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13 febbraio 2013 a cura di Piero Simoneschi

Sommario: Le Lubianke dellIstria La premiaz. alla Scuola Salzano Maria Pasquinelli compie 100 anni

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Ricordo del sindaco DAlessio pag .9 Facta non verba 9 Giorno del Ricordo a Latina 12

Le Lubianke dellIstria
Il macello ci fu, e cominci quando il comandante del presidio di Albona ordin ai soldati di cedere le armi ai partigiani di Tito. Poi nessuno lo vide pi. Allora anche i soldati di Albona capirono di essere stati abbandonati al loro destino. E anche ad Albona cominciarono a funzionare quelle terribili macchine della morte che erano i tribunali del popolo comunisti. Non fugg da Parenzo il colonnello Angelo Baraja; non fugg il maresciallo dei carabinieri Torquato Petracchi; non fugg il maresciallo della Guardia di Finanza Antonio Farinati; non fuggirono il carabiniere Leopoldo Mazzoni ed il milite della Milizia forestale Giovanni Battista Decaneva; non fugg la guardia giurata Michele Mengaziol. E li trovarono tutti nelle maledette foibe, assieme ad altri trentacinque abitanti di Parenzo. Ad Albona accadde quello che era accaduto a Pisino, a Spalato, a Parenzo, nelle altre ridenti localit dellIstria. Gli italiani vennero torturati e massacrati dai partigiani slavi, a cui si erano uniti elementi comunisti locali. Manlio Stamberga non conosceva una parola di slavo, eppure fu il pi feroce persecutore dei suoi compaesani. Un aguzzino che si divertiva a torturare le vittime prima che salissero sulle carrette della morte che prendevano la strada dellinterno, per fermarsi davanti a una cava di bauxite o sullorlo di una foiba, Manlio Stamberga conserv la sua funzione di capo della polizia del popolo per la zona di Albona, quasi fino allarrivo delle truppe tedesche, che stavano lentamente avanzando lungo la fascia costiera della penisola istriana.
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Ma c una storia, una tremenda storia che da sola potrebbe essere eletta a simbolo del martirio delle genti istriane in quel settembre di sangue. E la storia di Norma Cossetto, una dolce creatura rea di aver un nome italiano e di essere figlia di un possidente terriero conosciuto in tutta lIstria. Norma Cossetta era nata a Santa Domenica, ma viveva con i suoi a Visinada. Aveva solo ventitr anni, si era diplomata maestra nelle scuole di Parenzo e si era iscritta allUniversit di Trieste. Nel settembre 1943 preparava la laurea sul tema: Gli antichi comuni dellIstria. Per documentarsi girava in bicicletta nei paesini della penisola, passava lunghe ore nei vecchi archivi pieni di carte polverose, nelle canoniche di campagna. Quando a Santa Domenica piombarono i partigiani comunisti, Norma Cossetto non fece in tempo a fuggire e a raggiungere suo padre e sua madre che erano stati costretti quasi a forza, da alcuni amici a prendere la strada per Trieste. Larrestarono a Parenzo e la condussero ad Antignana dove spadroneggiava Antonio Paizan, eroe del doppiogioco, comandante rosso della citt istriana. la rinchiusero dapprima in una scuola trasformata in caserma della milizia popolare. La sera stessa Antonio Paizan aveva ordinato che la ragazza fosse condotta in sua presenza. Quando Norma Cossetto usc dallufficio del Paizan per essere ricondotta in carcere, il comandante si fece sulla porta e la copr di insulti ridendo. Norma Cossetto aveva gli abiti strappati. Aveva cominciato a morire quella sera nella caserma di Antignana, era il 20 settembre quando Antonio Paizan, fatta entrare la ragazza, si era chiuso a chiave la porta alle spalle e si era slacciato il cinturone. La trascinarono davanti al tribunale del popolo e laccusarono di essere una spia dei fascisti. Come prova dei suoi misfatti le portarono davanti i testimoni che kavevano vista frugare fra le carte delle vecchie canoniche. La condannarono a morte, la caricarono insieme ad altre ventisei persone su un vecchio autocarro a carbonella, dal quale avevano tolto la targa PL (Pola) per sostituirla con una targa di cartone su cui avevano scritto Pizin (Pisino in sloveno), in inchiostro rosso. Pisino era stata eretta a capoluogo dell Istria libera comunista, dato che Pola era stata occupata dai tedeschi. Lautocarro arranc fino a Villa Surani e si ferm in una radura, davanti a una foiba. Le ventisette persone condannate a morte vennero fatte scendere a spintoni, come bestie avviate al macello. Le legarono a due a due, con del filo spinat, poi sparando raffiche di mitra allimpazzata le fecero precipitare nella foiba. Prima di falciare il gruppo tirarono fuori Norma Cossetto. La legarono a un albero. Erano sedici, avevano la stella rossa sul berretto. Erano sedici uomini. Si avventarono tutti, uno alla volta su di lei. Era gi come fosse morta, Norma Cossetto, quando il capo del plotone di esecuzione, come eufemisticamente venne chiamata quella banda di
