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LE MANISPORCHE DEL CAPITALISMOITALIANO


L'azione di bonifica delta nostra classe dirigente ha solo lambito il potere economico. Una concezione perversa del mercato e le sue conseguenze politiche: Berlusconi docet.

MASSIMO RIVA
II coUasso del collettivismo marxista nell'Europa orientale e il sue progressivo abbandono da parte di un paese come la Cina, che rappresenta il mercato di consumo potenzialmente piii appetibile del mondo, hanno prodotto in Occidente reazioni miste di angoscia e di euforia. Di angoscia, per la vastita e la complessita dei problemi che questi fallimenti caricano suU'awenire del sistema vincente, il capitalismo. Di euforia, per la fine della guerra fredda, cioe per la sconfitta di un sistema politico-economico-militare che si prefiggeva un'egemonia planetaria e per cio stesso costituiva una minaccia pressante per il grado di benessere e di liberta conquistato dai cittadini delle maggiori nazioni capitalistiche. In tm paese come Tltalia, prossimo piii di altri alia frontiera fra i due sistemi antagonist! e non solo in senso geografico, la reazione di tipo euforico ha avuto pieno e totale soprawento. In particolare, il mondo delFimprenditoria o comunque parte rilevante di esse ha trovato nel croUo del collettivismo comunista non soltanto una conferma della superiorita dei propri metodi ma anche una soUecitazione prepotente ad occupare spazi e ruoli finora tenuti dal potere politico. In altre parole, la maggiore efficienza dell'economia di mercato e stata assunta come titolo per rivendicame la praticabilita e I'estensione al govemo del paese in tutte le sue forme e competenze. Lo slogan meno Stato e piu mercato ha cosi rapidamente superato il senso e la portata di una formula in cui sintetizzare I'esigenza di xma salutare opera di ridimensionamento delle proprieta pubbliche in economia e di smantellamento dell'apparato burocratico-clientelare ad esse connesso. Con un'accelerazione pari alia velocita con cui e entrato in agonia il vecchio potere partitocratico, questa formula ha assunto i connotati di una bandiera di principio buona per rivendicare la gestione complessiva degli affari del paese. Cio rende di grande attuahta una serie di riflessioni suUa realta dei meccanismi di mercato funzionanti nel nostro paese, anche

per meglio capire il senso delle rivendicazioni di potere politico che oggi agitano il mondo mercantile. Le domande che ci si deve porre, in questa ottica, possono essere numerose. Ma una, non nuova, sovrasta tutte le altre. II capitalismo italiano, per come oggi lo conosciamo, e portatore di u na tradizione e di una prospettiva di sviluppo coerente con i principi liberali dell'economia di mercato? O w e r o esso ha campato in passato di protezioni p u b bliche ed ora sta semplicemente tentando di assumere in presa diretta la gestione di im potere politico, entrato in crisi per la caduta di quel paravento della guerra fredda che ha mascherato cosi a lungo Fesistenza di u n perverso e sistematico intreccio tra affari e politica? Se si guarda all'esperienza di taluni esponenti di quest'ultima fase del capitalismo alFitaliana, la risposta alle domande che precedono risulta scontata. E questo il caso tipico di Silvio Berlusconi e delle sue smanie di villeggiatura politica. Quello del g r u p p o Fininvest e I'esempio tipico di un'impresa che e nata e poi si e imposta sul mercato (tanto delle costruzioni quanto della televisione o della grande distribuzione commerciale) muovendosi suUa base di una continua, programmata sinergia fra politica ed affari. Non e un caso che nelle cronache finanziarie di questi armi sia stato ripetutamente affacciato il dubbio che, oltre ad essere fratelli siamesi in politica, Silvio Berlusconi e Bettino Craxi potessero essere anche alleati in affari. Nessuno e mai stato in grado di provare che Fex leader socialista fosse anche u na sorta di socio occulto della Fininvest, ma Fesistenza stessa di un simile interrogativo e la prova che i comportamenti tenuti dai due soggetti hanno alimentato in piu occasioni la sensazione di una strategia di decisioni politiche delFuno sostanzialmente orientata a favorire il tornaconto economico delFaltro: dalle licenze edilizie degli albori berlusconiani fino alle concessioni televisive, date e ottenute in modo da realizzare su quello specifico mercato una condizione duopolistica che, per il solo fatto di esistere, costituisce una violazione clamorosa delle piu elementari regole di presidio della libera concorrenza. Traguardato attraverso il rampantismo berlusconiano, il capitalismo italiano si offre dunque come un tipico e perverso esempio di degenerazione illiberale dell'economia di mercato per almeno due fattori. Primo: perche Fesperienza Fininvest contraddice uno dei capisaldi della convivenza civile fra democrazia e capitalismo, quello della separazione dei poteri fra sfera politica e sfera economica. Secondo: perche il fondamento economico del presunto successo imprenditoriale berlusconiano e stato costruito perseguendo metodi e fini dichiaratamente tesi alFarmuUamento della competizione mercantile e della hbera concorrenza in particolare.

