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n. 30 VI - 10 settembre 2014
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dotto il 34,7% dell'intero PIL nazionale. Queste percentuali nascondono uno squilibrio tra i comuni capoluogo e quelli di corona, fascia, cintura che dir si voglia.
Sono differenze significative riguardo al reddito e l'accesso ai servizi,
alle dotazioni infrastrutturali, alle
funzioni sul territorio. Anche la
maggioranza della popolazione immigrata vive nei comuni esterni a
quelli centrali. l'introduzione delle
citt metropolitane ha davanti a s
la sfida e la possibilit di definire e
attuare sistemi di governance efficaci per ridurre il divario tra centro e
periferia e migliorare la redistribuzione di ricchezza e opportunit sul
territorio. Anche per questo sono
considerate dallUnione Europea
come lorganismo territoriale prioritario con un ruolo strategico
nellattivit di coordinamento e di
gestione delle risorse finanziarie assegnate ai territori negli accordi di
area vasta che mettono insieme le
citt metropolitane e i liberi consorzi
di comuni. In un sondaggio IPSOS 3
cittadini su 4 chiedono di eleggere
gli organi della nuova istituzione.
Forse il governo e i parlamentari
che hanno approvato la legge56/2014, cosiddetta Delrio, pensano che i cittadini non comprendano la differenza tra eletti e nominati
dalle segreterie di partito.
Non i sondaggi, ma la percentuale
di partecipazione alle elezioni evidenzia il distacco costantemente
crescente tra la politica nazionale,
che si consuma nei palazzi, e i territori. Per questo la costituzione di
queste nuove realt istituzionali e
amministrative ha a che fare con la
natura della democrazia italiana che
sta prendendo corpo. Se le citt metropolitane non avranno uno statuto
costitutivo aperto, trasparente, partecipato; se le citt metropolitane
non avranno il loro sindaco e il loro
consiglieri eletti direttamente dai cittadini, avremo uno sviluppo regres-
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genza nazionali, di quelle che in
Germania chiamano Grosse Koalition (e che pure da quelle parti sta
perdendo un po di smalto).
La discussione tra un Premier corridore e un Sindaco folle deve avvenire nella giusta cornice e con i giusti tempi. Nella Milano angustiata
dalla velocit, dal continuo movimento centripeto e centrifugo dei
suoi pendolari, privata spesso del
doveroso amor proprio, una ricerca non semplice.
Suggerisco umilmente tre luoghi
simbolo del capoluogo lombardo nei
quali intavolare una chiacchierata
per il futuro del centrosinistra italiano. Tre luoghi che uniscono in loro il
meglio e il peggio del nostro presente, con uno sguardo rivolto non solo
ai problemi di casa nostra: una visione globale per un mondo globalizzato, a pochi giorni dalla nomina a
Mrs. Pesc del Ministro Mogherini.
1) I cantieri di Expo: quale miglior
metafora dei desideri da velocisti
italici, trasformatisi in una lenta agonia pi simile alla sofferenza della
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a un miglioramento effettivo della
vita quotidiana dei cittadini. Altrimenti sar un'occasione persa.
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rie in materia di sicurezza sul luogo
di lavoro.
Secondo recenti conclusioni dei
mesi scorsi dellosservatorio Cgil di
Milano, gli operatori dellAsl dedicati
alla prevenzione e ai controlli sono
troppo pochi: si tratta di una questione che rischia di esplodere proprio nel momento in cui nellarea
Expo si lavora a ritmo frenetico per
recuperare i ritardi. Tali dati riportano che, nelle 105 ispezioni eseguite
dallAsl fino al 31 dicembre 2013 sul
sito Expo e sulle opere essenziali
connesse, ben 98 sono state le contestazioni di non conformit delle 71
imprese controllate.
Le cose non vanno meglio nei cantieri delle nuove linee della metropolitana 4 e 5 e del prolungamento
della 1, la cui realizzazione legata
allesposizione: al 28 febbraio 2014
nei 415 accessi ispettivi, per un totale di 116 imprese controllate, le
non conformit sono state 242. A
tali numeri si aggiunge poi un altro
particolare: fino alla settimana scorsa il Piano di emergenza ed evacuazione relativo allarea Expo presentava diverse criticit sia tecniche
sia strutturali cui si dovr dar soluzione nei prossimi mesi.
