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IL LAVORO

CHE NON TIENE


contributi per un confronto libero e unalternativa di sistema

Giacomo DAlessandro Filippo Itolli Vess Savage Pietro Mensi

1. IL LAVORO CHE NON TIENE di Giacomo DAlessandro 2. PER UNA ECONOMIA ETICA di Filippo Itolli 3. LINSOSTENIBILE ESSENZA DEL LAVORO di Vess Savage 4. IO NON ESISTO di Pietro Mensi
Questa piccola raccolta nasce dallincontro pi o meno casuale di persone che nel loro percorso di amicizia si sono trovate a condividere alcuni sentimenti, desideri e analisi personali sul tema del lavoro. Non si tratta di un elaborato organico n di una composizione preterintenzionale, ma solamente di un modo speriamo interessante ed efficace di proporre ad amici vecchi e nuovi alcuni spunti di riflessione. Senza offrire verit e ricette. Per una ricerca libera di alternative di sistema in un tempo difficile e scoraggiante. Perch nessun cambiamento pu avvenire nella storia se non preparato dai piccoli contributi di molti, la cui passione sia umile e grande.

IL LAVORO CHE NON TIENE


Riflessioni in umilt per condividere e preparare insieme un vivere migliore

di Giacomo DAlessandro
Parlare di lavoro per me estremamente complicato. Prima di tutto per il timore di poter ferire qualcuno, o di mancare della giusta delicatezza nel tono, o di apparire uno che giudica (e non certo per esperienza di lavoro). In secondo luogo perch da molti anni il tema del lavoro una delle cause maggiori della mia avversit/intolleranza verso il sistema socio-produttivo in cui viviamo e in cui mi sono trovato a crescere. Vorrei qui soltanto condividere alcune considerazioni su un tema in questo momento storico sulla bocca di tutti, considerazioni meditate in questi anni attraverso un'ottica un po' differente dal consueto. Che significato mi suscita la parola lavoro? Come le persone vivono il lavorare, e quale sarebbe il loro ideale? In base a quali criteri e fattori si rapportano al lavoro nella vita, nelle scelte, nei valori, nel seguire la propria strada? Guardandomi attorno, ascoltando le voci, le opinioni, le esperienze di grandi e piccini, mi sono accorto che lavoro per molta gente qualcosa di pesante e indesiderato, ma che si deve fare. Qualcosa che non piace e che ruba tempo, energie e buonumore, riducendoti a considerare belli e stimolanti solo i giorni di festa, di ferie o in cui si riesce ad evitare il lavoro. Per altre persone lavoro quel mezzo (poco rilevante ci di cui costituito) per accumulare denaro: per vivere, certo, ma

soprattutto per stare bene, avere potere dacquisto, di consumo, e cos di fare la propria felicit. In altre immagini comuni, lavoro ancora quella destinazione indistinta, rassegnata e perpetua verso cui i giovani, gli studenti, vanno loro malgrado (il tipico ammonimento degli adulti: godetevela finch potete, poi dovrete lavorare). Nel termine lavoro viene messo sullo stesso piano, indistintamente, limpiego intollerabile puramente funzionale alla propria sopravvivenza (o al proprio arricchimento) e la passione di una vita che si farebbe anche gratis. Il grigio ruolo imprigionante e appiattente, e la dimensione creativa, stimolante e feconda. Qualsiasi cosa occupi del tempo, delle energie e dia luogo a un compenso, quello lavoro. Dietro a questo termine si evita di raccontare la propria giornata, le proprie difficolt e le proprie soddisfazioni. Dietro a questo termine si giustifica il non potere fare qualcosa, non poter essere da qualche parte, non poter soddisfare altre priorit, non potersi porre di fronte ai propri bisogni interiori e profondi con libert. Lavoro viene sbandierato come quellessere non liberi di realizzare la propria vita, tanto da agognare a una lunga e feconda pensione in cui recuperare finalmente il tempo perduto. Dalle condivisioni e testimonianze raccolte da persone di ogni et e in ambienti diversi, traggo alcuni aspetti problematici e basilari che mi rendono oggi inaccettabile il sistema lavoro per come pensato e vissuto da troppe persone. Il primo aspetto riguarda la mancanza del senso di comunit: se io vivo e sento forte in me lappartenenza, laffetto e la condivisione di una comunit (un esempio facile la propria famiglia), vivo come servizio edificante per me e per gli altri

provvedere a una o pi necessit per vivere bene insieme. La societ dellurbanizzazione selvaggia, delle metropoli (cui lego tutta la mia riflessione sul delirio della citt), ci priva del senso di comunit rendendo la maggior parte dei lavori lontani da un senso di servizio edificante, schiacciati o sul profitto personale/della propria azienda (che se vissuta come comunit ha risvolti comunque positivi) o sulla mera sopravvivenza tramite denaro ottenuto. Il secondo aspetto riguarda la mancanza di un discernimento della persona su quella che la conoscenza di s e della realizzazione profonda dei propri talenti e della propria armonia interiore e comunitaria. Tante persone vivono operando delle non scelte, instradate per condizionamento culturale, per superficialit, per rassegnazione o per opprimenti condizioni di vita, verso una dimensione lavorativa subita passivamente, il che causa la fuoriuscita (col tempo) di rimpianti, frustrazioni, inquietudini e difficolt a trovare la propria dimensione armonica con le persone e con il contributo che si d al mondo. Lansia di sistemarsi, di proteggersi, di essere come gli altri o di non deludere le aspettative di parenti, famigliari e amici, spesso pi forte e inconsciamente annulla la domanda che guiderebbe meglio la ricerca della propria strada: dove sono chiamato a stare? Dove sento di poter giocare la mia realizzazione profonda? Il terzo aspetto riguarda la grande illusione dellera industriale, con il corto circuito per cui il possesso felicit, e io possiedo quanto pi sono ricco di denaro, dunque sacrificando la mia vita dietro al lavorare. Nel nome di questa illusione alimentata da noi stessi e da molte componenti del nostro sistema (mediatiche, sociali, culturali, economiche) abbiamo dato per scontato (e

per accettabile) che il progresso economico avesse come prezzo il danno ambientale, la marginalizzazione della cultura, delle relazioni comunitarie, dello sviluppo dei diritti umani. Ce ne siamo stati politicamente e civicamente della presa di potere del sistema economico-finanziario su quello politico, senza premere quantomeno politicamente sui movimenti di ricerca e sviluppo di alternative a questo sistema. Parlare di tutto ci per me complicato e delicato, questi pensieri fonte di conflitti continui. Non giusto n utile sputare nel piatto dove si mangia, n si cambiano le cose da un giorno allaltro. Non pensabile rivendicare soluzioni pronte e sicure, n dipingere nettamente di bianco e di nero elargendo giudizi e colpe. Ma sento sempre pi urgente e importante portare alla luce, in un confronto continuo con chiunque voglia, questi aspetti cos determinanti specie in tempo di crisi strutturale del sistema nel decidere quali basi porre, su quali priorit investire, per il mio futuro e di queste generazioni. Credo che alcuni spunti per uno stile di vita su cui rifondare lidea di lavoro (come propria realizzazione profonda nel servizio e nella relazione feconda con una comunit) siano la semplicit di vita, la ricerca dellessenziale per tutti, il senso pratico di solidariet e sostegno, la ripresa dello scambio di competenze e del sostentamento diretto in sostituzione di una parte di denaro necessario alla sussistenza, il mantenimento affiancato di una dimensione di attivit manuale ad una di attivit cerebrale/intellettuale, secondo linclinazione di ciascuno. E, ultimo ma fondamentale nella situazione odierna, la ripresa di un rapporto armonioso con la terra e il mondo naturale, da cui la

