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Rione SantAngelo Sant'Angelo il nome dell'undicesimo rione di Roma, indicato con R. XI[2].

. Lo stemma rappresenta un angelo su sfondo rosso, con un ramo di palma nella mano sinistra. In un'altra versione, l'angelo appare con una spada nella mano destra ed una bilancia nella sinistra [3]. Sant'Angelo il pi piccolo fra i rioni romani. Esso si trova sulla sponda sinistra del Tevere davanti all'Isola Tiberina, confinando in senso orario da ovest con i rioni di Regola, Sant'Eustachio, Pigna, Campitelli e Ripa. A sudovest si affaccia sul fiume. Il territorio del rione pianeggiante ed essendo molto basso, prima della costruzione dei muraglioni, era particolarmente esposto alle piene del fiume. L'importanza storica del quartiere deriva soprattutto dalla presenza sul suo territorio del Ghetto degli Ebrei e della Sinagoga. L'et Romana: Circus Flaminius Plastico dell'area meridionale della IX regio,"Circus Flaminius", all'inizio del IV secolo, vista da sud. Il teatro in primo piano quello di Marcello, quello in secondo piano quello di Balbo, alla cui destra visibile la Crypta Balbi. La grande piazza ci che rimane del Circo: sul lato nord della piazza sono visibili, da destra a sinistra, il Portico di Ottavia e quello di Filippo. Durante la prima et romana, il territorio di Sant'Angelo si trovava al di fuori delle Mura Serviane ma, essendo posto proprio di fronte all'isola, dove il fiume almeno in estate - poteva essere guadato facilmente, esso aveva grande importanza strategica. I ponti Cestio e Fabricio, costruiti nel corso del I secolo a.C., collegando l'isola rispettivamente con la sponda destra e quella sinistra del fiume, aumentarono ancora l'importanza dell'area [4] . Durante l'Impero il distretto divenne parte della IX Regio (Circus Flaminius), la quale prese il nome dal secondo circo di Roma in ordine di grandezza, qui costruito durante il III secolo a.C. da Gaio Flaminio Nepote. L'area intorno al Circo Flaminio[5], sorgendo vicino al Campidoglio ed il Foro romano, fu destinata da Augusto ad essere parte del centro monumentale di Roma, con edifici dedicati a rappresentazioni teatrali (il Teatro di Marcello [6] e quello di Balbo),[7] e templi. Inoltre, due magnifici Portici, entrambi ricostruzioni di Portici repubblicani, furono costruiti verso la fine del I secolo a.C.: la Porticus Octaviae e la Porticus Philippi. Il primo fu eretto da Augusto, che lo dedic a sua sorella Ottavia[8], il secondo fu eretto da suo suocero Filippo[9] . Parte dello spazio necessario per questi edifici fu ottenuta alle spese del Circo Flaminio, che fu quindi smantellato da Augusto [10]. Il Medioevo: Sant'Angelo in foro piscium La Pescheria in via del Portico d'Ottavia (ca.1860). Le lastre marmoree dove il pesce era venduto sono visibili su entrambi i lati della strada. Le case sulla sinistra furono demolite insieme al Ghetto nel 1885, mentre quelle sulla destra esistono ancora, ed ospitano alcuni fra i migliori ristoranti di cucina ebraica. Dopo la fine dell'Impero, gli edifici monumentali caddero in rovina,[11] ma alcuni fra di essi furono trasformati in fortilizi. Diversi fattori giocarono un ruolo importante in questa trasformazione: prima di tutto, la mole e la solidit di costruzione; quindi, la vicinanza al Tevere (dopo la distruzione degli acquedotti durante la Guerra gotica, il fiume divenne la sola fonte d'acqua potabile