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Ancorche di stretta ed importante attualita, tuttavia, il caso Berlusconi rischia di risospingere I'analisi del complesso rapporto fra potere politico e potere economico su un terreno periferico rispetto a qualche piii grande questione che merita di essere sviluppata in materia. Insomma, Berlusconi e il caso evidente di un operatore economico cresciuto col favore della politica ed ora scalpitante per esercitare in prima persona un ruolo istituzionale al fine di proteggere in presa diretta i confini pericolanti del proprio impero. Un caso di patologia acuta del sistema, magari anche assai pericoloso per il suo potenziale infettivo, m a pur sempre u n caso particolare. Esiste, viceversa, u n punto di vista piii generale che consente di mettere a fuoco un altro tipo di patologia piii diffusa nel sistema quanto a degenerazione dei rapporti fra potere politico e potere economico. La fine della solidarieta fra questi due poteri, innescata dalla caduta della minaccia comunista e approfondita dalla conseguente emersione pubblica della corruzione su cui si fondava, h a prodotto e sta continuando a produrre reazioni radicalmente differenti nei due campi e proprio in forza di un diverso fimzionamento di un elemento tipico dell'economia mercantile: il ricambio. Paradossalmente, infatti, sta accadendo che questo indicatore caratteristico della vitalita di un sistema economico risulti oggi in Italia assai pixi operante sul versante della politica di quanto non sia sul versante della competizione economica. ll fatto e sotto gh occhi di tutti, ma molti stentano a vederlo ed a leggerne le inquietanti implicazioni. II decreto di scioglimento delle Camere, intervenuto a meta del gennaio scorso, ha segnato uno spartiacque nella storia politica del paese. Anche se oggi nessuno e in grado di prevedere quale nuova classe politica uscira dalle elezioni del 27 e 28 marzo prossimo, una cosa appare certa: gh esemplari piii screditati del vecchio ceto politico usciranno di scena e, probabilmente, non avranno piu possibilita di rientrarvi. II combinato disposto delle inchieste giudiziarie suUa corruzione, pubblica e privata, e della nuova legge elettorale in senso uninominale garantiscono questo risultato. E non e poco: esso rivela che pur fra enormi resistenze, ritardi, vischiosita e tentennamenti il nostro sistema istituzionale ha trovato al suo intemo la capacita di imporre sentenze di sanzione nei confronti di chi h a malgovemato o, peggio, ha abusato criminalmente del suo potere suUa cosa pubblica. Certo, la parola fine e ancora lontana per il romanzo di Tangentopoli; un'autentic a fatica d'Ercole attende ancora i magistrati che devono ripulire le stalle delVancien regime, ma I'opera e ben a w i a t a e lo scioglimento delle Camere reca un contributo essenziale al rinnovamento e al disinquinamento della politica italiana.

