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Diritto e religione

Levoluzione di un settore della scienza giuridica


attraverso il confronto fra quattro libri
Atti del seminario di studio
organizzato dalla Facolt di Scienze Politiche
dellUniversit degli Studi di Salerno
e dalla Facolt di Giurisprudenza dellUniversit degli Studi di Pisa
Pisa, 30 marzo 2012

a cura di

Gianfranco Macr
Marco Parisi
Valerio Tozzi

Plectica

Volume pubblicato con il contributo


della Facolt di Scienze Politiche
dellUniversit degli Studi di Salerno

by Plectica editrice s.a.s.


Via Botteghelle, 55 - 84100 Salerno
tel 377 2075110
e-mail info@plectica.it
sito internet www.plectica.it
Riservati tutti i diritti, anche di traduzione,
in Italia e allestero.

Indice

Saluto introduttivo
di Pierluigi Consorti

Appartenenza e rappresentanza. Lattenzione dellordinamento statale


al rapporto tra individui e soggetti collettivi religiosi di appartenenza
di Valerio Tozzi
Parte prima
Presentazione degli autori

13

Marco Parisi
Gianfranco Macr
presentano il volume
G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione, Plectica, Salerno, 2011

31
47

Luciano Musselli
presenta il volume L. Musselli, Diritto e religione in Italia ed in Europa,
Giappichelli, Torino, 2011

57

Mario Ricca
presenta il volume M. Ricca, Diritto e religione. Per una pistemica
giuridica, Cedam, Padova, 2002

59

Pierluigi Consorti
presenta il volume P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, RomaBari, 2010

131

Parte seconda
Commenti sulle opere considerate

Rinaldo Bertolino
G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione, Plectica, Salerno, 2011

143

Francesco Margiotta Broglio


L. Musselli, Diritto e religione in Italia ed in Europa, Giappichelli,
Torino, 2011

151

Paolo Picozza
M. Ricca, Diritto e religione. Per una pistemica giuridica, Cedam,
Padova, 2002

163

Enrico Vitali
P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma-Bari, 2010
Parte terza
Contributi dal seminario
Chiara Lapi, Cronaca del seminario
Maria Gabriella Belgiorno De Stefano, Il Diritto ecclesiastico
pu sopravvivere
Fabiano Di Prima, La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico.
Primi cenni
Alberto Fabbri, Alcune osservazioni sugli orientamenti del Diritto
ecclesiastico nellUniversit riformata
Mario Ferrante, Le nuove frontiere del Diritto ecclesiastico
Giuseppe Gullo, A proposito di una nuova definizione del Diritto ecclesiastico
Manlio Miele, Brevi note esperienziali didattiche
Giuseppe Rivetti, Diritto ecclesiastico: il futuro dipende dalle origini
Marta Tigano, Il contributo della scienza del Diritto ecclesiastico
al farsi dellordinamento giuridico
Giovanni B. Varnier, Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto
e religione
Parte quarta
Altri contributi
Giancarlo Anello, Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert
di culto
Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori, Diritto ecclesiastico e canonico
tra vecchio e nuovo multiculturalismo
Luigi Barbieri, Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate
di Benedetto XVI
Germana Carobene, Laicit e libert religiosa: prospettive dellattuale
diritto delle religioni
Cristina Dalla Villa, Il diritto delle religioni nella Corte dei gentili
Maria Luisa Lo Giacco, Associazionismo confessionale e dialogo
interreligioso
Grazia Petrulli, Diritto e secolarizzazione
Paolo Stefan, Kafalah islamica e uguaglianza religiosa: laicit
e societ multiculturale

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433

Autori 449

Saluto introduttivo

Saluto introduttivo

di Pierluigi Consorti

1. Permettetemi di avviare la nostra giornata di lavoro indirizzando a


voi tutti un saluto di benvenuto a Pisa ed un sincero ringraziamento
per aver accettato linvito a partecipare a questo incontro. Il merito
dellidea va riconosciuto a Valerio Tozzi, che ha coinvolto il Dipartimento di Scienze politiche, sociali e della comunicazione dellUniversit di Salerno, ma soprattutto si assunto lonere di coinvolgere
gli illustri Colleghi Rinaldo Bertolino, Francesco Margiotta Broglio,
Luciano Musselli, Paolo Picozza ed Enrico Vitali che pur non essendo pi formalmente in ruolo hanno a loro volta accettato di
aprire una discussione apertamente indirizzata ad animare il dibattito
fra i Colleghi che se non altro, per mere ragioni anagrafiche avvertono la necessit di confrontarsi sul futuro della nostra disciplina.
Ai relatori va quindi un ringraziamento speciale, che vorrei estendere
anche a Paolo Moneta, che ci onora della sua presenza e che sono
convinto vorr aiutarci anche nel dibattito odierno.
2. Ho accolto volentieri la sollecitazione di Valerio Tozzi assumendo
in corsa lonere di collaborare alla preparazione di uniniziativa gi
in cantiere, perch sono convinto che abbiamo bisogno di una pausa
di riflessione che ci aiuti a precisare i termini di una discussione sul
futuro della disciplina che, pur non essendo nuova n in s originale,
ha tuttavia ancora bisogno di essere precisata ed approfondita. Ho
pensato che potevamo fare un passo in avanti utilizzando un metodo
di discussione non sempre frequentato nellaccademia italiana, sintetizzato nel titolo di seminario. Lidea quella di favorire una discussione libera e partecipata; per quanto possibile fuori dagli schemi
pi ordinati dei convegni tradizionali. Per laiuto che riceveremo in
questo senso ringrazio sin dora lo staff del Centro interdisciplinare
Scienze per la pace dellUniversit di Pisa che, oltre ad aver soste7

Pierluigi Consorti

nuto lattivit organizzativa, si accollato la responsabilit, non facile, di curare i momenti partecipativi del pomeriggio: sui quali so esserci un po di suspense, che verr sciolta al termine della mattinata.
Ringrazio anche la Facolt di giurisprudenza e il Dipartimento di
diritto pubblico dellUniversit di Pisa, che hanno sostenuto a loro volta questa iniziativa. Menziono entrambi i soggetti che tradizionalmente
appaiono centrali nella vita universitaria, ben sapendo che possibile
farlo solo perch oggi il 30 marzo: se avessimo scelto una data di
poco successiva non avremmo avuto lopportunit di riferirci alla Facolt, com noto dissoltasi a seguito della cosiddetta riforma Gelmini,
che, fra laltro, rinnega la divisione fra didattica e ricerca su cui si era
innestata la riforma degli anni Ottanta. Accenno alla riforma perch la
nostra discussione deve posizionarsi sullo sfondo dei cambiamenti pi
larghi che interessano lUniversit italiana, e con essa lintera societ.
La domanda sul futuro del diritto ecclesiastico credo debba essere
contestualizzata in tali scenari. Ad esempio, non possiamo nascondere che alcune scelte dipendono dalle mutate condizioni dei nostri
impegni didattici. Oramai la gran parte di noi insegna due, talvolta
tre e persino quattro materie. Di conseguenza, il tempo per la ricerca
si restringe drasticamente. Lintroduzione dei crediti formativi quali unit di misura della didattica si peraltro rivelata un perverso
misuratore del peso scientifico ed accademico di ciascuna materia.
Possiamo far finta di niente: ma non la stessa cosa se contiamo 6 o
9 crediti, o se i nostri insegnamenti sono obbligatori ovvero appaiono
fra gli opzionali. Non ne faccio ovviamente una questione di principio: ma sappiamo che il nostro futuro dipender anche dalle politiche di reclutamento, che si svolgono a colpi di budget e crediti, con
buona pace dellautonomia ed autorevolezza scientifica. Per parlare
chiaro, permettetemi di superare le parole di circostanza e dire a voce
alta ci che tutti diciamo nei corridoi: una parte del nostro futuro dipender anche dal numero dei docenti, dal ruolo che ricoprono e dai
crediti attribuiti ai nostri insegnamenti.
Al livello nazionale la situazione non uniforme. Disponiamo
tuttavia di un dato oggettivo di immediata evidenza, che pu tornare
utile per una valutazione in termini prospettici. Lorganico del nostro
8

Saluto introduttivo

settore scientifico disciplinare ad oggi composto da 44 professori


di prima fascia (pi un idoneo); 34 professori di seconda fascia; 48
ricercatori a tempo indeterminato e 3 a tempo determinato. Siamo
quindi una piccola comunit scientifica di 129 persone. Il blocco del
turn over ci condiziona fortemente, e nemmeno possiamo pi contare
sullinserimento di ricercatori a tempo indeterminato. La riduzione
dei fondi per i dottorati di ricerca peraltro tornati anchessi di fatto
al regime dei consorzi interuniversitari provocher verosimilmente
un ulteriore assottigliamento del gruppo di docenti, di per s soggetto
agli inesorabili pensionamenti.
Certamente, i fatidici raggiunti limiti di et non mettono a riposo il cervello. E per fortuna disponiamo di cervelli ed energie in ottima forma. Pur tuttavia scusate la potenziale volgarit, ma spero sia
chiaro il messaggio che voglio trasmettere con minori possibilit di
incidere nellattuale sistema universitario che di fatto sottovaluta la
priorit dei meriti scientifici e che in ogni caso ha bisogno di accrescere le possibilit di accesso per i pi giovani. Non mi stancher di
dire che solo nellUniversit italiana i giovani professori hanno pi
di 40 anni (e talvolta 50!).
3. Non voglio per insistere su questi aspetti, che pure ritengo essenziali per inquadrare il contesto in cui si svolge il Seminario odierno,
che ha un obiettivo meno modesto della sola messa a punto dei
numeri appena ricordati. Credo siamo tutti convinti che lo sforzo
maggiore che la nostra comunit scientifica chiamata a fare riguardi la sua visibilit in termini di effettiva autorevolezza scientifica.
Dobbiamo poter cogliere dal contesto pi generale quali possano
essere le direzioni di studio che consentano di far apprezzare il nostro lavoro per la sua specificit culturale, in modo particolare nel
campo delle scienze giuridiche. In questo senso, resto personalmente
convinto dellopportunit di concentrarci maggiormente sullo studio
dei fenomeni sociali connessi al rapporto fra diritto e religione, cos
come esso si dispiega nellodierna societ multiculturale.
Per la nostra discussione abbiamo preso lo spunto dal fatto che
almeno quattro libri sono recentemente stati intitolati Diritto e re9

Pierluigi Consorti

ligione; ed altri se ne sono aggiunti nelle ultime settimane. Prendere


spunto da questi titoli un evidente escamotage. Il punto centrale
non il titolo (sebbene anche questo aspetto nominalistico non sia
poi del tutto secondario), quanto la sostanza che questo traduce.
Senza dilungarmi troppo, permettetemi pertanto di esprimermi su
alcuni punti sostanziali che, a mio parere, dovrebbero essere affrontati nel dibattito odierno. A mio modesto parere il futuro del diritto
ecclesiastico si giocher sulla frontiera della sua concezione quale
disciplina giuridica utile. In primo luogo in termini culturali: ossia in vista del progresso sociale. Abbiamo conoscenze che possono
aiutare in questa direzione. Siamo esperti delle dinamiche connesse
ai conflitti religiosi, che oggi si svolgono in termini molto diversi rispetto ad un passato, pure abbastanza vicino. E credo che siamo stati
in grado di cogliere le principali novit connesse a tale evoluzione.
Tuttavia non siamo sempre stati capaci di comunicare quello che sappiamo; fino al punto che troppi credono che si possa tranquillamente
fare a meno della nostra peculiare esperienza. Dobbiamo chiederci
perch questo avvenuto. E necessariamente immaginare quale direzione intraprendere per invertire la tendenza.
Dobbiamo poi porci una domanda sullutilit del diritto ecclesiastico in termini didattici. In genere i nostri Corsi durano poche ore
(meno delle tradizionali 60 ore). Non possiamo pi ripercorrere la
manualistica tradizionale. E quindi: quali argomenti privilegiamo nei
nostri Corsi (e, di conseguenza, nei nostri manuali)? Quali sono gli
argomenti che oggi caratterizzano il diritto ecclesiastico in termini
accademici? Cosa crediamo che debbano sapere gli studenti che frequentano i nostri Corsi? Va da s che le risposte a queste domande
incidono anche sui termini delle nostre ricerche. Quali sono i settori
di ricerca che caratterizzano la nostra disciplina?
Gli studenti non sono per gli unici destinatari delle nostre attivit
di ricerca. Siamo giuristi, e come tali abbiamo la possibilit di incidere nel campo del diritto. Dovremmo forse delineare meglio i contorni
dei nostri interessi in questo senso? Qual lapporto principale che
possiamo dare al mondo del diritto? E, pi in particolare, agli operatori del diritto?
10

Saluto introduttivo

Dovremmo anche porci un problema di metodo. Credo che il diritto ecclesiastico si ponga da sempre su un versante interdisciplinare, a
cavallo fra diritto, storia e perch no? teologia. Percorrendo questa via abbiamo avuto esperienze significative di scienza della politica e dellamministrazione pubblica. Con una spiccata attenzione alla
comparazione giuridica. Tutto questo favorisce lelasticit necessaria
per chi vuole fare ricerca in questa nostra epoca; linterdisciplinarit
necessaria specialmente guardando al futuro. Da questo punto di
vista penso che il contributo degli ecclesiasticisti vada valorizzato.
Nello stesso tempo siamo portatori di esperienze diverse: possiamo chiederci se sia opportuno proseguire sulla strada delle nostre
distinte originalit individuali, oppure se non sia meglio creare alleanze culturali pi larghe: sia al nostro interno che verso lesterno.
In termini minimalistici possiamo domandarci se siamo permeabili
alle esigenze della interdisciplinarit, oppure vogliamo mantenerci
in uno spazio di autoreferenzialit giuridica. Io credo sia necessario
ravvivare i contatti con la ricerca storica e con quella teologica, senza
dimenticare lantropologia e la sociologia.
Guardandoci poi pi da vicino, mi chiedo se sia utile proseguire
nella logica della differenziazione fra scuole dentro la nostra disciplina (posto che sia oggi ancora possibile e realistico parlare di scuole):
non sarebbe meglio tentare alleanze virtuali su temi e metodi che
segnalino allesterno una nostra specificit unitaria?
Nel passato certi equilibri culturali si determinavano in sede concorsuale. Ma non credo abbia molto senso oggi attribuire a future
abilitazioni nazionali, ed alle successive selezioni locali poste sotto
la dittatura del budget, il ruolo di scriminanti culturali. La questione
dei numeri torna a giocare un ruolo non marginale. Non credo abbia
senso ragionare in termini di difesa della cittadella assediata (che poi
sarebbe IUS 11). Piuttosto ragioniamo in termini di contaminazione
culturale.
4. Non credo che siamo arrivati per caso al punto in cui ci troviamo.
Abbiamo seguito un percorso determinato da molti fattori esogeni.
Ma nessuno di noi stava esattamente altrove. E, sia consentito dirlo,
11

Pierluigi Consorti

chi si posto altrove ha implicitamente assunto la responsabilit di


essere altrove.
Credo sia giunto adesso il momento di assumerci responsabilit
personali, ed insieme collettive. Se non lo faremo, altri, magari il
caso o il corso degli eventi, decideranno per noi. Mi pare che trovarci a discutere sia un modo per non subre la realt presente, e per
cercare di incidere su quella futura. Per quanto mi riguarda, significa
assumere un impegno civico nella dimensione culturale. Del resto,
siamo pagati (sebbene poco) per coltivare questo impegno.
Ringrazio quindi tutti gli intervenuti, ed auguro buon lavoro.
Grazie.

