiore che esige disciplina e dominio di s. Prevale, naturalmente, la rivendicazione della libert esteriore che ha i suoi simboli: tenere le chiavi di casa, non rendere i conti a nessuno, rientrare a qualsiasi ora, possedere cose o strumenti che lo qualificano come emancipato di fronte agli amici. Questa incapacit critica del tutto naturale in lui ma a farne le spese sono in primo luogo i genitori. Essi incarnano agli occhi dell'adolescente l'autorit intesa come ostacolo all'affermazione di s e come limitazione ingiustificata alla propria libert. Per i genitori - e per gli educatori - questo il momento pi delicato e pi laborioso. Anche per loro il pericolo l'impazienza. Impazienza "perch il ragazzo non matura, non capisce, non ragiona, non finisce di assestarsi, una buona volta!"; un' impazienza che li pu portare a rotture pericolose o ad interventi inopportuni. Occorre invece la lunga pazienza del dialogo, unita all'esercizio flessibile ma deciso dell'autorit. L'adolescente contesta l'autorit e spesso vi si ribella ma ne ha un assoluto bisogno. Guai se gli mancasse, perch l'unico riferimento concreto in mezzo alla sua insicurezza e alla sua confusione. Quello che i genitori devono tener presente che l'esercizio della loro autorit deve mirare a far sentire al ragazzo la responsabilit delle proprie azioni e delle proprie decisioni. E' un comportamento indispensabile, l'unico modo giusto per educarlo alla libert e condurlo al dominio di s stesso.
L'adolescente non fa in tempo, oggi, a scoprire la propria intimit personale e sessuale che ne viene immediatamente derubato da una societ sfacciatamente qualunquista e amorale. In questa societ, il gioco affettivo e le esperienze sessuali sono ormai considerate una norma, qualcosa di naturale nei giovani e anche negli adolescenti. Cos i ragazzi e le ragazze che riescono a sopravvivere, a salvaguardare la loro dignit personale in campo sessuale, sono sempre meno numerosi. Addirittura sono molti ormai i genitori che ritengono praticamente inevitabili le esperienze sessuali nei loro figli, anche adolescenti, per cui l'importante, a questo punto, salvaguardarli dai rischi. E i rischi sono la gravidanza e l'AIDS. E' l'inganno pi sporco e ipocrita che la societ attuale, la societ politica e culturale dei nostri giorni, abbia consumato sulla pelle delle giovani generazioni. A questo punto la vera educazione sessuale consiste nell'aiutare l'adolescente a ribellarsi di fronte a questa mentalit dominante, cos anonima e sfrontatamente ipocrita, nella quale la permissivit sessuale pari al pi ritardato infantilismo della personalit, al vuoto di valori e alla carenza del dominio di s. La vera educazione sessuale mira ad una maturit umana che non si identifica per niente con la maturit sessuale, perci deve portare l'adolescente a saper dire di no alla propria impazienza sessuale ed affettiva, un no che significa libert interiore, consapevolezza critica della preziosit e dell'importanza che ha il dono della sua persona, coscienza sempre pi chiara del proprio io che non si lascia gestire supinamente dal modo di pensare diffuso, dal "tutti la pensano cos" o "tutti fanno cos". La vera educazione sessuale deve far scoprire all'adolescente che esiste la virt della purezza, una virt taciuta, disprezzata e derisa, ma che esige invece virilit, fortezza, rispetto di s stessi e degli altri, una virt che diventa custode della propria integrit sessuale e morale, cos da permettere, a suo tempo, il dono integro di s stessi alla persona che sar chiamata a condividere un amore pieno e gioioso, per tutta la vita, al servizio della vita, o, se Dio vuole, al servizio del Regno dei Cieli. Virt dunque, e non ignoranza, non paura del sesso, non inibizione psicologica; virt che promozionale della personalit, della nobilt dei sentimenti, in definitiva della vera capacit di amare.
aiutare l'adolescente a scoprire nella purezza non solo la virt che lo matura umanamente ma anche il clima spirituale che lo rende capace del vero dono di s, sia a una creatura per la famiglia, sia a Cristo per la sua Chiesa.
La giovinezza
187 - Let dei progetti.
L'esperienza creaturale, con la corrispondente consapevolezza della propria vincolazione a Dio, esperienza cos problematica e faticosa nell'et dell'adolescenza, diventa ancor meno facile e spontanea nell'et giovanile. La giovinezza si caratterizza per una proiezione dell'io, gi sufficientemente emerso nell'adolescenza, verso l'esterno, verso la vita con le sue promesse e con le sue incognite. E' la scoperta dell'io relazionale. La giovinezza si presenta soprattutto come l'et dei programmi, dei progetti, delle aspirazioni, viste non tanto sul piano ideale e teorico ma sul piano concreto della loro realizzazione. Il giovane matura delle scelte e tende a realizzarle in un progetto di vita. Normalmente le scelte riguardano la professione e la famiglia, concretamente il campo di lavoro e la compagna della propria vita. La giovinezza impegna dunque su due fronti particolarmente importanti: quello dell'inserimento professionale e quello del fidanzamento. L'inserimento professionale ha per il giovane il significato di realizzare un proprio posto nella societ che corrisponda il pi possibile alla sua personalit. Il conflitto si sposta perci dall'ambito interiore della persona all'ambito esterno, quello delle situazioni concrete della vita. Queste situazioni sono di due tipi: il primo di carattere istituzionale; esso riguarda le strutture sociali e politiche gi definite e dentro le quali si muovono i membri di una comunit. Sono strutture regolate da leggi, e sono espressione di determinati valori che a loro volta sono costitutivi di una determinata cultura. Il giovane che vuole aprirsi una strada nella societ combattuto tra la necessit di adeguarsi al sistema" conformandosi allo stato delle cose, e la volont di rinnovamento che mira alla realizzazione di un nuovo ordine sociale. L'impazienza, che ancora viva nell'et giovanile, pu spingere il giovane ai due estremi di questa alternativa. Nel primo caso, il pericolo il conformismo. Esso pu portare all'appiattimento, alla sfiducia che spegne gli entusiasmi, all'imborghesimento che soffoca le aspirazioni e fa crollare gli ideali. Le energie vitali che la giovinezza porta in s trovano allora sfogo nel consumismo disordinato che diventa evasione, e nella sete insaziabile di godimento che diventa compensazione. Nel secondo caso la spinta innovatrice pu diventare rivoluzionaria ed esprimersi in clamorose contestazioni e violente rotture, fino alla radicale opposizione verso le strutture a tutti i livelli: familiare, sociale, politico, e perfino al rifiuto dei valori della pi autentica tradizione.
dell'uomo, pu diventare per lui un fattore determinante nello sviluppo della sua personalit umana e cristiana. Sapersi creatura di un Dio sapientissimo pu aiutare il giovane a comprendere che noi non siamo entrati in un mondo sbagliato, tutto da rifare, ma in un universo gi ordinato, con leggi buone, stabilite dalla sapienza di Dio. Purtroppo il Maligno e il peccato dell'uomo hanno introdotto nel mondo il disordine e il male che, tuttavia, sono stati vinti da Cristo. Perci, vivere la nostra esperienza di creature deve portarci a ricevere dalle mani di Dio il mondo da lui creato, per rinnovarlo attraverso Cristo e condurlo sempre di pi verso il modello voluto da Dio, nella verit, nella giustizia e nella pace. Non si tratta quindi di distruggere, ma di purificare, di rettificare e semmai di edificare. La vera rivoluzione l'ha operata Cristo perch ha cambiato il cuore dell'uomo. Dobbiamo certamente mettere mano anche alle strutture temporali della societ perch siano pi giuste e pi umane, ma non possiamo illuderci che, cambiate le strutture, venga cambiata la situazione del mondo. Le rivoluzioni che distruggono, sostituiscono violenza a violenza, disordine a disordine, ingiustizia a ingiustizia; alla fine "buttano il bambino e si tengono l'acqua sporca". La ghigliottina non sar mai uno strumento di giustizia e di pace, n mai servir a cambiare il mondo. N conformismo borghese, quindi, n violenza rivoluzionaria, ma santit. Santit con opere. I veri rivoluzionari che hanno cambiato il mondo furono i santi. Essi hanno testimoniato nel mondo i veri valori di cui l'umanit ha bisogno. Non sempre ci che nuovo anche pi giusto, pi vero, pi perfetto, come vorrebbe uno dei principi fondamentali del Progressismo mondano. Spesso accade che una societ ha bisogno di rinnovarsi non perch priva di valori, ma perch non attua e non vive fino in fondo i valori che ha gi ricevuto e gi possiede. Se un giovane sapr prepararsi pazientemente ma intensamente al lavoro professionale, con competenza e rigore ma anche con le virt umane e cristiane che la vocazione professionale richiede, non solo trover posto nella societ, ma svolger anche una presenza estremamente positiva e costruttiva, veramente innovatrice, cos come avviene in ogni creatura vivente, la quale non si rinnova autodistruggendosi ma sviluppandosi dal di dentro, promuovendo le potenzialit che ha in s stessa, dalla natura.
