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Guido Cifoletti
LINEAMENTI DI STORIA DELLA LINGUISTICA

mia intenzione introdurre allo studio della linguistica facendo la storia di questa
scienza. Non per nulla un passo scontato: se in alcune discipline come ad esempio la
filosofia un procedimento del genere risponde ad una prassi ormai secolare, in altri campi
di ricerca nessuno si sognerebbe di farlo: valga per tutti lesempio della storia della
scienza, che non disciplina che sinsegna nelle facolt scientifiche, bens materia
filosofica. In alcuni campi della ricerca scientifica si d per scontato che lapparire di un
nuovo metodo renda superati i metodi precedenti, e questo genera in alcuni una mentalit
relativista che porta ad affermazioni del tipo la verit non esiste, esistono modelli
interpretativi che durano finch valgono, poi si cambiano, ma nulla di questo genere
risponde allesperienza del linguista. Nella nostra disciplina i diversi metodi elaborati
successivamente per indagare su quel campo dattivit umana che la lingua non si
eliminano affatto, ma si sommano: dunque i metodi scoperti nel passato non sono per
nulla superati, e vale la pena di studiarli ancora. Naturalmente anche i linguisti del
passato sbagliavano, come tutti gli altri uomini, ed oggi siamo in grado di riconoscere
molte loro ingenuit: ma si pu dire che nel complesso sono esatti i fatti da loro osservati,
come pure la maggior parte delle conclusioni a cui arrivarono, ed anche i metodi da loro
elaborati meritano di essere conosciuti. Dunque, siccome il primo campo della linguistica
che si svilupp fu la linguistica storico-comparativa (soprattutto quella relativa alle
lingue indoeuropee) comincer a parlare proprio di questa, che di solito materia di
studio di unaltra disciplina, la glottologia. Ma in realt un confine preciso tra la
linguistica generale e la glottologia non esiste: sintende che la prima si deve occupare
maggiormente degli aspetti teorici, per anche la seconda ha delle basi teoriche ed
unesperienza pratica di cui il linguista deve essere al corrente; e daltra parte il
glottologo deve pure avere conoscenza dei nuovi metodi di ricerca della linguistica, per
applicarli appena pu anche alle lingue antiche che sono il suo abituale campo
dindagine. Va detto che, se si fa una storia della linguistica col fine di introdurre alla
materia stessa, si rischia sempre di cadere in una storia di tipo agiografico: tutti gli
errori, i passi falsi, le illusioni dei linguisti del passato, in questa prospettiva sono privi
dinteresse, e quindi vengono tralasciati, perch ci che importa maggiormente indicare
i punti fermi, i risultati che ancor oggi sono validi: in una certa misura tale deformazione
inevitabile, e spero sia accettata anche dai lettori.
generalmente ammesso che la linguistica nacque allinizio del XIX secolo: pi
precisamente la si fa iniziare nel 1816, con la pubblicazione del primo volumetto di
grammatica comparata indoeuropea; solo a partire da quellepoca si form una scuola, si
costitu cio un gruppo di studiosi che dedic tutta la vita a studiare le lingue
sistematicamente, con metodi verificabili e sempre pi raffinati: ed il progresso fu tale
che gi pochi decenni dopo si poteva guardare con sufficienza ai precursori, ai pochi che
si erano occupati di linguistica nel secolo XVIII, quando questa scienza non possedeva
ancora dei metodi sicuri e perci produceva delle etimologie ad orecchio nelle quali,
secondo un giudizio di Voltaire spesso ricordato, les voyelles ne font rien et les
consonnes font peu de chose. In realt nel Settecento si posero le basi di quello che
sarebbe stato il sorprendente sviluppo dei decenni successivi: matur in effetti un clima
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culturale che va spiegato. Soprattutto a partire dalla seconda met del XVIII secolo si era
risvegliato un vivo interesse per le civilt esotiche, per le loro tradizioni e di conseguenza
anche per le loro lingue; e al tempo stesso cominciavano a svegliarsi i principali
nazionalismi europei. Linteresse per le tradizioni extraeuropee coincideva in parte con la
ricerca di una saggezza estranea alla tradizione cristiana: a quel tempo si pensava che le
iscrizioni geroglifiche nascondessero un grande sapere, la Massoneria assunse fra i propri
simboli qualche segno egiziano: qualche decennio dopo, quando Champollion decifr
effettivamente la scrittura geroglifica, fu una delusione il rendersi conto che quei testi non
racchiudevano affatto la grande scienza che ci si aspettava. Ben altrimenti proficuo fu
invece limpatto con la civilt dellIndia antica. Nel XVIII secolo assunse sempre
maggiore importanza in India la colonizzazione europea: prima i Portoghesi vi avevano
impiantato qualche base, poi li seguirono Inglesi e Francesi: la Compagnia delle Indie
(inglese) a quel tempo non aveva un potere politico riconosciuto come tale,
nominalmente regnavano sempre i sovrani della dinastia Moghul; ma poco alla volta la
loro autorit si svuotava, e cresceva quella degli Europei. Alcuni di questi colonizzatori
(nonch i missionari) riuscirono ad addentrarsi nella cultura locale, e cos la poterono
comunicare in Europa. La principale lingua letteraria del mondo ind era il snscrito: ma
sappiamo che non una lingua originaria dellIndia. In unepoca imprecisata (gli Indiani
non furono mai interessati alla storiografia, e perci la loro storia ci nota in modo
lacunoso), forse un migliaio e passa di anni prima di Cristo, l'India fu invasa da trib
provenienti dalla zona iranica, che a quel tempo comprendeva anche i territori dell'attuale
Turkestan (oggi solo uno degli Stati del Turkestan ex-sovietico, il Tagikistan, ha come
lingua ufficiale un dialetto persiano; ma un tempo le lingue di questo tipo avevano una
diffusione molto pi ampia, come vedremo). A quanto sembra questi invasori prima si
stanziarono nella valle dell'Indo, poi in quella del Gange, e successivamente si diffusero
per la penisola indiana: le lingue degli antichi abitatori dell'India si mantengono tuttora,
soprattutto nelle regioni pi meridionali (c il tamil, usato da una minoranza dello Stato
di Sri Lanka, ma anche sulle coste sudorientali della penisola indiana; e poi il telugu, il
canarese o kannada, il malayalam) ed appartengono al gruppo dravidico insieme col
brahui, lingua minoritaria del Beluchistan; nelle regioni centro-orientali dell'India
sopravvivono alcune minoranze che parlano lingue di ceppo diverso (le lingue munda,
connesse da alcuni col Khmer della Cambogia), e che forse risalgono ad uno
stanziamento ancora pi antico. Fin dalla pi remota antichit, questi invasori di ceppo
iranico (in senso lato: sarebbe meglio dire indoario, perch giusto precisare che i dialetti
iranici fin dalle prime attestazioni presentano alcuni caratteri diversi dalle lingue antiche
dellIndia) svilupparono un'estesissima letteratura orale: i pi antichi poemi, i Veda (ed in
particolare la sezione pi antica, il Rg-veda o Rigveda, composto di un migliaio di inni)
furono tramandati a memoria con estrema precisione perch avevano (ed hanno) valore
liturgico, e la loro recitazione esatta era considerata condizione indispensabile per la
riuscita di qualsiasi cerimonia o sacrificio. A questo proposito si pu far rilevare quanta
importanza e quanta estensione possa avere l'uso della memoria nei contesti sociali in cui
non esiste la scrittura; e non certo il solo caso. Comunque, anche quando la scrittura fu
introdotta in India e questi poemi furono messi per iscritto (non sappiamo con precisione
a che epoca), la tradizione orale continu parallelamente a quella scritta, un po' come
avviene ancor oggi nei Paesi islamici per la recitazione del Corano. Oggi il sanscrito la
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lingua letteraria a cui si rifanno tutti gli ind, anche quelli di origine dravidica o munda; i
Veda ne costituiscono la fase pi antica, e probabilmente si fondano su dialetti diversi
(pi occidentali) rispetto a quelli che stanno alla base del sanscrito classico, lingua
codificata forse nel IV secolo a.C. dal grammatico Panini in un'opera di esemplare
esattezza e concisione: il libro consta di 8 capitoli (perci il nome astadhyayi, da astau
otto), e descrive tutta la lingua in circa 4000 regole, espresse per con una tale brevit
che in un'edizione a stampa tutta l'opera occupa circa 35 pagine: la pi breve ed
esauriente grammatica del mondo (ma non la pi chiara: per questo i grammatici indiani
di et successiva ebbero il loro da fare a chiosarla e interpretarla). A questo punto non
posso fare a meno di rimarcare una circostanza eccezionale, che favor grandemente i
linguisti del primo Ottocento: mentre oggi chi affronta una lingua esotica si trova quasi
sempre in gravi difficolt per la mancanza di una tradizione scritta indigena nonch di
una standardizzazione
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, i primi studiosi di quella che divenne poi la scienza del
linguaggio si trovarono fra le mani non solo una lingua letteraria gi codificata da un uso
millenario, ma addirittura la grammatica elaborata dagli indigeni con una raffinatezza
superiore a quella della tradizione classica che fino allora si perpetuava nelle scuole
europee; ed infatti nei decenni successivi i metodi dei grammatici indiani furono applicati
con successo anche al greco ed al latino. Tornando al sanscrito conviene dire che questa
lingua, oltre ad averci tramandato le grammatiche a cui si accennato, ci attestata da
una vastissima letteratura, molto pi estesa di quella che possono vantare le principali
lingue europee: basti dire che il principale poema epico dell'India antica, il Mahabharata,
consta di oltre centomila versi. Per avere un termine di paragone ricorder che l'Iliade in
greco ha 15693 versi, l'Odissea 12007; e inoltre il verso del Maha@bha@rata, lo loka,
lungo circa come due versi omerici (cio contiene 32 sillabe, mentre l'esametro omerico
pu andare dalle 12 alle 17 sillabe); facendo un paragone con l'italiano si pu dire che la
Divina Commedia contiene cento canti di circa 140 endecasillabi ciascuno, in altre parole
occupa all'incirca un ventesimo del Maha@bha@rata. L'altro grande poema dell'India, il
Ramayana, contiene circa ventimila loka; in sanscrito furono scritti anche i Purana,
grandi opere didattiche, delle quali si sono conservate 18 per un totale di 400.000 versi;
esistono anche grandi opere filosofiche come le Upanisad, risalenti addirittura al periodo
vedico, e poi in sanscrito classico le opere della filosofia yoga, ed oltre a ci possediamo
drammi, poesia lirica, romanzi, ecc. ecc. Per oltre duemila anni il sanscrito fu usato
soltanto come lingua scritta e letteraria, perch dev'essere uscito dall'uso parlato gi
qualche secolo prima di Cristo; in questo periodo in India si parlavano i prcriti
(prakr9ta bhasa o lingua naturale, a differenza della samskr9ta bhasa o lingua perfetta). Per
la verit si chiamano pracriti tutti i dialetti dellIndia antica, ed in questo senso si pu dire
che alcuni influssi pracriti (cio dialettali) si trovano gi nel vedico: di certo accanto al
sanscrito vissero altri dialetti dello stesso ceppo, che per non assunsero mai dignit
letteraria; ma i pracriti assunsero maggiore importanza quando la lingua scritta si
allontan da quella parlata. Un pracrito ci testimoniato gi dalle iscrizioni del re Aoka
(III sec. a.C.), altri furono usati (parcamente) in letteratura: il canone buddista scritto in

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Come vedremo in seguito, questi elementi facilitano enormemente l'indagine linguistica: si veda G.R.
CARDONA, Dall'oralit alla scrittura: la formazione delle lingue standard, in A. QUATTORDIO
MORESCHINI, La formazione delle lingue letterarie, "Atti del Convegno della Societ Italiana di
Glottologia", Siena 16-18 aprile 1984, pp. 71-80.
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pali@ (perch lautore si voleva avvicinare alla lingua del popolo), il canone jaina in
ardhamagadhi; in alcuni drammi antichi il re parla sanscrito, mentre i personaggi di bassa
condizione parlano un pracrito (che poi divenne incomprensibile, e fu necessario
aggiungergli una traduzione in sanscrito; del resto una traduzione sanscrita esiste anche
per il canone buddista). Successivamente dai pracriti si svilupparono le lingue dell'India
moderna: hindi, bengali, marathi, gujarati, panjabi, sindhi ecc. Il sanscrito, nel
lunghissimo periodo in cui continu ad essere usato come lingua letteraria pur essendo
ormai del tutto svincolato dall'uso quotidiano, diede luogo ad uno stile difficile e
lambiccato detto kavya, tipico di grandissima parte della poesia indiana e che procura
non poche difficolt ai sanscritisti. Ora meglio tagliar corto su questi argomenti perch
non certo mio compito disegnare qui un profilo storico della letteratura indiana: quel
che m'importa di far capire che si tratta di una tradizione ricchissima, molto antica e
spesso estremamente affascinante (anche se naturalmente non mancano le opere
mortalmente noiose). Alcuni Europei si accostarono gi nel XVI secolo a questa cultura,
la prima grammatica sanscrita scritta da un europeo (il missionario tedesco Heinrich
Roth, morto nel 1668) del secolo successivo, ma rimase manoscritta; solo alla fine del
XVIII secolo il mondo scientifico europeo pot avere delle nozioni precise su questo
argomento. Nel 1785 l'inglese C. Wilkins pubblic una traduzione della Bhagavadgi@ta@ (il
canto del beato) che una sezione del Maha@bha@rata dal libro VI, in cui due degli eroi,
Kr9sna e Arjuna, prima di prendere le armi contro il nemico si mettono a discutere, ed il
primo esorta il secondo a non esitare a combattere contro i cugini che, dopo avergli
inflitto tanti torti, gli avevano sottratto il regno: il corpo dell'uomo mortale e caduco, ma
lo spirito eterno ed immutabile (va detto che il Maha@bha@rata, pur avendo una trama
complicatissima, dedica ben poco spazio agli avvenimenti e molto di pi alle riflessioni
ed alle considerazioni filosofiche e morali: si pensi che su un totale di 18 libri ben due, il
12 e il 13, sono dedicati quasi interamente agli ammaestramenti dati dal guerriero Bhi@sma
in punto di morte). Nel 1790 il carmelitano austriaco Paolino di San Bartolomeo (il suo
vero cognome era Wesdin) pubblic a Roma la prima grammatica sanscrita nota in
Occidente; nel 1805 Colebrooke pubblic a Calcutta A Grammar of the Sanscrit
Language che era la prima grammatica europea fondata su Panini (la precedente si
fondava piuttosto su grammatiche scritte in malaya@lam). In quegli stessi anni a Londra e
anche a Parigi affluivano molti manoscritti indiani (non si dimentichi che anche i
Francesi erano impegnati nella colonizzazione dell'India, sia pure con meno successo) e
perci si crearono le condizioni per studiare la lingua sui testi originali.
In quello stesso periodo il mondo scientifico europeo venne a conoscenza di
un'altra lingua antica, affine al sanscrito: il cosiddetto avestico (che allora era chiamato
per lo pi zendo, con un nome che oggi sembra inesatto, e probabilmente in origine
designava piuttosto il commento). Si tratta di un dialetto (o meglio di alcuni dialetti,
distinti geograficamente e cronologicamente) del persiano antico: la lingua dell'Avesta,
il libro sacro della religione mazdeista o zoroastriana. Zarathustra diffuse la sua dottrina
agli albori della storia persiana, alla fine del VII secolo ed agli inizi del VI; ma poi gran
parte del testo sembra essere opera di discepoli della trib dei Magi, di epoca posteriore
ed in un altro dialetto (nordoccidentale, mentre il dialetto di Zarathustra sembra essere
stato orientale). Anche questo libro dapprima fu trasmesso oralmente e solo dopo molto
tempo (forse addirittura un millennio) fu messo per iscritto, e pare che ce ne sia pervenuta
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solo una parte: la sua tradizione sembra molto pi discontinua ed incerta che per i Veda.
Comunque le parti pi antiche, le gth (inni), risalenti allo stesso Zarathustra, sono
composte in una lingua notevolmente vicina al vedico (anche se spesso poco
comprensibile): secondo il glottologo G. Devoto, Le origini indoeuropee, p. 366, "i versi
delle gathas dell'Avesta possono essere trasposti in versi vedici senza che si possa parlare
di vera traduzione. Nello Yat 10,1.6 dell'Avesta, si legge: tm amavantm yazatm
su@rm, da@mo@hu svitm, Mirm yaza@i zaora@byo@ 'questo forte potente angelo, alle
creature beneficentissimo, Mithra, vogliamo onorare con libazioni'. In forma vedica
sarebbe: tam amavantam yajatam su@ram, dha@masu savistham, Mitram yajai hotra@bhyas."
Dopo che la Persia fu conquistata dagli Arabi, portatori d'una nuova religione, i seguaci
della religione nazionale dovettero nascondersi: alcuni rimasero in Persia, altri
emigrarono in India dove formarono la comunit dei Parsi, abbastanza numerosi
soprattutto nel Gujarat; nel XVIII secolo il francese A.H. Anquetil Duperron pot
conoscere in India i dotti parsi, fu iniziato da loro all'interpretazione tradizionale di quel
libro e ne diede notizia nel 1775 pubblicando a Parigi una traduzione in 5 volumi: Zend-
Avesta, Ouvrage de Zoroastre, ...
Prima di allora erano note altre lingue indoeuropee antiche: il greco ed il latino,
per tradizione ininterrotta; e poi il gotico. Si tratta della lingua degli Ostrogoti e dei
Visigoti: nel IV sec. il vescovo Ulfila, che stava nella Mesia (sul basso Danubio,
nell'attuale Bulgaria orientale) tradusse quasi tutta la Bibbia per i Goti stanziati l come
foederati dell'Impero romano. Era l'epoca delle migrazioni dei popoli, perci il gotico era
praticamente la stessa lingua per quei Goti del basso Danubio, per quelli stanziati
nell'attuale Ucraina, e pi tardi anche per gli Ostrogoti d'Italia e i Visigoti di Spagna (o
almeno, quel che sappiamo che queste popolazioni accettarono il gotico di Ulfila come
lingua scritta). I manoscritti che tramandano il gotico furono composti quasi tutti in Italia,
anche se oggi stanno in biblioteche diverse: c' il famoso Codex Argenteus di Upsala, che
fu scoperto nella regione renana nel 1515, poi ci sono 5 codici alla Biblioteca Ambrosiana
di Milano e frammenti in biblioteche tedesche. Complessivamente oggi leggiamo in
gotico i tre quarti del Nuovo Testamento ed alcune parti del libro di Neemia; inoltre
abbiamo parte d'un commento al Vangelo di Giovanni e qualche frammento sparso, tra
cui un paio di contratti scritti a Ravenna verso il 551. Dunque la lingua gotica ci
conservata in modo alquanto lacunoso, ma stata molto importante per gli studi di
linguistica perch nel gruppo delle lingue germaniche quella attestata pi anticamente,
prima che sopravvenissero i cambiamenti che in seguito differenziarono fortemente tra
loro le lingue germaniche (complicandole oltremodo); perci il gotico, che pure
rappresenta un ramo estinto della famiglia germanica (nessuna lingua moderna derivata
da esso) particolarmente vicino a quel che si suppone essere stato il germanico comune,
e dunque ha grande interesse per la comparazione indoeuropea. La conoscenza del gotico
nei secc. XVII e XVIII non fu certo molto diffusa, ma risvegli comunque un certo
interesse, soprattutto fra studiosi tedeschi.
Altre lingue di tradizione letteraria (ma non indoeuropee) erano conosciute da
tempo: cos l'ebraico, l'arabo, ed anche il copto, lingua parlata in Egitto, che era l'ultima
propaggine dell'antica lingua dei Faraoni. Questa lingua, prima codificata nella scrittura
geroglifica (che in parte ideografica, in parte consonantica), si svilupp con l'andare dei
secoli e dei millenni nel demotico, usato in et tolemaica, che differisce dal geroglifico
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sia come scrittura sia dal punto di vista pi strettamente linguistico. Il copto rappresenta
un'ulteriore evoluzione del demotico: a partire dal II-III sec, d.C. il popolo egiziano
cominci a scrivere la sua lingua in caratteri greci, visto che ormai nel Paese il greco era
la lingua della cultura e dell'amministrazione; vi aggiunse per 7 caratteri dal demotico,
per suoni consonantici non adeguatamente rappresentati dall'alfabeto greco. Dal IV sec. in
poi si svilupp una letteratura copta d'ispirazione cristiana (senza per che si formasse un
unico standard letterario, per cui si parla oggi di copto Bohairico o settentrionale, di
Alessandria, e copto Saidico o del sud, di Luxor); e ancora oggi il copto usato
(parcamente) come lingua liturgica per i Cristiani dell'Egitto, bench non lo si parli pi da
secoli.
Alcune lingue semitiche dell'Oriente cristiano, come l'aramaico (specialmente il
dialetto letterario di Edessa, chiamato siriaco) e l'etiopico antico o ge'ez, erano conosciute
in Europa, anche se in ambiti molto ristretti.
Altre lingue antiche, pure di origine indoeuropea, nei primi decenni dell'Ottocento
furono trascurate dai linguisti: cos l'armeno, attestato a partire dal V sec. d.C., che per
una lingua molto evoluta fin dai primi documenti, e fino al 1876 fu considerato un
dialetto persiano; invece l'antico irlandese, anch'esso molto evoluto e complicato,
all'inizio fu ritenuto lingua non indoeuropea..
Tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX era sorto un grande interesse verso
il mondo "esotico": faceva parte della sensibilit del primo Romanticismo quest'apertura
soprattutto verso le religioni e le filosofie esotiche. Mentre gli Illuministi discettavano di
religione, ma poi in pratica conoscevano solo il Cristianesimo, i primi romantici
cercarono di apprendere il pi possibile delle religioni orientali, spesso per contrapporle
alla religione cattolica; ma questa cultura si diffuse, al punto che anche un cattolico e
alfiere della Restaurazione come de Maistre dissert di un testo indiano, i detti di Manu; e
Friedrich Schlegel (1772-1829) nel 1806 pubblic un libro di successo, ber die Sprache
und Weisheit der Indier, in cui fra l'altro affermava la parentela di latino, greco,
germanico, persiano e antico indiano, sulla base di confronti precisi. Non va taciuta la
componente nazionalistica: gi nel Settecento era stata lanciata la teoria scitica, che aveva
avuto successo esclusivamente tra i dotti del Nord Europa. Gli Sciti erano una
popolazione iranica che abitava anticamente nell'attuale Russia meridionale, in parte
dell'attuale Ucraina, e nei vasti bassopiani attorno al Mar Caspio, in zone che nei primi
secoli del Medioevo furono invase dai Turchi o si slavizzarono. L'ultima popolazione di
origine scitica che oggi rimanga sono gli Osseti del Caucaso, che parlano ancora una
lingua iranica, diversissima dal persiano moderno. Dunque secondo questa teoria scitica
l'origine comune del latino, del greco, del celtico, delle lingue germaniche sarebbe da
cercare fra questi Sciti: da essi sarebbero derivati quasi tutti i popoli dell'Europa. Questa
teoria non incontr nessun favore tra i dotti italiani, che vedevano scalfito il primato del
latino a favore di qualche lingua pi settentrionale che, secondo le idee di allora
(divergenti fra i vari studiosi) avrebbe mantenuto pi incontaminata l'eredit scitica.
Schlegel di fatto formul una versione riveduta e corretta della teoria scitica perch
secondo lui il sanscrito sarebbe la madre di tutte le lingue europee: ma in questo modo,
secondo le concezioni di allora, egli poneva in pratica come antenati degli Europei quegli
stessi Indiani che avevano composto i Veda, le Upanisad e le altre opere religiose e
filosofiche tanto apprezzate in quel periodo. Va rilevato che per tutta la prima parte del
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secolo XIX, e specialmente agli inizi, la glottologia fu una scienza quasi interamente
tedesca: poi a poco a poco si trovano dei linguisti d'altra origine, che per lo pi si erano
per formati in Germania o in ambienti di cultura tedesca; si pu dire che la supremazia
tedesca in questo campo sia durata per tutto il secolo. Perci, sia pure a rischio di fare
un'approssimazione eccessiva, penso non sia azzardato dire che in fondo questi studiosi
erano animati anche dal desiderio di ricostruire le proprie origini nazionali, di dare al
proprio popolo un passato antico e glorioso. Questo si pu vedere meglio considerando la
scarsa risonanza che ebbe la comparazione tra le lingue ugrofinniche: in realt la
linguistica comparata era stata inventata gi qualche anno prima del fatidico 1816 da
parte di Ungheresi: i dotti Sainovics Jnos (un astronomo gesuita dorigine ungherese,
che soggiorn in Lapponia per vedere certi fenomeni celesti) e Gyarmathi Smuel,
rispettivamente nel 1771 e 1799, avevano gi pubblicato delle grammatiche comparate
delle lingue ugrofinniche. sorprendente soprattutto la vastit di conoscenze del secondo
autore: mentre il primo aveva comparato l'ungherese solo col lappone e col finnico, l'altro
vi aggiunse l'estone (molto vicino al finnico), le lingue ugrofinniche del Volga come
mordvino e ceremisso, e perfino le lingue della Siberia occidentale, parlate nella zona del
fiume Ob, come vogulo e ostiaco; e scoperse che proprio queste ultime, le pi distanti,
presentano le maggiori affinit con l'ungherese. Ma questi studi non ebbero grande
diffusione e grande successo perch trattavano di lingue che nell'ottica di allora avevano
poco interesse.
Per questi motivi, diventato ormai tradizionale far risalire l'inizio della
linguistica storica (e praticamente l'inizio della linguistica tout court) al 1816, anno in cui
a Francoforte sul Meno usc il volume di Franz Bopp ber das Conjugationssystem der
Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen
und germanischen Sprachen (il sistema di coniugazione del sanscrito comparato con
quello del greco, latino, persiano e germanico). Questo Bopp (1791-1867) si era dedicato
allo studio delle lingue orientali (ebraico, arabo, persiano) e per questo nel 1812 si rec a
Parigi dove c'erano maggiori possibilit di studiarle. Frequent i corsi di arabo di S. de
Sacy, di persiano di A. de Chzy e studi il sanscrito praticamente da solo, con l'aiuto
della grammatica di Colebrooke, sui manoscritti che erano stati portati dall'India a Parigi.
In soli 4 anni divenne un vero esperto di questa lingua difficilissima, e cos nel 1816
pubblic alcune traduzioni dal Maha@bha@rata e dal Ra@ma@yana, insieme con
quell'opuscolo sul sistema della coniugazione. E' interessante notare che in questo modo
egli trov subito la strada giusta per affrontare il problema: non si attard nella ricerca
etimologica, per la quale ancora non era stato elaborato un metodo, e che potrebbe dare
risultati ingannevoli: infatti le parole possono essere copiate da una lingua all'altra (in
questo caso i linguisti parlano di prestiti), ad esempio la parola per "televisione" oggi
diffusa con suoni simili in moltissime lingue del mondo; ed anche nell'antichit si
potevano verificare casi del genere, di parole che si diffondevano in lingue appartenenti a
famiglie diverse. La parola per "toro" nota in quasi tutte le lingue indoeuropee
dell'Europa ed in tutte le lingue semitiche: in latino taurus, in greco cu,, tauros, in
osco taurom, in umbro turuf, toru "tauros" (per chi non lo sapesse, si precisa che l'osco
era la lingua dei Sanniti, dei Sabini e della maggior parte degli antichi abitanti dell'Italia
centro-meridionale, ed era strettamente collegato all'antico umbro), in gallico tarvos, in
medio irlandese tarb, in antico slavo turu* "uro", in lituano tauras "bisonte", in antico
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prussiano (lingua baltica oggi estinta, affine al lituano) tauris "id.", in antico islandese
iorr, in olandese dialettale deur, in antico alto tedesco stior con l'aggiunta di s- iniziale;
questa parola non ha corrispondenti nelle lingue indoeuropee fuori dell'Europa, ma in
compenso la si ritrova in tutte le lingue semitiche: in accadico suru, in arabo awr, in
ebraico r, in siriaco taura@, in etiopico (ge'ez) sor, in ugaritico r (la scrittura indica solo
le consonanti, il lettore deve immaginarsi le vocali: forse si pronunciava qualcosa come
[o:r] o [aur]), in antico sudarabico epigrafico wr (anche qui, le vocali non si
scrivevano); in complesso si pu ricostruire per il semitico una forma originaria *awru
(si mette l'asterisco davanti a tutte le forme non attestate), mentre per le lingue
dell'Europa pi difficile ricostruire una forma unica; si convinti che si tratta di una
parola non indoeuropea, diffusa relativamente tardi, dopo lo spezzarsi dellunit
indoeuropea. Uno studioso danese di cui ci occuperemo fra poco, Rasmus Rask, diceva in
quegli stessi anni che si debbono confrontare non parole come questa, che possono essere
imitate da una lingua all'altra, ma parole che fanno parte del lessico fondamentale della
lingua, come i nomi di parentela, i nomi dei numeri, ecc.; in linea di massima aveva
ragione, per noi sappiamo che anche il lessico della parentela pu essere (almeno
parzialmente) influenzato da altre lingue: senza andare a cercare in lingue esotiche,
vediamo che l'ingl. uncle, aunt, grandfather, grandmother derivano in modo diretto o
indiretto dal francese medioevale; quanto ai nomi dei numeri, anch'essi possono passare
da una lingua all'altra: in swahili si pu contare coi numerali bantu e coi numerali arabi, e
soprattutto nel caso dei numeri pi "marcati" [sulla marcatezza dei numeri si veda quanto
dice Greenberg, che sar trattato pi avanti nel programma] quelli di origine araba hanno
soppiantato gli indigeni. Invece le desinenze verbali, soprattutto quando c' una ricca
flessione come nelle lingue indoeuropee antiche, non si copiano da altre lingue ma si
ereditano
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: cos per esempio abbiamo il rumeno che contiene moltissime parole slave, ma
se si guarda alla coniugazione si trova quel che segue (le vocali toniche sono sottolineate,
la a* si pronuncia centralizzata, la t7 si pronuncia come una zeta sorda dell'italiano):
(verbi a termina "terminare", a intra "entrare")
eu termin eu intru
tu termini tu intri
el, ea termina* el, ea intra*
noi terminam noi intram
voi terminat7i voi intrat7i
ei, ele termina* ei, ele intra*
Dunque il rumeno si riconosce immediatamente come appartenente alla stessa famiglia
linguistica dell'italiano, e diversissimo invece dal serbocroato o dal polacco.
Vediamo ora le coniugazioni con cui ebbe a che fare il Bopp: inserisco anche l'antico
slavo, che solo in un secondo tempo egli prese in considerazione.
sanscrito greco latino gotico slavo
sing. bhara@mi "io porto" 1:,. phro fero baira bero7
bharasi 1:,:., phreis fers bairis berei

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Pare che esista nel mondo un solo controesempio, l'aleuto dell'isola di Mednyj che avrebbe appiccicato ai
verbi aleuti le desinenze del russo: cfr. S.G. THOMASON, T. KAUFMAN, Language Contact, Creolization,
and Genetic Linguistics, Univ. of California Press 1988, pp. 233-238; ma anche questo contestato
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bharati 1:,:. phrei fert bairi beretu*
duale bhara@vas bairos bereve#
bharathas 1:,:. phreton bairats bereta
bharatas 1:,:. phreton berete
plur. bhara@mas 1:,:. phromen ferimus bairam beremu*
bharatha 1:,:: phrete fertis bairi berete
bharanti 1:,uc. phrousi ferunt bairand bero7tu*
(dor. phronti)

Il verbo preso in considerazione corrisponde in tutte le lingue, ed ha ovunque il
significato approssimativo di "portare": in latino verbo irregolare, atematico, ma per un
confronto non approfondito lo si pu usare lo stesso. Quanto alla pronuncia, quella che si
indicher sar in molti casi approssimativa e congetturale, trattandosi di lingue morte:
comunque in sanscrito le consonanti seguite da h si pronunciano realmente come aspirate
(cio come b+h, t+h, g+h, ecc.); in greco, nel periodo pi antico doveva esserci una
pronuncia analoga (cio [ph], [th], [kh]); ou del greco si pronuncia convenzionalmente
[u], ma anticamente doveva essere una [o] lunga e chiusa; in gotico, ai probabilmente si
pronunciava [e] lunga, era una spirante simile al th dell'ingl. thin; in antico slavo, le
vocali col gancio sotto vanno pronunciate nasali, la e con la pipetta doveva essere lunga, i*
ed u* dovevano essere due vocali brevissime che ben presto scomparvero.
Siccome le lingue indoeuropee antiche possedevano un ricco sistema di casi, il confronto
della morfologia pu essere portato avanti anche riguardo alla declinazione: si prenda ad
esempio la radice *ped- "piede" (in greco compare come pod-, per il fenomeno che i
linguisti chiamano alternanza apofonica):

sanscrito greco latino
Sing. Nom. pa@t vu, pos (da *pods) pes (da *peds)
Acc. pa@dam v:c poda pedem
Genit. padas v:, pods pedis
Dat. pade pedi
Locat. padi Dativo v:. pod Ablat. pede
Plur. Nom. padas v::, pdes pedes
Genit. pada@m v:.. podn pedum
Dat. padbhyas pedibus
Locat. patsu Dativo vc. po(s)s