Non altrettanto puo dirsi per q u a n t o sta avvenendo sulFaltro fronte fondamentale della vita nazionale, quello del potere economico. Dove e come sta operando su questo versante una pari opera di pidizia e di ricambio, che pure appare non meno indispensabile alia luce non tanto delle complicita coi politici corrotti quanto e soprattutto dei pessimi conti che le maggiori imprese italiane sono costrette a denunciare nei loro ultimi bilanci? Si puo obiettare che le imprese sono fatte per vivere std mercato e che deve essere quest'ultimo, solo quest'ultimo, ad esercitare, con le sue leggi presunte inesorabili, la sanzione nei confronti dei cattivi o talora soltanto sfortunati imprenditori. H a svolto, sta svolgendo questa sua funzione essenziale il mercato in Italia? La risposta a questa domanda risulta necessariamente ambigua. A suo modo, il mercato sta operando in questo senso e perfino con una decisa accelerazione da un paio di anni a questa parte. Ma cio ecco la doppiezza peculiare del caso italiano senza che I'attesa sanzione del mercato abbia gh effetti pratici e visibili di una sentenza di espulsione dal potere economico. Vediamo come e perche. Che le leggi del mercato stiano facendo la loro parte non c'e dubbio. Basta guardare ad un indicatore dello stato di salute del sistema a cui si fa spesso riferimento per misurare Fandament o congiunturale delle imprese, ma senza ricavarne mai conclusioni di tipo strutturale. Questo indicatore e quello delFindebitamento delle imprese medesime. Ebbene, stando agli ultimi dati disponibili quelli dei bilanci 1992, ma nei '93 la situazione e ulteriormente peggiorata si scopre che i dieci maggiori gruppi industriali del paese hanno accumulato debiti finanziari per oltre 222 mila miliardi a fronte di 101 mila di capitale netto. In qualche caso, particolarmente grave, il rapporto fra debiti e capitale netto risulta addirittura superiore a quota 3: cio vale, ad esempio, per Ferfin-Montedison e per Finuivest. In ogni caso il dato complessivo implica u n a realta drammatica ed esplosiva al tempo stesso: di fatto il sistema bancario e diventato il nuovo proprietario dei maggiori gruppi industriah del paese. Naturahnente, non tutte le imprese si trovano ad affrontare gli stessi guai economici e finanziari, ne tutte stanno reagendo a questa situazione nello stesso modo. C'e chi come Fiat e Olivetti cerca di alleggerire questa condizione critica con acconci aumenti di capitale, cioe opera in modo che gli azionisti non perdano il proprio ruolo di comando, mettendo o w i a m e n t e mano al portafoglio. Ma altri non h a n n o n e p p u r e potuto o voluto fare questo passo e tirano avanti.sperando in tempi migliori o, piii probabilmente, nella connivenza dei creditori. In im solo caso quello della famigha Ferruzzi la sentenza di

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espulsione dal mercato e diventata esecutiva. Qui non interessa sottolineare che Fesecuzione di tale sentenza ha poi consentito di conoscere quale abisso di fango e di corruzione si nascondesse dietro I ' a w e n t u r a imprenditoriale della famiglia di Ravenna. Qui interessa notare soprattutto che la sentenza e diventata esecutiva soltanto quando il ceto dei banchieri ha deciso di fare senza piii indugi la propria parte di ufficiale giudiziario del mercato ed ha posto Fimprenditore ormai spossessato dei suoi averi dinanzi alle conseguenze pratiche dei suoi atti o w e r o dei suoi crimini economici. Ma perche ima simile sanzione e stata applicata soltanto in u n caso e non in altri che forse sarebbero comunque meritevoli di giustizia mercantile? Non appartengo alia schiera di coloro che guardano con indifferenza o addirittura con soUievo alia prospettiva che i banchieri possano come la legge oggi in qualche misura consente sostituirsi agli industriali nella proprieta e, dunque, nella gestione strategica delle aziende. Ma I'esigenza di capire come mai la sanzione del debito patologico non produce effetti sul sistema rimane aperta e insoddisfatta. E si tratta di un quesito di rilievo perche il blocco del meccanismo sanzionatorio significa anche il blocco del ricambio nel potere economico a tutti i livelli. Piaccia o no, significa un ostacolo prepotente alFoperativita di quella legge fondamentale deU'economia di mercato secondo la quale un capitalista ne uccide sempre molti. Purtroppo, la ragione per cui i banchieri creditori non fanno quasi mai in questo sistema la loro parte non e delle piii apprezzabili. Anzi, essa rinvia il problema del blocco del ricambio ad im ulteriore livello di blocco. II fatto e che, in piii di u n caso, coprendo la gestione indebitata delle imprese, i banchieri non fanno altro che nascondere i loro errori imprenditoriali per aver dissennatamente esposto le proprie banche nei confronti di aziende a rischio o, comunque, diventate non piii affidabili. Insomma, i banchieri non si muovono da agenti del mercato proprio per evitare che le sanzioni del medesimo, dopo aver colpito le industrie, operino anche nei loro confronti. II risultato e il blocco totale del ricambio nel potere economico. Che questo sia Fobiettivo di fondo del sistema vigente e dimostrato, del resto, proprio da cio che e accaduto nel solo caso in cui le banche si sono rassegnate a svolgere la loro funzioni, quello del crac Ferruzzi-Montedison. II capolavoro di dissimulazione compiuto dal potere bancario e stato quello di circoscrivere, nel caso specifico, Feffetto della sanzione mercantile alFimprenditore indebitato. Finora nessuno degli spensierati e professionalm e n t e censurabili finanziatori delle avventure del clan di Ravenna e stato soUevato dal suo incarico.

