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Terzina dantesca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Per me si va ne la citt dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.

. Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina potestate la somma sapenza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterna duro. Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate. (Inferno III 1-9) La terzina dantesca, o terzina incatenata, la strofa usata da Dante nella composizione della Divina Commedia. Essa composta da tre versi endecasillabi, di cui il primo e il terzo rimano tra loro, mentre il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva. Ogni canto terminato da un verso isolato che chiude la rima con il secondo verso della terzina che lo precede. Dividendo per tre il numero dei versi di un canto si ottiene quindi sempre il resto di 1. Nella terzina dantesca compare la rima incatenata perch, tramite il secondo verso, ciascuna terzina si aggancia alla successiva come gli anelli di una catena. Questa struttura facilita la memorizzazione della sequenza di versi, inoltre impedisce che un copista possa aggiungere o cancellare terzine o singoli versi perch cos facendo si interromperebbe la sequenza. Questo tipo di rima si chiama anche terza rima in quanto tutti i versi rimano a tre a tre, tranne una coppia di versi all'inizio (il primo e il terzo della prima terzina) e una alla fine (il secondo dell'ultima terzina e il verso singolo finale), che rimane solo a due a due. Lo schema delle rime si pu quindi scrivere cos: ABA BCB CDC DED ... UVU VZV Z Le rime con cui iniziano e finiscono i vari canti non sono legate fra loro. Un possibile antenato della terzina dantesca il sirventese (o serventese): una strofa di tre versi endecasillabi con la stessa rima seguiti da un quinario che introduce la rima della strofa successiva. Nella Vita Nova Dante include una composizione poetica dal nome Pstola sotto forma di serventese che da molti indicata come anticipazione della strofa della Commedia. Altre caratteristiche della terzina dantesca sono:

L'utilizzo della terzina stessa come unit logico sintattica: nella terzina metrica inizia e si conclude cio spesso il periodo; a tale proposito si detto che Dante pensasse per terzine;

Altre volte l'unione di pi terzine a formare un blocco discorsivo, articolato sulle singole terzine (introdotte da varie preposizioni e congiunzioni quali: perch, se, ch, qual...) Una continua variazione nella sintassi e nel metro tra i versi della terzina, con pause in posizioni differenti e inversioni sintattiche che movimentano e variano il ritmo della poesia. La prominenza delle parole in rima, nella quale spesso si trovano gli elementi chiave del senso del discorso; questo procedimento spesso richiedeva una costruzione a ritroso del verso da parte del poeta e anche durante la lettura si deve spesso fare questo procedimento inverso, che in genere accresce l'incisivit delle parole; inoltre ne deriva un uso frequente di perifrasi per inanellare rime difficili, impreziosendo cos il testo di molteplici riferimenti incrociati.

Rima di Cristo La parola Cristo rima sempre e solo con se stessa: Dante vuole con questo significare che nessun'altra parola degna di essere accostata al nome di Cristo. Secondo Luigi Pietrobono, potrebbe essere una scelta dovuta al desiderio di espiare il peccato di aver usato il nome di Cristo in un sonetto comico, ma poich la terzina si trova nel Paradiso, quando l'espiazione dei peccati ormai compiuta, potrebbe trattarsi di erronea interpretazione.

Parafrasi La mia donna appare tanto nobile (sintende la nobilt danimo che si riflette sul decoro esterno della persona) e onesta (anche qui come per nobile sintende decoro esteriore), quando saluta la gente, tanto che tutti fanno silenzio e gli occhi non osano guardarla. Ella procede, sentendosi lodare, con lapparenza esterna di cortese benevolenza e pare sia una creatura discesa dal cielo sulla terra per mostrare la potenza divina. Si mostra cos bella a chi la guarda, che tramite gli occhi trasmette una dolcezza al cuore che chi non la prova non pu capire e sembra che dal suo volto provenga un soave spirito damore che dice allanima: Sospira.