12

Appartenenza e rappresentanza

Appartenenza e rappresentanza.
Lattenzione dellordinamento statale al rapporto
tra individui e soggetti collettivi religiosi di appartenenza
di Valerio Tozzi

1. Presentazione - 2. Le problematiche sottoposte agli studiosi - 3. Rappresentativit e rappresentanza degli interessi della popolazione - 4. Interessi
della popolazione e sistemi istituzionali di rilevazione - 5. Appartenenza a
collettivit organizzate e tutela degli interessi individuali o minoritari - 6.
Responsabilit degli studiosi nella societ democratica

1. Chi scrive ha vissuto lesperienza di molti anni di studi della disciplina del fenomeno religioso, istituzionalmente denominata Diritto
ecclesiastico, attraversando diverse fasi non solo di politica legislativa ed amministrativa riguardante questa materia, ma anche diverse
fasi degli studi, legate principalmente allepoca di formazione delle
generazioni di studiosi che si sono avvicendati nel tempo.
La fase che per convenzione espositiva datiamo con lavvento
del nuovo millennio stata caratterizzata dal consolidarsi di alcuni
processi epocali, quali la progressiva formazione di istituzioni di
governo dellodierna Unione europea, con la relativa messa in comune di porzioni di sovranit da parte degli Stati membri e il fenomeno
dellimmigrazione verso la pi florida economia europea di molti
esponenti di popolazioni provenienti da Paesi vicini, sia mediterranei che continentali. Lattuale crisi delle economie occidentali, poi,
apre ulteriori nuovi scenari che non mancano di incidere anche nel
nostro settore di studi, apparentemente lontano dalleconomia, ma la
cui decifrazione tutta da affidare alle nuove generazioni.
I primi due fenomeni hanno ormai definitivamente modificato il
quadro di riferimento degli studi sulla disciplina giuridica del fenomeno religioso, rendendo ancora pi obsoleto il metodo e limposta13

Valerio Tozzi

zione teorica che ha continuato a dominare non solo la produzione


legislativa nazionale, lazione di governo, ma anche una parte non
secondaria degli studi.
definitivamente tramontato il monismo culturale religioso del
cattolicesimo, vi sono comunit ampie di seguaci di altre fedi ed
diffuso lindifferentismo e lateismo militante. Sia pure con circa quaranta anni di ritardo, rispetto alla entrata in vigore della Costituzione
italiana, perfino da parte vaticana si riconosciuta labolizione del
principio del cattolicesimo religione dello Stato. Il pluralismo in campo religioso non pi un fenomeno marginale, riguardante minoranze
sparute (e maltrattate), ma faticosamente e tardivamente emerso nella societ, in virt dei principi di democrazia, pluralismo, laicit, sanciti in Costituzione. Questo fenomeno si manifestato con unevoluzione dei costumi che ha spostato il dibattito dai ragionamenti del primo liberalismo sulle minoranze religiose, allodierno confronto sulle
diverse visioni esistenziali, favorendo il confronto su tematiche nuove
ed eticamente sensibili, quali le unioni di fatto, le famiglie unigenere,
il testamento biologico, laccanimento terapeutico e leutanasia.
Contemporaneamente, lesplosione delle presenze in Italia di
stranieri di cultura islamica, provenienti da aree geografiche distanti
e portatori di esigenze di professione di fede molto articolate e diverse fra loro (abbigliamento, famiglia, rapporto fra fede e politica),
specialmente per il carattere di quella cultura, che stenta a distinguere fra principi religiosi e regole di diritto civile, ha avuto il merito di evidenziare lancora troppo elevato tasso di confessionismo
filo-cattolico presente nelle nostre istituzioni e nella classe politica,
anche se non necessariamente condiviso dalla maggioranza della popolazione, rendendo sempre pi urgenti riforme consistenti, quale la
reclamata legge generale sulle libert religiose, con conseguente riposizionamento, nel nostro sistema giuridico, della legislazione contrattata fra confessioni religiose e Stato italiano, fenomeni entrambi
fortemente ostacolati dagli ambienti conservatori.
In questa atmosfera culturale e politica, abbiamo rilevato che,
in un arco temporale breve, numerosi autori della nostra disciplina
(noi fra questi) hanno adottato una titolazione dei loro testi non pi
14

Appartenenza e rappresentanza

conforme alla denominazione tradizionale di Diritto ecclesiastico,


ma hanno adottato quella di Diritto e religione. Titolazione che,
almeno da parte del gruppo di studiosi cui appartengo, ha la funzione di evidenziare che la religiosit umana un fenomeno che lordinamento giuridico non pu continuare a rilevare esclusivamente
attraverso rapporti con le organizzazioni dominanti della religiosit
collettiva (le chiese), ma deve anche considerare che la religiosit
della persona umana (come singolo e nellappartenenza al gruppo)
fondamentalmente un diritto inviolabile e perci pu e deve essere
tutelata: sia nelle manifestazioni individuali, sia in quelle collettive e
infine, nei suoi aspetti di collettivit organizzata e autonoma; con tutte le problematiche della contemporanea distinzione e convergenza
fra la tutela delle esigenze degli individui e tutela delle esigenze dei
gruppi organizzati.
nata cos a Salerno lidea di sviluppare una discussione di confronto, anche generazionale, subito condivisa dal giovane collega
Pierluigi Consorti, anchegli autore di un testo con questo titolo.
Consorti e la Facolt di Giurisprudenza di Pisa hanno messo a disposizione le strutture e lorganizzazione dellUniversit pisana per loccasione di confronto. Abbiamo avuto il privilegio di registrare anche
lentusiastica partecipazione degli altri Autori: Musselli, Ricca, di
Maestri che hanno accettato di commentare i quattro volumi posti a
base della discussione (Rinaldo Bertolino, Francesco Margiotta Broglio, Enrico Vitali e Paolo Picozza) e soprattutto la partecipazione di
numerosi colleghi, molti delle nuove generazioni, che hanno portato
i loro contributi e partecipato ai gruppi di discussione organizzati.
La raccolta in volume di questa esperienza, che vede la stampa in
forma tradizionale da parte della dinamica e giovane Casa editrice
Plectica di Salerno, ma che viene offerto anche gratuitamente on-line
in formato pdf per garantire e facilitarne la diffusione, si iscrive in
uno sforzo continuo della Facolt di Scienze Politiche e del Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione dellAteneo salernitano, gi testimoniato dal Convegno e dalla pubblicazione
degli Atti sul tema della Proposta di riflessione per lemanazione di
una legge generale sulle libert religiose, editi da Giappichelli nel
15

Valerio Tozzi

2011 nella prestigiosa collana di Studi di Diritto Canonico ed Ecclesiastico, diretta da Rinaldo Bertolino.
2. La societ italiana molto cambiata dallirripetibile periodo postbellico, nel quale una generazione di cittadini provati dagli eventi,
ma molto motivati a ricostruire il Paese e leconomia, desiderosa della pace e del bene, seppe darci quella Costituzione della Repubblica,
che ha garantito sviluppo e prosperit.
Linevitabile articolazione delle visioni politiche, nel tempo, ha
prodotto diversi orientamenti di politica di Governo (centro-destra,
centro sinistra, sostegno esterno del partito comunista al governo di
centro sinistra e via cos) ma, anche nella fase di larghissima dominanza di un unico partito, sia pure con una forte impronta di parte e
non senza vistosi limiti, specie in materia di diritti civili, si sostenne
un processo di grande ampliamento del benessere generale e si posero i prodromi di una politica sociale orientata allobbiettivo (non
raggiunto, ma almeno tentato) della riduzione delle disuguaglianze.
I diritti civili sono lo specchio dellorientamento di una societ;
essi si sviluppano se vi un indirizzo ugualitario e democratico, sono
invece compressi, quando dominano oligarchie egoistiche e poco attente al bene comune. Il tema dei diritti civili si impose con molto
dinamismo negli anni settanta del millenovecento, in corrispondenza
dellallargamento a sinistra del quadro politico di governo, anche col
contributo di quella parte politica gi egemone, marcatamente orientata in senso ideologico religioso, ma che, appunto, per necessit politica, riusc ad accettare un catalogo di leggi permissive non rispondenti solamente alla propria visione di parte e tuttavia reclamate da
una larga fascia di popolazione italiana. Disgraziatamente, negli anni
successivi, questa progressione virtuosa si interrotta.
Alcune riforme, dagli anni ottanta del novecento, reclamizzate
come epocali, si rivelarono molto pi modeste delle aspettative
e prive di contenuti effettivamente riformistici; piuttosto, solo parzialmente adeguatrici delle leggi gi vigenti ad alcuni cambiamenti
ormai intervenuti e consolidati nella societ. In parte significativa
quelle riforme furono espressione di un nuovo dirigismo politico ca16

Appartenenza e rappresentanza

ratterizzato dalla demagogica professione di una nuova, ma inesistente laicit e costituita da accordi di vertice fra lobbies religiose e
autorit del Governo centrale.
Al presente si manifesta una fase di riflusso ideologico, nel quale
si cerca di rimettere in discussione alcune riforme degli anni settanta
e si cerca di imporre, con leggi costrittive1, la visione conservatrice
di una sola parte ideale, ignorando e colpevolizzando ogni altra visione ed ogni dissenso.
Questo fenomeno ha riguardato anche il campo religioso e specificamente il rapporto fra la religione come fenomeno sociale e la
religiosit come comportamento delluomo, individuale e collettivo.
Levoluzione o il pi solido radicamento del fenomeno democratico, come cultura e idealit, ha mutato i comportamenti umani
anche in campo religioso, ma meno sono mutati i comportamenti
delle strutture organizzative delle fedi religiose ed in particolare, qui
in Italia, quello della Chiesa cattolica. Ancor meno, poi, le istituzioni pubbliche hanno saputo adeguare alla democrazia lapparato
istituzionale di disciplina di questi fenomeni, sviluppando proprio il
fenomeno filo-lobbistico di cui si fatto cenno critico.
Tale a mio avviso la natura dellaccordo di revisione concordataria del 1984 e la politica ad esso connessa della c.d. stagione delle intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Stagione
che ha avocato ogni disciplina del fenomeno religioso alla trattativa
V. Tozzi, Discipline giuridiche che generano conflitto di coscienza e soluzioni
legislative, in G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto civile delle religioni, capitolo
III, Laterza, Roma-Bari, in via di pubblicazione. Ho qui analizzato levoluzione e
involuzione successiva, delle risposte del legislatore al superamento del monismo
culturale cattolico del Paese e al manifestarsi del pluralismo ideologico e culturale.
La prima risposta fu il riconoscimento, come eccezione alla regola, dellobiezione di
coscienza. La successiva svalutazione dellistituto ha portato alla produzione delle
c.d. leggi permissive (divorzio, interruzione della gravidanza), che accoglievano
le istanze di una parte della cultura nazionale, ma salvaguardando il dissenso con
la libert di non avvalersi dei diritti garantiti e con lobiezione di coscienza per non
essere coinvolti in attivit non condivise. Le leggi costrittive, invece, pretendono di
imporre la visione partigiana di gruppi intransigenti, criminalizzando chi non condivida quel pensiero.
1

17

Valerio Tozzi

delle confessioni religiose col Governo centrale, ufficiale per le intese,


meno trasparente per le leggi e leggine di settore, senza alcuna considerazione diretta degli effettivi bisogni religiosi della popolazione.
Cos, anche la legislazione ordinaria, nazionale e regionale, non manca di perpetuare la logica lobbistica della tutela dei riconosciuti, proteggendo, ma in misura diseguale, le confessioni religiose che hanno
stipulato lintesa con lo Stato e ignorando ogni altra manifestazione
religiosa individuale e collettiva; fenomeno conseguente al fatto che,
la stipula dellintesa, con la connessa attribuzione della qualifica di
confessione religiosa, espressione di una decisione politica governativa, sottratta ad ogni ancoramento al quadro generale del Progetto
costituzionale di disciplina dei fenomeni religiosi2.
Questi bisogni sono presi in considerazione dalle autorit pubbliche mai con forme di attenzione diretta e paritaria fra tutti quelli della
stessa classe, ma solo se rappresentati (o rappresentabili) tramite il
patronnage delle rispettive organizzazioni della religiosit collettiva, quando siano state riconosciute dal Governo, con apprezzamento
politico. stata enfatizzata, oltre ogni logica suppostamente maggioritaria, la parte del progetto costituzionale di disciplina del fenomeno religioso che riguardava i rapporti fra Chiesa e Stato, con
limplementazione dei rapporti fra le Confessioni religiose diverse
dalla cattolica e lo Stato (artt. 8 e 7 della Costituzione), a scapito
della pi ampia e democratica tutela della religiosit individuale e
collettiva di cui agli artt. 19 e 20. Contraltare di questa politica stata
la completa preterizione di ogni esigenza reale di collettivit religiose non riconosciute dallautorit governativa (gruppi non qualificati
come confessione religiosa) o dei singoli, quando non vivessero il
rapporto di appartenenza a un grande gruppo religioso in un regime
di obbedienza cieca e completa alle rispettive gerarchie3.
2
V. Tozzi, Le confessioni religiose senza intesa non esistono, in Aequitas sive
Deus. Atti in onore di Rinaldo Bertolino, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 1033 ss.
3
Vi stato un arretramento centralista e neo-concordatarista, ma sembra pi
lultimo guizzo di un sistema in crisi che una vittoria del modello. La pressione dei
gruppi religiosi dominanti stimola il neo-privatismo, con la sua clava istituzionale
denominata principio di sussidiariet orizzontale, con il pericoloso strumentario

18

Appartenenza e rappresentanza

Chi, come noi, ritiene che la scienza che studia il diritto civile che
regola i fenomeni religiosi abbia un ruolo per influire positivamente
per la correzione di questi gravi problemi perci chiamato a discutere i temi che solleviamo4.
3. pacifico che in una societ democratica lordinamento giuridico
ha funzione di regolatore dei rapporti sociali, funzione da svolgersi
nellalveo dei valori condivisi da tutte le parti sociali, che hanno dato
luogo alla creazione della Costituzione e dei principi da questultima
enunciati per lattuazione dei valori condivisi. Fra questi acquisito
che le istituzioni pubbliche sono un servizio alla societ e che il catalogo dei diritti sanciti sono funzione della promozione delluomo, come
individuo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalit.
Questo quadro valoriale si regge sulla condivisione di tutti i consociati del senso di appartenenza alla comunit, nazionale o sovranazionale, come ambito di convivenza (la casa di tutti di A.C. Jemolo).
il principio democratico del consenso, che diverso dallimposizione autoritaria del volere dei forti. Senso di appartenenza che
della amministrazione partecipata. Questo fenomeno genera la prevalenza degli
interessi forti, non fa capire pi chi rappresenta il bene comune nelle grandi
decisioni, n chi risponde delle scelte fatte di fronte al popolo sovrano. Ma se da
una parte si sviluppa un pericoloso anti-statalismo, dallaltra si liberano forze di base
positive, offrendo anche possibilit alle nuove generazioni. Cfr. V. Tozzi, Le attuali
prospettive del diritto ecclesiastico italiano, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, rivista telematica, gennaio 2007, www.statoechiese.it.
4
R. Mazzola, Santi Romano e la scienza ecclesiasticistica, in La costruzione di
una scienza per la nuova Italia: dal diritto canonico al diritto ecclesiastico, a cura
di G.B. Varnier, EUM, Macerata, 2011, p. 214, afferma: Non si tratta di ripensare
il modello dei rapporti tra Stato e confessioni religiose riesumando o rielaborando la
dottrina il Romano. Essa ha fatto il suo tempo e ha esaurito la sua parabola storica.
Ci che la scienza ecclesiasticista, sotto il profilo metodologico, pu fare molto pi
semplice, anche se nel contempo assai pi difficile. Essa ha, infatti, il dovere di suggerire alle istituzioni e alla classe politica, come riuscire a dare efficacia, in termini
di buone pratiche e prassi amministrative, al principio di uguale libert religiosa, cos
come formulato dalla Costituzione, aiutando in tal modo il sistema italiano a raggiungere un pi maturo e ampio pluralismo e una pi convinta ed effettiva uguaglianza sostanziale fra gli attori religiosi operanti nellordinamento giuridico italiano.
19