per la citt). Infine, la possibilit di controllare l'accesso alla sponda destra tramite i Ponti Fabricio, Cestio ed Emilio,[12] i soli ancora transitabili all'interno del perimetro della mura Aureliane all'inizio del medioevo. Le famiglie baronali dei Fabi e pi tardi - dei Savelli, i quali sull'Aventino possedevano anche la fortezza chiamata Rocca Savella, si annidarono dentro le rovine del teatro di Marcello, mentre gli Stefaneschi costruirono dentro il Teatro e la Cripta di Balbo il castello chiamato Castrum aureum, che pi tardi donarono al monastero di Santa Caterina. Il mercato del pesce si spost invece dal Foro Piscario, situato vicino al Foro Romano, fra le rovine del Portico d'Ottavia, e rimase l sino alla fine dell'Ottocento, divenendo uno dei luoghi pi pittoreschi di Roma. Durante il Medioevo il distretto prese il nome di Vinea Thedemari, mentre la sua parte settentrionale venne chiamata Calcarrio, dalle Calcare (forni per la Calce), che per secoli produssero la Calce ottenuta bruciando i marmi dei Fori. Pi tardi apparve anche la denominazione attuale Sant'Angelo, dalla chiesa pi importante del rione, Sant'Angelo in Foro Piscium ("Sant'Angelo in pescheria"). Questa chiesa, eretta nel 770 dentro i Propilei del Portico di Ottavia, ebbe una grande importanza storica durante l'et medievale. Da qui, la domenica di Pentecoste del 1347, i Romani, guidati da Cola di Rienzo, lanciarono l'assalto al Campidoglio nel tentativo di ripristinare la repubblica Romana. Sant'Angelo, essendo come i rioni confinanti di Regola e Ripa un quartiere essenzialmente operaio, ospit molte corporazioni: vicino alla chiesa di Santa Caterina erano presenti i funari,[13], i quali torcevano le funi nel cortile porticato lungo 60 m della Crypta Balbi. Lungo le Botteghe Oscure cos erano chiamate le arcate del Teatro di Balbo - era prodotta la calce, mentre fabbri e calderai avevano le loro botteghe dentro le arcate del teatro di Marcello [14].Infine, cardatori e cimatori avevano le loro botteghe presso la chiesa di San Valentino [15], mentre i pescivendoli avevano il loro mercato in via del Portico d'Ottavia, dove essi vendevano il pesce su tavole marmoree le quali erano affittate a caro prezzo dalle famiglie nobili romane. Sul muro vicino al Portico ancora oggi visibile la copia di una lastra marmorea (l'originale pu essere visto nei Musei Capitolini), la cui lunghezza d la dimensione massima dei pesci che potevano essere venduti interi. A quelli che erano pi lunghi bisognava tagliare la testa, la quale doveva essere data ai Conservatori (I consiglieri comunali della Roma papale), che la usavano per preparare una zuppa di pesce [16] . L'attivit pi caratteristica della pescheria era il cosiddetto cotto, cio la vendita all'incanto del pesce, che aveva luogo ogni notte alle due. Particolarmente atteso era il cotto dell'antivigilia di Natale, il quale era frequentato da moltissimi romani i quali andavano a procurarsi il pesce per il cenone della Vigilia. Per i Romani il cotto dell'antivigilia costituiva l'inizio delle feste natalizie [17]. Rinascimento: Serraglio delli Ebrei Il Ghetto scomparso: via Rua in un acquerello di Ettore Roesler Franz (1880 ca.). Via Rua (Rua una parola analoga al Francese rue) era la strada principale nel vecchio Ghetto. Qui erano situati molti rigattieri e venditori di abiti usati. Il Rinascimento arriv a Sant'Angelo intorno alla met del XV secolo. A quel tempo Lorenzo Manili, un nobile romano entusiasta della sua citt, costru la propria dimora decorandone la facciata con rilievi romani ed una lunga iscrizione in latino, dove egli esalta la rinascita della citt Eterna [18].