priorit a investire sulla dimensione del sostenibile, per un ambiente di vita e di attivit fertile e benestante. Con rispetto e amicizia verso tutti i lavoratori, di qualunque tipo e animo essi siano, nella convinta direzione di tracciare insieme strade pi umane, buon lavoro a tutti!

Pubblicato il 1/5/2013 su www.fiatocorto.blogspot.it

PER UNA ECONOMIA ETICA


di Filippo Itolli
Prefazione Credo che al di sotto delle forme sociali che conosciamo (lavoro, societ, politica, economia ecc.) vi sia una certa concezione dellaltro, una certa concezione della relazione con laltro, dove con ci intendo la relazione di base con laltro, e che su di essa queste si siano andate costruendosi col tempo. Dico questo perch la relazione che vedo strutturare il rapporto sociale con laltro ai miei occhi profondamente sbagliata e manchevole, oltre che inadatta a rendere giustizia alla meraviglia del rapporto con laltro da s. In questo senso guarda il mio progetto d i una fondazione, che significa riflessione collettiva per gettare le basi insieme, di unetica della relazione diversa da quella che conosciamo. Tutto nacque in seguito alla visione occasionale in seconda serata del film-documentario Too big to fail. Finito il film mi sono lasciato ad una riflessione che ho sentito lesigenza di mettere nero su bianco immediatamente, cos, nel giro di due serate il testo era finito. Quello che leggete non quindi per nulla un lavoro di sintesi dei diversi apporti scientifici in materia ma la riflessione istintiva di un ragazzo alle prese con una notte insonne. Per questo non sono presenti note o riferimenti quasi di alcun tipo. Inoltre, pi di un anno passato da quella serata del febbraio 2012, nel frattempo io stesso ho cambiato idea su alcune cose anche importanti. Ma al di l delle chiare debolezze che presenta il testo, del disaccordo personale in alcune parti, delleccessiva

semplificazione che ogni tanto prende il posto allanalisi pi seria, dopo tutto ci, tuttavia, la ragione per cui il testo venuto alla pubblicazione che ritengo sia ancora valida lispirazione da cui nato e la direzione cui ha guardato.

1. Per una fondazione Quella che luomo comune sta attraversando mentre scrivo forse la peggiore crisi economico-finanziaria di cui si abbia memoria. E se le cose non cambieranno ce ne saranno ancora, sempre pi devastanti. Quello che deve cambiare, per, non sono tanto le regole del mercato o della finanza (che lascio a chiunque abbia voglia di impegnare tempo ed energie nella loro riproposizione) ma qualcosa a un livello pi profondo, che non posso fare a meno di trattare filosoficamente. Chi fa filosofia come naturalmente propenso verso unanalisi sistematica di tutto ci che lo circonda, vuole capire il perch di tutto, di una determinata situazione o fenomeno sociale, di una condizione esistenziale, di una certa linea politica, artistica, religiosa e cos via. Il perch ci che muove lattenzione e orienta lesistenza. Mosso da una simile propensione, non ho potuto fare a meno di chiedermi che cosa stesse succedendo nel mondo. Il pilastro portante della mia generazione, parenti stretti e molti amici di famiglia sono venuti gi come birilli perdendo il lavoro in un solo colpo. Quellinsieme di figure che nella mia infanzia e adolescenza vedevo come blocchi granitici su cui poter fare affidamento sono crollati. Che sta succedendo? Spinto da questo interrogativo ho iniziato la mia riflessione ed emerso in maniera

chiara ai miei occhi dove si annidasse il germe di questo cancro sociale. Le soluzioni dei problemi economici sono sempre state, a quanto pare, dei rattoppamenti alla buona; qualche pezza durava di pi, qualcuna di meno. Non ho n la competenza n larroganza per insegnare a chicchessia a fare il suo mestiere ma, a certi livelli, ho sempre notato poco interesse nel capire dove e cosa veramente non funzionasse. Riforme, proposte, disegni di legge, palliativi di una malattia data per inguaribile. La risposta su dove stesse il problema, quello vero, mi balzata cos agli occhi non appena ho scavato un po pi a fondo. Sorprendentemente i palazzi di Wall Street non centrano granch (vedremo pi avanti in che senso), le speculazioni del mercato azionario e di quello monetario neppure. Il problema siamo solo noi. Il problema dentro di noi. Non siamo pi ai tempi della facile scelta di economia politica, non basta pi fare cos piuttosto che cos e sperare che le cose vadano a posto. Quello che ci dobbiamo sforzare di capire dove si annidi il problema radicale. Scaricare la colpa sul cielo o sul governo ladro (a meno che non siano effettivamente responsabili) non sarebbe serio. Vogliamo veramente cambiare le cose, risolvere i problemi? Dobbiamo cambiare noi. Quello che mi sono prefissato di colpire e ricostruire non una teoria economica particolare ma la nostra cultura. Quella la radice del problema, e se avremo la forza di rideterminare la nostra mentalit su nuove basi riusciremo a mettere in piedi qualcosa di cui andare fieri come poche volte nel corso dellumanit ci capitato di fare. Colpiamo la nostra cultura, la nostra mentalit! Ecco il punto, per questo nessun economista potr arrivare a propugnarlo: non fa parte della sua formazione. La risposta non pu arrivare da l

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ma da un campo di indagine al quale ho deciso di votare la mia vita: la filosofia. La soluzione autentica di questo cancro, se si vuole che sia duratura, non pu che essere filosofica. Intendo dunque in queste poche pagine colpire la nostra mentalit e stimolare una riflessione volta a costruire una nuova cultura. Una cultura delluomo su cui fondare una nuova economia, una economia etica. Un progetto ambizioso? Forse troppo? Questo non ci esime dal tentare.