Valerio Tozzi

necessario per equilibrare le spinte individualistiche o egoistiche dei


pi potenti e utile per i benefici di pace e progresso che il senso di
bene comune garantisce a una siffatta comunit.
Contemporaneamente, ciascun individuo, singolarmente o in aggregazioni collettive, produce la sua partecipazione alla vita della societ, manifestando bisogni, esigenze e indirizzando verso le istituzioni pubbliche la richiesta di garanzie, tutele e diritti, come attuazione
dei principi di libert e uguaglianza che il patto comune (la Costituzione) enuncia per tutti. I flussi di trasmissione di queste domande verso
le autorit e di loro ricezione da parte dei destinatari la politica; le
risposte delle autorit a queste domande il governo della societ.
Ci posto, occorre riflettere sui modi di rilevazione delle esigenze, dei
bisogni della popolazione, messi in opera dallordinamento.
La distribuzione decentrata delle decisioni di governo (decentramento, autonomie locali), i sistemi pubblici di rappresentanza
elettiva degli interessi (leggi elettorali), le forme di consultazione o
coinvolgimento degli interessi categoriali o collettivi nei processi di
assunzione delle decisioni politiche e di governo (es: consultazione
governativa delle c.d. parti sociali), sono alcuni degli strumenti
istituzionali di democrazia, previsti e distribuiti in forme diverse nei
vari settori di organizzazione sociale. La loro capacit di tutela del
bene comune diversa nel tempo e nello spazio.
Quanto agli interessi, ai bisogni individuali che si manifestano
nella societ, raramente questi hanno strumenti istituzionali per la
loro presentazione in forma diretta a chi governa; pi frequentemente, fruiscono di sistemi di rappresentazione collettiva, pi o meno
previsti e regolati dalle istituzioni. Lorganizzazione collettiva degli
interessi, infatti, pu essere espressione di previsioni costituzionali
(partiti politici, sindacati, organizzazioni religiose), ovvero di forme
spontanee di organizzazione, meno strutturate, operanti nel regime di
liber e autonomia che lordinamento garantisce (associazioni, fondazioni, movimenti, gruppi).
Lesperienza empirica mostra che una primaria forma di tutela
viene realizzata attraverso la partecipazione pi o meno spontanea
e sentita di singoli e gruppi ad aggregazioni sociali che, per peso
20

Appartenenza e rappresentanza

numerico o per capacit politica, riescono ad ottenere (dal potere politico?, dalle istituzioni?) spazi di tutela dei loro interessi e quindi
di quelli dei rispettivi consociati. Fenomeno a fronte del quale una
democrazia efficiente deve predisporre istituzioni e poteri capaci
di rispondere non in una logica contrattuale e di parte, me in una
prospettiva generale di rispetto della uguaglianza, del bene comune,
perch il diritto di libert religiosa appartiene ai beni comuni. La violazione della parit ed uguaglianza nella soddisfazione dei bisogni
da parte di chi governa determina la disaffezione verso le istituzioni,
lattenuazione o la crisi di quel senso di appartenenza alla comunit
(che il motore del funzionamento dello Stato).
Tutte le forme di organizzazione collettiva degli interessi operano
in base al principio di rappresentativit per cui gli organi del soggetto collettivo rappresentano in forma unitaria i bisogni della comunit organizzata; questa rappresentazione, normalmente, dovrebbe
costituire la sintesi del groviglio dei molteplici interessi individuali
esistenti nella comunit stessa. Tuttavia, anche questo processo, per
cos dire interno, costituisce un passaggio problematico, in quanto
determina lesigenza, per le autorit che devono vagliare le domande
dei soggetti collettivi, di valutare la rappresentativit delle organizzazioni che richiedono tutele, onde evitare il rischio di soddisfare
non linteresse collettivo dei consociati, ma quello distinto e potenzialmente egoistico delloligarchia che governa quel gruppo. Lordinamento giuridico, quanto pi sapr intercettare ed organizzare in
maniera equilibrata e ugualitaria il caleidoscopio composito di queste esigenze e domande, tanto pi avr correttamente assolto al suo
ruolo democratico di regolatore dei rapporti sociali.
Quelli che esercitano le funzioni di governo e le Assemblee legislative sono gli strumenti di realizzazione di questi obbiettivi.
4. Una delle modalit di attuazione di questo compito dei pubblici
poteri lattribuzione di rappresentativit legale degli interessi di
una parte della societ a determinate organizzazioni, ritenute rappresentative della maggioranza di quella categoria di interessi e perci
elevate al rango di interlocutori diretti dellautorit, attribuendo loro
21

Valerio Tozzi

il monopolio (o loligopolio) della proposizione delle esigenze e della gestione della loro soddisfazione, garantita (e finanziata) dalle autorit pubbliche. Limite di questa modalit la rinuncia alla verifica
della rispondenza fra le esigenze effettive della popolazione e quelle
prospettate dallistituzione divenuta legalmente rappresentativa di
determinati interessi collettivi5.
Pi flessibile, invece, la rappresentativit degli interessi stabilita in maniera politica, cio legata ad un metodo di rilevazione, non
aprioristicamente stabilito per legge, ma affidato ad organi pubblici
responsabili politicamente, quanto pi direttamente prossimi a chi
deve essere rappresentato. Nelle societ non democratiche il problema della rappresentanza degli interessi risolto a monte, con la negazione di diritti individuali e il riconoscimento di libert solo se concesso dallalto, con lattribuzione ad agenzie controllate dei limitati
ambiti di libert riconosciute; ambiti che diventano fruibili dal singolo esclusivamente in quel rapporto di appartenenza che costituisce
una forma di tutela indiretta, ma anche una forma diretta di controllo
e di soggezione dellindividuo al gruppo (diritti riflessi).
Nello Stato liberale, certamente centralista e relativamente incline
a recepire i bisogni che non provenissero dalla classe borghese che
era al potere, nelle leggi comunali e provinciali, una qualche rappresentanza di alcuni interessi religiosi della base sociale era affidata alle
assemblee elettive locali (Province e Comuni), al fine di assicurare
leffettiva esercitabilit del culto cattolico alla popolazione. Ad esempio, in materia di manutenzione degli edifici parrocchiali.
Tracce di coinvolgimento diretto delle assemblee elettive locali si
rinvenivano ancora nella prima legislazione urbanistica italiana del
Ne esempio, nel diritto del lavoro, lattribuzione della rappresentanza degli
interessi dei lavoratori ai sindacati pi rappresentativi (legge n. 300 del 20 maggio
1970) che, nel settore del pubblico impiego (art. 25 della legge n. 93 del 29 marzo
1983), selezionava gli organismi rappresentativi dei dipendenti pubblici, allentando
la tensione interna dei dirigenti di questi organismi a raccogliere e organizzare i bisogni della base, con grave nocumento della fiducia dei rappresentati nei confronti
della organizzazione di appartenenza. G. Ghezzi, U. Romagnoli, Il diritto sindacale,
Zanichelli, Bologna, 1992; G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci, Bari, 1996.
5

22

Appartenenza e rappresentanza

dopoguerra, a proposito delledilizia di culto, ove lo standard urbanistico delle attrezzature religiose era commisurato alla popolazione
insediata e le scelte pianificatorie erano affidate allAmministrazione
comunale che, per essere elettiva, doveva necessariamente prestare
attenzione alle istanze di base (anche se il modello veniva vanificato
dal dominio politico del partito di ispirazione cattolica)6.
La revisione concordataria del 1984, per, ha ulteriormente ristretto questi spazi, attribuendo una discutibilissima rappresentanza
degli interessi religiosi della popolazione in materia di edilizia religiosa allautorit ecclesiastica cattolica (art. 5 legge n. 121 del 1985),
laddove questultima rappresenta con certezza solo i propri interessi
di grande organizzazione religiosa, ma molto meno certamente quelli
della propria base sociale, come fu ampiamente dimostrato in occasione del referendum abrogativo della legge sul divorzio del 12
aprile 1974 7.
Si pu affermare che, dal fascismo in poi, la rappresentanza degli interessi religiosi della popolazione stata monopolizzata dalla
Chiesa cattolica e, dagli anni ottanta del 1900, dalle confessioni religiose diverse dalla cattolica, cui stato accordato il privilegio della
stipula dellintesa con lo Stato, ai sensi del 3 comma dellarticolo 8
della Costituzione.
Questa forma di rappresentanza legale degli interessi della base,
di dubbia costituzionalit, non conseguenza della previsione costituzionale della normazione contrattata, di cui agli articoli 7 e 8 della
Carta; questo monopolio (o oligopolio) conseguenza dei contenuti
dellaccordo di revisione del concordato lateranense e delle intese
che, invece di operare ladeguamento costituzionale della disciplina
di quei rapporti, confermarono ed ampliarono il metodo della tutela
della libert religiosa attraverso i diritti riflessi. In conseguenza, la rilevazione effettiva dei bisogni della gente in materia di interessi reliV. Tozzi, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Edisud, Salerno, 1990.
Analoga previsione vi nellintesa con lUnione delle Comunit Ebraiche (legge n. 101 del 1989), ma, stante la consistenza numerica di detta comunit, non sembra sussistere analogo rischio.
6

23

Valerio Tozzi

giosi avvenuta in maniera davvero marginale e insufficiente, sicch


ancora vigente la legge n. 1159 del 1929, c.d. Sui culti ammessi
nello Stato, e molto delle garanzie ampie e generali degli articoli 19
e 20 della Costituzione rimane ancora oggi non attuato.
Alla luce dei macroscopici difetti che lesperienza empirica manifesta in tema di soddisfazione dei bisogni religiosi individuali e
collettivi (ma non di quelli lobbistici), caratterizzati dalla vistosa
mancanza di uguaglianza di trattamento e di considerazione di bisogni non rispondenti alla visione delle grandi agenzie della religiosit
collettiva, ci sembra che uno dei maggiori problemi emersi, sia in
campo politico, sia pi specificamente in materia di libert religiose, costituito dalla difficolt di operare il contemperamento fra le
esigenze dei singoli (anche partecipi di aggregazioni sociali in cui
promuovono la loro personalit) e le esigenze delle organizzazioni
di queste collettivit, che costituiscono entit autonome e portatrici
di esigenze proprie, distinte, ancorch connesse, con quelle dei loro
consociati. Problema che si intreccia collambito dei rapporti degli
uni e degli altri con le istituzioni pubbliche sollecitate alla soddisfazione di queste esigenze; quindi, con quello della rappresentanza
degli interessi e del rapporto fra essi intercorrente.
5. In materia di religiosit umana si ormai acquisita, almeno da
parte di noi occidentali, la distinzione fra regole religiose, espressive
degli interessi di parte e regole generali della convivenza sociale (nazionale, nella tradizionale forma di Stato). Gli interessi di un gruppo religioso, poi, in quanto riguardanti una comunit, pi o meno
estesa, ma sempre parte della societ complessivamente considerata,
richiedono una rappresentanza, cio unentit capace di esprimere
una loro sintesi nei rapporti con lautorit politica e con le istituzioni,
che normalmente costituita in capo ad organi dellorganizzazione
del gruppo.
Questi rappresentanti interpretano oggettivamente i bisogni
dellorganizzazione di cui sono organi, ma non necessariamente
quelli effettivi dei singoli loro seguaci o di collettivit interne o inferiori del gruppo stesso. Infatti, in ogni collettivit, anche in quel24

Appartenenza e rappresentanza

le religiose, le visioni generali, i valori, i principi, raramente sono


vissuti ed interpretati in maniera unitaria; per lo pi si manifestano
distinzioni e talora addirittura contrasti. Fenomeno che riguarda i
pubblici poteri quando intervengono a regolare la vita sociale o a
promuovere (o limitare) le manifestazioni, i bisogni, dei fenomeni
religiosi. Negli interventi pubblici di protezione delle esigenze di una
parte, siano essi leggi, atti amministrativi, sostegni materiali o finanziari, si manifesta il problema del rapporto corrente fra gli interessi
collettivi del gruppo e quelli individuali dei singoli appartenenti o
dei sotto-gruppi che si manifestano allinterno del gruppo. Infatti, il
gruppo cui i singoli si legano pu sia enucleare una corretta sintesi
dei bisogni manifestati dalla comunit dei suoi adepti, cui dovrebbe
corrispondere unomogeneit di intenti e bisogni; ovvero, pu fissare
regole, valori propri, enucleati dallelite di suo governo, cui corrispondono bisogni che possono anche divergere o non coincidere con
quelli dei suoi seguaci8.
Ne consegue che, da una parte lorganizzazione di interessi collettivi costituzionalmente titolata a fungere da centro di imputazione delle tutele, diritti, garanzie, che lordinamento assicura a tutte
le componenti sociali; dallaltra, che lattenzione o accoglimento e
tutela delle esigenze manifestate da dette organizzazioni collettive
di parte non pu n deve mai essere vincolante nei confronti del singolo partecipe. In questo senso si potrebbe parlare di strumentalit
della soddisfazione accordata dalle istituzioni civili alle esigenze dei
gruppi organizzati di interessi religiosi; queste esigenze collettive
(di parte) vengono tutelate in funzione degli interessi individuali che
compongono quella collettivit9.
Uno dei parametri che si richiede alle istituzioni pubbliche di considerare
quello della flessibilit del rapporto di appartenenza del singolo alle organizzazioni
di interessi collettivi in cui si svolge la sua personalit; per cui la naturale convergenza dei bisogni e degli interessi degli individui nelle esigenze delle organizzazioni
collettive, non n rigidamente determinata, n aprioristicamente assumibile da parte delle istituzioni pubbliche sollecitate.
9
Cfr. G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione, Plectica, Salerno, 2011,
p. 76.
8

