You are on page 1of 18

NICHOLAS COOK Forma e sintassi Da Enciclopedia della Musica, Diretta da Jean-Jacques Nattiez, con la collaborazione di Margaret Bent, Rossanna

Dal Monte e Mario Baroni. Volume Secondo: Il sapere musicale. G. Einaudi Editore, Torino 2002.

Che cos' la forma musicale? Cos' la sintassi musicale? Domande come queste sono pericolose nella misura in cui inducono ad aspettarsi risposte specifiche: la forma musicale questo, la sintassi musicale quest'altro. Sarebbe ragionevole aspettarsi questo tipo di risposta se realmente esistesse una cosa, un singolo fenomeno, chiamato "musica". Ma nel mondo esiste un numero indefinibile di musiche diverse e, con tutta evidenza, innumerevoli sono anche le diverse musiche esistite nel tempo. Cos il pericolo di affermare che questa la forma musicale, quella la sintassi musicale consiste nell'innalzare, ci facendo, un modello di "musica" (la tua musica) a modello di tutta la musica, e quindi giudicare la validit, la "musicalit" delle altre musiche a seconda del loro maggiore o minore adeguarsi a questo modello. E c' ancora un altro problema. Quando si chiede che cos' la forma musicale, o cos' la sintassi musicale, la formulazione della domanda implica che esistano di per s realt come le forme e le sintassi musicali che, per cos dire, aspettano solo di essere scoperte. Ma tale assunto davvero verificabile? Oppure le idee di forma e sintassi musicale sono in realt costruzioni metaforiche poste in essere soltanto in virt delle nostre domande sulla musica, dei nostri tentativi di comprenderla? O ancora, diremmo che la musica ha forma o sintassi solo perch essa stata creata da qualcuno che l'ha concepita in tali termini, cosicch la questione diventa essenzialmente di tipo storico? Io non pongo domande del genere con l'intenzione di fornir loro immediatamente una risposta affermativa o negativa. Al contrario, la mia opinione che le domande che ci poniamo sulla forma e sulla sintassi musicale dovrebbero essere poste nella maniera pi aperta possibile, in modo da non escludere a priori alcuna possibile risposta. Invece di domandare cosa sono la forma e la sintassi musicale, io chieder in che misura, e in quali modi, le diverse musiche hanno propriet di tipo formale o sintattico. Chiedere ci equivale a chiedere quanto queste musiche possono essere comprese (o sono comprese da persone culturalmente "introdotte") considerando che la musica in un caso un qualche tipo di oggetto e nell'altro un qualche tipo di linguaggio. Ma dietro ci c' la pi ampia questione di fino a che punto la musica possa essere letteralmente costruita, o come oggetto o come linguaggio, oppure quanto l'applicazione ad essa di termini quali "forma" e "sintassi" debba essere intesa come un linguaggio figurato. Se non conosciamo la risposta, difficile decidere cosa farsene delle storie che tali termini ci raccontano. 1. Un approccio intuitivo alla forma. Nella cultura dell'odierna musica occidentale od occidentalizzata siamo cos abituati a parlare di eseguire pezzi di musica che le parole sembrano doversi applicare letteralmente, al pari di moltissimi altri esempi nell'uso linguistico. Ciononostante l'idea di un pezzo di musica metaforica; la me-tafora diventa ovvia se ci chiediamo cos' questa "musica" di cui eseguiamo dei pezzi. Si tratta di "affettare" pezzi da un blocco di musica, o di coniarli da un lingotto come monete? Quando tutti i pezzi sono stati eseguiti, questo significa

che non rimane pi "musica" ? Tali assurde questioni sono il risultato del prendere alla lettera il linguaggio figurato. I pezzi di musica hanno qualcosa in comune con la circolazione di monete d'argento: essi han-no una loro propria autonomia, possono essere scambiati contro beni e ser-vizi e possono essere accumulati. Questa la similitudine che consente la congiunzione metaforica, concentrando l'attenzione su alcuni attributi del-la musica e contemporaneamente sottostimandone altri (per esempio l'eva-nescenza della musica). Per qualsiasi congiunzione metaforica c' un resto che non pu essere spostato da un termine dell'equazione all'altro; quan-do ce ne dimentichiamo che le metafore diventano fonte di malintesi. La percezione che la musica sia riducibile in pezzi, che abbia quasi le qualit di un oggetto, non assolutamente un'esclusiva occidentale. Bruno Nettl suggerisce che uno dei (pochissimi) universali della musica che essa consiste in unit distinte di creativit, identificabili in base alla loro collocazione nel rituale, all'autore o all'esecutore, al numero d'opera. Non si "canta" semplicemente, ma si canta qualcosa [1983, p. 40]. A questo livello l'identit musicale una variabile binaria: qui c' qualcosa, l c' qualcos'altro (o qualsiasi altra cosa). E una delle concettualizzazioni pi basilari della forma, quella che ha oltretutto un alto grado di applicabilit interculturale, proviene dall'applicazione dello stesso principio binario all'interno di quel "qualcosa" che un pezzo di musica. Nell'insegnamento della musica occidentale, si usato per tutto un secolo rappresentare le forme musicali utilizzando le lettere dell'alfabeto. Qualsiasi tipo di unit identificabile, un "qualcosa" musicale, si chiama A. Quali sono le alternative dopo la prima A? La pi comune la ripetizione: qualcosa, seguito da qualcos'altro che ancora la stessa cosa (AA), o letteralmente, o entro un certo grado di riconoscibilit. Il primo principio nella generazione della forma musicale quindi quello dell'identit. Ma il secondo principio , quello di identit o di contrasto, difficilmente definibile come meno fondamentale: qualcosa, poi qualcos'altro. (E dopo tutto, a parte fermarsi, cos'altro si potrebbe fare?) Ci fa sorgere la pi semplice delle forme binarie, o a due parti: AB. Combinando ripetizione e contrasto si ha la forma ternaria, o forma a tre parti. ABA: qualcosa, qualcos'altro, poi di nuovo la prima cosa (sebbene si possa notare che anche a questo primo stadio compare una sorta di incrinatura fra la nostra rappresentazione della musica e la nostra esperienza di essa, poich la A finale ha una storia differente dalla prima A, e cos non risulteranno mai uguali all'ascolto anche se ciascuna nota identica e, cosa meno probabile, se l'esecutore la suona esattamente nel modo in cui ha suonato la prima A). E dobbiamo soltanto applicare in serie il principio del contrasto dando vita a C, D e cos via per generare il terzo dei modelli fondamentali nei quali si presenta la musica, A modello che, nella tradizione classica occidentale, chiamato rond: ABACADA... Forme binarie, ternarie e rond ricoprono complessivamente una gran porzione della musica all'interno e all'esterno della tradizione occidentale. E la portata di questo criterio classificatorio viene enormemente ampliata da un ulteriore principio: ripetizione e contrasto possono verificarsi in maniera ricorrente, dando cos origine a gerarchie. In realt abbiamo gi incontrato questo principio sin da quando abbiamo iniziato a distinguere qualcosa" da "qualsiasi altra cosa" allo scopo di definire il pezzo musicale, e successivamente abbiamo fatto la stessa cosa all'interno del pezzo. Analogamente ogni A pu essere suddivisa al proprio interno in A e B oppure, per essere forse pi chiari, in A1 e A2, e ciascuna A1 pu essere ancora suddivisa in A1a e A1b e cos via. Vista in questo modo, la forma il risultato di una serie di differenziazioni che procedono dal livello del "pezzo" verso unit via via pi piccole. Questo tipo di approccio non implica necessariamente l'uso di simboli alfabetici; la tabella 1, ricavata dal Trait de haute composition musicale di Antonin Reicha del 182426 [riprodotta in Bent e Drabkin 1987, trad. it. p. 25], fa uso di numeri per indicare le sezioni, combinandoli con un simbolismo a base di legature che assomiglia ai diagrammi a ombrello usati nei manuali americani contemporanei. (Ogni legatura indica un'unit formale, le legature di primo livello sono raggruppate sotto altre di livello superiore; e naturalmente tutto il contenuto del diagramma di