2. Che cosa abbandonare? Da parecchio tempo a questa parte (sto parlando di secoli e secoli di storia) la filosofia ci ha abituati ad una esposizione delle sue teorie e delle sue conquiste piuttosto prolisse e incomprensibili. In questo modo si ritiene la questione risolta e la soluzione esposta in maniera esauriente. Personalmente credo che opter per una forma di comunicazione decisamente pi diretta e sintetica. Non ho mai pensato infatti che nella vita servano molte parole ma solo quelle giuste. Che cosa abbandonare? Quello che va abbandonato la nostra logica. Ora si tratta di vedere il perch. Esistono al mondo tante forme di logica. Non difficile trovare per ogni continente delle forme mentali anche molto diverse tra loro. Se prendiamo come logica la forma del ragionamento non possiamo non vedere come sia proprio su questa forma che viene costruita limpalcatura della cultura didentit, ovvero della

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cultura propria di quel gruppo sociale e non di un altro. A partire da ci si pu constatare come alla base di una cultura vi sia una forma mentis, una logica, ben precisa. Nel panorama dellofferta mondiale la societ occidentale ne ha scelta una. E ha compiuto la scelta pi facile che potesse operare, quella che costava meno fatica e meno responsabilit, in altre parole quella che pi si allontanava dallautentica essenza dellessere umano, dellessere uomo. Avendo operato una scelta di comodo chiaro come quella scelta originaria fosse figlia n pi n meno che della pigrizia. Tra tutti i tipi di logica che poteva scegliere, luomo occidentale ha scelto, per cos dire, quella del vantaggio. Sulla logica del vantaggio ha successivamente modellato e plasmato la sua cultura in modo da trarne una vera e propria teoria della giustificazione per quanto stava commettendo. Il fondare la propria cultura, e quindi la propria identit, e quindi la propria struttura sociale, sulla logica del vantaggio gli permetteva di dirsi che quello che stava facendo giorno dopo giorno andava bene perch faceva parte della sua natura. E ci sono pochi concetti pericolosi come quello di natura umana! Non infatti difficile vedere come, a un certo punto del suo percorso, questidea (la logica del vantaggio alla base della propria cultura e quindi della propria identit) abbia talmente assuefatto luomo da fargli credere che ci di cui stava parlando fosse qualcosa di pi grande di lui, la sua natura. Su una scelta si pu discutere ma di fronte alla natura si di fronte a qualcosa che non si pu convincere o evitare. La natura ha pi ragione di Dio. Dopo aver creato quindi il suo alibi perfetto, luomo ha deciso di deporre le armi contro se stesso tirando in ballo cause che con lui avevano ben poco a che fare, come il fato e il destino. Con lingresso sulla scena di questi elementi, a questo punto se il fato

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a decidere, luomo non solo non pu che fare quello che fa ma deve farlo. E il processo di ipostatizzazione completato. Dopo aver operato la sua scelta di comodo ha fatto diventare il risultato della sua scelta qualcosa di pi grande di lui, qualcosa di incontrollabile, una verit assoluta da cui tutto ci che conseguiva si presentava come una conseguenza logica, quasi matematica e quindi ineluttabile. Questo lerrore radicale. Anzich porre alla base di s qualcosa che restituisse luomo a se stesso, ha scelto una logica che pi di ogni altra lo allontanasse da s. Una logica che lo mettesse sulla strada opposta rispetto alla sua autenticit, una logica deresponsabilizzante. Lunica cosa che distingue luomo dallanimale la responsabilit, se alluomo si toglie la possibilit di essere responsabile delle sue azioni, gli si toglie la possibilit di essere uomo. Ed stato proprio questo che luomo occidentale ha fatto, riducendo se stesso a vivere come un animale. Colpendo la logica del vantaggio, risulta evidente, si colpisce tutto.

3. Che cosa accogliere? Innanzitutto opportuno chiarire quale debba essere il luogo di questo accoglimento. Ci che determina la nostra posizione umana nel mondo dove scegliamo di porne i principi pi degni e alti. Gravidi di conseguenze, per dirla con Gadamer (sul piano umano, aggiungo io). Il luogo dellaccoglimento il punto di partenza per qualcosa che sia autenticamente filosofico. La filosofia non accade nella mente, nei concetti, nelle dottrine, nelle

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teorie, nei metodi, nelle aule universitarie o nelle disquisizioni intellettuali ma nel cuore degli uomini. Quello il luogo di ogni autentico pensare filosofico, di ci che lo distingue da ogni altro discorso. La dimensione del senso ultimo si dischiude nel cuore di ogni uomo. bene dunque, prima di compiere ogni altro passo, capire che non si sta parlando di una rapida ricetta da tirare fuori quando serve e da rimettere nel cassetto a problema finito ma di qualcosa che si pronti e decisi ad accogliere nel proprio cuore. Cosa vuol dire questo? Che una scelta dalla quale deriva la nostra posizione nel mondo come ci che vogliamo essere e non pi come cosa vogliamo fare. Il luogo del cuore, come quello dellanima, ci da cui dobbiamo partire per fondare una nuova umanit, un nuovo paradigma, un nuovo modo di stare e vivere nel mondo. Deve essere il luogo dove accogliere questa proposta in quanto unico luogo capace di portare a compimento la restituzione di noi a noi stessi. Solo da tale luogo nascer la forza capace di spezzare le catene che ci siamo gettati al collo, poich esso sar il luogo grazie al quale potremo essere qualcosa di diverso rispetto a prima. Perch il luogo del cuore? Perch unico luogo in grado di trasformare una proposta teorica in una pratica umana dalla potenza soverchiante. Detto ci, possiamo riflettere su cosa si debba accogliere a discapito della logica del vantaggio. Se, come credo che sia, a determinare gran parte della storia delluomo cos come la conosciamo stata una precisa percezione delluomo, ovvero come veniva percepito un altro individuo rispetto a se stessi, diventa decisivo lavorare su questa percezione. Se fino ad oggi laltro stato visto come principio di

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scambio e non come principio di ritorno questo paradigma non pu pi essere sostenuto. Non possiamo pi permetterci il lusso di continuare a vedere laltro come un alter ego individuale e indipendente cui accostarsi mossi da un calcolo razionale di perdite e ricavi. Il modello del bilancio positivo non pu essere il modello della relazione umana, o meglio non pu pi esserlo; sto parlando della somma relazione con lestraneo, quella che non accade dentro la relazione amorosa, amicale o parentale, ma del rapporto con lo sconosciuto, col cliente. Quello che le grandi facolt universitarie ci insegnano una precisa percezione dellaltro, una percezione che dobbiamo respingere in toto poich non volta a farsi carico dellaltro ma a staccarsi completamente da esso. Un enorme problema la nostra sottomissione a unetica del lavoro profondamente sbagliata, frutto di secoli e secoli di storia. Ma noi siamo i padroni della storia e non il contrario, dobbiamo essere noi a scrivere la storia e non la storia a scrivere noi. Se le cose sono sempre andate in un certo modo non perch cos dovevano andare ma perch cos si voluto che andassero. La storia una responsabilit, non una giustificazione. Fatalismo sinonimo di autoassoluzione e anche questo un tratto caratteristico delluomo che abbiamo creato. Lessenza della lotta etica sta nellalzare lo sguardo verso la tradizione e dire adesso basta!. La storia che conosciamo frutto delle scelte che abbiamo compiuto, e questo vale tanto per la macro quanto per la micro storia. Per i pi essa una scusa per non provare a cambiare le cose mentre il mio sogno di essere umano di vedere un giorno una nuova storia, del tutto diversa, scaturita da una nuova filosofia.