Insomma, il lavoro dellOSL e delle
autorit competenti non si fermi
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pubblico. E questo al di l delle opinioni sullefficacia della politica monetaria nella creazione di investimenti. Un Paese fondato, in maniera quasi monoculturale, sulla propriet edilizia non un paese moderno e tanto meno un paese dinamico, competitivo, che guarda al
futuro. La strategia della casa in
propriet per tutti (a differenza
dellAmerica di Bush dove era incidentale) ha in Italia caratteristiche
strutturali e di lungo periodo: questo lanello debole di uneconomia
debole, dove il settore immobiliare
prosciuga il risparmio delle famiglie
e le risorse finanziarie (la versione
nazionale della sindrome di Baumol).
Ci rendiamo conto che, imprigionandola in un mutuo generazionale,
abbiamo anche perso almeno
unintera generazione di immigrati?
Questi ulltimi sono stati in pratica
obbligati ad acquistare casa a debito, perch manca un mercato degli
affitti e perch si intendeva sostenere i prezzi delle case stesse. Cos si
perso il vantaggio di avere manodopera a basso costo, nuovi consumatori,
nuovi
risparmiatori.
Un'ondata immigratoria in generale
crea nuova ricchezza e sviluppo,
invece in Italia si avuta la recessione. Bisogna considerare che per
pagare i mutui gli immigrati pagano
anche tre quarti del loro stipendio.
Per di pi pr4ivati di risorse spendibili hanno avuto spesso difficolt di
integrazione e ora molti perdono
l'alloggio che non riescono pi a pagare.
Schumpeter rilevava che nelle trasformazioni economiche occorrono
s risorse nuove (da crearsi attraverso la moneta bancaria), ma
anche necessario spostare i fondi
dai settori obsoleti ai nuovi settori
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che si intende promuovere. qui
che indispensabile la mano della
politica. la tanto invocata politica
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Quindi, per Milano le condizioni poste dalla legge sono due: le zone
omogenee (richiamate per prime) e
la ripartizione del capoluogo in zone
dotate di autonomia amministrativa.
Si noti, en passant, il cattivo gusto
di chiamare con lo stesso nome le
due cose diverse e distinte, ingenerando da subito non piccola confusione!
Le zone omogenee sono un istituto
fondamentale perch esse indicano
lesigenza che la C. M. si costituisca
non solo sul criterio della divisione,
del frazionamento, ma, e direi soprattutto, sul principio dellaggregazione: risparmi economici, efficienza, policentrismo sono risultati legati
di pi allesigenza dellaccorpamento che non a quella della divisione e dello smembramento. E ci
vale per il capoluogo quanto per il
resto del territorio.
Ora, se zone omogenee devono esserci, chi pu negare che Milano sia
essa gi da sola una zona omogenea? E che almeno in quanto tale
abbia bisogno di una sua unit anche simbolica e di una rappresentanza istituzionale unitaria? Quindi,
anche solo da questo punto di vista,
pensare tout court allabolizione del
Municipio di Milano, stando alla
stessa lettera della legge, pare un
non senso, come giustamente e vivacemente ha gi notato Giancarlo
Consonni.
Andiamo alla seconda condizione.
da rilevarsi che, sempre per le C.M.
sopra i tre milioni di abitanti (Milano), la legge non parla pi di nuovi
comuni, ma di zone con autonomia
amministrativa. Che vuol dire?
Lautonomia amministrativa non pu
essere confusa con lautonomia politica e istituzionale. I nuovi comuni,
previsti per le C. M. al di sotto dei
tre milioni di abitanti, realizzano essi
s unautonomia politico-istituzionale, e per la loro istituzione previsto un iter, come abbiamo notato
sopra assai complesso e impegnativo; le zone in cui deve invece articolarsi la citt capoluogo delle C.M.
sopra i tre milioni di abitanti (Milano)
invece sono tuttaltra cosa.