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assassini, le squarci il petto con un pugnale. Poi la gettarono nella foiba sui corpi degli altri giustiziati. Di laggi salivano fiochi lamenti, rantoli, invocazioni di piet; la raffica non li aveva uccisi tutti sul colpo. Agonizzarono per ore ed ore prima che giungesse la morte a liberarli. Il tragico rosario dei martiri italiani sarebbe continuato, se i tedeschi e i primi volontari italiani non avessero proceduto a rastrellare metodicamente lIstria. Fu dopo che tutta la penisola del Quarnaro venne liberata dallorda di pazzi sanguinari che laveva invasa al crollo dellesercito italiano, che il padre di Norma Cossetto and a cercare la salma della figlia. Voleva andare da solo; lo sconsigliarono perch la zona era ancora malsicura. Era un uomo finito, distrutto. Non gli importava niente di cadere sotto il piombo degli slavi; voleva solamente dare cristiana sepoltura a quella creatura dagli occhi dolci, ridenti, che era stata sua figlia. Riuscirono a fargli accettare una scorta di militi italiani. Sal sulla macchina e si mise alla guida . Accanto a lui sedeva lamico fraterno Mario Bellini. Dove si va? chiese lufficiale che comandava la piccola scorta. Giuseppe Cossetto rispose: A Villa Surani. Ma siete sicuro? domand lufficiale, e Cossetto rispose: Ho ancora degli amici a Santa Domenica. Mi hanno informato di tutto. Partirono. La macchina di Giuseppe Cossetto era in testa; due automezzi militari seguivano a ruota. Aveva voluto lui che fosse cos. Non voglio che questi ragazzi debbano rischiare per me. Se sparano, giusto che prendano me. Nei pressi di Castellier fece fermare la piccola colonna, scese dallauto e disse: Vado io. Lasciatemi andare l da solo. La mia bambina lass... Gli uomini obbedirono. Soltanto Mario Bellini gli corse dietro. Passarono due ore. Verso limbrunire il comandante della scorta disse: Ragazzi, andiamo a vedere cosa successo. Dovrebbero gi essere di ritorno. Si avviarono su per la stradina che porta alla foiba di Villa Surani. Trovarono i corpi crivellati di colpi di Giuseppe Cossetto e del suo amico Mario Bellini, stesi nella polvere, a poche centinaia di metri dalla foiba. Qualche giorno dopo, durante un rastrellamento, i tedeschi catturarono alcuni partigiani slavi, li interrogarono e quelli finirono per fare qualche nome. Nel giro di una settimana tutti i sedici giustizieri di Norma Cossetto vennero catturati. Fu scoperta anche la foiba con il suo macabro contenuto umano. Il corpo martoriato della sventurata ragazza, recuperato dalla foiba, venne composto nella camera mortuaria del piccolo cimitero di Castellier. Era bastato uno sguardo per capire che cosa avessero fatto gli uomini con la stella rossa prima di finire Norma Cossetto. Luccisione della ragazza non era stata unazione di guerra. I suoi sedici aguzzini non erano uomini. Bestie con il volto umano. Lufficiale tedesco che comandava il reparto che li aveva catturati volle che sentissero fin dove era possibile, lorrore di quanto avevano commesso; ed ordin che venissero chiusi, per tutta la notte, nella stessa cella mortuaria dove giaceva il corpo della studentessa di Santa Domenica.
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Tre, i pi giovani, impazzirono. Furono processati tutti e sedici e condannati a morte. Piansero come aveva pianto Norma Cossetto quando era uscita dallufficio del comandante rosso di Antignana, Invocarono piet, eppure non avevano avuto un brandello di piet per quella povera ragazza. Lora della resa dei conti si stava per avvicinando anche per gli altri. Dopo loccupazione di Trieste, i tedeschi avevano iniziato una sistematica operazione di controllo su tutta lIstria. Le operazioni di occupazione della penisola si conclusero il 17 ottobre. I partigiani slavi lasciarono sul terreno circa quattromila uomini. Altri settemila vennero catturati. Ingente fu il bottino di armi; ed erano tutte armi italiane, trovate nelle caserme abbandonate dai soldati l8 settembre. prima di essere snidati, per, i partigiani slavo-comunisti vollero compiere gli ultimi inutili delitti. A Santa Marina, la sera del 5 ottobre, venti italiani vennero fatti uscire dal carcere. Seminudi, scalzi, portavano sul volto e sulle membra i segni delle percosse e delle sevizie. Li legarono a polso a polso e, in lunga fila indiana, li spinsero attraverso le