Reicha si potrebbe raggruppare sotto un livello ancora pi alto, corrispondente all'intero movimento). Inoltre si pu esprimere lo stesso approccio mediante quel tipo di diagramma ad albere) che numerosi metodi analitici del xx secolo condividono con la linguistica strutturale. Non un caso che gli stessi tipi di diagrammi ad albero ricorrano anche nelle genealogie, negli organigrammi aziendali, nelle tassonomie botaniche e zoologiche, negli stemmata codicum dei filologi; tra questi, almeno gli ultimi due possono essere visti come espressioni dell'esigenza classificatoria che pervase la scienza europea tra la fine del Settecento e l'Ottocento. Ed all'interno di questo contesto, e come parte della codificazione manualistica del sapere, che si svilupparono le tassonomie formali come quella di Reicha: esse potevano far uso di simboli alfabetici (ABA, ABACADA ...) o di nomi propri (formasonata, rond), ma in entrambi i casi rappresentavano una sorta di storia naturale dei tipi musicali. Analogamente ad altri schemi di classificazione, quello che io chiamer il modello tassonomico della forma assume valore esplicativo in un gran numero di campi. Assimilare un pezzo di musica a una tassonomia formale non contribuisce di per s alla sua comprensione estetica, e Allinizio del Novecento l'applicazione meccanicistica di tali schemi procur una cattiva reputazione all'analisi della forma. Essa rappresentava la musica come una serie di scatole allinterno di altre scatole, tipo matrioska, o magari come un sistema di ingranaggi e rotelle di un orologio meccanico. Ma dov'era allora la causa prima, il senso di movimento musicale attraverso il tempo, la forza motrice di un evento che ne implica un altro? Un modello del tipo AB non comporta forti implicazioni rispetto a cosa verr dopo: esso potrebbe essere seguito da un'ulteriore A, oppure no. In modo analogo, ABA potrebbe essere seguito da un'altra B o da C, oppure da nient'altro. Ma ci vuole ben di pi in quelle situazioni dove si richiede una data continuazione, oppure tutta una serie di continuazioni, affinch la struttura formale assuma la massima rilevanza estetica. Per ovviare a ci necessario un principio complementare, e ancora una volta possiamo definirlo in prima approssimazione, traendolo dalla metafora fondamentale della musica in quanto forma. Ho gi citato l'affermazione di Nettl secondo la quale nel mondo non si ', canta" semplicemente, ma si canta qualcosa. difficile sapere se la percezione che si tratti di qualcosa in movimento, in qualche modo fluttuante sullo sfondo della corrente temporale, sia egualmente universale. Questo il modo in cui lo rappresenta la notazione su pentagramma, come un diagramma bidimensionale le cui coordinate sono laltezza e il tempo; quantunque la notazione su pentagramma sia fortemente dipendente dalla cultura che l'ha prodotta, la sua assimilazione relativamente agevole da parte di altre culture musicali sembra testimoniare l'universalit del tipo di rappresentazione cartesiana su cui si basa la traduzione delle altezze sonore in termini spaziali. La metafora secondo cui la musica si muoverebbe, e nel muoversi delimiterebbe un campo bidimensionale, profondamente annidata all'interno della cultura occidentale [Scruton 1997, pp. 4952]. E un tale movimento genera chiaramente delle implicazioni. Esempi particolarmente chiari di questo tipo di implicazione potrebbero essere trovati nelle ouvertures di Rossini, nel preludio del Rheingold di Wagner, o nelle musiche tradizionali del Sudest asiatico in generale e della Thailandia in particolare. Partite con andatura circospetta e pacifica, le ouvertures di Rossini aumentano gradualmente in velocit, volume ed energia per poi raggiungere un punto culminante che annuncia l'inizio dell'opera in senso stretto. Il preludio del Rheingold esordisce da profondit sotterranee e si eleva gradualmente al registro consueto del discorso musicale, quasi come una goccia che trapela lentamente attraverso uno spesso filtro, si avvolge in mulinelli e ribolle con impeto crescente fino a che la prima nota cantata dell'opera non interviene a spazzare via il tutto. E nella musica thailandese il suono penetrante dei ching (piccoli cimbali che vengono percossi dalle dita) articola un controllato accelerando che racchiude la morfologia dell'intero pezzo. (Si noti che ciascuno di questi esempi mostra un incremento su larga scala dell'energia musicale: non riesco a pensare a un esempio fatto nel modo inverso, un preludio

zel Rheingold che scompare nelle profondit. Forse questo un altro di quei rari universali o quasi universali della musica). E stato affermato che la previsione meteorologica pi attendibile in genere quella che prevede per domani lo stesso tempo di oggi. Gli esempi che ho fatto a proposito di quella che potremmo chiamare la "forma processuale" (per analogia con la "musica processuale" dei minimalisti nord-americani) funzionano allo stesso modo: ogni processo gi in atto tende alla la propria continuazione, sebbene in ogni situazione data possa esistere un ventaglio di possibilit rispetto alla forma che tale continuazione potr assumere [per una trattazione teorica generale si veda Meyer 1973]. Vale a dire che la musica diventa continuamente pi veloce, dinamicamente pi forte e/o pi acuta nel registro, con un incremento del suo livello di energia fino ad arrivare a un punto di rottura che ne determina l'arresto. All'interno della musica thailandese questa la norma. Entro la tradizione classica occidentale ci rappresenta invece l'eccezione. La musica della cosiddetta prassi stilistica comune (commonpracticesty1), diciamo fra il 1700 e il 1900, generalmente caratterizzata da modelli di tensione e rilassamento lungo profili ad arco i quali, analogamente alle ripetizioni e ai contrasti del modello formale tassonomico, ricorrono su una molteplicit di livelli, a partire dalla frase facilmente definibile come ci che pu essere cantato con un singolo respiro fino ad arrivare all'intero movimento. Abbiamo onde all'interno di onde, che corrispondono alle scatole concentriche del modello tassonomico. E mentre queste ultime conferiscono alla musica una complessit non priva di una sfumatura meccanica, le onde all'interno di onde avvicinano la musica ai moduli periodici che articolano la vita umana, a partire dall'ambiente (il giorno e la notte, le stagioni) fino agli aspetti biologici (il coito, la mestruazione o il ciclo della vita, per esempio). Abbiamo quindi un'immagine a due facce della forma musicale, nella quale il disegno schematico delle sezioni una distribuzione puramente spaziale integrato da una modellazione cronologica dell'energia musicale. Ogni immagine della forma trasmette le proprie associazioni e il proprio A simbolismo. E ciascuno di questi principi formali opera a molteplici livelli, a volte in reciproca sincronia (per esempio nella struttura di frase della musica ottocentesca, caratterizzata dallo stretto coordinamento fra l'organizzazione delle sezioni e quella delle tensioni), a volte in contrasto. Questa, in nuce, costituisce l'idea fondamentale della forma musicale cos come, verso la fine dell'Ottocento, poteva essere compresa da un musicofilo o da uno studente di conservatorio europeo o nordamericano. A dire il vero, essa era stata sviluppata a un livello molto raffinato (e tecnicamente complesso) da teorici di professione come Hugo Riemann. In ogni caso, piuttosto che registrare questi sviluppi mi rivolger alla critica di fondo che nel corso del Novecento venne alimentata nei confronti di tali metodi da una serie di critici, a partire da Heinrich Schenker (pianista e insegnante viennese i cui scritti sono stati sorprendentemente trasformati in testi canonici dalla music theory americana del dopoguerra) fino al pianista e storico Charles Rosen. E in particolare tratter della formasonata, la quale non fu soltanto la pi prestigiosa tra le forme della musica classica (indicando con ci la musica della tradizione "d'arte" occidentale, dal 1750 circa fino a Ottocento inoltrato), ma anche il principale campo di battaglia sul quale continuarono a scontrarsi le contrapposte concezioni della forma. 2. Il caso della sonata. Per capire la formasonata, afferm Schenker, necessario scartare i concetti e la terminologia della teoria convenzionale [1979, 1, p. 133]. Qua-1i erano dunque questi concetti e questa terminologia? Le sonate classiche erano scritte in diversi movimenti, ma fu la struttura convenzionale del primo e generalmente pi significativo movimento a dare origine al nome "formasonata". La tabella i, sebbene con

etichettata come "formasonata" (il termine risale soltanto alla met dell'Ottocento), rappresenta infatti qualcosa di molto simile ad essa; la tabella 2, tratta da un manuale per lo studio delle sonate pianistiche di Beethoven scritto tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento [Harding 1901 , vol. III], pi caratteristica e con [forma-sonata.rtf] Formasonata. Questa forma si compone di tre parti che possono essere chiamate rispettivamente enunciazione, sviluppo e ripresa; ci che segue uno schema approssimativo di ciascuna parte:

Enunciazione Ripresa [FI

Sviluppo [E]

Primo Soggetto nella tonalit Primo Soggetto nella tonalit

In questa parte vengono svi

d'impianto (A) seguito da un d'impianto seguito dall'epi--

luppati i terni principali pre

episodio di collegamento (pon sodio di collegamento tra-

senti nell'enunciazione. Le

te) che modula alla tonalit di sposto in modo da condur--

modulazioni sono disposte

dominante (B). re alla tonalit d'impianto

in modo da ricondurre alla

Secondo Soggetto nella tonalit (invece che a quella di do--

tonalit d'impianto.

di dominante, dopo il quale minante).

c' una coda (C) che termina Secondo Soggetto nella tona--

nella tonalit di dominante lit d'impianto dopo il qua-

(D). coda che, natu-

le viene la

Doppia stanghetta e ritornello ralmente, si conclude nella

(a piacere). tonalit d'impianto.

A) Il primo soggetto termina con una cadenza perfetta nella tonalit d'impianto, ma questa regola viene spesso trascurata per esempio nelle Sonate n. i e n. 19 il primo soggetto del primo movimento termina su una cadenza imperfetta; nella Sonata n. 23 il Primo soggetto termina sulla dominante; nella n. 9 la fine si sovrappone all'ingresso dell'episodio di collegamento. B) L'episodio di collegamento, chiamato alcune volte "ponte, consiste in passaggi modulanti che conducono dalla tonalit del primo soggetto a quella del secondo soggetto; questi passaggi possono essere costruiti sul primo soggetto oppure su nuove idee. C) Quando il movimento in una tonalit maggiore, 9 secondo soggetto generalmente nella tonalit di dominante (quando il movimento in una tonalit minore, 9 secondo soggetto di solito nella tonalit della relativa maggiore); ma ci sono molti esempi nei quali esso si presenta in altre tonalit: si vedano le Sonate n. 1, 2, 3, 14, 16, 17, 2 il 2 31 2 71 29, 3 2. Queste eccezioni si applicano anche al secondo soggetto nella forma di rond; si vedano le Sonate n. 10 e 19. D) La coda consiste in pochi passaggi che confermano la cadenza perfetta nella tonalit di dominante. E) Lo sviluppo (libera fantasia) che costituisce la seconda parte del movimento, contiene gli "sviluppi" dei temi enunciati nella prima parte. Questi devono essere "di tipo contrappuntistico, a canone, ad imitazione o fugato". Si possono introdurre nuove idee per combinarle con il materiale precedente. Questa parte deve terminare riconducendo alla tonalit d'impianto (10 sviluppo non dovrebbe esordire nella tonalit d'impianto).

F) La ripresa, o terza parte, consiste in una ripetizione dell'enunciazione; il secondo soggetto tuttavia trasposto nella tonalit d'impianto e il precedente episodio di collegamento modificato in modo da condurre a quella tonalit. La coda spesso prolungata e qualche volta contiene idee nuove. tiene quella che da allora divenne la terminologia standard per indicare le sue sezioni, eccezion fata per luso del termine enunciazione" (contrapposto e "esposizione Il termine usato in senso descrittivo se non proprio tecnico da Reicha.) Nel descrivere la forma sonata Harding la divide in tre parti, Reicha in due sebbene la sua premire section de la seconde partie sembri una sezione separata; ma ci di per s significativo: la tensione tra la forma a due o a tre parti caratteristica della formasonata. Ed entram-bi i teorici mostrano chiaramente il parallelismo fra la prima parte (lesposizione o enunciazione) e l'ultima (la ricapitolazione), mediante gli stessi due "soggetti" (Reicha si riferisce ad essi chiamandoli motif e ide che nell'esposizione appaiono in differenti tonalit, e in sede di ricapitolazione nella tonalit dimpianto. Ma n i dettagli dello schema, formale, n la terminologia erano definitivamente fissati. Francesco Galeazzi [1796, riassunto in Ratner 1980, p.220] parlava di un "motivo', cio di un tema nella tonalit principale che tramite unuscita conduceva a un "passo caratteristico" nella seconda tonalit. Essi corrispondono rispettivamente al primo tema, alla modulazione e al secondo tema. Dai nomi che ho citato in questo paragrafo si potr rilevare lascendenza ampiamente europea di quella che in ultimo venne definita formasonata. In ogni caso, la sua rappresentazione grafica pi concisa si suole effettuare per mezzo di lettere, come ad esempio nella tabella 3 [Cook 1996, p.158] La formasonata facilmente comprensibile come modello strutturale; ci che forse pi difficile da comprendere il ruolo che essa ha occupato nel pensiero musicale del XIX secolo. il diagramma d' Harding concepito come una guida pratica, ma il testo delle note stampato in piccolo appare pi come una serie di norme ( Questa parte deve terminare riconducendo alla tonalit d'impianto) che tuttavia in alcuni casi entrare in contrappo-sizione con quanto aveva fatto lo stesso Beethoven questa regola viene spesso trascurata). Altri teorici coevi adottarono, un approccio anche pi normativo; la voce sonata nell'edizione 1898 del Dictionary of Musical terms di Stainer e Barrett prestata una storia della forma da Corelli a Beetho-ven nei termini di un costante anelito ad una forma fissa nella quale si esaltano i precorrimenti della genuina forma sonatistica, mentre se ne deplorano le deviazioni (perfino Cherubini, con tutto il suo amore per la forma, scrisse qualche volta sonate in 1 forma non genuina) [Stainer 1898, pp. 410, 413].Oggetto del contendere fra critici quali Schenker e Rosen da un lato, e i sostenitori della "teoria convenzionale` dallaltro, non erano tanto i modelli formali quanto il significato da ascriversi ai medesimi. In altre parole, la controversia era non meno estetica, e perfino ideologica, che tecnica. Schenker vedeva il problema centrale della composizione musicale come una creazione di lunghezze, e considerava la ripetizione come la tecnica fondamentale per il raggiungimento di tale scopo. Ci che egli aveva in mente era comunque quanto mai diverso da quella duplicazione della forma a mo' di "scatole cinesi" che ho appena descritto. Questo perch anche Schenker condivideva l'idea romantica secondo la quale i compositori o almeno i veri compositori, quelli che Schenker chiamava i compositori di genio concepivano ciascuna delle proprie composizioni in un singolo atto mentale, come abbracciandole con un solo sguardo; a questo proposito egli citava un'affermazione largamente diffusa che veniva attribuita a Mozart fino a quando non stata di recente identificata come un falso ottocentesco [Solomon 1988, pp. 126381. E il suo approccio analitico derivava per cos dire dal colpo d'occhio del genio, ripercorrendo il processo d'individuazione attraverso cui un'iniziale visione compositiva d'assieme si arricchiva di livelli via via pi definiti col procedere della creazione musicale. Come ho detto in altra sede, Schenker mostr che la maggior parte delle composizioni appartenenti alla tradizione classica potevano essere ricomprese nel modello basilare di una singola frase musicale enormemente espansa mediante una serie di elaborazioni; il