ed esclusivo, occorre che questo amore diventi "coniugale" attraverso un vincolo esplicito, unico e stabile, attraverso il "patto coniugale". Il matrimonio dunque un atto pubblico che ha valore giuridico vincolante a norma di giustizia e si configura carico di socialit. Con ci non si vuol togliere importanza all'amore che, pur non essendo costitutivo del matrimonio ne rimane l'anima e la garanzia, si vuole invece ribadire che l'amore tra l'uomo e la donna per essere "amore coniugale" ha bisogno del "patto coniugale" come suo intrinseco elemento costitutivo. Ci aiuta a capire che ogni espressione "coniugale" durante il fidanzamento va contro la "verit" dell'amore e non rispetta la realt delle cose. Diventa un "amore" abusivo, non autentico. Del resto, tutto il lavoro del fidanzamento consiste nell'imparare ad amare e nel prepararsi ad amare veramente, con un amore che non sar mai scontato, ma che sapr rinnovarsi giorno dopo giorno, con sacrificio e con lotta, per non cadere nella routine e per diventare invece pi profondo e pi vero nella maturit e nel dono totale di s stessi. Davanti a questi impegni, il giovane di oggi rischia di impaurirsi; lo assale un senso di incertezza e di insicurezza che durante il fidanzamento rimane mascherato dall'innamoramento. Un ragazzo e soprattutto una ragazza innamorati non hanno dubbi sulla sincerit del loro amore, e pensano che questo pu dare una sufficiente garanzia alla solidit e alla durata del loro legame coniugale. E invece l'entusiamo dell'amore non basta. Dopo qualche tempo l'entusiasmo si acquieta e resta l'amore, quello vero, quello fatto di stima, di comprensione, di sacrificio, di ottimismo, di dono totale di s stessi... fatto di perdono. Il giovane di oggi deve sapere che la cultura dominante non riconosce questo tipo di amore, piuttosto lo deride e lo rifiuta. Deve anche tener presente che la legislazione stessa degli Stati moderni non difende e non tutela sufficientemente il matrimonio e la famiglia. Le leggi civili danno importanza esclusivamente all'amore e alla volont soggettiva di vivere insieme; non danno quasi alcuna importanza al patto coniugale, il patto che lega con vincoli di giustizia i due coniugi, e li rende responsabili di fronte al diritto dei figli e del bene comune. Sono leggi che spesso finiscono col premiare il colpevole e condannare l'innocente. Tutto questo, non per aggravare ulteriormente l'incertezza e la paura nei giovani di oggi, ma semmai perch sappiano trovare innanzitutto nella certezza delle loro convinzioni e nella determinatezza delle loro decisioni la forza che li far camminare con fiducia in una societ che non li garantisce. Ma soprattutto perch sappiano trovare nel sacramento con il quale Ges ha voluto elevare il patto d'amore tra l'uomo e la donna a segno e strumento di grazia, la pi sicura garanzia del loro cammino coniugale. Se i giovani sapranno mettere Cristo-Sposo nel loro amore umano sperimenteranno che cosa significa amare fino a dare la vita per la persona amata. Su questa strada dell'amore, dell'amore umano e cristiano, la vera risorsa viene dal rapporto sempre pi profondo e personale con Cristo. L'amicizia con Ges, scoperta e iniziata nell'et dell'adolescenza, pu aprire nella coscienza giovanile cammini di generosit e di dedizione al Signore, visto come Colui che ha veramente rinnovato il mondo e ha insegnato agli uomini la verit dell'amore. Cristo impegnato nelle strade della Galilea, e ora impegnato nelle strade del mondo, pu suggerire all'animo giovanile l'idea, - che pu diventare progetto e decisione - di farsi strumento a servizio di Dio e della Chiesa per gli uomini del proprio tempo; strumento affinch Cristo sia "innalzato" su ogni attivit umana e si realizzi la pace di Cristo nel regno di Cristo.267 E' questo, anche, un modo di vivere intensamente la consapevolezza di essere creature inserite in un progetto di Dio che conta su di noi per realizzarlo nel mondo. E' un modo diverso di scoprire il senso vocazionale della vita; senso che in noi
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cristiani diventa vocazione divina nel Battesimo, per esprimersi poi come vocazione professionale nel lavoro, vocazione sponsale nel matrimonio e nella famiglia, e anche come vocazione verginale nella dedizione piena a Cristo con cuore gioioso e indiviso, e con pienezza di servizio.
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dignit dell'uomo e ancor pi la grande dignit della donna. Contrastare questa ondata di sensualit fondata sulla menzogna compito di noi cristiani. L'affermazione gioiosa della castit e della verginit come esigenza della nostra dignit di uomo e donna stato un aspetto importante della rivoluzione culturale operata dal cristianesimo nel mondo pagano, e sar certamente un elemento essenziale anche per quella rivoluzione culturale che la nuova evangelizzazione dell'Europa. Se il mondo giovanile e la cultura attuale non sapranno ricuperare il valore della castit e della verginit, cio il valore positivo della sessualit secondo il disegno di Dio, difficilmente arriveranno ad una fede vera e autentica. La sensualit lo smog dell'anima; intristisce il nostro paesaggio interiore e impedisce l'azzurro del cuore. Se una ragazza (come pure un ragazzo) non sa difendere e non ama la propria verginit, non solo non capir la vocazione a servire Dio con dedizione totale per il Regno dei cieli, ma rischia di non comprendere nemmeno il valore della maternit. I due valori si corrispondono intimamente e non a caso la mentalit secolarizzata disprezza l'uno e l'altro, gettando cos la donna in una profonda crisi di identit. Rifiutare la verginit e temere la maternit un tradimento dei valori pi nobili della femminilit. Purtroppo la responsabilit di questa aggressione ricade in parte preponderante sulla visione maschilista e corrotta di tanti "uomini di cultura" che i padroni dei mass-media hanno sponsorizzato. L'incontro di Ges con Erode estremamente eloquente; ma soprattutto lo la figura amabilissima di Colei che, essendo "Vergine e Madre", ha meritato di essere "figlia del suo Figlio".
L'et adulta
tensione maschile verso il fare, verso un'impresa da compiere, un lavoro da realizzare; diversamente, istintivo nella donna domandarsi: "per chi vivo?" , domanda che dice molto sull'atteggiamento femminile, e rivela la tensione interiore della donna verso l'essere umano, verso la persona concreta, sia essa il marito, o il figlio, o una creatura che si trova nel bisogno. Occuparsi dell'essere umano sentito dalla donna come la missione che le stata affidata dalla natura. Il solo lavoro professionale, un'impresa da portare avanti, per quanto gratificante, non bastano perch la donna si senta pienamente realizzata. La riflessione su questo argomento potrebbe dilungarsi molto e la psicologia differenziale avrebbe molto da insegnarci, ma qui basta questo semplice accenno per capire quanto il concetto di maturit sia tutt'altro che facile da definire. Tuttavia possibile enucleare alcuni elementi che chiameremo "sintomi" di maturit e che possono aiutarci a vivere l'esperienza creaturale nell'et adulta.