25

Valerio Tozzi

Non sfugge che lappartenenza ad una formazione sociale


espressione della libert dellindividuo, che volontariamente condivide lorganizzazione e le regole del gruppo; fenomeno che funge da
legittimazione delle regole interne che il gruppo si d; ma proprio la
volontariet di questo rapporto di appartenenza relativizza, di fronte
alle istituzioni civili, le regole interne che la formazione sociale si
data, non potendo le istituzioni pubbliche riconoscere una loro vincolativit che conculchi linnata libert dei singoli (o delle minori
comunit interne) di sottrarsi ad alcune di queste regole o del tutto al
legame di appartenenza al gruppo stesso.
Ne consegue che lautorit civile, quale garante del bene comune,
pu riconoscere quella rappresentanza del gruppo religioso espressa
allinterno dellorganizzazione del gruppo stesso, ma non pu istituirla come rappresentanza legale, cio come obbligatoriamente inclusiva della volont e dei desideri del singolo o dei gruppi minori
interni. La rappresentanza degli interessi dei rispettivi fedeli da parte
degli organi di ciascun gruppo religioso, nei rapporti con lautorit
statale, non pu essere che una rappresentanza politica democratica, cio soggetta al rispetto della libert di disaccordo del singolo o
dei gruppi minori interni, giacch lautorit statale obbligata dai
principi costituzionali a tutelare gli uni e gli altri interessi, che sono
parimenti protetti.
Lobbligo di tutelare una confessione religiosa o una istituzione
a carattere religioso di qualsiasi tipo, nasce, per disposizione costituzionale, se, quando e nella misura in cui, queste abbiano in Italia
una base sociale che ad esse fa riferimento; inoltre, tale tutela non
pu mai giungere a sancire la rappresentanza legale degli interessi
dei rispettivi seguaci del gruppo, pena la conculcazione dei diritti
religiosi di questi ultimi, quando non collimano con quelli dellente
rappresentante. La solidit o flessibilit del rapporto di appartenenza
dei singoli al gruppo un fatto empirico di cui lordinamento non
pu non tenere conto. Perci la rappresentanza degli interessi religiosi dei propri seguaci in capo agli organi dellorganizzazione del
gruppo deve rimanere volontaria, cio legata alla volont effettiva
dei seguaci stessi. Di fronte a tale problematica, la rappresentanza
26

Appartenenza e rappresentanza

degli interessi diviene lo snodo principale che le istituzioni pubbliche


sono chiamate a considerare.
Qui interviene il compito degli studiosi e della scienza.
Si tratta cio di approfondire i metodi che le istituzioni pubbliche
devono elaborare, gli strumenti che lordinamento giuridico deve
predisporre, perch tutte le categorie di interessi richiamati abbiano
uguale considerazione e tutela.
6. Questi problemi riguardano direttamente il compito degli studiosi.
La scienza ha unimportante ruolo e forti responsabilit a fronte di
questi problemi; ruolo da distinguere da quello delle istituzioni di
governo, ma in diretta connessione con la politica che li deve gestire.
compito degli studiosi lanalizzare le domande, i bisogni, i fenomeni che si producono nellattuale contesto e proporre alla societ
in generale e specificamente a chi governa e legifera, i metodi, le
risposte, le regole, utili e appropriate, che attuino la legalit costituzionale, avviando a soluzione i fenomeni rilevati.
Per svolgere questo compito non basta lelevato livello qualitativo degli studi in questa materia, certamente presente in molti cultori
della disciplina giuridica del fenomeno religioso, ma necessario
che gli studiosi di questo settore sviluppino realmente lautonomia
dai poteri che possono procurare loro vantaggi personali e coltivino
il senso di comunit scientifica, lo stato danimo di appartenenza ad
un gruppo, anche molto variegato negli orientamenti di pensiero, ma
che, proprio per il sentirsi gruppo e nel proporsi tale, sviluppi lattenzione ed il rispetto per le elaborazioni di tutti coloro che vi partecipano. La professione dellintellettuale non consta nello scrivere e nel
pensare secondo opportunit, convenienza, tornaconti di qualsiasi
provenienza, ma nella rigorosa, approfondita, schietta elaborazione
libera del pensiero e del confronto con il pensiero altrui, producendo
idee che avranno anche valenza politica, ma che non noi, ma chi fa
politica deve valutare per lespletamento del suo distinto compito10.
10
G. Zagrebelsky, Il Colle, le Procure e la Costituzione, ne La Repubblica,
quotidiano del 23 agosto 2012, pp. 1 e 33, a proposito dellattivit intellettuale, af-

27

Valerio Tozzi

Perci, la nostra comunit deve svolgere anche una funzione di


polizia al proprio interno, per limitare se non sanzionare i comportamenti sleali o di egemonia e dipendenza ideologica, che troppo
spesso si manifestano. Infine, la comunit scientifica deve amplificare la comunicazione esterna dei risultati scientifici raggiunti, non
affidando questo compito ai consulenti del potere, ma presentando,
compatta e solidale, anche le diverse soluzioni che la pluralit di
orientamenti ideali produce, in quanto espressioni di una competenza, anche se non produce un pensiero unico. Solo cos ipotizzabile
uninfluenza culturale della scienza accademica sulle istituzioni, che
susciti unazione di governo pi rispondente alle esigenze reali del
momento presente11.

ferma che essa ha una funzione non legata al potere e al consenso, la cui esistenza
essenziale alla vita libera della polis. Sarebbe una deviazione, se lattivit intellettuale non tenesse fede a questa caratteristica,, anzi non ne facesse il suo vanto. Solo
cos c la sua utilit, la sua funzione civile. Chi ragiona diversamente, che idea ha
del rapporto politica-cultura?.
11
Chi studia una data materia non pu esimersi dal ragionare sulla societ che di
quegli studi destinataria e dal valutare le esigenze, i bisogni che il contesto storicosociale produce sui fenomeni oggetto del suo esame. Contemporaneamente, non mi
sfugge la differenza dei compiti degli studiosi-docenti rispetto a quelli del potere
politico, legislativo e amministrativo; infine, sono convinto della pari legittimit di
tutte le opinioni. Tuttavia, ritengo che la nostra comunit nel suo insieme avrebbe
potuto e pu svolgere un ruolo pi incisivo di quello avuto fino ad oggi, rispetto ai
ritardi e alle omissioni nellattuazione del dettato costituzionale in materia religiosa. V. Tozzi, Le prospettive della dottrina e dello studio del regime giuridico della
religione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica, dicembre
2011, www.statoechiese.it.
28

Parte prima
Presentazione degli autori

Diritto e religione

Diritto e religione (Plectica, Salerno, 2011). Per una rilettura


del disegno costituzionale in tema di libert religiose
di Marco Parisi

1. Introduzione - 2. Prospettiva di un nuovo metodo di analisi delle questioni


relative alla dimensione sociale della religiosit - 3. Conclusioni

1. La realizzazione di questo volume costituisce un primo tentativo


di proporre una descrizione, ai fini dellinsegnamento universitario,
della regolamentazione giuridica civile del fenomeno religioso, con
lobiettivo di favorire il tendenziale superamento delle modalit classiche di rappresentazione del diritto ecclesiastico. Proprio lutilizzo
della denominazione con cui si fatto riferimento, fino allultimo
decennio, alla materia avente ad oggetto lanalisi degli aspetti normativi relativi agli interessi religiosi ha costituito il primo motivo di
riflessione degli autori. Si avvertito, infatti, imbarazzo nel ricorso
tradizionale ad una definizione troppo legata al periodo in cui lo studio della disciplina sembrava limitarsi, sostanzialmente, allanalisi
dei rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato (nel loro vario articolarsi
tra liberalismo, fascismo e prima fase repubblicana), residuando solo
piccoli cenni alla condizione dei gruppi confessionali acattolici.
Partendo da tale sensazione di difficolt, si provato a considerare
il fenomeno religioso cos come esso tende a proporsi nella societ
contemporanea, caratterizzata dallincedere del fenomeno della globalizzazione1, dal moltiplicarsi della forme di partecipazione degli
Il fenomeno della globalizzazione, avente alla sua base la proposta di uniformi
e comuni valori di riferimento e di azioni sinergiche per il governo delle odierne societ (sempre pi interconnesse ed interdipendenti tra loro), nella sua struttura morfologica di carattere pluritentacolare (interessante ogni aspetto concreto
dellesperienza umana), ha interessato, in modo specifico, la sfera del diritto. Le
1

31

Marco Parisi

Stati nazionali alle organizzazioni sovra-nazionali2, dallavvio di processi interni riformistici di forte impronta regionalistica3, dal manifestarsi di nuove esigenze legate al benessere della persona umana, dalla
proliferazione di una vasta gamma di istanze ideali e spirituali, dalluso strumentale e violento della religione per finalit di terrorismo4.
correnti globalizzanti hanno favorito laffermazione delle tesi sostenitrici delluniversalizzazione dei diritti umani, con la contestale tendenza allelaborazione di un
diritto comune a tutte le nazioni, mirante a salvaguardare la dignit umana e la realizzazione delle istanze fondamentali di libert della persona umana in quanto tale.
Cfr. P. Lillo, Globalizzazione del diritto e fenomeno religioso. Saggi di riflessione,
Giappichelli, Torino, 2002, pp. 161 ss.
2
Sia consentito il rinvio a M. Parisi, Cittadinanza europea, organizzazioni religiose e processi di integrazione giuridico-politica: realizzazioni e prospettive, in
Dir. fam. pers., 2010, 2, pp. 931 ss.
3
Sembrano esservi pochi dubbi rispetto alla realt di un avviato processo di riforma verso un regionalismo forte, tale da determinare un quadro in cui, restando fermo il carattere unitario dello Stato, i poteri regionali siano ritenuti essere (ed operino
come) non pi mere potest decentrate dello Stato stesso, ma come poteri latamente
originari, che ottengono la loro legittimazione (attraverso il circuito elettorale) dalle
comunit territoriali, del cui benessere sono responsabili. Alla base del nuovo assetto
dei poteri, regionali (ma anche locali, in genere) e statali, si rinviene il principio di
sussidiariet, che, nel riconoscere lassunzione delle decisioni per la soddisfazione
dei beni comuni in capo alle istituzioni pi prossime ai consociati, propone una prospettiva di riaffermazione della centralit della persona umana, favorendone il pieno
sviluppo nelle varie comunit territoriali di appartenenza. Cfr. R. Botta, Regionalismo forte e tutela del sentimento religioso dei cittadini, in Studi in onore di Gaetano
Catalano, tomo I, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1998, pp. 282-4.
4
Dopo l11 settembre, i controlli e le restrizioni introdotti per la lotta contro
il terrorismo hanno determinato concreti e notevoli limitazioni al godimento della
libert religiosa, sia a livello individuale che associativo. Per il timore che la pace
e la sicurezza, interne ai singoli Stati ma anche nei rapporti internazionali, venissero compromesse, si determinata una significativa ingerenza nella vita interna dei
gruppi religiosi e una variabile limitazione al diritto di manifestare e praticare liberamente le religioni. Il che ha causato, parallelamente, un ripensamento della laicit
dello Stato e della stessa libert religiosa. Per approfondimenti cfr. G. Dammacco,
Le politiche delle religioni e le esigenze della sicurezza, in Scritti in onore di Giovanni Barberini, a cura di A. Talamanca e M. Ventura, Giappichelli, Torino, 2009,
pp. 251 ss.; S. Ferrari, Libert religiosa e sicurezza nazionale in Europa dopo l11
settembre, in Quad. dir. pol. eccl., 2005, 1, pp. 161 ss.
32

Diritto e religione

In base alla convinzione che in Europa, cos come in Italia, siano


in atto fenomeni significativi di trasformazione della realt sociale,
tali da incidere anche sul panorama religioso tradizionale, si riflettuto sulla necessit di un eventuale adeguamento delle forme giuridiche di regolamentazione della vita comune e di una rappresentazione
dei fondamenti della disciplina delle libert religiose pi in sintonia
con le dinamiche sociali ed istituzionali contemporanee. Soprattutto laddove risulti verosimile che un cambiamento innovatore e una
autentica modernizzazione possano concretarsi solo nel momento in
cui la disciplina giuridica della convivenza sociale (e, quindi, anche
del fenomeno religioso) si orienti verso una reale valorizzazione della libert, dellautonomia, del pluralismo, con uno Stato che svolga
la funzione di promotore e di garante di una societ civile in cui le
persone e tutti i corpi intermedi possano esplicare in piena libert
lesercizio dei diritti5.
2. Si notato come la complessit odierna della fenomenologia sociale religiosa sia tale da indurre ad una riconsiderazione della stessa
architettura istituzionale del Paese6, affinch si possa determinare
(attraverso ladozione di nuove modalit di organizzazione degli
Cos G.B. Varnier, Religioni, istituzioni e diritti: dallidentit nazionale alla
societ multiculturale, in Immigrazione e soluzioni legislative in Italia e Spagna.
Istanze autonomistiche, societ multiculturali, diritti civili e di cittadinanza, a cura
di V. Tozzi, M. Parisi, Arti Grafiche La Regione, Campobasso, 2007, p. 265.
6
Sotto questo punto di vista, lattuale dibattito politico e dottrinale appare far
riferimento a due diverse alternative: da un lato, operare una riforma organica della
Costituzione che, pur non mutando nella sostanza le linee fondamentali del sistema,
adegui, in concreto, i poteri istituzionali alle mutate esigenze della societ nazionale; dallaltro, operare una innovazione radicale che possa modificare in profondit
il sistema dello Stato, riformandone la sua stessa fisionomia. Sostanzialmente, il
processo riformistico potr riguardare soltanto il profilo della re-distribuzione della
sovranit statale e della ri-articolazione della connessa funzione di indirizzo politico
fra i diversi organi costituzionali, oppure atterr al rapporto fra le istituzioni e la societ governata, fra lordinamento generale e i consociati. Cfr. P. Lillo, Prospettive
di riforma della legislazione ecclesiastica italiana negli anni 90, in Riv. trim. dir.
pubb., 1997, 1, pp. 451-2.
5

33

Marco Parisi

apparati statali e nuovi strumenti di soddisfacimento delle esigenze socialmente rilevate) labbandono degli schemi pregressi (ancora
largamente presenti nella prassi politica e nellattitudine dottrinale),
secondo cui le aspettative di sacro della persona umana ottengono
rilievo e tutela da parte dei pubblici poteri (organi legislativi, istituzioni governative, amministrazione pubblica in genere) soprattutto per
mezzo della mediazione delle confessioni religiose, ovvero delle
strutture apicali di organizzazione degli interessi religiosi collettivi.
Questa modalit tradizionale di considerazione dei bisogni spirituali dei consociati appare essere censurabile, soprattutto nella
misura in cui si presenta tale da determinare una collocazione delle
esigenze individuali in posizione recessiva, determinando la possibile reviviscenza della logica dei diritti riflessi, per cui determinate
garanzie di libert dei singoli godrebbero di una mera tutela indiretta
e derivante dalla tutela gi accordata ai gruppi religiosi socialmente
consolidati (ritenuti essere mediatori delle necessit dei loro adepti)7.
A lungo si sono rappresentate come forme di soddisfazione della libert religiosa dei consociati, sia a livello individuale che collettivo,
7
Per buona parte del secolo scorso, nel nostro Paese, la libert religiosa del cittadino ha ricevuto tutela in forma indiretta, attraverso lo strumento dellappartenenza
confessionale, in relazione alla forza contrattuale della religione di riferimento. Il rilievo sociale della partecipazione formale ad un gruppo confessionale si presentava
di importanza tale da determinare la conseguenza negativa per cui il cittadino non
appartenente ad una confessione, e soprattutto ad una confessione riconosciuta, non
godeva, nella stessa misura degli appartenenti ad un culto stabilito, della pienezza
dei diritti della personalit relativi alla dimensione spirituale. Lassorbimento dei
diritti della persona nei diritti del fedele costituiva il portato della rivendicazione di
autonomia e di indipendenza della Chiesa rispetto allo Stato liberale, ma finiva per
costituire la condizione necessaria per il godimento effettivo delle garanzie legate
allesperienza religiosa dei consociati. Questa impostazione, purtroppo, ha ottenuto
per decenni una significativa credibilit nella speculazione dottrinale, grazie alla
coincidenza del dato sociologico della immedesimazione dei credenti nel contenuto
dogmatico e nella struttura di ben individuate organizzazioni confessionali, beneficiarie di rapporti stabili con il potere statale (ovviamente, la Chiesa cattolica, ma
anche le comunit ebraiche e le Chiese di matrice protestantica). Per ulteriori riferimenti sul punto cfr. N. Colaianni, Eguaglianza e diversit culturali e religiose. Un
percorso costituzionale, il Mulino, Bologna, 2006, pp. 105-10.