Nel XVI secolo, i Savelli fecero costruire in cima al Teatro di Marcello un bellissimo palazzo, opera di Baldassarre Peruzzi, il quale pi tardi divenne possesso degli Orsini. Nel frattempo, nella parte nord del rione, un'altra potente famiglia, i Mattei, eresse ben quattro palazzi [19], i quali insieme formarono un isolato, chiamato "Isola dei Mattei" [20]. In questo periodo anche altre nobili famiglie, come i Costaguti, i Santacroce ed i Serlupi, scelsero di costruire le loro residenze in Sant'Angelo. Ma, mentre il vento del Rinascimento stava iniziando a soffiare per Roma, un altro evento cambi profondamente il destino del rione: l'arrivo degli Ebrei. Una colonia Ebraica era presente a Roma sin dall'inizio dell'era cristiana, ma gli ebrei a quel tempo vivevano in Transtiberim, vicino all'odierno Porto di Ripa Grande. A causa della decadenza del commercio fluviale, all'inizio del XV secolo essi abbandonarono la sponda destra e si sparsero per la citt. A quel tempo, in Roma vivevano circa 2.000 Ebrei: 1.200 a Sant'Angelo (qui essi ammontavano all'ottanta per cento della popolazione), 350 alla Regola, 200 in Ripa, mentre gli altri erano sparsi nei distretti restanti [21]. Circa un secolo dopo, il 14 luglio 1555, Papa Paolo IV, un campione della Controriforma, promulg la Bolla "Cum nimis absurdum", dove egli revocava tutti i diritti della comunit israelita e la rinchiudeva in un quartiere murato [22], il Ghetto. I Cristiani che erano proprietari degli edifici posti all'interno del recinto poterono mantenere la propriet ma, grazie al cos detto "jus gazzag" (diritto di possesso) essi non potevano n mandar via gli inquilini n aumentare gli affitti [23]. Il muro era interrotto da due [24] porte, le quali venivano aperte all'alba e chiuse ogni sera, un'ora dopo il tramonto fra novembre e Pasqua, due ore dopo negli altri periodi dell'anno [25]. L'area aveva forma trapezoidale, e non conteneva quasi edifici degni di nota. La sola piazza importante Piazza Giudea [26] era divisa dal muro in due parti. Le tre chiese che sorgevano nel Ghetto furono sconsacrate e demolite subito dopo la sua costruzione. Agli Ebrei romani era permesso di esercitare solamente lavori di basso grado, come stracciaroli, rigattieri o pescivendoli[27].. Essi potevano anche esercitare prestiti a pegno, e questa attivit eccitava l'odio dei romani contro di loro. Nel gioco del Lotto, essi potevano giocare solo numeri bassi ed appartenenti alla stessa decina (da uno a trenta) [28] , tanto vero che, quando accadeva che venissero estratte cinquine di questo tipo, i romani dicevano che in Ghetto quel giorno era festa grande[29]. Quando si recavano fuori del loro distretto, gli uomini dovevano indossare un panno giallo (lo "sciamanno"), e le donne un velo giallo (lo stesso colore delle meretrici) [27]. Durante le feste essi dovevano divertire i Cristiani, gareggiando in competizioni umilianti. Dovevano correre nudi con una corda intorno al collo, oppure con le gambe in un sacco. Talvolta gli ebrei si facevano cavalcare dai soldati a mo' di cavalli [30] . Ogni anno in Campidoglio il Rabbino capo doveva rendere omaggio al Caporione (il capo dei Conservatori), ricevendone in cambio un calcio nel sedere. Con questa "cerimonia" la comunit ebraica riceveva cos il permesso di rimanere un altro anno nella citt eterna.[31] Ogni sabato la comunit israelitica era obbligata ad ascoltare una predica coatta [32] davanti alla chiesetta di San Gregorio a Ponte Quattro Capi, proprio al di l del recinto [33].

Al tempo della sua costruzione, nel Ghetto come quasi dappertutto a Roma non esisteva acqua corrente. In ogni modo, alcuni anni dopo i Pontefici fecero costruire nel rione diverse fontane [34], ed una venne posta in Piazza Giudea [35]. Naturalmente, la gran quantit di popolazione che viveva in un'area cos piccola [36], insieme all'indigenza della comunit, caus terribili condizioni igieniche. Il distretto, trovandosi molto in basso e vicino al Tevere, era spesso inondato. Durante la peste del 1656, 800 abitanti su 4.000 morirono a causa dell'epidemia [37]. Sant'Angelo, che era il rione con la superficie pi piccola, era anche, grazie alla presenza del Ghetto, quello con la maggiore densit di popolazione. L'et moderna Sant'Angelo nell'anno 1777 (Mappa edita da Monaldini). Nella parte meridionale della pianta, ad ovest del teatro di Marcello, visibile il Ghetto, racchiuso dal suo muro. Il seicento ed il settecento passarono senza eventi degni di nota per il rione: il centro di gravit della Chiesa si era gi spostato dal Laterano al Vaticano e Borgo, ed il Campidoglio aveva perso la sua importanza come zona residenziale in