Ora, proprio a livello della coscienza ha enorme importanza la consapevolezza della propria creaturalit. Comprendere e accettare di essere creature porta a capire che la fonte dei valori Dio e non la nostra coscienza. Un'etica dei valori che prescinda da Dio diventa inevitabilmente un'etica soggettiva e perci relativa; relativa alle situazioni, alle circostanze, agli interessi e alle ambizioni personali. Questo della coscienza un aspetto fondamentale nella maturit dell'adulto, tanto da poter dire che il valore di una persona sta nel valore della sua coscienza. Se pensiamo che la coscienza il luogo pi intimo della nostra persona, l dove, soli con noi stessi e avendo come unico interlocutore Dio, maturiamo le nostre decisioni, ci rendiamo conto del perch essa sia la parte pi delicata del nostro io personale. Possiamo dire che tutta la nostra maturit si forgia nell'ambito della coscienza: non solo la maturit umana (coscienza psicologica) ma anche e soprattutto la maturit morale e spirituale (coscienza religioso-morale). Se volessimo indicare le caratteristiche di una coscienza matura potremmo definirla: sensibile, viva, integra. Una coscienza sensibile quando sa percepire i valori e li percepisce come vincolanti. E' come l'occhio dell'anima. Richiede quindi, pulizia, luminosit, educazione. E' la "luce" di cui parla Ges: "La luce che in te". E bisogna cercare con ogni cura che questa luce non si oscuri o non si spenga, perch se "la luce che in te tenebra, quanto grande sar la tenebra!". 270 La luce che illumina la coscienza e la rende sensibile ed affinata la verit. Ora, mentre la menzogna accieca e distorce la coscienza, l'ignoranza e l'errore la rendono incerta, grossolana, confusa. Perci, mentre dobbiamo difendere la nostra coscienza dalla menzogna, dobbiamo d'altro canto farle guadagnare uno spazio sempre pi ampio e profondo alla conoscenza e alla verit. Si capisce allora quale importanza abbia per una maturit della coscienza la formazione dottrinale; beninteso deve essere formazione e non deformazione. Occorre cio la sana dottrina, la dottrina che ci viene dal Magistero della Chiesa, perch la Chiesa che, nel suo insegnamento, ci interpreta autenticamente l'insegnamento di Cristo. Un cristiano veramente adulto, maturo, non dunque colui che arbitrariamente forgia la propria coscienza su criteri personali o su criteri desunti da una mentalit dominante a modo di maggioranza democratica, (la crisi della coscienza collettiva) e nemmeno su criteri sanciti da "esperti" in scienze teologiche e morali. Ancora una volta alla Chiesa, edificata sul fondamento degli Apostoli, che Ges ha detto: "Mi stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni (...) insegnando loro a osservare tutto ci che vi ho comandato". 271 L'obiettivit porta un cristiano adulto a conformare la propria coscienza ai valori proclamati da Cristo e testimoniati dalla Chiesa.
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attivit. Nell'adulto, dunque, la coscienza non una facolt esclusivamente teorica ma, attraverso un giudizio che precede e accompagna il nostro agire, diventa forza promozionale di una condotta attiva nel bene. La sua dote la fermezza. Una coscienza matura una coscienza ferma nel bene, nel servizio alla verit, nella coerenza con i valori. Vive in continuo dialogo col dono e con la virt della prudenza. Ci si riferisce a una coscienza viva quando si usa l'espressione: "prendere coscienza"; come la "presa di possesso" di un valore che, appena conquistato, pone i suoi ultimatum. Questa presa di possesso non mai pacifica, un combattimento; esige una lotta costante contro il sonno dello spirito. E' un brutto sonno questo dello spirito: una coscienza smorta, sonnolenta, temibile perch rischia di tramutarsi in una atonia interiore di fronte non solo ai valori ma alla realt tutta. Le cose e le persone scorrono allora intorno a noi senza sentirne n il calore, n la poesia, n il mistero; non esercitano alcun richiamo, alcuna provocazione. Qui non ha pi senso parlare di maturit di una persona: la morte. Una coscienza che non reagisce pi si manifesta nel giovane come rassegnazione, conseguenza di tante battaglie morali perdute, e nell'adulto si manifesta come indifferenza totale, conseguenza di aver maltrattato lungamente la coscienza con l'inganno, il rifiuto, la falsit intellettuale, la violenza delle passioni. L'unica compensazione a questa povert sar il denaro, la carriera, o l'appagamento dei sensi, pi spesso sono tutte queste cose insieme: il pi cupo egoismo. L'immagine evangelica di una coscienza ridotta in queste condizioni Lazzaro nel sepolcro: inerte, legato dalla testa ai piedi, gi maleodorante. Una coscienza ridotta in questo stato una grande disgrazia. Per uscire da questo sepolcro occorre l'intervento onnipotente della grazia, occorre che la voce di Cristo risuoni nelle profondit dell'anima. Si tratta di una conversione radicale; un miracolo pi grande che resuscitare un morto. Ripetiamo, un adulto tanto pi maturo quanto pi viva la sua coscienza, quanto pi essa tiene efficacemente la sua posizione di centro decisionale della persona.
l, anche, dove si intravvede la profondit di vita di una persona adulta: la profondit delle sue motivazioni. Si arriva cos alla vera maturit di una coscienza cristiana: la coscienza che prende per criterio di giudizio e di comportamento non pi semplicemente una legge o una gerarchia di valori ma l'Amore, le attese di Dio e le esigenze della santit. Una coscienza innamorata il distintivo dei santi.
persone della propria famiglia, dove soprattutto si manifesta la maturit di un adulto. All'interno della famiglia ognuno chiamato a ricoprire un ruolo legato ad un compito, ad una responsabilit - padre, madre, coniuge, figlio - compito e responsabilit in cui ha peso soprattutto la maturit dell'adulto. Cos non basta che un uomo adulto rispetti la libert della moglie, la libert dei figli, occorre anche che sappia promuovere la libert della moglie ed educare alla libert i figli. Altrettanto pu dirsi per l'educazione alla fede, l'educazione all'amore e alla sessualit, per la promozione del dialogo coniugale, per una presenza rispettosa e insieme promozionale nella vocazione dei figli. Dalla maturit con cui l'adulto sa gestire queste responsabilit dipende l'immagine che egli sa dare al proprio ruolo di fronte a tutta la famiglia. Lo stesso dicasi per l'ambiente di lavoro e per tutti gli ambient i della vita sociale. Rispettare la libert degli altri non dunque un fatto meramente negativo ma, nascendo da una conquista - che laboriosa e difficile - di s stessi, spinge a intrattenere con gli altri un atteggiamento di servizio promozionale e, per un cristiano, di servizio apostolico. L'altra conseguenza che deriva dalla capacit di essere liberi, come conquista della propria libert interiore, la responsabilit delle proprie azioni. La responsabilit riguarda innanzitutto la volontariet e la consapevolezza. Saper agire con responsabilit significa agire al netto della nostra libert, e quindi fare una cosa perch vogliamo farla. Troppo spesso facciamo le cose senza volerlo: obbediamo a stati d'animo, a condizionamenti esteriori dovuti a circostanze ambientali, a correnti di opinione, alla propaganda e alla pubblicit con i loro modelli di vita...; inoltre siamo spesso condotti dalla routine, dall'inerzia dell'abitudine. Il vero agire umano, l'agire maturo, espressione di forza interiore, di vitalit dello spirito, di chiarezza di coscienza; mobilita le energie dell'anima con la forza della convinzione e della decisione. Non si tratta di volontarismo presuntuoso, espressione di autosufficienza mondana, ma semmai di forza obbedienziale, cio capacit di rispondere ad una chiamata (responsabilit), obbedienza libera - perch lo voglio - alla volont di Dio, che si manifesta nel piccolo o grande dovere di ogni momento, nei valori che da lui promanano, nella sua legge provvidenziale come nelle circostanze ordinarie della vita. Non c' espressione di libert pi vera e pi nobile dell'obbedienza a Dio; anzi la vera obbedienza non quella del bambino o dell'adolescente ma quella dell'uomo maturo, perch occorre una volont forte e libera per saper obbedire con responsabilit. "Volont - Energia - Esempio.- Ci che si deve fare si fa... senza tentennare... senza riguardi". 272 Guadagnare spazio alla libert interiore guadagnare spazio alla maturit. Pi l'uomo adulto libero - di libert interiore - e meno sente il bisogno di libert (libert esteriore). I veri condizionamenti sono quelli interiori, quelli di una coscienza immatura e di uno spirito infermo.