Figure retoriche

Endiadi: vv 1-2: Tanto gentile e tanto onesta pare Iperboli: vv .3-4-: chogne lingua deven tremando muta,(da considerarsi come una metafora iperbolica)/e li occhi no lardiscon di guardare. Metafora: v. 6: dumilt vestuta Perifrasi: vv. 7-8: cosa venuta/ da cielo in terra a miracol mostrare = angelo, creatura angelica Similitudine: vv .7-8: e par che sia una cosa venuta/da cielo in terra a miracol mostrare Allitterazioni: vv.1-2; 8-9 : Tanto gentile e tanto onesta pare/la donna mia quandella altrui saluta; da cielo in terra a miracol mostrare./Mostrasi s piacente a chi la mira, Sineddoche: v. 12: labbia per intendere volto

Enjambements: vv. 1-2; 7-8; 12-13 Poliptto: vv. 8-9: mostrare/mostrasi Paronomasia: vv. 6-7: vestuta/venuta

Commento Tanto gentile e tanto onesta pare fa parte del prosimetro (un genere che unisce parti in prosa a parti in poesia) della Vita Nova. Il sonetto uno dei pi importanti componimenti dellintera raccolta e rientra nelle cossiddette rime in lode a Beatrice (che si rifanno spesso alla maniera del capostipite degli stinolvisti Guido Guinizelli). Per comprenderlo al meglio, bisogna necessariamente ricondurlo alla corrente letteraria nata in Italia nel XIII sec. e che prende il nome di dolce stil novo (o stilnovismo) che fa capo alla produzione giovanile di Dante. Concetto fondamentale dello Stilnovo, ripreso anche in questo sonetto, lidea che identifica la nobilt (nel v.1 gentil sta appunto per nobilt) con la virt, e lamore con la gentilezza. Lamore diventa dunque nello Stilnovo una sorgente di perfezione morale e di elevazione a Dio per mezzo della figura della donna-angelo, ed , evidentemente, la tematica fondamentale della corrente e del componimento qui preso in esame. Nel v. 2 , Dante si riferisce ovviamente a Beatrice (nella realt Bice di Folco Portinari), in quanto la Vita Nova tutta parla, sintetizzando, della storia damore ideale di Dante per Beatrice. Liperboli del vv. 3-4 connotano anche da un punto di vista esteriore la perfezione estetica e morale che la bellezza della donna emana; e la sua natura angelicata viene successivamente confermata dalla similitudine dei vv.7-8. Nella due terzine che chiudono il componimento, come ho anticipato parlando in generale dello stilnovo, evidente la funzione salvifica della donna. La visione della stessa, infatti, in grado di introdurre nellanimo umano il sentimento amoroso che fa tuttuno, come gi detto, con la nobilt. Da notare nel v.10 (che da per li occhi una dolcezza al core,) la funzione degli occhi che trasmettono la dolcezza nel cuore degli osservatori. un altro di quei tpoi (luoghi ricorrenti) propri dello stilnovo. Da un punto di vista propriamente linguistico, il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, pur sembrando di immediata comprensione, nasconde non poche insidie per un lettore moderno che potrebbe incorrere in errori di traduzione e comprensione linguistica. A parte vari termini arcaici come ogne, deven, lauda, vestuta, spirto, le difficolt che possono incontrarsi riguardano anche quei vocaboli che sembrano essersi mantenuti identici nella nostra lingua. Come si intuisce gi dalla parafrasi non cos. gentile equivale a nobile, nel senso stilnovistico di nobilt danimo, pare vuol dire appare (si manifesta in maniera evidente), mentre per donna sintende signora del cuore. Ancora da notare, per quanto riguarda il piano stilistico che lo Stilnovo (e dunque questo componimento) raffinamento di stile e di forme; ogni parola ci trasporta in un mondo ideale e raffinato mai toccato dalla corporalit. La lingua piana e delicata.

