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La sinistra postmoderna, il neoliberismo

e la fine della democrazia


di STEFANO G. AZZAR
Qual il nesso che va stabilito fra libert privata e libert pubblica? Come reagire alla crisi
profondissima della democrazia? Sono queste alcune delle domande che si posto Stefano G. Azzar,
nel suo recente Democrazia cercasi. Dalla caduta del Muro a Renzi: sconfitta e mutazione della sinistra,
bonapartismo postmoderno e impotenza della filosofia in Italia (Imprimatur Editore 2014), di cui
pubblichiamo qui, per gentile concessione dell'autore, un estratto.
Affinch la democrazia moderna continui o ritorni ad avere un senso [...] necessaria anche la libert
positiva, la libert di. E cio quella libert di agire in senso politico che Berlin e i liberali conservatori
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hanno inteso delegittimare, considerandola virtualmente identica allautoritarismo. Dopo i grandi cicli
rivoluzionari del Novecento, libert significa anche e in primo luogo aspirazione profonda e universale allo
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status e al riconoscimento , oltre che autogoverno sociale. E significa dunque la possibilit e capacit di
cambiare le cose, il potere di trasformare la realt che ci circonda attraverso lintervento attivo dei gruppi di
interesse, delle classi sociali, dei popoli. Significa soprattutto il risveglio dei lavoratori e di nazioni intere.
Come sappiamo, questo il cuore stesso della modernit: non si tratta semplicemente di operare una
scelta che tocca solo noi stessi o si esaurisce in un rapporto privato e nemmeno di incidere sul mondo in
maniera accessoria; si tratta invece di modificarlo in maniera strutturale e dunque di operare politicamente.
Di affermare una libert pubblica anche attraverso il conflitto, sebbene un conflitto sempre pi formalizzato.
E non vale come argomento contrario il fatto che le classi subalterne siano state sconfitte o che proprio questi
soggetti un tempo rivoluzionari, privati ormai di ogni autocoscienza autonoma, siano oggi i principali
sostenitori o fruitori passivi della visione egemonica postmoderna della libert.
Queste possibilit di libert positiva, gli orizzonti della nostra libert reale, si sono oggi effettivamente
ampliati assieme ai diritti civili? Oppure lossessivo richiamo al godimento di una libert individuale
immediata, che ha assecondato il riflusso nel privato sancendo (e aggravando) lincapacit delle classi
subalterne di agire il conflitto sociale, ne ha nascosto il deperimento? Limpressione che, ben camuffato
sotto la fantasmagoria di una libert anarchicheggiante che si manifesta principalmente sul terreno
immediato del consumo e degli stili di vita - il postmodernismo il consumo della pura mercificazione
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come processo , commenta Jameson - e abbellito da una retorica individualistica di natura compensativa o
dalle ipocrisie del politically correct, il postmodernismo celi, al contrario di quanto promette, un processo di
riduzione sostanziale e massiccia degli spazi di libert.
Dietro la superficie di una mancanza di vincoli e regole che ci rende oggi potenzialmente liberi di fare
quel che vogliamo a seconda delle nostre capacit di spesa, si nasconde in realt una forte compressione
della nostra capacit di autodeterminazione. Perch oggi non siamo pi in grado di trasformare il mondo che
ci circonda e per certi aspetti nemmeno di pensare le condizioni della sua trasformabilit. Assolutamente
liberi di assumere gli stili di vita pi diversi e anche improbabili - il pensiero cessa di essere una ratio, la
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vita cessa di essere una reazione -, siamo per molto meno liberi delle generazioni moderne del recente
passato di determinare realmente la nostra vita, di decidere in piena autonomia, di eliminare quei
condizionamenti oggettivi che limitano la nostra possibilit di scelta, di cambiare la realt, di migliorarla. E
questo perch non siamo pi in grado di confliggere in maniera organizzata e di costruire la forza durto
necessaria in vista della costruzione di unalternativa politico-sociale.
Possiamo perci essere liberi di vestirci come vogliamo, di orientare a piacimento i nostri gusti sessuali,
di scegliere distrattamente tra le infinite offerte del mercato o del palinsesto televisivo. Abbiamo anche letto
innumerevoli elogi della figura del flneur ma non riusciamo nella nostra azione a modificare la realt e
siamo anzi condizionati pesantemente da una struttura che si ri-naturalizzata e pretende di essere data una
volta per tutte, fornendo la base materiale dellunica ideologia vigente nellepoca della fine delle ideologie.
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Berlin 2010, p. 198.