suo sistema di analisi consiste essenzialmente nello svestire la musica dalle elaborazioni, riconducendola in tal modo al modello soggiacente [Cook 1998, p. 32; cfr. anche Cook 1987; Drabkin, Pasticci e Pozzi 1995]. Il risultato un sistema teorico di considerevole efficacia e flessibilit, il cui scopo dimostrare la relazione strettamente logica tra il modello soggiacente (che Schenker chiam livello profondo 52) e i dettagli della musica apparentemente pi minuti e arbitrari. Ma come si pu conciliare un approccio siffatto con la "formasonata" dei pedagoghi, le sue ripetizioni, i suoi primi e secondi soggetti, le sue esposizioni, sviluppi e ricapitolazioni? In verit non era possibile alcuna riconciliazione; Schenker vedeva la "formasonata" da manuale come nient'altro che un modulo burocratico, un letto di Procuste sul quale i falsi teorici (come lui li chiamava) avevano disteso i capolavori della tradizione classica come tanti cadaveri. Secondo Schenker tutto ci che dava vita alla musica risiedeva nel livello profondo, o piuttosto (e la distinzione importante) nel modo in cui la superficie musicale cio la musica in partitura entra in relazione con il livello profondo. In particolare egli vedeva l'inizio della ricapitolazione (il momento in cui il tema d'apertura torna alla tonalit d'origine) come un"'interruzione", un punto di cesura drammatica; invece di scorrere costantemente e direttamente verso il suo punto conclusivo, la musica veniva, per cos dire, fatta rifluire a forza verso il punto di partenza. Visto in questo modo, il punto della ricapitolazione diventa un punto di crisi, la svolta decisiva di un dramma interno. Oppure si potrebbe metterla in termini pi direttamente compositivi e dire che la principale sfida tecnica nella costruzione di una formasonata consiste nel rendere in qualche modo coerente la sua caratteristica discontinuit strutturale. Allora il processo spesso tortuoso della dialettica tonale nelle sezioni di sviluppo, le giravolte della direzione armonica che conducono alla tonica, alcune volte direttamente e altre volte con enormi deviazioni, si possono concepire come una drammatizzazione di questa sfida.

Vista in questo modo, la musica attira l'ascoltatore nella sfera compositiva. Condividiamo con Mozart la sensazione per cui il ritorno alla tonica strutturale nel, primo movimento della Sonata K 284 avviene improvvisamente, senza preavviso, e deve essere equilibrato da una ricapitolazione insolitamente stabile, mentre l'omologo ritorno nella K 279 risulta quasi fin troppo facile e senza sofferenza; forse per questo che la ricapitolazione della K 279 introduce a un livello pi alto di tensione armonica e tonale prima di ricondursi definitivamente alla tonalit d'impianto [Cook 1996, pp. 17374]. Spingendo ancora oltre il medesimo principio, condividiamo con Beethoven la sensazione di rottura tonale (cesura non termine abbastanza forte in questo caso) all'inizio della ripresa nel primo movimento della Quinta Sinfonia, e collaboriamo con lui a "randellare" la musica cos da risospingerla verso una sembianza di unit tonale nel seguito del movimento. Un conflitto che sfocia in una coda enormemente prolungata, quasi a controbilanciare la sezione di sviluppo, disgregando in tal modo il tradizionale equilibrio della formasonata [Cook 1987, pp. 28688]. E una tale comunione d'intenti, reale o fittizia, con i grandi compositori del passato rappresenta precisamente il tipo di impegno che Schenker richiedeva allascoltatore musicale. Per contro, a suo modo di vedere, i manuali nei quali si rappresentava la sonata come una serie di eventi di superficie susseguentisi l'un l'altro senza nesso n ragione che non fosse l'uso stabilito dalle convenzioni, riducevano la comprensione dei capolavori al livello di omaggio a una manfrina ritualizzata.Oggi molti musicisti (specialmente nei paesi anglofoni) ritengono che, rispetto a quello tassonomico, l'approccio di Schenker dia origine a una comprensione decisamente pi adeguata della formasonata. Ma Schenker non giov alla propria causa comunicando il suo messaggio in testi dalla scrittura densa, che mescolano in maniera tutta personale descrizioni tecniche complesse e a volte proibitive, metafisica ottocentesca e

generose dosi di invettiva ad hominem. E per tanti musicisti che oggi valutano positivamente il suo approccio ce ne sono altrettanti che lo considerano pi interessato al modello soggiacente che non alla musica realmente visibile e udibile. (Non irrilevante considerare che Schenker lavorava nella stessa citt e nella stessa epoca di qualcuno che impresse una svolta assai pi radicale all'antica diffidenza della filosofia occidentale nei confronti delle ap-parenze e alla sua propensione a invocare arcane profondit: SigmundFreud). Per esempio Charles Rosen lamenta che il criticism, termine con il quale egli si riferisce a una comprensione pi umanistica della musica ri-spetto all'analisi schenkeriana, non la riduzione di un lavoro alle sue simmetrie individuali ed interne, ma il continuo movimento dall'esplicito all'implicito viceversa. Ed esso deve finire l dove iniziato in superficie [cit. in Kerman 1985, p. 85] L'approccio di Rosen alla formasonata offre un illuminante contrappeso la quello di Schenker. Rosen non crede pi di Schenker alla "forma-sonata" dei manuali, bens nelle formesonata, donde il nome del suo libro [Rosen 1988]. In altre parole egli interessato alla variet dei modelli di sonata, o di forme simili alla sonata, che si trova nella musica di compositori quali Haydn, Mozart e Beethoven. Ma, come per Schenker, un'esigenza esplicativa a motivare questo interesse. In estrema sintesi, Rosen considera la sonata classica come un'espansione dello schema formale del tipo consonanzadissonanzaconsonanza che si pu trovare in una singola frase dove successioni di tonalit prendono il posto delle progressioni armoniche. (La tonalit d'apertura della formasonata una consonanza, laddove il movimento alla dominante una dissonanza risolta tramite il ritorno finale alla tonica). Ed esiste una variet di modi nei quali questo senso di risoluzione formale pu essere trasmesso: da qui la variet di formesonata. In tal modo l'approccio di Rosen si basa sull'idea del prolungamento non meno di quello schenkeriano, sebbene egli elabori quest'idea in maniera assai diversa. Si potrebbe dire che tanto Schenker quanto Rosen vedono la musica classica come governata dalla metafora del prolungamento, come un collegamento di micromoduli produttivo di effetti direttamente percepibili su larga scala; quest'ultima la risultante di una concezione non meno che di una percezione. Entrambi vedono la forma non significante di per s, in quanto modello statico, ma piuttosto come dinamica interazione fra l'organizzazione soggiacente e la superficie udibile un'interazione che deve essere interiorizzata dall'ascoltatore che voglia apprezzare appieno la musica. Epossibile rintracciare l'effetto delle concezioni contrapposte nella terminologia stessa della formasonata. Un tempo era normale far riferimento agli elementi contrastanti dell'esposizione come a un primo e secondo " soggetto o "terna". (termini che implicano entrambi un legame con l'oratoria, una preoccupazione per largomento" della musica). L'influente critico musicale britannico Donald Tovey, che scrisse tra le due guerre, detestava questi termini; egli li vedeva come un implicito suggerimento a considerare la formasonata come costituita da un certo numero di melodie in successione, e perci sostitu loro il termine "gruppo". E pi tardi l'influenza di approcci come quello schenkeriano, per quanto annacquati, condusse a un ulteriore abbandono delle melodie in favore delle tonalit: divenne comune riferirsi a una prima e una seconda "area tonale", quasi a suggerire che gli elementi di superficie della musica melodie, struttura della frase, orchestrazione servano a esprimere un'organizzazione soggiacente di tipo tonale. Ma Rosen, mettendo l'accento sulle relazioni dinamiche fra la struttura soggiacente e la superficie, lamenta che un approccio puramente tonale alla formasonata non sia preferibile a quello puramente tematico. Infatti egli propende ad apprezzare l'idea della forma a prescindere da ogni sorta di descrizione puramente strutturale, descrivendo invece la sonata come un modo di scrivere, una certa sensibilit per le proporzioni e per gli stati di tensione, [piuttosto] che non una forma [Rosen 1976, trad. it. p. 3 3]. Infatti a un certo punto egli si riferisce a una struttura [texturel chiamata sonata Ibid., p. 32]. Pu sembrare piuttosto bizzarro ridurre la formasonata a una texture! Ma Rosen ha in mente qualcosa di preciso: egli vuole sottolineare la continuit fra la sonata classica e il concertato operistico, e il modo in cui

entrambi dipendevano da uno stile che permetteva la presentazione e la riconciliazione di pi voci. Egli spiega che i temi o i soggetti di una sonata sono disposti come fossero personaggi di un'opera, e lo sviluppo e la riconciliazione dei loro rapporti si attua esattamente secondo gli stessi principi di un'opera mozartiana [per un confronto specifico tra la formasonata e le pagine iniziali delle Nozze di Figaro il duetto tra Figaro e Susanna si veda Cook 1987, pp. 26163]. Naturalmente la differenza sta nel fatto che i protagonisti della sonata non hanno nomi, sono delle astrazioni, e la struttura della narrazione conosciuta in anticipo dall'ascoltatore. La sonata, in altre parole, funziona allo stesso modo di una tragedia greca, in quanto si basa su una trama stereotipa la cui conoscenza definisce la comunit culturale di appartenenza. E noi potremmo sviluppare quest'idea dicendo che se la sonata classica stata compresa all'interno della metafora dominante del dramma, la sonata del tardo Ottocento riflette la transizione verso il romanzo come maggiore forma letteraria del momento: qualsiasi sviluppo tecnico (per esempio l'indebolirsi del contrasto tonale, o il programmatico accrescimento degli elementi condivisi fra i temi) indica la sostituzione di un paradigma privato e soggettivo a uno pubblico, e in tal senso oggettivo.