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Se la tradizione, i modelli sociali, le scuole, la cultura ci insegnano che certe cose fanno parte della natura umana, che sono sempre accadute e che accadranno sempre, questo non ci d la bench minima autorizzazione a comportarci allo stesso modo, e non rende chi certe cose ha commesso e perpetrato meno colpevole di quanto sia. Qui si tratta di scegliere come vivere, da uomini o da caproni, si tratta di restituire alluomo la sua dignit, la sua umanit. Per attuare ci tuttavia dobbiamo cambiare come umanit, accogliendo nel cuore una logica della relazione diversa, una logica dellaltro uomo, una logica della cura dellaltro. Questa la logica pi piena di umanit, quella pi propriamente umana. questo quel nuovo modo di pensare che dobbiamo accogliere dentro noi stessi. Non servono fiumi di parole per spiegare la radicalit e la potenzialit di questa alternativa; qualcosa che adottiamo al preciso scopo di cambiare il nostro essere, per vedere cambiare, nel mondo, il nostro agire. Scegliere la logica della cura dellaltro uomo significa percepire laltro individuo, lestraneo, come portatore di un valore a cui donare qualcosa. Questo vuol dire che il movente supremo della relazione umana non deve pi essere lo scambio ma il dono. Quella che dobbiamo accogliere dunque una logica del dono. Potrebbe venire spontaneo far notare che anche tra due persone che si donano vicendevolmente qualcosa si attua una forma di scambio, con la conseguente permanenza all'interno di quel modello relazionale con cui gi abbiamo a che fare. In linea teorica questo sicuramente vero ma quella di cui parlo non una donazione qualunque, non lo scambio di una datit predeterminata che l'oggetto dell'economico, ma la donazione del

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s al s. Cosa vuol dire questo? Che nella relazione con l'altro ci che dobbiamo mettere in gioco siamo noi stessi, senza mezzi termini. l'impegno umano pi difficile cui siamo chiamati: la donazione di s all'altro uomo, al s dell'altro uomo. Renderci schiavi? Sottometterci al primo che passa? Assolutamente no. Restituzione reciproca piuttosto: Io ti dono me stesso come tu mi doni te stesso giacch nella tua donazione ricevo il senso della mia umanit, che posso restituirti attraverso la donazione di me. Restituzione reciproca della propria umanit a se stessi. Questa a mio parere la relazione autenticamente umana. Per metterla in pratica dobbiamo per essere pronti ad abbandonare le vecchie logiche di sopraffazione e oggettualizzazione cui siamo storicamente educati. Si tratta di una prospettiva dove il s, concepito come umano, possa dirsi soggetto per allontanarsi veramente dal pericolo dell'oggettivazione prevaricante. Solo all'interno di questo paradigma l'io pu dirsi qualcuno e non pi qualcosa. Quella che propongo non una visione dogmatica dell'impostazione relazionale (confido anzi in numerose reazioni per sostenere o dissentire costruttivamente a queste considerazioni) ma al contrario una logica dell'assunzione su di s dell'altro uomo. Ci perch la responsabilit reciproca che verrebbe cos a crearsi sarebbe qualcosa di ineludibile dal momento che all'interno di questa logica (e non di quella da cui veniamo) io divento responsabile dell'altro in quanto me ne faccio carico. Ci che vale per me, data la reciprocit della relazione, vale anche per l'altro da me. Quella che io posso donare la mia umanit, dunque ci che ho di pi grande, il mio diritto sul mondo di essere uomo, che vengo cos a donare/restituire all'altro uomo. A esso devo donare

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quello che ho di pi prezioso perch da questo passaggio dipende la sua umanit. La responsabilit di cui sono investito molto alta. Talmente alta da mettere in gioco la mia esistenza. Dopo quell'atto, che eseguo non una volta nella vita ma tutti i giorni, sono la persona che sono e da ci che sono deriva ci che faccio; questo a partire dalla convinzione che non basti avere due gambe e due braccia per essere un essere umano. L'umanit una scelta quotidiana . Solo in questo modo non posso voltare le spalle all'altro. La responsabilit esistenziale che grava su di me tale per cui non posso negare la sua umanit a un altro uomo, colui che me l'ha donata. A meno di non voler tornare a vivere in una dimensione pre-umana (spettacolo che vediamo tutti i giorni). Questa la logica della relazione che auspico e che spero susciti curiosit e interesse, capace di legarci l'uno all'altro in un rapporto che possa definirsi realmente umano. La responsabilit che rende un uomo umano la sua responsabilit verso l'altro uomo, ci che lo rende umano il suo dovere verso il prossimo e una volta adempiuto a tale dovere egli dona all'altro un esempio di ci che umano mettendolo nella condizione di avere la sua umanit a disposizione di una semplice scelta. Decidi ci che vuoi essere e ci che farai sar solo una conseguenza. Ci occorre un ritorno ad una umanit che abbiamo dimenticato o che forse non mai esistita. Nelle nostre mani posta la possibilit di una nuova umanit, che abbia la sua origine in una nuova filosofia, come sua scelta e precondizione. Il comportamento che adotto nei confronti dell'altro non pu pi quindi essere dettato da una garanzia di estraneit che mi consente di commettere abusi contro di esso, per un mio vantaggio personale (che poi illusorio dal momento che al di fuori della relazione l'io non esiste ed esiste relazione solo nella

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responsabilit). Se non conosco l'altro non ho responsabilit verso di lui. Per questo la logica relazionale di cui parlo pu anche definirsi come una logica del farsi carico. Nell'incontro con l'altro e nel rapporto con esso mi faccio carico dell'altro sulle mie spalle, mi assumo la responsabilit della sua umanit, ci che gli vado a consegnare. Questo il rapporto umano, non lavorativo, non clientelare, non oggettivante, non estraniante come lo conosciamo. L'uomo deve tornare ad essere soggetto delle proprie azioni e vedere l'altro come qualcosa che lo riguarda. L'estraneit una categoria di comodo preliminare all'impostazione della societ come la vediamo; se la categoria di estraneit viene a cadere con essa cadrebbe tutto il resto e l'uomo saprebbe conoscersi e ri-conoscersi per quello che . Non pi nascosto arriverebbe a vedere il suo volto, la responsabilit dell'altro passerebbe attraverso il suo volto rendendolo quindi riconoscibile nella sua identit restituita. Quello che nascerebbe sarebbe un rapporto tra persone vere, tra esseri umani. Se mi faccio carico dell'altro, non posso permettermi di lasciarlo a se stesso perch senza di me non avrebbe mai il suo s, sarebbe dunque irriconoscibile a se stesso. Non sarebbe qualcuno e neppure qualcosa ma addirittura nessuno. Se mi faccio carico dell'altro uomo divento responsabile verso di lui e ho dei doveri che non posso disattendere. Non posso non-conoscerlo. La logica della relazione di cui parlo viene a configurarsi, dunque, come una logica della responsabilit, una logica responsabilizzante. L'essere umano una scelta, abbiamo detto, dove ci che viene scelto non un accessorio della nostra vita ma la vita stessa. A partire dalla comprensione della gravit della scelta cui siamo chiamati quella per cui dobbiamo optare una restituzione