Va detto che il sanscrito mantiene alcuni casi, come lo strumentale ed il locativo, che il
latino ed il greco hanno perso, ma le desinenze di questi casi a volte si sono mantenute
anche in queste lingue, con valore diverso: cos abbiamo visto che spesso il dativo greco
continua un antico locativo. Gi da questi piccoli esempi si pu capire che mentre la
somiglianza di queste forme abbastanza evidente, il confronto preciso dell'una con
l'altra e la spiegazione delle differenze che intercorrono richiede un notevole impegno:
proprio a questo lavoro Bopp dedic tutta la vita. Dai grammatici indiani egli aveva
imparato ad analizzare le diverse forme grammaticali in radice-tema-desinenza, ed in
questo modo scopriva altre coincidenze: ad esempio, se si analizzano due verbi latini di
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diversa coniugazione in radice e desinenza soltanto, si vede che le desinenze differiscono,
pur somigliandosi: a laud-o, laud-as laud-at si contrappone hab-eo, hab-es, hab-et;
riconoscendo invece la presenza di una vocale tematica (come facevano i grammatici
indiani), si pu scomporre laud-o, laud-a-s, laud-a-t che ha le stesse desinenze di hab-e-
o, hab-e-s, hab-e-t, e quel che cambia solo la vocale tematica. Sostantivi come lupus,
rex (da *reg-s), navis e manus hanno al nominativo la stessa desinenza in -s, e quel che fa
la differenza ancora la vocale tematica: in lupus -o- (forme del tipo lupos nom. sing.
sono attestate in latino arcaico), in rex manca, in navis -i-, in manus -u-; perci in
latino si parla oggi rispettivamente di temi in -o, in consonante, in -i, in -u. Proprio perch
il sanscrito tanto conservatore nella morfologia nominale, esso permette di spiegare
molte particolarit del greco e del latino che prima erano indicate semplicemente come
"eccezioni": cos ad esempio esso conosce, come si visto, un caso locativo che esce in -
i, che spiega automaticamente alcune parole isolate: lat. domi "a casa", ruri "in
campagna", Romae (arcaico Romai) "a Roma"; in greco c' .-. okoi "a casa" distinto
per l'accento dal nominativo plurale .-. okoi "case". Il sanscrito molto conservatore
anche nel consonantismo, invece ha innovato il vocalismo (le antiche e ed o sono
confluite in a), ma questo Bopp non lo sapeva, e fino all'ultimo quarto dell'Ottocento non
lo si seppe: cos tutti i linguisti si immaginavano una lingua madre indoeuropea
vicinissima al sanscrito.
Negli stessi anni in cui Bopp cominciava i suoi studi un giovane linguista danese,
Rasmus Rask (1787-1832) scriveva una dissertazione intitolata Undersgelse om det
gamle Nordiske eller Islandske Sprogs Oprindelse (ricerche sull'origine della lingua
antico-nordica o islandese), che era gi pronta nel 1814, ma fu pubblicata solo nel 1818:
in essa erano poste le basi della comparazione linguistica, si riconoscevano per la prima
volta le leggi fonetiche ed anzi si individuavano perfino le regole di corrispondenza tra le
consonanti delle lingue germaniche e quelle della altre lingue indoeuropee; va notato che
a quel tempo l'autore non conosceva il sanscrito e nondimeno giungeva a identificare
chiaramente la famiglia linguistica indoeuropea, sulla base di raffronti etimologici precisi
e metodologicamente esatti. Ma essendo scritta in danese quest'opera ebbe scarsa
diffusione: invece fu molto pi grande la risonanza che ebbe, subito dopo. la Deutsche
Grammatik di Jakob Grimm, uscita in prima edizione nel 1819. Questo studioso (n. 1785,
m. 1863) si era occupato a pi riprese dell'antica poesia germanica, nel 1812 insieme col
fratello Wilhelm aveva cominciato a pubblicare le Kinder- und Hausmrchen (le famose
fiabe: il secondo volume usc nel 1815, il terzo nel 1822), e pi tardi diede alle stampe
quello che considerato ancor oggi il pi completo lessico della lingua tedesca
(Deutsches Wrterbuch, pubblicato a Lipsia dal 1852 in poi): come si vede i suoi interessi
spaziavano su tutto quanto riguardasse le radici del popolo tedesco, e certamente lo si pu
considerare il pi grande studioso di antichit germaniche della sua epoca. La sua
Grammatica tedesca in realt una grammatica comparata delle lingue germaniche, usc
in diverse edizioni tra il 1819 e il 1837, e vi si trova esposta in modo chiaro la famosa
"rotazione consonantica" delle lingue germaniche, regolata da quelle che si chiamarono
poi "leggi di Grimm" [in realt sappiamo che le aveva enunciate prima Rask, ma il nome
rimasto]. Ci si pu soffermare di pi su questo argomento, visto che fu la prima legge
fonetica importante ad essere scoperta, ed ebbe un enorme impatto sulla linguistica
dell'Ottocento.
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Secondo la prima di queste leggi, le consonanti occlusive sorde (che nelle lingue
indoeuropee dellEuropa occidentale ci risulta che fossero *p, *t, *k, ed infine *kw scritta
anche *qu) diventano in germanico delle spiranti, rispettivamente f, , h, hw. Esempi:
sanscr. pitar- "padre" (al nom. pit, negli altri casi c' una radice pitar- o pitr-), lat. pater,
gr. vcj, patr, gotico fadar [si vedr poi per quale motivo all'interno c' -d- quando ci
aspetteremmo --]; sanscr. pau "bestiame", lat. pecus -oris "bestiame" (soprattutto le
pecore: per il derivato pecunia indica gli averi), got. faihu "denaro, averi" (ma il ted.
Vieh, della stessa radice, significa ancor oggi "animale, bestia"); sanscr. trayas "tre", gr.
,:., treis lat. tres, got. *reis ( attestato il neutro rija, corrispondente al lat. tria); lat.
tego "copro", tegula, toga, ant. nordico ak "tetto" (in gotico, lingua che conosciamo solo
parzialmente, questa parola non attestata; il ted. medioev. dah e il ted. mod. Dach
risentono della seconda rotazione consonantica, uno sviluppo tipico del tedesco
centromeridionale); lat. centum (pron. /kentum/), gr. he-katn, sanscr. atm, got. hund;
lat. cor, cordis, gr. -c,:.c karda, got. hairto; lat. caput, got. haubi; sanscr. kas, kim
(pronomi interrogativi), gr. ts, t, lat. quis, quid, got. hwa "perch", hwan "quando"; lat. -
que, sanscr. ca, gr. : te, got. -h in nih = lat. neque "n" [va detto che la q si conserva solo
in latino, in sanscrito diventa k; in greco diventa t davanti a vocale palatale, e p nella
maggioranza dei casi].
Le consonanti aspirate del sanscrito e del greco (che in latino ed in altre lingue
indoeuropee sembrano essere state piuttosto delle spiranti) diventano occlusive sonore
nelle lingue germaniche (ma si hanno fondati motivi di pensare che in gotico ed altre
lingue germaniche antiche fossero in realt delle spiranti sonore): in altre parole, si ha bh
dh h (gh) in sanscrito, ph th kh in greco, a cui risponde il latino con f all'iniziale per *bh e
*dh, ma all'interno di parola b o d; per *gh spesso in latino si trova h; nelle lingue
germaniche questi suoni diventano b, d, g; per l'indoeuropeo si ricostruisce anche un
fonema *ghw che in germanico diventa gw e poi w. Riassumendo, quello che (con
infinite riserve e dubbi) si ricostruisce come *bh, *dh, *gh, *ghw diventa in germanico b,
d, g, w. Esempi: scr. bhra@tar- fratello (Nominat. bhra@ta@, negli altri casi si trova bhra@tar-
o bhratr-), gr. 1,cj, phrater "membro d'una fratria", lat. frater, got. broar; scr.
bhara@mi "io porto", lat. fero, gr. 1:,. phero, got. baira; gli esempi con *dh sono
complicati dalla cosiddetta legge di Grassmann, per cui in sanscrito e greco quando ci
sono due aspirate nella stessa parola una delle due (di solito la prima) si deaspira: scr.
duhitr- (Nom. duhita) "figlia", gr. -u,cj, thygter, got. dauhtar (la forma base
dev'essere stata *dhughter- o qualcosa di simile); da una radice *dheigh-, cfr. scr. dheksi
"tu ungi", degdhi "egli unge" (in sanscrito la radice dev'essere stata in un primo momento
*dhegh- e le desinenze di 2
a
e 3
a
persona rispettivamente -si e -ti; da *dhegh-si, per le
note leggi di assimilazione consonantica del sanscrito, si arriva a dheksi; da *dhegh-ti
invece si avr prima *degh-ti, poi per la legge di Bartholomae degdhi: secondo questa
legge, quando all'inizio di un gruppo di occlusive c' una sonora aspirata, le consonanti si
sonorizzano e l'aspirazione passa in fondo: un esempio famoso si ha dalla radice budh-
"illuminare", che al partic. pass. combinandosi col suffisso -ta fa buddha); sempre da
questa radice *dheigh-, in gr. si ha :., teikhos "muro", in lat. figulus "pentolaio",
fingo "impasto, formo", in osco fehss "i muri (Acc.)", in got. deigan "impastare"; per la
*gh, vediamo il gr. ,, khortos "luogo cintato, corte", lat. hortus, got. gards "casa,
cortile"; per *ghw si ha scr. gharms, gr. -:,, therms, lat. formus "caldo", a cui
12
corrisponde in got. warmjan "scaldare", in ant. nordico varmr, ant. alto tedesco e ant.
sassone warm "caldo".
Le antiche consonanti occlusive sonore dell'indoeuropeo nel germanico comune
diventano sorde: dunque *b, *d, *g, *gw diventeranno p, t, k, kw. In realt la *b
rarissima e dubbia nelle parole comuni a tutte le lingue indoeuropee, per le quali si possa
ragionevolmente supporre un antecedente nella lingua madre: in got. ci sono diverse
parole con p, ma nessuna sembra appartenere al patrimonio ereditario della lingua.
Quanto a d, si possono citare i seguenti esempi: scr. daa dieci, gr. ::-c dka, lat.
decem, got. taihun; gr. deik-ny-mi "io mostro", lat. dico, got. ga-teihan "annunciare". Per
la *g possono valere i seguenti esempi: scr. janati "egli sa", part. pass. jatas, gr.
,.,..c-. gi-gno-sko "conosco" (radice *gno@- con raddoppiamento ed ampliamento in
sk-), lat. nosco (da *gnosco, che appare nel composto co-gnosco), got. kunnan "sapere";
scr. josati "egli gusta, ama", gr. ,:u. geo "gustare" (da *geuso), lat. gus-tus, got. kiusan
"provare" (che in lingue germaniche. successive ha acquisito il valore di "scegliere,
eleggere"). Quanto alla labiovelare *gw, si pu citare scr. gurus "grave; maestro, guru",
gr. c,u, bars "pesante", lat. gravis, got. kaurus; scr. jigati "egli va" (radice
raddoppiata), gr. c... bano "io cammino" (da *banio<*gwan-io), lat. venio (da
*gwenio), got. qiman "venire"
3
.
E' opportuno qui che io faccia una precisazione: le forme indoeuropee ricostruite che
presento non sono quelle che immaginavano i linguisti del primo Ottocento, ma quelle
dei linguisti che al nostro tempo non accettano la teoria delle laringali (un'ipotesi
sull'indoeuropeo che tuttora controversa); come ho gi avvisato prima, non credo che
sia opportuno presentarvi, accanto alle intuizioni giuste, tutte le ingenuit dei linguisti di
allora, che erano troppo affascinati dal sanscrito e lo vedevano, se non come la lingua
madre di tutto il gruppo, certo come vicinissimo ad essa. Anche il nome di "rotazione
consonantica" dovuto ad un'inesattezza dei linguisti dell'Ottocento: educati alla
terminologia dei grammatici greci, essi non parlavano di occlusive sorde, ma di "tenui";
le occlusive sonore erano "medie"; poi c'era le terza serie, le "aspirate", che per loro non
erano ben distinte dalle spiranti. Per intenderci, una spirante ad esempio la f; un'aspirata
simile come luogo di articolazione il suono ph, ad esempio nell'ingl. pipe. Spirante
dentale sorda il suono dell'inglese thin; l'aspirata dentale si sente bene nella pronuncia
tedesca della parola Tier. Storicamente una simile terminologia si spiega con le
condizioni della lingua greca antica: gli antichi grammatici distinguevano tra le tenui p, t,
k, le aspirate ph, th, kh, e le medie (che cio non erano n aspirate n tenui) b, d, g. Ma
poi in et ellenistica le aspirate e le medie si spirantizzarono, arrivando a pronunce del
tipo [f], [], [x] (quelle che prima erano aspirate) e [v], [D], [,] (quelle che erano dette le
medie). Nella tradizione umanistica dellEuropa occidentale le aspirate del greco antico
furono recepite alla bizantina, come spiranti sorde (in modo pi o meno coerente, e
sempre con forti influssi delle abitudini fonetiche di chi studiava questa lingua); invece le
medie furono recepite come occlusive sonore, alla maniera antica. Questa tradizione

3
Per un'esposizione pi completa della seconda rotazione consonantica si pu vedere R. GUSMANI,
Elementi di fonetica storica delle lingue indoeuropee, ed. Peloritana, Messina 1971, pp. 98-105. Una
precisazione per gli studenti: ho ritenuto necessario esporre ed illustrare queste leggi per far capire il
genere di problemi che trattavano i linguisti dell'Ottocento, ma non penso sia necessario, nell'economia del
presente corso, impararle minuziosamente con tutti gli esempi.].
13
culturale influenz la linguistica delle origini e daltra parte i linguisti di quel tempo sono
da comprendere, erano dei pionieri che avevano studiato (spesso da autodidatti o quasi)
sanscrito, avestico, gotico, lituano e chiss quante altre lingue, e forse proprio per questo
non avevano ancora avuto il tempo di creare una terminologia adeguata; per oggi anche
gli studenti di Linguistica o di Glottologia sono tenuti a distinguere fra aspirate e spiranti.
Dunque i mutamenti fonetici del germanico erano visti come una rotazione:



Tenui Aspirate


Medie

Si tratta di un cambiamento fonetico imponente, che coinvolge la maggior parte delle
consonanti e modifica profondamente l'aspetto delle parole: gi dai pochi esempi citati si
trovano connessioni insospettate, come quella tra il ted. kommen, ingl. to come e l'it.
venire; o quella tra l'it. gusto e l'ingl. to choose. Per decenni queste leggi ebbero
un'importanza fondamentale nella ricerca linguistica, e non solo perch permettevano
finalmente di fare delle etimologie non pi semplicemente ad orecchio, ma con un
metodo affidabile: non si deve dimenticare che esse riguardavano proprio le lingue
germaniche, che in ultima analisi erano quelle che pi importavano ai linguisti di allora.
Questa componente nazionalistica non va intesa in senso negativo: gli studiosi tedeschi
dell'Ottocento cercarono, vero, le origini e le tradizioni della propria nazione (attivit,
fra laltro, per nulla riprovevole, ma anzi meritoria), ma daltra parte erano uomini di
grande cultura, e grandi umanisti. Vorrei che si comprendesse in che senso dico che erano
uomini di cultura: negli ultimi decenni si formata unidea di cultura che in qualche
modo limitativa; so che dire cos esagerato e non rende giustizia a molti, ma mi sembra
che in molte enunciazioni degli ultimi tempi la cultura faccia quasi la figura di una specie
di trastullo intellettuale: e certamente non era cos per questi studiosi tedeschi, che non
erano soltanto degli eruditi ma cercavano la verit, ed avevano presente il precetto
socratico conosci te stesso; perci per uomini del genere la cultura era una finestra che
li apriva alla conoscenza di se stessi e degli altri, ed infatti anche la loro curiosit
intellettuale era amplissima. Sempre nel corso del XIX secolo altri studiosi tedeschi,
praticamente dello stesso ambiente degli iniziatori dellindoeuropeistica, si lanciarono a
ricercare con la stessa foga le radici e le origini di altre nazioni: ad esempio il fondatore
della filologia romanza un altro tedesco, Friedrich Christian Diez (1794-1876); altri
linguisti contribuirono a dare delle radici ad un popolo che altrimenti forse le avrebbe
perdute, i Lituani; e gli slavisti tedeschi andarono perfino contro l'interesse della
Germania, perch contribuirono alla rinascita della cultura ceca, e cos finirono,
consapevolmente o no, con l'alimentare un nazionalismo che ben presto si sarebbe rivolto
contro di loro. Ho appena nominato la Lituania: i linguisti del XIX secolo si interessarono
molto a questo piccolo Paese perch scoprirono che la sua lingua presenta singolarissimi
tratti di arcaicit: pur essendo attestata solo in et moderna, conserva molti tratti
indoeuropei (ci sono otto casi, manca solo l'ablativo; l'accento libero e con due diverse
14
intonazioni, come in greco antico; sono mantenute le quantit vocaliche; il lessico
particolarmente conservativo; i mutamenti fonetici sono relativamente scarsi, molto meno
che nelle lingue slave). Nell'Ottocento alcune popolazioni lituane vivevano nel territorio
dell'Impero tedesco, in Prussia orientale: perci era particolarmente agevole per i linguisti
studiare questi dialetti. Il linguista pi notevole della seconda generazione, August
Schleicher (1821-1868) pubblic nel 1856-7 un Handbuch der litauischen Sprache che
ebbe grande importanza non solo per la glottologia: infatti il maggiore letterato lituano, e
padre della lingua lituana moderna, Jonas Jablonskis (1861-1930) nacque in territorio
russo, ma vicinissimo al confine tedesco, e perci parlava praticamente lo stesso dialetto
codificato da Schleicher, quindi si fond sulla sua grammatica per emendare la lingua
lituana, elevando a lingua letteraria proprio quel dialetto. Va precisato che, trattandosi di
una lingua senza tradizione letteraria ma affine al greco ed al latino, gli studiosi non
incontrarono grosse difficolt ad analizzarla: il punto su cui la grammatica di Schleicher
fu manchevole riguarda i toni, cio la distinzione di diversi toni nella sillaba accentata,
che non facile da individuare per chi non vi abituato.
Ma cerchiamo di rispettare la cronologia: lasciamo per un momento Schleicher e
torniamo ai primi decenni dell'Ottocento: in quel periodo alcuni studiosi riuscirono a
decifrare la scrittura geroglifica egizia (come pure la demotica) ed anche il cuneiforme
persiano (pi tardi, anche la scrittura cuneiforme assiro-babilonese). Forse saprete che fu
il francese Jean Franois Champollion a interpretare i geroglifici egizi, nel 1822; il
cuneiforme persiano antico fu decifrato una prima volta da Georg Friedrich Grotefend
(1775-1853) nel 1802, ma lo scopritore non pot portare avanti le sue ricerche e non le
pubblicizz a sufficienza, cos che si dovette attendere alcuni decenni, finch l'ufficiale
inglese Henry Rawlinson (1810-1895) si mise a studiare le grandi iscrizioni di Dario I a
Behistun (o Bisutun). In questo modo si conobbe una nuova lingua indoeuropea, detta
l'antico persiano: rispetto all'avestico si tratta di un altro dialetto, quello della Perside,
oggi Fars, la regione dove si trovava Persepoli (oggi la citt pi importante di quella zona
Shiraz), nel sudovest; da questa lingua deriva il persiano moderno. Per le iscrizioni di
Dario I erano tradotte anche in altre due lingue, l'elamico (lingua del Khuzistan, oggi
estinta, non appartenente a nessun gruppo linguistico conosciuto) e l'assiro-babilonese
(che si fa rientrare nell'accadico, cio nel ramo orientale delle lingue semitiche). La
decifrazione di quest'ultima lingua fu particolarmente faticosa perch la maggior parte dei
segni polifonica: per spiegare cosa significhi dir che anche l'inglese oggi ha un buon
grado di polifonia nel suo sistema ortografico: in questa lingua u a volte si legge /u/, a
volte /ju/, a volte //; in assiro-babilonese la cosa era pi complicata perch i segni
potevano avere diversi valori fonetici, ma potevano anche avere valori ideografici, e
potevano essere usati per scrivere parole sumeriche intercalate in un testo accadico come
ideogrammi; ancora oggi lo studio delle lingue semitiche di Mesopotamia richiede una
solida preparazione specialistica, e difficilmente si concilia con altri tipi di ricerca.
Torniamo ora a Bopp: nel 1821 egli ottenne a Berlino una cattedra di grammatica
comparata, e pass tutta la sua vita in questo tipo di ricerche. A partire dal 1833 pubblic
a fascicoli una grammatica comparata che inizialmente prendeva in considerazione
sanscrito, avestico, greco, latino, lituano, gotico e tedesco, poi egli riconobbe il carattere
indoeuropeo di lingue come l'antico slavo, l'antico prussiano, l'albanese; questa
grammatica fu completata nel 1852, ma subito dopo egli lavor ad una seconda edizione
15
riveduta, che usc tra il 1857 ed il 1861; prepar anche la terza edizione, uscita postuma
nel 1867. Dunque per un cinquantennio egli continu a lavorare su questo argomento,
dimostrando che con lo studio sistematico delle lingue, ed in particolare della grammatica
comparativa, si poteva fare una nuova scienza; per la prima volta nella storia cre una
scuola di studiosi professionali del linguaggio, e soprattutto per questo lo si pu
considerare il fondatore della linguistica. Alla sua morte era attiva una seconda
generazione di linguisti, che continu validamente la sua opera. Vediamo ora quali sono
le lingue indoeuropee oggi conosciute: abbiamo menzionato il sanscrito (e le lingue
neoindiane), poi vengono le lingue iraniche, che nella fase pi antica erano strettamente
affini alle parlate dell'India: un tempo esse avevano un'estensione territoriale molto
maggiore di oggi, ma anche ora non si riducono affatto al territorio dell'Iran. Oltre al
persiano moderno vero e proprio, lingua ufficiale dell'Iran, e che deriva dal persiano
antico delle iscrizioni cuneiformi, esiste il tagico (parlato oltre che in Tagikistan anche in
altre repubbliche dellAsia centrale) che una variante di persiano, come pure il
cosiddetto dari dellAfghanistan; altre lingue iraniche (ma pi distanti) sono il curdo
(usato soprattutto in zone di confine tra Iran, Turchia, Iraq), il baluchi (nella zona di
confine tra Iran, Afghanistan e Pakistan), il pashto o pashtun (lingua ufficiale degli
Afghani, ma diffuso anche in Pakistan), l'ossetico del Caucaso, e molti altri dialetti
isolati; delle lingue iraniche antiche conosciamo l'avestico e l'antico persiano epigrafico
(entrambe note in modo non completo a causa della scarsit di testi), poi nel Medioevo ci
tramandato il sogdiano (che fa parte delliranico orientale) ed altri dialetti, attestati
attraverso manoscritti dei Manichei o dei Buddhisti stabiliti nell'attuale Turkestan cinese
o Sinkiang. Nel tardo Ottocento ci si accorse che l'armeno non un dialetto iranico, ma
una lingua indoeuropea a s: le prime attestazioni risalgono al V sec. d.C., con la
cristianizzazione di quel popolo e la prima traduzione della Bibbia. Sono poi indoeuropee
le lingue slave (russo, bielorusso, ucraino, polacco, ceco, slovacco, sloveno, bulgaro,
croato, serbo ecc.): il pi antico documento che possediamo la traduzione della Bibbia
di Cirillo e Metodio, del IX secolo d.C., in un dialetto bulgaro-macedone che per a quel
tempo non doveva essere molto diverso da tutte le altre parlate slave. Le lingue baltiche
indoeuropee oggi sono il lituano ed il lettone (l'estone invece simile al finnico); fino al
XVII secolo si parlava anche il prussiano, e ne rimane qualche documento, in opuscoli di
argomento religioso scritti al tempo della Riforma protestante. Sono indoeuropee anche le
lingue germaniche, divise in un gruppo orientale (estinto) rappresentato soprattutto dal
gotico (ma sembra che parlassero dialetti affini anche Vandali, Eruli, Burgundi; una trib
di Goti si mantenne in Crimea almeno fino al XVI secolo), un gruppo occidentale che nel
Medioevo comprendeva l'antico altotedesco (da cui deriva il tedesco moderno), l'antico
sassone, il medio olandese, l'anglosassone, il frisone, nonch il basso tedesco o
Plattdeutsch (rimasto sempre un dialetto anche se in alcuni secoli ebbe un ruolo
notevolissimo); ed infine il gruppo nordico comprendente tutte le lingue scandinave,
naturalmente eccetto il finnico ed il lappone. Un tempo erano diffusissime in Europa le
lingue celtiche, che oggi sono tutte pi o meno moribonde: in primo luogo l'irlandese
gaelico, che ha una vasta letteratura ed oggi in Irlanda insegnato a scuola, ma come
lingua parlata ha un uso limitatissimo; il gaelico scozzese, confinato alle zone estreme
della Scozia; il gallese, usato nel Galles da una minoranza sempre pi ristretta; ed il
bretone, in netto declino (queste due lingue fanno parte del gruppo britannico). Sul gallico
16
antico (anchesso celtico) abbiamo scarse testimonianze. Queste lingue sono molto
complicate (specialmente l'irlandese) e molto evolute rispetto alle altre lingue
indoeuropee, per cui Bopp all'inizio non ritenne di doverle classificare in questa famiglia
linguistica; solo dopo che nel 1853 usc la Grammatica celtica di Johann Kaspar Zeuss si
riconobbe appieno la loro giusta collocazione. Nell'Europa meridionale, indoeuropeo il
greco, lingua ben conosciuta e di cui si pu seguire l'evoluzione per pi di tre millenni,
ora che sappiamo leggere i documenti di miceneo. Nell'Italia antica erano lingue
indoeuropee il latino, l'osco-umbro, il venetico, il messapico, probabilmente anche il
ligure ed il siculo; non era indoeuropeo invece l'etrusco. Inoltre, a partire dal 1915 si
cominciato a conoscere un altro gruppo di lingue indoeuropee antiche in Anatolia: l'ittito,
il luvio, il licio, il lidio; invece il frigio, pure esso parlato in Anatolia nell'et classica, era
anch'esso di origine indoeuropea, ma importato da popolazioni venute dalla Tracia. Si
noti che littito la lingua indoeuropea pi anticamente attestata, quella di cui
possediamo i pi antichi documenti scritti: ma per la ricostruzione si usa relativamente
poco, sia perch la scrittura cuneiforme usata nei testi talmente complessa ed imprecisa
da fornirci solo unidea molto approssimativa della lingua sottostante, sia perch la lingua
stessa doveva essere notevolmente evoluta. Delle antiche parlate della penisola Balcanica,
oltre al greco, sopravvive soltanto l'albanese che, pur molto evoluto e modificato
profondamente da influssi di altre lingue, nel suo nucleo risale ad una lingua indoeuropea
non altrimenti conosciuta. Infine bisogna menzionare una lingua scoperta con grande
sorpresa all'inizio del Novecento, in manoscritti medioevali buddhisti provenienti dal
Turkestan orientale: si tratta del tocario (ma non si sicuri che il popolo che la parlava
fossero proprio i Tocarii, attestati da fonti classiche ed orientali), che diviso in due
dialetti, chiamati A e B, e non mostra particolari affinit con le lingue indoiraniche, che
pure sono geograficamente le pi vicine.
Come si vede, alcune di queste lingue sono ben attestate, hanno una solida letteratura;
altre invece sono pochissimo conosciute, perch i testi che ce le tramandano sono troppo
scarsi, o troppo brevi, o ripetitivi. In una situazione del genere sono tutte le lingue
del'Italia antica eccetto il latino, le lingue anatoliche (le quali, pur essendo attestate in
epoca molto antica, appaiono evolute), il traco-frigio, il gallico, ecc.
Riprendendo la storia della linguistica dovr menzionare Wilhelm von Humboldt
(1767-1835). Si tratta di un uomo politico importante nel regno di Prussia all'epoca
napoleonica e nella Restaurazione: come ministro, fu proprio lui a fondare l'Universit di
Berlino, e vi chiam ad insegnare Bopp. Si occup di teoria del linguaggio in vari scritti,
e fra laltro si avvalse ampiamente di descrizioni di lingue esotiche lasciate da missionari
(soprattutto gesuiti), ma l'opera che rappresenta meglio il suo pensiero (specie
nell'introduzione) sembra ber die Kawisprache auf der Insel Jawa, pubblicata postuma
dal 1836 al 1840. Questa lingua kawi in realt l'antica lingua letteraria dell'isola di
Giava, usata fra il X e il XVI secolo; poi, col prevalere dell'Islm, i seguaci degli antichi
culti si rifugiarono a Bali dove continuarono le loro tradizioni. Questa letteratura
giavanese fortemente influenzata dal sanscrito: lo stesso nome kawi parola sanscrita
(nella traslitterazione ordinaria kavi) e significa "poeta", e kvya significa "arte poetica"
(ma per noi quello stile artificioso tipico della poesia sanscrita tarda). Il kawi una
lingua colma di prestiti sanscriti, e la letteratura in questa lingua quasi interamente di
derivazione indiana: ma curiosamente si molto radicata nel Paese, al punto che gli eroi
17
del Maha@bha@rata come Arjuna furono ben presto creduti degli antichissimi re di Giava; e
poi l'epica indiana non fu semplicemente tradotta, ad esempio il Ra@ma@@yana in kawi
riprende una versione abbreviata in sanscrito (kvya) del poema indiano, ma lo rif
completamente. Questo rifacimento, e questo appropriarsi dei poemi indiani, sono forse
pi evidenti nell'altro grande poema kawi, il Bharata Yuddha, che contiene la battaglia
finale del Maha@bha@rata. In questo poema esistono lunghe (e per noi abbastanza noiose)
descrizioni della natura che sembra partecipare all'azione nonch ai turbamenti degli eroi;
ma la natura qui descritta tipicamente giavanese, non certo indiana, le piante e gli
uccelli sono quelli familiari a Giava. Tornando a Humboldt, possiamo dire che egli non si
limit al kawi, ma abbozz una grammatica comparativa delle lingue maleo-polinesiache,
che aveva in parte conosciuto nei suoi viaggi (una famiglia grandissima, con enorme
estensione territoriale: ne fanno parte, oltre alle lingue dell'Indonesia ed al malese, le
lingue delle Filippine, della Melanesia Micronesia e Polinesia, qualche lingua minoritaria
del Vietnam, il Maori della Nuova Zelanda, alcune lingue della Nuova Guinea nella parte
pi orientale, ed infine il malgascio, lingua nazionale del Madagascar: in parte queste
lingue si diffusero per emigrazioni, in parte furono adottate da popolazioni allogene);
per, come del resto era logico, egli non part da lingue puramente orali, ma dalla lingua
di quel gruppo che aveva la pi solida tradizione letteraria. Si pu dire che questuomo
sinteress di linguistica da diversi punti di vista: la linguistica descrittiva (oltre alla
grammatica del kawi ne pubblic una del basco, lingua che aveva studiato sul campo); fu
il primo, si pu dire, a trattare con competenza di linguistica teorica; parimenti inizi gli
studi sulla tipologia linguistica; ma si occup anche di linguistica storico-comparativa, sia
con la sua ricostruzione della famiglia maleo-polinesiaca, sia con alcuni contributi teorici
alla ricerca in campo indoeuropeo. Leggendo il manuale della Morpurgo
4
, nel capitolo
dedicato a questo autore si trovano esposte molte delle sue idee (notissima e molto citata
lidea che la lingua non un ergon, ma una enrgeia; in altre parole non un tutto in s
compiuto e concluso ma unattivit creativa, capace di rinnovarsi continuamente), che
spesso si sono rivelate geniali e precorritrici, sostenute com'erano da una cultura
eccezionalmente vasta e profonda, e concepite da un ingegno non comune. Ma va pure
detto che non ebbe un grande seguito perch a quel tempo i risultati della ricerca
linguistica non offrivano sufficiente materiale per proseguire sulla strada di
considerazioni generali e di costruzioni teoriche: in pratica tutto quello che si poteva
teorizzare in quegli anni fu gi lucidamente esposto da lui, e per continuare la sua opera
occorreva il lavoro di altre generazioni.
Passiamo quindi alla seconda generazione di linguisti: nel campo indoeuropeo, il
personaggio forse pi rappresentativo il gi citato August Schleicher (1821-1868).
Aveva studiato linguistica e filosofia a Bonn, e si era imbevuto di idee hegeliane; coltiv
come seconda passione la botanica (qualcuno disse che la linguistica per lui era la moglie
legittima, e la botanica l'amante), e ader alle teorie di Darwin. La sua opera principale il
Compendium der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen, Weimar
1861; suo merito l'aver dato risalto alla fonetica, ed aver trattato di "suoni" anzich di
"lettere" (cio non diceva pi, come i primi comparatisti, che alla lettera c- del latino
corrisponde la lettera h- nelle lingue germaniche: diceva giustamente che il mutamento

4
Anna MORPURGO DAVIES, La linguistica dellOttocento, ed. Il Mulino, Bologna 1996.
18
avvenne tra suoni); suo anche il primo coerente tentativo di ricostruzione della lingua
madre indoeuropea. Gi Bopp aveva ipotizzato che doveva essere esistita una lingua
madre da cui derivarono tutte le lingue indoeuropee storicamente conosciute; ma
Schleicher si spinse oltre, tent di ricostruire le parole indoeuropee, e scrisse perfino una
favoletta in quello che per lui era l'indoeuropeo. Si pu vedere l'inizio di questa favoletta,
cos come la scrisse lui:

Avis akvasas ka
avis, jasmin varna na a ast, dadarka akvams, tam, vagham garum vaghantam, tam,
bharam magham, tam, manum aku bharantam.
trad.: (una) pecora, sulla quale lana non era, vide cavalli, quello (un) carro pesante
tirando, quello (un) peso grande, quello (un) uomo velocemente portando.

Oggi le singole parole si ricostruirebbero diversamente: si scoperto che una legge
fonetica del sanscrito, e non la situazione originaria, la riduzione di e ed o ad a; inoltre si
scoperto che le consonanti velari dovevano essere tripartite, dovevano cio esistere delle
velari pure, delle palatali (trascritte k$, g$, k$h, g$h), e delle labiovelari, cio suoni del tipo
qu-: queste ultime si trascrivono qu o kw o anche q
w
, k
w
(la sorda), g
w
, gu8, gw (la sonora),
e infine g
w
h, gu8h o gwh (la sonora aspirata). Perci nel 1939 un altro indoeuropeista,
Hermann Hirt, prov a riscrivere la favoletta nel modo seguente:

ou8is ek$u8oses-que
ou8is, jesmin u8l9na ne est, dedork$e ek$u8ons, tom, u8og$hom gWrum u8eg$hontm9, tom, bhorom
megam, tom, ghmonm9 ok$u bherontm9.