Parafrasi Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io fossimo catturati per magia e messi su una piccola nave che ad ogni soffio di vento andasse attraverso il mare, seguendo il mio ed il vostro desiderio, in modo tale che una tempesta o un altro tipo di cattivo tempo non ci potesse essere di ostacolo; anzi, vivendo sempre con un solo, comune desiderio, aumentasse la voglia di stare insieme. E poi (io vorrei che) il buon mago (Merlino) mettesse insieme a noi la signora Vanna e la signora Lagia insieme a quella che al numero trenta nellelenco (delle donne pi belle della citt): e qui vorrei parlare sempre damore e che ciascuna di loro fosse felice come io credo che lo saremmo noi.

Figure retoriche

Apostrofe: Guido (v. 1); Adynaton: Guido, i vorreifossimo presie messi in un vasels che (vv. 1-8); Allitterazioni: della v: vasel, vento, vostro (vv. 3-4); della s: stare, insieme, crescesse, disio (v. 8); della r: ragionar, sempre, amore (v. 12); Anastrofi: di stare insieme crescesse il disio (v. 8); con noi ponesse il buono incantatore (v. 11); Polisindeto: tu e Lapo ed io (v. 1); e monna Vanna e monna Lagia (v. 9); Perifrasi: il buono incantatore (v. 11); Metafora: vasel (v. 3); Similitudine: contenta / s come io credo che saremmo noi (vv. 13-14).

Commento Il sonetto fa parte delle poesie giovanili di Dante, in cui il poeta sceglie come modello la lirica damore di tipo cortese; ma, se le prime poesie sono vicine al modello di Guittone dArezzo e ne imitano il linguaggio oscuro e gli artifici retorici, proprio questo sonetto a segnare una svolta decisiva, poich costituisce latto di nascita di quel movimento poetico che Dante stesso definir dolce stil novo, caratterizzato da una lingua pi schiva e delicata, pi limpida e sensibile e da unlite di spiriti nobili, consapevoli della loro intelligenza, come dimostra il riferimento alla donna ch nel numer de le trenta, comprensibile solo ad una cerchia ristretta di letterati.

Il tema principale del sonetto il desiderio, la descrizione di un sogno di vita cortese, completamente staccato dalla vita reale, per isolarsi dal contesto storico-sociale in una ricerca di levit fantastica: parole chiave della sfera del sogno, oltre a vorrei (v. 1), sono talento (v. 7) e

disio (v. 8). Lo spazio e il tempo sono del tutto indeterminati, come dimostra altres il ripetersi due volte (ai vv. 7 e 12) dellavverbio sempre. Il tema fondamentale delle quartine lamicizia con i due poeti stilnovisti Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, a cui Dante legato da una grande comunanza di sentimenti; nelle terzine, invece, si introduce lelemento principale che li accomuna, ovvero il ragionar sempre damore (v. 12), in un contesto esclusivo, fiabesco e rarefatto, tra spiriti eletti: si tratta, come abbiamo visto, di un tratto tipico della poesia stilnovistica. Liniziale desiderio individuale di Dante, alla fine, si trasforma in un desiderio collettivo, che accomuna tutti e tre gli amici, in un crescendo del desiderio. Lambito del magico e del meraviglioso (incantamento, v. 2; vasel, v. 3; buono incantatore, v. 11) richiama la lirica provenzale, gi seguita nel genere stesso del componimento che si pu definire un plazer, cio unenunciazione di realt piacevoli. Infatti, secondo il critico G. Contini, il vasel sarebbe la nave incantata di mago Merlino (il buono incantatore del v. 11), pi volte menzionata nel ciclo arturiano.

Le parole-chiave del sonetto appartengono al campo semantico del desiderio, che pu realizzarsi solo grazie alla magia, che consente di aggirare gli ostacoli posti dalla vita reale. Particolare rilievo assumono i polisindeti, che contribuscono al ritmo trasognato dei versi, inducendo il lettore a soffermarsi sui singoli elementi desiderati pi che sullinsieme. La struttura circolare perch il poeta ritorna a parlare in prima persona nel primo (vorrei) e nellultimo verso (credo). Interessante anche il ricorrere, in modo perfettamente speculare, del numero tre (tre sono gli amici e tre sono le donne amate), un numero emblema della perfezione e di grande valenza simbolica.

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