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Ha senso festeggiare il 2 aprile giornata dell'autismo?

Siamo ad un nuovo 2 aprile, giornata mondiale per la consapevolezza dell'autismo. Potremo aprire
il dibattito sull'opportunit di queste giornate commemorative: servono non servono?
Da poco si spenta l'eco di un simile dibattito sulla ricorrenza dell'8 marzo. Spenti i riflettori della
festa, poco o nulla cambia. Di solito dopo giornate come queste ci si sente pi tristi, pi soli, pi
incazzati. Spesso in giornate celebrative come queste si riascolta per l'ennesima volta l'elenco
dettagliato di ci che ci vuole, di cosa necessario fare. Spesso in giornate come queste, ne ho
vissute ormai diverse, tutti descrivono il proprio lavoro, come sono bravi a fare una certa cosa o
un'altra.
In queste giornate per ci si dimentica talvota del futuro delle persone con autismo, di gettare le basi
di un loro progetto di vita, non si tengono nel giusto conto le loro aspirazioni, i loro desideri.
Si parla solo di che cosa serve e di che cosa si fatto da qualche parte. Applausi e tutti a casa.
Cosa far mio figlio tra 10 anni?
Noi genitori ci troviamo quotidianamente a vivere con i nostri figli che hanno grosse difficolt e che
spesso non parlano, ma con gli occhi, con il corpo con la loro esuberanza di giovani adulti tutti i
giorni ci fanno la stessa domanda. E io la giro a al mondo accademico, alla politica,agli intellettuali
della sanit, ai medici, agli amministratori. Vogliamo chiedere: c' qualcuno che ha un'idea di che
cosa faranno i nostri figli fra 10 anni o oltre? Si posto qualcuno il problema? C' qualcuno che
ha in un cassetto della propria scrivania, in un angolo della propria mente, un pensiero un'idea su
questo argomento? Un progetto che non sia un internato, un badantato, un asilo per grandi, o peggio
ancora una reclusione? Vorremmo parlare di questo. Tutte queste giornate vengono organizzate
credo per migliorare la vita delle persone con autismo e, senza voler tirar fuori la solita litania sulla
centralit del paziente vorremmo si parlasse di questo. E allora, nei vari convegni che si
svolgeranno, vorremmo che si buttasse via gli appunti, la relazioni, sicuramente interessanti sul
quanto fatto fino ad oggi si provasse a parlare, nell'interesse dei ragazzi e delle famiglie, di questa
cosa.
Parliamo della vita dei nostri ragazzi, non solo della loro malattia
Vogliamo parlare della vita dei nostri ragazzi non solo della loro malattia o del loro problema.
Siamo sempre in mezzo ai medici fanno il loro lavoro ovvero evidenziano solo i minus dei nostri
ragazzi, i loro deficit, le loro disabilit. Ma i nostri ragazzi sono molto di pi. Hanno un'umanit
straordinaria e voglia di vivere la propria vita con e nonostante i loro problemi. Queste personalit, i
nostri ragazzi, si trovano al di fuori o se va bene ai limiti della norma e vengono completamente
assorbite costantemente dal terreno medico. Se ne parla solo in un ottica medica, solo nell'ottica di
una medicina che cerca di riportarli ad una normalit prevista e prestabilita senza che nessuno provi
mai a modificare il limite della normalit e dell'anormalit.
Ma siamo sicuri che la scienza medica si debba occupare in toto della vita di queste persone?
Siamo sicuri di voler codifcare tutto? E' utile? Ci serve fare un percorso assolutamente medicato o
non ci serve invece un percorso assistito volto a realizzare le capacit di un individuo in una vita
vissuta nel reale e non nel laboratorio? Ce la facciamo a pensarlo o troppo?