Vediamo le singole parole: "pecora" in sanscr. avis, in gr. ., ois (da *owis: la -w-
interna sparita senza lasciar traccia, come spesso accade in greco), in lat. ovis, in lit.
avs. Quanto alla parola per "cavallo", in scr. avas (dunque allinterno c una
*k$ palatale + w), gr. .vv- (hippos), lat. equus, a. irl. ech, gall. epo-, got. aihwa-: la
desin. di Nom plur. doveva essere in -es, ma forse in temi in -o come questo contraevano
os-es in -o@s, e quindi forse da ricostruire *ek$wo@s. Quanto alla congiunzione -que, la si
ritrova tale e quale in lat., in scr. diventata ca per note leggi fonetiche: in questa lingua
la qu- diventa k-, poi davanti ad -e la k- si palatalizza, poi la -e cambia in -a (*kwe > *ke
> *ce > ca, pronunciato come it. cia); il gr. ha :, perch in questa lingua una *qu-
davanti a vocale palatale (e, i) diventa t-. Quanto al pronome jasmin o iesmin,
ricostruito sulla base del scr. yasmin, locativo del pron. ya-: ma sulla base del gr. j (nom.)
si potrebbe anche ricostruire *iei. La parola per "lana" in scr. urna, in gr. `j.- lens
(dor. `c.- lans), lat. lana, got. wulla: si pu ricostruire un *u8l9@na, se si ammette che
nell'indoeuropeo esistessero sonanti lunghe, oppure in caso contrario *u8lna.
Dubito che valga la pena di continuare a discutere tutte le singole parole del testo,
tanto pi che in seguito, pi per gioco che per convinzione, altri linguisti provarono a
riscrivere la stessa favoletta, secondo le loro teorie. Ma non ci si fa illusioni sulla
possibilit di queste ricostruzioni, tanto pi che in questo lavoro si rischia sempre di
proiettare su un unico piano fatti linguistici che in realt si sono verificati in epoche
successive; la distanza fra le lingue indoeuropee attestate e la lingua madre troppo
19
grande perch si possa capire con sufficiente chiarezza come funzionava questa lingua,
mentre invece si pu parlare con molto pi sicurezza di germanico comune, o di slavo
comune, perch conosciamo lingue molto vicine a quella fase. Comunque oggi usiamo
scrivere le parole di indoeuropeo ricostruito con un asterisco, come formulette comode
per evitare di citare tutte le forme realmente attestate nelle lingue storiche.
Di Schleicher rimasto famoso un opuscolo, una lettera intitolata La teoria
darwiniana e la linguistica (1863), in cui afferma che, come le specie animali o vegetali,
anche le lingue hanno una vita, sorgono, crescono e poi invecchiano e muoiono (va detto
che a quel tempo era convinzione comune che le lingue indoeuropee nel periodo della
loro formazione non si fossero evolute con le stesse modalit osservate nelle lingue
storiche: questa scuola di pensiero si dice antiunitaria); anche alle lingue secondo lui si
possono applicare i concetti di "famiglia", anzi per la famiglia indoeuropea egli disegn
un vero e proprio albero genealogico, oggi non pi accettabile:

b a l t i c o s l a vo c e l t i c o i t a l i c o gr e c o a l b a n e s e i r a n i c o i n d i a n o
ge r m a n i c o l i t u s l a vo i t a l o c e l t i c o gr e c o a r i o
n o r d e u r o p e o a r i o gr e c o i t a l o c e l t i c o
i n d o e u r o p e o

Oggi non si crede pi a questo albero genealogico per vari motivi: in molti casi si ha
l'impressione che ci siano state delle migrazioni, per cui alcuni popoli indoeuropei che ora
si trovano vicini possono non esserlo stati in un passato remoto; d'altra parte certo che
le lingue indoeuropee nelle loro sedi storiche si influenzarono reciprocamente: il caso pi
tipico riguarda le antiche lingue italiche le quali probabilmente (a differenza di quanto
pensava Schleicher) in origine non formavano per nulla un gruppo all'interno
dell'indoeuropeo, ma poi trovandosi vicine cominciarono ad imitarsi reciprocamente, ed
infine risentirono tutte dell'influsso latino; sono poi noti gli antichi influssi iranici sullo
slavo.
Comunque, in pochi anni dopo la morte di Schleicher il panorama delle cognizioni
riguardanti le lingue indoeuropee cambi radicalmente. Ho gi menzionato la legge di
Grassmann: questo studioso la espose nel 1863, in un articolo sulla "Zeitschrift fr
vergleichende Sprachforschung", come spiegazione di alcuni fatti del germanico che non
si inquadravano nelle leggi di Grimm: infatti se si trovano parole come sanscr. bandhas
"legame", bandhus "parente", il collegamento con il gr. v:.-:,, (penthers) "suocero",
e il got. bindan "legare" sembra impossibile: invece, sapendo che in greco e sanscrito,
ogni volta che in una parola si trovavano due aspirate, la prima si deaspirava, si pu
20
agevolmente ricostruire alla base di tutti questi vocaboli una radice *bhendh-, in cui tutti
rientrano perfettamente (per le leggi di Grimm, le cosiddette medie aspirate in gotico
diventano medie). Una scoperta importantissima fu resa nota nel 1870, ad opera del
goriziano Graziadio Isaia Ascoli: egli not come in alcune parole un suono k rimanga
inalterato in sanscr. e nelle lingue europee (ad es. sanscr. nktis "notte", gr. .u-- (nykt-),
lat. noct-, got. nahts con rotazione consonantica; sanscr. kravi- "carne cruda", gr.
-,:(|)c, kr(w)as, lat. carn-), in altri si trovi in sanscr., altre sibilanti in iranico e
baltoslavo, k nelle lingue europee (es. sanscr. atam "cento", avest. satm, gr. :-c . he-
katn, lat. centum, lit. imtas; sanscr. daa "dieci", avest. dasa-, arm. tasn, gr. ::-c dka,
lat. decem, a. irl. deich, got. taihun, lit. deim-t, a. slavo dese-ti), ed in altri al contrario si
abbia k (o c) in sanscrito, ma qu- in lat., p- o t- in gr., hw- in got.: ad es. sanscr. catvaras
"quattro", arm. cork', gr. :ccc,:, tssares (omerico v.cu,:, psyres, beotico
v:c,:, pttares), lat. quattuor, umbro petur, lit. ketur, a. slavo cetyre (la forma che si
ricostruisce *quetwores). Perci egli arriv ad ipotizzare tre diverse serie di velari
indoeuropee: le velari pure, continuate in tutte le lingue; le palatali, continuate in
sanscrito, iranico, armeno, slavo, baltico, ma confuse con le precedenti nelle lingue
dell'Europa nordoccidentale e in greco e latino-italico; e le labiovelari (suoni di tipo qu-),
che in sanscr., iran., baltoslavo si confondono con le velari pure, ma restano distinte in
lat., gr. (dove diventano dentali avanti i, e; velari in vicinanza di u; labiali negli altri casi;
ma i dialetti eolici hanno labiali anche davanti a vocale palatale), in celtico (pur con
differenze tra gaelico e britannico), in oscoumbro e germanico. Siccome quasi tutte le
lingue distinguono solo due delle serie (hanno cio o velari + labiovelari o palatali +
velari, con le velari che si confondono con la serie andata persa), si parl di lingue
kentum (dal lat. centum) e lingue satem (dalla corrispondente forma avestica satm =
100). Alcune tracce di tutte e tre le serie sono conservate in armeno e albanese, ma
entrambe le lingue sono molto evolute e servono poco per la ricostruzione; altre tracce
(ma pi sporadiche) di tutte e tre le serie si ritrovano in sanscrito e greco; le lingue
anatoliche sembrano appartenere al gruppo centum, per presentano qualche forma
satem; il tocario fa parte del gruppo centum, con qualche reminiscenza delle vecchie
palatali.
Nel 1873 fu dimostrato che, anche se il sanscr. confonde molto spesso (e pi ancora
nella fase vedica) le consonanti r, l mantenendo solo r, in realt questa non la situazione
originaria, ma un'innovazione indoiranica, e la lingua madre doveva possedere un fonema
/l/ perfettamente distinto da /r/.
Nel 1876, Hermann Osthoff postul l'esistenza nell'indoeuropeo primitivo di liquide
sonanti, come in sanscrito. In questa lingua la r e la l possono aver funzione di apice
sillabico, possono cio fungere da vocali (secondo il padre della fonologia Trubeckoj
queste non sarebbero mai delle vere vocali, ma secondo i grammatici indiani era il
contrario, e per semplicit possiamo seguire questi ultimi): nella scrittura indiana
esistevano anzi due segni particolari per r9 ed l9 vocali, distinte da r ed l consonanti;
esisteva anche una r9 lunga, e secondo i grammatici indiani perfino una l9 lunga. Osthoff,
basandosi su equazioni del tipo:
sanscr. pitr9su = gr. patrsi, sanscr. matr9su = gr. matrasi,
pens che nel primitivo indoeuropeo dovessero esistere suoni di questo tipo, conservatisi
in sanscrito e passati in greco a ra e la (in certe condizioni anche ar, al), in lat. a or, ol, in
21
celt. a ri, li, in german. a ur, ul, in baltico a ir, il, in slavo a ri, li. Esempi: sanscr. mr9ti-
"morte", lat. mort-, lit. mirtis, a. slavo si*-mri*t, a. alto ted. mord "uccisione"; sanscr. mr9du-
"molle", gr. `cc`:u.. amaldno "ammollisco, indebolisco", lat. mollis, lit. mildus.
Nel 1877 furono rese note alcune scoperte fondamentali in campo indoeuropeo: prima
fra tutte la legge di Verner. Il danese Karl Adolph Verner si chiedeva come mai, in due
parole gotiche simili da molti punti di vista come fadar "padre" e broar "fratello", ci
fosse stata un'evoluzione discorde: infatti, alla prima corrisponde il lat. pater (e parole
analoghe nelle altre lingue), alla seconda il lat. frater: perch dunque una -t- interna
dev'essersi evoluta in -- (regolarmente, secondo le leggi di Grimm) nel secondo caso, e
invece in -d- nel primo? Avendo in mano la grammatica di Bopp in cui le parole sanscrite
sono scritte con l'accento (tipico della fase vedica), not come la prima sia pit, la
seconda bhra@!!ta@; in greco, che pure conserva in parte l'antico accento indoeuropeo, si ha
rispettivamente vcj, patr e 1,cj, phrter "membro d'una fratra". Si domand se la
diversa evoluzione fosse dovuta alla diversa posizione dell'accento: da altri casi trov
conferma, e cos arriv a formulare la sua legge: in germanico, le occlusive sorde
dell'indoeuropeo evolvono regolarmente a spiranti sorde solo all'inizio di parola o quando
l'accento indoeuropeo cadeva sulla vocale immediatamente precedente; ma all'interno, in
posizione intervocalica, se l'accento cadeva sulla vocale seguente, mutano ancora
diventando spiranti sonore (indicate nelle scrittura gotica semplicemente come delle
sonore b, d, g). Cos si vide che tutta una serie di fenomeni, che prima sembravano fare
eccezione elle leggi di Grimm, in realt cadevano sotto un'altra legge pi minuziosa.
Nell'anno 1877, Karl Brugmann postul l'esistenza in indoeuropeo, accanto alle
liquide sonanti, di nasali sonanti, cio di m9 e n9 in funzione di apice sillabico (ovvero in
funzione vocalica). L'evoluzione sarebbe verso a in greco e sanscr., verso em, en in lat.,
verso im, in nel celtico e baltico, verso um, un in germanico, verso e in slavo. Cos,
postulando un indoeur. *dek$m9 "dieci", si ha sanscr. daa, gr. ::-c dka, lat decem, got.
taihun ecc.; il prefisso privativo, che in gr. e sanscr. a-, in lat. in-, nelle lingue german.
un-, si trova cos che risale ad un antico *n9-; per es. sanscr. a-mr9tas "immortale", gr.
c,, -mbrotos, lat. im-mortalis, o sanscr. a-jatas "ignoto", gr. c,.., -gnotos,
lat. ignotus (da *in-gnotus: sembra che in latino il gruppo gn- si pronunciasse Nn-), a. irl.
in-gnat, got. un-kuns. In questo modo si spiega anche la desinenza -a dell'accusativo nei
temi in consonante del greco: desinenza normale di quel caso -m, come in lat. lupu-m,
sanscr. vr9ka-m, gr. `u-. lyko-n (in greco la -m finale non pu stare e quindi
normalmente cambia in -n); per i temi in consonante, il lat. ha ad es. leon-em, mentre il
gr. ha `:.c lonta: se si presuppone anche qui una m9 sonante, si avr *lont-m9 >
lont-a.
Ancora nel 1877, H. Hbschmann postul l'esistenza del cosiddetto va (o wa)
indogermanicum, vocale indistinta che gli studiosi scrivono di solito : in alcune parole,
ad una -i dell'indoiranico corrisponde per lo pi -a nelle lingue dell'Europa: cos il pi
volte citato sanscr. pitar- "padre" trova corrispondenti nel gr. vcj, pater, lat. pater,
ecc.; al sanscr. sthits "posto" (part. pass.) corrisponde gr. cc, stats, lat. status, ecc.
Tra il 1878 e il 1880 fu scoperta la legge di Collitz e Schmidt: si vide cio che in
sanscrito (a somiglianza dell'italiano) le velari palatalizzano davanti a -e, -i: cos la parola
corrispondente al lat. quid cid, da *kid (non dimentichiamo che il sanscrito lingua
satem, dunque la qu- passa a k-). Ma anche dove l'antica -e non c' pi, perch passata ad
22
-a, la palatalizzazione rimane: cos alla congiunzione lat. -que "e" corrisponde ca,
attraverso una trafila *que > *ke > *ce > ca, come si visto prima.
Si vide anche che in sanscrito doveva essere esistito un antico o, perch in alcuni casi
in cui ha valore morfologico non cambia in a, ma in a@. Cos in lat. esiste una radice men-
che in origine doveva avere il valore di "pensare": mens, mentis "mente", memini (forma
raddoppiata) "ricordo", ed il verbo moneo "faccio pensare", quindi "ammonisco". In
sanscr. doveva esistere una simile apofonia, si conosce manas "animo", manyase "tu
pensi", e al causativo ma@nayati "egli fa pensare" (legge di Brugmann). Dunque
l'indoeuropeo doveva conoscere e ed o, che anzi si opponevano morfologicamente col
procedimento dell'apofonia, come in gr. `:.v. - `:`.vc lipo - l-loipa "lascio - ho
lasciato"
5
.
[Cerchiamo ora di spiegare che cosa sono la metafonia e lapofonia. Metafonia o
metafonesi in linea di principio uno sviluppo puramente fonetico, linflusso di una
vocale su unaltra non immediatamente vicina: ad esempio in alcuni dialetti veneti, come
il padovano rustico, esiste una metafonia di chiusura, per cui una i finale chiude la
vocale della sillaba precedente: si ha allora bon buono, plur. buni; sposo, plur. spusi;
tempo, plur. timpi; ninseo lenzuolo, plur. ninsi, ecc. Ma fin qui la metafonia non ha
risvolti grammaticali, perch la desinenza di plurale conservata. Diverso il caso dei
dialetti emiliani e romagnoli, che hanno perso la i finale e perci distinguono il
singolare dal plurale con la sola metafonia: fiaur fiore, pl. fiur (da *fior, *fiuri). Nei
dialetti dellItalia centro-meridionale si ha unaltra metafonia di chiusura, determinata
anche da u finale: in questi dialetti si distingue infatti tra o ed u finali del latino (tipo
lat. canto io canto e cantus il canto che nellItalia centromeridionale danno
rispettivamente canto e cantu, mentre litaliano ha canto per entrambi). Ma in molti di
questi dialetti tutte le vocali finali sono passate oggi a -; perci il napoletano oggi
distingue tra russ rosso e ross rossa, cio la metafonia serve a distinguere il
maschile dal femminile. Quindi nel napoletano odierno si hanno nuove formazione del
tipo nfus bagnato (regolare, da infusus) che al femminile fa nfos in cui la o- non
giustificata da alcuna ragione etimologica (dal latino infusa si dovrebbe avere ancora
*nfus). Dunque in un caso del genere la metafonia uscita dai suoi argini per diventare
apofonia: lalternanza della vocale interna ha acquistato valore morfologico,
esattamente come nel verbo delle lingue germaniche, dove si ha ingl. to find, found,
found o ted. finden, fand, gefunden. In queste lingue il procedimento dellapofonia si
applicato anche a verbi che etimologicamente non dovrebbero averla, come ted.
schreiben, schrieb, geschrieben dal lat. scribere o ingl. to catch, caught, caught che
attraverso il franco-normanno risale in ultima analisi al lat. captiare.]
Con tutte queste scoperte susseguitesi in pochi anni, il panorama delle conoscenze in
campo indoeuropeo cambi profondamente: si visto come la favoletta scritta da
Schleicher (uscita nel 1868) sia profondamente diversa nell'aspetto delle parole da quella
di Hirt pubblicata (postuma) nel 1939, e fin qui non ci sarebbe nulla di strano: naturale
che la scienza progredisca in un lasso di tempo cos lungo. Un po pi sorprendente
invece il constatare che praticamente tutte le leggi fonetiche che fanno la differenza tra le
due siano state scoperte prima del 1880, e quindi in teoria gi in quellanno qualcuno

5
Per una trattazione pi approfondita di queste leggi fonetiche si veda R. GUSMANI, Elementi di fonetica
storica delle lingue indoeuropee, cit., pp. 69-70, 106-109, 114-135.
23
avrebbe potuto riscriverla molto simile a quella di Hirt
6
; non solo, ma negli anni
successivi si verific una battuta d'arresto, sembrava che ormai tutto quel che si poteva
dire di plausibile su questi argomenti fosse gi stato detto. Comunque, negli anni
"ruggenti" per cos dire, tra il 1875 e il 1880, soprattutto all'universit di Lipsia si
svilupp il movimento dei giovani studiosi detti Junggrammatiker, in italiano
neogrammatici. Capiscuola erano i gi citati Brugmann e Osthoff, principale teorico fu il
germanista Hermann Paul: il principio che essi affermarono con la massima forza fu
l'ineccepibilit delle leggi fonetiche: "ogni mutamento fonetico, in quanto procede
meccanicamente, si compie secondo leggi senza eccezioni, cio la direzione del
movimento fonetico sempre la stessa in tutti i componenti di una comunit linguistica, a
meno che non subentri una divisione dialettale, e tutte le parole sulle quali il suono
sottoposto al movimento fonetico appare in uguali condizioni sono, senza eccezioni,
soggette al mutamento"
7
. Unica possibilit di deroga che i neogrammatici ammettevano
alle leggi fonetiche era lanalogia: essa in effetti agisce allinterno di paradigmi,
mantenendone lunit anche contro la persistenza delle leggi suesposte. Un esempio
evidente si ha nel passaggio dallitaliano al latino: legge fonetica che la e* breve latina in
sillaba aperta e accentata diventa ie, e nelle stesse condizioni la o* breve diventa uo. Cos
dal lat. de*cem si ha dieci, da ho*mo si ha uomo. Allo stesso modo, da no*vus deriva nuovo,
dal verbo me*to si ha in italiano mieto. Ma in italiano abbiamo anche nuovissimo, o alla
seconda persona plurale mietete, che sono forme analogiche: in questi casi (siccome si
aggiungono dei suffissi, e laccento si sposta) si dovrebbe avere secondo le leggi
fonetiche novissimo (che in realt esiste in toscano, ed esisteva nellitaliano antico, ma
oggi non si usa pi) e *metete, ma si preferisce regolarizzare secondo i normali paradigmi
della lingua. In buona parte questa dichiarazione dellineccepibilit delle leggi fonetiche
era un atto di fede: a quel tempo, dopo che nel volgere di pochi anni si erano scoperte
tante nuove leggi che rendevano il panorama della ricostruzione indoeuropea di gran
lunga pi razionale che in precedenza, era ragionevole sperare che anche le residue
oscurit sarebbero state presto dissipate. Cos non fu, e ad esempio in una lingua come il
latino le leggi fonetiche, quando si riesce a formularle, ammettono sempre una quantit di
eccezioni che non si riesce a spiegare. Si pu aggiungere che queste prese di posizione
suscitarono fra i contemporanei accese polemiche, su cui oggi si pu anche sorvolare;
certo per che i neogrammatici portarono al massimo grado di raffinatezza il metodo
della linguistica storico-comparativa, tanto che dopo di loro le novit di maggior rilievo
in campo indoeuropeo derivarono pi dalla scoperta di nuove lingue appartenenti a questa
famiglia (ittito, tocario, ecc.) che dalla ricerca di nuove leggi fonetiche: non che dopo il
1880 non si siano pi trovate leggi fonetiche, anzi alcune risalgono ad anni recenti, ma
nessuna di queste ha l'impatto di quelle del periodo neogrammatico. Il filone di ricerca
inaugurato da Bopp, la comparazione indoeuropea, anche se non era del tutto esaurito
(non lo neppure oggi) cominciava a dar segni di stanchezza: nel frattempo per si era
formato uno stuolo di linguisti, e questa scienza aveva assunto grande prestigio: nelle sue
memorie, il grande linguista Trubeckoj scrisse di aver deciso di dedicarsi allo studio della
linguistica perch prima di tutto ero giunto alla convinzione che la linguistica sia lunico

6
Va detto che lo stesso Hirt era un neogrammatico, ed anzi negli ultimi anni della sua vita, quando scrisse
la revisione di quella favoletta, era ormai un sopravvissuto.
7
Cfr. C. Tagliavini, Glottologia, p. 175.
24
ramo dellantropologia che ha un metodo veramente scientifico, e che gli altri rami di
questa scienza (folklore, storia delle religioni, storia della cultura) possono passare da uno
stadio di sviluppo alchimistico ad uno pi elevato solo quando, in quanto a metodo, si
indirizzeranno sul modello della linguistica. Come si vede, era ben operante il
complesso dinferiorit degli umanisti di fronte alle cosiddette scienze esatte, e la
linguistica dava invece limpressione di avvicinarsi molto a quelle discipline: anche
linsistere dei neogrammatici sulle leggi fonetiche si capisce come lo sforzo di rendere
sempre pi esatta questa scienza. Comunque, laffievolirsi dellinteresse verso la ricerca
in campo indoeuropeo provoc un ripensamento di tutta la materia, nel quale in Europa si
segnal soprattutto il ginevrino Ferdinand de Saussure.


Brevi note aggiuntive a Saussure
A p. 20 delledizione francese si comincia dicendo qual la materia della linguistica; il
capitolo seguente (p. 23) comincia chiedendosi qual l'oggetto della linguistica. Che
differenza fa Saussure tra materia ed oggetto? prover a fare un paragone. Immaginiamo
che un gruppo di persone si trovi per la prima volta di fronte ad un prato, e che tutti
comincino a guardarlo. Il prato la materia sottoposta alla loro attenzione, ma non tutti
vedono le stesse cose. Se qualcuno di loro sintende di botanica sapr riconoscere molte
specie che gli altri non distinguono, forse trover alcune specie rare o particolari forme di
adattamento; se qualcuno entomologo guarder soprattutto gli insetti che popolano quel
prato; se qualcuno fa incetta di erbe alimentari o medicinali cercher solo quelle; se
qualcuno ha la passione per i fiori vedr innanzitutto quelli; chi non ha questi interessi o
queste competenze potr cercare nel prato soltanto un angolo per sdraiarsi a suo agio.
Questi sono gli oggetti della ricerca: in altre parole, per conoscere l'oggetto duna ricerca
bisogna sapere che cosa si vuol cercare, ed in questo senso si dice che il punto di vista
che crea loggetto. Non credo invece che il Saussure sia cos idealista da pensare che un
oggetto materiale esista solo in virt del punto di vista dellosservatore.
A p. 26 si accenna in modo ancora imperfetto al concetto di doppia articolazione del
linguaggio, che sar poi divulgato da un continuatore di Saussure, Andr Martinet (nei
suoi Elementi di linguistica generale, alle prime pagine). Secondo questo linguista il
linguaggio umano ha la particolarit che ogni enunciato si pu suddividere in unit
minime di significato (come dice anche Saussure) e poi in unit minime di suono, cio in
fonemi (ed invece qui egli parla di sillabe).
Alle pp. 97-103: va osservato che i curatori del Cours furono molto fedeli nel riportare le
parole ed i concetti di questo linguista svizzero, ma non rispettarono affatto la
disposizione degli argomenti: perci in questo capitolo prima si afferma che la lingua non
una nomenclatura, ma poi (p. 100) ci si limita a dire che arbitrario il legame tra
significante e significato, e si trascura il fatto che arbitrario anche il legame tra il
concetto (o significato) e la realt esterna, extralinguistica. Se fosse arbitrario solo il
legame tra significante e significato, ma i significati fossero naturali (cio non arbitrari),
si tornerebbe alla concezione delle lingue come nomenclature, e certamente non era
questo il pensiero di Saussure. Perci, per completare quanto scritto a p. 100, si pu dire
che non solo non esiste un rapporto interiore tra l'idea di "sorella" e la sequenza <soeur>
[sr] che la rappresenta in francese; ma anche il significato di questa parola arbitrario,
25
ed infatti le due parole in francese ed italiano non corrispondono perfettamente: nella
nostra lingua esiste il termine suora che ricopre alcuni significati (sia pur marginali) di
soeur. Ma c' di pi: in altre lingue del mondo i concetti relativi ai termini di parentela
sono suddivisi diversamente che nelle lingue principali dellEuropa. In turco un solo
termine, karde, sta per fratello e sorella; in cinese per la stessa area semantica
esistono quattro parole, perch xing significa fratello maggiore, d fratello minore, zi
sorella maggiore, mi sorella minore; nel malese di Singapore i termini si riducono a
tre, abang fratello maggiore, kakak sorella maggiore, e adik fratello/sorella
minore
8
; nel Tok Pisin, pidgin della Nuova Guinea a base inglese, esistono le parole
brata e susa, evidentemente derivate dall'ingl. brother e sister, che per, per influsso
delle lingue indigene, hanno profondamente modificato il valore originario: brata
significa "fratello (o sorella) dello stesso sesso", mentre susa si usa per "fratello (o
sorella) di sesso opposto". Dunque una stessa realt come quella dei rapporti di parentela
(che si ritrova in qualsiasi comunit umana) pu essere analizzata, in culture diverse, con
concetti diversi e non sovrapponibili.


BLOOMFIELD

Leonard Bloomfield (1887-1949) ebbe un enorme successo oltreoceano, tanto da
diventare il massimo caposcuola della linguistica americana nella prima met del XX
secolo, e per decenni in America fu considerato il pi grande linguista di tutti i tempi: al
contrario in Europa non raccolse consensi, e di solito nelle storie della linguistica scritte
da autori europei, quando non omesso del tutto, alquanto maltrattato
9
; ma penso che
oggi, deposti gli entusiasmi e le animosit, sia opportuno cercare di capire i motivi del
suo successo, comprendere che cosa apprezzassero in lui i contemporanei, passando oltre
alla repulsione che ispirano anche a noi alcune sue affermazioni e certe sue crudezze. Fu
allievo dei neogrammatici, e la sua opera capitale il manuale intitolato Language,
pubblicato una prima volta a New York nel 1933, e poi a Londra nel 1935 (con qualche
modifica); lo si pu leggere anche in traduzione italiana, Il Linguaggio, ed. Il Saggiatore,
Milano 1974. Gi nella prefazione alla prima edizione egli enuncia alcuni suoi princpi
fondamentali: "Questo libro una versione rivista del mio Introduction to the Study of
Language, apparso nel 1914 ... La nuova versione assai pi estesa della prima, perch
nel frattempo la scienza del linguaggio progredita e anche perch sia gli studiosi che il
pubblico colto attribuiscono ora un maggior valore alla comprensione del linguaggio
umano". Alcune righe pi sotto, uno dei punti chiave: "nel 1914 ho basato questa fase
dell'esposizione sul sistema psicologico di Wilhelm Wundt, allora largamente accettato.
Ma da allora ci sono stati molti cambiamenti nella psicologia e, comunque, abbiamo

8
V. ORIOLES, Lingua e visione del mondo, Notiziario dellUniversit degli Studi di Udine 1995, n. 4,
pp. 34-43
9
Si veda ad esempio quanto scrive G.C. LEPSCHY, La linguistica del Novecento, Bologna 1992, p. 76:
Oggi queste posizioni sono generalmente screditate e non risulta ben chiaro come sia stato possibile che,
per quasi tre decenni, i linguisti abbiano seriamente pensato di dire qualcosa di interessante sul linguaggio,
e sui fenomeni psicologici ad esso inestricabilmente pertinenti, in base a una impostazione quale sarebbe
difficile immaginare pi incongrua e disadatta alloggetto studiato.
26
imparato quel che uno dei nostri maestri sospettava gi trent'anni or sono, e cio che
possibile intraprendere lo studio del linguaggio senza far riferimento ad alcuna teoria
psicologica; cos facendo garantiamo i nostri risultati e li rendiamo pi significativi per i
ricercatori di discipline affini. In questo libro ho cercato di evitare una simile dipendenza:
solo a fini di chiarimento ho indicato, qua e l, come differiscano nella loro
interpretazione le due principali correnti psicologiche attuali. I mentalisti vorrebbero
integrare i fatti linguistici dandone una versione in termini mentali, versione che varia a
seconda delle varie scuole di psicologia mentalistica. I meccanicisti esigono che i fatti
vengano presentati senza minimamente presupporre alcuno di questi fattori ausiliari. Ho
cercato di soddisfare questa esigenza non soltanto perch credo che il meccanicismo sia la
forma necessaria per il discorso scientifico, ma anche perch un'esposizione che si regga
da sola pi solida e pu essere esaminata pi facilmente di un'altra che qui e l
puntellata da un'altra e mutevole teoria." Qui si fa allusione ad una teoria psicologica di
Wundt (che probabilmente pochi di noi conosceranno) ed anche ad altre teorie
concorrenti: cerchiamo di capire a cosa vuole arrivare il nostro autore. Lo psicologo
Wundt (1832-1920) insegn a Lipsia dal 1875 in poi, dunque fu collega di Brugmann e
Osthoff, e nelle sue idee sent l'influenza del clima culturale neogrammatico-positivista in
cui operava; a loro volta i neogrammatici si avvalsero delle sue teorie ogniqualvolta
dovettero spiegare con la psicologia alcuni fatti di linguaggio. Ma che bisogno c' di
citare una teoria psicologica (e di intervenire in una polemica tra scuole psicologiche) gi
nella prefazione ad un manuale di linguistica? Anche nelle prime pagine del Cours di
Saussure (p. 21 e p. 30 del testo francese) si era presentato il problema di come separare
la linguistica dalla psicologia: ma il grande linguista ginevrino l'aveva risolto con la sua
distinzione di langue e parole, in cui la psicologia influenzer soltanto le esecuzioni
individuali, cio i singoli atti di parole, ma non quel codice che la lingua; perci il
linguista, operando sulla lingua, si affranca da ogni sudditanza verso gli psicologi. Una
soluzione del genere non poteva essere accettata da Bloomfield, perch quest'ultimo
aveva una mentalit fortemente materialista, e quindi gli poneva grosse difficolt
ammettere l'esistenza di un'entit non percepibile coi sensi quale la lingua.
Soffermiamoci su questo argomento: ci che percepiamo coi sensi sempre la parole,
non la lingua: noi percepiamo (e produciamo) continuamente un grande numero di atti di
parole in lingua italiana, ma la lingua italiana non racchiusa in nessuno di questi atti, e
nemmeno nella loro somma, perch se la lingua un codice, la somma di infiniti
messaggi non equivarr mai al codice. Dunque noi non vediamo n sentiamo la lingua
italiana, eppure essa esiste certamente, altrimenti non riusciremmo a capirci! Ma per un
materialista convinto difficile accettare tutto ci: di conseguenza, Bloomfield cerc di
costruire una linguistica fondandosi solo su ci che percepibile, cio (in termini
saussuriani) sulla parole. Aggiungo per che nella prefazione il nostro autore si
contraddice, perch prima dichiara di non volersi appoggiare a nessuna teoria psicologica,
ma poi appoggia la psicologia meccanicista: in realt era un seguace del behaviourismo o
comportamentismo, una corrente che voleva creare una psicologia oggettiva escludendo
ogni ricorso all'introspezione, e fondandosi solo sul comportamento esterno, analizzato in
termini di stimolo e risposta. Non certo un caso isolato: in tutti i casi che conosco, chi
proclama di voler fare una scienza neutra, in realt (consapevole o no) ci vuole
ammannire la sua visione del mondo spacciandola per scientifica. Comunque vediamo in
27
che modo procede il nostro Autore: a p. 27 dell'edizione italiana egli comincia a proporre
un esempio di avvenimento linguistico nei termini che seguono. "Immaginiamo che Jack
e Jill [due nomi qualunque] stiano camminando lungo un sentiero. Jill ha fame, vede una
mela su un albero, produce un rumore con la laringe, la bocca e le labbra. Jack salta lo
steccato, si arrampica sull'albero, coglie la mela, la porta e gliela mette in mano. Jill
mangia la mela." Poi Bloomfield fa di questo evento un'analisi che si pu riassumere cos:
Jill sente uno stimolo, ha fame, le onde luminose della mela colpiscono i suoi occhi,
desidera avere la mela: questo lo stimolo S. Lo stimolo provoca una reazione: da sola
Jill potrebbe forse cogliere la mela, ammesso che ne sia capace, e questo costituirebbe la
reazione R (reazione concreta); tutti gli animali sono soggetti a stimoli e reazioni di
questo tipo, ma se non sanno procurarsi il cibo restano affamati. Jill invece ha un'altra
risorsa: chiedere la mela a Jack, e questa detta da Bloomfield "reazione linguistica
sostitutiva", r. Per chi ascolta, questo non uno stimolo concreto S (come sarebbe il
desiderare la mela), ma uno stimolo sostitutivo s, che pu produrre una reazione non
linguistica R (andare a prendere la mela). Perci, anzich la reazione non linguistica S --
----> R, si ha la reazione mediata dal linguaggio S ------> r ...... s ------> R. Cos il
linguaggio consente ad una persona di produrre una reazione R quando un'altra persona
a ricevere lo stimolo S. La divisione del lavoro, e con essa tutto il funzionamento della
societ umana, si deve quindi al linguaggio. Fin qui il nostro Autore: e francamente
questo esempio ci lascia insoddisfatti, perch se il linguaggio fosse tutto qui, dovremmo
dire che molte specie animali sanno parlare, visto che per una comunicazione cos
elementare basta molto meno di quel che il linguaggio umano. Anche un bambino di un
anno capace di indicare una mela e far capire che la vuole: eppure deve ancora imparare
a parlare! Si ha la netta impressione che questo Autore svaluti di proposito l'uomo, non
voglia riconoscere ad esempio la peculiarit del linguaggio umano di essere doppiamente
articolato: alle pp. 32-33 scrive: "il linguaggio umano differisce dagli atti segnici degli
animali, anche se questi usano la voce, per la sua grande differenziazione. I cani, per
esempio, producono solo due o tre tipi di rumori - e cio abbaiano, ringhiano, e
guaiscono: un cane pu indurre un altro ad agire servendosi soltanto di questi pochi
segnali differenti. I pappagalli possono produrre un gran numero di suoni diversi, ma
apparentemente non rispondono in modo diverso ai diversi suoni. L'uomo, invece,
produce molti tipi di rumori vocali sfruttando appieno la loro variet: sottoposto a
determinati stimoli egli produce determinati suoni vocali, ed i suoi compagni, udendo
questi suoni, reagiscono in modo appropriato. Per farla breve, nel linguaggio umano,
suoni diversi hanno significati differenti." Anche nel gatto e nel cane suoni differenti
hanno significati differenti, ma la loro diversit rispetto al linguaggio umano non solo
quantitativa (una minore variet di suoni), di organizzazione generale, perch questi
suoni non sono scomponibili in unit minime di significato (quali sono le parole, o pi
precisamente i morfemi, che in italiano non sono solo i vocaboli con un significato
lessicale, ma anche le desinenze) e unit minime di suono (i fonemi). Ma il punto
culminante della meccanicizzazione bloomfieldiana dell'uomo si trova alle pp. 38-39:
l'Autore, sempre interessato ad una spiegazione psicologica del linguaggio, afferma che
non si riesce a prevedere gli atti linguistici: anche nell'episodio di Jack e Jill non si pu
predire se Jill parler, n quali parole dir. Perci, "questa immensa variabilit ha dato
luogo a due teorie sul comportamento umano, compreso il linguaggio. La teoria
28
mentalistica, che di gran lunga la pi antica e ancora prevale sia nella concezione
corrente che tra gli scienziati, suppone che la variabilit del comportamento umano sia
dovuta all'interferenza di un fattore non fisico, uno spirito, o volont, o mente [...] che
presente in ogni essere umano. Questo spirito, secondo la concezione mentalistica,
completamente differente dalle cose materiali e, di conseguenza, soggetto a un diverso
tipo di causalit, o forse, non lo affatto. Il fatto che Jill parli, e quali parole usi, dipende
allora da qualche atto della sua mente o volont, e siccome questa mente o volont non
segue i tipi di successione del mondo materiale (sequenze di cause e effetti), noi non
siamo in grado di predire le sue azioni. La teoria materialistica (o, meglio,
meccanicistica) suppone che la variabilit del comportamento umano, compreso il
linguaggio, sia dovuta solo al fatto che il corpo umano un sistema estremamente
complesso. Le azioni umane, secondo la concezione materialistica, fanno parte di
sequenze causali esattamente simili a quelle che osserviamo, per esempio, nella fisica e
nella chimica. Il corpo umano, tuttavia, una struttura cos complessa che persino un
mutamento relativamente semplice, come per esempio l'urto sulla retina di onde luminose
provenienti da una mela rossa, pu avviare catene di conseguenze molto complicate, e
una differenza molto piccola nello stato del corpo pu tradursi in una grande differenza
nella risposta alle onde luminose. Saremmo in grado di predire le azioni di una persona
(per esempio, se un certo stimolo la far parlare, e, in caso affermativo, le parole esatte
che pronuncer) solo se conoscessimo l'esatta costituzione del suo corpo in quel
momento, o, il che lo stesso, se conoscessimo esattamente la costituzione del suo
organismo in qualche stadio precedente - per esempio alla nascita o prima - e se avessimo
una registrazione di tutti i cambiamenti avvenuti in seguito in esso, compresi tutti gli
stimoli che lo hanno colpito." In queste pagine Bloomfield ha travalicato di gran lunga i
confini della linguistica: d'altra parte egli non fornisce dimostrazione di queste sue idee, e
perci quel che afferma si pu definire un postulato, o un atto di fede (fede materialista,
sintende); ed singolare che proprio lui, che si professa spavaldamente uomo di scienza
e sembra disprezzare tutto ci che non rientra nelle dimostrazioni scientifiche, sia poi
tanto indulgente con se stesso da porre alla base della sua teoria un atto di fede. A
distanza di tanti decenni da quando questa pagina fu scritta, appaiono fin troppo evidenti i
limiti duna simile impostazione. La teoria che egli enuncia potrebbe essere trattata con
ironia: fra l'altro, in essa si nega il libero arbitrio, ed a questo proposito saremmo
invogliati a mettere in atto il cosiddetto esperimento di Koestler: se qualcuno sostiene
che non esiste il libero arbitrio, e che perci non esiste responsabilit nelle azioni umane,
provate a dargli un bel calcio negli stinchi: dalla sua reazione si capir che anchegli, pur
negandolo, crede nel libero arbitrio (infatti se non esistesse il libero arbitrio non avrebbe
senso prendersela con chi ci d un calcio negli stinchi, sarebbe come arrabbiarsi con una
tegola che cade); dunque tutti gli uomini, anche quelli che si dichiarano materialisti o
deterministi, si comportano come se credessero nel libero arbitrio, e quindi nella volont
umana, nella responsabilit, in altre parole nellanima. Lo stesso esperimento si
potrebbe volgere in positivo: tutti noi cerchiamo laffetto di altre persone, ma facendo
questo presupponiamo lesistenza del libero arbitrio: non avrebbe alcun senso cercare
laffetto di meccanismi determinati da leggi di causa ed effetto, come potrebbe essere un
frigorifero o un forno a microonde. Potrei aggiungere che in tutte le societ umane, dagli
Eschimesi ai Baluba, e in tutte le epoche a noi conosciute, il comportamento umano ha
29
sempre presupposto questo dato, la libert umana, che non si riesce a dimostrare
filosoficamente ma fa parte del sentire comune; mai possibile che tutti gli altri uomini
sbaglino, ed abbiano ragione questi pochi materialisti (o altri che come loro hanno la
tendenza ad elucubrare teorie), che poi non dimostrano nulla neppure loro, e per di pi
non sono coerenti con se stessi? Gi, perch ad essere maligni si potrebbe osservare che
di solito sono proprio i materialisti quelli che pi di tutti amano il potere: ma se non
ammettono neppure una volont e una personalit delluomo, come fanno ad ammettere
che esista il potere, entit ancor meno materiale, che non si percepisce coi sensi e spesso
molto difficile da localizzare anche col ragionamento? Credo per che anzich dilungarsi
a confutare affermazioni che non centrano con la linguistica e di cui Bloomfield non
fornisce la dimostrazione sia meglio cercar di capire a cosa gli serva porre questi
postulati. Da quanto scrive a p. 44 sembra che secondo lui sia possibile predire almeno
statisticamente i comportamenti umani, e quindi anche il linguaggio: "se ne valesse la
pena e risultasse possibile registrare tutte le espressioni foniche di una grande comunit,
saremmo senza dubbio in grado di predire quante volte un dato enunciato come Buon
giorno o Ti amo o Quanto costano le arance oggi? verrebbe pronunciato entro un numero
fisso di giorni". Anche qui siamo ben lungi dall'essere soddisfatti, perch non ci sembra
che si possa esagerare la portata della predicibilit statistica delle azioni umane: in fondo
l'uomo, proprio perch intelligente, capace di reagire in modo nuovo e inatteso, ma
appropriato, a situazioni nuove in cui si venga a trovare, e queste situazioni nuove sono
innumerevoli; e poi un mondo in cui tutto il comportamento umano fosse strettamente
prevedibile sarebbe un mondo agghiacciante, da suicidio, ed invece proprio questa
imprevedibilit che d gusto alla vita. In realt opportuno soffermarsi su queste idee
materialistiche di Bloomfield non tanto per approvarle o confutarle, ma soprattutto perch
poi esse hanno grande importanza per capire il suo metodo. Va detto che queste premesse
ideologiche (oltretutto, di unideologia che a quel tempo era alla moda e largamente
condivisa) occupano ben poco spazio nell'economia di questo libro: superate quelle poche
pagine iniziali, il volume si rivela un'eccellente manuale di tutta la linguistica degli Anni
Trenta, spazia in tutti i campi, dalla ricostruzione indoeuropea alla geografia linguistica
(cio la compilazione di atlanti linguistici e problemi connessi), dalla dialettologia
olandese alla sociolinguistica; porta esempi da un grandissimo numero di lingue, molte
delle quali allora erano ben poco accessibili: tagalog (lingua principale delle Filippine),
giavanese, molte lingue amerindie, ed anche i pidgin ed i creoli; tratta ampiamente e con
buon metodo della fonologia (precede di alcuni anni i Fondamenti di fonologia di
Trubeckoj e quindi, al paragone, meno raffinato, ma pur sempre rispettabile), ed alla
sintassi dedica molto pi spazio di qualsiasi linguista europeo suo contemporaneo.
Diciamo ora del suo metodo: va premesso che la preoccupazione fondamentale dei
linguisti americani del suo tempo era di fissare per iscritto le lingue amerindie prima che
scomparissero: ed era un compito urgente ed altamente meritorio, perch gi alla fine
dellOttocento molte di esse erano minacciate di estinzione, molte si sono spente nel XX
secolo, moltissime hanno oggi un numero di parlanti estremamente scarso. Ma affrontare
queste lingue "esotiche" offre difficolt enormi, di cui tuttora anche i linguisti che non si
sono cimentati in questo campo stentano a rendersi conto: nulla di simile alle difficolt
che sincontrano con lavori su dialetti europei, o anche su lingue di stampo prettamente
indoeuropeo come il lituano; era dunque necessario escogitare qualcosa di nuovo.
30
Bloomfield cercava di descrivere una lingua partendo da dati esclusivamente esterni,
usando il metodo della commutazione. Si pu citare un esempio (tratto per la verit da un
suo allievo, Zellig S. Harris): secondo lui, uno straniero che impara l'inglese pu all'inizio
non distinguere tra le vocali di man e men, le potrebbe interpretare come due varianti
libere d'uno stesso fonema, per si accorger dello sbaglio inserendo la prima variante in
parole come ten o pen, e vedr che non figurano negli stessi contesti (questi studiosi non
dicono non hanno lo stesso significato perch preferiscono evitare di ricorrere al
significato, entit che non si presta ad una classificazione rigida: lo stesso Bloomfield a p.
106 scrive con rammarico: "finch l'analisi del significato rimarr fuori delle possibilit
della scienza, l'analisi e la registrazione delle lingue resteranno un'arte o un frutto d'abilit
pratica"). Come esempio di analisi grammaticale si pu citare il seguente, ricavato ancora
da Harris: in una frase inglese come he is a gentlemanly fellow "egli un tipo signorile",
il segmento gentlemanly in primo luogo determinato come appartenente alla classe A
(cio degli aggettivi) perch sostituibile con fine, con narrow minded, ma non con
largely o con well. Poi, tra le segmentazioni possibili di gentlemanly, quella in gentle +
manly respinta, anche se in inglese esistono sia gentle che manly, ed invece accettata
quella in gentleman + ly, unicamente in base al tipo di accentazione. Vedendo questi
esempi, ad un linguista di scuola europea pare che si rendano troppo complicate le cose
semplici: quale straniero si metter a provare le presunte varianti di man e men in parole
come ten? e d'altra parte, proprio perch si sa che gentlemanly aggettivo, scontato in
partenza che pu essere sostituito da fine e non da well. Quanto alla segmentazione di
gentlemanly, sappiamo da un pezzo che esiste in inglese questo suffisso -ly, che
presente nella coscienza dei parlanti, al punto che con esso si possono creare parole
nuove. Ma per un bloomfieldiano non si pu parlare di coscienza dei parlanti, anzi
nemmeno di coscienza tout court: il linguista non potr che esaminare le manifestazioni
esterne del linguaggio (la parole di Saussure) e da queste trarre tutte le conclusioni.
Dunque i linguisti di questa scuola cercavano di raccogliere un corpus di testi della lingua
che studiavano, che fosse quanto pi ampio possibile, e solo da questo cercavano di
ricavare ogni notizia, sempre coi metodi commutativi che ho sommariamente indicato.
Va detto che con le lingue esotiche non un metodo disprezzabile (ed in effetti, questo
metodo distributivo-commutazionale era stato concepito soprattutto per queste lingue):
prima, spesso i linguisti cercavano di imparare la lingua che volevano descrivere, e poi ne
scrivevano la grammatica in base a quel che avevano imparato. Ma in questo modo essi
finivano inconsciamente per cercare (e quindi trovare) in quella lingua le strutture
grammaticali a cui erano abituati; e viceversa le strutture esistenti nella lingua indigena,
ma inattese perch sconosciute alle lingue europee, finivano con lo sfuggire alla ricerca.
Quando si affrontano lingue esotiche, di solito i parlanti non hanno un'idea della
correttezza grammaticale quale potremmo avere noi: spesso la lingua esotica che si studia
non standardizzata, il pi delle volte ha scarso prestigio anche agli occhi degli indigeni;
perci questi ultimi tendono ad approvare entusiasticamente qualsiasi tentativo dello
straniero che cerca di parlare come loro, e il risultato che poi questo non sar
incoraggiato a correggersi ed a migliorare le sue conoscenze della lingua. Un buon
esempio che si pu fare riguardo alle difficolt che incontra il linguista nell'affrontare
lingue esotiche, e nel trovare quindi strutture completamente inattese e insospettabili,
fornito dal somalo. In questa lingua esistono degli indicatori di fuoco, cio particelle che
31
indicano se il fuoco della frase sta nel sintagma nominale o nel sintagma verbale. Il fuoco
della frase per i linguisti l'informazione nuova che si fornisce pronunciando una certa
frase: in italiano lo si pu esprimere (facoltativamente) con l'ordine delle parole: cos ad
esempio non esattamente lo stesso dire: "Giuseppe arrivato" oppure " arrivato
Giuseppe"; la prima frase andr meglio se stiamo proprio parlando di lui, magari lo
stiamo aspettando, e la nuova informazione sta nel fatto che arrivato. Se invece ad
esempio stiamo aspettando numerosi ospiti, e qualcuno ha suonato al campanello, la
nuova informazione sar proprio dire " arrivato Giuseppe" (non Carlo, non Maria). In
somalo queste, che per noi sono sfumature di significato, sono espresse da particelle
apposite, obbligatorie. Non sono grammaticali per i somali frasi come *wiilkii moos
cunay, lett. "ragazzo-il banana ha-mangiato", oppure *wiilkii yimid, lett. "ragazzo-il -
venuto": necessario aggiungere gli indicatori di fuoco, che sono baa o ayaa se il fuoco
sta nel sintagma nominale, waa se il fuoco sta nel sintagma verbale. Perci, dopo una
domanda come waa yimid? "chi venuto?" si risponder wiilkii baa yimid venuto il
ragazzo, lett. ragazzo-il FUOCO -venuto; se invece prima ci si chiesti: wiilkii
muxuu sameeyay? "il-ragazzo che-cosa ha-fatto?", la risposta sar wiilkii moos waa
cunay, "il ragazzo ha mangiato una banana", lett. ragazzo-il banana FUOCO ha-
mangiato. A complicare le cose si aggiunga che in somalo questi indicatori di fuoco
normalmente si contraggono con le parole vicine: baa e ayaa si fondono con la parola che
precede, riducendosi ad -aa (ma si contraggono anche coi pronomi suffissi, perdendo
stavolta la vocale); invece waa si unisce solo ai pronomi, ad esempio col pronome di
terza persona diventa wuu
10
. Non c' da stupirsi se i primi studiosi di somalo hanno
faticato molto prima di poter spiegare queste funzioni grammaticali; tanto pi che
generalmente i somali sono molto tolleranti con lo straniero che parla la loro lingua, ad
essi sembra gi un miracolo che qualcuno conosca i vocaboli essenziali, e non gli fanno
rilevare gli errori fonetici o sintattici. Dunque in casi di questo genere vero che non ci si
pu affidare alla coscienza dei parlanti perch in realt il parlante (quello che scrive la
grammatica) un linguista, che in qualche modo sa esprimersi in una lingua esotica ma
non ne ha una conoscenza nativa e quindi ci che egli riesce a descrivere in base alle sue
intuizioni spesso poco attendibile: molto pi prudente fondarsi sui dati oggettivi che si
trovano raccogliendo un corpus esteso. Raccolto questo corpus, si far tabula rasa di tutti
i nostri presupposti e di tutti i nostri schemi grammaticali, e si affronteranno i testi con un
metodo che sia il pi oggettivo possibile. Bisogna precisare che pubblicare dei testi in una
lingua esotica pressoch sconosciuta opera altamente meritoria (come si detto), ma
estremamente faticosa e ben poco gratificante; storicamente comprensibile che, per
spingere i colleghi ad un lavoro simile, Bloomfield abbia dovuto sostenere che solo
questa lopera valida per un linguista. Certamente poi losservare una lingua in azione
pu riservare delle sorprese anche ai parlanti nativi: ricordo lo stupore con cui un mio
collega, romano di nascita e dialettofono, mi raccont di aver scoperto, tramite delle
registrazioni, che in romanesco oltre al pronome dimostrativo sto, esiste un pronome so
(che probabilmente non solo una variante dellaltro, ma deriva dal lat. ipse, mentre
laltro da iste); anche la coscienza linguistica del parlante nativo non perfetta, gi
Saussure aveva osservato che la lingua nella sua interezza esiste soltanto nella massa.