34

Diritto e religione

il regime di favore e linsieme dei benefici che le normative (unilaterali statali e bilateralmente convenute) hanno riconosciuto alle
organizzazioni confessionali dominanti.
Gli interventi delle pubbliche potest (sia di carattere legislativo
generale che di natura pi specificamente finanziaria) sono apparsi
solo di rado basati sul concreto riscontro della esistenza di interessi
diffusi, ma sono stati, approssimativamente, predisposti a vantaggio
di ben individuati gruppi religiosi, che si sono dimostrati in grado
di esercitare una decisa influenza sul potere politico. Tali organizzazioni, inoltre, sono state, dal punto di vista istituzionale, considerate
come rappresentanze legittime degli interessi ritenuti meritevoli di
soddisfacimento da parte dei pubblici poteri.
Come noto, le istanze in materia di bisogni spirituali rivolte alle
istituzioni civili presentano la caratteristica di provenire dalle organizzazioni di fede, o anche dalle singole persone. Generalmente, queste domande hanno un contenuto convergente negli aspetti di merito,
ma talora possono anche divergere nella individuazione di specifiche
esigenze avanzate dai singoli in conflitto con il gruppo di appartenenza (o viceversa). Pu essere legittimo ritenere che i gruppi fondati
su un insieme preciso di valori possano richiedere dai loro aderenti
il rispetto delle regole poste (e dai gruppi stessi fatte valere), ma
fondamentale porre in evidenza che i singoli aderiscono alle organizzazioni fideistiche e alle loro norme in forma flessibile e relativa,
reclamando dai pubblici poteri la libert di professare la propria fede
e di vivere la dimensione partecipativa alla vita dei gruppi religiosi
con modalit personalizzate, liberi di cambiare appartenenza confessionale, credenza ed opinione (il c.d. ius poenitendi)8. Spetta ai
Va ricordato che in virt della centralit ordinamentale del principio di laicit
dello Stato, si promuove il riconoscimento della diversit ideale dei gruppi spirituali,
senza che possa realizzarsi una negazione dei diritti individuali dei loro adepti. La
laicit, infatti, potenzia il ruolo dei diritti umani, creando una cittadinanza condivisa e stimolando sentimenti di inclusione nel circuito comunitario della convivenza
giuridicamente organizzata. Ovvero, i diritti della persona umana garantiscono la
libert della fede, ma anche la possibilit di cambiarla, di ricredersi, di agire liberamente []. Le comunit religiose non possono diventare comunit nelle quali
8

35

Marco Parisi

pubblici poteri limpegno di assicurare ad ognuno, ai singoli come ai


gruppi religiosi, la massima soddisfazione possibile delle proprie esigenze di spiritualit, sulla base del migliore equilibrio conseguibile
tra le diverse aspettative in campo, atteso che sia le une che le altre
sono oggetto di apprezzamento costituzionale9.
Lauspicata compatibilit tra la variet delle esigenze legate alla
dimensione della trascendenza non pu realizzarsi nellipotesi in cui
le organizzazioni confessionali rivendichino la rappresentanza esclusiva degli interessi dei loro fedeli nei rapporti con i pubblici poteri, in
quanto, in tale ipotesi, si riveler preponderante la loro visione a danno delle pur legittime argomentazioni dei singoli. Ma la regolamentazione costituzionale del fenomeno religioso, dovendo promuovere
la realizzazione di una libert fondamentale della persona umana,
possibile entrare ma dalle quali non si esce pi. La mobilit religiosa resta un terreno
di garanzia per una societ laica e accogliente, cos come i principi di eguaglianza tra
uomo e donna, di libera determinazione individuale, che tanto incidono sulla concezione della famiglia, non possono essere messi tra parentesi di fronte allappartenenza etnico-religiosa []. Quando si soffrono le disuguaglianze, le sopraffazioni, le
coartazioni della coscienza, la legge sta l a garantire i diritti di ciascuno, per favorire
ogni salto evolutivo della persona, o del gruppo di appartenenza. Cos C. Cardia,
Laicit dello Stato, appartenenze religiose e ordinamento giuridico: prospettiva secolare, in Scritti in onore di Giovanni Barberini cit., p. 129.
9
Lautorit civile pu operare per favorire la realizzazione delle istanze sociali
spiritualmente qualificate, in nome della valorizzazione della persona umana, ove
tali richieste non si pongano in contrasto con la legalit costituzionale; oppure i
pubblici poteri possono interdire o circoscrivere queste esigenze laddove esse siano
tali da pregiudicare la convivenza civile. Del resto, nella societ postsecolare la fede
privata ormai scissa dalla fede pubblica, dalla dimensione istituzionale dellappartenenza religiosa; la fede sembra essere diventata porosa, e lindividualizzazione
delle credenze religiose ha generato il credente autonomo, che crede nelle verit e
nei principi (veicolati da questa o da quella organizzazione confessionale) pi graditi, in una logica di religione fai-da-te. Queste trasformazioni della dimensione
umana relativa al contatto con il trascendente determinano lesigenza di difendere
il singolo dal gruppo, affinch i pubblici poteri possano e debbano intervenire in
difesa dello spontaneismo spirituale e in contrasto dei pregiudizi sociali o delle prevaricazioni indotti dalle organizzazioni ecclesiastiche. Si veda M. Ainis, Laicit e
confessioni religiose, in Annuario 2007. Problemi pratici della laicit agli inizi del
secolo XXI, Cedam, Padova, 2008, pp. 23-5.
36

Diritto e religione

quale risulta essere quella di religione, va interpretata nella prospettiva della soddisfazione dei bisogni spirituali dei singoli consociati.
Ne deriva che la considerazione prestata alle organizzazioni espressive della religiosit organizzata (e ai principi da esse veicolati) va intesa, soprattutto, strumentalmente al perseguimento di questo obiettivo. Cos, pur essendo vero che il rilievo sociale di un determinato
gruppo religioso derivi dalla consistenza in termini di adesioni di cui
esso dotato, senza la quale verrebbe meno lesigenza di conferire
tutele giuridiche ad hoc, altrettanto chiaro che la mera ricorrenza
di dati di partecipazione numerica (pi o meno formali, e sempre da
verificare nella loro effettiva entit) non pu ritenersi sufficiente per
conferire alle organizzazioni religiose la rappresentanza istituzionale
degli interessi della loro base sociale10.
Ora, lo studio e linsegnamento delle nostre materie, soprattutto
nella manualistica, hanno privilegiato perlopi una rappresentazione
della tutela costituzionale del diritto di professione della fede, sia a
livello individuale che collettivo, come una sezione distinta e residuale rispetto al complesso di disposizioni finalizzato alla protezione
delle confessioni religiose. Si preferito lapproccio teso a privilegiare le organizzazioni confessionali come uniche interlocutrici di
riferimento per le pubbliche potest, individuando in esse quasi un
titolo esclusivo nel garantire qualsiasi forma di religiosit presente
nella realt sociale. Mediante la valorizzazione, in forma esclusiva,
dei rapporti fra lo Stato e le organizzazioni confessionali, a fronte
della perdurante mancanza di una legge generale sulle libert religiose, al fine di dare attuazione alle garanzie contenute negli artt. 19 e 20
della Carta, si consolidato il modello di relazioni sociali religiose
basato sulla delega alla Chiesa e alle confessioni (soprattutto se con
intesa) 11 della rappresentanza degli interessi religiosi dei consociati.
10
V. Tozzi, Le prospettive della dottrina e dello studio del regime giuridico civile
della religione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, dicembre 2011, p. 6.
11
Ricordiamo che il conferimento da parte governativa dellaccesso dei gruppi
religiosi alla stipula di una intesa con lo Stato non oggetto di una specifica norma di
legge (fatta eccezione per la generale ed astratta previsione contenuta nel comma III
dellart. 8 Cost.). In mancanza di una disciplina normativa precisa, lammissione alla

37

Marco Parisi

Con ci, anche nella rappresentazione didattica e nella speculazione


scientifica, si trascurata levidenziazione dellaffermazione civile
delle libert religiose dei singoli e dei gruppi, favorendo una logica
di subordinazione delle facolt individuali di azione in ambito relitrattativa per la conclusione di un accordo fra le rappresentanze dei gruppi religiosi e
gli organi governativi non risponde a dettagliate indicazioni di legge, n conseguente ad una atto formale dello Stato con cui si conferita la qualifica di confessione religiosa al soggetto religioso contraente. Cos, laccesso alla trattativa e la successiva
(eventuale) stipula di una intesa costituiscono lesito di meri atti di discrezionalit politica del Governo, non soggetti al rispetto del principio costituzionale di uguaglianza,
ponendo significativi interrogativi in termini di correttezza costituzionale.
Ricordiamo che con una recente pronuncia, la sentenza 18 novembre 2011 n.
6083, la quarta Sezione del Consiglio di Stato intervenuta nella delicata materia
dei rapporti tra Stato e confessioni religiose diverse dalla cattolica. Il provvedimento
ha tratto origine da una vicenda che ha avuto per protagonista lUnione degli Atei
e degli Agnostici Razionalisti (UAAR), la quale, in diversi momenti, aveva ripetutamente avanzato richiesta al Governo di avviare trattative finalizzate alla stipulazione di unintesa. Uno degli ultimi (in ordine di tempo) provvedimenti di diniego
veniva impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio, che con sentenza n. 12539/2008,
dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, ravvisando la natura di atto politico
nella determinazione del Governo riguardo alla richiesta di trattative per eventuale
intesa. Avverso detta decisione lUAAR ha proposto ricorso dinanzi al Consiglio di
Stato contestando, in buona sostanza, la riconducibilit del diniego governativo ad
avviare un negoziato fra gli atti politici, per i quali escluso il sindacato da parte del
giudice amministrativo. I giudici di Palazzo Spada, quindi, affrontano la questione
escludendo la natura politica delle scelte del Governo sullavvio o meno di trattative,
ponendo laccento sullampia discrezionalit sottostante a tali decisioni. Da questa
prospettiva discendono due conseguenze di rilievo: 1) innanzitutto, la sindacabilit
da parte del giudice dellatto amministrativo con il quale il Governo formalizza le
proprie scelte sullavvio dei negoziati; il che determina la giustiziabilit secundum
jus di un interesse soggettivo, costituzionalmente qualificato, del gruppo religioso
istante; 2) lobbligatoriet per lo Stato (imposta dal dovere di assicurare in concreto
leguale libert) di avviare i negoziati con qualsivoglia realt confessionale ne faccia
domanda, cui corrisponde, il diritto (ma non lobbligo) per i gruppi confessionali (in
base ad una libera scelta affidata alla loro indipendenza) di richiedere lapertura del
tavolo di trattativa. Per un esame di tale pronuncia cfr. J. Pasquali Cerioli, Il diritto
allavvio delle trattative per la stipulazione delle intese ex art. 8, 3 comma, Cost.
(brevi note a Cons. Stato, sez. IV, sent. 18 novembre 2011, n. 6083), in Stato, Chiese
e pluralismo confessionale, marzo 2012, pp. 8 e ss.
38

Diritto e religione

gioso rispetto al potere delle organizzazioni spirituali riconosciute


dai pubblici poteri (ovvero le confessioni religiose, specialmente per
alcune assistite da particolari privilegi)12.
Nella generalit degli strumenti didattici in circolazione, successivamente alla descrizione in ordine cronologico delle fonti costituzionali in materia di libert religiosa (operata facendo riferimento ad una,
ad oggi superata, primazia gerarchica del regime riservato ai gruppi
confessionali rispetto a quello disegnato per lesercizio del diritto di
professione di fede), la trattazione di dettaglio della disciplina viene
a realizzarsi, pi che altro, nelle forme di unanalisi del Concordato e
delle Intese (con riferimenti ricorrenti alle loro norme di attuazione).
Anche la legislazione unilaterale statale in materia di interessi religiosi viene rappresentata come complementare rispetto allinsieme
della legislazione bilateralmente convenuta, alla quale si fa riferimento come base di struttura della disciplina. Cos, le peculiarit delle
esigenze spirituali socialmente rilevabili sono considerate sempre in
riferimento alle norme contrattate con le confessioni religiose, eludendo lesigenza di una loro associazione rispetto allassetto complessivo delle garanzie costituzionali di libert della persona umana e
allo schema di societ aperta proposto dalla Carta del 1948.
Si tratta, come agevole intuire, di una modalit di rappresentazione delle basi della disciplina di marca conservatrice (derivante dal
12
Secondo G. Casuscelli, Il pluralismo in materia religiosa nellattuazione
della Costituzione ad opera del legislatore repubblicano, in Diritto e religione in
Italia. Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libert religiosa in regime di
pluralismo confessionale e culturale, a cura di S. Domianello, il Mulino, Bologna,
2012, pp. 35-6, il diritto ecclesiastico repubblicano si articolato, per lungo tempo,
accentuando il profilo soggettivo della locuzione a discapito di quello oggettivo, per
aver conferito maggior rilievo allaggettivo ecclesiastico a detrimento del sostantivo diritto. Ovvero, nella condivisibile prospettiva disegnata dallAutore, il diritto
ecclesiastico si venuto configurando come un insieme di norme contrassegnate
dal comune denominatore della funzione di garanzia positiva e promozione delle
aspettative di alcune confessioni privilegiate perch [] ammesse alluso degli
strumenti pattizi ed alla negoziazione in forza di una discrezionalit di natura politica aspettative sempre pi segnate dallampiezza e dallintensit degli strumenti ad
esse propri, specie dopo laffermazione del principio costituzionale di sussidiariet