Lautonomia amministrativa delle
zone si realizza, infatti, entro limiti e
perimetri predefiniti da una deliberazione dello stesso comune capoluogo. Cio il comune capoluogo
stabilisce (non autoritariamente, si
spera) quali sono gli ambiti e le funzioni, e quindi i mezzi entro cui si
realizza lautonomia amministrativa.
Tale autonomia viene esercitata da
parte delle zone gestendo liberamente il proprio bilancio e assumendo decisioni nelle materie e
funzioni che sono state oggetto di
delega, cio facendo scelte che rispondano pi direttamente ai bisogni dei propri quartieri e alle domande dei cittadini della propria zona. Questa lautonomia amministrativa delle zone prevista dalla
legge, non la creazione di nuovi
comuni o municipi.
Naturalmente, su quali e quante
siano le funzioni su cui deve esercitarsi lautonomia delle zone, tutto
da discutersi. Ma proprio questo
che dovremmo fare. Ed facendo
questo che si potrebbero misurare
una concezione pi avanzata, ma
realistica, graduale e sperimentale
di decentramento e una pi conservatrice e gattopardesca, volta a non
cambiare niente, a perpetuare una
storia fallimentare qual quella del
decentramento milanese. Ed su
questo che dovremmo fare battaglia
politica, altro che straparlando di
abolizione del Comune di Milano!
Pensare oggi di definire un progetto
completo, chiavi in mano, non di
decentramento amministrativo ma di
creazione di nuovi comuni, che la
legge non ci chiede, una chiacchiera, unidea astratta che non ha
alcuna possibilit in concreto di andare avanti. Ha per la capacit,
pu essere cio un buon pretesto,
per bloccare un percorso concreto
di costruzione del decentramento
amministrativo di Milano. Nello
stesso tempo un vuoto straparlare
comporta il rischio di far perdere
tempo e far saltare lelezione diretta
del Sindaco e del Consiglio Metropolitani, rinviando il ripristino della
sovranit popolare alle calende greche.
Per finire. Ho letto larticolo qui pubblicato del consigliere di zona Giacomo Selmi. tutto rivolto a criticare un intervento di Giancarlo Consonni su la Repubblica. Non voglio
fare il difensore dufficio di nessuno
e tanto meno di Consonni che sapr
bene, se lo desidera, chiarire il suo
pensiero e correggere le inaccettabili storpiature. Il fatto per che se
vogliamo discutere e confrontarci
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non dobbiamo creare ad arte e per il
nostro comodo falsi bersagli. Per
altro non escludo che il Selmi sia
anche in buona fede, ma di quello
che lui attribuisce a Consonni nulla
di sostanziale vero.
Consonni afferma, come dicevo io
prima e come lo stesso Selmi pare
ammetta, che la vicenda del decentramento milanese sostanzialmente un fallimento. Ma da ci non ne
trae la conclusione che occorra azzerare le zone e abolire il decentramento. Ma dove sta scritto? Nello
stesso articolo di Repubblica egli
sostiene: Ogni abitante della Citt
Metropolitana interessato da almeno tre livelli relazionali su cui si
definiscono anche le appartenenze/identit: il luogo in cui abita (con
un orizzonte esteso al quartiere); la
citt (o cittadina, o paese) in cui in
diversa misura si riconosce; la metropoli in cui esplica comunemente
le sue attivit nellarco delle 24 ore.
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natore e registrarne gli effetti in un
albero di parole e immagini in continua trasformazione, mentre laltra
proiezione multipla Paesaggi abitati
che assembla centinaia di video di
situazioni urbane e paesaggistiche,
per quanto molto godibile non sembra offrire significativi spunti di riflessione.
Il Padiglione Italia introdotto dalla
citazione di una serie, assai casuale, di eventi architettonici ritenuti esemplari che vanno dagli studi di
Leonardo per il tiburio del Duomo, al
Teatro del Mondo di Rossi richiamando progetti e opere di Antonelli,
Asplund, Terragni, Ponti, Libera fino
a Scarpa, Albini, Gardella, Gregotti
tutti accomunati, a parere di Zucchi,
dal fatto di presentarsi come Innesti
espressivi
della
metamorfosi
dellorganismo architettonico nel
suo rapporto con il relativo contesto.