10
Cfr. A. PUGLIELLI, Sintassi della lingua somala, "Studi Somali" 2, Roma 1981, pp. 5 ss.
32
Daltra parte dubito che il metodo commutazionale sia applicabile integralmente ed in
esclusiva: dalla mia esperienza risulta che un qualunque testo registrato su nastro in una
lingua esotica, se non immediatamente trascritto e tradotto letteralmente parola per
parola con l'aiuto di informatori nativi, non utilizzabile; solo dopo aver compiuto questo
lavoro sul campo, si potranno cominciare le altre analisi (commutazionali o d'altro
genere), in modo da ricavare norme grammaticali; ed anche cos il lavoro che si svolge a
tavolino non per nulla facile. Quel che escludo che si possa trattare una lingua esotica
moderna come se fosse l'ittito o l'ugaritico, lingue scritte dell'antichit di cui possediamo
un discreto corpus in iscrizioni o in tavolette: la lingua scritta per sua natura pi
standardizzata, e quindi pi abbordabile per il linguista, rispetto alla lingua parlata,
soprattutto se questultima parlata da popoli esotici in cui la cultura orale ancora viva.
Per decenni, tra quanti facevano indagini linguistiche sul campo vi fu contrasto fra gli
studiosi di scuola europea che partivano con un questionario (cio facevano tradurre agli
informatori parole o frasi stabilite in anticipo) e studiosi americani che si preoccupavano
di raccogliere testi. Certo sono segnalati dei casi di societ in cui il questionario
inapplicabile
11
; quando si vuole studiare invece un dialetto di cui facile avere una buona
competenza (ad esempio un dialetto italiano) il questionario pu essere pi dimpaccio
che di aiuto; in generale si pu comunque dire che ragionevole cercar di usare entrambi
i sistemi, raccogliere cio dei testi liberi e insieme domandare come si traducono
determinate parole o frasi; con informatori addestrati possibile fare di pi, ad esempio
chiedere se ben costruita o no una certa frase, se sono possibili determinate variazioni;
ma anche in questi casi il confronto col materiale raccolto in testi liberi consigliabile.


CHOMSKY

Quel che si dir di Noam Chomsky in queste pagine non sar certo sufficiente ad esporre
in maniera sintetica il suo pensiero, n a far capire il suo metodo, n a dare
unindicazione delle principali sue tematiche: il fatto che questo linguista, ritenuto il pi
grande fra i viventi, ha elaborato una teoria estremamente complessa, che in evoluzione
continua e perci non affatto conclusa. Per dare unidea approssimativa del suo pensiero
dovrei dedicargli lintero corso, e forse non basterebbe: alcuni colleghi lo fanno, ma
personalmente non mi pare che sia il caso, perch resto dellopinione che
metodologicamente sia meglio usare molta osservazione e poco ragionamento piuttosto
che il contrario; e questo Autore, pur acutissimo, pare privilegiare invece proprio
lintrospezione, la ricerca sulla lingua che si conosce meglio. Ma daltra parte non posso

11
P. MHLHUSLER, nel suo volume Pidgin & Creole Linguistics, Oxford 1986, a p. 41 descrive cos il
fallimento d'una sua inchiesta coi questionari: "when I first set out to undertake linguistic fieldwork on
Tok Pisin of Papua New Guinea, I had carefully prepared a questionnaire designed to test speaker's
intuitions about a number of constructions. These questionnaires ended up as a fire over which a billy of
tea was made. I had come to realize that asking questions about decontextualized isolated sentences was
no more regarded as a meaningful activity by my informants than asking random speakers in a Western
speech community what colour skunks prefer. The main difference is that Western people feel obliged to
answer even such questions, whereas most Papua New Guineans do not, unless they belong to a culture
where question-answering is socially mandatory, in which case they tend to provide those answers they
expect the researcher to want to hear."
33
negare il grande influsso di questo autore sulla linguistica doggi, n lacutezza di
moltissime sue osservazioni; perci, non potendolo trascurare, cercher di sfiorare appena
le sue principali tematiche del passato, e se qualcuno vorr approfondire potr indicare
una bibliografia
12
.
Questo linguista era allievo di Zelig S. Harris, uno dei pi fedeli allievi di Bloomfield, e
la sua formazione fu tutta bloomfieldiana, ma ben presto insorse contro i limiti della sua
scuola, in aperta polemica. Not infatti che con quel metodo non era possibile generare
frasi, si poteva solo analizzare frasi costruite da altri; ma invece il parlante
perfettamente in grado di costruire nuove frasi. Contrariamente a quanto pensava
Bloomfield, Chomsky osserva che il parlante di una lingua perfettamente in grado di
dire se una frase ben formata o mal formata, anche se non lha mai sentita prima:
Secondo lui, probabile che il parlante inglese nella sua vita normale non si sia mai
imbattuto in frasi come:
a) look at the cross-eyed elephant
b) look at the cross-eyed kindness
c) look at the cross-eyed from
eppure, chiunque in grado di percepire che la prima frase ben formata [secondo
Chomsky: in realt gli elefanti non hanno la visione binocolare, perci secondo i nostri
parametri sarebbero tutti strabici], la seconda molto strana, la terza inconcepibile.
Daltra parte negli anni Cinquanta, quando Chomsky cominci a lavorare, prendevano
consistenza le critiche alla teoria dellapprendimento di Bloomfield: secondo
questultimo il bambino impara a parlare solo imitando, e continua a ripetere parole e
frasi gi sentite: ma la psicologa Berko fece un esperimento che provava il contrario. Su
un pezzo di carta disegn un animale immaginario, e disse ad un bambino che era un
wug; poi ne disegn altri due dello stesso tipo, chiese al bambino che cosa fossero, e
questo rispose che erano wugs; fu capace cio di formare il plurale di quella parola, anche
se certamente non laveva mai sentito, semplicemente perch conosceva il paradigma
dog-dogs, log-logs (ceppo-ceppi), ecc. Oggi a noi tutto ci sembra fin troppo evidente,
ma a quel tempo non era per nulla scontato; fu uninnovazione il fatto che Chomsky
dicesse che il parlare unattivit principalmente creativa. Il fine di questo autore non
solo il creare e sviluppare una teoria del linguaggio, ma anche una teoria
dellacquisizione linguistica: egli rovescia il rapporto di sudditanza che Bloomfield
vedeva nei confronti della psicologia, ed afferma precisamente: Vi sono numerose
questioni che potrebbero indurre una persona ad intraprendere uno studio del linguaggio.
Personalmente io sono affascinato soprattutto dalla possibilit di apprendere, attraverso lo
studio del linguaggio, qualcosa che sveli propriet intrinseche della mente umana; a
questo punto, la linguistica mira addirittura ad aiutare la psicologia nei suoi compiti
specifici. Si noti poi che egli parla in modo esplicito di mente, che per Bloomfield era
tab; anzi egli si dichiara mentalista, e se ne vanta (Bloomfield parlava dei mentalisti ma
a quel tempo probabilmente nessuno si definiva cos, era solo unetichetta che i
comportamentisti mettevano su chi non la pensava come loro). Per lui, la grammatica di
una lingua il modello della competenza linguistica del parlante nativo di quella lingua:
il parlante nativo sa che le frasi vanno composte in un certo modo, che vanno pronunciate

12
Ad esempio A. RADFORD, La sintassi trasformazionale: introduzione alla teoria standard estesa di
Chomsky, ed. Il Mulino, Bologna 1983.
34
in un certo modo; ma poi in qualche circostanza potr sbagliare, potr avere difetti di
pronuncia, ovvero incorrere in qualche lapsus, oppure formare frasi troppo contorte a
causa dellaccavallarsi dei pensieri, ecc.: questi si chiamano errori di esecuzione. Non
detto che una frase sia ben formata solo perch stata effettivamente pronunciata: ne
fanno prova, se mai ce ne fosse bisogno, delle raccolte apposite di strafalcioni e
castronerie, o programmi televisivi che ripetono tutti i lapsus apparsi in televisione.
Dunque per Chomsky il parlante nativo ha una competenza grammaticale che permette di
capire se una frase ben formata; ed una competenza pragmatica che permette di
interpretare correttamente le frasi che vengono pronunciate. Ad esempio, una frase tipo
oggi stato un disastro certo corretta grammaticalmente, ma va interpretata in un
certo modo se chi la pronuncia un tifoso di ritorno dalla partita, in altro modo se uno
studente che ha sostenuto un esame; potrebbe anche presentare difficolt
dinterpretazione se fosse pronunciata al di fuori di contesti che ne permettano
uninterpretazione pragmatica, ad esempio se la pronunciasse uno che si sveglia la
mattina. Ma il suo contributo alla pragmatica scarso, quello che gli interessa
soprattutto la competenza grammaticale. Esiste dunque una competenza sintattica che fa
riconoscere come ben formate, al parlante inglese, frasi come:
I gave back the car to him
I gave the car back to him
I gave him back the car
I gave him the car back
che significano tutte io gli ho restituito lauto. Invece non sono grammaticali frasi
come:
*I gave the car to him back
*I gave back him the car
Sorge ora il problema di capire in che senso una frase pu essere mal formata. La cattiva
formazione pu essere di tipo sintattico, per esempio in:
*John very Mary passionately loves
dove chiaramente lordine delle parole non funziona; ma le cose vanno meno lisce con le
frasi in cui la cattiva formazione di tipo semantico: spesso una di queste frasi pu essere
non mal formata, ma solo pragmaticamente strana. Per Chomsky pragmaticamente
strana una frase che urta in qualche modo le nostre convinzioni, pur essendo ben formata:
ad esempio il sintagma un geranio onesto pu farci qualche difficolt nella vita reale,
dove riteniamo che i fiori non abbiano virt morali, ma potrebbe essere perfettamente
appropriata in un contesto fiabesco. Cos pure in inglese, dove esiste un pronome who per
esseri umani distinto da which per esseri irragionevoli, frasi come the tree who we saw o
the man which we saw dovrebbero essere mal formate: ma possibile trovare dei contesti
(fiabeschi, fantascientifici) in cui inserirle (ma naturalmente sarebbero mal formate se
qualcuno le usasse in contesto normale). A questo punto per diventa difficile isolare
delle frasi che sicuramente sono mal formate dal punto di vista semantico: quelle che egli
riporta, come
*I killed John, but he didnt die
*All my friends are linguists, but I have no friends
non convincono troppo: in realt sembra che i linguisti le reputino mal formate perch
volano il principio di non contraddizione. Ma di frasi che volano la logica se ne trovano,
35
non solo pronunciate ma addirittura scritte. Che dire dellaffermazione di Nietzsche
secondo cui la verit non esiste? Si tratta di unaffermazione che si mangia la coda: se la
verit non esistesse, nessuna affermazione potrebbe essere vera, dunque non sar vero
neppure che la verit non esiste. E che dire di Bertolt Brecht, che scriveva al figlio che il
vero senso della vita limbroglio? Non sono sicuro che labbia veramente scritto, perch
lho letto in una citazione di seconda mano e non sono andato a controllare; quel che
minteressa far notare la contraddittoriet di una simile affermazione: si tratta di
unaporia che gi gli antichi avevano individuato, il cosiddetto paradosso del cretese, che
si pu esporre cos: un cretese va dicendo che tutti i cretesi sono bugiardi. Domanda:
bugiardo anche lui? se lo , allora non vero quello che dice; ma se non bugiardo,
ugualmente ci che dice non pu essere vero, perch c almeno un cretese che non
bugiardo. Analogamente, ci si pu chiedere: quando Brecht dichiarava che il senso della
vita limbroglio, stava imbrogliando? se imbrogliava, certo non vera la sua
affermazione; se invece (come pi probabile) era sincero nel dare al figlio questi
precetti di (pretesa) saggezza, allora con ci stesso dimostrava che anche per lui esisteva
qualche altro senso della vita oltre allimbroglio. Questa piccola rassegna di frasi celebri
ed illogiche si pu concludere col non vero ma ci credo che Benedetto Croce sembra
dicesse a proposito della iettatura; si potr dire che queste frasi non vanno molto
daccordo con la logica formale; si potr anche non essere daccordo con le opinioni di
questi signori (personalmente penso ad esempio che non solo la verit esista, ma che
luomo ne abbia assoluto bisogno, e che molti finiscano in cura dallo psicanalista proprio
perch vivono in ambienti dove la verit continuamente bistrattata), ma il solo fatto che
si possa discutere di queste affermazioni ci fa capire che esse comunicano in qualche
modo dei significati. Anche la frase di Chomsky io uccisi John, ma egli non mor,
potrebbe avere un senso, se inserita in un determinato contesto: ad esempio nei
videogiochi spesso i protagonisti godono di diverse vite (del resto, in particolari contesti
lecito anche giocare con la lingua: nota la frase di Tolkien, The Lord of the Rings, primo
capitolo: I dont know half of you half as well as I should like; and I like less than half of
you half as well as you deserve). Riprendendo largomento, si pu dire che per Chomsky
il bambino interiorizza tutta una serie di regole per la formazione delle frasi (sintassi),
altre regole per linterpretazione delle frasi (semantica), e infine delle regole per la
pronuncia delle frasi (fonologia): il linguaggio governato da regole. Quindi
lapprendimento di una lingua comprende lapprendimento di regole sintattiche,
semantiche e fonologiche: le stesse che il parlante nativo ha interiorizzato. Linsieme
delle frasi che si possono produrre infinito, anche se si impara a produrle in un tempo
finito, sulla base dellosservazione di un numero finito di enunciati; e daltra parte
infinita anche la lunghezza potenziale delle frasi che si possono produrre. Non esiste un
limite superiore alla lunghezza delle frasi di una lingua: ciascuna frase pu essere
allungata a piacere, come in:
John is a handsome man
John is a dark, handsome man
John is a tall, dark, handsome man
John is a sensitive, dark, handsome man
John is an intelligent, sensitive, dark, handsome man, ecc.
o ancora:
36
Debbie Harry is very attractive
Debbie Harry is very, very attractive
Debbie Harry is very, very, very attractive, ecc.
o ancora:
I chased the dog
I chased the dog that chased the cat
I chased the dog that chased the cat that chased the rat
I chased the dog that chased the cat that chased the rat that chased the mouse,
ecc.
Secondo Chomsky una grammatica adeguata al livello pi alto (cio esplicativamente
adeguata) se riesce a prevedere correttamente quali frasi sono o non sono ben formate in
una lingua, descrive correttamente la loro struttura, e inoltre fa questo nei termini di un
insieme altamente ristretto di princpi ottimalmente semplici, universali, e massimamente
generali, i quali rappresentino dei princpi naturali di calcolo mentale psicologicamente
plausibili, e siano apprendibili dal bambino in un periodo di tempo limitato, sulla base di
dati limitati.


DISPENSE DI FONETICA
(Liberamente derivate da quelle del prof. Orioles)
La fonetica la scienza che studia e classifica i suoni del linguaggio articolato,
analizzati "in quanto entit fisiche" (Mioni 1984). La fonetica si distingue in
fonetica articolatoria, che concerne le modalit di produzione dei suoni;
fonetica acustica, che prende in esame le modalit di trasmissione fisica del suono;
fonetica uditiva, che studia la percezione e la decodificazione da parte del parlante;
fonetica sperimentale o strumentale, dedicata ad un esame approfondito dei processi
fisiologici che entrano in gioco all'atto della produzione delle unit foniche, verificata
attraverso sofisticate strumentazioni.
Possiamo poi distinguere due specializzazioni della fonetica:
fonetica descrittiva, che implica lo studio dell'assetto fonico di una determinata lingua,
in un determinato momento storico, e cio in una dimensione sincronica;
fonetica storica, che implica l'analisi dei mutamenti fonetici nel tempo, in una
dimensione diacronica.
Dalla fonetica va tenuta distinta la fonologia, finalizzata a studiare i suoni come unit
funzionali e distintive, capaci di cio di differenziare e opporre tra loro le unit
significative (di prima articolazione) del linguaggio.
Le unit di analisi della fonetica prendono il nome di suoni o foni; le unit di riferimento
della fonologia si chiamano fonemi.

L'APPARATO FONATORIO - IL MECCANISMO DELLA FONAZIONE
II processo di fonazione ha alla base il meccanismo fisiologico dell'espirazione: un flusso
d'aria egressivo proveniente dai polmoni (la cosiddetta corrente espiratoria) viene
sospinto verso l'alto attraverso trachea e laringe. A quest'altezza, in corrispondenza del
cosiddetto 'pomo d'Adamo', l'aria incontra la glottide e le corde vocali, due lamine
membranose retrattili che, rilassate durante la respirazione, possono contrarsi ed
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avvicinarsi producendo vibrazioni.
Nel successivo percorso verso l'esterno l'aria attraversa la faringe, che funge da cassa di
risonanza (ma alloccorrenza si pu anche restringere, producendo delle consonanti), e
giunge nella bocca (cavit orale) per poi fuoriuscire; esiste anche, nel caso dei suoni
nasali, un passaggio alternativo attraverso il naso (cavit nasale). L'accesso all'una o
all'altra cavit determinato dalla posizione del velo palatino (detto anche palato molle o
velo pendulo): se il velo sollevato, resta chiuso il passaggio tra faringe e cavit nasale e
il flusso dell'aria viene incanalato attraverso la cavit orale; se invece il velo abbassato
l'aria pu liberamente defluire sia attraverso la cavit nasale sia attraverso la cavit orale.
Quando il flusso della corrente espiratoria fuoriesce liberamente verso l'esterno (e si
hanno per vibrazioni della laringe) si producono le vocali; se invece l'aria incontra una
qualsiasi forma di ostruzione o di restringimento del canale fonatorio, attraverso la
particolare configurazione che volta per volta assumono gli organi articolatori, vengono
prodotte le consonanti.

ORGANI FONATORI
Gli organi che intervengono a condizionare la produzione dei suoni, ossia gli organi
fonatori, sono:
le labbra, che producono foni labiali o labiodentali;
la lingua (distinta a sua volta in apice, lamina, dorso e radice), che concorre a
determinare la gran parte dei suoni;
le corde vocali, che producono i foni glottidali;
la faringe, in suoni estranei alle lingue europee.

TIPOLOGIA DEI SUONI: VOCALI E CONSONANTI
Le unit toniche possono essere distinte in due grandi classi, le vocali e le consonanti. Le
prime sono caratterizzate dal fatto di essere prodotte da un flusso d'aria che fuoriesce
senza incontrare ostacoli ed inoltre dal fatto di essere sonore, ossia di essere
accompagnate dalla vibrazione delle corde vocali (vocali bisbigliate, pronunciate cio
senza la voce, esistono come varianti libere o combinatorie in diverse lingue, ma non
risulta che possano diventare fonemi autonomi). I fonemi consonantici si differenziano
rispetto alle vocali per il fatto che la corrente espiratoria, nel fuoriuscire, incontra in ogni
caso un ostacolo, il cui superamento determina la caratteristica articolatoria e l'effetto
acustico proprio di ciascuna consonante; come ci indica il vocabolo stesso che li designa
(lat. consonans, calco del greco symphonos), le consonanti devono la loro denominazione
al fatto di appoggiarsi ad una vocale e di risuonare con essa.

VOCALISMO
Le vocali possono essere classificate secondo cinque principali parametri, quattro
qualitativi e uno quantitativo.
1. PARAMETRI QUALITATIVI
1a. Le vocali possono essere differenziate innanzitutto a seconda del luogo di
articolazione ( il punto pi o meno avanzato della cavit orale verso il quale si dirige il
dorso della lingua). In rapporto a tale caratteristica le vocali si distingueranno in:
anteriori o palatali (chiare): il dorso della lingua si orienta verso la parte anteriore del
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palato;
centrali: il dorso della lingua si orienta verso la regione mediana;
posteriori o velari (scure): il dorso della lingua si orienta verso la regione posteriore.
1b Un secondo paramentro classificatorio la posizione della lingua: a seconda che la
lingua si protenda verso lalto o stia appiattita in basso il suono delle vocali differisce,
perch diverso il grado di apertura (ossia l'ampiezza dell'angolo diaframmatico o
intermascellare) nel senso che pi alta la posizione della lingua nella cavit orale, pi
chiusa la vocale. "La linguistica recente preferisce privilegiare la classificazione delle
vocali in termini di altezza della lingua, in quanto l'apertura sembra essere un tratto tutt'al
pi subordinato all'altezza" (Mioni 1993, p. 121, n. 18). In funzione di tale criterio le
vocali possono essere dunque classificate in:
alte (chiuse)
medioalte (semichiuse)
mediobasse (semiaperte)
basse (aperte)
1c. A seconda del coinvolgimento o meno delle labbra, il cui intervento comporta un
tipico arrotondamento, le vocali possono essere infine essere classificate come
arrotondate (ovvero labializzate, o anche procheile)
non arrotondate (aprocheile)
In alcune lingue tale caratteristica fonologicamente rilevante o distintiva, in quanto
garantisce la distinzione tra serie vocaliche del medesimo grado di apertura (o altezza):
questo il caso del russo, dove la posizione della lingua determinata dal contesto (perch
si distinguono in questa lingua consonanti palatalizzate, in cui la lingua si sposta in
avanti, e non palatalizzate, in cui la lingua sta indietro; dunque la posizione della lingua
determinata dalle consonanti vicine) e le vocali si distinguono solo per la posizione delle
labbra. Diversa (ma analoga) la situazione del francese e del tedesco, che oppongono
anteriori non arrotondate (tipo /i/, /e/) alle corrispondenti anteriori arrotondate (tipo /y/,
//). In italiano e spagnolo invece, il coinvolgimento delle labbra pare fonologicamente
ridondante in quanto le vocali anteriori sono sempre non arrotondate e le posteriori sono
sempre arrotondate.
1d. Le vocali si distinguono inoltre in orali e nasali; nell'articolare le prime la corrente
espiratoria non incontra ostruzione; la realizzazione delle vocali nasali invece
condizionata da una ostruzione esercitata dal velo palatino, per effetto della quale laria si
incanala nelle cavit nasali. Tra le lingue che dispongono di un sottoinsieme di vocali
nasali distinte dalle corrispondenti orali ricordiamo il francese; la nasalizzazione di una
vocale si indica con un particolare segno diacritico, la tilde, sovrapposta alla
corrispondente vocale orale: ad es. /A)/.

2. PARAMETRO QUANTITATIVO
La dimensione quantitativa riguarda la distinzione di durata vocalica, che oppone vocali
lunghe e vocali brevi. E' noto in particolare che il latino possedeva un sistema simmetrico
di dieci vocali, cinque con un valore lungo e cinque con il corrispondente breve:
e i o u a
e i o u a
La distinzione era cos importante che si potevano formare coppie minime opposte solo
39
da tale tratto:
venit "viene" venit "venne"
populus "popolo" populus "pioppo"
rosa "la rosa" (nominativo) rosa (ablativo)
palus "palude" palus "palo"
Ulteriori lingue che fanno valere tale distinzione sono il finnico (ad es. tuli "fuoco" si
oppone a tuuli "vento") e l'estone, che presenta tre gradi di lunghezza: breve, lungo e
lunghissimo. Anche in friulano giocano un certo ruolo le opposizioni di durata (che
tuttavia, come spesso accade, interagiscono con opposizioni di timbro, perch le vocali
brevi tendono ad essere pi aperte):
lat latte lt andato
pas passo ps pace
nas nasce ns naso
pes per le ps peso
mil mille ml miele
tos tosse ts tue
brut brutto brt nuora e brodo
In altre lingue, come ad esempio l'italiano e lo spagnolo, la lunghezza vocalica non ha
rilevanza fonologica; in francese, almeno in alcuni parlanti, si distingue /e/ da /e:/; si
vedr pi avanti la complessa situazione dellinglese.