favore della pianura di Campo Marzio Le cose iniziarono a cambiare con la Rivoluzione francese. Durante la Repubblica Romana, nel 1798, le porte del Ghetto furono finalmente aperte, e l'albero della Libert venne piantato in Piazza Giudea. Sfortunatamente, la caduta di Napoleone caus il rientro degli Ebrei nel distretto murato. Nel 1847, Pio IX ordin la demolizione del muro ma, a causa della resistenza dei Romani, il compito dovette essere eseguito durante la notte. Comunque, fu solo dopo il 20 settembre 1870, che gli Ebrei romani cessarono di essere considerati cittadini di seconda classe. Dopo l'unificazione italiana, grandi trasformazioni alterarono il rione. Enormi muraglioni, i lungotevere, furono costruiti lungo il fiume, in modo da evitare gli effetti rovinosi delle piene, e questo caus la demolizione della pittoresca quinta di case che si specchiavano nel Tevere. Il Ghetto, sebbene gli ebrei fossero ora liberi cittadini, era affollato come prima dalla comunit israelitica [38] , ma le condizioni igieniche sempre precarie spinsero ad una soluzione radicale. L'intero quartiere venne quindi demolito nel 1885, spendendo molto pi dei cinque milioni di Lire originariamente preventivati, e nuovi edifici, che mal si intonavano all'ambiente circostante, sorsero intorno alla nuova Sinagoga. La sola parte di Sant'Angelo che possa ancora dare un'idea del vecchio ghetto quella lungo Via della reginella, la quale venne inclusa nel recinto solo all'inizio dell'Ottocento [39]. Durante gli anni venti del secolo scorso, Sant'Angelo venne coinvolto nel gigantesco programma di demolizioni messo in atto dal regime fascista. Nel 1926, il quartiere intorno al Teatro di Marcello venne demolito, mentre il monumento veniva isolato e restaurato. Molti vicoli e piazzette pittoresche scomparvero ma, d'altra parte, templi romani [40] vennero di nuovo alla luce. Inoltre, anche bellissime case medievali [41] sino a quel momento nascosti sotto superfetazioni pi tarde, poterono essere restaurati con cura. Infine, nel 1940, nel lato settentrionale del rione Via delle Botteghe Oscure venne drasticamente allargata, ed anche qui chiese e palazzi caddero vittime del piccone. Dopo le demolizioni del periodo fascista, venne deciso di modificare i limiti storici del rione, stabiliti nel 1743 sotto Benedetto XIV. Sant'Angelo si quindi esteso, incorporando parti marginali ma importanti dei rioni confinanti Campitelli e Ripa [42]. Durante l'occupazione tedesca di Roma nel corso della seconda guerra mondiale, la comunit ebraica romana venne costretta a pagare 50 kg d'oro alle SS, per evitare la deportazione nei campi di concentramento nazisti. Ci non fu sufficiente: nonostante il pagamento del riscatto, il 16 ottobre

1943 2.091 di essi furono deportati, e parecchi di loro morirono in Germania. Molti altri vennero anche uccisi il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine [37]. Sant'Angelo oggi All'alba del XXI secolo Sant'Angelo rimane una delle zone pi caratteristiche nella vecchia Roma. Mentre la parte settentrionale del rione, con la sua ragnatela di vicoli stretti e solitari che la proteggono dal traffico, mantiene un carattere prettamente residenziale, la parte meridionale sempre caratterizzata dalla forte presenza ebraica. Le strade intorno al Portico d'Ottavia mantengono cos l'atmosfera di un villaggio, ed ospitano diversi negozietti (condotti per lo pi da Ebrei) e molte Trattorie, che, con i loro carciofi alla giudia e filetti di baccal, perpetuano la tradizione della cucina ebraica romanesca. La presenza di una forte comunit Ebraica rende necessaria una presenza continua anche se discreta - di Polizia e Carabinieri, schierati soprattutto nelle vicinanze della Sinagoga, in modo da prevenire attentati. Sant'Angelo ospita anche diverse istituzioni culturali, come l' Enciclopedia Italiana, la Discoteca Nazionale e il Centro di Studi Americani, che possiede la biblioteca europea pi importante avente come soggetto gli Stati Uniti [43]. Fontana delle Tartarughe La fontana delle Tartarughe una fontana di Roma, che si trova nella piccola piazza Mattei, nel rione Sant'Angelo. La piazza era al centro dell'isolato dei palazzi che appartenevano alla potente famiglia Mattei. Storia Subito dopo il restauro dellacquedotto dellAqua Virgo, terminato nel 1570, furono iniziati i lavori per una ramificazione sotterranea secondaria del condotto, in modo da raggiungere larea dellantico Campo Marzio, tra le zone pi popolose di Roma. Venne di conseguenza progettata anche ledificazione di un certo numero di fontane, una delle quali era stata prevista nella piazza Giudia (ora scomparsa), sede di mercato, ma