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dell'umanit a se stessa. Se l'essenza dell'umanit (ossia di ci che rende l'uomo uomo) sta nelle sue azioni, bisogna fondare filosoficamente la natura delle sue azioni, far derivare il suo agire da un essere ben preciso. L'umanit un onore e una responsabilit di cui dobbiamo rendere ragione, per questo dobbiamo toglierci dalle maglie di questa logica del vantaggio che si traduce in una pratica dell'oggettivazione reciproca, per cogliere nella responsabilit il quid di ci che umano. E allora scegliamo di non essere per gli altri estranei o cose da sfruttare ma soggetti con doveri e responsabilit. Diamo un nuovo volto all'umanit che conosciamo.

4. Dalla logica del vantaggio alleconomia etica Ho parlato di etica del lavoro profondamente sbagliata. Quale eredit ci troviamo da quelletica del lavoro che fino ad ogg i ha determinato la nostra cultura lavorativa? Cultura lavorativa significa anche come noi (giovani e non solo) percepiamo il mondo del lavoro. Il danno pi grave che secoli di societ industrializzata ci hanno arrecato a mio parere laver convinto che quello fosse lunico universo della vita umana, che lintero ambito dellesistenza umana si dovesse ridurre a quello, al lavoro. Ovviamente non sto dicendo che prima della rivoluzione industriale le persone fossero contente e felici del lavoro che facevano (penso soprattutto alle sfibranti attivit nei campi) ma che vi fosse alla radice una diversa percezione del lavoro. Dallaffermazione del modello capitalista in poi venuta radicandosi nelluomo, e quindi nella societ, la convinzione, fino ad assumere laspetto di cultura, che la cosa pi importante

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nella vita di ognuno fosse il suo lavoro perch da esso sarebbe dipesa la sua felicit. Inutile nascondere quanto fosse breve il passo per sostituire alla parola lavoro la parola salario, da essa strettamente dipendente. Letica del lavoro che venuta cos formandosi stata unetica del sacrificio e della ricompensa, tale per cui qualunque sforzo, qualunque sacrificio, qualunque prevaricazione, qualunque abuso, qualunque sfruttamento sarebbe stato giustificato a partire dal sacrosanto diritto di ognuno di perseguire la propria felicit, recando in questo modo un grande oltraggio allintelletto, alla dignit e soprattutto alla libert umana identificata col diritto/dovere di raggiungere la propria felicit. Dal punto di vista metodologico (ossia del come raggiungere questa condizione) stato insegnato che la soddisfazione di tale obiettivo non sarebbe potuta avvenire se non grazie al salario, imponendo cos tra i due un rapporto di proporzionalit diretta (pi salario = pi felicit). Queste degenerazioni ideologiche si sono col tempo inculcate cos in profondit nellanimo umano da essere diventate un aspetto essenziale della cultura occidentale. Questa dunque una cultura del lavoro che, personalmente, non posso condividere. Un peso della storia e della tradizione del quale ci dobbiamo liberare. A ben vedere, molta parte della nostra percezione del mondo e della vita deriva dalla nostra condizione di lavoro. lambito nel quale si esaurisce la maggioranza della nostra esistenza (anche questo drammaticamente sbagliato perch luomo nato per vivere e non per lavorare) ed quindi logico che da l derivi e sia determinata la nostra pi generale percezione della vita e del prossimo. Quella logica della relazione umana profondamente sbagliata che ho chiamato logica del vantaggio affonda le sue radici e la sua giustificazione in una altrettanto profondamente

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sbagliata cultura del lavoro (il rapporto tra luna e laltra reciproco, come ormai dovrebbe essere chiaro). Uno dei crimini supremi (per lentit dei danni recati non mi vengono in mente espressioni pi dolci) di cui si macchiata questa cultura a mio parere quella del mascheramento. Essa ha mascherato e riproposto una diversa forma di schiavit proponendo una falsa forma di libert. Cos come oggi lo conosciamo il rapporto di lavoro non che un ricatto, anzi, il ricatto radicale. Ma una vita che si svolge allombra di un ricatto pienamente realizzata? Getta luomo nella paura e nellangoscia di non riuscire a pagare i suoi debiti, pone lo sviluppo dellesistenza sotto la forma logica del seallora. Quello che la cultura del lavoro borghese ha svolto stato una riduzione della mentalit umana a quella del se questo allora quello, logica del ricatto che si giocoforza riversata anche allinterno della relazione umana al di fuori del lavoro, arrivando cos a costituire la forma dellapproccio radicale delluomo alla vita. Una logica del sacrificio e del compenso che una logica del vantaggio (cosa posso trarre dallaltro, cosa pu egli fare per me) che una logica del ricatto che , in ultima analisi la mortificazione dellumano. Se non accogliamo un modo di relazionarci che sia altro non usciremo dalle maglie di una impostazione relazionale condannata a sfociare nella mortificazione dellaltro uomo, espressione accolta nel duplice senso di svilimento, annullamento, dispiacimento da un lato, e uccisione dello spazio umano dallaltro. La paradossalit sta nel fatto che ci che porta alla lenta morte dellumano proprio ci che per lo spirito borghese necessario alla vita. Per vivere devi lavorare. Lattuazione finale in cui si c ompleta il processo di mortificazione dellumano parte dalla logica del lavoro. Se la

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logica del lavoro si estende alla logica della relazione (e questo accade sotto la forma dellestraneit) vuol dire che metto in atto nella relazione umana le stesse categorie di cui mi servo per svolgere il mio lavoro (penso soprattutto al lavoro dufficio) e quindi laltro non diventa un uomo ma una pratica. Dalla logica lavorativa deriva la concezione dellaltro come pratica da sbrigare, e cos si perviene a quellaltro aspetto che costituisce un altro crimine della cultura del lavoro borghese: la mercificazione dellaltro. Allinterno di questo paradigma relazionale, infatti, laltro visto come un impegno spicciolo perch se tutto lavoro allora anche laltro rientra sotto le regole dello scambio e si mercifica, diventando non pi qualcuno bens qualcosa. Da quella logica del vantaggio di cui ho parlato prima non pu che derivare una concezione dellaltro uomo come senza nome, dellanonimo, dellimpersonale, e quindi non pi dellaltro ma dellaltra cosa. questo passaggio che permette e giustifica gli abusi e gli sfruttamenti di cui ci siamo resi capaci e sulla cui via ci siamo posti. Dobbiamo dire basta e partire da una rivoluzione del quotidiano. Si pu inoltre facilmente notare lo scacco di questa tradizione relazionale, ci che ha prodotto, in cosa ha fallito: parlo della riduzione dellaltro a ruolo sociale. Attraverso la cultura del lavoro borghese, la logica dello scambio, la logica del vantaggio, la mercificazione dellaltro e la mortificazione dellaltro, non si pu che arrivare a ridurre laltro al suo ruolo sociale, alla sua funzione, al suo lavoro. A livello di percezione sociale sei ci che fai. un circolo che ci dobbiamo impegnare a spezzare. Ci sono fasce in cui al colpire della disoccupazione (quella che con tanta spavalderia molti credevano non li avrebbe mai riguardati), la persona inizia ad eclissarsi fino a scomparire insieme a quello che