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riferiamo a quel tipo di vigliaccheria che consiste nel voler uscire sempre e comunque indenni dalle responsabilit del proprio comportamento, qualunque esso sia. Non c' dubbio che la categoria pi esposta a questo tipo di irresponsabilit quella degli operatori nelle pubbliche relazioni e nei mezzi della comunicazione sociale: giornali, televisione, ambienti dello spettacolo e della cultura. Enorme il bene che questi operatori possono fare e molti lo fanno, ma anche sono molti coloro che cedono alla tentazione della vigliaccheria: tirano il sasso e nascondono la mano, danno veri e propri giudizi di condanna e si coprono con l'anonimato del "si dice... corre voce... sembra che...", fanno rientrare nel "diritto all'informazione" indegne aggressioni all'intimit altrui, distruggono la buona fama e l'onore delle persone con l'espediente del sospetto, del dubbio, dell'indagine arbitraria o camuffata per offrire ipocritamente elementi di giudizio a lettori e telespettatori. Ma tutti possiamo avere complicit con la vigliaccheria dell'anonimato; ognuno di noi ha qualche momento di immaturit o si trascina dietro qualche residuo di timidezza infantile che lo porta a nascondersi, a sparire nel gruppo, a far credere che le cose sono avvenute fatalmente, per colpa di tutti. L'uomo maturo ha il coraggio delle proprie azioni, non agisce nell'oscurit, o dietro le quinte, non fa il mandante di nessuno, non approfitta dell'omert delle strutture sociali o politiche; tanto pi maturo quanto pi ampio spazio del suo agire egli sa coprire con la sua responsabilit. Questo rifiuto dell'anonimato si collega con un terzo aspetto della responsabilit: l'accettazione leale delle conseguenze delle proprie azioni, anzi di pi: l'accettazione virile e paziente di tutto ci che, volutamente o no, pu essere accaduto nella vita. Il bene e il male commessi non sono mai senza conseguenze. Ogni avvenimento incide sulla vita e sulla storia degli altri e nostra. Le nostre azioni possono essere frutto di scelte e di decisioni ponderate, sagge e prudenti ma anche possono derivare in certi momenti da impulsivit, leggerezza, imprudenza, se non anche da volont non buona. Le conseguenze possono essere pi o meno gravi, a volte sono drammatiche; in ogni caso lealt vuole che ci facciamo carico di tali conseguenze, che ce ne assumiamo la responsabilit e anche l'onere con l'impegno della riparazione. L'adulto non pu considerarsi un minorenne che fa ricadere sui genitori o su altri, o sulla societ, le conseguenze delle proprie azioni. La vera maturit non si limita ad una rassegnata sopportazione delle conseguenze, quasi fossero un'ingiustizia, ma riconoscendole come proprie, cerca una sincera riparazione secondo giustizia. Il cristiano, poi, sa che la vera riparazione suppone un reale pentimento del male commesso e del male arrecato, un pentimento di coscienza, davanti a Dio, e non soltanto davanti alla legge umana come il pentimento di chi si arrende alle strette della giustizia e collabora con essa in vista di vantaggi personali. Il pentitismo mondano non ha i caratteri della vera responsabilit. L'accettazione responsabile delle conseguenze del nostro agire diventa nobile comportamento quando si tratta di conseguenze dovute non a colpe ma ad errori involontari, nostri o degli altri. Nella vita tutti siamo soggetti ad errori che possono portare anche a conseguenze irreparabili fino a condizionare negativamente tutta la nostra vita. L'accettazione diventa allora espressione di quei "valori di comportamento" - fortezza, ottimismo, coraggio, serenit...- che conferiscono nobilt umana e, nel cristiano, valore soprannaturale a una esistenza penosamente condizionata e apparentemente inutile. Non dimentichiamo che proprio le conseguenze negative del peccato - la sofferenza, il dolore, la morte - sono servite al Signore Ges per riparare il peccato e redimere l'umanit.
Si potrebbero concludere le riflessioni sull'et adulta ricordando la virt che pi di tutte caratterizza l'uomo maturo: la prudenza. "Auriga virtutum", - la chiama San Tommaso, - guida di tutte le virt; infatti le coordina e le armonizza. E' quindi collegata con la sapienza, che virt dell'intelletto speculativo. Non a caso per indicare la maturit dell'uomo adulto si dice di lui che "saggio e prudente". Purtroppo, la prudenza non una virt demagogica e perci non se ne parla mai; mentre si parla molto di giustizia, si parla di fortezza, magari come forza rivendicativa o contrattuale e si parla anche di temperanza come moderazione nei comportamenti civici o sportivi; invece taciuta quasi completamente la prudenza. Eppure la prudenza che orienta l'agire dell'uomo maturo secondo giustizia, nella fortezza e nella temperanza. La prudenza infatti porta la persona matura ad agire con rettitudine, con coerenza e con responsabilit nel compimento dei propri doveri, senza tentennamenti, senza ipocrisie o compromessi, con forte impegno per essere presente in modo positivo nella vita degli altri e nella vita della societ, sempre disposto a pagare di persona le proprie scelte e le proprie decisioni. La prudenza unita alla saggezza fa dell'et matura la stagione pi feconda e produttiva di tutta la vita umana. Perci l'esperienza creaturale vissuta, nell'et adulta, soprattutto come paternit. La paternit un attributo fondamentale di Dio. E' anche un nome personale che designa la prima Persona della Santissima Trinit; ma frequente in tutto il nuovo Testamento il richiamo alla paternit divina come atteggiamento di Dio verso le sue creature, delle quali Egli si prende cura con amorevole e paterna provvidenza. San Matteo, nel Discorso della montagna, e San Luca nel capitolo XII del suo Vangelo, riportano la descrizione che Ges fa della paternit di Dio; una descrizione commovente di quanto e come Dio vegli sulle sue creature, dai fiori del campo agli uccelli del cielo, e soprattutto sull'uomo, sua immagine e somiglianza, da lui tanto amato e custodito che perfino i capelli del suo capo sono contati. Ora, la paternit di Dio fonte e principio di ogni paternit e perci il cristiano nella sua esperienza di uomo adulto e maturo pu non solo capire la bellezza e la fecondit della paternit di Dio, ma in certo qual modo parteciparvi con sempre maggiore consapevolezza attraverso quella maturit umana e spirituale che lo fa sentire strumento e collaboratore della paternit di Dio nel servizio alla vita, quella fisica o quella spirituale. A questa maturit cristiana esortava S. Paolo: " Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternit nei cieli e sulla terra prende nome, perch vi conceda,... di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e cos, radicati e fondati nella carit, siate in grado di comprendere con tutti i santi, quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza, e la profondit, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perch siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio". 273
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La vecchiaia
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liquidi circolanti, indurimento dei tessuti, e altri fenomeni di recessione organica ben noti alla scienza e che costituiscono l'esperienza faticosa di quanto sia "mortale" il nostro corpo. La vecchiaia appare allora come una lotta per fermare la morte. Una lotta impari, disperata, perduta in partenza, nonostante le imprese titaniche compiute dalla scienza. Lo sanno chiaramente i geriatri che rimangono impassibili, senza entusiasmo di fronte ai risultati di una scienza medica che riuscita a spostare notevolmente la data della terza et e a prolungarne considerevolmente la durata. Ora, il momento in cui ci si rende conto e si sperimenta quanto sia "mortale" la nostra condizione umana, il momento della crisi. Il pericolo, allora, quello di ripiegarsi sul proprio fisico, sul proprio disfacimento vitale, sui propri "acciacchi", restandone prigionieri come tristi inquilini di s stessi. C' invece una frase di San Paolo che pu aiutarci ad essere sempre abitatori della vita, anche quando essa sembra inesorabilmente regredire: "Perci, non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno". 275 Il problema sta dunque nella nostra vita interiore; l che troviamo il segreto per "vivere" la vecchiaia in positivo. Se ci fermiamo al fisico veniamo travolti dal corpo in declino e la vecchiaia ci apparir come una situazione senza futuro, un'attesa senza avvenire. "Ma noi - continua San Paolo - non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne". 276 Solo uno sguardo di eternit pu rompere il muro del tempo. Abbiamo visto che l'eternit la profondit del tempo. L'anziano non deve guardare avant i perch non ha un futuro e rischia la beffa crudele di una illusione alla quale lui stesso non crede. Deve invece guardare in profondit, deve entrare nel suo presente e penetrarvi nella sua dimensione pi profonda: gli sveler orizzonti impensabili con prospettive che il tempo non conosce - "le cose invisibili sono eterne" - ; l'eternit la profondit del presente. I giovani corrono e gli adulti si impegnano, tutti vivono le cose del tempo; l'anziano deve fermarsi, lasciare che il tempo vada; egli pu guardare cos gli uomini e la vita dall'alto di una sapienza che non appartiene pi al tempo, perch non dell'uomo "esteriore" ma appartiene all'uomo interiore. In un certo senso l'anziano deve riscoprire la vita; non nel suo scorrere, nel suo divenire, ma nel suo essere, nella sua profondit.