per le pressioni di Muzio Mattei venne invece costruita nella vicina piazza davanti al suo palazzo: in cambio la famiglia si impegnava a pavimentare la piazza e a tener pulita la fontana. Fu costruita, su probabile progetto di Giacomo della Porta[1], nel 1581, e i lavori furono condotti dallo scultore Taddeo Landini, che avrebbe dovuto realizzare quattro efebi e otto delfini, previsti prima in marmo e poi in bronzo. I lavori si conclusero nel 1588, e quattro dei delfini previsti non furono messi in opera perch la pressione dell'acqua non consentiva l'elevazione prevista. Questi delfini furono poi utilizzati per la Fontana della Terrina, allora posta in Campo de' Fiori e ora spostata in piazza della Chiesa Nuova. La leggenda popolare narra che il duca Mattei, il cui palazzo si affaccia sulla piazza che alloggia la fontana, per stupire il futuro suocero (che non voleva concedergli la figlia in moglie), facesse realizzare in una sola notte la fontana. Il giorno successivo fece affacciare la promessa sposa con il padre alla finestra per ammirare l'opera. Quindi, perch nessun altro potesse pi godere dello stesso spettacolo il giovane duca fece murare la finestra che cos arrivata a noi.

Il punto debole della leggenda (oltre all'improbabile celerit della realizzazione) che mentre la fontana del 1581-88, il palazzo fu costruito pi tardi, solo nel 1616. Descrizione La fontana costituita da una vasca quadrata con spigoli arrotondati, che ospita al centro un basamento con quattro conchiglie in marmo portasanta, che sorregge una specie di anfora la quale, a sua volta, sorregge un bacino rotondo in marmo africano bigio, con testine di putti sotto l'orlo, dalle cui bocche aperte deborda nella vasca l'acqua in eccesso. Lintera struttura poggiava su una base a gradini. Alla struttura architettonica si aggiungono le sculture: i quattro efebi in bronzo disposti in pose uguali e simmetriche, poggiano il piede su dei delfini, di cui tengono in mano la coda e dalla cui bocca sgorga l'acqua che si raccoglie nelle conchiglie, mentre l'altro braccio degli efebi sollevato sull'orlo della vasca. Le tartarughe che gli efebi sembrano spingere ad abbeverarsi nella vasca superiore e che hanno dato il nome alla fontana furono aggiunte in un restauro del 1658 operato per volere di papa Alessandro VII, e sono attribuite a Gian Lorenzo Bernini o a Andrea Sacchi. Le modifiche apportate forse gi in fase di prima realizzazione avevano infatti sortito, come effetto, che le mani degli efebi non riuscissero pi a raggiungere il bordo del catino superiore: le quattro tartarughe servirono dunque a riempire i vuoti ingiustificati, che originariamente dovevano forse essere riempiti dai quattro delfini non utilizzati. In occasione dello stesso restauro venne eliminata la base a gradini, per aumentare, abbassandone il punto di fuoriuscita, la scarsa pressione dellacqua. Il restauro ricordato da un'iscrizione suddivisa su quattro cartigli in marmo, posti sui lati della vasca principale, tra le conchiglie. Il testo, letto di seguito, recita: "ALEXANDER VII / RESTAVRAVIT / ORNAVITQVE / ANNO PONTIFIC IV" Cronache Particolare delle conchiglie, del primo dei quattro cartigli e delle iscrizioni dei restauri Altri due restauri, a cura del Comune, sono ricordati in iscrizioni che portano le date del 1903 e del 1933. Successivamente la fontana stata dotata di un impianto di depurazione dell'acqua per evitare i depositi calcarei che si formavano sulle statue e che hanno richiesto frequenti ripuliture. L'impianto di depurazione stato sostituito nel 2003 e un restauro conservativo dei marmi e dei bronzi venne condotto ancora nel 2005-2006. Le tartarughe furono soggette a vari furti. Nel 1944 vennero asportate (e poi ritrovate) tutte e quattro. Dopo lultimo furto del 1979 furono tolte e conservate nei Musei Capitolini: quelle visibili attualmente sono tutte copie, che hanno rimpiazzato anche i tre originali superstiti. Una copia della fontana in scala 1:1 collocata nello Huntington Park di San Francisco. L'opera, fabbricata a Roma a inizio '900 e acquistata da William ed Ethel Crocker per la loro villa, fu donata nel 1954 alla citt di San Francisco dai loro 4 figli, e dall'amministrazione sistemata nel parco[2]. Case dei Vallati Nella demolizione dellampio isolato di cui era parte, infatti, vennero individuate consistenti porzioni di costruzioni di epoca medioevale, di cui si decise la conservazione ed il successivo restauro. Questo venne effettuato negli anni 1929-1932 (purtroppo dopo il crollo parziale di alcune parti) su progetto di Paolo Fidenzoni, direttore dei lavori di recupero del vicino teatro di Marcello.