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era il suo ruolo, il suo lavoro. Tutta quella rete di rapporti sociali che si credevano eterni si volatilizza in pochissimo tempo e quello che resta, nel migliore dei casi, una famiglia, nei peggiori un tunnel di disagi in cui lasciarsi andare alla deriva. Alla fine come se non si fosse mai esistiti, se quello con cui gli altri entravano in relazione non ero io ma quello che io facevo, il ruolo che svolgevo. Allora mi sembra evidente, a maggior ragione per chi queste cose le sta vivendo sulla propria pelle, quanto tutto questo sia sbagliato. Che umanit c nel guardare allaltro non come a un valore in s ma come a qualcosa da cui posso (per alcuni devo) trarre quanto pi riesco? Non voglio pensare che siamo destinati a rimanere imbrigliati in questi canoni relazionali, che non potremo mai uscire da quei meccanismi che non ci permettono di vedere nel prossimo che una possibilit di vantaggio personale. Un grande filosofo, Ges di Nazareth, (si rilassino i laici convinti, non sta parlando uno famoso per la sua vicinanza alla religione n tantomeno al cattolicesimo) ha predicato molto bene un simile messaggio ma ad oggi ho difficolt a vedere la storia del mondo come qualcosa di guidato da esso. Se la relazione con lestraneo una relazione anonima, del non nome, quella sociale del ruolo, della funzione, e quella di lavoro del vantaggio, si nota subito lassenza di ci che invece dovrebbe essere il punto di partenza e il fine ultimo del nostro essere insieme: luomo. Non capisco come possa sostenersi un tipo di approccio che dallaltro ci allontana piuttosto che avvicinarci. Come si pu in questo modo portare lumanit a se stessa? In questo paradigma luomo non pu arrivare a se stesso perch non egli al centro della relazione. Insomma, la logica del vantaggio non pu sostenere unumanit che sia autenticamente se stessa. Nel ricatto non esiste alcuna umanit.

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Quello che propongo, per cambiare le cose, non lassalto a tutti gli edifici del potere statale ed economico che forse troppi caldeggiano ma unaltra strada. Mi ritengo un tipo pacifico. Radere al suolo quello che c gi per costruire qualcosa di nuovo non ha mai dato dei grossi risultati. Partiamo da quello che esiste gi, senza voler fare gli eroi del nuovo millennio, e troviamo il modo di risolvere i problemi strutturali presenti: bisogna individuare un potere forte e presente, entrarvi dentro e l innescare un germe capace di dare luogo, nel tempo, a qualcosa di diverso. Il potere politico come lo conosciamo ha fatto il suo tempo e non credo sia davvero in grado raddrizzare la situazione. Quello economico costituisce invece, a mio parere, un potere paurosamente pi forte e che anzi di quello politico costituisce la base. Quasi sempre ogni potere affonda le sue radici in un potere di tipo economico. A partire dalla constatazione dellonnipresenza del potere economico nelle nostre vite riflettiamo su quello e troviamo il modo di proporre un modello non pi usurato e usuraio dellesistenza. Cerchiamo il modo di rendere questa economia di mercato pi umana, pi giusta, pi eticamente compatibile di quanto non sia oggi. Leconomia che mettiamo in pratica ogni giorno uneconomia che non lascia alcuno spazio alla persona in quanto tale. Probabilmente un economista traviserebbe queste considerazioni sentendo odore di comunismo o cattocomunismo. comprensibile quando per formazione non si esercita una forma di critica, nessun giudizio sui postulati che gli sono stati insegnati. Introdurre elementi di morale o di etica pu imbarazzarlo. Dicendo che la risposta al problema di fronte al quale ci troviamo non poteva che essere filosofica intendevo dire proprio questo: serve una risposta che sia in grado di guardare allorigine del

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problema e andare a colpire l, porre l la riflessione per la sua risoluzione. Se continuiamo a credere che di economia possano parlare solo gli economisti allora siamo destinati a rimbalzare di crisi in crisi, dobbiamo invece avere lumilt di accettare che anche altri ambiti diano la loro opinione. Non vedo dunque nulla di male nellinserire in problematiche economiche questioni di tipo etico e morale. Se economia e finanza iniziassero a parlare in termini morali sarebbe gi di per s una grande rivoluzione. Occorre ragionare sulle leggi che regolano leconomia per ripensarle in maniera morale e far nascere qualcosa di pi vicino alluomo. In particolare, riguardo a un settore delleconomia che appare come il pi sfrenato regno dellegoismo e dellingiustizia sociale: la finanza. E l che si trova una bandiera del nostro problema. La relazione economica , infatti, il principale ambito in cui si consuma la relazione con lestraneo; costruendo un altro paradigma di relazione economica ne deriver un diverso paradigma di relazione umana, e il discorso regge soprattutto anche allinverso perch anche partendo da una diversa concezione della relazione umana non potr che realizzarsi una diversa impostazione della relazione economica. La finanza rappresenta uno dei templi sociali dellarricchimento del singolo a scapito dei pi. Quando si parla di quel mondo si ha subito limpressione che si tratti di un enorme, sontuoso castello di carta. Un palazzo daria costruito sulla sabbia. Ma essa ci riguarda molto pi da vicino di quanto immaginiamo. Le regole della finanza sono costituite da leggi asettiche, del tutto impersonali e oggettivanti, strumentali, che negando lumano pongono chi le applica nella condizione di ritenersi estraniato e distaccato dagli altri. Lo portano a credere che lui non abbia colpe nelle ripercussioni delle sue scelte sulla vita degli altri. Dal