CONSONANTISMO
La chiusura o comunque la costrizione che contrassegna la produzione di suoni
consonantici si attua con diverse modalit e in corrispondenza di diversi punti
dell'apparato fonatorio. Sotto questo aspetto classificheremo pertanto le consonanti in
funzione del modo e del luogo di articolazione: il modo di articolazione si riferisce al
tipo di ostruzione che viene opposto al passaggio dell'aria; il luogo di articolazione, o
punto articolatorio, indica il punto in cui gli organi dell'apparato fonatorio entrano in
contatto totale o parziale tra loro.
Inoltre le consonanti, almeno nelle lingue pi studiate, presentano un terzo ulteriore
elemento di differenziazione:
si definiscono sorde se vengono realizzate senza produrre vibrazioni delle corde vocali
(es. p, t, k);
si definiscono sonore se la loro realizzazione associata alla vibrazione delle corde
vocali (es. b, d, g).
Altre lingue distinguono invece consonanti aspirate e non aspirate, forti e leni (ovvero
tese e rilassate), glottalizzate e non glottalizzate, ecc.
Ciascuna unit fonica verr definita in rapporto alla peculiare combinazione delle tre
caratteristiche di modo, di luogo e di sonorit. Diremo ad esempio volta per volta che una
/p/ costituisce una occlusiva bilabiale sorda; che una /z/ simboleggia una fricativa dentale
sonora ecc.
MODI DI ARTICOLAZIONE
occlusive (plosive, ostruenti)
Le occlusive devono il loro nome al fatto che si articolano producendo una chiusura
completa del canale fonatorio in modo tale che il flusso espiratorio incontri un
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improvviso e brusco ostacolo cui fa seguito una altrettanto brusca riapertura. L'occlusione
pu avvenire in diversi punti dell'apparato fonatorio.
fricative (spiranti, costrittive)
Le fricative "sono prodotte con un restringimento del canale orale tale da causare una
compressione dell'aria contro le pareti" (Mioni, Elementi di fonetica, p. 51); tale
compressione provoca un tipico rumore di sfregamento dell'aria, che ne giustifica la
denominazione. Sono dette anche costrittive per la costrizione cui va soggetta la la
corrente espiratoria all'atto del suo passaggio attraverso il canale fonatorio. Un tipo
particolare di fricative sono le sibilanti (/s/, /z/, /S/, /b/) che differiscono dalle altre per la
forma assunta dalla lingua.
approssimanti (ingl. approximant)
Si definiscono approssimanti i suoni simili ai fricativi, nella realizzazione dei quali la
frizione per meno avvertibile. Sono approssimanti i fonemi prevocalici /j/ e /w/, tipici
delle voci italiane ieri (approssimante palatale) e uovo (approssimante velare o
labiovelare), e /5/ proprio del francese nuit (approssimante labiopalatale). Le si pu
chiamare anche semiconsonanti; in ogni caso questa tipologia di suoni non va confusa
con le cosiddette semivocali con cui dobbiamo intendere i suoni che ricorrono come
secondo elemento di dittongo discendente, come ad es. in it. faida e causa. Fricative e
approssimanti sono sottoinsiemi della classe delle continue.
affricate
Le affricate sono una modalit articolatoria composita, che risulta dalla combinazione di
una componente iniziale di tipo occlusivo e di una finale di tipo fricativo omorganica
(ossia dello stesso o affine luogo di articolazione); da qui la duplice notazione cui si fa
ricorso per simboleggiarle: ad esempio /pf/, /v/, /w/. Nonostante si tratti di fonemi unitari
a se stanti e non di sequenze biconsonantiche di occlusiva + fricativa, l'IPA non ha finora
ritenuto di assegnare a tali suoni una serie autonoma ma si limita a riportarli nella tabella
degli Altri simboli, sottolineandone la fusione mediante un segno di legamento.
nasali
A rigore si devono considerare le nasali come una sottospecie di occlusive, in quanto la
loro realizzazione comporta un ostacolo completo alla fuoriuscita dell'aria. Le consonanti
nasali si producono abbassando meccanicamente il velo palatino e lasciando cos defluire
la corrente espiratoria attraverso la cavit nasale; ci ne determina la peculiare risonanza.
Le nasali si distinguono a seconda del luogo di articolazione in labiali, dentali (alveolari),
palatali e velari; sono comunque tutte sonore.
laterali
Le consonanti laterali devono il loro nome al fatto che il flusso d'aria, bloccato nella parte
centrale della cavit orale, passa ai lati della lingua. Il punto articolatorio delle laterali
pu oscillare da dentale (in italiano e francese) ad alveolare (inglese), da palatale (ad es.
italiano gli) fino a velare (allofonico in inglese; fonologicamente rilevante ad esempio in
slovacco e croato). Di solito sono sonore: il gallese conosce una laterale sorda (una
fricativa in cui laria passa da un solo lato della lingua), scritta ll.
vibranti (ingl. trills)
II modo di articolazione delle vibranti rappresentato essenzialmente dalla /r/ tipica
dell'italiano. Ma poich i suoni trascritti come r presentano differenze anche vistose da
una lingua all'altra bene premettere un riepilogo sui principali tipi fonici. L'articolazione
41
di una <r> pu variare per modo e per luogo di articolazione. Secondo il modo si
distinguono vibranti, fricative, approssimanti; secondo il punto articolatorio abbiamo
realizzazioni apicoalveolari, postalveolari, uvulari.
1. vibranti
A seconda se la vibrazione sia unica o ripetuta, i suoni vibranti si distinguono in:
monovibranti o flaps (come in sp. toro, pero, caro)
plurivibranti (come in sp. perro, carro e come in it.)
le plurivibranti a loro volta possono essere:
alveolari [r]: la realizzazione normale della r italiana: l'articolazione si ottiene infatti
facendo vibrare la punta della lingua all'altezza degli alveoli.
uvulari [R] : si tratta della variante della r che si realizza in posizione iniziale sia in
tedesco (ad es. Reich, rot) che in francese (ad es. quella di rose; denominata r
grassey): in questo caso l'organo che genera le vibrazione non l'apice della lingua ma
l'ugola.
2. fricative: fricativa uvulare la realizzazione normale della r francese: si tratta della
cosiddetta r parigina. Rispetto alla corrispondente vibrante, l'articolazione si differenzia
perch, anzich comportare un contatto, implica un restringimento.
3. approssimanti: approssimante postalveolare la realizzazione normale della r inglese


LUOGHI DI ARTICOLAZIONE
I principali luoghi di articolazione delle consonanti sono i seguenti nove:
1. bilabiali
Comportano un contatto tra labbro inferiore e labbro superiore (es. it. /p/ e /b/)
2. labiodentali
Sono tali le consonanti articolate con il concorso del labbro inferiore e dei denti incisivi
superiori. Ne sono un tipico esempio le fricative /f/ e /v/; esiste anche una nasale
labiodentale /A/ realizzata ad es. in it. invio (qui comunque non fonema indipendente
ma variante combinatoria).
A partire dai successivi luoghi di articolazione iniziano le consonanti apicali, pronunziate
cio con la punta (apice) della lingua; ma in alcuni casi pi esatto parlare di predorsali,
consonanti cio pronunciate con la parte anteriore del dorso della lingua. Distingueremo:
3. dentali, interdentali, alveolari e postalveolari
Questa regione articolatoria molto densa di unit foniche, appartenenti a vari modi di
articolazione (occlusive, fricative, affricate, nasali, laterali, vibranti). Anche se i vari
sottotipi sono trattati come un insieme unitario nella tabella IPA, vale comunque la pena
richiamare alcune importanti differenziazioni.
dentali
A determinare l'ostacolo totale o parziale interviene l'apice della lingua che si accosta alla
parte mediana degli incisivi superiori. Sono tali la t, la d e la n dell'italiano. In altre lingue
(francese, tedesco) si preferisce chiamarle apicali perch sono realizzate con la punta
(apice) della lingua.
interdentali
Consonanti articolate con l'apice della lingua che oltrepassa il bordo dei denti: costituisce
ad esempio una fricativa interdentale la pronuncia del th inglese di thing (sorda) o they
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(sonoro); la fricativa interdentale sorda posseduta anche dallo spagnolo, che la nota con
c in cinco, e con z in zapato, juzgar.
alveolari
Le consonanti alveolari sono realizzate in corrispondenza degli alveoli dei denti superiori.
Sono ad esempio alveolari le occlusive t e d dell'inglese, la cui articolazione
sensibilmente pi arretrata rispetto ai corrispondenti suoni dell'italiano.
postalveolari ( palatoalveolari)
L'articolazione delle postalveolari, denominate in base a precedenti classificazioni
palatoalveolari, realizzata in una regione intermedia tra gli alveoli degli incisivi
superiori e il palato duro. Sono prodotte come postalveolari ad esempio la fricativa di it.
sciame e le corrispondenti affricate di cena e giovane; tale anche la realizzazione
dell'approssimante inglese //.
4. retroflesse
Si tratta di fonemi articolati rovesciando all'indietro la punta della lingua in modo tale che
la superficie inferiore di tale organo venga a toccare o a sfiorare la volta del palato duro e
gli alveoli: retroflessa la peculiare pronunzia di siciliano beddu "bello" e di analoghi
suoni del sardo e delle lingue dellIndia. Tradizionalmente vengono anche denominate
cacuminali.
5. palatali
Si chiamano palatali le consonanti articolate all'altezza del palato "duro". Si tratta di un
punto di articolazione molto ampio e poco definito; per quanto riguarda le occlusive, ad
esempio, "data l'ampiezza del contatto difficile che si abbia un'occlusione completa",
Possono avere una articolazione palatale:
le occlusive: sono tali i suoni friulani tradizionalmente scritti con cj e gj;
le fricative: ad es. // (cui corrisponde la grafia ch del ted. Milch, ich);
le affricate: ad es.la /w/ di it. cena e la /t/ di giro, rispettivamente sorda e sonora; ma
per molti meglio classificarle come postalveolari;
le nasali: /B/ come in it. legno
le laterali: /^/ come in it. paglia
6. velari
Questo punto articolatorio comprende esecuzioni foniche effettuate col dorso della lingua
nella zona del palato "molle" o velo palatino (da qui il nome di velari: ma altri linguisti le
dicono dorsali). Oltre alle occlusive /k/ e /g/ si annoverano tra le velari le fricative
rispettivamente sorda /x/, propria del tedesco (Nacht), dello spagnolo (trabajo) e del
neogreco, e sonora /3/ propria del nederlandese e della realizzazione intervocalica della g
spagnola (fuego).
7. uvulari
L'articolazione di questi fonemi si esegue spostando la parte posteriore della lingua verso
l'estremit del velo palatino o ugola (in latino uvula; da qui la denominazione). Le uvulari
possono essere:
occlusive, simboleggiate con /q/ e /G/, articolate molto pi indietro rispetto alle velari
/k/ e /g/: il tipo sordo presente nelle lingue semitiche e ricorre ad es. nella grafia q dei
nomi arabi come Iraq, Qatar, al-Qaida; la /G/ presente in persiano;
fricative;
vibranti:
43
(per le fricative e vibranti uvulari si veda il commento in sede di analisi dei vari tipi di r)
8. faringali
Le fricative faringali sono "prodotte con la radice della lingua spostata all'indietro verso la
parete della faringe" (Mioni 2001, p. 60). Possono essere sorda // e sonora /e/; ambedue i
suoni sono presenti nelle lingue semitiche ed al profano danno limpressione che ci sia di
mezzo una a: cos lebr. ma stato reso con Messia (e del resto anche i Massoreti,
quando vocalizzarono il testo ebraico della Bibbia, in parole del genere scrissero una a
non fonologica, furtiva, tipo ma
a
y). In arabo la faringale sonora sta per es. allinizio
della parola /eira:q/ Iraq, o in mezzo alla parola /alqa:eida/ al Qaida.
9. glottidali
La glottide non un vero e proprio organo, ma lo spazio laringeo compreso fra le corde
vocali. Tra i suoni glottidali si possono avere:
l'occlusiva sorda /d/, realizzata mediante una brusca apertura della glottide. Questo
suono in molte lingue precede la vocale iniziale di parola: ad es. ricorre in tedesco
all'inizio di ogni parola cominciante per vocale (es. ein Apfel). In alcune lingue esistono
consonanti glottalizzate, che sono solitamente delle occlusive (p,t,k) seguite da questo
suono di occlusione glottale.
la fricativa /h/, che quella di ingl. have, ted. haben ed anche della pronunzia fiorentina
di poco [poho]. Esiste anche una variante sonora /6/, presente in ceco e slovacco.

RAPPORTO TRA GRAFIA E PRONUNCIA
La scrittura pu presentare una maggiore o minore aderenza alla realt sonora: per quanto
ne sappiamo, nessuna lingua perfettamente rappresentata dalla scrittura che usa
comunemente; ma in alcuni casi la distanza tra la realt fonica e la rappresentazione
grafica molto grande, e la causa principale la conservativit dell'ortografia, che in
molti casi rimasta ferma mentre la lingua si evolveva. In base a ci possiamo dividere le
lingue in due categorie: quelle che usano una scrittura (prevalentemente) fonetica, e
quelle che ne usano una (prevalentemente) storica. Il caso, puramente ideale, di una
perfetta aderenza tra evoluzione della lingua e scrittura, si potrebbe paragonare a uno
specchio, che ogni giorno riflette la faccia sempre mutante di chi ci si guarda, mentre una
totale storicit si paragonerebbe meglio a una fotografia, che rimane immutabile e sempre
identica mentre il soggetto cambia cogli anni.
Sistemi di trascrizione
Per ovviare agli inconvenienti delle ortografie ufficiali che comportano
incongruenze e discordanze sia all'interno di una stessa lingua sia tra lingua e lingua, gli
studiosi fanno ricorso alla grafa fonetica. La grafa fonetica un sistema di trascrizione
che ha lo scopo di fissare graficamente i fonemi in modo univoco, in maniera tale cio
che ad ogni unit fonica corrisponda uno specifico simbolo.
La grafa fonetica pu essere analfabetica, "se costituita da simboli che si
discostano dalla comune norma della trascrizione alfabetica" (cfr. ad es. il Visibile Speech
di M. Bell e poi di Potter-Kopp-Green) ovvero alfabetica, "costituita cio da una serie di
simboli che complessivamente formano un alfabeto convenzionale" (Gentile 1966).
I principali sistemi di 'grafa fonetica alfabetica', o alfabeti fonetici, sono il sistema
di Bhmer, i criteri fatti valere da Graziadio Isaia Ascoli nellArchivio Glottologico
Italiano, perfezionati da Carlo Battisti nella Fonetica generale (Milano 1938); ha goduto
44
poi di una certa fortuna nella scuola italiana il sistema di trascrizione proposto da
Clemente Merlo e adottato dallItalia dialettale (di questo periodico si vedano i voll. 1,
1925, p. 3 ss.; 3, 1927, pp. I-IV), al quale si rifa ad es. Heilmann 1955 (cfr. p. 12 ss. con
tabella); ricordiamo ancora la trascrizione adottata da K. Jaberg e J. Jud nell'AIS (ovvero
Atlante [linguistico] Italo-Svizzero); la cosiddetta scrittura laletica ideata da J.
Forchhammer. Ma su tutti si imposto il sistema codificato dalla International Phonetic
Association ovvero lInternational Phonetic Alphabet (noto con labbreviazione IPA).

L'Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA)
II sistema messo a punto dall'Associazione Fonetica Internazionale, elaborato
originariamente nel 1888, stato assoggettato a successive revisioni, l'ultima delle quali
di un certo peso intervenuta nel 1996 con alcuni ulteriori ritocchi operati nel 1999. Per
ulteriori dati sull'IPA pu rivelarsi utile la consultazione del Handbook of th
International Phonetic Association: A guide to the use of the International Phonetic
Alphabet, Cambridge, Cambridge University Press, 1999. Forniamo ora, qui di seguito,
una serie di prime indicazioni su siti intemet utili per acquisire familiarit con i prioncipi
e con la simbolistica dell'IPA.
International Phonetic Association: http://www.arts.gla.ac.uk/IPA/ipa.html
pagine principali:
a) simboli IPA: http://www.arts.gla.ac.uk/IPA/ipachart.html (Tabella dei simboli IPA);
b) materiali sonori: http://www.phon.ucl.ac.uk/home/wells/cassette.htm ( possibile
ordinare l'audiocassetta o il CD dei suoni IPA);
c) link alla pagina da cui scaricare i file audio relativi alle lingue illustrate nellHandbook
of the IPA: http://web.uvic.ca/ling/resources/ipa/handbook.htm

Convenzioni che regolano la trascrizione
Bisogna distinguere fra:
trascrizione stretta (ingl. narrow transcription) o trascrizione fonetica: indica i foni, le
realizzazioni fisiche dei suoni, dando conto di tutte le varianti, anche marginali, a cui
soggetta una determinata unit fonica a seconda dei contesti in cui si trova calata. Le
trascrizioni fonetiche si racchiudono tra parentesi quadre.
trascrizione larga (ingl. broad transcription) o trascrizione fonologica (o fonematica);
indica i fonemi, le classi astratte omettendo di segnalare le specificit delle singole
produzioni. Le trascrizioni fonologiche si racchiudono tra barre oblique.
Proponiamo una serie di esempi:
1. it. anche; lingua
trascrizione fonetica: ['aCke]; [liCgwa] trascrizione fonologica /'anke/; /'lingwa/. Nelle
due parole qui riportate la natura velare della nasale segnalata solo in sede di
trascrizione fonetica; per contro la trascrizione fonologica non ne rende conto, in quanto
si tratta di una realizzazione automatica predicibile dal contesto, che non entra in
opposizione con altra unit fonica.
2. it. tavolo
trascrizione fonetica: ['ta:volo]
trascrizione fonologica: /'tavolo/. Per quanto riguarda la differenza tra le due trascrizioni
di tavolo, si osservi che la trascrizione fonetica rende conto della lunghezza vocalica, che
45
invece omessa in sede di trascrizione fonematica in quanto ridondante ai fini fonologici.
Notazione della lunghezza vocalica
Per rappresentare la durata vocalica in sede di trascrizione fonologica, l'IPA non adotta
alcun accorgimento per le vocali brevi mentre prevede di far seguire alla corrispondente
vocale lunga il simbolo [:]. Esistono poi delle convenzioni che vengono tradizionalmente
fatte valere per specifiche lingue: ad esempio abbiamo osservato che per il latino si
impiegano un semicerchio e un trattino sovrapposto rispettivamente per la breve e per la
lunga; per il friulano la vocale lunga (sempre tonica) viene notata con un accento
circonflesso.
Notazione dell'accento L'accento va segnalato con un trattino verticale posto prima della
sillaba tonica.

SISTEMA FONOLOGICO ITALIANO
Si dice che, a differenza di altre lingue di cultura (si pensi alla received
pronunciation dell'inglese o alla norma del francese di Parigi), l'italiano non ha una
pronuncia che possa essere indicata come standard; a nostro avviso ci vero solo in
parte, perch nella realt tutte le principali lingue del mondo ammettono notevoli
fluttuazioni di pronuncia, come si vedr. Anche in italiano, non per nulla scontato
l'inventario dei fonemi: il punto di vista pi diffuso (cfr. ad es. Lepschy 1964, p. 53)
quello che identifica nella lingua italiana 30 fonemi, ripartiti in 21 consonanti, 2
approssimanti o semiconsonanti e 7 vocali; ma secondo altri studiosi (fra cui il
sottoscritto) le semiconsonanti /j/ e /w/ non sarebbero veri fonemi, bens varianti delle
vocali /i/ ed /u/, con un'occorrenza legata a regole complesse; qui saranno comunque
elencate tra i fonemi.
SISTEMA CONSONANTICO ITALIANO: tabella riepilogativa
bilabiali labiodentali dentali alveolari postalveolari palatali velari
occlusive p b t d k g
fricative
sibilanti


f v


s z S (b)




affricate v s w t
nasali m n B
laterali 1
^

vibranti r

CONSONANTISMO ITALIANO
occlusive
bilabiali: /p/ sorda pane, capo /b/ sonora bello, bambino
dentali: /t/ sorda tana, lato /d/ sonora dare, modo
velari: /k/ sorda cane, caldo, chi /ki/; /g/ sonora gallo, lago, ghiro /giro/
46
fricative
labiodentali: /f/ sorda filo; /v/ sonora vela
dentali: tradizionalmente le fricative dentali del tipo di quelle dellitaliano vengono
denominate sibilanti; c la /s/ sorda sole, stato; /z/ sonora rosa /roza/, uso /uzo/, sbarrare
[zbarrare], smontare [zmontare]. La variet toscana in realt l'unica che opponga
funzionalmente /s/ a /z/, ma solo in posizione intervocalica. Esempi di coppie minime:
fuso [fu:so] "arnese per filare", opposto a fuso [fu:zo] part. pass. di fondere; chiese
['kj:se] pass. rem. di chiedere opposto a chiese ['kj:ze] pl. di chiesa. Sulla base di tali
opposizioni del toscano, alcuni studiosi fanno valere la distinzione fonematica tra /s/ e /z/
per tutto l'italiano; a rigore, dato il basso rendimento funzionale dell'opposizione e la sua
estraneit alle altre variet di italiano, dovremmo postulare lesistenza di due varianti in
distribuzione complementare.
palatali (propriamente sono postalveolari) /S/ sorda: scena /Sna/, sciocco /S$ kko/
Si noti, per quanto riguarda la corrispondenza tra grafia e pronunzia, che il fonema
trascritto con il digramma sc davanti a e/i (oltre a scena, si pensi a scivolare); trascritto
con il trigramma sci davanti alle altre vocali ( appunto il caso sopra ricordato di sciocco
in cui la i 'muta', ossia assorbita dalla consonante che la precede).
Si osservi ancora che in posizione intervocalica la fricativa palatale nella pronuncia
toscana sempre doppia: coscienza [ko'SSnva]; lasciare [la'SSare].
La corrispondente fricativa sonora /b/ si incontra in italiano solo nei prestiti dal francese
(come ad es. garage) e nella realizzazione toscana della g intervocalica (come ad es. in
cugino).
affricate
L'italiano conosce quattro affricate fonologicamente distintive:
dentali: /v/ sorda: zio /vio/; forza /f$rva/; /dz/ sonora: pranzo /pranso/, zero /sro/,
zanzara /sansara/. Tra vocali sia la sorda /ts/ che la sonora /dz/ nella pronuncia toscana
sono realizzate sempre come lunghe; in trascrizione tale allungamento viene notato
ripetendo solo il primo simbolo del digramma: es. vizio /vitvjo/; stazione /statvjone/;
azoto /ads$to/. In altre variet ditaliano invece si pronunciano semplici o geminate a
seconda della consuetudine grafica: in queste variet si pu opporre spazzi (/spatvi/, da
spazzare) a spazi (/spavi/) pl. di spazio; gazza (/gadsa/) specie di uccello, a Gaza
(/gasa/) citt palestinese. In molte variet ditaliano la distinzione tra /v/ e /s/ si
neutralizza allinizio di parola, dove compare sempre la sonora: zio, zona si dicono /sio/,
/s$na/ mentre il toscano distingue tra /vio/ e /s$na/. Sono rare le coppie minime capaci di
opporre /ts/ : /dz/. Ecco comunque un esempio: razza /'ratva/ " stirpe" : razza /'radsa/
"tipo di pesce".
palatali (propriamente sono postalveolari): /w/ sorda cena /wena/, falce /falwe/; /t/
sonora gente /tnte/, giro /tiro/. Occorre ricordare che, davanti ad a, o, u, la sequenze
grafiche ci, gi hanno valore monofonematico (equivalgono cio ad un unico fonema); in
altri termini la i costituisce un mero accorgimento grafico per segnalare il valore palatale
di c, g. Esempi: ciao /wao/, giacca /takka/, bacio /bawo/, gioco /t$ko/
nasali (tutte sonore):
/m/ bilabiale in mano, ama; /n/ dentale (ma per la precisione alveolare) in neve, cane;
/B/ palatale in gnomo. Lo standard italiano prevede che nel corpo di parola tra vocali la
47
/B/ sia realizzata sempre come doppia: legna ['leBBa]; regno ['reBBo]; sogno ['soBBo],
bagniamo /baBBamo/. Si osservi che nei verbi uscenti in gn (es. bagn-are e sogn-are),
esiste qualche incertezza circa la grafa da far valere davanti alle desinenze -iamo, iate /-
jamo/, /-jate/ (quelle di am-iamo, e di am-iate II pers. pl. del cong. pres.) in cui la nasale
palatale viene a trovarsi davanti a /j/. La norma tradizionale prescriveva la grafa con i
(bagniamo, sogniate) in ossequio al principio morfologico anche se nella pronuncia la i
viene assorbita. La nasale velare in italiano non fonema autonomo, ma si pu realizzare
come allofono: anche [aCke]
laterali
/l/ alveolare: lana. Canepari 1979, p. 50 osserva che le realizzazioni 'normali' di /n/ ed /l//
sono alveolari, tranne che in casi come tanto, alto dove si realizzano come dentali per
assimilazione al luogo di articolazione della consonante che segue.
/^/ palatale: gli /^i/. Nel corpo di parola tra vocali realizzata sempre come doppia: figlio
/fi^^o/, maglia /ma^^a/, famiglia /fami^^a/
vibrante
/r/ alveolare: rana. Pur non essendo cos forte come quello spagnolo (come in perro
"cane"), il suono si caratterizza per la rapida vibrazione della punta della lingua.

APPROSSIMANTI (o semiconsonanti)
/j/: iodio /j$dio/, piede /pjde/.
/w/: uovo /w$vo/; buono /bw$no/; quadro /kwadro/; eseguire /eze'gwire/
Come si accennava in premessa, non pacifico lo statuto di unit fonematiche per tali
entit foniche. In effetti il rendimento funzionale delle opposizioni che differenziano da
una parte /j/ o /w/ e dall'altra i corrispondenti fonemi vocalici /i/ o /u/ piuttosto basso in
quanto sono poche e isolate le coppie minime che si possono costruire a partire da essi:
ricordiamo per la distinzione /j/ : /i/ alleviamo come forma verbale di allevare, con i
semiconsonantica, opposto all'omografo alleviamo riferito ad alleviare, spianti da
spiantare e spianti, participio di spiare; per l'opposizione tra /w/ e /u/ qui vs. cui, la quale
vs. lacuale. Per simili casi chi scrive sostiene che in realt ci che differenzia queste
parole il taglio sillabico: ovvero la differenza vera di pronuncia tra [spjan-ti] (2
sillabe) e [spi-an-ti] (3 sillabe), o tra [la-kwa-le] (3 sillabe) e [la-ku-a-le] (4 sillabe).

VOCALISMO ITALIANO
II vocalismo italiano risulta abbastanza semplice e ben equilibrato. Abbiamo infatti a che
fare con due serie simmetriche composte da tre vocali anteriori che si oppongono a tre
posteriori (e arrotondate) dello stesso grado di apertura; a queste due serie si aggiunge una
vocale /a/ di massima apertura e minima altezza che ha anche la prerogativa di essere
l'unico fonema vocalico a non coincidere con la posizione delle vocali cardinali.

SISTEMA VOCALICO ITALIANO: tabella riepilogativa
i u
e o
$
a

48
vocali della serie anteriore (non arrotondate)
/i/ alta, chiusa: fini
/e/ medio-alta, semichiusa: sete
// medio-bassa, semiaperta: bello
vocali della serie posteriore (arrotondate)
/u/ alta, chiusa: fuga
/o/ medio-alta, semichiusa: sotto
/$/ medio-bassa, semiaperta: uomo /w$mo/, notte /n$tte/.
Al di fuori di queste serie sta la /a/ vocale bassa, di massima apertura: lana.
Come si pu rilevare, la presenza di due timbri vocalici per e e per o genera discordanza
tra numero di unit vocaliche dell'inventario fonologico (7) e numero dei grafemi (5). Si
ricorre pertanto all'accorgimento grafico di distinguere le vocali aperte mediante accento
grave (, ) e le corrispondenti chiuse mediante l'accento acuto (, ).
coppie minime che in toscano oppongono i due timbri vocalici:
psca (frutto del pesco) : psca (attivit di pescare); vnti (pl. di "vento") : vnti
(numero); acctta (verbo) : acctta (ascia); lgge (verbo) : lgge (nome); afftto (sost.)
: afftto (dal v. affettare); mnte (dal verbo mentire) : mnte (sost.); mnto (sempre da
mentire) : mnto (sost.); tma (argomento) : tma (cong. di temere); sse (la lettera) :
sse (plur. di essa); btte (le percosse) : btte (recipiente per il vino); clto (part. pass. di
cogliere) : clto "istruito"; crso (della Corsica) : crso (da correre); fro (di citt
romane) : fro (buco); fsse (plur. di fossa) : fsse (impf. cong. di essere); mzzo
mutilo : mzzo ragazzo di nave; prci "maiali" : prci (dal verbo porre); pse (plur.
di posa) : pse (pass. rem. di porre); scrsi (pass. rem. di scorgere) : scrsi (passati);
srta (variet) : srta (part. pass. di sorgere); vlto (part. pass. di volgere) : vlto "viso"
neutralizzazioni
Dobbiamo ricordare che tale opposizione vige propriamente nel solo vocalismo tonico,
mentre diversa la configurazione del vocalismo atono; in sillaba non accentata, infatti,
si ha una realizzazione media: si parla tecnicamente di neutralizzazione.
varianti regionali
La maggior parte delle aree regionali dispongono di un vocalismo tonico diversamente
strutturato rispetto alla standard a base toscana. In molte regioni meridionali (ed inoltre
anche a Gorizia e Trieste) il sistema pentavocalico, comprende cio solo cinque timbri
annullando la distinzione tra vocali semichiuse e vocali semiaperte.




SISTEMA FONOLOGICO INGLESE

II sistema fonologico inglese comprende:
21 fonemi consonantici;
3 approssimanti (o semiconsonanti);
12 fonemi vocalici.


49
SISTEMA CONSONANTICO INGLESE
bilabiali labiod
.
interdentali alveolari postalveolari velari glottidali
occlusive p b t d k g
fricative
sibilanti
f v
s z S b
h
affricate w t C
nasali m n
laterali l [;]
vibranti [N]
[;] e [N] non entrano nel conteggio dei fonemi, in quanto varianti rispettivamente di /l/ e
dell'approssimante postalveolare //. I fonemi consonantici restano dunque 21.

CONSONANTISMO INGLESE
occlusive
L'inglese conta sei fonemi occlusivi:
bilabiali: /p/ sorda forte pen /pen/; point; /b/ sonora lene bad /bd/, back /bk/.
alveolari: /t/ sorda forte tea /ti:/, tight, little; /d/ sonora lene did /dId/, old, day
Si noti che /t/ e /d/ hanno un'articolazione alveolare e non dentale come in italiano.
velari: /k/ sorda (forte) cat /kaet/; call; /g/ sonora (lene) give /giv/, go; il suono prodotto
dal contatto del dorso della lingua con il palato molle (o velo).
In posizione iniziale e finale di parola /p/ /t/ /k/ presentano una aspirazione (non
fonematica, ma ridondante): tea [ti:]; cup [kUp]. Tale aspirazione non interviene
qualora preceda una s (dunque nelle combinazioni sp, st, sk), per cui si avr steel [sti:l]
"acciaio". L'aspirazione presente, per quanto meno forte, anche all'interno di parola se la
consonante iniziale di sillaba tonica es. important. "Questo fenomeno talmente
automatico che la maggior parte dei parlanti d'inglese non si rende assolutamente conto
che la loro lingua possiede delle consonanti aspirate, che invece in altre lingue, p. e.
alcune lingue indiane, costituiscono fonemi separati. L'uso delle occlusive aspirate da
quella particolare qualit a queste consonanti che il parlante italiano avverte; in effetti,
quando vengono usate in italiano costituiscono uno degli elementi comunemente chiamati
"accento inglese"".
fricative
labiodentali: /f/ sorda (forte) fall /f$:l/; fan, life; /v/ sonora (lene) voice /v$Is/; view.
interdentali // sorda (forte) thing /iC/, think, thin; // sonora (lene) this /Is/; father;
then.
alveolari: /s/ sorda so /sU/, sister, sink, peace, use (sost.); /z/ sonora zoo /zu:/; quiz, zero,
studies, use (verbo). /s/ e /z/ sono confrontabili con i corrispondenti fonemi italiani; ma si
noti:
- che la /z/ inglese pu ricorrere anche ad iniziale di parola in prestiti quali zone;
- che la /s/ rimane tale, a differenza dell'italiano, anche davanti a /m/ /n/ /l/: es. smile
[smail].
postalveolari: /S/ sorda (forte) shoe /Su:/; ship, wash; optional, station, /b/ sonora (lene)
vision /vibn/; casual, pleasure
50
glottidali: /h/ sorda (forte) hat /haet/; have, home, house; anche il suono iniziale di who
e whose. Questo fonema deve la propria denominazione alla glottide (lo spazio posto tra
le corde vocali nella laringe); definito anche glottale o laringale.
affricate
postalveolari /w/ sorda forte) chain "catena /weIn/; church, child, nature; /t/ sonora lene
jam /tm/, cage "gabbia" /keit/, jet, judge
nasali (tutte sonore)
/m/ bilabiale man "uomo" /mn/; must
/n/ alveolare no /nU/. Si noti che in inglese il punto di articolazione, a differenza
dell'italiano dove dentale, alveolare.
/C/ velare sing /sIC/; king "re"; long "lungo" Mentre per l'inglese la nasale velare
fonema, in quanto capace di opporre coppie minime quali thing "cosa" /EIC/ : thin
"sottile" /EIn/, in italiano la nasale velare costituisce solo una variante combinatoria.
laterali (sonore)
/l/ alveolare leg /leg/; light. In inglese dal punto di vista fonologico esiste una sola
laterale, che comunque conosce un allofono velare [;], la cosiddetta 'dark' l, realizzata in
posizione anteconsonantica (es. help) e in finale di parola (es. hill).
approssimanti
// approssimante postalveolare sonora: si tratta della realizzazione pi comune della r
nell'inglese britannico, caratterizzata da basso livello di frizione e da una lieve
retroflessione della lingua: red, rain. Si conoscono le seguenti varianti:
monovibrante [N], che ricorre tra vocali e dopo consonante interdentale: s tratta di un
"voiced alveolar tap" (battito) ovvero di un "alveolar semi-trill": very, sorry; three.
In posizione anteconsonantica e in finale assoluta la r muta (almeno nella RP): horse
/h$:s/, farm /fa:m/, ever /ev/. La r dell'ingl. d'America invece una approssimante
"nettamente retroflessa" (Mioni).
/j/ approssimante palatale sonora yes "s" /jes/
/w/ approssimante (labio)velare sonora west /west/.

VOCALISMO INGLESE
La maggior parte degli studiosi concordano nell'assegnare all'inglese 12 fonemi vocalici,
che formano un sistema lievemente dissimetrico caratterizzato da 4 vocali della serie
anteriore, 5 della serie posteriore e 3 centrali. Le vocali inglesi sono anche in parte
sensibili alla distinzione di lunghezza vocalica ed al tratto teso/rilassato.
vocali della serie anteriore, non arrotondate
/i:/ chiusa, lunga, tesa sea "mare" /si:/; deep, leave, free, seat, key, beat
/I/ meno alta e pi centralizzata della precedente, breve, rilassata rich "ricco" /riw/; bridge,
sick, kit, bit. Coppie minime che oppongono questi due fonemi: reach : rich; sheep : ship;
seat : sit
/e/ articolata in una posizione intermedia tra semichiusa e semiaperta (meno chiusa di /e/
italiano) ten "dieci" /ten/; step, edge, neck.
// realizzata tra semiaperta e aperta cat "gatto" /kt/; bad, fat, back, badge, happy
Coppie minime che oppongono queste due unit foniche: men : man; bed : bad si noti
inoltre che i due fonemi non hanno esatto equivalente nella serie posteriore.
vocali della serie posteriore (le prime 4 sono arrotondate)
51
/u:/ chiusa (alta), lunga, tesa fool "stupido" /fu:l/; too "troppo" /tu:/; shoot, view.
/U/ meno alta e pi centralizzata della precedente, breve, rilassata full pieno" /fUl/, put
/pUt/;
/$:/ articolata in una posizione intermedia tra semichiusa e semiaperta, lunga saw /s$:/;
war "guerra" /w$:/; door, law, call, talk, lord, short.
/$/ semiaperta, breve not /n$t/; body, copy, spot, lot, dog, cough, cross, song, long, sorry.
/A:/ tra le posteriori la pi aperta (e bassa) ed anche l'unica che non prevede
protrusione delle labbra; piuttosto allungata e tesa father /'fA:/; ask /A:sk/ (in
pronuncia britannica); car, large, start, calm, half.
vocali centrali
/:/ medio-bassa, lunga, tesa; sempre tonica bird /b:d/; girl /g:l/, word /w:d/, learn,
work, nurse.
// punto articolatorio vicino a quello della precedente, ma rilassata: inoltre s realizza
solo in sillaba non accentata about /'baUt/; among, color, better, holiday.
/\/ pi bassa delle precedenti, si ottiene alzando il tratto mediano-centrale della lingua e
aprendo le labbra in posizione neutra in maniera da allontanare le mascelle; la
corrispondente non arrotondata di /$/: cut "tagliare" /k\t/; love /l\v/; cup, but, just, rugby.
Per linglese, come anche per il tedesco, si eviter di trattare dei dittonghi, perch la
discussione sul loro valore monofonematico o polifonematico ci porterebbe troppo
lontano ed appesantirebbe eccessivamente la trattazione.

Cenni di fonetica contrastiva anglo-italiana
Per quanto riguarda il consonantismo le occlusive sono sei in ambedue i sistemi
fonologici, ma t/d variano come luogo di articolazione (dentali in italiano, alveolari in
inglese); le fricative sono in numero maggiore in inglese, con la difficolt posta dalle
interdentali che non trovano riscontro in italiano; particolare attenzione per gli italofoni
va posta poi nella realizzazione della r, articolata in inglese come approssimante
postalveolare. Il vocalismo inglese si caratterizza per complessit e rispondenza a
parametri in larga misura divergenti dalle abitudini articolatorie italiane; ad esempio fa
valere, sia pure non sistematicamente, l'opposizione di durata; inoltre sfrutta uno spazio
articolatorio ignoto all'italiano cio quello delle vocali centrali.





SISTEMA FONOLOGICO TEDESCO
Come lItalia, anche la Germania non ha una tradizione plurisecolare di Stato unitario e
perci non ha avuto un modello unitario di lingua: come lingua scritta si adott quella
della Bibbia di Martin Lutero (che era un compromesso fra diversi dialetti), e per la
pronuncia si assunse a modello la pronuncia degli attori di teatro (Bhnenaussprache,
pronuncia della scena), che pure era un compromesso fra varie pronunce regionali.
Premesso questo, si pu affermare che il sistema fonologico tedesco comprenda 20
fonemi consonantici, 1 approssimante (o semiconsonante), e 15 fonemi vocalici.
52
SISTEMA CONSONANTICO TEDESCO

bilabial labiod. dentali postalveolari palatali velari uvular glottidali
occlusive p b

t d

k g

fricative
sibilanti



f v


s z S

[]


[x]



h

affricate



pf v [w]








nasali m


n


C




laterali





1









vibranti











R




Le fricative [] e [x] sono in distribuzione complementare e dunque, fonologicamente,
formano una sola unit. I fonemi consonantici restano dunque 20.