La denominazione attribuita alla casina deriva dalla famiglia dei Vallati proprietaria tra XIII e XIV secolo di numerosi immobili in questa zona del rione S.Angelo. Il complesso attuale presenta caratteri rinascimentali sullangolo verso il Portico dOttavia e via del Foro Piscario: in questa parte si conservato infatti il pregevole portale cinquecentesco originario in marmo e sono state rimontate le mostre in travertino di alcune finestre recuperate nel corso della demolizione di un altro palazzo dellarea. Nella parte restante, in direzione del teatro di Marcello, prevale la conservazione degli elementi caratteristici delledilizia medioevale del XIII secolo: il loggiato al primo piano, il porticato al piano terreno, strutture murarie con paramenti in tufelli o laterizio, finestre con cornici in marmo ed alcune bifore in peperino riproposte in stile. Dal 1933 ledificio sede degli Uffici della Ripartizione Antichit e Belle Arti del Comune di Roma, oggi Sovraintendenza ai Beni Culturali. Chiesa Santa Caterina dei Funari S.Caterina de' Funari prende il nome dalla via in cui situata, via de' Funari, cos chiamata dai torcitori di funi che si erano qui stabiliti e che avevano utilizzato come botteghe gli androni dell'antico Circo Flaminio, secondo alcuni, o del criptoportico della Crypta Balbi, secondo altri: molto difficile dare ragione ad una delle due ipotesi visto che la via situata proprio tra i due antichi monumenti romani. La chiesa originaria, probabilmente una basilica a tre navate detta S.Maria de Dominae Rosae in castro aureo (castrum aureum il Circo Flaminio), fu riedificata nel IX secolo su una sola navata e dedicata a S.Caterina d'Alessandria. Nel 1534 la chiesa fu concessa da papa Paolo III a S.Ignazio di Loyola che vi fond il Conservatorio di S.Caterina della Rosa, conosciuto anche come Compagnia delle Vergini Miserabili Pericolanti e vi fece erigere una casa attigua per accogliere le orfanelle, affinch fosse data loro una buona educazione. Tra il 1560 e il 1564, quando la Compagnia assunse forma stabile come Confraternita, la chiesa fu riedificata e dedicata definitivamente a S.Caterina de' Funari. La chiesa acquis una pianta abbastanza severa, a navata unica con paraste lungo il perimetro, affiancata da tre cappelle semicircolari per parte, un presbiterio di forma rettangolare strutturato come una cappella ed una copertura a volta. La singolare facciata in travertino, con evidenti richiami a modelli rinascimentali, fu realizzata da Guidetto Guidetti a due ordini di paraste con un portale racchiuso tra colonne. Nella foto in alto possiamo notare il campanile posto sulla destra, aggiunto nel XII secolo e realizzato su una torre precedente. In occasione del rifacimento della chiesa del XVI secolo, anche il campanile fu trasformato: al piano inferiore mensole e archetti, a guisa di beccatelli, sporgono ancora a sorreggere la parte superiore, corrispondente alla cella campanaria, a sua volta sormontata da due zone a pianta ottagonale che si restringono fino a terminare in una piccola cupola.