Ma qui, anche per esperienza diretta, posso testimoniare che nel caso
del progetto per lAmpliamento della
Camera dei Deputati, al quale ho
partecipato insieme a Ezio Bonfanti,
Marco Porta e Cesare Macchi Cassia nel lontano 1967, coltivammo un
approccio marcatamente costruttivista in aperto contrasto con il contesto storico di riferimento, anche influenzati
dellinteresse
per
lAvanguardia sovietica, che io stesso avevo iniziato a studiare fin dagli
anni delluniversit (Fig. 4).
Cos come nel progetto del concorso per lUniversit della Calabria
sulle colline di Arcavacata a Rende
del 1973 al quale partecipai, a fianco di Vittorio Gregotti, assieme a
Franco Purini, Pierluigi Nicolin, Hiromichi Matsui e Bruno Vigan, ove
prevalse certamente lidea di connotare lintervento come una infrastruttura con una geometria rigorosa, capace di sezionare la geografia
del territorio, rifiutando di conseguenza ogni mimetismo e ottenendo
invece un drastico straniamento
dellarchitettura rispetto al paesaggio che ne risultato, di conseguenza totalmente trasfigurato. (Fig.
5)
Pi che dalla mostra questa sezione
introduttiva si comprende veramente leggendo il saggio di Zucchi che
presenta almeno quattro livelli di
lettura: il testo con le sue note, le
immagini con le loro didascalie, i
dettagliati commenti alle immagini
stesse e le citazioni a margine tratte
da un repertorio al quale egli fa ripetutamente ricorso in funzione delle
specifiche occasioni.
Ma la sensazione che il discorso
tenda ad accreditare i fenomeni di
trasformazione come casuali e i loro
effetti come prodotto di una non
meglio definita intenzionalit della
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no ci offra loccasione per farlo in
modo ampio e coinvolgente. Almeno di questa opportunit possiamo
certamente essere riconoscenti a
Zucchi.
La seconda sala delle Tese delle
Vergini ospita la mostra Italia. Un
paesaggio contemporaneo, di ottantacinque architettura scelte per documentare
le
eccellenze
dellarchitettura italiana. Un paesaggio in parte virtuale in quanto
una ventina sono per ora solo sulla
carta non essendo ancora stati realizzati gli edifici rappresentati e non
si sa se mai lo saranno. Tredici sono inoltre allestero, prevalentemente nei paesi europei, a testimoniare
anche lapporto della nostra cultura
architettonica ma non contribuiscono certo a formare il nostro paesaggio contemporaneo.
Tutti i progetti sono presentati con
una sola immagine retroilluminata e
non si comprende quale sia il loro
ordinamento anche se il dichiarato
intento che siano stati selezionati
in quanto dimostrerebbero di essere
concepiti sulla base di una osservazione attenta del sito, dei suoi
vincoli, delle sue risorse, e la capacit di intervenire in esso con un atto di trasformazione che li assorba
al suo interno e li trasfiguri in un
nuovo paesaggio abitato.
Tale assunto tanto impegnativo non
mi sembra possa trovare riscontro,
a prescindere dalla loro intrinseca
qualit architettonica che non intendo mettere in discussione, in interventi come lauditorium di Barozzi/Veiga a Aguilas in Spagna (Fig,
12), il bellissimo Vortice di Oberti/Stocchi a Vaprio dAdda (Fig. 13),
Hotel 1301 Inn Slow Horse di Elasticospa + 3 a Piancavallo (Fig.14),
il Lungomare Foro Italico di Italo Rota a Palermo (Fig.15) oppure nel
rifacimento delle piazze Chiesa e
Municipio di Lixi/Delogu a Sinnai
(Fig.16)
E quale ruolo possono avere nella
formazione di tale paesaggio interventi temporanei come i due padiglioni, fuori scala, dellExpo Gate di
Scandurra a Milano (Fig. 17) o la
dellarchitettura e cultura urbana italiane nellultimo secolo, accompagnandola con unimmagine che
possa rappresentare il legame tra il
loro lavoro e il tema Innesti/Grafting.
