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Una lettura di Melancholia (2011) di Lars von Trier

Melancholia un trattato di filosofia morale in forma di poema epico allegorico.


Overture.
Sulle note del Preludio e morte di Isotta un enorme pianeta si avvicina alla Terra con l'eleganza
propria delle dimensioni siderali. Lo spettacolo visto dallo spazio mozzafiato: le due sfere
gravitano a distanza come in un corteggiamento romantico per poi sfiorarsi in una collisione
grandiosa. La Terra oscura mentre l'altro astro brilla di luce propria. I due corpi celesti si fondono
come in un amplesso, dando vita al magnifico e fecondo spettacolo della fine. La morte getta una
nuova luce sulla vita oscura.
Nei primi 8 minuti l'autore danese da al direttore della fotografia Manuel Alberto Claro la
possibilit di superare se stesso creando mirabili trompe-l'il che da soli giustificherebbero
l'esistenza del film.
Lars apre le danze (della morte) citando Solaris di Tarkovskij, ma tra i registi di riferimento (la
geografia forse conta qualcosa) dobbiamo aggiungere almeno Ingmar Bergman, Stanley Kubrick e
Rainer Werner Fassbinder.
La prima delle due cantiche di cui composta l'opera gravita su Justine.
Justine una giovane e bella ragazza in procinto di sposarsi. Ma la dissonanza tra forma e vita si
manifesta gi dalle prime scene, quando l'enorme limousine che trasporta gli sposi non riesce ad
infilarsi in una curva del viale che conduce al banchetto nuziale. La raffinata tecnologia umana si
rivela distante, sproporzionata e inadatta a risolvere semplici problemi logistici, inadatta ad
accompagnare Justine a destinazione.
La sposa quindi costretta ad arrivare alla meta (il luogo fisico il castello di Tjolholm, ma il
tragitto pu anche esser letto come percorso gnostico) camminando sulle sue gambe, e al traguardo
l'epifania immediata: vede la verit di Melancholia.
Justine ha la visione interiore di una realt terrificante: non solo la sua vita e quella dei suoi cari
destinata a finire, ma l'intera esistenza non ha significato.
Justine il massimo compimento della cultura occidentale, ha quanto ogni borghese pu desiderare:
ricchezza, amore, carriera, ma tutto questo superfluo se a mancare una vera ragione per vivere.
Giunti a destinazione il ricevimento pu iniziare e svolgersi come pianificato da Claire, la sorella
della sposa.
Amici e familiari hanno tutti a cuore l'umore di Justine; le chiedono continuamente se felice,
perch non esserlo il giorno del suo matrimonio sarebbe pi di una mancanza di rispetto: sarebbe
incomprensibile; ma Justine non lo , e questo crea grande imbarazzo.
Justine in realt terrorizzata. Pi sente avvicinarsi la fine (Melancholia ancora un innocuo
puntino nel cielo) e pi le si fa chiara l'irragionevolezza del suo stare al mondo.
Dopo uno scontro verbale con la sorella Claire, che non comprende la natura del suo spleen, la
sposa rimane sola in studio, e sfoga la sua frustrazione sostituendo i libri di Malevic con Bruegel,
Millais, Hill e Caravaggio: i pittori d'avanguardia versus quelli senza tempo. Bruegel in particolare
citato in chiave romantica anti-progresso, anti-razionalit, anti-linearit della storia, anti-bellezza
classica. La prospettiva rovesciata e l'irrazionalismo tornano anche nella scelta di Wagner e dei
Prerafaeliti, come in Shakespeare e Genet che hanno tutti, a vario titolo, a che fare con il film. Si
conosce col cuore prima che con l'intelletto, la razionalit fumo negli occhi dell'istinto emotivo