Vista in questo modo, la forma non pi qualcosa da ascoltare (un modificare eventi sulla superficie della musica) e neanche il processo di oscillazione tra la superficie e la struttura soggiacente espresso dall'analisi schenkeriana c/o dal criticism di Rosen. Essa rappresenta piuttosto un orizzonte di aspettative all'interno del quale si colloca l'azione dell'ascolto. Il termine Il sonata", scritto all'inizio di una partitura o del programma di un concerto, diventa una sorta di etichetta commerciale. Essa enuncia un contratto fra il compositore e l'ascoltatore (o pi precisamente fra la composizione e l'ascoltatore). In breve, la forma veramente "interna" quella pienamente interiorizzata nell'esperienza della musica cessa di essere "forma" nel senso in cui abitualmente usiamo quel termine, e diventa indistinguibile dal genere.

3. Descrizione e prescrizione. Applicata alla musica, l'idea kantiana di "distanza estetica" suggerisce che essa dovrebbe essere ascoltata non come esperienza sensoriale istantanea, ma piuttosto come lo svelarsi della forma. E per la maggior parte del Novecento il valore dell'ascoltare la musica come forma stato considerato di per s evidente; un valore sia sociale sia estetico esso informava tanto quella music appreciation che in Nordamerica compresa nei piani di studio della scuola umanistica, quanto l'istruzione specialistica offerta nei conservatori e nelle universit. Ma ascoltare la musica come forma, in una qualsiasi delle accezioni sopra descritte, non un'operazione naturale. Ecco perch si sono diffusi corsi di educazione all'ascolto (aural training) o di ascolto strutturale (structural listening) il cui scopo era effettuare la transizione dall'immersione sensoriale istantanea nelle propriet della musica a una comprensione informata, durante la quale la comparsa di ogni evento era posta in relazione con le macroorganizzazioni formali della musica. Fino a tempi recenti questo processo di acculturazione forzata mancava quasi del tutto di teorizzazioni esplicite; lo si considerava semplicemente un procedimento per "educare" (educere, tirar fuori) le potenzialit dell'individuo di esperire la musica in modo esteticamente pi informato. Nel 1988, per, un importante saggio di Rose Rosengard Subotnik demol l'idea secondo la quale l'ascolto strutturale rappresenterebbe la mera intensificazione di una reazione naturale, rilevando invece il suo orientamento ideologico, la sua complicit con le strutture istituzionali che costruiscono e sostengono le egemonie musicali e culturali. In effetti, essa dimostr fino a che punto l'ascolto strutturale e i modelli formali di musica da esso suffragati non siano descrittivi ma prescrittivi.

Le concettualizzazioni della musica come forma e ancor pi come linguaggio sono state segnate da costanti confusioni tra il. descrittivo e il prescrittivo. Ci diventa pi ovvio nell'interazione fra musica e psicologia percettiva. Fino a non molto tempo fa gli psicologi tendevano a leggere le frasi di autori quali Schenker o Rosen (o, pi specificamente, le formulazioni dei testi di music appreciation) come enunciazioni di fatti scientifici. Per esempio, se tali autori imputavano l'effetto di alcuni particolari eventi strutturali al loro ruolo entro un progetto tonale complessivo, gli psicologi potevano domandare la prova della reale percettibilit di questo progetto e,in mancanza di essa, concludere che le ricerche sulla psicologia della musica potrebbero produrre l'auspicabile effetto di favorire maggior cautela, moderazione e umilt nei critici e teorici della musica, le cui affermazioni spesso perentorie sono in realt mere speculazioni [Gotlieb e Konec^ni 1985, p. 981. E gli psicologi avevano ragione a sospettare che molte delle fiduciose attribuzioni di effetti estetici contenute negli scritti sulla musica non fossero suscettibili di dimostrazione empirica; nel corso di semplici esperimenti da me condotti, non si trovata una sola prova diretta che gli ascoltatori percepissero effettivamente un ritorno alla tonica d'apertura oltre un lasso di tempo superiore a un minuto circa [Cook 1994; per uno studio pi elaborato che raggiunge conclusioni analoghe cfr. Tillmann e Bigand 1996]. E si osserva che quando gli ascoltatori scoprono davvero una struttura tonale complessiva nella sonata e in forme analoghe perch essi riconoscono i tratti tematici, la tessitura e altre caratteristiche tradizionalmente associate alla struttura tonale (studio inedito di David Huron e altri, descritto in un messaggio inviato alla mailing list della Society of Music Theory, 23 giugno 1998); pi in generale, le risposte degli ascoltatori sembrano perlopi determinate assai pi significativamente dai tratti superficiali della musica di quanto non si potrebbe pensare leggendo i lavori della music theory [Clarke e Krumbans 1990; Rosner e Meyer 1986]. Qual il significato di questa frattura tra la forma musicale (come la vedono i teorici) e le risultanze percettive? Numerosi teorici ne sono rimasti turbati. In particolare Joseph Swain [1994] ha sostenuto che in tali circostanze l'unico modo per garantire ancora la validit del discorso teorico sulla musica una drastica delimitazione della comunit di ascoltatori alle cui percezioni si pu riconoscere rilevanza estetica. In definitiva, tale comunit dovrebbe circoscriversi ai soli compositori; secondo Swain i grandi compositori del passato non avrebbero scritto la loro musica nello stesso modo se avesse ecceduto la comprensione uditiva anche di un pubblico preparato, e perci un ascoltatore preparato dev'essere qualcuno in grado di percepire la struttura della loro musica. (L'ovvia circolarit di quest'argomentazione sbigottir coloro i quali sono convinti che la composizione accademica del secondo Novecento fosse infestata o dall'ingenuo presupposto secondo cui qualsiasi struttura intellettuale immessa nella musica produrrebbe conseguenze uditive corrispondenti, ovvero dall'indifferenza rispetto a una loro mancata produzione). Ma il dilemma proviene soltanto da un tacito assunto secondo cui le visioni teoriche della musica dovrebbero essere descrizioni immediate di come in effetti la gente (ossia la maggior parte di essa) ascolta la musica. Ma un simile assunto non affatto ovvio. In ogni caso abbastanza chiaro che non era questo lo scopo di Schenker; al contrario egli cercava di prescrivere come la gente dovrebbe ascoltare la musica, di cambiare quelle che egli considerava le abitudini di ascolto profondamente errate della societ in cui viveva. Il presupposto secondo cui la teoria musicale debba essere o scientificamente vera, oppure del tutto falsa, tradisce soltanto l'insensibilit verso gli scopi divergenti dei diversi discorsi. Schenker proveniva da studi legali; pertanto egli non mirava alla prova scientifica, ma alla persuasione.