Altro che econoinia liberista, dunque, come rivendica oggi a gran voce una parte del ceto imprenditoriale italiano! In realta, nel nostro paese, e in atto un sistema di controUo del mercato il cui fine principale appare quello di rendere non operative le leggi della competizione mercantile proprio nei loro fondamenti principali. Finora le critiche che, soprattutto da sinistra, sono state portate al sistema del capitalismo italiano erano tese a mettere in forte risalto una contraddizione palese del sistema: quella fra contestazione degli interventi pubblici in economia e sollecitazione costante di aiuti alle imprese da parte dello Stato, vuoi in via diretta con finanziamenti specifici, vuoi in via indiretta, attraverso Talimentazione di un alto tenore di consumi mediante Televato disavanzo di bilancio. E il caso di osservare che questa contraddizione e soltanto u n sintomo, per quanto clamoroso, di una confusione ben piu profonda tra interessi pubblici e affari privati. II blocco del ricambio nel potere economico attraverso la dissimulazione del nodo debitorio, infatti, non tende soltanto a evitare la sanzione del mercato m a persegue anche un altro obiettivo meno evidente ed assai piu importante: quello di spostare a carico del pubblico risparmio il costo economico del debito medesimo e, dunque, gli effetti finali degli errori o delle disawenture imprenditoriali. Le banche che non chiamano al rendiconto i loro debitori irrecuperabili, in realta, non fanno altro che trasferire gli oneri di queste passivita sul sistema finanziario complessivo: dunque, suUa generalita dei cittadini. Nell'economia di mercato e stato detto non esistono pasti gratuiti. Se non pagano gli industriali, se non pagano neppm-e i banchieri, qualcuno deve pur sal dare il conto: nel nostro caso, i risparmiatori. Per convincersi di questo esito basta fare un confronto fra le due differenti posizioni deirimprenditore che, per alleggerire Fonere delFindebitamento, opera sottoscrizioni di nuovo capitale di rischio e quello che, viceversa, si abbandona al connivente sostegno bancario. NelFun caso come nelFaltro, e sempre il mondo del risparmio che viene chiamato a saldare il conto. Ma con luia fondamentale differenza: nel primo caso Fadesione dei risparmiatori e volontaria ed esplicita, nel secondo essa e mascherata e di fatto imposta. E ancora: nel primo caso siamo di fronte a un meccanismo tipico del mercato trasparente, nel secondo siamo dinanzi a un abuso manipolatorio delle leggi del mercato. F a t t a salva qualche eccezione gia citata, la realta attuale dei grandi gruppi industriali italiani rientra nella logica del secondo caso. Una tale situazione oggi e piu a w e r t i t a dalFopinione pubblica per quanto riguarda la condizione contabile delle imprese pubbliche perche in esse la proprieta statale del capitale rende piu ma-