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egocentrico. L'anziano si chiude allora in s stesso e, considerando chiusa la sua vita, tentato di aggrapparsi a tutto diventando insaziabile di tutto: di attenzioni, di affetto, di compagnia. Invece la soluzione del problema, nella vecchiaia come del resto in tutte le et della vita, sta nel farsi dono, nell'aprirsi agli altri. "Nessuno ha diritto di dire basta - diceva Giovanni Paolo II a gruppi della terza et - Voi non dovete fermarvi, n considerarvi esseri in declino. Davanti agli occhi di Dio questo periodo della vostra esistenza ha un significato di grazia... per questo necessario innanzitutto che l'anziano prenda coscienza delle possibilit che ha a sua disposizione, perch, anche nell'et pi avanzata, il suo animo continui ad affinarsi". E il Papa indicava due mezzi di elevazione che il Signore mette a disposizione degli anziani: la preghiera e il sacrificio. E concludeva: "Per la particolare condizione di et in cui vi trovate, a voi non mancano n le occasioni di soffrire n il tempo di pregare". 277 Nella societ industrializzata dei nostri tempi, cos efficiente e produttiva, questi due mezzi non vengono minimamente presi in considerazione e anzi vengono guardati con sospetto come un pericoloso deterrente all'impegno. Ma c' il pericolo che anche l'anziano cada in questo inganno, e vedendosi escluso da una societ giovanilista e impaziente, finisca anche lui per considerarsi emarginato, un escluso dal grande gioco della vita, o comunque eliminato dalla societ. In questo caso la preghiera e il sacrificio avrebbero anche per lui il significato di un surrogato, di un compenso consolatorio alla sua inutilit.
202 - La solitudine.
Questo senso di frustrazione unito al problema della solitudine pu diventare il vero "peso" della vecchiaia, e in effetti il pi temuto dagli anziani. E tuttavia la solitudine non il problema esclusivo della vecchiaia. Assistiamo a uno dei paradossi del nostro tempo: in una societ dove i mezzi di comunicazione e di trasporto hanno reso estremamente facili e immediati i rapporti tra le persone, e le stesse strutture sociali costringono a vivere gli uni accanto agli altri, intorno alla stessa attivit e alle stesse mansioni, troviamo che gli uomini sono paradossalmente estranei e lontani fra loro, cos da incontrarsi senza conoscersi, parlarsi senza dialogare, camminare sulla stessa strada e ignorarsi. Le strade delle metropoli rigurgitano di folle, ma sono fiumi di atomi che solo si urtano tra loro, piccoli mondi chiusi che nulla hanno in comune. Psicologi e sociologi hanno studiato il problema e ne hanno dibattuto cause e spiegazioni, ma per noi cristiani il problema non esiste o non dovrebbe esistere. Primo, perch il cristiano conosce e accetta la "solitudine", anzi la cerca. La solitudine una dimensione dell'essere umano e della sua esistenza, perch l'uomo qualcosa di unico e irrepetibile e ha in s stesso una parte cos intima e cos sua da essere impartecipabile, un "fondo" dove nessuno pu raggiungerlo e dove si trova solo con s stesso e con Dio. In secondo luogo, il cristiano ha imparato a vivere col cuore libero, distaccato da tutto, e nello stesso tempo disponibile a tutto e a tutti; capace di accogliere tutti e a tutti donarsi; perci tutto gli fa compagnia e a tutti offre compagnia. Il problema sta allora proprio qui, nella capacit dell'animo umano di raccogliersi nell'intimo di s stesso e di sapervi incontrare Dio. Abitare questa "solitudine" e condurvi un dialogo fiducioso e familiare con Dio l'unico modo per sconfiggere ogni altra solitudine e insieme lunico modo per imparare a dialogare con tutti e con ogni altro uomo. Purtroppo, pu capitarci di arrivare all'ultima et della vita impreparati: con
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una vita interiore minima, o una fede troppo povera e stentata, con un senso soprannaturale delle cose insufficiente...; per tanti anni siamo stati assorbiti quasi totalmente dalle occupazioni materiali, dalle necessit della vita terrena, lasciando poco spazio alla vita spirituale, con una preghiera intermittente, con uno sforzo ascetico molto scarso, e perci viene a mancarci quella familiarit con Dio che ce lo fa sentire presente e assiduo dentro di noi, quel rapporto abituale con lui che facilita il dialogo fiducioso e consolante. Sono cose che non si improvvisano; richiedono, infatti, lungo esercizio e lunga preghiera. Tuttavia, la caduta di tante apparenze e di tante realt esteriori, pu facilitare all'anziano un rapido ricupero del rapporto con Dio e del dialogo interiore con Lui, con l'aiuto della grazia che il Signore d sempre quando la nostra anima ritrova le vie dell'umilt e dell'abbandono fiducioso.
Salmo n. 72,26
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pensando ai bambini come tali, per i valori che hanno in s stessi: l'innocenza, la semplicit, la gioia, la fiducia, "la vita". Sono valori che non hanno rilevanza economica, eppure quanto sarebbe povero il mondo senza di essi! Analogamente anche l'anziano pu essere improduttivo - in realt molti non lo sono affatto, costituiscono invece una importante forza economica, - ma cosa sarebbe il mondo - l'umanit - senza gli anziani, e proprio in quanto anziani, per i valori che essi portano? Non esisterebbe continuit tra le generazioni, continuit "storica", perch gli anziani sono depositari delle tradizioni e della storia di un popolo. Sono anche saggezza, esperienza, stabilit, "lungimiranza". Quando un giovane parla, il vecchio capisce molto di pi di quanto il giovane dice; l'esperienza, la saggezza, la conoscenza del cuore umano, sono per il vecchio come facolt in pi che amplificano la sua capacit di comprensione e di intuizione.
Cammino, n. 193
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perci saper invecchiare cristianamente perch il mondo ha bisogno degli anziani. Ha bisogno della loro saggezza, della loro preghiera, della loro gioia, del loro esempio di generosit, di distacco, di penitenza; esempio di fede, di amore alla vita come dono di Dio e di speranza e di fiducia nell'uomo. I vecchi sono come i bambini; ma i bambini quando vedono un vecchio come se vedessero un grosso librone pieno di cose: di favole, di racconti, di vicende misteriose e lontane ma tutte affascinanti, e li accomuna il senso della propria piccolezza di fronte alla vita. Forse per questo vecchi e bambini si comprendono tra loro istintivamente. Ma l'infanzia del vecchio ha qualcosa di pi: l'infanzia impregnata della saggezza dello spirito, l'infanzia di chi si sente creatura nelle mani di Colui che l'eterna giovinezza e che custodisce quella delle sue creature.
La morte
205 - La frontiera del tempo.