Pochi tra gli interpellati, tra i quali
Holl, Wilson, Pearrault, Baldeweg,
Desvigne, Mazzanti e Yvonne Farrell e Shelley McNamara, hanno
manifestato particolare impegno nel
rispondere, a parte Desvigne che
cita alcuni nostri progetti ai quali si
riferito nella fase della sua formazione e il sudamericano Mazzanti
che ci richiama senza mezzi termini
allimpegno politico e sociale
dellarchitetto.
Ma le care amiche dello studio Grafton Architects, che hanno dato a
Milano lampliamento della Bocconi
- forse lunica architettura di vera
qualit degli ultimi ventanni - facendo riferimento alla loro esperienza
milanese, fanno notare a Zucchi con
franchezza e ironia: Sar quindi poi
cos sorprendente che larchitettura
italiana dellultimo secolo abbia
questa qualit che descrivi in modo
cos succinto? (Fig. 20)
Forse in questo sintetico interrogativo sta il giudizio che si pu formulare sul Padiglione Italia: esiste un
evidente divario tra gli enunciati tematici sempre molto impegnativi e
complessi e lo svolgimento che si
legge anche in un certa indeterminatezza nelle titolazioni: considerato
che i due termini non sono affatto
sinonimi, gli innesti, di cui si parla,
generano il moderno come trasfigurazione o come metamorfosi? Le
sette sezioni del padiglione non sono forse troppe per focalizzare adeguatamente il tema assegnato da
Koolhaas che nella generalit dei
casi negli altri padiglioni nazionali
affrontato in modo pi chiaro, diretto
e dimostrando pi consapevolezza
della sua crucialit e impegno nel
considerarne le contraddizioni?
Ma credo che i varchi lasciati aperti
in una trattazione che comunque
non si presenta semplice rappresentino un ottima occasione per discutere della nostra situazione attuale a Milano e nel Paese.
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banalizzata. Situazione peraltro resa pi difficile da alcuni "trucchetti"
legislativi, quali quello che consente
di sopralzare gli edifici in zone gi
molto dense senza reperire i necessari parcheggi pertinenziali, o le valutazioni di alcuni urbanisti che ritengono che non prevedendo pi la
CINEMA
questa rubrica curata da Anonimi Milanesi
rubriche@arcipelagomilano.org
Aimer, boire et chanter
di Alain Resnais [Francia, 2013, 108']
con Sandrine Kiberlain, Andr Dussollier, Hippolyte Girardot, Sabine Azma, Michel Vuillermoz
Basato sulla pice Life of Riley di
Alan Ayckbourn, lultimo lavoro di
Alain Resnais una scatola magica:
il teatro nel teatro nel cinema.
Due coppie di mezza et, attori dilettanti, stanno lavorando a uno
spettacolo quando scoprono che al
loro comune amico George mancano pochi mesi di vita. Decidono di
coinvolgerlo nello spettacolo. E decidono di far riavvicinare lex moglie
di George, che vive ormai con un
altro uomo, al loro amico.Il film racconta le dinamiche che nascono e si
sviluppano nel gruppo durante i mesi di preparazione dello spettacolo
fino al funerale di George.
La narrazione del plot non racconta
nulla, per, della bellezza di questo
film. Le scenografie prima di tutto: le
case dove i protagonisti vivono, si
incontrano, parlano, litigano, bevono
e amano sono palcoscenici. Lambientazione: unInghilterra verde e
color mattone che diventa un acquarello che diventa un palcoscenico. La recitazione: teatrale, nella
dizione, nellemissione del suono,
nei gesti.
I pensieri: durante i dialoghi, gli
sfondi cambiano quando la parola
detta non solo rivolta al proprio
interlocutore, ma a se stessi. Il fondo scena diventa grigio, forse una
grata? Un confessionale laico nel
quale dirsi la verit? Gli stacchi di
scena sono atti teatrali, volutamente
non fluidi.
Un valzer di Strauss risuona coinvolgente, vien da pensare ai balli
delle debuttanti, ciascuna col proprio cavaliere, ma che nel corso della serata, in un cadenzato changer
la femme, balla un po con tutti.