non verbale.
La festa continua, ma la recita sociale si fa sempre pi forzata, quasi insostenibile. Justine precipita
nell'abisso del vuoto di senso, e dal baratro fa sempre pi fatica a guardarsi indietro. Dopo la cena
gli invitati escono in giardino per lanciare in volo lanterne di carta ma Justine, alzati gli occhi al
cielo per ammirarle, va molto oltre queste fino a perdersi nello sterminato spazio celeste del cosmo,
che non pu non stordire. La sequenza di elevato lirismo nella sua semplicit: mentre tutti
guardano il contingente Justine chiude gli occhi e coglie la profondit dell'esistenza senza nemmeno
osservarla.
Chi accresce il sapere aumenta il dolore sostiene l'Ecclesiaste e tutta la gnosi romantica. Solo il
grande spirito illuminato, il Buddha che riesce a spingersi oltre l'apparenza percepisce con chiarezza
che la vita dolore, e che la melanconia il fondamento ultimo di ogni cosa.
Ma l'irragionevolezza dell'esistenza passa per l'irragionevolezza delle convenzioni sociali. Justine
non riesce pi a stare al gioco della superficialit, e mette in discussione prima il legame di fedelt
coniugale e poi la sua carriera lavorativa, accoppiandosi con uno sconosciuto e insultando
pesantemente il suo datore di lavoro.
Justine getta definitivamente la maschera di ipocrisia che ha indossato forzatamente sin ora e tutti
iniziano ad odiarla. Justine non felice, e la verit insopportabile.
Come la Justine di Sade, l'Ofelia di Shakespeare, ma anche l'arcano dell'Appeso nella tradizione dei
tarocchi, la Justine di Lars von Trier ancora una volta la vittima sacrificale degli eventi, il martire
in odore di santit (Justine cez moi avrebbe detto Lars a Sade) presente come topos ricorrente in
quasi tutta l'opera del regista danese.
La festa finisce. Gli invitati, sposo incluso, lasciano in silenzio il castello in cui rimangono solo la
famiglia di Claire e Justine, che passa la notte nello studio circondata dalle foto dei suoi dipinti
preferiti.
Il film ora verte su Claire.
Claire fa da cerimoniere e da confessore; la riuscita del rito sociale quasi un fine in s, che deve
compiersi indipendentemente dalla volont dei celebrati.
Claire accudisce la sorella, la compatisce perch malata ma la ama profondamente.
Nella seconda parte del film, in un dialogo proprio tra lei e suo marito viene finalmente allo
scoperto l'argomento Melancholia. Ora il male che avvolgeva Justine ha un nome e una forma: c'
un pianeta che sta attraversando il sistema solare; gli scienziati prevedono che passer molto vicino
alla Terra ma sono discordi sul fatto che in fine la colpir. Anche Claire teme che la stella possa
essere maligna ma sinora ha preferito rimuovere completamente la questione.
L'utilizzo dell'elemento retorico Melancholia molto efficace dal punto di vista narrativo e fecondo
di implicazioni paradigmatiche. Il pianeta Melancholia una figura retorica operante a pi livelli:
simboleggia la morte, la sofferenza e l'insensatezza della vita. Esso di colore blu come il
sentimento di tristezza, depressione e malinconia nella lingua inglese. E' al tempo stesso una
metafora, una sineddoche, un'iperbole e un'allegoria le cui polivalenze allargano continuamente la
portata semantica del film. Se il monolite di Kubrick il significante puro, il pianeta Melancholia
il significato puro che racchiude in s una moltitudine frattale di tropi collegati tutti in ultima
analisi alla Verit dell'esistenza.
La malinconia che avanza non solo quella di Justine o di Lars ma quella dell'umanit tutta. Sono
infatti almeno tre, oltre quello testuale, i livelli di lettura del film.
Come una tragedia greca Lars mette in scena le proprie paure, che poi sono le paure ancestrali del
genere umano, per esorcizzarle. Il terrore della morte e l'angoscia per l'inesorabilit del destino
stanno anche qui per essere sublimati nell'opera d'arte tramite la loro elevazione estetica.