Le persone autistiche hanno diritto ad una vita vera e non ad una finzione di vita
Autismo Toscana sta partecipando come associazione promotrice ad un progetto che prevede
persone affette da Autismo in un percorso lavorativo reale. Tale progetto si svolge a Ventignano,
una localit di San Pierino Fucecchio dove accanto ad un centro diurno per persone autistiche
sorta la Cooperativa sociale agricola di tipo B, Sinergic@, che si occupa dell'inserimento lavorativo
delle persone che frequentano il centro. Stiamo portando avanti un esperimento di vita, vogliamo
dare un senso alla vita di questi ragazzi attraverso l'unico strumento che d un senso alla vita di
ciascuno di noi, l'unico strumento esistente per tutti: il lavoro. Li facciamo lavorare. Li abbiamo
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inseriti in un percorso produttivo vero, ogni ragazzo ha un ruolo definito secondo le capacit e
abilit personali. Ma non un laboratorio un lavoro vero, una produzione lavorativa vera che parte
dalla semina degli ortaggi e finisce con la vendita, vera e non di beneficenza: un progetto di vita in
cui si inserisce la progettazione agricola, che usiamo per raggiungere determinati risultati in
un pi ampio progetto individuale.
E allora vale la pena riprendere il discorso interrotto prima e provare a riflettere su ci che stiamo
facendo.
Ce la facciamo a pensare che un ragazzo che che si confronta con un lavoro vero non sta facendo
una terapia? Ce la facciamo a pensare che non sta facendo riabilitazione ma sta provando ad usare
le proprie capacit e a gestire i suoi problemi?
E ce la facciamo ad aiutarlo senza pensare per forza che sia un percorso medico, o peggio ancora
uni semi internato o un modo per distrarlo?
Sento dire: ma alla sera sono stanchi. La sera dopo aver lavorato alcune ore sono stanchi.
Quando rientrano dentro il diurno sono stanchi e nervosi.
Dobbiamo a spiegare che cosa vuol dire essere stanchi dopo aver lavorato? normale? Tutti lo
siamo alla sera. Il paradosso che la stanchezza in un'ottica di vita normale e accettabile, in
un'ottica di laboratorio invece no. Quando rientrano dall'attivit agricola sono a volte nervosi.
Perch hanno smesso il lavoro?
Perch hanno abbandonato il campo?
Perch rientrano e non gli piace star dentro?
Ma certo dire che sono nervosi dopo il lavoro ci serve a mantenere la separazione tra normalit e
anormalit, tra chi pu lavorare e chi non pu. E a continuare un percorso medicato.
A chi spetta pensare alla vita dei nostri ragazzi
Non credo che la sanit, i dottori dovrebbero pensare alla vita di questi ragazzi. No, non credo
proprio. Credo che i dottori dovrebbero pensare ai problemi di salute di queste persone e che la
loro vita fosse inserita nella comunit, tra le persone, in circuiti di vita reale in cui siano conosciuti
i loro problemi e in cui si sappia cosa possono dare e cosa possono fare. Ricordiamo che unattivit
insegna il FARE (acquisizione di competenze tecniche) e lo STARE (acquisizione di competenze
sociali e relazionali).
Ci manca la politica che preveda la vita di queste persone, che non deleghi alla sanit ma si
assuma la responsabilit di accogliere queste persone facendo politiche inclusive.
Allora, ce la facciamo? Ad oggi dobbiamo rispondere che no, non ce la facciamo. Scusate rispondo
io. Ma signori non possiamo continuare cos, non possiamo continuare a trattare queste persone solo
come un problema tecnico per il quale necessario trovare soluzioni tecniche appropriate.
Abbiamo il dovere di migliorare la nostra cultura della disabilit per offrire ad esseri umani modelli
di vita che consentano un vero adattamento. La strategia, la finalit prima di ogni azione l'uomo
(non l'uomo astratto, ma tutti gli uomini), i suoi bisogni, la sua vita, all'interno di una collettivit che
si trasforma per raggiungere la soddisfazione di questi bisogni e la realizzazione di questa vita per
tutti. Ci sta a significare che il valore dell'uomo, sano o malato, va oltre il valore della salute o
della malattia.
Il ruolo della politica: passare dalla teoria alla pratica
La politica batta un colpo per favore, si occupi della vita di queste persone e non deleghi
completamente alla scienza medica la vita di queste persone e di queste famiglie. Ad oggi
questo progetto non c'. Questa la verit. Se ne parla, riunioni, delibere, protocolli, progetti di
legge, che spesso servono a chi li fa. Assistiamo continuamente a progetti di riforme, proposti,
boicottati, ritirati, riproposti; le linee di azione teoricamente accettate e mai messe in pratica;
l'assenza di programmazione reale che parta dalla nostra situazione per rispondere praticamente alle
nostre esigenze; l'assenza di piani sperimentali che verifichino la validit e l'utilit reale dei nuovi
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programmi; l'adeguamento alle nuove teorie, senza che gli atti modifichino la situazione su cui
dovrebbero incidere. Tutte queste cose non sono altro che la dimostrazione dell'impossibilit di
un'azione di rinnovamento tecnico che non si imponga come necessit economica.