Il tempo dell'uomo ha una sua frontiera: la morte. Istintivamente gli uomini avrebbero voluto cancellare questa parola dal loro vocabolario, ma non ci hanno mai nemmeno pensato, tanto ineluttabile la realt che essa ci ricorda. Realt inevitabile - ci passa sotto gli occhi ogni giorno - ma realt soprattutto drammatica e segnata dal mistero. Nella cultura occidentale dell'epoca moderna, la morte costituisce un vero problema carico di incompatibilit e senza giustificazioni. Perci lo vediamo apparire come tema urgente e obbligato negli scritti e nelle riflessioni di quasi tutti gli esponenti del pensiero moderno: laicisti e scettici di ogni corrente, e di riflesso credenti di ogni scuola. In realt non basta la descrizione della morte come puro fenomeno biologico, come conclusione di un ciclo vitale al quale non pu sfuggire nessun essere vivente. E' troppo forte nell'intimo dell'uomo la convinzione dell'immortalit; il "non omnis moriar" - non morir totalmente, cio non tutto di me morir - presente nella coscienza umana da sempre. Ne sono testimonianza le varie dottrine sulla sopravvivenza dell'uomo che troviamo in tante religioni, soprattutto orientali. Tale la dottrina della reincarnazione secondo la quale l'uomo rivive in successivi cicli biologici, o lungo la stessa linea di discendenza o anche in altre razze o specie diverse, in epoche diverse. Cos la teoria della metamorfosi, la teoria della metempsicosi (successive purificazioni dell'anima) e altre credenze animistiche come il totemismo, che incarna in oggetti-simbolo lo spirito degli antenati. Sono tutte dottrine prive di fondamento e contraddicono a principi fondamentali come l'unicit e la singolarit della persona umana e la irreversibilit della sua esistenza terrena; sono invece la prova di quanto sia profonda nell'animo umano la convinzione che la morte non la fine totale e assoluta dell'uomo. Infatti proprio il "dopo" che assilla l'uomo, e sul quale l'uomo s'interroga. E' un "dopo" che chiama inevitabilmente in causa il "prima" della morte, e l'uomo avverte l'insopprimibile bisogno di una risposta perch sa perfettamente che risolvere il problema della morte trovare il senso della vita. Finch ci muoviamo nel tempo, lungo le varie et della vita, il problema della morte ci tocca "da lontano", e rischia di essere considerato in astratto, ma quando la 190
morte ci passa accanto - la perdita di un amico, di una persona cara...- tutto il nostro passato: le azioni, i pensamenti, le cose che abbiamo compiuto, desiderato e amato, si assiepano attorno al nostro animo con i loro implacabili "perch" e vengono messe a nudo tutte le nostre convinzioni riguardo alla vita, al mondo, a noi stessi.
207 - Lessere-per-la-morte.
Per molti uomini di pensiero e di cultura la morte rappresenta la pi umiliante sconfitta dell'uomo, poich mette a nudo tutta la sua debolezza e la sua impotenza, e si rifugiano, come per una rivincita, nello stoicismo: "Bisogna comportarsi con impassibile rassegnazione al morire naturale di ogni vivente; bisogna morire decorosamente e solennemente". I positivisti e tutti i seguaci delle ideologie materialistiche, che non danno alcuna importanza all'uomo, non danno importanza
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nemmeno alla morte; ci che conta per loro l'"Umanit", il fiume della Storia, che sopravvive e continua oltre ogni individuo. Ma la maggior parte degli uomini di oggi che vivono immersi nei loro affari e nelle cose del mondo, al pensiero della morte avvertono un insuperabile disagio e cercano di nascondere il loro imbarazzo, spesso ridicolo, con frasi fatte, tipicamente qualunquiste, come: "Cos la vita!..." Altri evitano l'argomento come se, passandolo sotto silenzio, il problema non avesse bisogno di una risposta. In molte metropoli secolarizzate del nostro mondo occidentale non si incontrano pi cortei funebri e viene fatto accuratamente sparire ogni segno che richiami la morte; i cimiteri stessi sono trasformati in giardini o in parchi. La nostra societ violenta ci ha poi abituati alla morte; si uccide con tutta facilit senza il minimo scrupolo, con la freddezza e insieme con la superficialit di chi non fa nessun calcolo delle persone, siano innocenti o colpevoli, siano bambini o vecchi, sia per vendetta o per futili motivi, sempre con cinico disprezzo della morte e della vita, disprezzo dell'uomo. Avviene ogni giorno, sotto i nostri occhi, tutto documentato da immagini e descrizioni come se fosse un fatto di normale routine, che tutt'al pi coinvolge per un attimo i sentimenti sui quali torna subito il silenzio. L'imbarazzo diventa terrore e angoscia di fronte ad alcuni aspetti con cui si presenta la morte fisica. L'aspetto che ci trova pi rassegnati l'aspetto biologico perch, dopotutto, la morte biologica pu essere considerata un fatto interno alla vita stessa: la vita ha un suo ciclo e obbedisce alle sue leggi. Prima che gli esistenzialisti scoprissero "l'essere-per-la-morte", San Tommaso anticipava i biologi osservando come la vita sulla terra si fa, si prolunga e anche si genera tramite la morte. Ma l'aspetto della morte fisica che pi spaventa l'aspetto psicologico. C' un ciclo anche psicologico nella vita dell'uomo. Il bambino a poco a poco si sveglia intellettualmente alla conoscenza del mondo, l'adolescente prende progressivamente coscienza di s stesso, il giovane si apre ai progetti dell'amore e della professione, e tutti siamo in fuga sin dall'infanzia verso la maturit, verso la pienezza della nostra vita, della nostra persona con tutti i suoi progetti..., poi viene il crepuscolo. Il bambino muore per lasciare il posto all'adolescente, anche l'adolescente muore e lascia il posto al giovane e il giovane ha fretta di morire perch nasca l'uomo adulto, maturo, padrone di s e della vita. Ma l'uomo adulto non vuole morire e si rifiuta al ciclo psicologico. Infatti i bambini, gli adolescenti, e in parte anche i giovani, non hanno paura della morte; chi teme la morte l'adulto. L'uomo adulto teme il crepuscolo; viene infatti la notte psicologica: la mente si smarrisce nei concetti e nei ragionamenti, la memoria non afferra pi il tempo e sovrappone i ricordi, gli affetti stessi si riducono alla loro forma elementare, labile e incerta, infine l'orizzonte della coscienza va progressivamente restringendosi e perde i suoi contenuti: progetti che un giorno incantavano ora non dicono pi niente, idee che ci abbagliarono e che ora ci lasciano indifferenti, stimoli fortissimi all'azione che poi sono svigoriti, il ricordo stesso delle persone care si allontana e svanisce... Vengono alla mente le parole di Ges: "Viene la notte, quando nessuno pu pi operare". 282 E ai farisei, parlando della sua morte, aggiungeva: "Ancora per poco tempo la luce con voi. Camminate mentre avete la luce, perch non vi sorprendano le tenebre". 283 La morte psicologica, che ha la sua espressione pi tragica nel coma celebrale, sta diventando sempre pi diffusa; i progressi della medicina hanno prolungato la vita biologica, ma poco o nulla hanno ancora potuto sulla longevit psicologica. A questo crepuscolo della vita, succede poi la notte definitiva con la morte anagrafica e biografica: il nostro nome scompare dagli elenchi o rimane sepolto nei registri degli archivi, e tutte le nostre opere vengono dimenticate. Per pochissimi
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persiste una sopravvivenza storica legata al genio: nell'arte, nella scienza, nella politica, ma della loro persona pi nulla. Diversa la sorte dei santi; la loro "sopravvivenza" non solamente storica perch il loro potere di intercessione li rende ancora vivi ed operanti nella vita della Chiesa e dell'umanit.
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ormai tempo di svegliarci dal sonno...". 287 Del resto il sonno come immagine della morte di origine pagana legata allo stoicismo, - appare infatti nella mitologia greca e negli antichi miti mediorientali - e nell'epoca moderna lo troviamo strumentalizzato in chiave laicista dal razionalismo, che ha ispirato molti monumenti funebri nei cimiteri monumentali. Tuttavia questa immagine del sonno trova riscontro anche nella Sacra Scrittura e Ges stesso la usa quando parla della morte di Lazzaro e di Talita. Per il cristiano infatti la morte un "sonno" in attesa del risveglio "nell'ultimo giorno", il giorno della risurrezione; anzi la morte diventata "un'amica", una "sorella", perch mette fine a un "esilio", ad un pellegrinaggio lontano dalla patria. Nella prospettiva cristiana la morte non un assoluto, non viene mai presentata da sola, sempre accompagnata dalla certezza della vita, dalla promessa della risurrezione; sempre inserita dentro un disegno tracciato da Dio, disegno del quale la morte rappresenta un momento di estrema densit e di definitiva importanza. E' il momento in cui si decide per sempre il destino dell'uomo.