In questo senso le prescrizioni estetiche sono state fraintese come descrizioni di esperienza ordinaria, le metafore esplicative come enunciati di fatto. Tali malintesi, abbastanza comuni in relazione alla forma musicale, diventano la norma quando si pensa alla musica come a un tipo di linguaggio. Non che questo fenomeno sia ristretto alla musica. Il linguista Roy Harris [198o; 1981] ha fatto un'identica osservazione circa la grammatica: un sistema originariamente concepito a scopi pedagogici, egli sostiene, fu in qualche modo preso a modello di processi psicologici, e il risultato quello che egli chiama in modo provocatorio la "pseudoscienza" delle strutture linguistiche. Gli argomenti di Harris sono a dir poco polemici; ma sono assai suggestivi se applicati ai tentativi contemporanei di teorizzare la musica sul modello della lingua, tentativi che in genere inglobavano gli approcci teorico-musicali esistenti esattamente come le linguistiche strutturali inglobavano la grammatica tradizionale.

Non c' bisogno di raccontare la storia nei dettagli, ed curioso che ancora una volta Schenker ne sia il centro. Milton Babbitt e Leonard Bernstein furono i primi a porre l'attenzione sul parallelismo fra la struttura gerarchica della teoria schenkeriana e quella delle linguistiche strutturali [Babbitt 1972, p. 2]; Sloboda 1985, pp. 1117]. Ma furono il compositore e teorico Fred Lerdahl e il linguista Ray Jackendoff a costruire sulla base di questa intuizione una teoria complessiva della musica che chiamarono teoria generativa della musica tonale (Generative Theory of TonalMusic, in acronimo: GTTM [Lerdahl e Jackendoff 1983]). Le fonti teoriche della GTTM non si limitavano affatto a Schenker (c'era in special modo un generoso apporto delle teorie di Meyer), ma decisiva fu la strutturazione dell'intero sistema sul modello delle linguistiche strutturali e, in particolare, l'adozione di un approccio normativo alla cognizione musicale. Nella loro stessa formulazione, essi miravano a un'esplicita grammatica formale della musica capace di modellare la relazione che l'ascoltatore instaura fra la superficie musicale manifesta di una composizione e la struttura che egli le attribuisce [ibid., p. 3].In sostanza, per Lerdahl e Jackendoff la teoria musicale diviene in tal modo una branca della psicologia: un pezzo di musica un'entit mentalmente costruita, di cui partiture ed esecuzioni sono rappresentazioni parziali mediante le quali il pezzo viene trasmesso [ ... ]. Il compito centrale della music theory dovrebbe consistere nello spiegare questa organizzazione mentalmente prodotta [ibid., p. 2]. Grazie all'esplicita, per non dire elegante, formulazione delle sue regole e la sua conseguente apertura alla dimostrazione o alla confutazione empirica, la GTTM divenne rapidamente il modello di teoria musicale dominante nella letteratura psicologica, sebbene non abbia mai avuto lo stesso impatto nei circoli teorico musicali. Ma tutte le implicazioni di che cosa significhi teorizzare la musica sul modello del linguaggio divennero chiare soltanto in una serie di pubblicazioni successive di Lerdahl, particolarmente in quella dove egli discusse una variet di incontri mancati fra la grammatica dell'ascolto e la grammatica della composizione [Lerdahl 1988]. Il suo punto di partenza Le marteau sans maitre di Boulez, la cui elaborata organizzazione compositiva fu resa nota nei dettagli soltanto molti anni dopo la prima esecuzione. A buon diritto egli evidenzia che il modo in cui gli ascoltatori recepiscono il pezzo ha poca o nessuna relazione con quella organizzazione. A causa del postulato iniziale: un pezzo di musica un'entit mentalmente costruita, di cui la partitura sarebbe soltanto una rappresentazione parziale, diviene impensabile per Lerdahl contemplare l'eventualit che siffatta divergenza possa non essere di per s un fenomeno culturalmente significativo, paragonabile per esempio all'adozione della serie di Fibonacci nei progetti architettonici di Le Corbusier (o, nel caso in questione, alla preponderanza della struttura sulla percezione che si rivela caratteristica della

sonata classica). Al contrario, tale divergenza deve essere vista come un incontro mancato fra la grammatica dell'ascolto e la grammatica della composizione, una sorta di "errore di calcolo" sul piano compositivo. E cos, come ho sostenuto altrove [Cook 1994, p. 87]:egli [Lerdahll continua a prescrivere una quantit di condizioni che devono essere soddisfatte se si vuole evitare questa sorta di incontro mancato. E formula due leggi estetiche generali: la musica migliore nasce da un'alleanza della grammatica compositiva con la grammatica dell'ascolto e la musica migliore utilizza appieno il potenziale delle nostre risorse cognitive [1988, pp. 25556]. Se la prima di queste leggi esclude Le marteau e la musica seriale in genere, la seconda ha effetti ancora pi drastici: restano escluse le Atmosphres di Ligeti perch in esse la distinzione fra gli eventi confusa [p. 239], la musica gamelan di Bali inadeguata a causa della sua rudimentale gamma di altezze [p. 256] e la musica rock fallisce a motivo della sua insufficiente complessit. (La musica rock attrae pubblici enormi, riveste un ruolo centrale nello sviluppo personale e sociale dei giovani, produce colossali fortune, ma fallisce ugualmente). C' in questo modo un'enorme differenza tra il vedere, sull'esempio di Lerdahl, la musica come un linguaggio, o almeno sostenere che essa condivida con il linguaggio il meccanismo cognitivo di base, e il considerarla simile per certi versi a un linguaggio assumendo, per cos dire, come metaforico il legame tra musica e linguaggio. E sebbene il vero nodo del problema sia proprio il binomio musica e linguaggio, il termine "sintassi" ci consente di metterlo a fuoco con maggiore precisione. Tradizionalmente definita come lo studio del modo in cui le parole sono composte in frasi, la sintassi potrebbe essere collocata all'interno di un campo bidimensionale del quale l'asse verticale rappresenta una gerarchia che parte dalla fonetica e arriva all'analisi del discorso, mentre l'asse orizzontale vede la sintassi opposta alla semantica. Ma tutta questa impalcatura analitica si pu trasportare in musica solo con difficolt. Il discorso linguistico costruito con parole che sono, per cos dire, dispiegate in superficie, e la cui stabilit garantita dal loro riferirsi a oggetti e concetti esterni. Potremmo pensare agli "elementi" della musica che nella prassi stilistica comune potrebbero significare triadi e scale come al corrispettivo delle parole di una lingua; ci suggerisce che la sintassi musicale consisterebbe nelle regole per combinarli fino a un livello di complessit corrispondente al periodo (e il termine "periodo" stato usato, soprattutto da Schnberg, per indicare un livello di struttura musicale superiore a quello della "frase"). Ma molta della musica classica tradizionale non costituita dalla combinazione di triadi e scale in senso letterale. Spesso triadi e scale non sono affatto dispiegate alla superficie della musica; necessaria un'analisi (o un ascolto strutturale) per renderle evidenti. E in quel caso ha pi senso pensare a triadi e scale come astrazioni pedagogiche che non come elementi corrispondenti a un livello cognitivo distinto. A sua volta ci suggerisce che le "regole" della loro combinazione dovrebbero essere comprese nello stesso senso prescrittivo delle altre regole pedagogiche ad esempio le "regole" dell'etichetta. Ci stiamo allontanando rapidamente dal tipo di regola riscontrabile in linguistica. A ci si collega la permeabilit dei "linguaggi" musicali. Naturalmente, anche le lingue reali sono permeabili; si pensi al Pidgin English, la lingua franca del commercio anglocinese nata nell'Ottocento. Ma esse sono sostenute da comunit di parlanti, che sono molto pi stabili delle loro omologhe musicali. Forse si potrebbe delimitare una comunit musicale in termini di linguaggio tonale tradizionale, ossia il gi citato common practice style. Ma dove tracciare la linea tra quest'ultimo e il linguaggio della popular music o del world beat, i quali attingono entrambi a pratiche armoniche analoghe? Esistono comunit musicali definite dai linguaggi della popular music (ma quale popular music?) e del world beat? Il linguaggio seriale di Schnberg e dei suoi successori circoscritto a una comunit musicale? (In caso di risposta negativa dovremmo pensare al serialismo come all'equivalente musicale dell'esperanto?) E come se queste domande non imbrogliassero abbastanza il problema, si consideri il luogo comune secondo cui ogni