CONSONANTISMO TEDESCO
Si noti anzitutto che in tedesco la geminazione consonantica non fonologicamente
rilevante: si scrivono cio consonanti doppie, e spesso anche le si pronuncia, ma in questi
casi ci che conta la brevit della vocale che precede.
occlusive
Le consonanti occlusive del tedesco sono sei, analoghe a quelle italiane: ma va tenuto
presente che, a differenza dellitaliano, qui il tratto distintivo non la sonorit (o
lassenza di sonorit), bens lenergia articolatoria: si parla dunque di consonanti forti e di
leni. Le occlusive forti (sorde) ad iniziale di parola hanno come caratteristica non
distintiva l'aspirazione.
bilabiali /p/ forte sorda Paar [p
h
a:r], kaputt lene sonora Bahn, loben
alveolari /t/ forte sorda Tod "morte" /t
h
o:t/, Tasse /d/ lene sonora das, dnn sottile,
Mode
velari (o dorsali) /k/ forte sorda Kohl, Acker /g/ lene sonora gelb "giallo"; morgen
"mattino"
Sotto il profilo del luogo di articolazione il tedesco sembrerebbe disporre di un settimo
fonema occlusivo, realizzato come glottidale (o glottale o laringale) ed il cui simbolo
/d/. Si tratta del cosiddetto colpo di glottide (per realizzarlo "le corde vocali bloccano il
passaggio dell'aria nella glottide"), che tuttavia, pi che fonema, costituisce un segnale
demarcativo. Il colpo di glottide si realizza automaticamente:
davanti ad ogni vocale iniziale di parola
guten Abend [guten dabent]; er ist alt [der dist daltJ
davanti ad ogni vocale iniziale di morfema be-achten, er-arbeiten
Il colpo di glottide in grado di opporre coppie quali vereisen /ferdaizen/ "gelare" :
verreisen /feraizen/ "mettersi in viaggio".
fricative
labiodentali: /f/ sorda Volk "popolo"; vier "quattro" /fi:r/, fhren guidare
/v/ sonora Wagen "vettura"; weiss bianco
(sibilanti) alveolari
/s/ sorda was, das, ist; lassen
53
/z/sonora lesen. Ad iniziale di parola, davanti a vocale, automatica la realizzazione della
s come sonora (almeno nella pronuncia standard: non cos nelle pronunce regionali):
Sonne "sole" [z$nne]; See "mare, lago" [ze:] Diciamo pertanto che l'opposizione /s/ : /z/
neutralizzata in principio di parola a vantaggio della sonora.
postalveolari: /S/ schn "bello"; mischen "mescolare"; waschen "lavare"; Schade. Davanti
a consonante, allinizio di parola o di morfema, la s si realizza automaticamente come
postalveolare /S/, ad es. stehen stare, bestellen ordinare si dicono /Ste:n/, /beStellen/,
ma ist , Kunst arte sono /ist/, /kunst/ (qui si vede come la Bhnenaussprache scelga
il compromesso: in realt nei dialetti meridionali la tendenza verso una pronuncia
sempre postalveolare di s anteconsonantica, tipo /iSt/, /kunSt/, mentre al Nord si tende ad
una pronuncia sempre alveolare, tipo /ste:n/, /bestellen/; si noti che la stessa tendenza si
ha davanti a tutte le consonanti: cos in tedesco si presentano le varianti Schnee /Sne:/
neve ma Sneewittchen Biancaneve (evidentemente questa fiaba di regioni
settentrionali).
E' estraneo al sistema nativo tedesco il corrispettivo fonema sonoro /b/, presente solo in
alcuni francesismi (garage ecc.)
[x] velare sorda ~ [] palatale sorda
Le due unit foniche figurano in distribuzione complementare: la prima, il cosiddetto
ach-Laut, occorre dopo vocale non palatale; la seconda, il cosiddetto ich-Laut, prima e
dopo vocali anteriori e dopo /r/, /1/,/n/. Esse, pertanto, non possono essere conteggiate
come due fonemi distinti, ma come allofoni di uno stesso fonema: /x/ Achtung
"attenzione"; Nacht "notte"; // ich "io"; Milch "latte"'; durch "attraverso".
glottidale /h/ sorda haben "avere"; Hand "mano"
affricate
Sono due le affricate del tedesco alle quali si possa riconoscere statuto fonematico.
/pf/ labiodentale: il primo elemento labiale il secondo implica la fricativa dentale:
prodotta accostando il labbro inferiore ai denti superiori. Pferd "cavallo"; Pfaffe
/v/ dentale sorda zehn "dieci; Katze gatto.
A prima vista il tedesco sembrerebbe conoscere anche le affricate palatoalveolari: si tratta
della sorda [w], realizzata in parole quali Gletscher "ghiacciaio", peitschen frustare, e
dell'omologa sonora [t], che compare in un numero limitato di prestiti. Tuttavia, secondo
la maggior parte delle analisi, sono da considerarsi pi che fonemi unitari, nessi
bifonematici.
nasali
/m/ bilabiale mehr, Lampe
/n/ alveolare Nacht, kann
/C/ velare lang "lungo" /laC/; krank "malato.
E' dubbio se la nasale velare costituisca fonema autonomo; per alcuni studiosi si tratta di
una semplice variante, realizzata davanti a occlusiva, della nasale alveolare.
laterali (sonore)
/l/ alveolare: lachen "ridere", Kohl cavolo.
uvulari
[R] II fonema notato graficamente come r soggetto in tedesco a variazione libera: pu
realizzarsi in particolare:
come vibrante uvulare [R] ad iniziale di parola:
54
reden "leggere"; Rat consiglio, rot rosso. In alcune variet di tedesco questo tipo di
vibrante si usa in tutte le posizioni;
come fricativa uvulare [], ad esempio dopo vocale breve;
come r vocalizzato [A], dopo un apice sillabico: der, wir, dir, nur, Wurm, warten
come vibrante apicale [r] ; era tipica della Bhnenaussprache degli anni Trenta e
Quaranta, ma oggi tale pronunzia appartiene solo ad alcuni dialetti. La realizzazione
come fricativa uvulare storicamente modellata sulla pronunzia parigina vigente al
principio del XVIII secolo.
coppie minime che implicano l'opposizione forte : lene
p : b Pein pena : Bein gamba
t : d Tank serbatoio : Dank grazie
k : g Kunst arte : Gunst
f : v fand trov : Wand parete
s : z reien strappare : reisen viaggiare
altre coppie minime: f : pf fand trov : Pfand pegno, t : ts Tank serbatoio : Zank
lite, z : S Sohn figlio : schon gi, m : n mein mio : nein no, n : C sinnen :
singen.
APPROSSIMANTI
Il tedesco conosce una sola approssimante articolata come palatale /j/ Jahr "anno" /jA:R/
VOCALISMO TEDESCO
Il sistema vocalico tedesco comprende 15 fonemi vocalici cos distribuiti: 5 vocali della
serie anteriore, 4 vocali anteriori arrotondate, 4 vocali della serie posteriore, 2 vocali
mediane. Secondo alcune descrizioni (Albano Leoni - Morlicchio 1988, p. 43; Handbuch
IPA) possiederebbe statuto fonologico anche la vocale centralizzata che si realizza solo in
sillaba non accentata, per es. nel prefsso be- di be-lichten esporre alla luce o nella
terminazione -e di Beute bottino).
Durata vocalica e grado di apertura
Fra i suddetti quindici fonemi vocalici operano sette opposizioni di quantit associate ad
un'opposizione di grado di apertura che funziona come tratto ridondante.
Soltanto due delle vocali brevi, e cio /a/ ed //, hanno un corrispondente allungato del
medesimo timbro (cfr. le coppie Bahn "via": Bann "bando"; schlen sbucciare :
schellen suonare il campanello); le altre vocali si oppongono sia dal punto di vista della
durata che del timbro, ossia del grado di apertura. Si hanno nel complesso 7 vocali brevi;
8 vocali lunghe.
Notazione grafica
La presenza di fonemi vocalici brevi segnalata nella grafia per mezzo del
raddoppiamento della consonante che segue; i fonemi vocalici lunghi vengono notati con
pi artifici grafici: con un h (ad es. Bahn), con un digramma vocalico (ad esempio ie di
Wiese ecc.), mediante il ricorso ad una consonante scempia intervocalica.
Ecco le cinque vocali della serie anteriore (palatali)
/i:/ la vocale anteriore pi chiusa; realizzata come lunga: Miete [mi:te] "afftto"; bieten
"offrire"; lieben "amare"
/I/ pi breve, della precedente, pi bassa e centralizzata: Mitte "met"; bitten "chiedere";
Kind "bambino"
/e:/ zehn "dieci"
55
// Bett "letto"
/:/ hnlich "simile"; Gewhr garanzia. Si tratta di un fonema vocalico ormai di
impiego marginale. Esso funziona ad esempio nelle coppie minime: schlen sbucciare :
schellen suonare (campanello); zhlen contare : zahlen pagare. Dato il suo carattere
isolato e straordinario ( lunica vocale aperta lunga), tale fonema maggiormente
esposto alla defonologizzazione, e manca in molte variet di tedesco, che lo realizzano
come [e:].
vocali anteriori arrotondate
/y/ chiusa, lunga Hte "cappelli"; lgen "mentire"; ber
/Y/ pi aperta della precedente, breve Htte "capanna"; fnf "cinque"; lften "ventilare"
/:/ semichiusa, lunga lsen "risolvere, sciogliere"; Hhle "caverna";
/F/ semiaperta, breve knnen "potere"; Hlle "inferno"; mchte
vocali della serie posteriore (sono anche arrotondate)
/u:/ la vocale posteriore pi chiusa; realizzata come lunga Mus "passato, pur"; Ruhm
"fama"
/U/ meno chiusa e un po' pi accentrata rispetto alla precedente, breve Mutter, und,
drucken
/o:/ semichiusa, lunga, tesa Ofen "forno"; Brot "pane"
/$/ semiaperta, breve, rilassata offen "aperto"; voll "pieno"; sollen "dovere"
vocali aperte:
/A:/ lunga e posteriore Staat "stato" /StA:t/; Bahn "strada" /bA:n/; bezahlen "pagare"
/a/ breve e anteriore Stadt "citt" /Stat/; Bann "scomunica" /ban/; fallen "cadere", lassen
"lasciare", Mann "uomo"
Cenni di fonetica contrastiva tedesco-italiana
A differenza del vocalismo, segnato da una sua forte specificit e da una vistosa ricchezza
di unit toniche, il consonantismo tedesco presenta una maggiore prossimit rispetto a
quello italiano. Occorre tuttavia far notare che
il tratto di tensione, che oppone consonanti tese e rilassate, distintivo nel
consonantismo tedesco, mentre ridondante in quello italiano, dove invece opera in
maniera distintiva la correlazione di sonorit, che non funzionale invece nel tedesco
(Muljacic 1977);
la distinzione sorda : sonora tende in tedesco ad essere neutralizzata in posizione finale,
ci che provoca alternanze del tipo Tag [tak] giorno : Tages [tages] del giorno; si
tratta del fenomeno denominato Auslautsverhartung, applicato anche ai prestiti (Philippe
1974, p. 67).
Altre particolarit del consonantismo: /p/ /t/ /k/ sono realizzate come aspirate davanti a
vocale tonica e in finale assoluta, ma l'aspirazione non possiede valore distintivo; /s/ non
si realizza mai in posizione iniziale, almeno nella pronuncia pi corretta.


SISTEMA FONOLOGICO FRANCESE
II sistema fonologico francese comprende:
17 fonemi consonantici;
3 approssimanti (o semiconsonanti);
16 fonemi vocalici (di cui 12 vocali orali e 4 vocali nasali).
56
SISTEMA CONSONANTICO FRANCESE


bilabiali

labiod.

dentali alveolari

postalveol.
(palatali)

velari

uvulari

occlusive

p b



t d



k g



fricative
sibilanti



f v


s z


S b





nasali m

n B




laterali





1







vibranti











R


CONSONANTISMO FRANCESE
occlusive
Il francese conta sei fonemi occlusivi:
bilabiali
/p/ sorda pre "padre"; pain; /b/ sonora bras, robe, bain
dentali (o apicali): /t/ sorda table, vitesse, bibliothque; /d/sonora dans, doigt, endroit
La realizzazione francese della t e della d pi arretrata che nelle corrispondenti
consonanti italiane, articolate come dentali.
velari (o dorsali): /k/ sorda coup "colpo" /ku/; quatre, kilomtre; /g/sonora got "gusto"
/gu/; gare, grand
fricative
Il francese conta sette fonemi fricativi:
labiodentali: /f/ sorda fruit, neuf; /v/ sonora vous, rve, vin
alveolari: /s/ sorda douce "dolce (f.)" /dus/; salle, tasse, garon, nation; /z/sonora douze
"dodici" /duz/; maison "casa"; rose, zro
postalveolari: /S/ sorda chaise sedia /S:z/; cheval, tache; /b/ sonora je, jour, jaune,
page. Queste fricative alveolari e postalveolari sono tradizionalmente definite sibilanti.
Diversamente da quanto accade in italiano, la presenza della palatoalveolare sonora rende
equilibrata e completa la serie fricativa concorrendo a formare la correlazione sorda-
sonora.
uvulare /R/ Ferma restando la localizzazione uvulare, la r francese conosce pi varianti:
- la fricativa uvulare [R], che occorre ad inizio di parola e dopo consonante roi "re"
[Rwa], livre "libro" [livR];
- l'approssimante uvulare [], la cui articolazione comporta un minore avvicinamento del
dorso della lingua all'ugola rispetto al corrispondente suono fricativo (Canepari 1979, p.
68); si realizza dopo vocale e in finale di parola parler "parlare" /pale/, lire "leggere";
- la vibrante uvulare (conosciuta come "r grassey"), realizzata "con l'ugola che batte
contro la radice della lingua". Viene trascritta mediante [R].
La r del francese in ogni caso molto diversa dalla vibrante apico-dentale italiana
(definita "r roul"), che si pu trovare solo come variante regionale, propria del sud della
Francia. In passato, invece, era proprio la vibrante la norma di realizzazione.
nasali (tutte sonore) Sono tre i fonemi consonantici nasali del francese:
/m/ bilabiale main "mano"; pomme mela.
57
/n/ alveolare neuf "nuovo; nous "noi"; dictionnaire "dizionario"
Negli esempi sopra riportati la nasalizzazione viene bloccata e la n mantiene il suo valore
alveolare in quanto segue una vocale. Quando sia preceduta da vocale della stessa sillaba,
la consonante /n/ ne provoca la nasalizzazione, perdendo il suo valore consonantico per
diventare una componente della vocale nasale: pendant /pA)dA)/, international
/E)teRnasjonal/, onde /$)d/, Verdun /verdF)/.
/B/ palatale agneau /aBo/ "agnello"; montagne, bagne
Non ha rilevanza fonologica la nasale velare [C] in quanto avvertita come fonema
straniero ( realizzata in anglicismi come parking, camping, caravaning).
laterali
II francese conosce un solo fonema laterale:
/l/ alveolare aller "andare"; escalier, sol, mille

APPROSSIMANTI
II sistema fonologico francese comprende tre unit foniche, poste alla frontiera tra
vocalismo e consonantismo, tradizionalmente denominate 'semiconsonanti'. Aderendo
tuttavia alla terminologia dell'API preferiamo classificarle come approssimanti.
/j/ approssimante palatale cahier "quaderno" /kaje/; pied "piede"; yeux, fllette, soleil,
paille
/5/ approssimante labiopalatale, sempre davanti a i: huit "otto"; nuit "notte"; huile
Si classifica questa unit fonica come labiopalatale in quanto larticolazione coinvolge
labbra e palato duro.
/w/ approssimante (labio)velare oui /wi/ "s"; roi /Rwa/ re
schema riepilogativo delle approssimanti francesi
palatale labiopalatale velare
approssimanti

j

5

w

VOCALISMO FRANCESE
II francese conosce in tutto sedici vocali toniche di cui dodici orali e quattro nasali.
vocali orali
3 vocali collocate nella serie anteriore, non arrotondate /i/ chiusa il, livre, lit, ami; /e/
semichiusa bl, cahier, nez, pied, parler, svrit; // semiaperta mre "madre", lait,
premire; alcuni distinguono /+/ breve di faite fatta da /+:/ lunga di fte festa.

3 vocali anteriori arrotondate


/y/ tu, mur, lune (apertura corrispondente alla /i/); // feu "fuoco"; deux, ceux (corrisponde
alla /e/); /F / fleur "fiore"; jeune "giovane"; heure (corrisponde alla //).
3 vocali nella serie posteriore (labializzate) /u/ chiusa vous, nous, loup; /o/ semichiusa
rose /roz/; eau "acqua" /o/; beau "bello"; tableau; /$/ semiaperta homme /$m/; port, lors
2 tipi di a, l'una anteriore /a/ e l'altra posteriore (ma non labializzata) /A/: [anteriore]
arbre, table; [posteriore] bas, pas, me "anima".
l'opposizione tra le due a si quasi perduta in francese; essa opera in un numero limitato
di coppie minime tra cui le seguenti: patte "zampa" : pte "pasta"; tache macchia :
tche compito; matin mattino : mtin mastino ecc.
1 vocale centrale di timbro instabile [la cosiddetta e muette] // le, je, fentre
58
vocali nasali
La caratteristica del vocalismo francese appunto la presenza di vocali nasali, dotate di
valore fonematico (si tratta cio di fonemi a tutti gli effetti): la presenza o l'assenza di
risonanza nasale il tratto su cui si fonda la distinzione nell'ambito di molte coppie
minime, tra cui le seguenti :
fait "il fatto" : fin "fino";
beau "bello" : bon "buono"
Le vocali nasali del francese standard sono in numero di quattro.
/A)/ langue "lingua" /lA)g/; lampe /lA)p/; grand "grande"; blanc "bianco"; dans
/E)/ pain "pane", vin "vino" /vE)/; jardin /baRdE)/; plein "pieno"; bien, main
/$)/ monde /m$)d/; rond "rotondo"; blond; nombre "numero"; bon, on
/F)/ un "uno"; brun "bruno"; lundi "luned"; parfum "profumo" Grazie a un accorgimento
mnemonico, i quattro tipi vocalici possono essere concentrati nella frase un grand pain
rond [F) gRA) pE) R$)]. Nell'uso corrente, tuttavia, si coglie la tendenza a far convergere in
una stessa pronunzia le vocali /)/ di pain e /F)/ di un, per cui l'inventario delle vocali
nasali tende a ridursi a tre unit.
Altri fenomeni tipici del francese sono l'accentuazione finale della parola e la cosiddetta
liaison.
Cenni di analisi contrastiva con l'italiano
Se accostiamo il sistema fonologico francese al sistema italiano o a quello spagnolo,
siamo immediatamente colpiti dalla straordinaria variet delle vocali francesi: a fronte dei
sette fonemi vocalici dell'italiano e dei soli cinque dello spagnolo, il francese possiede
ben sedici diversi fonemi vocalici (Perini 1971, pp. 231-241).
Del francese mancano all'italiano:
le tre vocali anteriori arrotondate /y/ di vu, /F/ di fleur, // di deux;
le quattro vocali nasali;
la cosiddetta e muta o instabile.
Inoltre il francese, almeno nel parlare dei pi anziani, presenta due opposizioni vocaliche
di durata: cfr. belle : ble, "bella" e "bela" e tache : tche "macchia" e "compito".
Nell'ambito delle approssimanti esclusiva del francese la labiopalatale /5/
Tra le differenze nel consonantismo segnaliamo la presenza in francese della fricativa
palatale sonora /b/, assente dallo standard italiano, e viceversa la presenza solo in italiano
della laterale palatale /^/ e delle affricate. Altre differenze si traducono in sostituzioni di
foni (ad es. r uvulare in francese invece che apicale), ossia in modifiche nelle modalit
articolatorie piuttosto che in differenze di inventario.




SISTEMA FONOLOGICO SPAGNOLO
II sistema fonologico spagnolo comprende:
18 fonemi consonantici;
2 approssimanti (o semiconsonanti);
5 fonemi vocalici.

59
SISTEMA CONSONANTICO SPAGNOLO
bilabiali labiod dentali interdentali palatali velari
occlusive p [b] t [d] k [g]
fricative
sibilanti

[z]

f

[]
s


x []

affricate w
nasali m n B
laterali





1

^

vibranti N r

Le tre coppie di foni formate rispettivamente da [b] : [z]; [d] : []; [g] : [] sono in
distribuzione complementare e dunque, fonologicamente, contano ciascuna per una sola
unit. Pertanto i fonemi consonantici dello spagnolo sono 18.
CONSONANTISMO SPAGNOLO
occlusive
Lo spagnolo conosce solo tre vere occlusive: si tratta delle sorde, mentre le
corrispondenti sonore sono talmente deboli da stare a met tra occlusive e fricative.
Inizieremo dunque a passare in rassegna le sorde.
/p/ bilabiale capa mantello
/t/ dentale tiempo
/k/ velare cosa
Le occlusive sonore [b], [d], [g] mantengono il loro modo di articolazione limitatamente
alla posizione forte (ossia ad inizio di frase; dopo consonante nasale o liquida), mentre in
posizione intervocalica (anche nel contesto di frase, se cio precede una parola che
termina in vocale) sono realizzate mediante le fricative del corrispondente luogo di
articolazione, rispettivamente [z], [], []. Si hanno dunque, per ciascun caso, due
allofoni, uno occlusivo e l'altro fricativo, in distribuzione complementare:
bilabiale [b] [z]: le due varianti possono essere rappresentate ora da b ora da v, ma i due
grafemi non sono specializzati a indicare uno dei due allofoni; in altre parole una b della
scrittura pu indifferentemente indicare sia [b] che [z] [b] banco, bueno, vino, vista,
invasin, un vaso [um baso]; [z] saber, caballo; avion, Sevilla
alveolare [d] []: l'alternanza osserva le consuete regole di distribuzione; la variante
occlusiva ricorre ad iniziale e dopo nasale o liquida; nelle altre posizioni si realizza la
fricativa. La grafia invece costantemente d. [d] dar, decir, mundo, buen dia /bwen dia/;
[] venido, cada
velare [g] [] La grafia sempre g. [g] gusto, gato, guerra [] lago, fuego
fricative
Le fricative dello spagnolo aventi pertinenza fonologica sono quattro, tutte sorde: /f/ //
/x/ /s/; le corrispondenti sonore delle prima tre, come abbiamo gi visto, non hanno
statuto fonologico, ma sono allofoni intervocalici delle corrispondenti occlusive.
/f/ labiodentale fiesta
// interdentale, ortograficamente rappresentato da c + e, i (es. hacer, ciento) oppure da z
(es. caza "selvaggina"; pozo)
/s/ alveolare paso, coser "cucire"; conosce una variante sonora [z] in vicinanza di
60
consonante sonora: mismo [mizmo]; rasgo tratto
/x/ velare, scritto come j (es. hijo "figlio" /ixo/) oppure g + e, i (es. gente, coger)
affricate
/w/ palatale sorda, ortograficamente rappresentata da ch: mucho, ocho, techo
nasali
Lo spagnolo conosce tre fonemi nasali (tutti sonori):
/m/ bilabiale alma "anima"
/n/ alveolare: lino, lana, leccion. Esiste una variante velare condizionata dall'occorrenza
di una consonante velare che segua: es. cinco [iCko]
/B/ palatale, ortograficamente rappresentata da : sueo /sweBo/ "sogno"; nio, pequeo.
A differenza del corrispondente fonema italiano, che implica una articolazione rafforzata
(cft. ad es. in bagno /baBBo/), realizzata come semplice.
laterali
Lo spagnolo conosce due fonemi laterali (ambedue sonori): /l/ alveolare lana, lado, abril;
/^/ palatale, ortograficamente rappresentata da ll: caballo [kaza^o] "cavallo"; calle
/ka^e/"via". A differenza del corrispondente fonema italiano non mai geminata. La
distinzione fonematica della /^/ palatale rispetto alla /l/ alveolare garantita da coppie
minime quali loro pappagallo / lloro pianto; talar disboscare / tallar intagliare.
La /^/ proviene da quattro diversi possibili antefatti latini: PL- (llano ), CL- (llave ), FL-
(llama ) e da -LL- (castillo).
vibranti (sonore)
Allo spagnolo si possono attribuire due tipi di vibrante, fonologicamente distinti,
ambedue realizzati come alveolari:
/N/ monovibrante, ortograficamente rappresentato da r; ne esiste una variante fricativa in
posizione intervocalica o finale di parola
/r/ plurivibrante ortograficamente rappresentato da rr. Esempi di coppie minime che
oppongono i due tipi di vibrante:
pero "per" : perro "cane"; coro coro : corro gruppo, crocchio.
APPROSSIMANTI (semiconsonsonanti)
Lo spagnolo conosce due approssimanti (semiconsonanti), una palatale e laltra velare:
y tiene /tjene/, mayo, hierba
/w/ cuatro /kwatro/, huevo uovo
VOCALISMO SPAGNOLO
II sistema fonologico dello spagnolo annovera, in sillaba tonica, cinque fonemi vocalici
distribuiti in tre gradi di apertura (rispetto ai sette dell'italiano ordinati in quattro gradi di
apertura):
vocali anteriori
/i/ ir, nio
/e/ enero gennaio, cabeza
vocali posteriori
/u/ nunca
/o/ rosa; non opera o comunque non ha rilevanza distintiva l'opposizione di timbro fra //
/$/aperte e le corrispondenti chiuse /e/, /o/ tipica dell'italiano a base toscana.
vocale centrale
/a/ verdad
61
Cenni di fonetica contrastiva rispetto all'italiano
Non esistono in spagnolo, o perlomeno non hanno autonomia fonologica, la fricativa
labiodentale sonora /v/, le fricative palatali, l'affricata palatale sonora /t/; pi povero
anche il sistema vocalico, che comprende solo cinque unit foniche. Per contro
rappresentano un problema per lapprendente italiano la fricativa interdentale // e la
velare /x/, la duplicit dei fonemi vibranti oltre ai rilevanti fatti di allofonia che
interessano le occlusive sonore.

SISTEMA FONOLOGICO ARABO CLASSICO
Va detto che fino a qualche decennio fa larabo classico era usato quasi esclusivamente
come lingua scritta: nel parlato lo si sentiva solo in discorsi solenni, nelle prediche, oltre
che nella recitazione del Corano e nel discorso di religione o di letteratura. Ora per si va
diffondendo sempre pi in quanto diventato anche la lingua dei telegiornali, oltre che
per i contatti sempre pi frequenti tra Arabi di diversi Paesi. La pronuncia dellarabo
classico differisce a seconda delle varianti locali: qui si indicheranno alcune delle
pronunce pi prestigiose.
Si pu dire che larabo classico conosca 6 vocali e 28 consonanti. Per questa lingua non
possibile fare la distinzione tra consonati e approssimanti, perch il sistema fa una
distinzione netta tra vocali e consonanti: ogni parola deve iniziare con una consonante, ed
una sola; non sono ammesse pi di due consonanti di seguito (o anche una consonante
geminata), sempre allinterno o in fine di parola; non sono ammessi gruppi vocalici; le
vocali lunghe sono calcolate quasi sempre come se fossero una vocale + un coefficiente
consonantico, e perci possono essere seguite da una sola consonante (fa eccezione la /a:/
che ammette dopo di s una consonante doppia).

SISTEMA CONSONANTICO ARABO


bilabiali

labiod

dentali e
interdentali

postalveol.
(palatali)

velari

uvul.

faringali glottidali

Occlusiv
e
b



t d t
e
d
e
/

k [g]

q

d

Fricative
sibilanti



f

E
e

s z s
e


S [b]
x



y e h

Nasali m

n





Laterali





1









Vibranti





r










occlusive
si noti che larabo possiede /b/ ma non /p/, ed anche /f/ ma non /v/: per quanto strana, la
stessa situazione si ritrova in molte lingue semitiche ed africane. Le occlusive dellarabo
sono dunque:
bilabiale /b/: bir pozzo, ab padre, ubbk finestra
dentali: sorda /t/, sonora /d/: taraka lasci, kuttb scuola coranica, tuffy mele;
darb strada, dn religione, add forte
palatale: solo la cosiddetta lettera jm, che per la verit ha pronunce differenti a seconda
62
dei Paesi. Etimologicamente deriva da una /g/ (velare) semitica, e questa ancora la
pronuncia prevalente in Egitto, in Oman, a Aden; i grammatici medioevali
raccomandavano una pronuncia di occlusiva palatale /// che tuttora diffusa nellEgitto
meridionale, in Sudan, in molte trib beduine; c poi una pronuncia come affricata /t/,
corrente in Iraq e Algeria, e raccomandata in alcune scuole; oggi la pi diffusa pare essere
la pronuncia come sibilante alveolare /b/, corrente nelle citt della regione siro-
palestinese, in Tunisia, Marocco ecc. Qui si indica come se fosse norma la pronuncia
palatale raccomandata dai grammatici, perch storicamente spiega gli sviluppi successivi.
Si traslittera come j e compare ad esempio in jamal cammello, ajmal pi bello, tj
corona, majd gloria, jay asinello
velare: /k/ kalb cane, kitb libro, fakkara pens. La velare sonora [g] presente
praticamente ovunque, anche se non ha una precisa codificazione nella scrittura: in Egitto
corrisponde alla jm, nei dialetti beduini corrisponde a q, altrove la si conosce come
prestito da altri dialetti o da lingue europee.
uvulare: /q/ qalb cuore, baqara mucca, baqqr pastore di bovini. Nel dialetti
beduini si pronuncia come velare sonora [g]; in molti dialetti cittadini passata ad
occlusione glottale /d/.
glottidale: /d/ (traslitterata ) axaa egli prese, yaxuu egli prende, saala
domand, waf compimento duna promessa. lettera debole e tende ad essere
tralasciata, soprattutto in finale di parola o di sillaba; lunica consonante che non si
presenta mai geminata.
fricative
labiodentale /f/ faras cavalla, fikr pensiero, xaff leggero.
interdentali, sorda /E/ Eaelab volpe; Eaql pesante, bayE ricerca; sonora // ib
lupo, sciacallo, ahiba egli and, ha questo
velari, sorda /x/ xamr vino, alcool, xarf autunno, faxr vanto, ax fratello; sonora
// arb strano, straniero, arb Occidente, lib vincitore
faringali, sorda /y/ yimr asino, yasan bello, aysan pi bello, ry spirito;
sonora /e/ emil lavoratore, einab uva, sea ora
laringale sorda: /h/ huwa egli, fahm intelletto, faqh esperto della legge coranica
sibilanti /s/, /z/: sirr segreto, fassala confezion su misura, ns gente, zanj negro,
xazzn serbatoio, mumtz ottimo; queste sibilanti si contrappongono praticamente in
ogni posizione, ad esempio in yusn bellezza rispetto a yuzn funerale; di sibilante
postalveolare larabo classico conosceva un tempo solo /S/, in ams sole, ariba egli
bevve, iml sinistra; oggi in molte pronunce regionali (ma sarebbe meglio dire
nazionali) esiste una [b] come resa normale di jm, ed anche negli altri Paesi questo
fonema si acclimatato per rendere parole straniere e di altri dialetti arabi.
nasali: larabo distingue solo due fonemi: /m/, ml ricchezza, maktab ufficio lawm
rimprovero, fam bocca, umm madre; ed /n/, ns gente, lawn colore, eunq
collo.
laterale: solo /l/, lisn lingua, lzim necessario, jabal monte.
vibrante: solo /r/, di articolazione simile a quella dellitaliano: rajul uomo, ras testa,
bir pozzo.
approssimanti: la labiovelare /w/ in ward rosa, awwal primo, walad bambino,
63
awld bambini; e la palatale /j/ (traslitterata comunemente y): yawm giorno, ayym
giorni, ayyl facchino
Resta da parlare ora delle enfatiche. In arabo esistono alcune consonanti dette enfatiche,
caratterizzate da una simultanea costrizione faringale: cos la /X/ (ovvero /t
e
/, /t/) differisce
dalla /t/ semplice, ad esempio in tn fango rispetto a tn fichi. Le enfatiche dellarabo
classico sono le seguenti:
/t
e
/, enfatica della /t/: taraqa egli batt, tlib che domanda; studente [da cui, con
plurale persiano, tlibn, gli studenti che presero il potere in Afghanistan], waqt "tempo";
/
e
/ enfatica della //, (traslitterata normalmente z), in zufr unghia, yafaza conserv,
conobbe a memoria, zuhr mezzogiorno;
/s
e
/ enfatica della /s/, in sabr pazienza, yisn cavallo, easr epoca, nasr vittoria;
ed infine esiste la dd, consonante che gli antichi grammatici descrivevano come
difficilissima per gli stranieri, perch a quel tempo doveva essere unenfatica interdentale
sonora lateralizzata: ma oggi un suono simile si perso (eccetto forse in due villaggi
sauditi
13
), e le pronunce correnti sono due: 1) come /d
e
/,enfatica della /d/; 2) uguale alla
/
e
/. Si usa in parole come darb colpo, ard terra, fadda argento.