L'apatia di Justine divenuta nel frattempo paralizzante. Il suo malessere tocca l'apice: non mangia,
non si lava, non apre gli occhi; cade in un mutismo quasi totale, interrotto solo dalle grida di dolore
e da qualche sussurro. La morte l'ha avvolta interamente, e anche il suo piatto preferito ha il sapore
della cenere.
Il marito di Claire rassicura moglie e figlio che Melancholia far solo un breve passaggio nell'orbita
terrestre e scomparir senza provocare danni, ma Claire si fa sempre pi sospettosa ed inquieta
perch riconosce che Justin sa le cose, e che le sue intuizioni, come nel gioco della conta dei
fagioli, si rivelano puntualmente esatte.
Dopo fasi di rabbia, sconforto e depressione Justine arriva allo stadio dell'accettazione (vedi
l'elaborazione del lutto in Elisabeth Kbler Ross). Il personaggio, interpretato da una sconfinata
Kirsten Dunst, accetta la spaventosa realt della fine e vede migliorare gradualmente anche i
sintomi del suo malessere.
A questo punto alcune immagini del prologo ci appaiono chiare: Justine si immerge nel ruscello e si
riconcilia con la natura lasciandosi trasportare dalle onde del destino e della causalit. Alza le mani
al cielo e i filamenti elettromagnetici che le compaiono sulle sue dita sono quasi un collegamento
fisico e spirituale con l'universo. Justin entrata in sintonia con la storia e sta per diventare una cosa
sola con il cosmo.
Melancholia si avvicina sempre pi, il suo percorso ormai certo. Il marito di Claire non pu pi
negarlo a se stesso e trova nel suicidio la strada pi immediata. Vivere con la consapevolezza della
morte per lui, come per molti, era insostenibile. Claire vinta dal panico fugge verso il paese, ma si
blocca nel luogo metafisico della diciannovesima buca di un campo da golf che ne ha solo diciotto.
Anche suo figlio, il piccolo Leo, ha ormai capito che il pianeta non li risparmier, ma l'amata zietta
spaccacciaio non usa un inganno per rassicurarlo, gli dice semplicemente di non avere paura. E'
questa la chiave del messaggio che Lars manda al suo pubblico: siamo tutti destinati a vivere una
vita piena di dolori e priva di significato, ma ugualmente non dobbiamo averne paura.
Melancholia sorprendentemente simile al masso da un milione di pud cui parla Kirillov ne I
Demoni. Quando si sta sotto la grande pietra si ha paura, ma il masso in s non fa alcun male; il
timore che il masso cada a terrorizzare. Nel masso non c' dolore, il dolore tutto nella paura.Non
sonolecoseinscheciaddolorano,malopinionechenoiabbiamodiessesostenevaEpitteto.
Il masso, nell'allegoria di Dostoevskij, come la vita che si concede a prezzo di dolore e sgomento;
solo l'uomo che non ha paura di morire pu uccidere l'inganno e trascendere la sua natura. Io sono
terribilmente infelice perch temo terribilmente scrive Dostoevskij, la paura la maledizione
dell'uomo.
Melancholia rappresenta in questo caso lo sconforto, non la morte. Perch la tristezza ad
ucciderci, ancor prima del tristo mietitore.
Justine svela quindi al nipote che c' un posto dove potersi rifugiarsi nell'attesa della fine, non un
posto dove sopravvivere alla catastrofe, ma un luogo dove non avere paura di essa: la grotta magica.
Lars ora prova a darci un indirizzo morale ed estetico, un modello filosofico per venire a patti e
convivere con l'assurdo.
Come il nazismo, che nella sua follia omicida ha prodotto perle come Heidegger, Speer e
Riefenstahl, il nonsense della vita mostruoso ma anche sublime. Il sublime (spiegano Burke,
Schopenhauer e il romanticismo tutto) in quanto piacere che si prova osservando la potenza o la
vastit di un oggetto che potrebbe distruggere chi lo osserva, il sentimento che pi ci collega al
mistero dell'esistenza.
L'unico modo per affrontare il nonsense quindi, come una sublime opera d'arte, ammirarlo,
lasciarsi sedurre da esso, goderne, come fa Justine quando si porge nuda al calore radioattivo di
Melancholia.
Justine cavalca la tigre dell'incomprensibile, morde il serpente dell'eterno ritorno e gode della fine
di tutto, ma non nel modo affettato e inautentico proposto in ultima istanza da Claire. Justine
attende la morte senza isterie con la grazia che gli propria, riuscendo a creare un rito inedito con
cui esorcizzare l'inconoscibile.

La grotta magica non altro che una capanna fatta da pochi ceppi di legno incastrati alla meglio.
Non gran cosa, ma quanto di pi utile e raro ci sia. Se Lars Justine la grotta magica il suo
stesso film, la sua produzione artistica, l'arte e la cultura in generale che, incastrando goffamente
segni, crea pericolanti strutture di senso; narrazioni ridicole di fronte al mistero della vita, eppure
quanto di pi prezioso disponiamo.
Il regista non poteva creare metafora pi proporzionata: i mezzi con cui l'uomo cerca di
comprendere l'esistenza sono del tutto inadeguati, come lo un instabile riparo di legno di fronte al
pianeta che sta per polverizzarlo; ma nonostante questa inadeguatezza la poiesis, la creazione
culturale resta in grado di offrire un rifugio almeno emotivo al terrore dell'ignoto.
Quello che fa Justine morire con eleganza, e lo fa trasformando la straziante attesa della fine in un
gioco.
Lars ci dice che se Dio morto, le cerimonie sacre sono per ancora necessarie. I rituali magici e le
celebrazioni sono sempre state le risposte dell'uomo alla paura della morte, i suoi tentatitivi di
mettere ordine e interpretare il caos. Ora questi riti non saranno pi il battesimo o la messa, in cui
abbiamo smesso di credere, ma cresceranno in seno alla letteratura, alla musica, al teatro, al cinema.
Saranno le arti ed i giochi a sostituire filosofia e religione, perch l'arte , in definitiva, il luogo
dell'apocatastasi; il gioco la grotta magica dove poter ingannare il tempo e attendere la morte
senza timore.

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