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Approfondimenti

1. Recensione di "Consumati. Da cittadini a clienti" di Benjamin B. Barbe

A cura di Viviana Di Giovinazzo Il progresso economico non produce necessariamente sviluppo sociale. Per l'economista e politologo americano Benjamin Barber ci non avviene perch il capitalismo moderno erode le basi della societ civile. I "consumati" di Barber, infatti, non sono tanto i clienti assediati e vinti dal consumismo postmoderno, quanto i valori della societ occidentale che il capitalismo dei consumi ha banalizzato e degradato a tal punto da privare gli individui dello status stesso di cittadini. In tale nuova forma di capitalismo Barber vede come protagonisti non pi i produttori, ma i consumatori: ricchi Peter Pan (i figli del baby boom e i loro figli), eterni bambini, egocentrici, narcisisti, deresponsabilizzati, dunque poco dediti alla moderazione e all'autocontrollo. Proprio come gli adulti "bambini", con grande disponibilit di denaro in tasca, secondo l'autore, una delle cause che hanno condotto alla crisi economica 2007-2009 da accreditarsi proprio all'uso smodato di carte di credito. Il puritano severo e calcolatore che ha guidato il capitalismo dei primordi ha oggi ceduto il passo all'adolescente, neologismo coniato incrociando i termini "adult" e "adolescent", ovvero al consumatore regredito allo stadio infantile. Barber riconduce le ragioni dell'affermazione dell'ethos infantilistico su quello puritano nella psicologia dei consumi e di brand marketing. "Adolescenti e bambini diventano larchetipo, il modello del consumatore ideale perch sono impulsivi, non riflettono a lungo prima di comprare. Perci il marketing e la pubblicit hanno spostato le frontiere dei consumi verso fasce det sempre pi basse: prima gli adolescenti, ora anche i bambini di tre anni". D'altronde, non forse nello spirito del capitalismo creare nuovi mercati, nuove fasce di consumatori?

La tesi di Barber si esplicita a questo punto. L'autore ritiene che la svolta attuale del capitalismo non sia semplicemente quantitativa, ovvero concernente l'apertura di un nuovo mercato, bens qualitativa, in quanto caratterizzata dall'imposizione di una crescita economica che, a differenza della forma originaria, animata dallo spirito puritano, non favorisce, bens frena lo sviluppo sociale. La deresponsabilizzazione conseguente al processo di infantilizzazione imposto dal capitalismo moderno ha, infatti, preservato negli individui lo status di consumatori. Di riflesso, ha per comportato anche una menomazione delle facolt decisionali degli individui, comprese quelle loro richieste in qualit di cittadini nella sfera pubblica.

Barber prosegue denunciando la grave colpa delle istituzioni, che ritiene non abbiano vigilato abbastanza provvedendo a contrastare tale processo degenerativo. Anzi, di fatto, la pubblica amministrazione non solo non ha pi tutelato gli interessi della collettivit (venendo meno al compito per il quale istituita), ma al contrario ha deciso di servire i propri interessi. Promuovendo l'infantilizzazione del cittadino e il marketing del voto, secondo l'autore, gli enti governativi hanno adottato le stesse strategie che si sono rivelate vincenti nel capitalismo. "In molte citt americane, la nomenclatura del paesaggio civico - dai parchi ai tabelloni segnapunti delle palestre dei college - in vendita". In questo modo, l'individuo finisce con il perdere coscienza della dimensione civica: "Il ruolo dello Stato viene sminuito, svuotato, contestato. La stessa politica diventa marketing, i candidati si vendono come prodotti di largo consumo. Si consolida lidea che l unico modo attraverso cui noi esercitiamo una forma di potere quando compriamo". Il capitalismo dei consumi ha cos trasformato i cittadini in clienti, da partecipanti attivi nel dibattito pubblico per la difesa degli interessi collettivi a meri fruitori dello spazio pubblico per il riconoscimento di interessi privati.

Il processo di erosione dell'identit civile della societ innescata dal capitalismo moderno pu dirsi compiuta nel momento in cui alla privatizzazione del cittadino si aggiunge la privatizzazione dello Stato stesso. Barber vede nell'esternalizzazione da parte dello Stato della pubblica sicurezza (e di molte altre sue funzioni) una sostanziale destituzione di poteri: "Quando gli Stati sovrani esternalizzano la funzione di sicurezza, di fatto recedono allo stato di natura proprio quei poteri che costituiscono la loro legittimit". L'esternalizzazione dei poteri ha reso i cittadini mercenari e lo Stato un cliente ulteriore del capitalismo, quando il suo compito era

proprio quello di difendere i singoli dagli effetti collaterali da quest'ultimo prodotti quale, non ultima, la regressione del consumatore allo stadio infantile.