VOCALISMO ARABO
Le vocali arabe sono tre brevi, /i/ /a/ /u/, e tre lunghe, /i:/, /a:/, /u:/. Le lunghe (come pure i
dittonghi /ay/ ed /aw/ possono stare solo in sillaba aperta, o in sillaba finale chiusa da una
sola consonante; fa eccezione la /a:/ che pu essere seguita da consonante geminata, come
in bb giovane (sost.). In prossimit di consonanti enfatiche le vocali si modificano: i
ed u (brevi o lunghe) assumono una pronuncia centralizzata (pi aperta), mentre a si
velarizza; al contrario, se non vicina a consonanti enfatiche, la a tende a palatalizzarsi;
si pronuncia centrale praticamente solo dopo q.
Cenni di fonetica contrastiva rispetto allitaliano
Il timbro delle vocali brevi in arabo pu non essere importante, mentre importante la
distinzione fra lunghe e brevi; inoltre esistono diversi fonemi consonantici che non hanno
alcun corrispondente in italiano, come le interdentali (presenti per in altre lingue
europee), luvulare, le faringali, le glottidali nonch le enfatiche.
Si consiglia di studiare a fondo, tra i sistemi fonologici esposti in queste
pagine, quelli di due lingue a scelta


STANDARDIZZAZIONE

Facendo ricerche sul campo, ed occupandomi di begia (lingua cuscitica parlata fra
il Nilo ed il Mar Rosso) mi sono sentito rivolgere pi volte dagli abitanti del luogo la
seguente obiezione: questa non una vera lingua, perch non ha una scrittura. A queste
parole i linguisti, di solito, rispondono sorridendo che una scrittura per il begia (o per
altre lingue del genere) si pu inventare subito, e che del resto, su circa seimila lingue che

13
Cfr. larticolo di Munira Al-Azraqi, Ad-d d in Southwest Saudi Arabia as Described by Old
Grammarians, in S. Prochzka, V. Ritt-Benmimoun, Between the Atlantic and Indian Oceans. Studies on
Cintemporary Arabic Dialects, Wien 2008, pp. 43-50.
64
si calcola esistano al mondo, solo per un migliaio scarso si inventata una scrittura,
perch tutte le altre hanno un numero troppo scarso di parlanti, e non vale la pena di
impiegarle in libri a stampa. Eppure, qualcosa mi dice che quellobiezione che mi stata
fatta una vera vox populi, e come tale non sbaglia. Vediamo in che senso si potrebbe
affermare questo.
Cerchiamo innanzitutto di capire cos la scrittura, che stata singolarmente
misconosciuta anche da grandi e grandissimi linguisti. A p. 45 del Cours de linguistique
gnrale di Saussure si legge: Lingua e scrittura sono due sistemi di segni distinti;
lunica ragione di essere del secondo quella di rappresentare il primo; loggetto
linguistico non definito dalla combinazione di parola scritta e parola parlata:
questultima , da sola, tale oggetto
14
. E Leonard Bloomfield, alla fine del 17.1 del suo
Language, scriveva: [la scrittura] per il linguista, se si eccettuano alcuni particolari
secondari, semplicemente un espediente esterno, come luso del fonografo, grazie al
quale possono essere conservati alla nostra osservazione alcuni tratti del discorso del
passato. Non trovo condivisibile neppure laffermazione di Giorgio Raimondo Cardona,
che nel suo volume Antropologia della scrittura, Torino 1981, pp. 21-23 scriveva: Quel
che sorprende nel consultare le numerosissime opere occidentali sulla scrittura la
presenza, pi o meno evidente, di una tenace idea di fondo: che i vari sistemi si ordinino
filogeneticamente lungo un percorso di crescente perfezionamento []. Di questo
percorso evolutivo gi conosciamo lultima tappa, la scrittura alfabetica. Tutti gli altri
sistemi si collocano, a maggiore o minore distanza, ad un qualche punto della scala; e per
molti sistemi si pu essere in dubbio se rappresentino una tappa quanto si vuole arretrata
della evoluzione, o se non siano invece forme non omogenee alla scrittura, bens di altro
genere, pittoriche, espressive, ecc. []. In una prospettiva antropologica e semiologia
verrebbe da dire laica posto che lambito della scrittura sia la produzione e luso di
sistemi grafici con fini (anche) comunicativi, non ha senso parlare di forme meno o pi
evolute in quanto ogni societ esprimer quei tipi di scrittura che le saranno congeniali o
ne adotter di esterni, per effetto di pressioni e spinte acculturativi, e in questo caso li
integrer negli altri suoi sistemi simbolici; ma potr non esprimerne o non adottarne
nessuno, e non per questo cadere nellanarchia e nel disordine. Personalmente obietto
che se tutto ci fosse vero, non saprei come spiegare laffermazione che un giorno sentii
fare da un ingegnere cinese: Voi europei siete fortunati, perch imparate a leggere in un
tempo ragionevole; da noi per riuscire a leggere il giornale bisogna arrivare
alluniversit! Su questo argomento avevo gi scritto un articolo nel 1992
15
in cui
affermavo che in realt la pittografia, la scrittura ideografica, la scrittura consonantica e
lalfabeto si possono porre oggettivamente su una scala, che non sar di maggiore o
minore evoluzione
16
, ma di maggiore o minore appoggio a quellaltro codice che la

14
Se si prendesse alla lettera laffermazione di Saussure che lunica ragion dessere della scrittura
rappresentare il parlato, si arriverebbe a risultati assurdi: come si pu pensare che ad esempio
lEnciclopedia Treccani sia la trasposizione di un discorso parlato? Con ogni evidenza, in questo come in
molti altri casi, si tratta di un testo (o piuttosto di un insieme di testi) concepito e progettato per la
scrittura, impensabile senza di essa. Ed ora pensiamo anche al computer: come sarebbe possibile
utilizzarlo senza la scrittura? E di certo, luso della scrittura che si fa in informatica non ricalca il parlato.
15
G. CIFOLETTI, Sulla gerarchia dei sistemi di scrittura, Incontri Linguistici 15 (1992), pp. 131-134.
16
Va per ribadito che storicamente vero che lalfabeto stato una conquista, arrivata dopo molti
tentativi: ed anzi, come giustamente osservato nel volume di Abderrazzak BANNOUR Lcriture en
65
lingua: la pittografia ne prescinde in modo pressoch totale, la scrittura ideografica dovr
seguire per lo meno la sintassi duna lingua reale (a parte il fatto che tutte le scritture
ideografiche fanno largo uso di segni fonici), la scrittura consonantica indica almeno
lossatura delle parole, e lalfabeto, in linea di principio, si fonda su qualcosa di molto
simile alla doppia articolazione del linguaggio. In altre parole, con la pittografia si
forniscono messaggi immediati e che si possono intendere anche senza conoscere la
lingua di chi li ha scritti (e questo fa s che la si possa utilizzare per le segnalazioni
stradali, o in molti altri ambiti della nostra vita, come per esempio le etichette di
manutenzione sui vestiti); la scrittura consonantica, oltre ad essere stata inventata dai
Fenici, stata impiegata pi di recente nella stenografia (ma in entrambi i casi, per
leggere un testo bisogna sapere quello che c scritto; ed infatti le antiche iscrizioni
fenicie non si capiscono mai a fondo, e daltra parte lattuale scrittura araba e quella
ebraica, che pur derivano da quella fenicia, non sono puramente consonantiche); con
lalfabeto si indicano i fonemi di una lingua reale (anche se non conosco nessuna scrittura
ufficiale che riproduca perfettamente tutti i fonemi duna lingua), e con la divisione delle
parole non si dividono certamente tutte le unit minime di significato, ma si introduce
ugualmente unarticolazione utile per esprimere una qualunque idea. Perci la scrittura
alfabetica non ricalca pedissequamente la doppia articolazione del linguaggio, ma in
qualche modo la imita; e dunque, appoggiandosi fortemente ad una lingua, riesce ad
assumerne quasi tutte le capacit semiologiche
17
.
Dunque la scrittura non serve a registrare una lingua, come pare supporre Bloomfield, ma
serve a formare dei messaggi appoggiandosi su una lingua: i segni pittografici, che non si
appoggiano su nessuna lingua, nel linguaggio corrente non ricevono il nome di scrittura.
Detto cos, pare dunque che la scrittura sia un sistema autonomo, che si appoggia
sulla lingua, ma procede con mezzi propri e per strade autonome: e ci sar anche in parte
vero, ma lesperienza ci mostra che nella vita reale una lingua e la sua scrittura sono
inestricabilmente intrecciate. Spesso stato notato il grande influsso della scrittura sulla
lingua, ed il pi delle volte per deplorarlo: ma noi Italiani dovremmo invece pensare che
proprio grazie alla scrittura abbiamo avuto una lingua nazionale, ed infatti non a caso nel
Cinquecento si impose il modello di lingua propugnato da Pietro Bembo, che imitava gli
scrittori fiorentini del Trecento: limitazione di un vernacolo sarebbe stata troppo
difficile, in un tempo che non disponeva dei mezzi di comunicazione di oggi. Ne
derivato (per la lingua italiana) che le caratteristiche non segnate nella scrittura, come la
differenza tra e ed o aperte o chiuse, non sono state trasmesse correttamente, ed oggi in
questo campo c una grande confusione; si sono introdotte delle distinzioni che nel
fiorentino non esistevano, come la differenza tra le z semplici e geminate (ad es. tra spazi
plur. di spazio e spazzi da spazzare); ma almeno disponiamo di una lingua comprensibile
dalle Alpi al Lilibeo, nonostante la grande diversit che pur esiste nei dialetti. La stessa
situazione si ritrova un po dappertutto: in arabo, dove normalmente non si scrivono le

Mditerrane (disud, Aix-en-Provence 2004), di solito i progressi si facevano quando era un nuovo
popolo ad adattare la scrittura alla sua lingua.
17
Nella scala precedente non ho contato la scrittura sillabica perch da questo punto di vista non si tratta
di un insieme omogeneo: in questa categoria, da un lato c la lineare B del miceneo che riproduce questa
lingua in modo molto imperfetto e lacunoso, ed allestremo opposto abbiamo la devanagari del sanscrito,
che estremamente accurata.
66
vocali brevi n la geminazione delle consonanti, alcune parole si leggono in modo diverso
da un Paese allaltro (ad esempio la feluca, piccola imbarcazione tipica, si dice in
Egitto filka e in Sudan fallka, e le due parole si scrivono allo stesso modo); sappiamo
che in inglese convivono diverse pronunce tra le due sponde dellAtlantico; situazioni del
genere rendono difficile qualsiasi riforma ortografica, perch si finisce sempre col metter
fuorilegge delle pronunce fin qui tollerate.
Lo stesso Saussure si faceva beffe di quanti sostenevano che un uomo politico avesse
salvato la lingua francese perch in realt ne aveva salvato lortografia
18
; abbiamo tutta
una tradizione linguistica che ci predica queste cose, e che di conseguenza svaluta la
scrittura. Ma siamo sicuri che abbiano ragione? E se lavessero, perch mai, nei processi
di standardizzazione a cui abbiamo assistito nel corso del XX secolo, ci si sempre
preoccupati per prima cosa di mettere per iscritto la lingua che si voleva valorizzare? E
che cosa mai questa standardizzazione che si attua mettendo per iscritto quella che fino
ad allora stata una lingua orale? Giorgio Raimondo Cardona ha provato a porsi questa
domanda, in un intervento breve ma denso di osservazioni
19
. Riassumendo, egli sosteneva
che il percorso delloralit non simmetrico a quello della scrittura: basta, per
rendersene conto, leggere ad alta voce un testo scritto, che tale rimane, o trascrivere dal
nastro un testo orale, che anchesso tale rimane. Eppure la situazione [nostra, di una
societ che conosce la scrittura da millenni] comporta gi necessariamente un lungo
allineamento reciproco delloralit sulla scrittura: [] potremmo dire oggi che quando
parliamo sappiamo usare al meglio la modalit orale? Certo che no, se solo ci
confrontiamo con una vera situazione I [di oralit senza scrittura], laddove ancora ci sia
dato vederne; le capacit di esecuzione di un maestro della parola in una situazione del
tutto orale non possono che lasciarci sconcertati; si pensi alle performances dei poeti
somali o maliani o dei guaritori cuna, che sono in grado di padroneggiare migliaia di
versi, per un lasso di varie ore di esecuzione, con il solo aiuto della memoria e della
competenza tecnica. In una situazione di pura oralit, la lingua presenta numerosi livelli
di discorso, quotidiano-colloquiale, metaforico-solenne, magico-operativo. [] La lingua
non scritta pu essere formalizzatissima, a n livelli, pu essere al suo interno poetica,
oratoria; pu contenere arcaismi, pu essere ricordata verbatim, pu insomma avere tutte
le caratteristiche che si attribuiscono alla sola lingua scritta. Sempre il Cardona pare
opporsi allidea che la paratassi sia pi adatta al discorso orale, e lipotassi a quello
scritto: questa una situazione frequente nelle lingue dellEuropa, ma altrove (a quanto
mi risulta) sembra che siano le lingue con ordine SOV (soggetto-oggetto-verbo) ad avere
una certa tendenza allipotassi. Egli nota poi come, quando si fissa una lingua per iscritto,
le caratteristiche non tramandate dalla scrittura tendano a perdere di valore, in qualche
caso fino alla sparizione: noto che il somalo distingueva due diversi toni nella sillaba
accentata, che per non vengono distinti nella grafia ufficiale, e perci le giovani
generazioni tendono a dimenticarli: mi stato detto ad esempio che la parola walaal con
un certo tono significhi fratello, con laltro sorella, ma i giovani oramai li

18
Cours, p. 46: Gaston Deschamps ne disait-il pas de Berthelot quil avait prserv le franais de la ruine
parce quil stait oppos le rforme orthographique?
19
G.R. CARDONA, dalloralit alla scrittura: la formazione delle lingue standard, in A. MORESCHINI
QUATTORDIO, La formazione delle lingue letterarie, Atti del Convegno della Societ Italiana di
Glottologia, Siena 16-18 aprile 1984, pp. 71-80.
67
distinguono solo mediante larticolo: walaalka il fratello, walaasha la sorella. Il
somalo scritto non fa neppure uso di ideofoni, che pure (almeno in teoria) sarebbe
possibile scrivere: lo stesso Cardona ne cita due esempi, bise diigaa isa soo daayay,
shalalalalalax ma il sangue (diig-ga baa) schizz fuori, splasc!, oppure markaasuu
cagaa wax ka deyay, babbabbabbabba allora lui scapp via veloce, fiuuuum!
20
. Il fatto
, come nota giustamente lo stesso Cardona, che lideofono in genere usa anche il tono,
la qualit della voce (falsetto, basso ecc.), fonemi specifici e perfino correlati mimico-
facciali o gestuali, ma soprattutto la voce interiore di chi scrive che monocorde. Dalla
mia personale esperienza, in Somalia ma soprattutto coi Begia, posso aggiungere questo:
un conto la situazione di una lingua orale quali sono i nostri dialetti, che possono non
avere una solida tradizione scritta, ma certamente convivono da millenni con una lingua
ufficiale che monopolizza i livelli pi alti (e che prima stata il latino, da un certo
momento in poi litaliano), un conto invece la situazione di una lingua orale che non
abbia questo tetto, e che quindi debba essere usata anche ai livelli alti, in un contesto
quindi in cui lanalfabetismo sia pressoch generale, ma si senta ugualmente lesigenza di
trasmettere la cultura tradizionale. Quando ci si trova in queste condizioni, la memoria
pu prendere uno sviluppo insospettato: tra i Somali si racconta di recitatori che dopo
aver ascoltato una sola volta una poesia lunga anche un centinaio di versi, erano capaci di
ripeterla. Ma unaltra particolarit che ho notato che la stessa grammaticalit delle
lingue ne risente: quando una lingua non si impara a scuola, generalmente ammette al suo
interno delle fluttuazioni sorprendenti. Un effetto lo si pu scorgere nelle grammatiche
(scritte da Europei) di molte lingue africane (o lingueesotiche in generale): con i
principi esposti nella grammatica, si riesce a formare ed a spiegare brevi testi, frasi
staccate; ma quando si affrontano dei lunghi racconti, si vede che spesso tutte queste
regole vanno in confusione; e cos si arriva al paradosso che le regole grammaticali
esposte da un linguista si contraddicono confrontandole coi testi che lo stesso linguista
riporta. Concordo quindi perfettamente con lipotesi avanzata dallo stesso Cardona: che
il passaggio alla lingua scritta preveda necessariamente non una pidginizzazione ma una
riduzione ad un sistema grammaticale vero, cio del tipo che noi siamo abituati ad
attribuire alle lingue; le quali invece, nella loro forma orale e naturale hanno un tipo di
grammaticalit ben diversa, certo assai lontana da quella che noi possiamo oggi ravvisare
in lingue standardizzate. Ed ancora: Vediamo dunque ancora una volta come il
passaggio alla forma scritta, riducendo le convenzioni discorsive, renda inutili e quindi
atrofizzi parti importanti della competenza comunicativa e della stessa capacit ideativi.
evidente che la lingua scritta nella lunga distanza creer delle nuove strategia, e
diventer uno strumento conoscitivo insostituibile: ed infatti egli stesso aveva in
precedenza indicato alcuni tipi di testo (la lettera, il contratto) che si possono concepire
soltanto con la scrittura; non solo, ma aveva citato un testo dal De bello civili di Cesare
(I,21) di una complessit tale da ritenere che difficilmente lo si potrebbe immaginare
nelloralit.
Dunque fissando una lingua con la scrittura, non ci si limita a registrare qualcosa
che gi esiste (come forse pensava Bloomfield), ma si interviene sulla lingua stessa,
facendole assumere nuove potenzialit (e dimenticandone altre); e per questo non

20
Per leggere queste righe in somalo si fanno le seguenti precisazioni: le vocali ripetute sono lunghe, la
lettera c indica la fricativa faringale sonora; la x la faringale sorda.
68
tutto, perch va aggiunto che la lingua ha sempre (almeno allo stato latente) delle valenze
identitarie, che di solito finiscono con lessere esaltate da unoperazione del genere.
Anche in questo caso, non c nulla di obbligatorio: unidentit nazionale pu benissimo
sussistere nonostante la diversit linguistica, ad esempio sappiamo che gli Svizzeri non
dispongono di una lingua comune (esiste lo schwyzerttsch o svizzero-tedesco, ma in
realt sono dialetti diversi, spesso poco comprensibili fra loro, e che comunque non
simparano a scuola, perch chi nasce nella Svizzera francese o italiana normalmente
studia il tedesco standard, non un dialetto svizzero) eppure si sentono uniti; al contrario
una diversit etnica pu mantenersi nonostante lidentit di lingua (ad esempio sappiamo
che gli Irlandesi non vogliono a nessun patto essere confusi con gli Inglesi).
Ciononostante, nella maggioranza dei casi la nascita di una lingua legata alla nascita di
un popolo e viceversa. In molti casi nel corso del XX secolo si sono standardizzate delle
nuove lingue, per popoli dellAfrica che avevano acquistato lindipendenza: cos
avvenuto per il somalo, dove si preso come standard il dialetto delle trib di pastori
(perch questi ultimi avevano una tradizione di poesia e di eloquenza, che le trib di
agricoltori non possedevano). Anche in altri casi, i linguisti hanno fissato nelle loro
grammatiche (e quindi standardizzato) dei dialetti che avevano gi un prestigio, e che
potevano di conseguenza essere accettati da tutto il popolo; ma anche qui non mancano
dei controesempi, perch sappiamo che nelle isole Fiji le cose andarono diversamente: nel
XIX secolo i missionari fissarono per iscritto il dialetto della prima isoletta in cui si erano
insediati, ed unicamente grazie al prestigio della scrittura e dei libri a stampa questo
divenne poi la norma (ma a quel tempo non si andava per il sottile!). Anche in un passato
pi lontano vi furono delle standardizzazioni, non ad opera di linguisti: e questo fatto
interessante, perch ci consente di dire che anche le lingue hanno una data di nascita. Ad
esempio, per quanto riguarda litaliano, non vero che esso sia derivato a poco a poco dal
latino, con sviluppi talmente lenti e graduali che non si riesce, neppure con
lapprossimazione del secolo, a fissare quando il latino abbia smesso di esistere e quando
sia nato litaliano; se si guarda attentamente la storia, essa ci appare alquanto diversa. Dal
latino non deriv litaliano, ma una miriade di dialetti, talmente differenziati che stato
affermato a buon diritto che in nessun altro Paese dEuropa esiste una simile variet
dialettale: eccetto il toscano e pochi altri dialetti vicini, la maggior parte pi distante
dalla lingua letteraria di quanto non sia lo spagnolo, e questa situazione probabilmente
antica di molti secoli, forse addirittura di un millennio. Se si fossero applicati allItalia i
criteri utilizzati nel XX secolo per standardizzare le lingue dellAfrica, sarebbe stato
possibile distinguere almeno una dozzina di lingue: ma sappiamo che non and cos. Per
nostra fortuna ci pervenuto il trattato di Dante Alighieri De vulgari eloquentia,
composto (sembra) fra il 1304 e il 1307: dalla sua lettura noi possiamo capire che gli
Italiani di quel tempo, pur essendo divisi politicamente, pur essendo separati da dialetti
che gi allora dovevano avere una scarsa comprensione reciproca, avevano coscienza di
essere un unico popolo ed aspiravano ad avere ununica lingua. Pochi anni dopo, quando
lo stesso Dante ebbe composto la Divina Commedia, gli Italiani non ebbero pi dubbi sul
modello di lingua comune a cui rifarsi: anche se riconosco che vi furono pi cause
concomitanti, come lalto prestigio di Firenze, ed il fatto che il toscano fosse un dialetto
piuttosto conservativo, quindi vicino al latino che aveva gi il massimo prestigio.
Analogamente, sappiamo che il tedesco moderno nacque con la Bibbia di Lutero; anche
69
qui la nascita della lingua coincise con un risveglio nazionale. In alcune circostanze della
storia si visto che un popolo ha preso coscienza di essere tale, e si messo alla ricerca
di una lingua: negli anni Novanta del XX secolo lo abbiamo visto per i Croati, che appena
raggiunta lindipendenza hanno voluto crearsi una propria lingua, differenziandosi dai
Serbi. Personalmente ho sentito molti colleghi esprimersi con scetticismo o riprovazione
nei confronti di questa loro scelta: certamente si trattato di una decisione politica, nel
merito della quale non voglio entrare; mi interessa soltanto far notare che fatti del genere
si sono verificati pi volte nella storia. Anche il latino, come noi lo conosciamo, ebbe una
standardizzazione allepoca di Cicerone, in buona parte ad opera di Cicerone stesso: se
guardiamo le iscrizioni anteriori a questepoca troviamo una sconcertante oscillazione tra
diverse forme, come se esistessero vari modi paralleli di esprimersi in latino (troviamo ad
esempio nominativi plurali della seconda declinazione in e anzich i, nominativi plurali
della prima in as, frequenti scambi i-u tipo nominus per nominis, come pure le varianti
dedrot e dedro per dederunt): invece dai documenti successivi a questepoca si capisce
che ormai esisteva uno standard, coincidente col latino che poi per millenni fu insegnato a
scuola. Conosco per un controesempio, una standardizzazione che, a quanto mi dicono,
fu imposta dallalto, senza che il popolo la richiedesse, e che ciononostante riuscita: nel
1945, per negare che in Yugoslavia esistesse una minoranza bulgara, inventarono la
lingua macedone. Il bulgaro ben differente dal serbo: possiede un articolo posposto
(mentre il serbo non ha articoli), ed ha perso le declinazioni: i dirigenti yugoslavi
inventarono questa nuova nazionalit, standardizzarono quelli che fino ad allora erano
considerati dialetti bulgari occidentali, imposero questa lingua a scuola, ed oggi i
Macedoni si considerano un popolo a parte. Si pu per aggiungere che questa manovra
politica (forse inconsapevolmente) seguiva lo spirito del tempo, perch la seconda met
del XX secolo ha visto in Europa lemergere di piccole etnie, piccole nazionalit che fino
ad allora non si percepivano come tali: esemplare il caso di Malta. Fino allOttocento
questisola era considerata parte integrante dellItalia, anche se i suoi abitanti parlavano
uno strano dialetto che certamente non era italiano (si tratta infatti di un dialetto arabo);
ma a quel tempo non si concepivano le piccole nazionalit, si capiva che non era possibile
costruire una cultura su misura per una nazione tanto piccola, e daltra parte i Maltesi,
essendo cattolici, non si potevano richiamare alla cultura araba; dunque la cultura di cui si
sentivano partecipi era quella italiana. Gli Inglesi si impossessarono di Malta al tempo
delle guerre napoleoniche, nel 1800, e ben presto trovarono che litalianit dellisola era
di ostacolo al loro governo: ma per tutto il XIX secolo non presero serie misure contro
luso della lingua italiana, fino agli anni 30 del XX secolo quando, col pretesto delle
mire espansionistiche del fascismo, imposero come lingue ufficiali il maltese e linglese,
incontrando per delle forti resistenze nella popolazione. Ma dopo la seconda guerra
mondiale queste opposizioni cessarono del tutto, ed oggi la nazionalit maltese un fatto
pacifico e incontestato.
In conclusione, penso si possa dire che la standardizzazione interviene di solito
(non sempre, come abbiamo visto) quando un popolo si percepisce come tale, quando
cio gli uomini che ne fanno parte provano un senso di appartenenza, e vogliono
cementarlo con una lingua comune che li distingua da tutti gli altri (pare che in questi
anni si stia cercando di fare qualcosa di simile in Marocco, con un processo di
standardizzazione dellarabo marocchino, la cui distanza dallarabo classico ormai al
70
punto di rottura
21
). In tutto questo interviene di solito anche la scrittura, essenziale per
conferire dignit alla nuova lingua: non solo, ma con lintroduzione della scrittura
(magari supportata da un insegnamento scolastico) la lingua acquista una regolarit ed
una grammaticalit prima sconosciute: in altre parole, diventa una lingua vera,
corrispondente cio allidea di lingua che noi abbiamo normalmente.





PIDGINS E CREOLI

Cominciamo con qualche esempio di pidgin: partir da quello che per me (e forse per i
lettori italiani) il pi facile, la lingua franca barbaresca. Pochi sanno che nei cosiddetti
Stati Barbareschi (cio nelle reggenze di Algeri, Tunisi, Tripoli, dal XVI secolo al 1830)
si usava un pidgin a base italiana: non era certo la lingua indigena, ma in pratica lo
conoscevano tutti, almeno nelle citt. Allinizio del XVI secolo la monarchia spagnola
aveva cercato di impadronirsi di quelle regioni, stabilendo dei presidi a Orano, Bugia
(Bjya), Tripoli, conquistando Mahdia e (per qualche tempo) anche Jerba, ed esercitando
una specie di protettorato sui traballanti emirati di Tlemcen e Tunisi. Ma la reazione
islamica cominci ben presto, con il dominio di avventurieri turchi (pirati) prima ad
Algeri (dal 1516), poi a Tripoli (dal 1551), infine a Tunisi (conquistata nel 1574). Queste
tre citt divennero dei covi di pirati, che riconoscevano per lautorit dal sultano di
Costantinopoli; altri pirati musulmani (ma indipendenti) dominavano anche a Rabat,
ovvero Sal. In queste citt si usava larabo (soprattutto arabo dialettale) come lingua pi
diffusa; il turco era usato dalla classe dominante; ma siccome risiedevano l anche molti
Europei, sia liberi sia schiavi (perch chi era catturato dai pirati veniva trattenuto come
schiavo), con loro si usava la lingua franca. Il principale documento che ne possediamo
un piccolo manuale, stampato a Marsiglia nel 1830 per i soldati francesi che andavano a
conquistare Algeri: riporto qui le pagine di dialoghi, che sono in francese e tradotti in
lingua franca, scritta con grafia francesizzante.
N I
Pour affirmer ou nier.
Cela est vrai. qouesto star vro.
Cela n'est pas vrai. qouesto non star vro.
Cela n'est que trop vrai. qouesto star tropo vro.
J'en doute. mi doubitar di qouesto.
Il n'y a point de doute. non tenir doubio.
Que voulez-vous parier? cos volir scomtir?
Je gagerais quelque chose. mi scomtir qoualqu cosa.
Je gagerais ce que vous voudrez mi scomtir cos ti qurir.
Croyez-moi, je puis vous l'assurer ti crdir per mi, mi poudir assicourar per ti.
C'est ainsi. star acoussi.

21
Cfr. Dominique Caubet, From movida to nayda in Morocco, in S. Prochzka, V. Ritt-Benmimoun,
Between the Atlantic and Indian Oceans. Studies on Contemporary Arabic Dialects, Wien 2008, pp. 113-
124.
71
Je crois que oui. mi pensar si.
Je crois que non. mi pensar no.
Je dis que oui. mi ablar si.
Je dis que non. mi ablar no.
Sur ma parole. per la palabra di mi.
Je dis la vrit. mi ablar dgiousto.
Je vous crois. mi crdir per ti.
Je n'en crois pas une parole. mi non crdir ouna palabra.
Je ne saurais croire. mi non poudir crdir.
Cela est faux. qouesto star falso.

N 2
Pour Remercier et Complimenter.
Bon jour, Monsieur. bon dgiorno Signor.
Comment vous portez-vous? comm ti star?
Je suis bien, et vous. mi star bonou, ti.
Je suis bien aise de vous voir. mi star contento mirar per ti.
Je vous remercie. gratzia.
Puis-je vous servir en quelque chose? mi poudir servir per ti per qoualk cosa?
Je vous suis fort oblig. mouchou gratzia.
Donnez une chaise Monsieur. ti dar una cadira al Signor.
Il n'est pas ncessaire. non bisogna.
Je suis bien comme cela. mi star bn acoussi.
Comment se porte votre frre? comm star il fratello di ti?
Il se porte fort bien. star mouchou bonou.
Est-il la maison? star in casa?
Non, il est sorti. no, star for.
Et Monsieur votre pre comment est-il? e il padr di ti comm star?
Il n'est pas bien. non star bouonou.
Qu'a-t-il? cosa tnir.
Il a la fivre. tnir fbra.
J'en suis bien fch. dispiacher mouchou per mi.
Y a-t-il long-tems que vous n'avez molto tempo ti non mirato
pas vu Monsieur M. ? Signor M.?
Je l'ai vu hier. mi mirato iri.
C'est un brave homme. star bouona genti.
Quand vous le verrez faites quando ti mirar per ellou saloutar mouchou per la par-
lui mes compliments. t di mi.
Adieu mon ami. adios amigo.

N 3.
Pour Consulter.
Que fesons-nous? cosa counchar?
Que faut-il faire? cosa bisognio counchar?
Qu'en pensez-vous? qu pensar?
Que voudriez-vous faire? cosa ti qurir counchar?
Fesons comme cela. bisognio counchar accoussi.
Il me semble qu'il vaudrait mieux. mi pensar star meo.
Si j'tais votre place je ferais. s mi star al logo di ti, mi counchar, ou fazir.
A quoi servira tout cela? qu servir touto qouesto?
Laissez-moi faire. ti laschiar counchar per mi.

N 4
Pour Aller et Venir.
72
Qui est l? qui star aki?
Entrez. intrar.
D'o venez-vous? ound ti vnir?
Je viens de chez moi. mi vnir della casa di mi.
O allez-vous? ov ti andar?
Je vais me promener. mi andar spassgiar.
Je vais voir un ami. mi andar mirar oun amigo.
Je vais chez Monsieur M. mi andar in casa del Signor.
Voulez-vous que j'aille avec vous? ti qurir mi andar con ti?
Oui, allons ensemble. si, andar sim sim.
Venez ici? ti vnir aki?
Montez, descendez. ti mountar, ti baschiar.
Allez-vous en. andar fora.
Sortez de la maison. andar fora di casa.
Dpchez-vous. fazir ou counchar presto.
Revenez de suite. tornar soubito.
Allez doucement. andar poco poco.
Je suis press. mi tenir prmoura.
Asseyez-vous. ti sentar, ou ti sdir.
Attendez un peu. sptar oun poco.
Ouvrez la fentre. aprir la bentana.
Fermez la porte. sarar la porta.

N 5
D'Entendre, de Comprendre et de connatre.
coutez. sentir.
M'entendez-vous? sentir per mi?
Comprenez-vous? capir?
J'entends bien. mi sentir bonou.
Je vous comprends un peu. mi capir oun poco per ti.
Que dites-vous? cosa ti ablar?
Rpondez-moi. respondir per mi.
Qui est ce Monsieur qui vous qui star qouesto signor qu
parlait tantt. poco poco ablar per ti.
Le connaissez-vous? ti conoschir per ellou?
J'ai entendu parler de lui. mi sentito ablar di ellou.
Je l'ai vu chez vous. mi mirato in casa di ti.
O demeure-t-il? ov sentar?
Dans la grand'rue. in strada grandi.
De quel pays est-il? di qu pas star?
Il est franais, anglais, espagnol, star francis, inglis, espagnol,
portugais, napolitain, toscan, portugus, nabolitan, toscan,
autrichien, russe, amricain, danois, nemsa, moskovit, amrikan, dans,
sudois, hollandais suds, flamin.
Y a-t-il long-temps que vous mouchou tempou ti conoschir
le connaissez? per ellou.
Il y a peu de temps. tnir poco tempo.
Je serais bien aise de faire mi tnir piacher conoschir
sa connaissance. per ellou.
Nous irons le voir ensemble. bisognio andar mirar per ellou sim sim.
Quand il vous plaira. qouando piacher per ti.
Nous irons demain. bisognio andar domani.

N 6
73
Du Djener.
Avez-vous djeun? ti fato colatzion?
Non, Monsieur. non, Signor.
Vous venez propos, le djeuner est ti venir dgiousto, la mangiaria star pronta.
prt.
Je suis venu exprs pour d- mi venouto aposto per far
jeuner avec vous. mangiaria con ti.
Bien, que voulez-vous prendre? bonou? qu ti qurir mangiar.
Ce qu'il vous plaira. qouello qu ti qurir.
Voulez-vous du caf? ti qurir caf?
Apportez le caf. portar caf
Faites chauffer de l'eau; je veux fazir scaldar agoua; mi qurir
faire du th. counchar th.
N'en faites pas pour moi, le non counchar per mi, il caf basta.
caf me suffit.
J'ai du th dlicieux; je veux mi tenir th mouchou bonou; mi qurir ti
que vous en gotiez. goustar per ellou.
Je vous suis bien oblig. mouchou gratzia.
Mettez-y un peu plus de sucre. ti mtir oun poco piou zoukro.
J'en ai assez. Mi tnir bastantza.

N 7
De l'Heure et du Temps.
Quelle heure est-il? qu ora star?
Quelle heure croyez-vous qu'il soit? qu ora ti pensar star?
Je pense qu'il n'est pas trois heures. mi pensar non star tr ora.
Il est bientt quatre heures. poco poco star qouatr'ora.
Il n'est pas tard. non star tardi.
Voyez quelle heure il est votre mirar qu ora star al orlogio di ti.
montre.
Elle ne va pas bien. non andar bonou.
Elle avance, elle retarde. andar avanti, andar inditro
Quel temps fait-il? Com star il tempo?
Il fait beau temps. il tempo starbello.
Il fait mauvais temps. il tempo star cativo.
Il fait chaud. fazir caldo.
Il fait froid. fazir frdo.
Il fait du vent. fazir vento.
Il pleut. cascar agoua.
Il fait une chaleur touffante. fazir caldo mouchou.

N8
Pour demander ce quil y a de nouveau
Que dit-on de nouveau? qu nouova?
Je n'ai rien entendu. mi non sentito nada.
Que dit-on dans la ville? qu hablar in chit?
On dit que nous avons la guerre. genti hablar tenir gouerra.
La guerre, avec quelle nation? Gouerra, con qu natzion?
Avec les Franais. con Francis.
Que peuvent faire les Franais qu poudir counchar il Franis
contre Alger? contra di Algieri?
Par mer rien, mais par terre ils sont per mar nada, ma per terra il Francis star
redoutables. mouchou forti.
Si les Franais dbarquent Alger s il Francis sbarkar, Algiri star perso.
74
est perdu. star perso.
Je pense que les Algriens ne mi pensar l'Algrino non
se batront pas. combatir.
Le Pacha sera donc oblig de dounqu bisogno il Bacha
demander la paix. qurir pach.
Oui, s'il ne veut prir. si, s non qurir morir.
S'il veut la paix les Turcs feront s qurir pach l'Yoldach fazir
tapage. gribouila.
Pour quoi ne fait-on pas la paix? perqu non counchar pach
Parce que le Pacha est entt. perqu il Bacha tenir fanttzia.

Con la conquista di Algeri da parte dei Francesi nel 1830, questa lingua perse la sua
ragion dessere: alcuni continuarono a parlare questa lingua (che i coloni francesi
ribattezzarono sabir) ancora per una cinquantina danni, e poi si spense del tutto
22
.