L'utopia pragmatica contro il mantenimento dello status quo
Assistiamo ormai purtroppo da diversi anni a riforme che hanno le loro radici non nel diritto ma nel
capitale, nelle necessit economiche. I genitori, noi di Autismo Toscana, abbiamo un progetto nella
nostra testa e al centro di questo c' la vita dei nostri ragazzi e ci piace pensare che siano considerati
persone con problemi pi o meno importanti ma persone che hanno diritto ad una vita e non solo ad
un controllo. Si lavora per questo ma talvolta, quando descriviamo i nostri progetti, si ha la
sensazione, guardando chi ci ascolta, di essere presi per visionari, per sognatori. Si ha la
sensazione di descrivere un'utopia. Ma la nostra si un'utopia ma un'utopia pragmatica che
sembrerebbe un ossimoro, una contraddizione, ma per noi significa saper anticipare i problemi cos
realisticamente e per tempo da mettere in moto i rimedi giusti, quelli che una visione miope
impedisce di vedere. Noi non vogliamo indossare la maschera dell'Aristofane di turno, collocando
la testa fra le nuvole. Il nostro progetto serio e realistico. Visionari si, ma con i piedi ben piantati
per terra. Ben piantati certo, perch noi come nessuno conosciamo l'entit del problema, i limiti e la
vita con il problema, le difficolt, le possibilit di evoluzione, i miglioramenti e le conseguenze che
si producono nella vita delle persone e delle famiglie.
Ma certamente credere nella necessit di dare un senso alla vita dei nostri ragazzi pu essere
faticoso e pu voler dire lavorare, per un lungo periodo iniziale, non per quel consenso che spesso
orienta le politiche ma che non sempre/quasi mai prevede utopie, visioni, sogni volti a cambiare,
modificare, invertire, sovvertire lo status quo. Perch di questo si tratta. Sovvertire, cambiare vuol
dire lavorare studiare, sfidare mettersi in discussione, dubitare ed ascoltare, ascoltare e dubitare.
Faticare tanto, ma certo laddove l'orizzonte il consenso tutto questo non serve. E anche molti
tecnici, molti scienziati della materia non sono incolpevoli in questa mancata progettazione perch a
loro spetterebbe il compito di indicare la strada a chi decide, spesso non conoscitore della scienza.
I numeri e la frammentazione territoriale della presa in carico dell'autismo
Ancora oggi non abbiamo i numeri sull'autismo. Colpa delle mamme anche questo? Ma pur non
avendo i numeri non c' dubbio che le diagnosi sono aumentate di molto e siano sicuramente pi
precoci, si fanno prima di un tempo. Sicuramente la presa in carico di questi bimbi esiste, meglio o
peggio a seconda delle zone, ma esiste. Certo da presidente di un'associazione regionale non posso
tollerare una risposta frammentata come abbiamo ora, frammentata disuguale, quindi ingiusta. Unit
operative attaccate territorialmente che danno risposte diverse ad una patologia che necessita
obbligatoriamente risposte di territorio allargato. Giustificate solo con perentori noi si fa cos.
Empoli diverso da Firenze e diverso da Arezzo e cos via, per non parlare delle differenze interne
alla usl giustificate con zone, distretti e societ della salute.
Tante unit operative, tante risposte senza un coordinamento che parta dalla persona, quella persona
che sulle carte e nei ragionamenti di tutti i dirigenti e amministratori al centro.
Tot capita tot sentenziae, tante persone, tante opinioni diverse come diceva il commediografo
romano Terenzio nel 160 avanti Cristo, peccato che sono passati pi di 2000 anni e che la vita dei
nostri ragazzi non una commedia.