stradine dellabitato fino sulla spiaggia. Di lontano si udiva il rombo dei cannoni tedeschi. Il rumore della risacca ammorbidiva laria dautunno. Sulla riva del mare li falciarono con lunghe raffiche di mitra. Pochi ebbero la fortuna di morire subito; gli altri, gravemente feriti, vennero trascinati ancora vivi nella caduta dai compagni morti a cui erano legati con filo di ferro. Gli slavi caricarono quei venti corpi su un barcone, ci misero dentro dei grossi sassi e spinsero limbarcazione al largo. I vivi morirono lentamente, soffocando. Videro lacqua salire fino alla gola, alla bocca. Poi lultimo gorgoglio. Era il nove di ottobre quando, dal carcere di Parenzo, fecero uscire gli ultimi prigionieri italiani. Li caricarono su una corriera e li trasportarono fino allorlo di una grande forra nella zona di Vines. Li denudarono. Cerano marinai del battaglione San Marco della regia Marina, che allarmistizio si trovavano di guardia allarsenale di Pola; carabinieri, agenti di polizia. Qualche donna con i suoi bambini. La lunga catena umana venne fatta schierare sullorlo della forra. I miliziani rossi avevano fretta di uccidere i prigionieri. Quando gi il massacro stava per avere inizio, si ud di lontano, dalla strada provinciale che si snodava pi in basso tra gli ulivi, un rombo prolungato di molti motori; era una colonna corazzata tedesca che avanzava. I prigionieri gridarono, invocando disperatamente aiuto; ma il rombo dei motori copriva quelle disperate grida. Gli slavi si gettarono sui prigionieri e li sgozzarono a colpi di pugnale. A Orsera, intanto, un paesino a pochi chilometri da Parenzo, venivano prelevati altri italiani fra i quali Giorgio Apollonio, Ottavio Aquilante, Antonio Carpeneti, Carlo Dapas, che scompariranno senza lasciar traccia. E imprese simili erano contemporaneamente compiute in quasi tutte le zone dove i rossi erano riusciti ad arrivare. Prima che tutta lIstria fosse rioccupata, i partigiani comunisti erano scesi una notte fino a Capodistria a fare una razzia di italiani. Ne catturarono una cinquantina: tra questi cerano il tenente colonnello della riserva Piero Almerigogna, volontario giuliano della prima guerra mondiale, nobile figura di patriota. Li trascinarono via, sui colli. Li picchiarono, li spogliarono, rubando loro tutto quanto valesse qualcosa.
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Li avevano gi schierati sullorlo di una foiba, il plotone con la stella rossa aveva le armi pronte. ma arriv trafelato un partigiano a dare lallarme: stava sopraggiungendo una colonna tedesca. I miliziani si diedero alla fuga. Gli italiani furono salvati in extremis. Morire di Foiba: la pi atroce delle torture. Li legavano a due a due con il filo di ferro, schiena contro schiena, sullorlo delle fosse carsiche. Poi ne uccidevano uno solo, spesso con un colpo alla nuca. Ed il morto cadendo, tirava gi anche il vivo. Gi, in fondo alla foiba dove la morte arrivava lentamente, in una tremenda agonia. Man mano che cadevano nelle sinistre forre i corpi finivano uno sullaltro, ammonticchiati in un carnaio spaventoso. Molte fosse comuni vennero scoperte nei mesi successivi alloccupazione tedesca della Venezia Giulia e dellIstria. Altre ne vennero alla luce solamente nella primavera del 1945, quando finalmente giunsero gli americani della V Armata a porre fine al martirio della nostra gente sul confine orientale. Quanti furono i morti di foiba? Un conto preciso non stato mai fatto. Comunque certo che fra il 9 settembre e la met di ottobre del 1943 furono infoibati oltre duemila italiani. Dopo il 25 aprile 1945, altri diecimila italiani, di Trieste, Gorizia, Fiume, Pola e degli altri piccoli e grandi centri della marca orientale vennero infoibati dagli slavi. Molti sono rimasti l, nel Carso assolato. Senza una croce. E molti soldati italiani che, dopo l8 settembre, accorsero sulla frontiera orientale, spinti dalla convinzione che fosse necessario difendere quelle terre italiane dalla cupidigia degli slavi, sono sepolti lass. Sono i morti senza monumento. I ragazzi dell8Bersaglieri volontari di Verona; i mar della divisione Decima; gli alpini del battaglione Tagliamento; le camicie nere della 58, 59, 60, 61, 63 Legione; gli artiglieri superstiti della Julia, la leggendaria divisione alpina distrutta in Russia, i carabinieri del Gruppo di Trieste; i militi della Confinaria; quelli della Guardia di finanza. Soldati italiani che si sono battuti con disperato coraggio e dispetto dei tedeschi che fecero del tutto per allontanarli dal confine orientale; avversati dai miliziani celtici e domobranzi, passati al servizio della Germania.
segue B.Burlandi