Ivi, p. 209.
Jameson 2007, p. 6.
Deleuze 2002, p. 151.

Abbiamo lillusione di una libert individuale infinita ma questa libert sar inevitabilmente ristretta nella
sfera privata, nel confine del consumo o di scelte individuali che non cambiano assolutamente nulla del
mondo che ci circonda, se non addirittura del desiderio e dellimmaginario. E lasciandoci lillusione di essere
liberi per il solo fatto che possiamo cambiare canale, colore di capelli o fidanzata ogni volta che vogliamo,
questo mondo continuer per lungo tempo ad andare avanti come va adesso e continuer a decidere per noi,
rispettando la forma della democrazia ma neutralizzandone la sostanza politica partecipativa.
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Insomma, la produzione di bisogni , la mobilitazione del desiderio e della fantasia, si configurano
come una vera e propria politica della distrazione di stampo repressivo. E quella presunta rivoluzione
costituita dal consumo immediato della libert e dalla finta trasgressione di norme che di fatto non esistono
pi compensa la realissima dissoluzione di quellunica rivoluzione che veramente conta sul piano politico.
Non si tratta di considerazioni moralistiche. Nella sua declinazione privatistica del concetto di libert, il
postmodernismo sicuramente lespressione elaborata e raffinata dellarricchimento delle societ occidentali
nel secondo dopoguerra. Di quel rinnovato sviluppo del capitalismo liberale che ha valorizzato il
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godimento individuale dei beni e dei servizi . Di un accresciuto benessere, cio, che retroagisce sulla
soggettivit sollecitando il sorgere di nuovi desideri e bisogni, nuove esigenze che si sovrappongono a quelle
primarie ormai soddisfatte e si differenziano in maniera crescente, spingendo ognuno di noi lungo percorsi di
vita sempre pi individualizzati (e che, come direbbe il marketing contemporaneo, possono essere soddisfatti
on demand). Trasformazioni, queste, tutte moderne nella loro genesi, che coinvolgono inevitabilmente
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anche le classi subalterne, emancipandole dalla morale austera tipica del proletariato tradizionale e
spingendole sul terreno della morale liberale. E che coinvolgono anche gli intellettuali che a queste classi
si dicono legati, i quali interpretano giustamente questi mutamenti anche come un esito inevitabile del
conflitto sociale avvenuto nei decenni precedenti e del suo successo - e cio come tappe nella conquista di
nuovi diritti -, rivendicando la legittimit del benessere conseguito e del consumo che ne deriva.
Lallargamento delle libert individuali, delle quali la diffusione della cultura di massa ha rappresentato a
lungo un indicatore, dunque, un fenomeno positivo che non pu certamente essere contestato, pena la
ricaduta su posizioni antimoderne, aristocratizzanti e reazionarie. Se per loperazione postmodernista sulla
libert si limita a questo e non si pone il problema della libert positiva, se il suo obiettivo pressoch
esclusivo la destrutturazione unilaterale del concetto moderno di libert e non investe la nostra capacit di
modificare con efficacia la realt ma opera anzi attivamente sul piano ideologico affinch questa prospettiva
risulti del tutto bloccata, le cose cambiano in maniera drastica. Allora chiaro che questa operazione
culturale, con tutte le sue buone intenzioni, si rivela essere essenzialmente un momento ideologico decisivo
nellambito di una strategia egemonica neoliberale. Una retorica superficiale della libert individuale che
nasconde un forte restringimento della libert stessa e dunque una concezione antipolitica
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dellindividualismo .
In questo senso, ha ragione Harvey nel sostenere che proprio a partire dal suo fallimento il movimento
del 1968, con la sua presunta politicizzazione della sfera privata, devessere visto come il messaggero
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culturale e politico del successivo passaggio al postmodernismo . E Luigi Cavallaro, scandalizzando gran
parte della sinistra reducistica, conferma questa impostazione: a offuscare le velleit normative e
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pianificatrici dello Stato i movimenti degli anni 70 hanno concorso non meno di Friedman e Hayek . Ecco
che il pensiero oggi dominante definisce un ordine simbolico che pu essere racchiuso nella pi celebre
delle parole dordine che trionfarono nella rivoluzione mondiale del 68: Vietato vietare!.
Possiamo oggi veramente incidere nelle decisioni pi importanti che riguardano il nostro paese e il nostro
stesso futuro personale? Possiamo cambiare la realt, operare nella cuore e nelle viscere delle strutture del
mondo che ci circonda? Di fronte a problemi concreti che modificano in profondit la nostra vita pensiamo
alle recenti riforme della scuola e delluniversit, oppure a questioni ancora pi rilevanti come la pace e la
guerra noi non abbiamo pi pressoch alcuna possibilit di incidere. Cos come, pi in generale, non
abbiamo possibilit di intervenire allinterno di un quadro politico che, al di l delle differenze tra gli
schieramenti, stato assorbito dal mercato e si reso sostanzialmente uniforme allinsegna del
monopartitismo competitivo.
Anche Nadia Urbinati ammette oggi, da una prospettiva liberaldemocratica, che laffermarsi dei diritti
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Harvey 1993, p. 83.