La scuola
La scuola merita un discorso a parte. Tutti gli anni ricomincia da un punto pi basso. Tutti gli anni
ricomincia ed un'impresa disperata. Volendo provare a parlare del lavoro che fanno ogni anno i
genitori e spesso gli insegnanti ci troviamo a descrivere un lavoro pi simile all'impresa di Sisifo
che all'organizzazione di un percorso di inclusione scolastica. Tutti gli anni ci ritroviamo a dover
iniziare daccapo spesso da livelli di accoglienza pi bassi e con una fatica enorme, perch, in barba
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ai protocolli, i genitori rimangono i veri coordinatori del progetto di presa in carico. Abbiamo
purtroppo fatto l'abitudine alle situazioni in cui il lavoro viene gestito in maniera parziale, senza
sapere che cosa succede nella stanza accanto. Funzionari, dirigenti che conoscono solo il loro
pezzettino di pertinenza, disinteressandosi del prima e del dopo. Le risposte pi frequenti sono:
non si pu, c' un problema di responsabilit, devo chiedere, non lo so, non mio
compito.
E a proposito di responsabilit, mi chiedo: pu un dirigente rispondere con queste parole? Credo di
no. Pu un dirigente non conoscere tutto l'intero iter di inclusione scolastica? Credo di no. Pu un
dirigente accompagnare il ragazzo in ogni fase dell'inclusione scolastica? Deve.
Stesso dicasi per fuori dalla scuola dove sanit, servizi sociali e comuni si rincorrono nelle
competenze e nelle responsabilit creando una matassa di percorsi incomprensibile.
Il passaggio dall'adolescenza all'et adulta
E poi:
- se i numeri dei diagnosticati aumentato
- se la presa in carico aumentata e migliorata
- se i ragazzi, presi in carico precocemente sono pi bravi e hanno un'aspettativa di vita migliore
rispetto a qualche anno fa,
che facciamo?
Quale progetto abbiamo per i ragazzi che ora hanno 25 anni, dei quali ci siamo accorti in ritardo ma
che ora grazie a progetti anche frammentati, di iniziativa prevalentemente dei genitori, iniziano a
sperare in una vita decorosa? Quali progetti abbiamo per i ragazzi che ora hanno 15 anni, che hanno
avuto una presa in carico decorosa e che hanno giustamente buone aspettative di vita?
Che cosa pensiamo di fare per queste persone?
Di autismo non si muore, di autismo non si guarisce.
Con l'autismo si pu vivere una vita decorosa e non per forza terribile. Ma che cosa intendiamo con
progetti di vita, con senso della vita? Per rispondere forse ciascuno di noi potrebbe guardare dentro
di s e io per rispondere vorrei dire qualcosa di quello che stiamo facendo a Ventignano.
Il progetto autismo e lavoro agricolo a Ventignano
A Ventignano noi dell'associazione insieme ad altri amici abbiamo dato vita ad una cooperativa
sociale che si chiama Sinergic@, abbiamo realizzato un contesto che possa essere il luogo dove i
ragazzi vengono a vivere le proprie giornate, a vivere le proprie giornate e non semplicemente a
trascorrerle, un posto dove ognuno fa la propria parte, tutti verso lo stesso obbiettivo che non un
obbiettivo unico ma sono tanti obbiettivi:
il lavoro
la produzione
il senso della vita
lo stare insieme
l'essere accettati per quello che si
l'essere accettati per quello che si sa fare.
Nessuno ha il comando, una prevalenza, tutti hanno un compito che ciascuno deve portare a termine
al meglio secondo le proprie capacit perch anche quel piccolo o grande compito finalizzato e
utile per l'obbiettivo. Ma la mancanza di un progetto generale rischia di far fallire questi progetti
meravigliosi e isolati. Progetti meravigliosi e isolati spesso rallentati, complicati, senza aiuti.
Spesso non abbiamo aiuti nella realizzazione del progetto non abbiamo sostegni, scorciatoie ma
bens norme, protocolli, difficolt, false incompatibilit.
La parte pubblica si occupi della salute pubblica non solo della sanit e favorisca, dia impulso,
incentivi questi progetti. I motivi per i quali dovrebbe fare questo, motivi etici, morali, economici,
sono di tutta evidenza.
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Gli ostacoli alla realizzazione di un progetto di vita per persone con autismo: lo spettro di un
ritorno a soluzioni di segregazione
Ma se la politica non progetta e delega alla sanit che cosa pu fare la sanit se non quello che sa
fare e che ha sempre fatto? Ovvero medicalizzare tutto e replicare controllo e assistenzialismo.