CONCLUSO IL PROGETTO

132/2010

In data 24 gennaio scorso c stata la premiazione dei due elaborati aventi per tema I Martiri delle foibe e lEsodo, fra tutti quelli presentati dagli alunni di VI e V della Scuola Madre Giulia Salzano di piazza Paolo VI a Latina

La cerimonia per la stesura degli elaborati

Lincontro per la premiazione

Ampia diffusione dellevento sui quotidiani locali: Latina Oggi e La Provincia.

I due vincitori: a sinistra Martina a destra Flavio premiati dal presidente Pavazza con la consegna di un assegno.

La premiazione si svolta alla presenza della Dirigente scolastica suor Rossana Faragone e del corpo docente. Sono intervenute le famiglie degli alunni premiati.

Le Foibe (di Martina d. C.)


IV/ A

Foibe (di Flavio S.)


V/A

(progetto Salzano) Le voci disperate, echeggiavano nel vuoto speranze di ogni uomo perdute nel burrone. Persone innocenti nessuno si salvava, anche se succedeva la vita continuava. Per un colpo di fucile, centinaia di persone perdevano la vita, proprio nel burrone. Nel mondo questo pu succedere, mangiare solo pane, solo acqua e tutte e due insieme. In piccole porzioni mangiavano gli uomini, costretti a lottare, uccidersi con dolore. Tutto questo son le foibe, burroni maledetti, ove tante vite son state sprecate e vanamente finite. Come bocche di drago disseminate in boschi antichi, urlano ancora ferocia e libert, ferite nella terra mostrano mani tese e tremanti, scheletri han visto la luce senza godere del sacrificio, senza bande o marce trionfali, solo sangue e terrore lividi nella carne e nella memoria soffocati nellodio, ammucchiati nella solitudine.

Disegno di Nicholas Z.

MARIA PASQUINELLI compir 100 anni il 16 marzo.