compositore dovrebbe creare il proprio linguaggio musicale, per cui si parla del linguaggio musicale di Verdi, o perfino del linguaggio musicale dell'ultimo Verdi. Trasportate in letteratura cio prese alla lettera tali pretese sarebbero assurde; mentre invece, usando un'ovvia metafora, parliamo di scrittori che trovano la propria "voce". L'idea di compositori che sviluppano il proprio linguaggio musicale non meno metaforica. Tutto ci significa che non serve a molto chiedere se la musica abbia o meno una sintassi; la risposta sar positiva o negativa a seconda di come si scelga di definire la sintassi. Swain [1995] per esempio, risponde affermativamente perch secondo lui sufficiente che la musica possieda dei rules of wellformedness [ regole del ben formato : cfr. Lerdahl e Jackendoff 1983, trad. it. p. 1991 (in talune situazioni una certa nota od accordo possono essere sbagliati quanto muovere diagonalmente la torre degli scacchi), e che essa possa essere strutturata gerarchicamente. A questo riguardo la musica davvero come la lingua. Ma in altri casi non lo , e se si sceglie di definire la sintassi in altri termini allora la risposta sar negativa. Un esempio dato da Douglas Dempster [1998], il quale considera come qualit essenziale della sintassi il modo in cui essa genera significato (la differenza di significato tra "Mary colpisce il ragazzo" e "il ragazzo colpisce Mary" generata ovviamente dalla sintassi, poich le due frasi sono costituite dalle stesse unit lessicali). E poich la musica non possiede lo stesso tipo di semantica referenziale della lingua, difficile vedere come essa possa essere sintattica in questo senso; nell' affermazione di Dempster essa non semanticamente compositiva [ibid., p. 6o]. Se il concetto di sintassi utile quando viene applicato alla musica, allora dobbiamo porre una domanda diversa, quella che ho formulato all'inizio di questo contributo: in quali modi un certo brano musicale possiede o non possiede propriet di tipo sintattico? Usata in tale accezione, l'idea di sintassi musicale pu essere illuminante.

4. Sintassi musicale.

La figura i mostra la fine della strofa e l'inizio del ponte di transizione al ritornello in Don't Look Back in Anger degli Oasis (parole e musica di Noel Gallagher). In questo esempio esiste chiaramente una continuit con ci che dovremmo senz'altro chiamare la sintassi della tonalit tradizionale. Sorprendentemente il ponte di transizione si basa su una progressione (IVVIIII con la caratteristica linea del basso per salti che conduce alla cadenza IVVI) reperibile in innumerevoli composizioni del periodo barocco e classico; il Canone di Pachelbel ne soltanto l'esempio pi vistoso. E la progressione espressa tanto nella melodia quanto nell'armonia. A parte le sincopi e alcuni dettagli della voce superiore, questo frammento potrebbe quasi passare per il lavoro di qualche Kapellmeister del Settecento,almeno fino all'improvvisa cadenza melodica alla quarta battuta di questa sezione (sulla parola by). Ancora pi estranea al xviii secolo la forma melodica delle due battute successive (sulle parole But don't look back), con la dissonanza non preparata dell'apice melodico in coincidenza con il la acuto (1a4) che non appartiene all'accordo di mi maggiore. In contrasto con queste elaborazioni melodiche tipicamente novecentesche di un modello armonico comune nel xviii secolo, la successione di accordi delle prime quattro battute chiaramente non classica, almeno fino alla cadenza IVV. Non che ci sia alcuna difficolt nel descriverla in termini di triadi armoniche o anche con la numerica romana: V VI bemolle vi bequadro V IV con il VI bemolle e il vi bequadro collegati da una nota comune (do); il tutto piuttosto alla maniera dell'armonia russa del tardo Ottocento. E allora cosa rende non classica questa successione di accordi?

La risposta s'impernia sull'armonia parallela, ma ci sono vari aspetti da considerare. Per primo la natura non direzionale della progressione, una sorta di melisma esteso al livello della successione armonica che contempla la cadenza sospesa della battuta 5, piuttosto che "puntarvi" direttamente; quasi come "scendere al volo da una scala mobile". Ci riflette una qualit generale della popular music che potremmo definire mancata sottolineatura delle implicazioni cadenzali, una qualit collegata a quelle inflessioni di minore e di sottodominante che rappresentano il contributo del blues al cocktail stilistico del rock (si collega anche al caratteristico uso della successione armonica VIV nel blues e nel rock, che la musica classica ha evitato in quasi tutti i casi, presumibilmente per mantenere l'implicazione cadenzale della dominante). Ma non soltanto la presenza dell'armonia parallela; esempi di armonia parallela abbondano anche nella musica classica. In ogni caso, dove i compositori del Settecento impiegavano le armonie parallele, si preoccupavano spesso di mascherarle sotto una superficie contrappuntistica che bilanciava il parallelismo attraverso l'uso del moto contrario. E in ogni caso essi evitavano le quinte parallele (e pertanto la posizione fondamentale degli accordi). Gallagher fa esattamente l'opposto: le armonie parallele stanno proprio alla superficie della musica, con una serie di accordi in posizione fondamentale che creano delle evidenti quinte parallele. C' un'apparente eccezione: nella battuta 3, dove l'armonia parallela (chiaramente visibile nella mano destra dell'accompagnamento) camuffata dalla settima, il sol al basso. Ma quando si ascolta la registrazione, il sol appena udibile; ci che risalta la serie di quinte parallele tra la melodia e il basso fondamentale. E questo fa sorgere un'ulteriore domanda: fino a che punto ha senso perseguire il tipo di affinit sintattiche che abbiamo evidenziato fra lo stile di Gallagher e quello del xviii secolo, quando la sonorit e la relazione fra suono e notazione sono cos diverse? E qui che vien meno l'idea di un incontro fra un Kapellmeister del Settecento e la canzone di Gallagher. Cook Forma e sintassi Solo nella penultima frase ho introdotto la parola che ha cercato di farsi strada attraverso gli ultimi due paragrafi: lo stile. Questioni come la misura in cui si dovrebbero mostrare le quinte parallele alla superficie della musica, anzich velarle pudicamente come le gambe dei tavoli vittoriani, hanno ben poco a che fare con le regole della linguistica strutturale o con quelle della sintassi vera e propria. Ma esse ricordano molto il tipo di dispute coltivate fino a oggi dagli stilisti letterari. In questo momento divampa nuovamente un dibattito pubblico, innescato dai compilatori dell'Oxford English Dictionary, se convenga o meno accettare nel buon uso inglese lo split infinitive (una forma di infinito con la frapposizione di un avverbio, ad esempio to boldly go piuttosto che to go boldly). Ci non ha nulla a che fare coi problemi di intelligibilit, col ricavare un certo significato piuttosto che un altro dalla costruzione delle parole; estraneo, per cos dire, all'ambito della sintassi. Si tratta invece di ci che persone diverse considerano buono stile, o finanche "buona forma", per usare una frase abbastanza antiquata, ma significativa in questo contesto. Potremmo vedere la cosa in termini di regole, ma (come ho gi suggerito) assomigliano piuttosto alle regole dell'etichetta, oppure della moda, che non a quelle del linguaggio. Come ha dimostrato Umberto Eco [1975, passim], i codici del vestire trasmettono dei significati e si collocano bene nell'ambito della semiologia. Ma la semiologia in questione molto pi ampia di quanto non consentirebbe il modello di sintassi strettamente inteso. Una volta situato il concetto di sintassi musicale, e pi generalmente quello di musica come linguaggio, entro il campo metaforico, ci si pu chiedere come culture musicali estremamente diverse abbiano incarnato questa metafora all'interno delle proprie concettualizzazioni della musica. Due. esempi brevemente esposti rappresenteranno la variet delle risposte possibili. Per tutto il Seicento e nel primo Settecento la musica si modellava consapevolmente sul linguaggio, ma su un linguaggio concepito in termini retorici piuttosto che sintattici. Il compositore e teorico Johann Mattheson affermava che ogni composizione ben formata dovrebbe consistere in exordium, narratio, propositio, confirmatio, confutatio e

peroratio termini che derivano dalla tradizione oratoria dell'antichit. Essa era valutata in base a quello che venne poi definito come il suo contenuto, la sua capacit di descrivere le passioni. In breve, la musica era vista come un tipo di discorso e, conformemente alle specifiche destinazioni dei modelli linguistici, si collocava a quello che potremmo definire il livello analitico del discorso: per esempio nell'adozione bachiana dei modelli formali derivati dalla tradizione retorica classica. Si potrebbe affermare che questo approccio alla musica come linguaggio riflettesse le preoccupazioni di una societ che vedeva la musica soprattutto come uno strumento di potere. Per contro, un insieme di preoccupazioni assolutamente diverse e talora contraddittorie informa nel xx secolo gli approcci alla musica come linguaggio, completamente in linea col fatto che la sintassi e non la semantica o l'analisi del discorso era considerata lo snodo strategico fra musica e linguaggio.