Vediamo ora il Pidgin English della Cina, usato in quel Paese per i contatti tra
popolazioni locali ed Europei, soprattutto nella seconda met del XIX secolo, ed ancora
nel XX secolo fino alla seconda guerra mondiale. Il testo qui riportato tratto dal volume
di Robert A. Hall, jr, Pidgin and Creole Languages, Cornell University Press, Ithaca and
London 1966, pp. 152-3. Si tratta di un dialogo tra una dama europea ed un sarto.
MISTRESS: tlr, mj hv kci wnpisi plnti hnsm slka. mj wOnci j mki wn njs ivni-
drs. Tailor, I have a very fine [piece of] silk. I want you to make a nice evening dress.
TAILOR: msi hv gt buk? Has missy a [fashion] book?
MISTRESS: mj no hv kci buk. pmi s j buk. I havent brought a book. Let me see your
book.
TAILOR: mj buk blO t l. My book is too old.
MISTRESS: mski, j pmi lk-s. Never mind, let me see it.
TAILOR: mj svi msi no wOnci isfn. sps msi kn kci buk, mj kn mki. sps msi
n kn kci buk, mj n kn d. msi kn km tumOlo? I know missy doesnt want this kind
[of dress]. If missy can get a book, I can make it. If missy cant get a book, I cant. Can missy
come tomorrow?
MISTRESS: tumOlo mj n kn km. mj lvi slka ssaid, sps mj km tumOr nks d.
Tomorrow I cant come. Ill leave the silk the silk here, and possibly Ill come day after
tomorrow.
TAILOR: Orajt, msi, tumOr nks d kn d. mj mki vri pOpa fO j. Very well, missy, day
after tomorrow is all right. Ill make it just right for you.
MISTRESS: j mki wnpis ivni-drs fOr mj, hwmc j wOnci? If you make an evening-dress
for me, how much do you want?
TAILOR: sps blO dnsi-drs, mj wOnci twlv dOlr. If it is a dancing-dress, I want twelve
dollars.
Si noter una particolarit: siccome in cinese non possibile collegare immediatamente i
numerali col nome, ma necessario aggiungere dei numerativi (una specie di
classificatori), anche nel Pidgin English esistevano due numerativi: i nomi di persona
andavano preceduti da fellow, ed i nomi di cosa da piece, almeno nel pidgin ottocentesco:
col XX secolo prevalse piece.
Passiamo ora al Tok Pisin. Nella seconda met del XIX secolo, nelle piantagioni del
Queensland (Australia) assoldarono dei lavoratori dalla Nuova Guinea e dalle isole

22
Si veda il volume di G. CIFOLETTI, La lingua franca barbaresca, Roma 2004.
75
melanesiane ed anche polinesiane; come lingua di scambio si devessere usato una specie
di Pidgin English cinese, visto che i numerali sono sempre accompagnati da fellow. Pi
tardi questi lavoratori, una volta tornati nei loro Paesi, ebbero la possibilit di comunicare
tutti fra di loro con questa nuova lingua che avevano imparato: la Nuova Guinea uno dei
Paesi al mondo dove si trova la maggiore variet di lingue in uno spazio relativamente
ristretto, e fino ad allora non esisteva nessun mezzo di comunicazione fra le trib: con la
diffusione di questo pidgin finalmente le trib poterono comunicare: stato notato chela
diffusione del Tok Pisin procedette di pari passo con la cristianizzazione
23
, e ci non
casuale, perch con la nuova mentalit indotta dalla nuova religione questi uomini non si
concepirono pi soltanto come appartenenti a piccole trib in guerra fra loro, ma si fece
strada lidea che tutti potevano costituire un popolo, un nuovo popolo (situazioni simili si
verificarono nelle Isole Salomone, dove si usa ora praticamente lo stesso pidgin, ma
scritto in modo pi vicino allinglese, ed a Vanuatu, dove il pidgin si chiama Bislama, dal
vecchio nome di Beach-La-Mar). In Nuova Guinea questa lingua ha assunto i connotati di
lingua nazionale, e coscientemente si cercato di allontanarla dallinglese: oggi lingua
ufficiale della repubblica di Papua-Nuova Guinea. Per quanto riguarda la descrizione di
questa lingua, premetto che (purtroppo) chi scrive non ne ha alcuna esperienza diretta, e
perci potrebbero esserci delle inesattezze. Comunque, secondo la descrizione che ne
fornisce Robert A. Hall, in questa lingua la pronuncia fluttuante, perch nel sistema pi
semplice, ovvero basiletto (nei pidgins e creoli il livello pi rozzo, che spesso coincide
col pi distante dalla lingua che ha fatto da modello, si chiama basiletto: il livello pi
vicino alla lingua di prestigio si chiama acroletto) si hanno solo 5 vocali, i e a o u, ma
altri parlanti hanno un sistema pi vicino allinglese, con vocali tese e rilassate, e ed o
aperte o chiuse, una vocale // ed una //. Analogamente per le consonanti, alcuni parlanti
distinguono tra /p/ ed /f/, mentre altri pronunciano solo /p/; alcuni pronunciano /v/, che
per altri si confonde con /b/; la /s/ in alcuni parlanti tiene il luogo di tutte le sibilanti ed
affricate dellinglese, mentre altri distinguono una /S/, una /w/, una /t/. Inoltre alcuni
tendono a pronunciare, al posto delle occlusive sonore /b/ /d/ /g/, delle prenasalizzate
/
m
b/, /
n
d/, /

g/; i gruppi consonantici fanno difficolt ad alcuni parlanti. Perci dal verbo
ingl. to change si hanno delle varianti che vanno da [wentim] a [senisim] (il suff. im
indica che un verbo transitivo). Laccento va di regola sulla prima sillaba. Il verbo si
declina premettendo i pronomi personali, che sono: mi io, yu tu, em egli, ella, yumi
noi inclusivo, ovvero tu ed io, mipela noi esclusivo, cio io ed altre persone
escluso lascoltatore, yupela voi, ol, em ol essi; i pronomi mipela, yupela hanno le
varianti mifela, yufela, perch il suff. fela deriva dal numerativo fellow che si usava nel
Pidgin English cinese. Lo stesso suffisso si attacca a molti aggettivi e pronomi, nonch ai
numerali, come dispela questo, sampela qualche, tripela tre, gudpela buono,
naispela bello, bikpela grande; esistono per aggettivi (non monosillabici) che non lo
prendono, come liklik piccolo; invece si ha il contrasto fra plenti molto e plentifela
molti. Lordine normale Aggettivo-Nome, come in naispela meri bella donna, liklik
buk piccolo libro; ma ci sono molte eccezioni, come botol bruk bottiglia rotta, tok
giaman discorso falso, tok tru discorso vero, ples nogut luogo brutto, ecc. I termini

23
Cfr. Timo LOTHMANN, God i tok long yumi long Tok Pisin. Eine Betrachtung der Bibelbersetzung in
Tok Pisin vor dem Hintergrund der sprachlichen Identitt eines Papuia-Neuguinea zwischen Tradition
und Moderne, Peter Lang, Frankfurt 2006.
76
di parentela sono i seguenti: papa padre, mama madre, tumbuna nonno, nipote,
kandare zio e zia materni, smolpapa zio paterno, smolmama zia materna, brata
fratello (o sorella) dello stesso sesso, sisa fratello (o sorella) di sesso opposto. Il suff.
im si attacca al verbo transitivo: mi ridim buk io leggo un libro, mi rid io leggo, mi
ridim io lo leggo. Per il verbo kaikai mangiare prende im solo quando usato col
significato di mordere, altrimenti ne fa a meno: famosa la frase (riportata da Hall nel
suo volume Pidgin and Creole Languages) ol i save kaikai man essi mangiano uomini
(sono cannibali) (fino al XX secolo il cannibalismo stato diffuso in Nuova Guinea).
Questo suffisso, attaccato a varie parole, le trasforma in verbi transitivi: raus fuori,
rausim espellere, orait bene, oraitim riparare (ma va aggiunto che raus e orait
possono significare anche star fuori e star bene: non esiste una chiara distinzione tra
aggettivo e avverbio da una parte, verbo stativo dallaltra). Il verbo alla terza persona
preceduto da i. Sono molto usati i verbi seriali, per esempio il verbo pinis o finis finire:
painim cercare, painim pinis trovare; boilim bollire, boilim pinis sterilizzare;
bagarapim danneggiare, bagarapim pinis distruggere; promis promettere, promis
pinis mantenere la promessa; rere preparare, rere pinis essere pronto; inoltre pinis
aggiunto al verbo pu indicare unazione anteriore, come in tevel meri harim pinis lo
spirito donna aveva ascoltato. Si noti la differenza di tempi e aspetti verbali tra em i go
maket egli va al mercato, em i wok long go long maket sta andando al mercato, em i
go long maket pinis appena andato (o andata) al mercato, em i bin go long maket
andato al mercato, em bai go long maket andr al mercato. Il verbo save sapere pu
indicare lazione abituale (come nella frase citata prima ol i save kaikai man); il prefisso
bai indica il futuro. Sono molto usati i composti: kamman nuovo arrivato, blakboi
lavoratore indigeno, blakman indigeno, waitman Occidentale (anche quando si tratta
di un negro), bikples terraferma, continente, biknem fama. Le preposizioni sono
essenzialmente due, bilong di e long a (ma il significato molto pi ampio: si dice
per es. long solwara sul mare, go long bush andare nel deserto.
Breve racconto: long taim bifo, ol wonem, wanpela ailan, draipela pik i save stap ia na
em i save kaikai ol man. Nau, ol kisim kenu, ol stretim ol samting bilong ol, na i go
painim nupela ailan. Na wanpela meri, pik, pik ia wonem, bin kaikai man bilong en bifo,
na em wonem, i gat bel. Once upon a time, uh, an island, a huge pig used to live (there)
and it used to eat the people. Then, they took canoes, they fixed up all their stuff, and
went to look for a new island. And a woman, the pig, uh, had eaten her husband before,
and she, uh, was pregnant.
24
Dunque i pidgins sono una tipologia di lingue: da una lingua di prestigio si
assume come modello una forma ridotta, perch non si pu o non si vuole imitarla in toto.
Sono note molte variet di pidgin: oggi ha una notevole importanza il Wescos (West
Coast) usato nel Camerun; a Juba (Sudan meridionale) si usa il cosiddetto arabo di Juba,
che una variet pidginizzata di arabo sudanese; allinizio del XX secolo in Norvegia si
usava il Russenorsk, per i contatti tra pescatori russi e popolazione locale (ed in questo
caso, cosa abbastanza rara, sembra che lincontro sia avvenuto a met strada, nel senso
che le parole russe e quelle norvegesi sono abbastanza bilanciate in questa lingua, mentre
di solito per i pidgin ed i creoli lapporto lessicale proviene in grande maggioranza da una

24
Cfr. Robert A. HALL, jr, Le Pidgin English mlansien, nel volume Les langues dans le monde ancient et
moderne (sous la direction de J: Perrot), d. CNRS, Paris 1981, pp. 649-656.
77
sola lingua, detta lessificatrice)
25
; si conoscono anche dei pidgin estremamente variabili
da un parlante allaltro, e con capacit espressive ridotte. Una volta si diceva che quando
il pidgin si nativizza, diventa cio la prima lingua di una comunit, diventa creolo: oggi si
mette in dubbio anche questo, e se ne discuter. Comunque i creoli sono abbastanza
numerosi: famoso il creolo haitiano a base francese: com noto, questo Stato
indipendente dal 1804, e la popolazione composta quasi interamente da discendenti di
schiavi, che formano la comunit creolofona forse pi importante; altri creoli francesi si
parlano in isole dellOceano Indiano come le Seychelles, Mauritius, Runion; esiste
anche un creolo francese (usato soprattutto da negri) della Louisiana e diversi creoli nelle
Antille francesi. Nelle Antille olandesi (Curaao, Aruba, Bonarie) si usa invece il
papiamentu, creolo a base ispano-portoghese. Un creolo a base portoghese si usa nelle
isole del Capo Verde, ed antichi creoli portoghesi sono segnalati in Malesia, a Macao, a
Goa (India); un creolo a base inglese lo Sranan del Surinam (Guyana ex-olandese), un
altro si usa in Giamaica, altri in altre isole delle Antille. noto anche un creolo a base
araba: si tratta del nubi, usato da una trib formatasi recentemente. Nella seconda met
del XIX secolo lEgitto aveva conquistato il Sudan, ma il Sudan meridionale era una terra
quasi inesplorata, ed in pratica era terreno di caccia per gli schiavisti che razziavano
uomini per venderli schiavi in Egitto e nei Paesi dellimpero ottomano. Per le loro razzie,
gli schiavisti si servivano di una truppa indigena: erano uomini delle trib del sud, ma
convertiti allIslm e che parlavano un pidgin arabo (probabilmente molto simile
allodierno arabo di Juba). Poi vi fu una ribellione nel Sudan settentrionale, i seguaci del
Mahdi nel 1887 conquistarono Khartum togliendola al governo egiziano, e cos la truppa
degli schiavisti rest tagliata fuori dalle comunicazioni con lEgitto. Allora essi, insieme
con le loro famiglie, chiesero asilo nelle colonie inglesi di Uganda e Kenya, e l i loro
discendenti continuano a vivere, usando come propria lingua un creolo arabo
26
.
Di tutti questi creoli, fornisco solo un esempio di quello haitiano, da Hall (1966), p. 155:
si tratta della favola li ak burik, Il leone e lasino. l-t li te-p burik, paske li te-w
burik te-pi-gro ng pase li. nu ju li di: burik, m , n-ale f yu ti-promnad. yo pati,
yo rive b yu dlo. li f yu sl b, li traverse dlo-a. burik ki pa-vle rt dev li e f
mm bagay ke li. li tbe n-dlo, kur kmse trene li, dlo kmse tre n-zorey li. li ki
w sa kuri ale wete li, o-lie-burik remsi-l, li di-l h-sa: m-, pga u jam f mw k-sa
k, u w m-ap-pee pwas epi u vin ktrarie-m. Traduzione: molto tempo [fa], il leone
aveva paura dellasino, perch lasino era uomo pi grande di lui. Un giorno il leone
disse: asino, mio caro, andiamo a fare una passeggiata. Essi partirono, essi arrivarono
dove cera una corrente. Il leone fece un salto, e travers lacqua. Lasino che non voleva
perder la faccia davanti al leone cerc di fare lo stesso. Cadde nellacqua, la corrente
cominci a trascinarlo, lacqua cominci a entrargli nelle orecchie. Il leone che lo vedeva,
corse per andare ad aiutarlo, e lasino anzich ringraziarlo gli disse cos: mio caro, non
farmi unaltra volta cos, hai visto che stavo pescando e poi sei venuto a impedirmelo.
Il fatto che si trovi una quantit di lingue, distanti fra loro geograficamente e come
storia, ma accomunate dal fatto di rappresentare la semplificazione di altre lingue, ha dato

25
Per il russenorsk, la fonte principale il vecchio articolo di Olaf BROCH, Russenorsk, Archiv fr
slavische Philologie 41 (1927), pp. 209-262.
26
Cfr. Berndt HEINE, The Nubi Language of Kibera An Arabic Creole, D. Reimer Verlag, Berlin 1982;
Xavier LUFFIN, Un crole arabe: le kinubi de Mombasa, d. Lincom Europa, Mnchen 2005.
78
luogo a una serie di ipotesi e teorie. La prima in ordine di tempo fu la teoria
monogenetica: tuttora interessante leggere lappassionato articolo di Keith WHINNOM,
The Origin of the European-based Creoles and Pidgins, in Orbis 14,2 (1965), pp. 509-
527. Egli partiva affermando, a proposito del creolo haitiano, che non vero che sia nato
de leffort rciproque des colons et des esclaves africains pour entrer en rapport les uns
avec les autres, perch in realt i Francesi non sono in grado di capire questa lingua: al
contrario, il creolo haitiano reciprocamente comprensibile (secondo lui) con gli altri
creoli francesi, quello della Louisiana, di Martinique, della Guyana francese, di Mauritius
e Runion: dunque secondo lui ci dovrebbe essere unorigine comune. Egli stesso
aggiunse di essere arrivato, tramite lo studio di alcuni creoli delle Filippine, ad un
risultato sorprendente: questi creoli hanno un lessico quasi totalmente spagnolo, ma le
parole grammaticali sono le stesse che si ritrovano nei pidgin e creoli portoghesi, ed
hanno origine portoghese (cio in passato avevano un lessico portoghese); daltra parte
lorigine delle comunit che parlano questi creoli delle Filippine ben nota: si tratta di
gruppi di Cristiani partiti da isole dellattuale Indonesia nel secolo XVII. Durante la loro
espansione coloniale nel XVI secolo, i Portoghesi in un primo tempo si erano serviti
dinterpreti, ma ben presto questo compito fu monopolizzato da Cristiani di origine
indiana (in India esistevano, gi prima dellarrivo dei Portoghesi, alcune piccole comunit
cristiane), che parlavano un pidgin portoghese (sopravvissuto come creolo a Goa, in
Malesia, a Macao, ecc.). Questi gruppi di Cristiani asiatici, che seguivano i Portoghesi,
quando lIndonesia fu conquistata dallOlanda si rifugiarono nelle Filippine, ed in seguito
a ci modificarono il loro creolo: il lessico divenne quasi totalmente spagnolo, da
portoghese che era, per le strutture rimasero le stesse. Daltra parte testimoniato che un
pidgin portoghese si usava, sempre allinizio del XVI secolo, sulle coste dellAfrica:
dunque (secondo la sua ipotesi) i negrieri avrebbero usato questa lingua per comunicare
con gli schiavi che trasportavano nel Nuovo Continente. Poi, nelle piantagioni, sarebbe
prevalso il lessico della lingua dei padroni: ma anche in questo caso, mantenendo le
strutture originarie del creolo. Secondo lui, la semplificazione operata dai creoli la
migliore che si sia mai escogitata: lesperanto e le altre lingue artificiali sono pi
complicate dei creoli. Dunque, sempre secondo lui, basta aver inventato il creolo una
volta sola, come per lalfabeto: una volta che si sa come funziona lalfabeto, se ne
possono creare tanti altri a piacimento, e lo stesso si pu fare col creolo, una volta che se
ne conosca il meccanismo: sostituendo le parole (rilessificazione) con quelle di unaltra
lingua, si creeranno dei creoli inglesi, francesi, spagnoli ecc., ma le strutture si
conservano, e spesso anche le parole grammaticali. Uno dei casi pi probanti per questa
tesi il Saramaccano: si tratta del creolo di una comunit di schiavi che fugg e si rifugi
nelle foreste della Guyana olandese: i loro discendenti parlano questo creolo, dal lessico
prevalentemente inglese come lo Sranan degli schiavi rimasti nelle piantagioni, ma con
una forte componente portoghese; si pensava quindi che si fosse separato in unepoca in
cui il processo di rilessificazione era in atto.
Questa tesi fu combattuta da molti studiosi: si obiett che non vero che i creoli
francesi siano reciprocamente intelligibili (alcuni fra loro lo sono, ma altri no), ed anche
che ben difficile pensare che una lingua possa mantenere cos bene le proprie
caratteristiche grammaticali quando cambia il lessico; e poi che non vero che i creoli
siano sempre cos semplici, anzi in molti casi succede come con le lingue esotiche e non
79
standardizzate: i testi in creolo riportati da qualche linguista spesso smentiscono le teorie
grammaticali che lo stesso linguista ha cercato faticosamente di mettere insieme. Ma
lobiezione pi forte venne con Derek Bickerton, autore dellipotesi del bioprogramma
27
.
Negli anni 70 del XX secolo egli si trov a studiare la situazione linguistica delle
Hawaii, in cui erano avvenute migrazioni allinizio del secolo, ed in cui si era sviluppato
un pidgin ed un creolo: ma le differenze tra i due erano sorprendentemente grandi. Il
pidgin hawaiano era una lingua singolarmente difettosa, quello che si diceva un pidgin
ineffabile, ovvero un pre-pidgin (in inglese lo si pu chiamare anche jargon), cio una
lingua con la quale non si riesce ad esprimere qualunque concetto, ma che consente solo
discorsi limitati: ed inoltre era molto variabile a seconda di chi lo parlava. I parlanti erano
degli immigrati, di origine giapponese, filippina, cinese, coreana, portoricana, portoghese
(ma pare che, pi che dal Portogallo, provenissero dalle isole del Capo Verde): e le
strutture delle lingue dorigine si riflettevano nel pidgin. Posso citare alcune frasi,
pronunciate da immigrati giapponesi: as kerosin, plnteishan, wan mans, fo glan giv la
piantagione ci dava quattro galloni di kerosene al mese; sam pat dei dono andastn,
swai dei go kweschin tu mi, no, sambadi-stei-tawking-taim alcune parti essi non
capiscono, cos chiedono a me, quando qualcuno sta parlando [giapponese] (detto da una
madre a proposito dei suoi figli). Queste sono frasi a struttura prevalente SOV (soggetto-
oggetto-verbo), mentre le frasi composte dagli immigrati filippini hanno soprattutto una
struttura VSO (ad esempio hi kam gro da pmili the family was beginning to grow up,
oppure hi hlp da medisin the medicine helps: come si vede, anche la fonetica
variabile); oltre a risentire pesantemente delle lingue dorigine degli immigrati, questo
pidgin aveva capacit espressive molto ridotte, nel senso che era difficile esprimere con
esso dei pensieri appena appena complessi, come si pu vedere dagli esempi sopra
riportati e da altri che seguiranno. Invece il creolo parlato dai figli degli immigrati era
uniforme (da come lo si parlava era impossibile decidere quale fosse lorigine del
locutore), e funzionava come una vera lingua, era cio in grado di esprimere qualsiasi
pensiero. Ma quel che stupisce di pi che, bench il lessico sia quasi totalmente inglese,
la sintassi non somiglia a quella inglese n a quelle delle lingue dorigine degli immigrati:
somiglia invece a quella dei creoli, parlati a migliaia di chilometri di distanza, e che gli
immigrati non conoscevano. Qualche esempio di frasi in pidgin e poi in creolo: now days,
ah, house, ah, inside, washi clothes machine get, no? Before time, ah, no more, see? And
then pipe no more, water pipe no more, che in creolo si traduce: those days bin get (there
were) no more washing machine, no more pipe water like get (there is) inside house
nowadays, ah? O anche: good, this one. Kaukau (food) any kind this one Pilipin island
no good. No more money, che in creolo diventa: Hawaii more better than Philippines,
over here get (there is) plenty kaukau (food), over there no can, bra (brother), you no
more money for buy kaukau, aswhy (thats why). Il creolo hawaiano ha una sintassi ben
diversa da quella inglese, come si vede anche dagli esempi che seguono: how you expect
for make pau you house? how do you expect to finish your house? o anche bin get one
wahine she get three daughter there was a woman who had three daughters. Da queste
osservazioni, Bickerton deriv la sua teoria: siccome il creolo fu inventato dai figli
degli immigrati, i quali usavano una lingua estremamente variabile, senza una sintassi

27
Esposta soprattutto nel suo volume Roots of Language, Ann Arbor 1981.
80
uniforme ed accettata, e partendo da questa, senza che nessuno li guidasse, arrivarono a
formare un creolo simile in tutto agli altri creoli sparsi per il mondo, evidentemente le
strutture del creolo sono innate per la mente umana: tutti i bambini cercano di parlare
creolo, ma di solito lambiente circostante li corregge: invece in un ambiente dove la
lingua duso praticamente senza regole, essi possono esplicare liberamente le loro
tendenze. Perci, secondo la sua teoria, il creolo la struttura linguistica innata nella
mente umana, in un certo senso la lingua originaria degli uomini (almeno per quanto
riguarda la sintassi). Egli indic pure quali sono le strutture che si ritrovano in tutti i
creoli: anzitutto il sistema verbale di Tempo-Modo-Aspetto (TMA). Va detto che non
esiste una morfologia verbale, il verbo si coniuga solo analiticamente, premettendo dei
pronomi; la forma pi semplice del verbo (quella non marcata) indica di solito il passato
se si tratta di un verbo dazione, ed il presente se si tratta dun verbo stativo; poi esiste un
prefisso temporale di Anteriorit, che premesso ad un verbo dazione indica il trapassato,
mentre con un verbo stativo indica il passato; il prefisso modale si usa per esprimere
lIrrealt, ovvero qualcosa che al momento non c, quindi il futuro o il congiuntivo; i
verbi dazione fanno uso anche dun prefisso aspettuale, che indica lazione continuata
(ed in italiano si traduce di solito col presente). Secondo lesempio che faceva lo stesso
Bickerton, si pu produrre il seguente schema, coi verbi per camminare (azione) e amare
(stato):

hawaiano haitiano sranan traduzione italiana

he walk li mach a waka egli cammin
he bin walk li t mach a ben waka egli aveva camminato
he go walk lav(a) mach a sa waka camminer, cammini
he stay walk lap mach a e waka cammina (camminava)

he love li rm a lobi egli ama
he bin love li t rm a ben lobi egli am
he go love lav(a) rm a sa lobi egli amer, ami

Una struttura dello stesso genere si trova anche in un creolo lontanissimo
geograficamente e culturalmente come il Nubi, dove si ha: na j io venni, lett. io
venire (per la verit potrebbe anche riferirsi al presente, ma come sottolinea B. Heine,
autore della prima grammatica di questa lingua
28
usually it refers to past, sometimes
even to completed, actions). Esiste poi una particella kan che forma il trapassato: o
kan j he had come, una particella bi per il futuro, tipo o bi ra saaba he will go
tomorrow, ed una particella aspettuale g, come in na m g j I am not coming.
Non c corrispondenza perfetta, perch questa lingua conosce anche una particella kals
per il perfetto, che indica cio lazione appena compiuta: o kals kulu lguma egli ha
(appena) mangiato polenta.
Unaltra caratteristica dei creoli la coincidenza tra il verbo che significa avere e quello
che indica lesistenza: come esempio Bickerton cita la frase c una donna che ha una

28
B. HEINE, The Nubi Language of Kibera-An Arabic Creole, Berlin 1982, p. 38.
81
figlia tradotta in creolo hawaiano, guyanese, haitiano, nonch in papiamentu (creolo delle
Antille Olandesi, Curaao Aruba e Bonaire, a base ispano-portoghese):

get wan wahini shi get wan data
dem get wan uman we get gyal-pikni
g yo fam ki g you pitit-fi
tin un muhe cu tin un yiu-muhe

Unaltra caratteristica la distinzione di tre gradi di determinazione: a) con larticolo
definito, come nellhawaiano I stay go da store for buy da shirt vado al negozio a
comprare la camicia (se questa nota anche allascoltatore); b) con larticolo di
specificit, tipo I stay go da store for buy one shirt vado al negozio a comprare una
camicia (gi nota al parlante, non allascoltatore); c) senza articolo, tipo I stay go da
store for buy shirt vado al negozio a comprare camicia (una o tante, senza precisare il
numero). Ancora unaltra caratteristica la distinzione fra lintenzione realizzata e non
realizzata: se in creolo hawaiano si dice John bin go Honolulu go see Mary J. and a
Honolulu per vedere M. sintende che poi labbia vista, non possibile aggiungere una
correzione del tipo ma non la trov: se invece non sappiamo se labbia vista, dobbiamo
dire John bin go Honolulu for see Mary
29
.
La teoria di Bickerton, ovvero del bioprogramma, fu molto discussa: molti
studiosi preferirono attenersi alla vecchia idea del sostrato, ovvero che i creoli fossero
lingue miste, col lessico di una lingua (di solito europea) di prestigio, e la sintassi di
lingue (di solito africane) di sostrato; anche se esprimendola in questo modo lidea
scarsamente accettabile (le lingue africane hanno di solito delle sintassi ben diverse da
quelle dei creoli), questi studi servirono a mostrare la grande importanza che pu avere il
sostrato: ad esempio, si visto che quando tutte le lingue di sostrato concordano su una
caratteristica marcata, molto facile che la si ritrovi nella lingua di contatto. Da tempo si
sapeva che il Chinook, pidgin stabile fondato su dialetti amerindiani del Pacifico
settentrionale, aveva un sistema consonantico fortemente marcato, con una serie di
labiovelarizzate dorsali e labiovelarizzate uvulari, ed una marca di glottalizzazione che si
applicava a quasi tutte le occlusive sorde: perci si avevano dei fonemi insoliti in lingue
di questo tipo, come /kw/ e /qw/ (evidentemente perch simili fonemi erano largamente
diffusi nelle lingue di quella zona). Negli anni Ottanta si sono discussi altri casi, come i
creoli a base portoghese del Golfo di Guinea, che hanno come sostrato lingue affini, dei
gruppi Kwa e Bantu occidentale (entrambi della famiglia Niger-Congo): in questi creoli si
trovano realizzazioni implosive di /b/ e /d/, ideofoni, palatalizzazioni e depalatalizzazioni
condizionate da leggi tipiche di dialetti Kikongo, costruzioni negative con una particella
preposta al verbo ed unaltra alla fine della frase, ecc.
30
. Sulla base di queste osservazioni
arriva la conclusione di Thomason e Kaufman: the bioprogram, if any or, at least,
universal structural tendencies based on markedness will be important only where the
structures of the substrate languages do not coincide substancially. Where the substrate

29
Piccola osservazione: purtroppo Bickerton non usa una grafia costante nel trascrivere il creolo
hawaiano, e noi dobbiamo adeguarci alle sue incoerenze grafiche.
30
Si veda S.G. THOMASON and T. KAUFMAN, Language Contact, Creolization, and Genetic Linguistics,
University of California 1988, pp. 157-8.
82
language structures do coincide typologically, the shifting speakers will tend to retain
them, unless pressure from a readily available target language pushes in another
direction.
31

Trovo invece poco condivisibile la seguente tesi, di alcuni creolisti soprattutto di
scuola francese: siccome alcuni creoli a base francese (in particolare quello di Runion)
differiscono notevolmente dalle caratteristiche dei creoli fin qui descritte, e non per
questo si avvicinano maggiormente al francese, essi evitano il problema di definire che
cosa sia un creolo, e ne danno una definizione puramente storica: significativo quanto
scrive Mufwene
32
: je maccorde en grande partie avec Chaudenson [che in realt era pi
prudente nelle sue formulazioni] en considrant les vernaculaires croles comme des
varits langagires qui se distinguent des autres varits de langues modernes
notamment par leur unit de temps (la priode coloniale europenne du XVII
e
au XIX
e

sicles) et leur unit de lieu (des colonies de peuplement insulaires ou ctires sous les
tropiques, ayant comme industrie principale des plantations de canne sucre, de caf et
de riz). Secondo lui, sil ny a pas de combinaisons de traits structuraux qui dfinissent
un crole et sil ny a par consquent pas non plus de processus de restructuration
spcifique(s) au dveloppement des croles, il ny a donc pas de critres linguistiques non
sociohistoriques pour identifier comme croles des varits langagires particulires.
Trovo metodologicamente aberrante che per definire una tipologia di lingue, peggio
ancora una branca della linguistica, si ricorra a criteri che non sono linguistici, ma storici
(o socio-storici, come dice lui): con gli stessi criteri, potremmo per esempio fare una
linguistica islamica comprendente tutte le lingue dei popoli islamizzati, come arabo,
persiano, urdu, turco, Bahasa Indonesia, somalo, berbero, curdo, begia, ecc.: probabile
che vi si trovino numerose somiglianze nel lessico, ma nessuna nella sintassi, cio tutto il
contrario della situazione che si riscontra nei creoli. Oppure, sempre con questi criteri
socio-storici, si potrebbe fare una linguistica anti-islamica, comprendendovi tutte le
lingue di popoli che si sono distinti per una lotta continua ed accanita contro lIslm: gli
Armeni, i Georgiani, i Copti dEtiopia, i popoli del Rajasthan, ecc.: ma probabile che
non vi si trovi alcun tratto comune. Perch invece si continua a parlare di lingue creole?
Evidentemente perch queste lingue si somigliano, dunque una tipologia creola esiste,
anche se siamo in difficolt quando si tratta di definirla; ma forse dovremmo abituarci a
ragionare in termini di tendenze, piuttosto che di leggi inderogabili.
Vorrei ora partecipare alla discussione con un contributo personale. Riprendo la
questione dallinizio, cio dalla prima lingua di cui ho trattato, la lingua franca: se
rileggiamo i testi vediamo che era una lingua divertente, anzi ci pu sembrare addirittura
un po comica; non sbagliamo, perch in effetti fu usata pi volte da commediografi
europei a scopo di comicit: notissimo lintermezzo in lingua franca nel Bourgeois
Gentilhomme di Molire, e sappiamo che la si ritrova in molte commedie di Goldoni
(Limpresario delle Smirne, La Birba, I pettegolezzi delle donne, Le donne de casa sa,
Lucrezia romana a Costantinopoli, La Fiera di Sinigaglia, la famiglia dellantiquario)
nonch in numerose altre commedie italiane, francesi e spagnole. Giustamente stato
osservato che i pidgin ed i creoli, ben lungi dal nascere obbligatoriamente in ogni

31
THOMASON and KAUFMAN, op. cit., p. 165.
32
Salikoko S. MUFWENE, Croles, volution sociale, volution linguistique, d. Harmattan, Paris 2005, pp.
54-5.
83
situazione di contatto linguistico, costituiscono uneccezione: occorre anzitutto superare
la sensazione di ridicolo che si produce parlando in quel modo ridotto. Nel caso della
lingua franca, sappiamo per quale motivo la si super: ci preziosa la testimonianza del
dott. Frank, medico francese che soggiorn a Tunisi allepoca di Napoleone, quando in
quella citt regnava il bey Hammda. A proposito di questo personaggio, egli scrive
testualmente: il parle, lit et crit facilement larabe et le turc; la langue franque, cest--
dire cet italien ou provenal corrompu quon parle dans le Levant, lui est galement
familire; il avait mme voulu essayer dapprendre lire et crire litalien pur-toscan;
mais les chefs de la religion lont dtourn de cette tude, quils prtendaient tre indigne
dun prince musulman.
33
Dunque la lingua franca non era nata solo per lo scambio, ma
aveva anche la funzione di evitare ai musulmani di parlare una lingua di cristiani; e
siccome nei porti di pirati barbareschi come Algeri, Tunisi, Tripoli risiedevano anche
degli Europei trattenuti l in schiavit, questa lingua divenne bilaterale ed ebbe un uso
quotidiano, insomma divenne stabile. Un altro pidgin nato da motivi simili, al fine cio di
evitare di parlare la lingua dello straniero, sembra essere il Pidgin English della Cina:
secondo Hall, the English regarded the language of the heathen Chinese as beyond any
possibility of learning, and began to pidginize their own language for the benefit of the
Chinese. The latter held the English, like all foreign devils, in extremely low esteem,
and would not stoop to learning the foreigners language in its full form. They were
willing, though, to learn what they perfectly well knew to be an imperfect variety of
English or of some other western tongue, and considered that this was abasing themselves
less than learning real English. In other words, the English wanted to hold the Chinese
at arms length, and the Chinese wanted to do likewise to the English; Pidgin served the
purpose admirably for both sides.
34
. In generale, parlare una lingua implica sempre
(anche in piccola misura) una qualche sorta didentificazione col popolo a cui appartiene,
e col sistema di valori e la cultura che tutto ci rappresenta: ma se c un rifiuto
sentimentale riguardo a tutto ci, imparare quella lingua diventer difficilissimo, quasi
impossibile. Ne abbiamo una chiara testimonianza nellEuropa del XX secolo: quando il
nostro continente era diviso in due, da una parte lOvest e dallaltra il mondo comunista,
ad Est in tutte le scuole si era costretti a imparare il russo: ma spesso questo studio era
inutile, moltissimi non arrivavano mai a padroneggiare quella lingua (specie nei Paesi
come la Romania, dove la lingua locale di ceppo diverso). azzardato supporre che in
situazioni di schiavismo si producesse la stessa difficolt ad apprendere correttamente la
lingua dei padroni? Anche qui, come nel caso della lingua franca e del Pidgin English, si
ha a che fare con questioni di identit: apprendere interamente una certa lingua non
possibile, perch ci sarebbe una menomazione della propria identit, che non si pu
confondere con quella di chi parla la lingua in questione. Ma nel caso dei creoli si ha un
problema identitario in pi: non si deve solo evitare di identificarsi coi padroni, bens
occorre considerare che esiste un nuovo popolo, che si identifica come tale, e che vuole
quindi dotarsi di qualcosa che lo distingua: una nuova lingua, creata imitando non gi i
padroni, ma qualche modello che normalmente si definirebbe substandard. Dal punto di
vista linguistico, la schiavit connessa con la creolizzazione solo perch determina la
formazione di uomini sradicati, che possono riconoscere un destino comune con altri

33
CIFOLETTI, op. cit., p. 233.
34
Robert A. HALL, jr, Pidgin and Creole Languages, London 1966, p. 8.
84
uomini che si trovano nella stessa situazione: ma daltra parte esiste spesso in loro
lesigenza di differenziarsi anche linguisticamente dal mondo circostante, e cos si spiega
ladozione di modelli linguistici del tutto diversi da quelli usati nella normale
trasmissione delle lingue. Il fatto poi che i creoli siano spesso ubicati nelle isole si spiega
pure con un fatto identitario: chi sta in unisola ha il proprio orizzonte chiaramente
delimitato, e mentre in una regione del continente, o a maggior ragione in una grande
citt, la presenza di mezzo milione duomini sradicati pu non bastare a far nascere una
nuova identit, in una piccola isola potrebbero essere sufficienti cinquecento anime.
Inoltre, mentre sul continente si trovano le regioni di confine, dove gli abitanti spesso
provano un doppio senso di appartenenza, nellisola tutto ci non esiste. La nascita di un
creolo dunque un fatto identitario, come la standardizzazione di una nuova lingua: in
entrambi i casi si osserva lazione di un nuovo popolo che vuole affermare in questo
modo la propria identit. La differenza sta nel fatto che con le normali standardizzazioni
non si fa altro che assumere come modello una variet linguistica gi esistente (magari
assumendola non in toto, mescolandola o modificandola), mentre con la creolizzazione si
inventa qualcosa che si differenzia subito da tutti gli altri standard linguistici riconosciuti
prima. Anche quando levoluzione linguistica va nel senso di una struttura analitica,
facile distinguerla dalla creolizzazione: sappiamo che il latino possedeva una perifrasi
con de + ablativo, che poteva (sporadicamente) affiancarsi al genitivo; inoltre, per
erosione fonetica (ovvero per la caduta di m finale) lablativo a partire circa dal I secolo
d.C. era praticamente uguale allaccusativo. Nei testi di epoca tarda questa costruzione
diviene sempre pi frequente, finch poi nelle lingue romanze sostituisce del tutto il
genitivo: ma un processo lunghissimo, della durata di molti secoli, come pure quello
(parallelo) per cui la costruzione ad + accusativo sostitu il dativo: solo al termine ci si
accorse che la lingua parlata stava diventando troppo diversa da quella scritta, e si pens a
nuove lingue nazionali. Invece la creolizzazione si realizza in un tempo breve,
probabilmente nello spazio duna generazione: e se questa evoluzione cos rapida
perch si ha la volont di creare una nuova lingua, mentre il normale evolversi delle
lingue avviene in modo pressoch inconscio e preterintenzionale.

Letture indicate
(da preparare per lesame)
Dall'edizione francese di Ferdinand de Saussure, Cours de linguistique gnrale, d.
Payot, Paris, leggere le pp. 13-35; 97-103; 114-119; 163-166; lottima traduzione italiana
di Tullio De Mauro riporta a lato di pagina i numeri corrispondenti all'impaginazione
dell'originale francese, ed occorre seguire quelli, anzich limpaginazione normale.
Notizie biografiche su Saussure si possono ricavare dalle pp. 319-358 (ma non
necessario studiarle approfonditamente).
Nikolaj S. Trubeckoj, Fondamenti di fonologia, ed. Einaudi, Torino, pp. 5-21;
definizione di fonema pp. 44-47; pp. 56-78; 88-100.
Joseph H. Greenberg, Universali del linguaggio con particolare riferimento alle
gerarchie dei tratti, ed. La Nuova Italia, pp. 7-60.
Joseph H. Greenberg, Alcuni universali della grammatica con particolare riferimento
all'ordine degli elementi significativi, nel volume curato da P. Ramat La tipologia
linguistica, pp. 115-154; si studino soprattutto le pagg. iniziali (115-118) e poi gli
85
universali 1-7, 13-19, 22, 24, 26-37.
Bernard Comrie, Universali del linguaggio e tipologia linguistica, Il Mulino, pp. 77-89.

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