La pasionaria dellIstria tricolore, Maria Pasquinelli, che uccise il generale inglese che doveva consegnare quella terra agli jugoslavi, non si pentita di averlo fatto, ma per tutta la vita ha pregato per luomo contro il quale quel giorno in via Carducci a Pola, punt la rivoltella. Non lo aveva mai visto prima di allora, lo riconobbe perch portava sul berretto una striscia rossa. Segno del suo grado, generale comandante le forze alleate in Istria, luomo che formalmente avrebbe consegnato quella terra agli jugoslavi. Lui, inglese, era sposato e aveva una bambina di pochi mesi. Lei, italiana era uninsegnante, che con furore pari allingenuit amava lItalia. In Cirenaica nel 1941 aveva perfino dismesso la divisa da crocerossina e si era travestita da soldato per andare a combattere al fronte. Robin de Winton agli occhi di quella giovane donna era il simbolo della perduta libert della terra istriana. A Pola lui era il massimo esponente dei Quattro Grandi. Lo uccise con tre spari, mentre entrava al comando; era il 10 febbraio 1947, il giorno della firma del trattato di pace a Parigi. Il sergente Brow larrest traducendola negli uffici del Quartier generale. Maria Pasquinelli fu condannata a morte da un tribunale alleato, poi consegnata agli italiani per non farne una martire e la pena commutata in ergastolo. Ha fatto tre anni a Perugia, sei o sette mesi a Venezia e il resto dei 17 anni, sette mesi e 20 giorni a Santa Verdiana a Firenze. E uscita nel 1964, il 22 settembre e si subito trasferita a Bergamo. Maria, laureata un Pedagogia ad Urbino, era bergamasca e di questa gente ha la spregiudicata schiettezza. Il padre era marchigiano, di Jesi. Maria nata a Firenze con altri due fratelli, in via delle Panche, dove c lopera della Madonnina del Grappa di don Facibeni e don Facibeni andava sempre in carcere a trovarla. Lo fece fino a pochi giorni prima di morire. Fu lui che laveva battezzata, essendo molto amico del padre. Nel 1943 Maria era insegnante a Spalato e, con la sua insistenza, fece riesumare 106 salme su 250 italiani trucidati Come si sa c stata la congiura del silenzio su tutta la storia del confine orientale. In omaggio al comunismo italiano, nessuno partito ha avuto il coraggio di affrontare largomento. Il silenzio stato motivo di grande sofferenza per gli Esuli e per i parenti di quelli che furono uccisi solo perch italiani. Dei 30 mila abitanti di Pola, 28 mila furono costretti a venir via. Questo dice tutto. E ovvio che esula dalle circostanze citate ogni intenzione di esaltare deprecabili conseguenze umane del gesto, tuttavia compiuto con lanimo teso a denunciare incredibili orrori, a salvare tanti fratelli, ad accendere un faro a quella che era una speranza degli errabondi istriani.
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Un

caro ricordo al sindaco di Aprilia Domenico dAlessio, prematuramente scomparso, sempre partecipe nelle ricorrenze del Giorno del Ricordo sia a Latina che ad Aprilia.

FACTA NON VERBA


Dal ventennio di sviluppo socio economico in Istria e Venezia Giulia (1922-1940) al genocidio delle Foibe e dellEsodo (1943-1947) La vulgata storica continua a descrivere con singolare pervicacia la presenza italiana in Istria e Venezia Giulia dopo la Grande Guerra di redenzione, con particolare riguardo alle condizioni del Ventennio fascista, come un periodo di oscurantismo, di ristagno e di angherie a danno della minoranza slava, in cui andrebbe cercata di conseguenza, la matrice motivazionale delle Foibe e dellEsodo. Ebbene, ricorrendo 70 anni dalla prima ondata del genocidio a danno degli italiani definito come tale alla luce di una puntuale ricostruzione in chiave storiografica e giuridica, congruo formulare un giudizio aggiornato su quanto effettivamente accadde, in termini per quanto possibile oggettivi e conformi al classico imperativo di Tacito, secondo cui la ricerca della verit deve prescindere da qualsiasi strumentalizzazione di parte. Al termine del conflitto contro gli Imperi centrali, lIstria versava in condizioni difficili ed in molti casi arretrate, rese pi gravi dai sacrifici richiesti da un impegno militare che nel caso dellAustria era durato cinque anni, con un lungo fardello di lutti e sofferenze. Dal canto suo, lItalia aveva dovuto affrontare problemi immensi come quelli delloccupazione, reso pi urgente dalla necessit di garantire un futuro agli ex combattenti, e della ricostruzione, che nelle terre invase dal nemico dopo Caporetto evidenziava una realt drammatica; ci, senza contare le forti tensioni sociali ed i conseguenti disordini. Nonostante queste strozzature oggettive, la priorit di rilancio della Venezia Giulia e dellIstria venne affrontata ed avviata a soluzione in modo consapevole, anche attraverso listituzione di apposite strutture pubbliche, non solo a livello ministeriale. I numeri lo dimostrano: nel 1940 loccupazione industriale istriana era cresciuta di due volte e mezzo rispetto al 1921, con un aumento del 13 per cento in ragione annua, mentre le produzioni tipiche di carbone, cemento, pietra silicea e minerale di alluminio avevano fatto registrare incrementi dellordine medio assoluto di dieci