Lonnipresente George non si vede
mai, non parla mai. Le sue parole, i
suoi gesti, la sua vita ci sono narrati
solo dai sui amici. E sempre in rap-
MUSICA
questa rubrica a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org
Brahms e MITO
Quando nel 1961 comparve sugli
schermi di mezzo mondo il film Le
piace Brahms? diretto da Anatole
Litvak, con Ingrid Bergman, Yves
Montand e Anthony Perkins, tratto
dall'omonimo romanzo che Franoise Sagan aveva pubblicato due anni
prima, Brahms era un musicista noto eamato prevalentemente da musicologi e musicofili; per i tanti che
riempiono le sale da concerto era
pi una curiosit che un protagonista. La stessa sorte, peraltro, toccava a Mahler per il quale ci volle la
bravura e la tenacia di Claudio Abbado per farlo conoscere e per farlo
apprezzare e amare dal grande
pubblico.
Da qualche anno a questa parte
Brahms ha sfondato nellanimo po-
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e orchestra affidato allOrchestra dei
Pomeriggi musicali diretta da Alapont con il violino di Sunao Goko.
Insomma un vero e proprio festival
brahmsiano allinterno del festival
milanese.
MI.TO. ha colto nel segno perch
una immersione nella musica di
questo grande compositore ci mancava e arriva al momento giusto:
dopo lindigestione di Liszt e di Wagner che ci stata imposta negli
ultimi anni grazie ai bicentenari delle
loro nascite (sono rispettivamente
del 1811 e del 1813), il riavvicinamento a Brahms (che nasce solo
ventanni dopo ma sembra gi
unaltra era) ha quasi il sapore della
riconquista della pura musicalit e
poesia a fronte del virtuosismo di
Liszt e della protervia intellettuale di
Wagner. Senza togliere nulla alla
grandezza di quella coppia - giunti
entrambi allapice della celebrit legati non solo da una improbabile
parentela ma anche dalla volont di
eccellere, luno con il pianoforte
laltro con il teatro (lopera totale) Brahms ha restituito al suo secolo e
alla sua nazione una straordinaria
intensit emotiva. Un approccio dovuto sicuramente a quella nicchia di
tensioni affettive in cui era cresciuto
a Lipsia intorno a Robert e Clara
Schumann e a Felix e Fanny Mendelssohn e che quando si trasferito a Vienna, nel 1863, ha testardamente coltivato evitando i salotti
buoni della citt (che non eran pochi n poco determinanti per qualsiasi carriera) e maturando, in una
vita sostanzialmente solitaria, quella
intimit che per lui era lunica vera
fonte di ispirazione.
Il grande critico e musicologo ceco
Eduard Hanslick, nella recensione
alla prima viennese del Quintetto
per clarinetto ed archi di Johannes
Brahms (ricordate il capolavoro di
Mozart per lo stesso organico?),
scriveva (1) sulla Neue Freie Presse
che Mentre Haydn e Mozart (inizialmente anche Beethoven) sottolineano i singoli movimenti principalmente per mezzo del contrasto,
mettendo un sofferente Adagio accanto a un gaio Scherzo e chiudendo in ogni caso con un Finale impetuoso, sereno o passionale, in
Brahms vediamo lo sforzo di avvicinare fra loro i quattro movimenti in
un graduale percorso. Il vero e proprio Scherzo, in lui, si lascia appena
intravedere, ancor meno il Minuetto,
al cui posto si trova per lo pi un
Andantino quasi Allegretto, un Allegretto non troppo. Le moderate indicazioni non troppo, non assai,
quasi etc., sono caratteristiche del
tardo Brahms, che non supera volentieri un certo livello di emozione e
che preferisce evitare i contrasti netti piuttosto che cercarli. Che ad alcuni ascoltatori sembrino auspicabili
un gaio Scherzo dopo un primo movimento poco mosso e un Finale
focoso e impetuoso dopo un cupo
Adagio, non devessere taciuto n
biasimato. Ma il senso di disappunto, dove fosse comparso, sparirebbe presto. Chi si occupato a fondo
e con amore di Brahms, amer presto e prender confidenza con lo
stile posato del suo periodo pi tardo, con tutte le sue particolarit. Si
deve affermare che ogni composizione pi grande di Brahms nasconde in s un merito segreto, cio
quello di darci pi gioia al secondo
ascolto che al primo".