Lyotard 1985, p. 69.
Cfr. Losurdo 1992, pp. 194-5 e Losurdo 2001, p. 339n.
Urbinati 2011, p. 75.
Harvey 1993, p. 56.
Cavallaro 2010.

civili e la cultura dei diritti individuali hanno liberato gli individui da preesistenti lacci sociali autoritari
e gerarchici ma non ha consolidato nuovi vincoli. Che questa conquista, pur importante, non ha edificato
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quella sorta di cemento etico capace di tenere insieme una societ di individui autonomi , rendendo
estremamente difficile distinguere tra libert e preponderanza degli interessi privati. Sono perci del tutto
sbagliate, illusorie e fuorvianti sino al limite del grottesco, le posizioni di chi, anche nelle figure pi estreme
della soggettivit postmoderna dissociata, mercificata e depoliticizzata individua processi a volte
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sorprendenti di affermazione di s, di cambiamento della propria esistenza , processi tali da produrre
quegli scarti che la politica dovrebbe evocare e capire, e li interpreta come elementi di una fantomatica
alternativa di societ degli individui liberati.
in questo senso che per comprendere la genesi del postmodernismo dobbiamo fare riferimento, oltre
che allarricchimento delle societ e delle stesse classi subalterne, soprattutto alla sconfitta politica di queste
ultime. Inserendo questa tendenza in quella ridefinizione in senso antistatalista della libert che avvenuta
allinterno della cornice dellordine internazionale della Guerra fredda e del confronto ideologico tra
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modello liberale e modello comunista , come dice ancora, giustamente, persino Urbinati. proprio la
battuta darresto alla quale andata incontro la concezione moderna della libert universalizzata tipica dalla
tradizione democratico-rivoluzionaria - alla quale proprio queste classi erano prioritariamente interessate e
alla quale indissolubilmente legato il senso della democrazia moderna -, in realt, il vero problema.
Il fallimento del tentativo di portare a compimento il progetto moderno di emancipazione umana tramite
una spinta decisiva nel corso del secondo dopoguerra, e in particolare con il ciclo di lotte 1968-77, il
fallimento di un ciclo rivoluzionario vissuto soggettivamente con grande intensit ma sconfitto anzitutto
dalla forza superiore dellavversario, oltre che dalle proprie contraddizioni interne. Questo esito ha spinto gli
intellettuali postmodernisti dellestrema sinistra, e unintera generazione con loro, a salvare se stessi
riversando ora allinterno, in una dimensione tutta privatistica, quel radicalismo che non aveva retto allurto
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con la realt esterna . E li ha spinti reinterpretare la libert positiva in una chiave univocamente negativa
che si risolve in ultima istanza nellanarchismo del consumo. Senza consentire loro di accorgersi che quel