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suo punto di vista il suo lavoro un gioco di fantasmi. E luomo? Che fine ha fatto luomo in tutto ci? Lassenza di queste domande il vero problema delleconomia, ci che lha resa distante, spietata, crudele e impersonale. Lidea di introdurre delle domande di tipo morale nel perfetto funzionamento delle regole delleconomia e della finanza vuole colpire uno dei loro dogmi fondamentali: populisticamente e semplicisticamente, fare pi soldi possibili, guadagnare pi soldi possibili. Ma il mondo economico, i suoi esponenti e attori dei suoi processi, si mai chiesto se questo fosse lecito o meno? Invece di aver identificare il senso di una azione con questo meccanismo tale per cui, a livello culturale, se facciamo qualcosa che non porta ad un nostro vantaggio essa non ha senso... Dal canto suo leconomia ha conferito dapprima a questo approccio lo statuto di dovere e ha professato in seguito questo, sulla scia della rivoluzione scientifica pi in generale, come la forma della logica normale e del corretto agire. Oggi, come ieri, si devono fare pi soldi possibili. Tutti vogliamo farli, e se non si possono fare subito allora troviamo tutti i mezzi immaginabili per metterci nella posizione di farli un giorno. Il lavoro assume il suo senso dunque se ci prospetta la possibilit di carriera economica e sociale. Nel caso contrario non ha senso o, peggio, per perdenti. Ecco, quello che mi chiedo se sia giusto e lecito ragionare cos. Ma a cosa serve guadagnare sempre di pi? Perch il senso della mia missione lavorativa guadagnare sempre di pi? Tra le molteplici ragioni pu rientrare anche quella per cui in questo identificata la mia felicit di essere umano. Anche a costo di sembrare retorico credo che una delle domande che ci si dovrebbe porre, a prescindere dalla risposta, se lavere

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ad esempio la famosa villa con piscina non tolga qualcosa a qualcun altro. Questa una delle domande fondamentali di un approccio che sia etico alla finanza e alleconomia. Laltra se non sia il caso di rivedere quel dogma delleconomia per cui il senso di ogni agire della persona, e quindi della sua vita, tale in virt del conseguimento di un vantaggio personale. Voglio sperare che ci sia unalterit da riportare alla luce per variare i nostri comportamenti e sviluppare un diverso rapporto con laltro uomo, pi degno di essere chiamato umano. Ci tengo in ogni caso a precisare che lungi da me credere nellequazione ricco = male, povero = bene. unideologia di semplicit e immediatezza, dal carattere auto-assolutorio e deresponsabilizzante anchessa. Non basta un semplice facciamo pi elemosina perch giusto aiutare chi ha bisogno o rubare ai ricchi per dare ai poveri. il momento di pensare a qualcosa di pi serio e organico. Non possono e non devono pi bastare le trovate dellultima ora per salvare il mondo. Dobbiamo uscire dalle trame di queste sabbie mobili e creare qualcosa di diverso. La mia proposta allora quella di passare da un paradigma della relazione umana che riduce in maniera sistematica il contatto con laltro ad una logica del vantaggio individuale, ad un paradigma relazionale che trovi nellaltro uomo il suo fulcro, che sappia farsi carico dellaltro e che sia cos capace di ridare allumanit la sua responsabilit esistenziale, fornendo con tutto ci un trampolino di lancio verso lelaborazione di una economia e di una finanza fondate su nuove basi eticamente compatibili.

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L'INSOSTENIBILE ESSENZA DEL LAVORO


di Vess Savage Oggi il 1 maggio, festa del lavoro. Non c' nulla da festeggiare. Non c' da festeggiare per coloro che oggi hanno lavorato. Non c' da festeggiare per coloro che sono disoccupati. Non c' da festeggiare per coloro che si stanno formando sperando di ricoprire in futuro chiss quale ruolo sociale. Non c' da festeggiare per coloro che hanno lavorato una vita e oggi sono pensionati, n per coloro che vorrebbero smettere di lavorare ma che non possono perch la legge non glie lo consente. Ma perch? Perch questa parola, "lavoro", non ha nulla a che vedere con ci che dovrebbe nobilitare l'uomo. Inutili le parole demagogiche, propagandistiche e menzognere dei politici, di papi e cardinali, dei sindacalisti o di quelle persone che credono di vivere in un mondo fondato su comunit che tutelano la vita e promuovono il progresso delle persone. E' tutto molto triste e, a tratti, grottesco, quando dei "lavoratori" partecipano a cerimonie in cui dovranno incensare quei politici corresponsabili della loro rovina e del declino economico, sociale e morale della comunit. Ma cos' il lavoro? Cos' quel qualcosa per cui le persone dovrebbero festeggiare, oppure reclamare perch manca, oppure uccidersi perch un fallimento?

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Il lavoro un'attivit in cui un uomo profonde energie fisiche ed intellettuali per generare... cosa? Qualcosa che lo migliori in quanto persona? No. Qualcosa che migliori la societ? No. Qualcosa che migliori il rapporto tra l'uomo e l'ambiente? No. E allora cosa? La risposta semplice: denaro. In una societ in cui tutto ci che si fa misurato e misurabile in denaro, il lavoro stesso denaro. Ma questa una incredibile follia. Il lavoro la persona che agisce, che pensa, che fa. Il lavoro vita. Com' possibile ridurlo ad un oggetto? Pensiamoci un istante ! Prendiamo una manciata di monete o una banconota: sono degli oggetti, per di pi prodotti da noi. Come possono rappresentare le nostre azioni, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, la nostra vita? Come abbiamo potuto permettere a piccole anime, a cuori minuscoli, a menti meschine, di organizzare tutta la nostra vita barattando le nostre capacit di uomini con un oggetto? Come abbiamo potuto impegnare ogni nostra energia per soddisfare le esigenze di una societ cos folle? Com' possibile che continuiamo a farlo? Diversi autori, da Platone ad Aristotele, da Bruno a Spinoza, da Russell a Chomsky, per citarne alcuni di tutte le epoche senza nominare per forza Marx, hanno sottolineato che il lavoro dovrebbe essere l'attivit che permette all'uomo di esprimere una parte importante di s, la sua creativit, il suo talento, le sue idee, i suoi sentimenti ecc., per creare cose che migliorino la vita di tutti e migliorino le persone. Io penso che ci sia un'unica ragione per cui si dovrebbe festeggiare il lavoro il 1 maggio, ed questa: rispettare la vera essenza del lavoro, la sua vera identit, e creare una societ in cui

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il lavoro e la vita dell'uomo non possa essere ridotta ad un oggetto di cui pochi approfittatori facciano un uso privato, deprimente, degenerante ed ingiusto. E' ora di comprendere che il nostro attuale modo di considerare l'essenza del lavoro insostenibile. Mi auguro di cuore che la pensiate cos anche voi.