39

Marco Parisi

conformismo filo-curiale di buona parte della dottrina ecclesiasticistica operante nei primi venti anni successivi allapprovazione della
Carta costituzionale, meno sensibile ad avvertire il cambiamento della forma di Stato). Invece, il nuovo modello di relazioni tra i poteri
civili e i consociati, promosso dal vigente assetto costituzionale, postula una diversa rappresentazione della disciplina (e delle libert che
la contraddistinguono), per cui la protezione dei diritti della persona
umana deve risultare prioritaria e godere di eguale dignit rispetto
alla tutela delle forme organizzate dei bisogni religiosi. Le questioni
istituzionali relative ai gruppi spirituali (quali la libert organizzativa
interna, il riconoscimento delle loro strutture, larticolazione dei rapporti tra le gerarchie e il personale ecclesiastico) andrebbero analizzate tenendo conto del quadro generale dei rapporti sociali derivante
dalla novit rappresentata dai principi costituzionali di libert.
In questa prospettiva, ben pu comprendersi come la Costituzione repubblicana proponga un progetto di disciplina del fenomeno
religioso avente il suo perno nella libert di professione della fede
religiosa13, sia in forma individuale che associata (art. 19), accompagnata dal riferimento ad espliciti divieti a carico dei pubblici poteri a
tutela delle espressioni organizzative della religiosit14 (art. 20). La
libert religiosa, infatti, parte integrante del novero dei diritti fondamentali, di cui fa menzione lart. 2 della Carta, e in quanto tale si
pone in stretta connessione con il principio personalista che informa
Nel suo contenuto essenziale, il diritto di libert religiosa configura, per ogni
persona, la possibilit di estrinsecare il proprio patrimonio spirituale in una pluralit
di dimensioni: dal soddisfacimento delle esigenze del proprio spirito (manifestazione
della fede e compimento dei riti) alla diffusione delle proprie idee (propaganda e discussione), alla possibilit di creare gruppi e partecipare alla loro vita (associazione).
14
Sembra corretto classificare lart. 20 della Carta come una disposizione di
complemento rispetto allart. 19, in quanto volta a garantire tutte le forme associate
del fenomeno religioso considerate nel loro momento organizzativo, tutelandole da
qualsiasi discriminazione che possa derivare dai loro rapporti con le istituzioni civili
(che sono, pertanto, fatte destinatarie delle cautele e del divieto di trattamento in
peius previsti dalla norma). Cfr. V. Tozzi, Fasi e mezzi per lattuazione del disegno
costituzionale di disciplina giuridica del fenomeno religioso, in Stato, Chiese e
pluralismo confessionale, maggio 2007, p. 9.
13

40

Diritto e religione

di s lordinamento giuridico complessivamente considerato15. Questo disegno viene integrato e completato dalle indicazioni contenute
negli artt. 8, comma I, e 7 ed 8, commi II e III, nella misura in cui la
regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le organizzazioni confessionali venga interpretata in chiave di garanzia per la libert delle
istituzioni religiose ma, contestualmente, anche, in via funzionale ed
indiretta, per il soddisfacimento delle esigenze spirituali dei cives
fideles ad esse aderenti. Ne deriva che i soggetti collettivi religiosi,
siano essi sovrani (come ritenuta essere la Chiesa cattolica) o dotati
di autonomia originaria (come sono ritenute essere le organizzazioni
confessionali acattoliche), sono presi in considerazione dai pubblici
poteri (anche a mezzo dello strumento della contrattazione bilaterale)
solo ove realmente rappresentino il luogo o il mezzo di soddisfazione
dei bisogni (effettivi e manifesti) della persona umana16.
La prospettiva di descrizione della materia, cos come dei suoi
istituti tradizionali (matrimonio religioso produttivo di effetti civili,
rapporti finanziari tra pubblici poteri e gruppi confessionali, personalit giuridica degli enti religiosi, insegnamento scolastico della
15
La norma contenuta nellart. 2 Cost. indica una concezione dei rapporti tra lo
Stato e le formazioni sociali radicalmente alternativa rispetto a quella dellepoca
statutaria e del ventennio della dittatura, in quanto impegna le istituzioni e la societ
civile ad unazione diretta al pieno sviluppo della persona umana, anche nellambito dei gruppi operanti per il perseguimento di qualsivoglia interesse particolare.
Si veda S. Lariccia, Battaglie di libert. Democrazia e diritti civili in Italia (19432011), Carocci, Roma, 2011, pp. 14-5.
16
Il modello delle relazioni sociali disegnato dalla Carta costituzionale vigente
articola, come si visto, sulla centralit della persona umana ogni relazione tra lo
Stato e le formazioni sociali di pi diverso segno. Cos, linteresse pubblico per la
soddisfazione dei bisogni spirituali (individuali o di gruppo) dei consociati non dovrebbe mai costituire lesito di un privilegio accordato alluno o allaltro gruppo, in
ragione del fatto che lesercizio delle pubbliche funzioni costituisce un servizio alla
comunit. La pari dignit delle opzioni etiche, religiose e morali, di cui tutte le confessioni religiose sono espressive, va ritenuta essere ineludibile nelleventuale adozione di discipline contrattate tra lo Stato e i gruppi religiosi istituzionalizzati. Cfr.
V. Tozzi, Religiosit umana, fenomeno religioso collettivo e Costituzione italiana,
in Europa e Islam. Ridiscutere i fondamenti della disciplina delle libert religiose, a
cura di V. Tozzi, G. Macr, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009, pp. 18-9.

41

Marco Parisi

religione) e delle questioni eticamente sensibili, nellottica della


valorizzazione dei bisogni spirituali dei consociati (e non solo, ed
esclusivamente, delle esigenze istituzionali delle organizzazioni
confessionali) e di crescita della persona umana, oltre a risultare pi
in linea con il vigente quadro costituzionale, appare essere la modalit pi in sintonia con la naturale evoluzione della regolamentazione giuridica statale del fenomeno religioso e degli studi relativi a
queste tematiche.
3. Volendo sintetizzare lapproccio metodologico individuato per la
realizzazione del nostro volume Diritto e religione, si partiti dalla
constatazione secondo cui la tradizionale attenzione, manifestata dal
vigente testo costituzionale, rispetto alla specifica dimensione delle
confessioni religiose (cos come testimoniato dallesistenza di un
sotto-sistema dei rapporti fra lo Stato e le organizzazioni confessionali, di cui agli artt. 7 e 8 della Carta) debba essere considerata lesito
di una forzatura interpretativa. Infatti, esulando da una esegesi pi in
linea con limpianto liberale e democratico della Costituzione, si a
lungo indugiato in una valorizzazione delle norme relative ai gruppi confessionali invece di prestare adeguata considerazione al pi
egualitario e moderno sistema di disposizioni costituzionali finalizzate alla promozione della religiosit come bene protetto, in quanto
diritto inviolabile della persona umana.
Sarebbe pi opportuno promuovere la configurazione delle discipline ecclesiasticistiche come diritto pubblico delle religioni, promuovendo lidea di un gruppo di norme e di istituti giuridici volti
a disciplinare direttamente interessi specificamente attinenti alla dimensione religiosa, variamente atteggiata della personalit, e osservati dal punto di vista dei diritti (non dei culti, ma) della persona17.
Andrebbe recuperata la dimensione del diritto ecclesiastico come
legislatio libertatis, posta a garanzia degli interessi della persona
17
Cos N. Colaianni, Diversit religiose e mutamenti sociali, in Il nuovo volto
del diritto ecclesiastico italiano, a cura di G.B. Varnier, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 149.

42

Diritto e religione

in materia di fede e di convinzione, sia nel nucleo forte e primario


degli interessi ascrivibili al novero dei diritti inviolabili, non soggetti
ad alcun bilanciamento, sia di quelli che costituiscono loggetto di
tutela attraverso lo schermo delle situazioni giuridiche soggettive la
cui garanzia si confronta e si misura con la tutela di altri interessi e di
altri diritti pari ordinati18.
In questa logica, troverebbe spazio una descrizione dei rapporti
tra lo Stato e le confessioni religiose come mero ambito specifico
necessario alla regolazione di aspetti peculiari di coordinamento fra
le strutture interne dei gruppi spirituali dotati di una forte riconoscibilit giuridica esterna (quali, per lappunto, risultano essere le
organizzazioni confessionali) e le istituzioni pubbliche.
La possibilit riconosciuta ai soggetti religiosi di accedere alla
instaurazione di rapporti con lo Stato, al fine di determinare consensualmente la disciplina giuridica delle materie di comune interesse
(le c.d. res mixtae, intese come materie aventi uno specifico referente confessionale, ma ricadenti nella sfera di competenza statuale)
e lappagamento di peculiari istanze identitarie, va prospettata come
finalizzata alla tutela e alla valorizzazione delle tipicit e della identit propria delle confessioni religiose di volta in volta interessate.
La speciale tutela garantita alle confessioni religiose, a mezzo del
comma II dellart. 7 e del comma III dellart. 8 della Carta, va ritenuta attivabile solo in presenza della scelta statale di soddisfare le
specifiche esigenze delle grandi organizzazioni collettive a carattere
religioso19. Ci ove le organizzazioni confessionali siano caratteriz18
Cos G. Casuscelli, Diritto ecclesiastico ed attuazione costituzionale tra deformazione e proliferazione delle fonti, in Il riformismo legislativo in diritto ecclesiastico e canonico, a cura di M. Tedeschi, Pellegrini, Cosenza, 2011, p. 237.
19
Peraltro, sul piano delle fonti di produzione normativa, sembra intensificarsi
il ricorso a fonti di produzione unilaterale anche per far fronte alle specifiche esigenze delle organizzazioni confessionali. La tutela dei diritti e degli interessi delle
confessioni religiose non sembra passare pi, in modo esclusivo, attraverso i soli
meccanismi della contrattattazione bilaterale, ma sta iniziando a trovare risposte
soddisfacenti anche nelle normative di diritto comune adottate in settori interessanti
lazione sociale delle Chiese (si pensi, ad esempio, agli interventi degli enti religiosi

43

Marco Parisi

zate da un significativo radicamento sociale e manifestino esigenze


cos singolari, da rendere utile un collegamento istituzionale al fine
di garantire la migliore realizzazione della loro libert, nei limiti disegnati dalla legalit costituzionale20.
I patti bilaterali hanno la finalit di specificare e qualificare determinati spazi di libert religiosa collettiva costituzionalmente riconosciuti alle istituzioni religiose21, in una prospettiva di salvaguardia
per la distinzione e lestraneit della sfera pubblica rispetto a quella
degli ordinamenti confessionali. Il valore dellidentit confessionale,
oggetto di riconoscimento e tutela nella legislazione bilateralmente
convenuta, va equilibrato con i valori qualificanti lidentit costituzionale dello Stato, sottolineando come la normativa pattizia non
possa essere ritenuta sottratta al rispetto dei principi fondamentali
della Carta e del carattere laico pluralista della organizzazione statale
complessivamente considerata22. Queste relazioni, quindi, andrebbein ambiti di interesse generale). Cfr. P. Floris, Le nuove stagioni del diritto ecclesiastico. La dinamica attuale delle fonti di disciplina negli interventi della Corte
costituzionale e del legislatore, in Studi economico-giuridici. In memoria di Lino
Salis, vol. LVIII, Giappichelli, Torino, 2000, pp. 628-9.
20
Cfr. V. Tozzi, C una politica ecclesiastica dei governi. E la dottrina?, in
Religione, cultura e diritto tra globale e locale, a cura di P. Picozza, G. Rivetti,
Giuffr, Milano, 2007, pp. 152-3.
21
In questo senso va ricordato che le confessioni religiose sono considerate
dallordinamento italiano, nel quadro del sistema pluralistico-istituzionale, come
corpi sociali afferenti alla fitta rete di relazioni caratterizzanti lesperienza giuridica
dello Stato-comunit. La nostra Costituzione, nel riconoscere limportanza della
presenza confessionale allinterno della collettivit nazionale, tende a valorizzare la
peculiare funzione pubblica svolta dalle confessioni religiose e il loro significativo
ruolo propulsivo nel quadro delle dinamiche sociali. Infatti, le comunit religiose,
accanto e in modo complementare rispetto alle altre istituzioni sociali e in ragione
della particolare funzione formativa specificamente esercitata sono ritenute concorrere in modo qualitativo alla promozione della persona umana e allelevazione
morale e civile dellintera societ nazionale. Cos P. Lillo, La libert religiosa istituzionale nel sistema costituzionale, in Aequitas sive Deus. Studi in onore di Rinaldo
Bertolino, vol. II, Giappichelli, Torino, 2011, p. 878.
22
Va rilevato come, nellattuazione concreta della regola della bilateralit, a
fronte della legittima necessit di determinare, da un lato, ladeguamento della di44

Diritto e religione

ro prospettate nella dimensione del riconoscimento dellautonomia


reciproca tra soggetti confessionali e potest pubbliche, senza mai
preludere, tuttavia, ad inaccettabili ipotesi di condizionamenti sulla
libert di scelte dei cives fideles.
Le discriminazioni verso le forme di religiosit diverse da quelle
che si concretano attraverso la mediazione delle agenzie confessionali, cos come verso i diritti religiosi individuali e collettivi dei
soggetti non definibili come (e non parte di una) confessione religiosa, sono da ritenersi non pi tollerabili, stante linsieme delle garanzie di libert prospettato dalla vigente disciplina costituzionale della
religione23. Al contrario, come gi accennato per incidens, la complessiva regolamentazione giuridica del fenomeno religioso dovrebbe essere arricchita dalla adozione di una legge generale sulle libert
religiose, unilateralmente emanata dal legislatore statale, tale da prevedere laccessibilit per tutti i soggetti religiosi delle garanzie norsciplina concordataria rispetto al mutato assetto democratico dello Stato e, dallaltro,
di consentire anche ai gruppi confessionali di minoranza laccesso allo strumento
pattizio, siano state rilevate diverse criticit. Infatti, trascurando lobiettivo specifico della regolazione delle res mixtae e della soddisfazione delle peculiari esigenze
delle varie realt confessionali, si avuta la produzione di un complesso normativo
caratterizzato da una vasta gamma di concessioni particolaristiche, e in quanto tale
originante dubbi di compatibilit rispetto al principio di laicit dello Stato. La normativa pattizia, prodotta dal 1984 ad oggi, ha assunto, perlopi, le fattezze di una legislazione che si caratterizzata per una generosa elargizione di benefici e vantaggi
(di natura legale, fiscale e finanziaria) in favore delle organizzazioni confessionali,
conferiti anche a prescindere (in alcune ipotesi) dalleffettivo riscontro di una esigenza concreta dei gruppi beneficiari. Ovvero, si registrato un utilizzo distorto ed
esasperato dello strumento pattizio, che stato piegato alla definizione di deroghe
particolari al diritto comune, di dubbia coerenza rispetto alle esigenze di unitariet
del nostro ordinamento giuridico. Cfr. M. Parisi, Promozione della persona umana e
pluralismo partecipativo: riflessioni sulla legislazione negoziata con le Confessioni
religiose nella strategia costituzionale di integrazione delle differenze, in Autonomia, decentramento e sussidiariet: i rapporti tra pubblici poteri e gruppi religiosi
nella nuova organizzazione statale, a cura di M. Parisi, ESI, Napoli, 2003, pp. 26-8.
23
V. Tozzi, Rilievo delle norme confessionali nel territorio italiano, in La tutela
dei minori di cultura islamica nellarea mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e
medici, a cura di A. Cilardo, ESI, Napoli, 2001, p. 141.
45

Marco Parisi

mative e degli interventi promozionali della mano pubblica in favore


dei bisogni sociali connessi alla dimensione (individuale e collettiva)
della religiosit. In questo caso, si determinerebbe lesito positivo
della libera fruizione di interventi che, stante la vigente disciplina
normativa di natura pattizia, sono contraddistinti dal carattere privilegiario in favore solo di alcune denominazioni confessionali, sono
espressivi della politica mercantile della mediazione degli interessi
fra poteri pubblici e lobbies confessionali forti, non sono assistiti dai
criteri della ragionevolezza e dellimparzialit amministrativa nella
distribuzione di garanzie e risorse24.
In conclusione, deve ritenersi che una simile modalit di rappresentazione del vigente assetto costituzionale delle libert religiose
e della condizione giuridica dei gruppi confessionali, ivi compreso
il segmento specifico delle loro relazioni con lo Stato, e di descrizione dellauspicata evoluzione legislativa della materia appaiono
tali da promuovere una quadro dinsieme rispettoso del modello di
democrazia e di godimento delle libert fondamentali suggerito dalla vigente Costituzione repubblicana. Partendo dalla centralit della
persona umana e dalla pari dignit delle credenze religiose di tutti i
consociati, si conseguirebbe lesito auspicabile di una collocazione
delle organizzazioni espressive della dimensione istituzionale dellesperienza religiosa in forme pi rispettose del principio di uguaglianza, senza primazie gerarchiche di sorta, derivanti dal favore sociale
per specifici contenuti ideali o dalla capacit di influenza politica imputabile a determinati movimenti religiosi25.