La facciata si compone di due ordini architettonici sovrapposti, ambedue corinzi e di paraste; il secondo si appoggia sulla trabeazione del primo, separato da un alto zoccolo opportunamente collocato per neutralizzare il raccorciamento dovuto alla prospettiva, fortissimo in una via cos stretta. Completano la linea le volute ed il timpano superiore, sormontato da quattro candelabri e dalla croce. Nell'asse centrale della facciata si trova in basso la grande porta, nell'alto la fin estra a rosone. La porta fiancheggiata da due colonne scanalate di pietra di porta santa quasi completamente sporgenti dalla parete e sorreggenti una trabeazione sormontata dal timpano; segue cio il tradizionale motivo delle edicole del Pantheon, ma lo applica con felicissime proporzioni,

La finestra a rosone, ultima sopravvivenza delle grandi rose delle chiese medievali, compresa entro una targa quadrata con orecchiature simmetriche e con rosette negli angoli: sopra ad essa collocato lo stemma dei Cesi, rilevato ed aggiunto posteriormente (ma certo sempre nel primo periodo di costruzione) al fregio della zona superiore, che in quel punto si nasconde sotto di esso. Le nicchie dell'ordine inferiore hanno sopra e sotto due spazi uguali occupati da targhe o riquadri rettangolari tra di loro uguali; nell'ordine superiore, di minore altezza, esse invece si accostano di pi alla base, lasciando solo superiormente il posto per una targa analoga alle altre. Fra i capitelli corinzi dei due ordini si distende una fascia adorna di festoni e svolazzano nastri e trovano luogo gli emblemi della ruota, della rosa, delle palme; nella fascia superiore sono cartelle inghirlandate di perline ed incorniciate di volute e di cartocci che danno loro una forma quasi ovale. I capitelli delle paraste sono di tipo corinzio, un po' bassi, con due fiori ampi che quasi nascondono i fusti delle piante. Invece i capitelli sulle colonnine del la porta hanno al posto delle piante dei corni dell'abbondanza e dei piccoli festoni tra essi: esempio molto raro nella seconda met del Cinquecento. Quanto alle altre parti della chiesa, per tipo di materiali e per importanza artistica, pu dirsi che dalla facciata, la quale quasi troppo ricca e adorna per l'ambiente ristretto e modesto in cui si trova, si discende gradatamente verso costruzioni e forme pi semplici. Nel fianco sulla via de' Funari la zona inferiore ha paraste corinzie identiche a quelle del prospetto, che comprendono tre arcate, e nell' arcata di mezzo si apre la porta laterale: paraste, zoccolo, trabeazione e porta in travertino, gli archi ed i fondi in mattone a cortina: nella zona superiore, corrispondente al secondo ordine della facciata, la parete esterna della navata conformata a continuo bugnato, ma al paramento esterno di pietra o di mattoni sostituito lo stucco; finestre arcuate a sguincio esterno si apro no in essa, e sopra quelle altre piccole aperture circondate da mostra. Contrafforti a voluta, sormontati dall' emblema dei Cesi uniscono costruttivamente ed architettonicamente questa zona coi pilastri dell'inferiore, ed all'estremo si avanza una torretta, anch' essa con le pareti a bugnato, la quale contiene una piccola scala che ascende al sotto tetto e ai tetti. Sul fianco opposto un piccolo e bizzarro campanile, rimasto incompleto, che sembra essere stato elevato su di una torre preesistente di base ancora minore, da cui mensole ed archetti a guisa di beccatelli sporgono a sorreggere la parte superiore; e questa ha una prima zona a pianta quadrata, corrispondente alla cella campanaria, avente su ciascuna faccia un arco bugnato simile a quelli delle finestre laterali della chiesa, racchiuso in un riquadro rettangolare, e superiormente due zone a pianta ottagona che vanno restringendosi fino a terminare in una piccola cupola. Esso rappresenta per originalit di stile un'opera unica nell'architettura romana, sia del '500 che di altre epoche, influenzando lo stile delle torri di Giacomo della Porta se non addirittura le opere campanarie del Borromini. L'interno della chiesa si presenta come una semplice e disadorna sala coperta da una volta, senza i particolari effetti di colore che caratterizzano l'esterno. Il principale motivo architettonico sono i pilastri alle pareti che fedelmente riproducono, nelle dimensioni, nel tipo di capitelli e negli ornati a festoni la zona degli intercolunni dell'ordine della parte inferiore esterna. Le lesene si abbinano sul limitare del presbiterio per sostenere l'arcone di accesso alla cappella maggiore che corona l'ampio vano rettangolare dove in un originale motivo di coronamento s'innesta la finestra principale del coretto. Accanto all' ingresso principale vi una bella acquasantiera rinascimentale.

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