volte, con una punta massima nel comprensorio dellArsa, pari al 60 per cento annuo, e complessivamente al 1200 per cento. Le infrastrutture avevano visto, nel frattempo, uno straordinario salto di qualit e di volume, con la costruzione del grande acquedotto istriano che avrebbe risolto il secolare problema idrico per 140 mila persone e promosso lindustrializzazione agricola, in cui lo sviluppo fu addirittura superiore a quello dellindustria: basti dire che per tale acquedotto furono posati, fra laltro, 260 chilometri di tubi e vennero scavati sei chilometri di gallerie. Sempre in tema di infrastrutture, furono realizzati 370 chilometri di strade ed installati 230 chilometri di elettrodotti. Nella medesima ottica si deve ricordare la creazione di Arsia, nuova citt di fondazione sorta, assieme alla contigua Pozzo Littorio, quale infrastruttura urbanistica al servizio del distretto minerario in cui, alla fine degli anni trenta, risultavano occupati circa novemila lavoratori di entrambe le etnie. La politica sociale fu oggetto di contestuali attenzioni, a cominciare da quella in materia scolastica, con la costruzione di oltre 1300 aule destinate a triplicarne la consistenza iniziale ed a garantire listruzione ad un numero crescente di alunni (ivi compresi gli slavi) che nel 1940 avrebbero superato i 40 mila, incrementandosi del 45 per cento. Si potrebbe continuare, estendendo lanalisi a Fiume, la cui occupazione industriale era pervenuta a circa 12 mila unit, per non dire a Trieste e della Dalmazia: dovunque, lo sviluppo conobbe momenti di accelerazione significativa, in specie nel campo cantieristico, nel trattamento dei prodotti petroliferi e nel comparto alimentare, senza dire di altri settori di nicchia a forte vocazione esportatrice. Ci, con vantaggi analoghi per lindotto, e naturalmente, a prescindere dal fatto che i nuovi posti di lavoro fossero destinati agli italiani od ai croati. Eppure la vulgata non considera limportanza di queste cifre limitandosi a constatare, caso mai, che lItalia fascista investiva ampie risorse nella politica coloniale sottraendole ai fabbisogni metropolitani: cosa indubbiamente vera ma da valutare assieme al sostanziale azzeramento dellemigrazione che solo nel 1913 aveva raggiunto un massimo storico pari a circa 900 mila partenze, ed agli investimenti avviati anche sul territorio nazionale per supportare uno sforzo che, del resto, nei grandi Stati europei era pervenuto a livelli ancora pi elevati. In ogni caso, resta il fatto che le terre redente istriane e giuliane, cui potrebbero e dovrebbero assimilarsi quelle delle grandi bonifiche realizzate nel Lazio, in Puglia ed in Sardegna (assieme alle 147 citt di fondazione sorte collateralmente), ebbero modo di ascrivere uno sviluppo con coefficienti da primato. La storiografia contemporanea, che pure ha conosciuto unampia fioritura circa le questioni del confine orientale in specie dopo lavvento del Giorno del Ricordo grazie alla Legge 30 marzo 2004 n. 92, si guarda bene, salvo eccezioni marginali, dal memorizzare il ruolo dello sviluppo socio-economico dal punto di vista delle relazioni italo - jugoslave, che dopo la Convenzione di Nettuno del 1924 con cui venne risolto il problema di Fiume andarono relativamente migliorando fino a trovare un importante sbocco formale nel patto del 1937, che consolidava i precedenti rapporti di collaborazione e che sarebbe rimasto in essere fino alla primavera del