E vale anche la pena di rileggere
Arnold Schnberg che scriveva, nel
1947 (2), Ci sono ancora vecchi
wagneriani a prova di bomba, nati al
tempo della mia generazione e anche dieci anni dopo. Da un lato i
pionieri dei progresso musicale,
dall'altro i custodi del Santo Graal
della vera arte, tutti si ritenevano
legittimati a considerare con disprezzo Brahms, il classicista,
laccademico. Gustav Mahler e Ri-
chard Strauss furono i primi a condannare questo orientamento. Erano stati educati entrambi lungo le
linee della tradizione e quelle del
progresso, secondo la filosofia
dell'arte
(Weltanschauung)
d
Brahms e quella di Wagner. Il loro
esempio ci aiutava a capire che in
Wagner c'era tanto ordine, se non
pedanteria, nell'articolazione quanto
c'era coraggio, se non bizzarra fantasia, in Brahms.
Tutti argomenti, come si vede, per
immergerci nellintimit brahmsiana
senza pregiudizi, pregustando la
gioia di riascoltare la sua musica
come dice Hanslick leggendola
come gesto di distensione dopo le
esibizioni muscolari di quei due colleghi poco pi anziani di lui e come
risarcimento per un lungo oblio che
sicuramente non ha meritato.
Schnberg, subito dopo, aggiunge
una notazione curiosa, che mi sembra piacevole ripetere: La corrispondenza mstica fra le date biografiche non suggerisce forse un
rapporto pi misterioso tra loro? Nel
1933 il centesimo anniversario della
nascita di Brahms coincise con il
cinquantesimo anniversario della
morte di Wagner. Ora, mentre sto
riscrivendo questo saggio, commemoriamo il cinquantesimo anniversario della morte di Brahms. I misteri celano una verit, ma stimolano la
curiosit perch li sveli.
(1) citato da Andrea Massimo Grassi in
Frulein Klarinette. La genesi e il testo
delle opere per clarinetto di Johannes
Brahms, ETS, Pisa 2006
(2) da Arnold Schnberg Brahms il Progressivo, in Stile e pensiero. Scritti su
musica e societ, a cura di A.M. Morazzoni, Il Saggiatore, Milano 2008
LIBRI
questa rubrica a cura di Marilena Poletti Pasero
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Tom Wolfe
Radical chic
I edizione Etcetera Castelvecchi, 2014
euro 12, pp.138
Una vera chicca esilarante. Una
manciata di caustico sarcasmo questa riedizione 2014 di "Radical chic",
un'opera apparsa nel 1970 per la
penna acuminata del padre del New
Journalism americano, Tom Wolfe,
noto in Italia per il "Il fal della vani-
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giusto processo, a loro dire, con
l'accusa di complotto per far saltare
cinque centri commerciali.
Alle Black Panters presenti venivano offerti improbabili bocconcini di
roquefort ricoperti di noci tritate!
Non sfugge al polemista Wolfe "il
fascino irresistibile dei rivoluzionari
da salotto", secondo la "teoria del
neonato dal pannolino rosso" dallo
"stile di vita di destra ma pensieri di
sinistra", dalle ferree regole di vita,
per le quali bisognava assolutamente "avere domestici, ma bianchi",
avere "un posto dove andare il fine
settimana", fare donazioni a favore
degli svantaggiati, purch "non fiscalmente detraibili", leggere il New
York Review of Book.
Fu proprio durante quel party che
Wolfe coni il termine Radical chic,
colpito, come certa stampa americana legata al New York Times, dalle apparenti contraddizioni dei presenti (appartenenti alla nuova upper
class newyorkese ebraica e cattolica, in antitesi ai wasp protestanti
conservatori della Vecchia New
York), che si battevano per la difesa
dei diritti degli oppressi, in quel caso
i neri. Ma quegli oppressi erano tali
proprio a causa dello stesso Sistema al quale quei benestanti appartenevano, quelle 750 famiglie che
detenevano tutta la ricchezza americana, a dire di Cox, Maresciallo
Superiore delle Black Panters, presente al party. Quel Sistema che le
Black Panters tentavano di colpire,
per difendersi dalle sue prevaricazioni, come le disuguaglianze nei
SIPARIO
questa rubrica a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi
rubriche@arcipelagomilano.org
Torna al Piccolo il Festival Tramedautore
Il Festival Tramedautore, arrivato
alla XIV edizione e dedicato
quest'anno all'Eurasia, inizia il 18
settembre al Piccolo Teatro Grassi
con il debutto di Confessione di un
ex presidente che ha portato il suo
paese sull'orlo di una crisi di Davide
Carnevali, nuovo testo di uno dei
giovani autori italiani pi bravi e
rappresentati (soprattutto all'estero).