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nifesto il nesso fra titolarita degli oneri e pubblico risparmio. Ma, attenzione, c'e molta minora differenza di quanto si creda fra la situazione dell'Iri e quella del gruppo Ferruzzi-Montedison o anche Fininvest. In ciascuno di questi casi, per vie piu o meno dirette, il mantenimento in sella delFimprenditore pesantemente indebitato (e con lui del banchiere che lo continua a finanziare) e un vero e proprio pedaggio imposto alia coUettivita, contro ogni logica di mercato. Neirultimo decennio il dibattito sulFenormita del debito pubblico italiano ha messo piu volte in rilievo come il continuo accumularsi di disavanzi nel bilancio dello Stato non fosse soltanto il frutto di una gestione politica spensierata e inquinata da spinte elettoralistico-clientelari. Da piu parti e stato messo in luce come quel debito fosse un canale il piii potente per sostenere I'attivita economica delle imprese: vuoi per via diretta con finanziamenti specifici, vuoi per via indiretta in termini di alta domanda globale o di redistribuzione della ricchezza attraverso la rendita finanziaria sui titoU del debito pubblico medesimo. Un tale meccanismo perverso ha inquinato e distorto il normale funzionamento delle leggi del mercato sia per quanto riguarda la produzione delle risorse sia, anzi soprattutto, per quanto si riferisce alia loro riallocazione. La minaccia del debito pubblico si e fatta cosi sempre piu insostenibile non soltanto in termini quantitativi rispetto al prodotto intemo lordo ma forse soprattutto come fattore degenerativo dei comportamenti del sistema: per esempio, come alibi a copertura delle situazioni debitorie piu gravi del settore privato e come giustificazione al blocco del ricambio nel mondo industriale e bancario. Oggi, tuttavia, i termini di questo patto occulto e scellerato fra potere politico e potere economico appaiono fortemente modificati. Su uno dei due fronti, come si ricordava in principio, il meccanismo del rinnovamento si e messo in moto: magari non quanto sarebbe necessario ed auspicabile, pero il ricambio del ceto politico e un processo a w i a t o ed e certo che produrra esiti rilevanti almeno per quanto riguarda Fespulsione dal campo dei personaggi e delle forze piii compromessi col vecchio sistema. Se si esclude la particolare vicenda Ferruzzi, nulla del genere e neppiu-e alle viste sul versante del mondo imprenditoriale e bancario. Anzi, si assiste a fenomeni di tenace resistenza da parte di esponenti delVancien regime e il caso delFawentura politica di Silvio Berlusconi i quali si fanno protagonisti delFennesima manipolazione della realta alzando la bandiera programmatica del libero mercato a difesa di un potere economico dal quale, in applicazione delle leggi ordinarie del mercato medesimo, risulterebbero tecnicamente spossessati.

Occorre prestare la massima attenzione a questo stato confusionale del dibattito politico-economico. Non ci troviamo di fronte soltanto a u n a falsificazione patente delle leggi deU'economia di mercato in termini istituzionali, ma einche a un serio pericolo per gli assetti economici della societa italiana. Se la gestione politica di uno Stato, che ha come suo maggiore problema un elevatissimo debito pubblico, viene conquistata da uomini e forze, che anche nel loro privato hanno da vedersela con debiti insostenibili, e fin troppo facile prevedere quale sara la strategia perseguita per tenere sotto controUo la massa debitoria, pubblica e privata: far ripartire a gran velocita Finflazione, che in ogni epoca ha sempre rappresentato la tassa occulta piu comoda per spostare risorse e potere dal campo dei creditori a quello dei debitori. Quella stessa inflazione che si offre come raio degli strumenti piii efficaci per alterare il normale funzionamento del mercato. Non a caso quel potere economico che ha prosperato nel falso mercato dell ancien regime oggi batte la grancassa della riduzione delle imposte e della pressione fiscale. Seguendo questa via, di grande appetibilita demagogica, si vogliono creare le premesse di fatto per Fennesimo grande inganno alle spalle del risparmio collettivo con il ricorso tertium non datur a quella tassazione mascherata che si chiama, appunto, inflazione. Come, in fondo, e logico che accada: i cattivi mercanti non possono diventare che pessimi politici.

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