24
V. Tozzi, La nostra proposta di riflessione per lemanazione di una legge generale sulle libert religiose, in Proposta di riflessione per lemanazione di una legge
generale sulle libert religiose, a cura di V. Tozzi, G. Macr, M. Parisi, Giappichelli,
Torino, 2010, pp. XXVI-XXVIII.
25
V. Tozzi, Dimensione pubblica del fenomeno religioso e collaborazione delle
confessioni religiose con lo Stato, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale,
settembre 2009, pp. 17-8.

46

Diritto e religione

Diritto e religione.
La dimensione europea del fenomeno religioso
di Gianfranco Macr

1. Introduzione - 2. Diritto e religione: dal nazionale al sovranazionale - 3.


Europa, diritti, religione - 4. Per una migliore comprensione della societ
pluralista - 5. Le nuove opportunit offerte dallo spazio giuridico europeo
- 6. Una nuova interpretazione del progetto costituzionale di disciplina del
fenomeno religioso - 7. Gruppi di interesse, appartenenze, bene comune

1. Innanzitutto desidero ringraziare lamico e collega prof. Pierluigi


Consorti per lospitalit e lo sforzo organizzativo, e un altrettanto
omaggio sincero desidero rivolgere agli illustri professori che hanno
voluto raccogliere linvito a partecipare attivamente, con impegno,
a questa riflessione, nella prospettiva, da molti immagino condivisa,
di contribuire a dare forma e sostanza ad un cantiere, umano e
scientifico (fatto di sensibilit diverse) sulle nuove prospettive del
diritto ecclesiastico italiano. In passato, com noto, si sono svolti altri importanti momenti di riflessione in diverse sedi universitarie, da
nord a sud, a dimostrazione di come sia tuttora viva in molti di noi
una sensibilit al confronto costruttivo, finalizzato, principalmente,
al rinnovamento della disciplina alla luce delle trasformazioni che
la societ civile, italiana ed europea, attraversa1 ma anche al piacere di rinnovare sentimenti di amicizia e di arricchimento reciproco.
La mia riflessione si concentrer su alcuni degli aspetti schematicamente (per ovvi motivi) trattati nella Parte prima del volume Diritto e religione2 la seconda parte in corso di stampa che ritengo
1
G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto ecclesiastico europeo, Laterza, RomaBari, 2006.
2
G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione, Plectica, Salerno, 2011.

47

Gianfranco Macr

siano di particolare importanza allinterno del dibattito sui rapporti


tra religione e diritto e che scaturiscono dalle sempre pi rilevanti
interconnessioni tra sfera ordinamentale nazionale e forma politica
europea, entro cui stanno gli stati nazionali. Mi limiter a sollevare,
dunque, alcuni nodi problematici nella speranza di poter contribuire,
dal mio punto di vista, ad arricchire il dibattito.
2. Linquadramento del fenomeno sociale religioso contenuto nella prima parte del volume Diritto e religione rappresenta, in primo
luogo, la continuazione di un percorso di ricerca (oltre che didattico)
avviato insieme a Valerio Tozzi e Marco Parisi gi da alcuni anni (e
prima ancora da Valerio Tozzi e Luciano Musselli3) e orientato ad
indagare ipotesi praticabili di innovazione didattica e di novazione
giuridica nel settore di studi denominato Diritto ecclesiastico che
noi riteniamo, per (insieme ad altri) essere finalizzato a ricomprendere oramai modalit, forme ed esigenze nuove, tutte ricollegabili
(secondo gradazioni diverse) al fattore religioso, che postulano necessariamente il superamento della vecchia dizione (Diritto ecclesiastico) privilegiando, appunto, quella utilizzata come titolo del libro (Diritto e religione). Sul punto esistono opinioni diverse, com
giusto che sia, per cui sarebbe interessante, oltre che opportuno, se
queste venissero esplicitate e approfondite durante questo momento
di discussione.
La stesura, a pi mani, del lavoro, condivide, ovviamente, la medesima riflessione di base: quella, cio, di imperniare una serie di questioni problematiche (trattate separatamente dai curatori) sulle prospettive di adeguamento della disciplina giuridica positiva delle libert religiose alle virt trasformative del costituzionalismo europeo.
Si tratta, a mio parere, di un punto di partenza necessario, la cui
ampiezza di riferimento, sotto il profilo storico-giuridico e politicoistituzionale degli apparati sovranazionali venutisi a creare a partire
dagli anni Cinquanta del secolo scorso (Consiglio dEuropa e Comu3
L. Musselli, V. Tozzi, Manuale di diritto ecclesiastico. La disciplina giuridica
del fenomeno religioso, Laterza, Roma-Bari, 2000.

48

Diritto e religione

nit/Unione europea, in particolare), ricomprende finalit volte alla


costruzione di un potere comune, inclusivo e mai difensivo.
La chiave di lettura stata, perci, quella del processo di integrazione che accompagna la Costituzione italiana (e quella di altri Stati europei) lungo il percorso finalizzato alla costruzione di un
orizzonte politico comune, che non rappresenta il riflesso necessitato
dello schema della crisi degli Stati nazionali (della cessione di
sovranit), bens della vitalit (oggi appannata) degli Stati medesimi.
LEuropa non assorbe gli Stati, questi sono pensabili solo allinterno
dellEuropa, la quale, a sua volta, poca cosa come Unione se non
partendo dagli Stati stessi4.
3. Sono state privilegiate cos alcune caratteristiche precise di questo
processo di integrazione europeo, ritenute meglio espressive della
capacit del costituzionalismo europeo di allargare il campo dello
Stato-apparato e della Costituzione (dal punto di vista simbolico e
delle regole), contribuendo ad aiutare a colmare le trincee delle identit nazionali e a frenare soluzioni estreme. Pensiamo, ad esempio,
allelemento della partecipazione (il rafforzamento delle assemblee
rappresentative e del dialogo tra soggetti istituzionali e non rappresentativi di interessi diversi, anche religiosi e decisore pubblico) e,
soprattutto, al linguaggio dei diritti (con la loro progressiva scrittura,
messa in azione e giustiziabilit)5. Trattasi di risvolti importanti,
propri sia del momento normativo (che cumula ambiti istituzionali
un tempo separati) che dellenforcement (la ricerca del risultato attraverso la condivisione).
Non sfugge il dato che, sulle modalit di rappresentazione degli
interessi (anche religiosamente connotati) e sullespansione delluniverso dei diritti individuali nello spazio pubblico europeo e, di
M. Fioravanti, possibile un profilo giuridico dello Stato moderno?, in Lo Stato moderno di Ancien Regime, a cura di L. Barletta, G. Galasso, Aiep, Repubblica
di San Marino, 2007, pp. 185-95.
5
M. Cartabia, I nuovi diritti, in Le confessioni religiose nel diritto dellUnione
Europea, a cura di L. De Gregorio, il Mulino, Bologna, 2012, pp. 95 ss.
4

49

Gianfranco Macr

riflesso, interno si possono creare fraintendimenti e illusioni se non


si procede al giusto inquadramento delle questioni, sia dal punto di
vista semantico sia da quello della individuazione dello strumentario
normativo pi adeguato a meglio regolare la salvaguardia delle libert in regime di pluralismo.
Ma gi evidente che: il ruolo dei soggetti rappresentativi la c.d.
societ civile organizzata (organizzazioni espressive di interessi
religiosi comprese), lemersione di una policy europea dei diritti fondamentali e lampliamento delle garanzie costituzionali, si integrano,
completandosi reciprocamente come rilevato dalla Corte costituzionale, in una prospettiva di interpretazione della normativa prodotta sulla base di questa interazione sinergica e questo non potr non
avere ripercussioni sugli assetti interni di regolamentazione unilaterale e pattizia del fenomeno religioso.
Si tratta, allora, di prestare grande attenzione ai cambiamenti
prodottisi nella realt politico-istituzionale (e sociale) europea, e di
calcolare i riflessi che il sistema giuridico euro-unitario produce
e produrr sugli assetti ordinamentali interni. Costituirebbe, perci,
una falsa partenza continuare ad immaginare gli Stati europei come
roccaforti di un pensiero ancora impregnato di tradizioni nazionalistiche ed etnocentriche (Pinelli) e costruire, su questa premessa, gli
ulteriori percorsi di ricerca e didattica indirizzati a dare risposte ai
problemi delle societ multiculturali.
4. ormai acclarato che la metamorfosi dello Stato-nazione in Statomembro (dellUnione Europea) ha significato, prima di ogni altra
cosa, la condivisa responsabilit per limplementazione delle politiche
europee, nonch il rispetto di tutte le prescrizioni contenute nelle fonti
primarie e in quelle derivate del diritto dellUnione europea.
Il primato del diritto comune europeo si affermato, non solo
grazie allattivismo giudiziario della Corte di giustizia ma anche
grazie alla apertura di ulteriori finestre (prima lart. 11 poi il 117,
comma 1 Cost.) dalle quali scorgere meglio il processo di affrancazione delle Costituzioni nazionali dalla forma statalistica (attenta
esclusivamente agli sviluppi interni ai singoli ordinamenti) oltre lo
50

Diritto e religione

Stato. Ci ha contribuito a determinare, con migliori risultati, quella funzione mediativa (propria delle Costituzioni moderne) della
legittimazione democratica degli ordinamenti sovranazionali (quello europeo in particolare) e a favorire la convergenza (non sempre
armonica n adeguatamente sorretta da una fonte di legittimazione)
di pi livelli di governo (regionale, nazionale e sovranazionale) nel
complesso sviluppo dellintegrazione; mi riferisco al c.d. costituzionalismo multilivello: una teoria di grande successo nel dibattito
giuspubblicistico europeo, finalizzata a ricondurre a sintesi la molteplicit dei livelli costituzionali.
Quelli appena menzionati rappresentano, perci, i segni pi
consolidati, in senso democratico, delle Costituzioni europee, e di
quella italiana in particolare, questultima, fortemente caratterizzata
in senso pluralista, nonch dotata di robusti vettori normativi in
grado di favorire la comprensione interculturale della nostra societ.
5. Nel nostro lavoro, si cercato di rimarcare il fatto che la dimensione costituzionale europea costituisce il risultato di una sovranit cooperativa i cui basamenti sono: le sfere ordinamentali da un
lato (Unione europea, CEDU e stati nazionali) e i centri decisionali
dallaltro; in pratica: un legislativo bicamerale da un lato (Consiglio dellUE e Parlamento) e un esecutivo duale dallaltro (Consiglio
europeo e Commissione), senza dimenticare il dialogo fecondo (ma
complesso) tra giudici nazionali (in particolare quelli costituzionali e
di legittimit), giudici europei e dottrina.
Allinterno poi di quel circolo virtuoso6 costituito da: CEDU,
Carta europea dei diritti fondamentali, tradizioni costituzionali comuni, il fenomeno religioso, considerato nelle sue mutevoli e variegate manifestazioni, trova nuove chances, tenuto conto del rinnovato
contesto giuridico creato dal Trattato di Lisbona: lattribuzione di
forza vincolante alla Carta di Nizza, linserimento a pieno titolo delle
6
L. Violini, La dimensione europea dei diritti di libert: politiche europee e
case law nel settore della tutela dei diritti fondamentali. Sviluppi recenti, in www.
federalismi.it, 11 gennaio 2012.

51

Gianfranco Macr

politiche di promozione dei diritti fondamentali nellarea Giustizia,


Libert, Sicurezza (con un commissario europeo ad hoc responsabile per questarea), la facolt di intervento della Corte di giustizia
in questo campo a seguito della rimozione della struttura a pilastri
dellUnione e, infine, lobbligo di adesione dellUnione europea
alla CEDU (art. 6, punto 2 TUE), oggetto di trattative in corso.
Lo scenario, poi, si arricchisce anche grazie al c.d. dialogo tra le
corti, che presenta per ancora ampi margini di miglioramento. In
chiave interna, ad esempio, costituiscono oggetto di intenso dibattito
dottrinale le questioni connesse al rapporto tra giudici costituzionali
e giudici comuni sulle c.d. interpretazioni conformi alla Costituzione. chiaro che, in una prospettiva di pi ampio respiro e maggiore convergenza (tra corti costituzionali e corti europee), il dialogo contribuir a svecchiare il diritto (quello legislativo e quello
costituzionale, materialmente inteso in quanto comprensivo altres
delle norme di origine esterna riguardanti i diritti fondamentali) stabilizzando, da un lato, il pronunciato giurisprudenziale e fungendo,
dallaltro, da fattore di incoraggiamento per la formazione di nuovo
diritto vivente (Ruggeri).
C poi il rapporto tra giudici europei, giudici nazionali e dottrina.
Trattasi di un confronto serrato, da cui: stante la crescente rilevanza acquisita nei diritti nazionali dalla giurisprudenza della Corte di
Strasburgo [] il dialogo fra dottrina, operatori del diritto e giudici internazionali [] non solo pu offrire nuove suggestioni e prospettive interpretative a questi ultimi, ma pu consentire alla stessa
scienza del diritto, ed ancora di pi ai giudici nazionali, lopportunit
di ampliare i propri orizzonti interpretativi offrendo nuove e inusuali
soluzioni giuridiche a comuni problemi giuridici7.
Tutto questo si ripercuoter sulle dinamiche tra il diritto e la societ, soprattutto in materia di diritti fondamentali. Il rapporto si far
R. Mazzola, Introduzione. La dottrina e i giudici di Strasburgo. Dialogo, comparazione e comprensione, in Diritto e religione in Europa. Rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo in materia di libert religiosa, a
cura di Id., il Mulino, Bologna, 2012, pp. 9 ss.
7

52

Diritto e religione

ancora pi stretto, essendo la societ (sempre pi multiforme e complessa) il luogo dove il diritto misura il suo grado di vitalit, traendone sostegno a svolgere il ruolo a cui demandato.
6. La trama del lavoro dedicata ai profili sovranazionali della disciplina giuridica del fenomeno religioso, ha privilegiato lidea che la
crescita della adesione alla democrazia pluralista, di fronte al disordine imperante (nella politica e nel diritto) deve passare attraverso
quella che in dottrina stata definita come la portata orientativa della Costituzione (Ruggeri), ri-attivando, innanzitutto, una lettura interpretativa di quelle norme in grado di distinguere in una logica di
superamento del radicamento proprio di ogni identit tra mera
coesistenza multiculturale e piena integrazione interculturale
(Spadaro). Da qui lo sforzo di rendere chiaro che non si tratta, soltanto, di invocare la dignit umana come valore universale, quanto
piuttosto di ricercare percorsi normativi in grado di far discendere dal
Capo Primo della Carta europea dei diritti fondamentali (La dignit
umana inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata) in combinato disposto con lart. 2 Cost. (quale norma a fattispecie aperta,
che riconosce e tutela valori anche non espressamente previsti nella
Carta repubblicana, ma via via emergenti a livello di Costituzione
materiale) lintera gerarchia dei diritti costituzionali e, quindi, riconsiderare linterpretazione del progetto costituzionale di disciplina
del fenomeno religioso che ha il fulcro nel diritto di libert religiosa
individuale e collettiva (di questo ha dato conto pi dettagliatamente
il collega Marco Parisi).
A quanto sinora detto si aggiunge unaltra questione caratteristica
del processo incrementale europeo: la governance della forma politica europea. Si tratta, senza dubbio, di un tema controverso, affermatosi, in certi ambienti, come una delle possibili risposte a certe difficolt
della democrazia, e in altri, invece, quale fattore addirittura esprimente
il sentore di Ancien Rgime dellordine giuridico europeo8.
8
A. Supiot, Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del Diritto,
Mondadori, Milano, 2006.