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perci rappresenta il pi sublime atto di culto a Dio. Cos dovrebbe essere la morte di ogni cristiano: un atto di adorazione e di culto al Padre. Un "si" a Dio, l'ultimo, quello definitivo che conclude una vita di obbedienza e di fedelt. Il nostro atteggiamento di cristiani di fronte alla morte non pu essere la rassegnazione ma l'accettazione, umile e anche gioiosa. Umile, perch la trasformiamo in un atto di sacrificio e di espiazione in unione alla morte di Cristo: anche noi, in quel momento andiamo a consegnarci nelle mani di Dio, - "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" 290 - e gli offriamo con un gesto di abbandono filiale noi stessi, il nostro essere e la nostra vita. Accettazione, anche, gioiosa, perch essa segna il nostro incontro definitivo con Dio. L'incontro con la persona amata sempre fonte di gioia; e se ci assale il timore per il fatto che nella nostra vita non c' stato molto amore di Dio e molte volte ci siamo dimenticati di lui, ci soccorre il pensiero che andiamo incontro a Colui che ci ha amati sempre, che stato sempre fedele nonostante le nostre infedelt e che vuol essere un giudice misericordioso.
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inerzia e di morire per caso. E' la triste condizione di chi vive lontano da Dio. Noi invece siamo creature, e perci veniamo da Dio e a Dio torniamo. Tuttavia questo nostro viaggio nel tempo come un lampo: "In pochi palmi hai misurato i miei giorni, e la mia esistenza davanti a te un nulla. Solo un soffio ogni uomo che vive, come ombra l'uomo che passa; solo un soffio che si agita...".292 Come dire che abbiamo poco tempo: tempus breve est! Per quanto lunga possa essere la vita, il tempo che abbiamo per compiere il bene sempre poco. "Ammazzarlo", sprecarlo in occupazioni vane, sciocche, inutili, o consumarlo al servizio del nostro egoismo, delle nostre ambizioni mondane, della nostra sete di comodit e di piaceri ignobili un vero delitto; delitto che ci far assaggiare, alla fine della nostra vita, l'amaro sapore della sterilit. La morte ci insegna a profittare del tempo, a riempirlo di frutti duraturi, portando a compimento la volont di Dio. Ci far capire "quanto poco valgono le cose della terra, che appena cominciate, sono gi finite". 293 La morte ci aiuta cos a giudicare gli avvenimenti della vita e la loro importanza in maniera ben diversa: in quel momento non giudicheremo pi con il metro del tempo ma con il metro dell'eternit. Perci la meditazione sulla morte ci aiuta a conservare il nostro cuore libero, staccato dalle cose di questo mondo, in piena letizia. San Francesco d'Assisi volle morire nudo sulla nuda terra, cantando il Magnificat. Ai Santi la morte non toglie nulla ma dona tutto. Per questo molti santi andavano incontro alla morte con gioia; i martiri cantavano. Le parole del Salmo "Quale gioia quando mi dissero: "Andremo alla casa del Signore" 294 esprimono lo stato d'animo di chi ha vissuto la vita come "un'attesa"; vissuto aspettando l'abbraccio di Colui che sulla terra stato appassionatamente amato e fedelmente servito. Quando eravamo piccoli, colei che con un bacio, un sorriso e una carezza veniva a chiuderci gli occhi nel sonno era nostra madre. Non c' un modo pi bello e pi dolce di chiudere gli occhi alla vita terrena che vedere accanto a noi colei che "la Madre", madre della Vita, che con un bacio, un sorriso e una carezza ci accompagna nel nostro "sonno" e nel nostro "risveglio", per stare con lei per sempre.
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L'ETERNITA'
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In tutta la Bibbia il comando esplicito di "amare Dio" lo troviamo nel famoso passo del Deuteronomio citato da Ges, lo "Shem Israel", Ascolta Israele... Ma, se guardiamo bene, pi che un comando di amare Dio, quel passo un invito al timore reverenziale di Dio, un monito rivolto a Israele perch si conservi fedele all'Alleanza. L'idea fondamentale, infatti, che Jahv l'unico Signore; e perci viene prima di ogni creatura. Il Signore un Dio geloso e non sopporta l'infedelt n accetta di condividere con gli idoli il suo posto nel cuore degli uomini. Inoltre, Jahv aveva compiuto prodigi per il suo popolo; da una massa di schiavi, senza patria e senza leggi, lo aveva trasformato in un popolo grande e numeroso, gli aveva dato una terra fertile e spaziosa e una legislazione che non aveva l'eguali presso altri popoli. Perci Israele non avrebbe dovuto dimenticare il suo Dio n tutto ci che egli aveva compiuto per lui; avrebbe dovuto ascoltare la sua voce e obbedire ai suoi comandi. In questo contesto il comandamento di amare Dio, - lo Shem Israel - diventava un invito a proclamare le lodi del Signore, a benedirlo e ringraziarlo per tutte le sue opere e per tutta la sua misericordia. Cantare le lodi della persona amata la forma pi nobile dell'Amore. La santit di Dio, la sua bont verso tutte le creature, la sua misericordia verso gli uomini, destinatari di tante meraviglie e di tanta benevolenza, sono cos manifeste ai nostri occhi che proclamare la sua lode diventa un bisogno e una gioia profonda per la nostra anima. Ne testimonianza il Cantico delle Creature, l'inno di lode pi 197
ardente e sublime uscito da una delle anime pi innamorate di Dio. Del resto, tutta la liturgia della Chiesa un grandioso canto di lode al suo Signore. Ma la rivelazione definitiva dell'Amore avvenuta in Ges, pienezza dell'Amore. Di questa pienezza egli si fatto maestro e modello. Ges non chiede esplicitamente di amare Dio, si limita a citare il Deuteronomio e a indicare nell'osservanza dei Comandamenti il segno e la condizione dell'amore. Invece, in modo molto esplicito chiede due cose: di "rimanere nel suo Amore" e di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati. "Rimanete nel mio Amore". Lo ripete pi volte, consapevole della difficolt che abbiamo di credere all'amore. La mente dell'uomo, infatti, si smarrisce di fronte all'intreccio delle vicende umane spesso troppo aspro e doloroso per potervi leggere l'Amore di Dio! Noi stessi, i credenti, che possediamo la Rivelazione e la fede in Ges Cristo, - gli unici mezzi per conoscere l'Amore di Dio - quanta fatica per lasciarci convincere da Ges, quanta diffidenza, quanto scetticismo! E intanto la nostra vita rimane oscura ai nostri occhi, non sappiamo vedervi i passi di Dio e del suo Amore, e pensiamo che a governare la nostra vicenda terrena sia la fortuna o la sfortuna, la buona o la cattiva sorte, le forze cieche e spesso brutali degli eventi che sono manovrati dal caso o da ogni altra forza fuorch dall'amore. "Rimanete nel mio Amore"; questo il codice della santit cristiana. L'amore che Dio ci porta l'unico luogo sicuro per vivere, la forza pi efficace per vincere ogni battaglia, l'unico modo possibile perch si compiano tutti i desideri del nostro cuore. "Rimanete nel mio Amore". Succede purtroppo che molti non accolgono questo invito del Signore e vivono "fuori", altrove, su strade che non sono state tracciate dall'Amore di Dio. E' questo il grande peccato. E' il peccato che espone l'uomo a tutte le menzogne, lo porta a ignorare Dio e a tenerlo fuori dalla propria vita. Dove manca l'Amore c' il vuoto, qualunque sia il surrogato. Questo vuoto di Dio diventato il male oscuro dell'uomo contemporaneo. Di qui le sue esasperate idolatrie, le sue paure angoscianti, le sue aride tristezze. Un uomo lontano da Dio un albero sradicato; le sue radici inaridite urlano di dolore anche sotto un cielo turgido di primavera. Un uomo pu vivere nel tempo e sentirsi raccontare la dolcissima storia d'Amore che ha nome Ges Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per Amore, e restare "indenne". "Rimanete nel mio Amore". Lungo i secoli la Chiesa continua ad offrire l'Amore di Dio: l'Amore che perdona nel sacramento della Penitenza, l'Amore che parla dalle pagine del Vangelo, l'Amore che si fa nutrimento nel corpo di Ges sacrificato sulla croce, l'Amore che effonde lo Spirito Santo nei nostri cuori e con lui effonde luce e consolazione... infine, quell'amore con cui Dio accompagna continuamente la nostra vita; lAmore che ci rende forti nella tribolazione, pazient i nella malattia, gioiosi nella speranza, fiduciosi nelle avversit, sereni nelle prove, umili nelle sconfitte e perseveranti nella preghiera. L'Amore di Dio ci rende poi capaci di amare con lo stesso Amore tutti gli uomini: "Questo il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati". 