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riflusso che stavano assecondando - collocarsi in maniera costruttiva nella condizione post-moderna ,
vivere positivamente quella vera e propria et post-metafisica che la post-modernit, diceva Vattimo
prima della sua estrema svolta comunista costituiva il pi efficace fiancheggiamento della rivincita
neoliberale. Come hanno spiegato persino Negri e Hardt, le strategie postmoderniste che a prima vista
appaiono cos libertarie, non costituiscono alcuna minaccia, bens coincidono con le nuove strategie di potere
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a cui forniscono, anche involontariamente, un importante sostegno! .
Pago della propria riscoperta della libert privata e del venir meno di ogni tab e senso di colpa (vivere
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senza nevrosi in un mondo in cui Dio morto ), il postmodernismo rovescia perci in gioiosa
indifferenza la catastrofe della sconfitta delle classi subalterne e della loro acquisita impotenza politica: la
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lotta il mezzo con cui i deboli, in quanto pi numerosi, riescono a prevalere sui forti , dice Deleuze con
nonchalance, seppellendo due secoli di conflitto politico-sociale. Il postmodernismo non si rende conto che
il trionfo dellindividualismo privatistico, celebrato come la pi autentica rivoluzione, solo la faccia pi
immediatamente visibile di una tragedia, quella del movimento dei lavoratori, che coincide con la crisi della
libert politica e dunque della stessa democrazia moderna tra le classi e le nazioni. Quel luogo di
emancipazione che solo una costante tensione al riconoscimento universale pu anzitutto attraverso il
conflitto - nutrire e mantenere in vita.
Ecco allora una nuova egemonia culturale e un rinnovato immaginario popolare, cucinato dalle lite e
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dalle superclassi a proprio uso e consumo e a feroce difesa dei propri privilegi . Ecco cio, detto con
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maggiore rigore analitico, una struttura del sentimento egemonica il cui compito ideologico
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Urbinati 2011, pp. 7-9.


Sansonetti 2011.
Urbinati 2011, p. 60.
un movimento dialettico che, per contrappasso, sembra molto simile a quello esposta da Nietzsche nella
Genealogia della morale a proposito della formazione della morale reattiva degli schiavi e che tanti spunti aveva
fornito a Deleuze! V. Nietzsche 1988b, pp. 33, 66-7, 102; cfr. Deleuze 2002, pp. 167-9, 192-3
Vattimo 1985, pp. 19-20.
Negri/Hardt 2001, p. 137.
Vattimo 1984, p. 26.
Deleuze 2002, p. 122.
Panarari 2010, p. 5.
Jameson 2007, p. 10.

consiste nel coordinare nuove forme di prassi e abitudini sociali e mentali con le nuove forme della
produzione e dellorganizzazione economica portate alla luce dalla mutazione del capitalismo negli ultimi
anni, cio la nuova divisione globale del lavoro.