Pubblicato il 1/5/2012 su www.freelosofy.blogspot.it

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IO NON ESISTO
di Pietro Mensi Il momento pi difficile della mia esperienza lavorativa e stato il primo anno. Avevo 22 anni e pensavo che andarmene di casa fosse la cosa giusta per me. Mi sentivo pronto per diventare indipendente; avrei dovuto sacrificare moltissimo studiando legge e lavorando per mantenermi, la mia famiglia non mi avrebbe potuto aiutare molto ma ero determinato. Ho trovato casa con un amico e altri ragazzi, la pi economica che c'era. Immediatamente ho iniziato a cercare: avendo 200 euro nel portafoglio dovevo sbrigarmi. Mi sono ritrovato solo nella giungla del lavoro, senza nessuno a guidarmi, a consigliarmi come muovermi, a cosa stare attento. E quando cos, ti sfruttano. Ho preso quello che cera: pubblicit in cassetta. 3,50 euro all'ora, 6 ore di cammino al giorno assieme agli immigrati (e nelle loro condizioni). Niente mutua, niente ferie, niente contributi. Non la fatica o la frustrazione per ci che fai la cosa che pi ti fa soffrire, piuttosto il fatto che nessuno ti offra un opportunit diversa, nessuna ha interesse ad aiutarti ; provavo invidia per quelli che a differenza di me, senza particolari meriti, potevano accedere ad una vita molto pi dignitosa. Lavorare cos significa lavorare in nero. E il mondo attorno su comporta come se quella condizione fosse necessaria, perche nessuno ha interesse ad aiutarti, a offrirti opportunit. Ti muovi in queste cose senza il supporto di nessuno. In quello stato il mondo fa finta di non vederti, non lavori davvero per la societ, il

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tuo un non-lavoro. I capi non sono tenuti a pagarti, non hai alcun diritto, se un giorno decidono di scaricarti lo fanno senza vincoli di sorta: possono non pagarti per tre mesi e il tuo frigo rimane vuoto. In effetti cosi hanno fatto: hanno semplicemente smesso di pagarmi. Mesi di retribuzione spariti nel nulla, senza possibilit di far valere le mie ragioni. Ho dovuto aspettare molto prima di trovare un altro impiego. La disoccupazione una delle cose pi brutte che abbia mai sperimentato, la totale incertezza di cosa ti accadr il mese prossimo: pagher l'affitto? Le bollette? La spesa? Tra poco c' il compleanno della mia fidanzata. Avr soldi per farle un piccolo regalo? Chi mi pu aiutare? La costante : non voglio deludere chi mi sta attorno, ma non ho le forze per prendermi cura degli altri. I problemi ti inducono a diventare individualista. Non sono certo uno arrendevole, conduco una vita spartana, con lo stretto indispensabile, niente iPhone, niente capi firmati, niente macchina, niente status quo. Allora ti fai coraggio, tieni duro, razioni i soldi e cerchicerchi ossessivamente un lavoro. Agenzie interinali, curriculum, colloqui - ma io ho un diploma classico, non ho alcuna forma di competenza n una qualifica ad aiutarmi. L'unico modo sicuro chiedere a chi ti conosce. Tutti i lavori che ho fatto li ho avuti grazie a qualche contatto, qualche amico, qualche conoscente. All'italiana: non troppo sporca ma nemmeno davvero pulita. Questa la condizione lavorativa peggiore: ti fai il mazzo e per il mondo non esisti. Diventi insopportabile per te stesso e per gli altri, sei tedioso, preoccupato, pieno di insicurezze. Non sai se e quando le cose cambieranno. Le relazioni assumono reale importanza in momenti come questi: chi ti sopporta, chi regge il peso con te, chi ti ascolta e ti capisce, quelli sono i veri compagni

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di vita. In ogni caso prima o poi la ruota gira e ti fai un po' pi furbo. A un certo punto ho trovato lavoro come cameriere. Lho ribattezzato lavoro para-nero. La ristorazione, come molti altri settori, vive di questo sistema: fingi di essere in regola, in realt continui ad essere un senza diritti. E il contratto a chiamata, permette al tuo datore di eludere i controlli dell'ispettorato, non ti vengono segnate le giornate lavorative, nessuno potr mai incrociare i dati; se stai male non lavori e se non lavori il frigo resta vuoto; non hai contributi n un reddito formale: per lo stato sei un mantenuto fino a quando non hai concluso un regolare contratto remunerativo; ergo niente borse di studio, sussidi, detrazioni fiscali da tasse universitarie, ticket sanitari scontati. Tutti gli svantaggi e nessun vantaggio. Ma in questa fase almeno sei trattato da lavoratore. La paura di rimanere unaltra volta disoccupato mi ha spinto a fare pi lavori contemporaneamente: ma se ne perdo uno ho gli altri due che mi permettono di restare a galla. Una sorta di rotazione trimestrale, quando perdo un campo ne cerco un altro coltivando gli altri due rimanenti. Minore rendita immediata ma nel lungo periodo ho sempre qualcosa per le mani. E poi cerco di risparmiare per i momenti difficili, so che ciclicamente, ogni 3 mesi, rimarr senza un impiego e metto da parte la messe per l'inverno; un inverno che arriva 3-4 volte all'anno. Flessicurezza? Un eufemismo per non dire totale incertezza. Non si tratta di avere un lavoro a tempo indeterminato ma di poter fare progetti a lungo termine: uno o due anni almeno. Agli occhi della tua comunit continui ad essere inoccupato, a non dare il tuo contributo alla collettivit; a non esistere.

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E' il grande ricatto di oggi: se vuoi lavorare, devi lavorare cos, se no niente. E ci sar sempre qualcuno disposto a lavorare in queste condizioni. Specie in tempo di crisi. Perch la politica non affronta il problema del lavoro nero? Perch non lo si combatte? Perch l'orientamento nel mondo del lavoro inesistente? Perch la formazione cui siamo abituati del tutto inefficace? Basterebbe dare risposta a queste domande per iniziare a risolvere i problemi. La disoccupazione giovanile al 38% perch i giovani lavoratori sono ricattati. Nessuno ti prepara, nessuno investe su di te, nessuno ti d fiducia, la politica addita la tua generazione dimenticandosi che stiamo solamente ereditando il mondo che ci hanno lasciato. Ripenso a quella parola choosy pronunciata da un Ministro. Ripenso alla scelta di diventare indipendente. Ingenuamente, la ritenevo una scelta giusta.

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SUGLI AUTORI Giacomo DAlessandro, 22 anni, studia Comunicazione Interculturale e Multimediale e Scienze Religiose; si occupa di comunicazione, intercultura, musica, giornalismo e blog, realt ecclesiali, cammini. dalejack@alice.it Filippo Itolli, 22 anni, studia Filosofia Politica a Parigi; si occupa di scrittura e pensiero politico; scrive sul blog FiatoCorto. filippo.itolli@me.com Vess Savage, pseudonimo, 40 anni, docente di Storia e Filosofia al Liceo; si occupa, tra le altre cose, di filosofia e politica; scrive sul blog Vess Savage Garden. vess.savage@gmail.com Pietro Mensi, 23 anni, studia Giurisprudenza; si occupa di antimafia e politica. pietromensi89@gmail.com www.fiatocorto.blogspot.it www.freelosofy.blogspot.it

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I testi sono stati raccolti e pubblicati tra maggio e giugno 2013, a cura di Giacomo DAlessandro.

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