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1941, quando venne vanificato dal colpo di stato e dallimprovviso cambiamento di campo compiuto da Belgrado ai danni dellAsse. Si insiste con ricorrente diffusione, invece sulla persecuzione italiana a danno degli slavi, che, per dirne una, si sarebbe manifestata particolarmente violenta nei confronti delle popolazioni slovena e croata provocando reazioni inconsulte ma giustificabili nella coscienza e nellanimo di chi era stato sopraffatto dagli italiani. Al riguardo, si fa riferimento alle cinque condanne capitali che erano state comminate dopo adeguato processo ad altrettanti slavi responsabili di atti di terrorismo (Vladimir Gortan dapprima e i cosiddetti quattro di Basovizza poi), alla politica di genocidio culturale connessa allitalianizzazione dei cognomi, alle restrizioni dellinsegnamento in lingua slovena e croata ed a quelle adottate nei confronti della stampa: fatti conformi, non solo in Italia ma pi o meno dovunque, allo spirito dellepoca, e con tutta evidenza sproporzionati rispetto al delitto contro lumanit perpetrato nella plumbea stagione delle Foibe. Conviene aggiungere che si insistito parecchio sulla scarsa partecipazione civile italiana, in specie a Fiume ed a Pola, ma anche a Trieste, ai movimenti di resistenza nei confronti delloccupatore tedesco, sebbene non certo tenero, la sciando la quota pi importante di detto contributo ai militari che dopo larmistizio dellotto settembre non ebbero scelte allinfuori di unadesione al movimento partigiano di Tito, verosimilmente necessitata. E una constatazione pertinente che deve far pensare, perch sottintende un giudizio di valore peggiorativo su quanto sarebbe accaduto ad opera degli slavi (e dei comunisti italiani) rispetto al carattere non certo dolce di una presenza germanica che non aveva fatto mistero delle proprie mire sul litorale. E che puntualmente accadde. Nelle maggiori citt della Venzia Giulia e dellIstria lapporto patriottico delle squadre partigiane alla lotta contro loccupazione fu certamente limitato, diversamente da quanto accadde in alcune regioni dellItalia settentrionale e centrale macchiandosi di delitti efferati come luccisione di Giovanni Gentile. Diversamente da quanto stato affermato, non si tratta di un limite e ci per una ragione molto semplice: dopo la prima ondata dellautunno 1943, il ritorno tedesco era stato visto con favore, nonostante la naturale durezza ed i frequenti rastrellamenti, perch costituiva un deterrente decisivo contro linterazione delle violenze slave. In effetti, il carattere prevalente dellesperienza politica giuliana e dalmata dopo lotto settembre fu lattendismo: cosa tutto sommato comprensibile anche sul piano etico, perch riferita ad un popolo privo di tradizioni istituzionalmente sovrane ma contraddistinto dal rifiuto della violenza dovuto a salde radici cristiane. I fatti hanno un linguaggio chiaro, talvolta crudo, ed il pregio di imporsi assai meglio delle parole, allattenzione di chi voglia giudicare con mente pura, secondo lassunto sempre attuale di Giambattista Vico. Se non altro per questo e per il tempo ormai trascorso dagli eventi, auspicabile che nel campo della cultura storica si possa pervenire a valutazioni meno partigiane, seppure non necessariamente condivise: presupposto necessario di un confronto politico in cui sia possibile riconoscere meriti e limiti di chiunque in unottica di giustizia, e prima ancora, prevenire il rischio di declassare i valori per cui si immolarono tante Vittime incolpevoli.www isses.it/giornoRicordo.htm
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IL GIORNO DEL RICORDO A LATINA