La tesi di Barber ripropone dunque, aggiornandola, quella di Herbert Marcuse (1964). L'uomo ridotto a una dimensione dal consumismo totalizzante rappresenta la conferma di una disfatta. L'allineamento dei poteri in capo a una singola figura ha privato di ragion d'essere non solo lo Stato e le istituzioni, ma la sfera pubblica stessa, piattaforma eletta del processo decisionale, ancora prima che luogo fisico di incontro e di dialogo. Una forma originale "di resistenza e sovversione" che l'autore esplora in alternativa alla responsabilit sociale d'impresa e al consumismo responsabile rappresentata dalla resistenza culturale (culture jamming). In perfetto stile jujitsu - scrive ironico Barber - i culture jammers fanno leva sul potere costituito, impiegando la sua stessa forza per sovvertirlo.

2. Francuccio Gesualdi, Laltra via, Coedizione, Altra Economia Soc. Coop. 2009
Al punto in cui siamo, la decrescita, la riduzione, la moderazione, lausterita, la sobrieta, o comunque vogliamo chiamarla, non e piu un optional; e una strada obbligata per salvare questo pianeta e questa umanita. Ma nel regno della crescita, la riduzione e una bestemmia, uneresia che scandalizza e mette in fuga. Un incubo che apre il sipario su scenari tenebrosi dei tempi in cui si moriva per tetano, in cui ci si ammazzava di fatica per fare il bucato, in cui ci si illuminava solo con la candela, in cui si moriva di freddo. Ma sobrieta non va confusa con miseria, come consumismo non va confuso con benessere. Forse e proprio dal linguaggio che dobbiamo ripartire prima ancora che per mettere ordine nelle parole, per fare chiarezza sui concetti. Quanto meno per sbarazzarsi dei luoghi comuni. Ci sono parole cui diamo un valore positivo, altre cui diamo un valore negativo, non per ragionamento, ma per associa- zione di idee. Alcune ci evocano sensazioni gradevoli perche associate in maniera automatica a situazioni che avvertiamo come piacevoli, altre ci procurano angoscia perche collegate a pensieri sgraditi. Generalmente il consumismo e vissuto come concetto positivo, e associato allidea di vita piu comoda, piu soddisfacente, piu felice. Ma e proprio cosi? Negli anni Settanta vennero condotte indagini per appurare se la ricchezza rende davvero felici. Fu la caduta di un mito, tutte le ricerche misero in evidenza che solo fino a 10-15.000 dollari annui, laumento di reddito si accompagna ad una maggiore felicita, dopo di che si crea una separazione: la linea della ricchezza sale, ma quella della felicita rimane piatta. In Inghilterra, il numero di persone che si dichiarano molto soddisfatte e passato dal 52%, nel 1957, al 36% di oggi.2 Vari studiosi hanno cercato una spiegazione a quello che e stato definito il paradosso della felicita partendo da angolazioni diverse. Un gruppo si e con- centrato sui desideri, su quei bisogni, cioe, che si sviluppano piu per stimolo e condizionamento esterno che per bisogno innato: scelte dettate dalla moda, dal culto della bellezza, dalla grandiosita, dallinvidia. Tibor Scitovsky, un economista americano, ha spiegato che il piacere legato a queste forme di consumo e fugace, dura il momento della novita, poi subentra ladattamento e quindi la noia. Considerato che la pubblicit ci bombarda dalla mattina alla sera con proposte di consumo che fanno leva sul piacere fugace, alla fine non e la felicita che prevale, ma la noia. Per assurdo, pi si compra, pi ci circondiamo di cose che ci annoiano, che ci danno uggia. Cosi la crescita lavora per linfelicita. Il fenomeno delladattamento e un meccanismo che si instaura anche in ambito farmacologico, e conosciuto dai tossico-dipendenti col termine di assuefazione. Nel tempo, la stessa quantita di droga non procura piu gli effetti desiderati, per provare lo sballo bisogna aumentare la dose. Anche i consumatori si comportano nella stessa maniera: per provare nuovo piacere puntano su nuovi prodotti, spesso piu costosi. Trionfo del mercato, che per vendere ha bisogno di consumatori pe- rennemente insoddisfatti, morte della persona che inseguendo una lepre sempre pronta allo scatto si infila in unaltra trappo- la che conduce allinfelicit per una via ancora pi grave. Per indurci in tentazione, la pubblicita insiste su cio che evoca piacere: sensualita, bellezza, eleganza, ricchezza. Invece sorvola sul fatto che per entrare in possesso degli oggetti dobbiamo avere denaro. Ma il particolare non sfugge a noi che per vin- cere la sfida del superconsumo accettiamo di sacrificare gran parte del nostro tempo al lavoro. Il tempo: ecco un aspetto che non consideriamo mai. Nel 2007 Bilanci di giustizia, un movimento che promuove il consumo responsabile, ha calcolato il tempo che dobbiamo lavorare per acquistare alcuni prodotti. Considerando una retribuzione netta di 10 euro allora, dobbiamo lavorare 18 ore (piu di due giornate) per un cellulare del valore di 180 euro, 40 ore per un televisore al