295 E' questo l'unico comandamento esplicito del Signore; il comandamento sul quale Ges non ha concesso attenuanti, e sul quale saremo rigorosamente giudicati. Da questo comandamento gli uomini sapranno che siamo suoi discepoli, e da questo comandamento possiamo valutare se "rimaniamo nell'Amore" di Dio. Perci non potremo contare sulla misericordia di Dio se non siamo stati misericordiosi, non possiamo pensare di essere perdonati se non abbiamo perdonato, non ci sar risparmiato un giudizio rigoroso e fino al centesimo se siamo stati impietosi con il nostro fratello, e non ci saranno scontati i nostri debiti se non li avremo rimessi ai nostri fratelli. La misura dunque l'amore. Molto sar perdonato
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Gv. 15,12
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a chi molto ha amato. Giovanni, l'apostolo della Verit, inflessibile e duramente rigoroso con quant i rifiutano la verit di Cristo, anche l'apostolo dell'Amore. Egli ha raccolto in queste parole il testamento di Ges: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma lui che ci ha amato (...). Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi e l'amore di lui perfetto in noi. (...) Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui". 296
Dimorare in Dio: l'Eternit; condividere la sua Vita come figli. Rimanere nel suo amore: il tempo; lasciarci condurre da lui per compiere sulla terra "ci che a lui gradito". Amarci gli uni gli altri con l'amore di Cristo: l'unico vero dialogo tra l'eternit e il tempo, il dialogo che unisce gli uomini a Dio e gli uomini tra di loro. Perci, dimorare in Dio, rimanere nel suo amore e amarci gli uni gli altri con l'amore di Cristo e come Cristo ci ha amati, tutta la vita cristiana. Qui approdano la fede e la speranza, qui risiede l'essenza della santit. Qui c' tutta la grandezza e la dignit dell'uomo; qui egli realizza tutto il suo destino. In queste pagine abbiamo cercato i cammini della fede, ci siamo nutriti con il pane della speranza, abbiamo ascoltato i desideri profondi del cuore; abbiamo anche percorso le vie dell'uomo, della sua identit profonda, della sua dignit offesa e redenta; le vie della sua intelligenza, della sua vocazione e del suo destino; abbiamo cercato con stupore e trepidazione i passi di Dio, silenziosi e commoventi, nella vita dell'uomo e nella storia del mondo. Abbiamo concluso che tutto questo ha un solo nome: Amore. "Chiunque ama generato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio, perch Dio Amore. Perci chi non ama rimane nella morte". 297 Conoscere l'Amore conoscere Dio, conoscere l'uomo, conoscere la vita. Non c' luce dove non c' Amore, non c' verit dove non c' Amore, non c' felicit dove non c' Amore. Vivere sulla terra amando; rimanere nell'Amore qui nel tempo per dimorare nell'Amore per l'Eternit. Signore, nelle tue mani sono tutte le cose, nelle tue mani il tempo e l'eternit. Hai voluto che tutto fosse amore: il tuo Essere divino, tutte le tue opere, quanto hai fatto nel tempo e quanto porterai a compimento nell'eternit. L'Eternit! Quando, Signore? Quando avverr che nella nostra luce non ci sar pi ombra, nella nostra gioia non ci sar pi timore, nel nostro desiderio non ci sar pi attesa? Quando le stelle non avranno pi bisogno della notte, n i fiori della primavera, n il mare delle sue sorgenti? Quando accadr che non ci sar pi la morte, n lutto, n lamento, n affanno, perch le cose di prima sono passate? E non avremo pi bisogno del sole, n della luna, perch la tua gloria sar la nostra luce e l'Agnello la nostra lampada? 298 Quando, Signore, lo Spirito e la Sposa diranno: "Vieni!"? 299 ... allora il velo cadr dalla tua faccia, e anch'io potr dirti:
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Piccola sposa del tuo fuoco la mia libert ieri creata arde al tuo Sempre! 300
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INDICE GENERALE
IL TEMPO
1 2 3 4 Una leggenda Il mistero del tempo Tempo ed Eternit "O cara Eternit!"
atto di fede
32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 L'atto pi nobile L'intelletto nell'atto di fede Purificare l'intelligenza "Credibilit" delle verit di fede Il dovere di credere Intelletto cristiano L'omaggio della volont nellatto di fede Limportanza del cuore nellatto di fede. La grazia nell'atto di fede La fede di Maria
202
Farsi dono.
67 68 69 70 L'amore dono La vita: una corsa verso il dono La conoscenza: moto d'amore Dono di s: conoscere, amare, servire
La corporeit.
96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 Trascendenza del corpo Il corpo: epifania dell'anima Il corpo: inno alla bellezza Il "culto" del corpo Il corpo e il suo destino di gloria Il corpo nell'amore coniugale Il corpo nell'amore "sponsale" La triplice "corporeit" in Cristo Il corpo "sacrificato" Il corpo "orante" 203
La conoscenza e i sensi
116 117 118 119 120 121 122 123 I sensi: il tatto. L'olfatto Il gusto L'udito La vista La sensibilit interiore Sensibilit e responsabilit Finezza d'animo
Sensi e intelletto
127 128 129 130 131 132 Conoscenza sensibile e conoscenza intellettiva Il sub-cosciente e la vita dello spirito Sensibilit e libert Sensibilit e giudizio morale Sensibilit e religiosit Verit delle cose e Verit dell'intelletto
IL TRIPLICE INTELLETTO
A) Intelletto speculativo 133 Che cos lintelletto speculativo 134 Un nemico della fede: l'ignoranza 135 "Studiositas" e "curiositas" 136 La "sana dottrina" 137 Il tarlo delle ideologie 138 Un tragico inganno: l'immanentismo 139 Gli idoli della Ragione 140 Scienza e morale 204
B) Intelletto pratico
144 145 146 Che cos lIntelletto pratico. La Torre di Babele Intelletto pratico e attivismo
C) Intelletto contemplativo
147 148 149 Che cos lIntelletto contemplativo La contemplazione mistica Le vie alla contemplazione
IL TEMPO NEL TEMPO: PASSATO, PRESENTE, FUTURO. Il passato: tempo della memoria
150 151 152 153 154 155 156 Il tempo delle cose e il tempo dell'uomo La memoria: archivio del tempo La memoria del cuore Memoria e contemplazione Memoria e sincerit Memoria e dimenticanza di Dio Il "Memoriale di Cristo"
IL TEMPO E LA VITA
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Linfanzia.
180 181 Let dei perch "Vita d'infanzia"
Ladolescenza.
182 183 184 185 186 L'et critica "Amici" di Dio Le "impazienze" dell'adolescenza L'impazienza del cuore Educazione all'amore
La giovinezza.
187 188 189 190 Let dei progetti La vera rivoluzione: la santit Fidanzamento e matrimonio Verginit per il Regno dei Cieli
Let adulta.
191 192 193 194 195 196 197 198 Quale maturit? I "sintomi" della maturit Maturit e coscienza Coscienza "viva" Coscienza "integra" Maturit e libert L'adulto ha nome e cognome Maturit e prudenza
La vecchiaia.
199 200 201 202 203 204 Il carico del tempo Sguardo di eternit Nessuno deve dire: basta! La solitudine Il "Dio inutile" La gioia del "restauro"
La morte .
205 206 La frontiera del tempo Il "bello" deve ancora venire 206
LETERNITA
211 Eternit dell'Amore
207