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Torniamo cos al punto di partenza: quella crisi del comportamento e del linguaggio che manifesta il
disagio della cultura e delleticit contemporanea, con linattesa presa di coscienza che la accompagna. Non
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sappiamo se, come auspica David Harvey , il blocco storico definito dallaccumulazione flessibile sia
davvero reversibile o se quantomeno lo siano i rapporti di forza che lo determinano. Se, come vorrebbe
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Luciano Gallino, sia pensabile prima o poi dar vita ad un contromovimento . Ma se la crisi nella quale
siamo immersi anche lesito dellefficace lavoro di egemonia del postmodernismo sulla mentalit
dominante e della distorsione alla quale questa tendenza sottopone la cultura di massa, come ho cercato di
argomentare sinora, si capisce che non affatto possibile rispondere alla distorsione del significato delle
parole, alla manipolazione dellimmaginario e allavvelenamento delle relazioni sociali - riscattare la sfera
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del pubblico dallimpero quasi tirannico di un individualismo possessivo e politicamente apatico , auspica
Nadia Urbinati - unicamente su un piano culturale. Non basta, perch in un orizzonte nel quale ormai tutto
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opinione, esperienza fabulizzata della realt , un discorso di questo genere, che identifichi se stesso con la
missione illuministica della diffusione di una nuova consapevolezza, non sarebbe percepibile diversamente
che come un punto di vista tra gli altri. Uninterpretazione tra le tante, un simulacro alla Baudrillard: al
limite, come una menzogna contro altre menzogne.
Quello che sappiamo bene, infatti, che se la menzogna divenuta la dimensione pi condivisa del
discorso pubblico come produzione spettacolarizzata di opinioni intercambiabili e prive di referenti reali 25
lindifferenza assoluta a ogni prova del contrario cio alla realt e alla verit di cui parla De Monticelli
-, in realt la diffusione stessa della menzogna implica lesistenza di meccanismi sociali in grado di
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favorirne la produzione e la propagazione . nei rapporti sociali e nella loro realt storico-materiale
che, dopo averne preso coscienza, va allora cercata la ragione ultima della fantasmagoria delle opinioni e
della falsificazione del vero analizzata da Giacch.
La produzione industriale della menzogna, con le sue ricadute sul piano dellethos individuale e
collettivo, necessaria alla riproduzione della societ capitalistica. E pertanto non il frutto della malvagit
di qualcuno, n un accidente da rimuovere per assicurare un normale e trasparente funzionamento della
societ di mercato, ma un elemento strutturale ineliminabile. Essa indispensabile per trasfigurare
lirrazionalit radicale di questa societ. Mentre il carattere essenzialmente spettacolare e postmoderno
della menzogna e della deformazione delle parole, amplificato oggi dai media, inscritto sin dallinizio nella
natura feticistica della merce.
Nonostante il fallimento conclusivo dellesperimento situazionista, aveva visto bene dunque Guy Debord,
oltre quarantanni fa, quando aveva anticipato il decorso della societ dello spettacolo. Ed per questo che,
lungi dallessere una mera esigenza estetica o morale, il confronto critico con il postmodernismo e la
riconquista delle parole - che anche la riconquista della verit e della realt oltre che di unintera
tradizione di idee politiche che appare oggi delegittimata - oggi una priorit anche e soprattutto
politica. Ed dunque sul terreno politico che [...] questa battaglia culturale va combattuta27.
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Harvey 1993, p. 239.


Gallino 2011, p. 298 sgg.
Urbinati 2011, p. 14.
Vattimo 1985, pp. 38.
De Monticelli 2010, p. 51.
Giacch 2011a, p. 12 sgg.
una consapevolezza che stata annunciata gi da qualche anno (cfr. Luperini 2005) e che va crescendo presso
numerosi intellettuali anche di estrazione diversa: cfr. De Monticelli 2010, p. 163: La partita aperta contro lo
scetticismo pratico non affatto solo teorica. soprattutto pratica, cio oggi e qui - politica. Anche chi si
richiama a Tocqueville, poi, auspica oggi una riaffermazione del valore delleguaglianza e politiche di
redistribuzione e politiche del riconoscimento (Urbinati 2011, p. 15). Del resto, persino chi in passato aveva aderito
con entusiasmo al postmodernismo e aveva aspramente criticato il neoilluminismo di Habermas sembra essersi
reso conto degli esiti di quella stagione e dichiara la fine di ogni nostalgia del postmoderno: cfr. il netto contrasto
tra Ferraris 1985 e Ferraris 2010. Lesempio pi significativo di questo ripensamento viene per dal padre del
postmodernismo italiano, Gianni Vattimo, il quale, come ho gi ricordato [], ha di recente modificato in maniera
molto sensibile le proprie posizioni politiche: cfr. Vattimo 2007.

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Stefano G. Azzar insegna Storia della filosofia politica presso il Dipartimento di


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