Domenica 10 febbraio, alle ore 10, omaggio spontaneo dei giovani di Casapound di Latina, con deposizione floreale al Monumento ai Martiri delle Foibe. Emblematico e apprezzato lo striscione esposto nella zona del Villaggio Trieste.

Le tristi vicende che hanno colpito il confine orientale dItalia al termine della seconda guerra mondiale, sono state a lungo trascurate dalla storiografia nazionale, quasi si volesse stendere un velo di silenzio su una pagina buia del nostro Paese. Dopo il settembre 1943 e pi tardi nella primavera del 1945, con la presa di potere da parte del Movimento Popolare di Liberazione jugoslavo del maresciallo Tito, diverse migliaia di italiani vennero arrestati e deportati. Molti di loro non fecero pi ritorno a casa, n si seppe pi nulla della loro sorte. Una gran parte delle persone arrestate venne gettata nelle foibe tipiche cavit carsiche, dove le loro salme non avrebbero dovuto essere pi ritrovate. Domenica 10 febbraio 2013

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Amici e discendenti degli esuli e dellAssociazione Cristian Pertan. Davanti al Monumento in suffragio dei Martiri e dei Caduti, dove stato deposto un semplice omaggio floreale, il Presidente del Comitato provinciale dellANVGD, Benito Pavazza, ed il Consigliere dellADES, Stefano Ingarao Venier, hanno pronunciato brevi e sentite parole, sottolineando il significato del drammatico plebiscito con cui gli esuli fecero una scelta irreversibile di giustizia e civilt. Casapound ha posato uno striscione con chiaro riferimento al valore esemplare di questo sacrificio ed allimpegno comune di perpetuarne e di apprezzarne il carattere etico. Grazie a tutti, ed in particolare ai giovani che con sensibilit e partecipazione onorano una grande storia, e continueranno a farlo quando gli ultimi Esuli saranno andati avanti. Esule da Fiume

La santa Messa presso la chiesa dellImmacolata stata celebrata luned 11 febbraio alla presenza di tutte le Autorit cittadine. Officiante il sacerdote zaratino don Guido Rossandich, concelebranti i sacerdoti francescani p. Fabio, p. Ausilio e p. Carlo. Allorgano il maestro Quinto.
Successivamente il corteo con tutte le Autorit e molte Associazioni Combattentistiche, si portato davanti al Monumento alle Vittime delle Foibe per deporre una corona di fiori. C stato il saluto del Presidente Benito Pavazza, con il compiacimento che, nonostante le condizioni del tempo fossero avverse, la presenza stata numerosa. Il vice presidente Simoneschi ha elencato alcune delle cavit carsiche dove hanno trovato lorrenda morte tante Vittime innocenti. La Memoria degli italiani e di tutte le Vittime delle foibe, dellEsodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra, nonch la pi complessa vicenda del confine orientale, stata finalmente riconosciuta dalla legge 30 marzo 2004 n. 92. E lo spirito di questa legge quello di conservare il ricordo di questa tragedia. Occorre trasmettere alle nuove generazioni il monito di queste vicende per rendere pi salda la democrazia nel suo cammino verso un futuro di pace e piena integrazione fra le nazioni e fra i cittadini del mondo. La giornata del ricordo un momento di riflessione riguardante tutto quanto stato vissuto al riguardo, soprattutto lodio e la pulizia etnica. Inoltre la legge si prefigge lo scopo di valorizzare e divulgare tramite la stampa, larte, i convegni, le mostre, i seminari di studio, e favorire incontri su questo tema per dare visibilit a un evento taciuto per molti anni.

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Sotto: immagini della celebrazione di luned.

LATINA SEGUONO IMMAGINI DELLA CERIMONIA PER IL GIORNO DEL RICORDO

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Il corteo si prepara per raggiungere il Monumento.

La pioggia non ha di certo impedito che tutti i presenti sostassero davanti al Monumento per il doveroso tributo alle Vittime innocenti che rappresentava. La programmata esposizione presso la sala conferenze del teatro comunale, via Carlo Alberto, per oggetto da Fiume al diktat di Parigi, stata rimandata a causa di motivi tecnico-organizzativi del Comune. Ma verr riproposta appena possibile con limpegno dellavv. Bruni, nei locali che saranno di seguito comunicati. Ci auguriamo anche che, quanto prima, venga riparata la lapide a terra del Monumento ai Martiri delle Foibe presso il Villaggio Trieste, inconveniente gi da noi segnalato e successivamente sollecitato.
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