Questa nuova concezione della musica come linguaggio stata in primo luogo un mezzo per affermarne l'indipendenza nei confronti di altri sistemi di significazione. Se la musica era un linguaggio, allora non richiedeva i puntelli del testo, del palcoscenico o di altri contenuti extramusicali; in questo modo la metafora della sintassi serviva ante litteram all'obiettivo della musica assoluta. Analogamente, una composizione che incarnasse il suo proprio linguaggio, il suo proprio sistema di significazione, acquistava l'autonomia ricercata dai modernisti musicali; qui la metafora della sintassi articola gli stessi valori di altre variet del formalismo modernista. Entrambi questi aspetti si assommano nel lavoro di Arnold Schnberg e, specie durante il periodo atonale, nella sua consapevole ricerca di un linguaggio musicale, di un sistema di regole che compensasse la dissoluzione della tonalit (e dunque una tonalit non concepita in senso schenkeriano, cio come una sorta di legge naturale, un equivalente musicale della forza di gravit, ma piuttosto come un sistema convenzionale di regole con una propria storia e geografia, in altre parole: una sorta di linguaggio). Il serialismo, con le sue nuove regole per la combinazione degli elementi musicali cio la sua nuova sintassi realizzava e deludeva insieme le aspirazioni di Schnberg. Da un lato esso creava un metodo esplicito e di conseguenza una comunit di persone che lo condivideva e lo metteva in pratica. D'altra parte esso non riusciva a conquistare quella intellegibilit che Schnberg aveva sperato quando parlava di un'epoca in cui il garzone del droghiere sarebbe andato in giro fischiettando melodie seriali, una speranza sostenuta dall'idea che il pubblico avrebbe appreso il linguaggio seriale esattamente come aveva appreso quello della tonalit. Si potrebbe dire pi in generale che la svolta linguistica del criticism novecentesco (spiegata in testi come quelli di Deryck Cooke, The Language of Music, e di Donald Mitchell, The Language of Modern Music) rifletta un insieme di aspirazioni egualmente contraddittorie: verso l'autonomia della musica e il suo potenziale significato espressivo; verso la creazione di una comunit di ascoltatori e la rappresentazione delle differenze in una societ sempre pi multiculturale. Da un lato c' la pressante necessit di riconoscere il ruolo della musica come un linguaggio universale", metafora che rapidamente conduce a un ossimoro ' perch proprio nella misura in cui la musica universale essa non un linguaggio. D'altro canto c' la valorizzazione di comunit musicali parallele e indipendenti, incarnata nel concetto di bimusicalit proposto da Mantle Hood; qui il linguaggio fornisce un modello al pluralismo, alla conservazione delle diverse identit culturali. Ancora una volta il valore di una metafora sulla musica non deriva dal suo grado di "verit" o "falsit ma dal lavoro culturale che essa svolge.

5. Conclusioni. Ho affermato che la musica ha una sintassi solo in senso metaforico, sebbene sia un fatto storico che alcune culture musicali abbiano per cos dire costruito questa metafora all'interno della loro musica (potrei aggiungere che in generale la musica diventa pi simile alla sintassi quando si basa sull'improvvisazione in tempo reale piuttosto che sul "tempo virtuale" della composizione scritta). Non c' altro da dire sulla sintassi? Ce ne sarebbe, ma ho gi detto molto soltanto usando il linguaggio metaforico della forma. Giacch per molti versi le due metafore sono coestensive; esse svolgono lo stesso lavoro culturale. Entrambe sottolineano il contesto pi generale dentro cui opera una qualunque formulazione musicale data. Entrambe costruiscono la musica come entit astratta, collocandone l'essenza nella dimensione a temporale e riducendo cos al contingente la sua dimensione esecutiva (in altre parole l'esecuzione diventa letteralmente "strumentale") Entrambe tematizzano l'organizzazione gerarchica, cio la complessit ricorsiva, della musica una qualit che spesso associata, implicitamente o esplicitamente, al valore estetico. In effetti esse definiscono lo status della musica come appartenente alle belle arti, piuttosto che a quelle decorative;uno status che essa raggiunse intorno al i 8oo, l'epoca a cui risalgono anche (non a caso) le prime analisi musicali riconoscibili come moderne. Quali sono allora le differenze? La metafora della forma, della musica in quanto oggetto con un'estensione quasi spaziale sottolinea la dimensione empirica della musica; essa suggerisce che la musica l fuori", indipendente da costruzioni sociali o da interpretazioni critiche. Per contro, la metafora della sintassi sottolinea la dipendenza della musica rispetto a pratiche interpretative culturalmente determinate, la sua dipendenza nei confronti di una comunit di ascoltatori. Esistono poi differenze risultanti dalla semplice giustapposizione delle due metafore. In virt del suo differenziarsi dalla semantica la sintassi non rappresenta il centro dell'attenzione, ma piuttosto la condizione a cui pu emergere un significato; ecco cosa ha in mente Rosen quando afferma circa lo stile della sonata che la modulazione alla dominante era un elemento della grammatica musicale, non della forma [1976, trad. it. p. 36]. In tal senso la giustapposizione determina la forma come centro di attenzione estetica. Analogamente, se con "sintassi" vogliamo indicare le normali condizioni di continuit, basate su modelli specificamente connessi a un certo stile o cultura musicale, allora la forma ne diventa il limite, l'eccezione. Essa diviene, per cos dire, la traccia materiale di un processo estetico. Ed ecco che siamo tornati ai modelli della forma tassonomica e alla forma come processo gi descritti all'inizio di questo contributo. Poich in questo modo il tipo di interazione che ho descritto tra forma come modello e forma come processo dinamico tra quelle che possiamo definire la forma "esterna" e quella "interna" si esprimerebbe altrettanto bene come interazione tra forma e sintassi. Ma quando la musica sembra fratturarsi in autonomi strati di significato che nasce un doppio linguaggio basato su una combinazione di questi termini. Basteranno due esempi sommari. La gagliarda The Fairie Round di Anthony Holborne [1599, p. 72] un prolungato esercizio di poliritmia la cui conclusione parrebbe a prima vista abbastanza sbrigativa. Si potrebbe considerarla un tipico esemplare di quelle composizioni funzionali le quali, piuttosto che concludere nel senso di provocare un'impressione di completezza esteticamente soddisfacente , si limitano a fermarsi quando il materiale ha conosciuto una sufficiente esposizione. Eppure un effetto di chiusa si genera in qualche strato profondo della sua struttura poliritmica;

come se il punto finale fosse prefigurato con molto anticipo sul suo arrivo. In altre parole la conclusione della musica sintattica e opera contro una forma di superficie che d l'impressione di non registrare ci che avviene al di sotto di essa. Pi comune, ma meno soddisfacente sul piano estetico, il caso contrario: una musica che giunge a una conclusione in modo non convincente, attraverso l'accumulazione di gesti retorici non sostenuti da conclusioni sintattiche. Il mio secondo esempio il movimento iniziale della Sympbonie Fantastique di Berlioz, dove i segni di ritornello posti alla fine dell'esposizione creano una ripetizione puramente "formale", un effetto di distanza estetica che sembra fare a pugni con l'emergente qualit psicologica della musica (l'effetto discordante del ritornello forse spiega perch esso venga sovente tralasciato in sede d'esecuzione). Discutere in questa sede della relazione tra forma e sintassi significa articolare un'opposizione che appare presente entro la musica, e non soltanto nei discorsi che si fanno su di essa.

You might also like