Avrebbero il dovere di fare di pi ovviamente. Ripeto siamo di fronte agli intellettuali della sanit.
Con l'aumento delle diagnosi aumenteranno e di molto le persone con autismo a cui dovremo dare
una risposta. Ma, visti i tempi con cui vengono realizzati i progetti nel nostro paese c' da pensare
che le risposte non arriveranno. Non c' traccia ad oggi di un progetto di vita realizzato per una
persona di 25 anni. Si sente nuovamente parlare di costruire grossi edifici, con tante finestre,
chiuse, e tante porte, chiuse. Strutture che dovrebbe accogliere disabili psichici un po' di tutte le
specie, che non so davvero come lo vorremo chiamare. Grosse case spesso abbellite con campetti
da calcio e/o da basket: noto che i 40enni autistici giocano ore e ore al calcio. Tutti i giorni. Ci
dicono che le varie patologie saranno divise, forse in padiglioni, (altre porte chiuse) ma poi, via si
sa: il bilancio, i tagli, qualcosa si rivedr. Ecco il vero pericolo ad avere tante persone con disabilit
intellettiva, mentale senza un progetto di vita, si risponde con soluzioni di controllo, di badantato, di
sicurezza. Una risposta che come spesso succede non basata sui bisogni ma rappresenta
l'evoluzione di un pensiero scientifico che prosegue seguendo la propria logica insieme alla logica
economica dell'area in cui agisce, creando bisogni artificiali e occultando quelli reali.
Noi dobbiamo pensare a chi non ce la fa mi dice il solerte dirigente ASL, quello dell'ultimo piano,
dove si decide e la stessa cosa puntualmente mi viene ripetuta dagli allineati dirigenti medici. Non
mi dicono, forse si dimenticano, quante ore al giorno giocano al calcio quelli che non ce la fanno.
Dovrebbero saperlo.
Ma che cosa vuol dire non ce la fa? Rispetto a cosa si dice che non ce la fa? Per cosa non
adatto? Che cosa gli abbiamo chiesto di fare per dire che non ce la fa? Conosciamo persone che
hanno vissuto 20 anni di presa in carico sostanzialmente segregativa e che a quasi cinquanta anni
sono stati liberati e sono stati felicemente inseriti in qualche attivit agricola.
Esiste, domando da genitore, una valutazione di questi ragazzi? Una valutazione dei disturbi, delle
capacit? Delle attitudini? Valutazioni non di pancia ma basate su dati scientifici? Condivise con i
genitori che fino a prova contraria sono quelli che pi di tutti stanno con queste persone?. Come si
fa a dire chi che non ce la fa se manca tutto questo? Se non ce la fa, forse la richiesta sbagliata,
una richiesta troppo alta. Troppo facile e inaccettabile dire non ce la fa, te lo dico io. Certo se
non c' un progetto e se le persone con autismo si affidano in maniera generica al welfare,
senza un progetto che va\da oltre la sopravvivenza, abbastanza prevedibile che la sentenza
sar non ce la fa.
Non possono esserci sentenze favorevoli se i centri vengono strutturati solo come centri di
controllo e di mantenimento di persone che non possono andare altrove. Da questo (aberrante)
punto di vista, queste grosse case che bollono in pentola servono a risolvere il problema perch
l'azione di controllo la fanno bene.
La costruzione di queste nuove strutture contenitore sono causate dal nostro non fare e
non dai ragazzi che non ce la fanno.
Se si sta pensando a tutti i ragazzi che possiamo conoscere o che si frequenta per lavoro e se si sta
cercando di individuare chi ce la far, rispondo io. Non ce la far nessuno. Nessuno di questi
ragazzi che noi accogliamo in un certo modo da piccoli ce la far. E nessuno ce la far perch noi
non stiamo pensando a progettare il loro futuro e ad oggi non siamo in grado di accoglierli nella
nostra societ come persone certamente pi deboli, certamente pi fragili, certamente bisognosi di
aiuto, sicuramente difficili, sicuramente meno capaci e meno produttive, ma persone e in quanto
persone portatori di nostri stessi diritti.

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