plasma del valore di 400 euro, addirittura 1.500 ore (sei mesi) per acqui- stare un auto di media cilindrata. Parlando di auto, lacquisto e solo linizio. Per viaggiarci serve lassicurazione, tasse di circolazione e naturalmente il carburante. Secondo uno studio condotto nel 2006 dalla Fondazione Caracciolo, mediamente lauto assorbe 4.445 euro allanno, 440 ore di lavoro. Se ci aggiungiamo il tempo passato nel traffico, quello che serve per cercare un parcheggio e per la manutenzione, lautomobile assorbe ogni anno un migliaio di ore della nostra vita. Se facciamo lo stesso calcolo per tutti gli altri beni ci accorgiamo che viviamo per consumare. Teniamo a mente che di media ogni casa dispone di 10.000 oggetti, contro i 236 che erano in uso presso gli indiani Navajos. Per ognuno di essi dobbiamo lavorare, recarci al supermercato, sceglierlo, fare la coda alla cassa. Una volta a casa, dobbiamo pulirli, spolverarli, sistemarli.Se consideriamo tutto, il superconsumo e un lavoro forzato che ci succhia la vita. Abbiamo viaggiato nellequivoco che la felicita dipende dalla ricchezza, abbiamo sacrificato tutto il nostro tempo sul suo altare. Ci si affanna, si corre, si maledice il tempo che scappa. Otto ore di lavoro non bastano piu, e necessario fare lo straordinario. Le ore passate fuori casa crescono, non ce piu tempo per noi, per il rapporto di coppia, per la cura dei figli, per la vita sociale. Bisogna andare di fretta. Compaiono le insonnie, le nevrosi, le crisi di coppia, i disagi tenuti a bada con le sostanze. Il 39% degli europei dichiara di sentirsi stressato.6 Cresce la microcriminalita dei giovani abbandonati a se stessi, cresce la solitudine dei bambini che si gettano nelle braccia della televisione. Secondo unindagine condotta in Italia nel 2007, i bambini trascorrono giornalmente unora e trentasei minuti al televisiore, unora e cinque minuti al computer, cinquanta- cinque minuti in videogiochi. Ecco dunque la seconda radice dellinfelicita nella societa della crescita: relazioni umane insufficienti, fugaci, transitorie. Societa liquida, cosi la definisce Zygmunt Bauman. Una societa dai legami fragili, instabili, frettolosi in continua composizione e scomposizione proprio come le molecole dacqua. Rapporti interpersonali consumati come gelati, una leccata e via. Esplo- de la comunicazione via cellulare, i messaggi sms inonandano letere nellillusione che la quantita possa compensare la qualita. Ma in ambito umano la logica dellusa e getta non funziona, il malessere affiora. Ogni volta in forma diversa come se privilegiasse il linguaggio in codice: depressione, anoressia, bulimia, alcolismo, tossicodipendenza, aggressivita. Perfino il bullismo e un prodotto della lacerazione e non e con i giovani che dovremmo indignarci per il loro sadismo, ma con noi stes- si: per la nostra latitanza, la nostra distrazione, la nostra non curanza. Quando sui giornali comparve la notizia, nel giugno 2008, che una ragazzina di dodici anni si rinchiudeva in bagno e col cellulare si fotografava nuda, in pose sexy, per vendere le immagini ai compagni al fine di raggranellare soldi per comprarsi abiti firmati, lo psichiatra Paolo Crepet fu categorico: E solo lennesimo caso di solitudine e di crisi vissuti dagli adolescenti. Non possiamo dare la colpa ai dodicenni se danno piu valore alla moda che alla loro dignit: il mondo degli adulti a essere andato in corto circuito.

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