Fra i tanti spettacoli proposti
quest'anno, poi, da non perdere
Studio per storia di Qu, l'ultimo testo
di Dario Fo e Franca Rame messo
in scena da Massimo Navone il
mercoled 24 e gioved 25 al Piccolo
Teatro Studio Melato e Fiorir la
mandragola (una sit-com) di Massimo Sgorgani.
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di Dario Fo eFranca Rame con Michele
Bottini regia Massimo Navone produzione Milano Teatro Scuola Paolo Grassi,
Scuola di Scenografia dellAccademia di
Belle Arti di Brera, Accademia dellArte
di Arezzo, Milano Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, Milano Scuola di
Cinema e Televisione, Laboratorio di
Circo Quattrox4
testo e regia di Massimo Sgorbani regista assistente Leonardo Lidi aiuto regia
Eva Martucci scene e costumi Rita Macchiavelli e Rosa Sgorbani luci Davide
Rigodanza con Camilla Alisetta, Giorgia
Cipolla, Christian La Rosa, Claudio Migliavacca produzione Maurizio Losi per
Exen Drama produzione esecutiva Chiara Anicito
ARTE
questa rubrica a cura di Virginia Colombo
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La genesi della bellezza di Salgado
Un fotografo tra i pi amati inaugura
il nuovo Palazzo della Ragione.
Nuovo perch finalmente il Comune
di Milano ha deciso di usare lo storico palazzo per farlo diventare il centro deputato ad accogliere qualcosa
di continuativo, nello specifico mostre di fotografia. Dopo la chiusura
di Spazio Forma, si tenta di ripartire
puntando sul riutilizzo di un edificio
centralissimo e davvero suggestivo,
a contatto con una forma espressiva
tra le pi amate degli ultimi anni.
Ecco perch per la prima mostra in
loco si scelto di partire davvero in
grande con il progetto Genesi,
lultima fatica del brasiliano Sebastiao Salgado.
Genesi un progetto decennale,
iniziato nel 2003 e concepito, usando le parole di Salgado stesso, come un canto damore per la terra e
un monito per gli uomini. Un viaggio
fatto di 245 scatti in bianco e nero
divisi in cinque sezioni per raccontare un mondo primigenio e ancora
puro, un mondo fatto di animali, natura e uomini che vivono insieme in
armonia ed equilibrio. Quello stesso
equilibrio che viene rovinato ogni
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tempo prossimo allopera, permettendo una visione altrimenti impossibile di ci che stato sul tetto del
Duomo per tanti secoli.
Si poi conquistati dalla bellezza di
opere come il Crocifisso di Ariberto
e il calice in avorio di san Carlo; si
possono vedere a pochi centimetri
di distanze le meravigliose guglie in
marmo di Candoglia, e una sala altamente scenografica espone le vetrate del 400 e 500, alcune su disegno dellArcimboldo, sopraffini
esempi di grazia e potenza espressiva su vetro.
C anche il Cerano con uno dei
Quadroni dedicati a San Carlo,
compagno di quelli pi famosi esposti in Duomo; c un Tintoretto ritrovato in fortunate circostanze, durante la Seconda Guerra mondiale, nella sagrestia del Duomo. Attraverso
un percorso obbligato fatto di nicchie, aperture improvvise e sculture
che sembrano indicare la via, pas-
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sando per aperture ad arco su pareti in mattoni a vista, si potr gustare
il Paliotto di San Carlo, pregevole
paramento liturgico del 1610; gli Arazzi Gongaza di manifattura fiamminga; la galleria di Camposanto,
con bozzetti e sculture in terracotta;
per arrivare fino alla struttura portante della Madonnina, che pi che
un congegno in ferro del 1700,
sembra unopera darte contempo-
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