53

Gianfranco Macr

Sicuramente una certa opacit dei poteri decisionali, attenta


soprattutto a voler espellere i conflitti a favore dellarmonia (della
ricerca dellequilibrio), rischia di portare diritti verso laffermazione
di forme ibride del potere e di concretizzarsi nel cavallo di Troia
della governance stessa. Si tratta, sicuramente, di un processo dove
il diritto perde il carattere della verticalit (imperativit e obbligatoriet delle regole giuridiche) per assumere le sembianze della soft
law, espressiva di una giuridicit multifunzionale, meno rigida e generatrice di finalit non esclusivamente normative (finalizzate cio a
produrre vincoli) ma anche di orientamento sociale9.
Alcuni effetti della governance, frutto della europeizzazione
dello Stato costituzionale, come: 1) linclusivit (per esempio di
svariate tipologie di attori sociali, tra cui: Le chiese, associazioni o
comunit religiose, organizzazioni filosofiche e non confessionali
- art. 17 TFU); leffettivit (nel senso della capacit delle regole di
produrre effetti oltre il momento normativo); linterattivit (che
innova il tradizionale vocabolario della democrazia rappresentativa
e che favorisce metodologie partecipative e relazionali caratterizzate
in senso orizzontale piuttosto che verticale), rappresentano bene le linee evolutive della soft law euro-unitaria, che, a partire dalla adozione del Libro Bianco sulla Governance (2001), si rivolge direttamente
alle istituzioni e allinsieme della societ.
Questi mutamenti istituzionali di tipo orizzontale, a rete (che
connette), e le modalit decisionali che privilegiano, come scrive
Cassese, il principio della libert delle forme a quello della tipicit, sono, dunque, i tratti ben visibili di una democrazia degli interessi, post-parlamentare speculare, soprattutto, alla crisi, morte
o trasfigurazione della forma-partito tradizionale, allindebolimento dei sistemi parlamentari nazionali e alla loro oramai patologica
permeabilit verso le istanze particolari allinterno della quale
la dimensione associativa (le fazioni avrebbe detto Madison) ap9
La definizione di V. Ferrari, Funzioni del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1995,
ripresa da M.R. Ferrarese, La governance tra politica e diritto, il Mulino, Bologna,
2010, 44-5.

54

Diritto e religione

proda alla sfera del decisore pubblico con lobbiettivo di produrre e


distribuire informazioni nei diversi settori in cui i differenti gruppi
operano.
7. La tematica dei gruppi di pressione, e delle lobbies in particolare, non , perci, solo questione di fatto, ma anche di diritto,
considerato che la lobby rappresentativa di una categoria ampia e
unitaria (es. gruppi ambientalisti, organizzazioni religiose maggioritarie, etc.) gode di condizioni migliori dal punto di vista dellascolto
e della recezione dei materiali informativi che accompagnano la sua
azione, rispetto ad unaltra che parla a nome di un settore di interessi
costituito da una membership poco numerosa e debolmente sostenuta a livello di opinione pubblica oppure tra i partiti al governo (es.
gruppi che si battono per la legalizzazioni delle unioni omosessuali,
minoranze religiose, ecc.).
La natura intermediaria delle lobbies, pertanto, necessiter di
rendere ancora pi trasparente il fenomeno. Dal lavoro congiunto
tra Commissione e Parlamento, ha preso vita, nel 2011, un Accordo
interistituzionale finalizzato alla istituzione di un Registro per la trasparenza per le organizzazioni, le persone giuridiche e i lavoratori
autonomi impegnati nellelaborazione e nellattuazione delle politiche dellUnione.
Dopo un lungo periodo fatto di inseguimenti e tentativi di sorpasso sul fronte dei rapporti con i gruppi di interesse e della disciplina regolamentativa da adottare, Commissione e Parlamento hanno
stabilito che linterazione tra le istituzioni europee [e i gruppi di
interesse] costante, legittima [e necessita di] politiche adeguate che
rispondano alle esigenze e alla realt del momento.
Per quanto riguarda, in particolare, gli interessi religiosi su scala
europea, allart. 11 dellAccordo citato si stabilisce che: Il registro
non concerne le chiese e le comunit religiose [in quanto tali]. Tuttavia, gli uffici di rappresentanza o gli organismi giuridici, gli uffici
e le reti creati per rappresentarli nelle loro relazioni con le istituzioni
dellUnione, come pure le loro associazioni, sono chiamati a procedere alla registrazione (art. 11).
55

Gianfranco Macr

Trattasi di un processo che avr inevitabilmente ripercussioni anche in chiave interna agli Stati membri, alla ricerca di nuove forme
di bilanciamento tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. Per quanto ci riguarda (e nel volume Diritto e Religione
vi si fa riferimento) quello dei gruppi di interesse e dellattivit di
lobbying messa in campo dalle strutture rappresentative delle Chiese, comunit religiose, organizzazioni filosofiche e non confessionali (art 17 TFUE), costituisce un argomento assolutamente pertinente, che investe la democrazia pluralista in quanto ha a che fare col
rapporto tra rilevanza sociale degli interessi di parte e dimensione
politica pubblica (bene comune).
Anche con questa realt bisogna confrontarsi, ed allinterno di
questo circuito reticolare che passano (e sempre pi passeranno) le
valutazioni politiche e le reazioni giuridiche finalizzate a rispondere
ai problemi degli stati europei.
Ecco, allora che, la soft-law, questa neo-lingua del diritto sovranazionale europeo, integra le gi enormi potenzialit interpretative dei testi costituzionali e influir (sulla base degli orientamenti
provenienti da Lussemburgo e Strasburgo e alla luce degli atti normativi adottati dalle istituzioni europee in applicazione delle disposizioni contenute nei trattati) sulla politica e sulla legislazione interna
finalizzata alla disciplina dei diritti individuali e collettivi di libert
religiosa.
Sar importante verificare se, in chiave interna, i Parlamenti (dotati di strumenti molteplici di intervento sulla societ) sapranno resistere alla forza pervasiva degli Esecutivi e riacquistare centralit
aprendosi (come lEuropa invoca) ad un modello di cooperazione
interparlamentare e di ridefinizione delle proprie funzioni in una prospettiva di compensazione del principio di indivisibilit dei diritti
allinterno dellelevato livello di complessit in cui versa la nostra
societ.

56

Appartenenza e rappresentanza

Diritto e religione (Giappichelli, Torino, 2011)


di Luciano Musselli

Intervenire oggi sui metodi di studio e sugli strumenti didattici (i manuali) e la loro impostazione, dellinsegnamento universitario oggi
denominato Diritto ecclesiastico impresa particolarmente ardua.
Le nuove problematiche, emerse oramai da parecchi anni, da un
lato hanno reso obsoleto lo schema classico del Diritto ecclesiatico
ed anche la sua stessa denominazione (che rischia di sapere di vecchio e di stantio) e dallaltro hanno posto lesigenza di lasciarci alle
spalle il passato e di tentare vie nuove. Dato che non c pi solo
come oggetto di studio la Chiesa cattolica o le Chiese cattoliche e
non cattoliche (donde il termine ecclesiastico) ma anche altre realt, come quella importante e complessa dellIslam e delle religioni
orientali, ci si orientati, a mio parere, non senza fondamento e motivazioni, verso nuove denomimazioni quali quelle di Diritto delle
religioni o Diritto e religione.
Un altro limite da superare, a mia opinione, la prospettiva geograficamente limitativa allItalia ed al suo ordinamento, che, pur rimanendo lambito fondamentale di studio e di didattica, in un contesto giuridico europeo non pu pi essere lunica presa in considerazione se non altro per limportanza assunta da alcuni anni dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Il pericolo in questa fase di transizione quello della sovrapposizione tra due modelli non omogenei di Diritto ecclesiastico, che
vengono spesso sovrapposti o giustapposti senza che si riesca a dare
sempre una sistemazione omogenea del nuovo nel vecchio schema
o del vecchio nelle nuove impostazioni. Il problema non quindi
solo del nome, per il quale mi sembra potersi dire che la tendenza
vincente sia oggi quella innovativa anche sullinflusso della esperienza anglosassone od americana (Law and Religion); o forse anche
57

Luciano Musselli

in qualche misura francese (Droit des cultes, Droit des religions etc.).
C per lesigenza di conservare un bagaglio di culture ed esperienza giuridica legata al nome ed alla gloriosa scuola del Diritto ecclesiastico italiano (da Ruffini e Scaduto a Del Giudice e Jemolo, fino
a De Luca e Finocchiaro, tanto per indicare studiosi particolarmente
significativi di epoche diverse). Penso che questesigenza dovrebbe
costituire oggetto di attenta meditazione.
Forse potrebbe essere opportuno conservare, almeno a livello di
sottotitolo, nei manuali la dizione (corso o lezioni di diritto ecclesiastico) per non perdere il collegamento con questa tradizione, con
questi valori, a meno che non si preferisca un taglio netto con essi.
Ma pu veramente esserci un taglio netto con una tradizione culturale e giuridica ultracentanaria nel cui ambito anche lattuale generazione di docenti e studiosi, a parte forse le ultimissime leve, si
formata? Possiamo peraltro permetterci di fare tabula rasa e partire
da impostazioni nuove che finirebbero per muoversi tra sociologia e
diritto od adottare un approccio prevalentamente pragmatico giurisprudenziale come spesso avviene oltreoceano?
Penso che il compito della nuove generazioni degli ecclesiasticisti o degli studiosi del diritto delle religioni, comunque li si voglia
chiamare, sia questo: in primis conservare lunitariet della materia,
evitando che si disperda in mille rivoli e, in secondo luogo, ritrovare
un linguaggio e una sistematica che, utilizzando anche molte vecchie
e solide pietre, riesca a dare vita ad un nuovo ed armonico edificio.

58

Laicit interculturale. Cos?

Laicit interculturale. Cos?


di Mario Ricca
1. Limpossibile neutralit. Storia, antropologia e religione
Chi pu dirsi laico? Che cosa significa laicit? Dintuito parrebbe facile rispondere a queste domande. Laico, potrebbe affermarsi,
tutto ci che non ha che fare con la religione. E sin qui si resta
entro i confini del senso comune. Nella risposta per non vi nulla di
universalmente ovvio, niente di cos chiaro come potrebbe sembrare.
Innanzi tutto, lidea di laicit familiare soltanto a chi utilizza
alcune lingue: francese e italiano, ad esempio. Gli idiomi anglofoni
non possiedono un vocabolo equivalente. Si parla piuttosto di secularization, ma lo spettro semantico non il medesimo. Ancora,
laico un vocabolo con un utilizzo anche ecclesiale. Non ha quindi
unaccezione solo politica, quella intuitivamente pi prossima. Nella
Chiesa il laico il semplice fedele, chi investito con il battesimo
del sacerdozio comune.
Nel gergo quotidiano, poi, laico anche colui che non ha appartenenze specifiche, luomo qualunque, il cittadino e basta, colui che
partecipa alla vita pubblica in ragione delle sue qualit antropologiche e non in forza della sua collocazione ideologica o comunitaria1.
Laico, in senso lato, corrisponde a tutto ci che risulta ascrivibile
al paradigma della normalit. E gi questa espansione nelluso del
termine rivela la sua stretta connessione con la cultura. Ma cosa pu
dirsi normale al di fuori di un contesto culturale? O in assenza di
criteri di giudizio elaborati allinterno di un circuito comunicativo e
sociale? Si supponga pure che normale venga assimilato a naturale.
Ma quale natura esiste nel mondo osservato dal punto di vista umano
se non quella restituita attraverso le lenti della cultura, anzi delle cul1
Laicit. Una geografia delle nostre radici, a cura di G. Boniolo, Einaudi, Torino, 2006.

59

Mario Ricca

ture?2 Quale agenzia decide cosa sia natura e cosa cultura, se non la
cultura stessa come processo di incessante riproduzione della mente
umana e, insieme, della natura umana?
Eppure, laico, nel dialetto culturale italiano o francese, ha
come suo significato centrale, primario (o molare), il non avere a
che fare con la religione. Ma anche volendo ridurre a unapparente
ovviet politica lidea di laicit, e limitarsi a essa, le cose non acquistano maggiore chiarezza. Basta incrementare la messa a fuoco per
scoprire che per rompere le comunicazioni con la religione bisogna
prima definire lidentikit dellinterlocutore, la sua consistenza. E ci
innesca subito alcuni, ulteriori quesiti. Dove sta dunque la religione?
Dove abita? Negli edifici di culto? Nella mente dei ministri di culto
appartenenti alle diverse fedi? Nella coscienza della gente? In un suo
specifico atteggiamento mentale? Oppure anche nei gesti delle persone e nelle loro intenzioni? Quindi pure nei luoghi, nei vestiti, nel
cibo, nei viaggi, nelle parole, nei gesti, insomma in tutto ci che
eletto come simbolo e segno di fede? La religione ha dunque luoghi
specifici di sussistenza, cos se si vuole da potersene tenere a
distanza? Oppure diffusa ovunque, anche dove non si vede e soprattutto dove si crede di non vederla?3
Del resto, se la religione pu essere ovunque, agganciandosi come
connotazione qualificativa a qualsiasi oggetto, parola o comportamento, come si fa a tenersene a distanza? Se la religione si annida
anche in ci che appare normale, come discernere cosa religioso
da ci che laico, e viceversa? Oppure si tratta, in buona parte, di
termini speculari e quindi vuoti? In fondo laico ci che non religioso; e religioso ci che non laico. Vale a dire, alla fine del gioco
di rimandi reciproci, nulla.
2
T. Ingold, Ecologia della cultura, Meltemi, Roma, 2001; G. Marrone, Addio
Natura, Einaudi, Torino, 2011; M. Ricca, Natura implicita e natura inventata nel
diritto. Incursioni interculturali, in P. Fabbri, Internaturalit e significazione, Mimesis, Milano, in corso di stampa; P. Descola, G. Plsson, eds., Nature and Society:
Anthropological perspectives, Routledge, London-New York, 1996.
3
P. Norris, R. Inglehart, Sacro e secolare. Religione e politica nel mondo globalizzato, il Mulino, Bologna, 2007.

60

Laicit interculturale. Cos?

A questo punto il lettore comune potr sentire odor di raggiro


verboso. In ogni ambito si sa riconoscere cosa religioso, sanno farlo
anche i bambini. Ma ogni contesto sociale e comunicativo forgiato
dalla cultura e la religione stessa ne parte costitutiva. Quindi, il
religioso si differenzia allinterno di ogni universo culturale secondo criteri che hanno gi la religione tra le loro matrici di senso. Allo
stesso modo, pure quanto ritenuto laico, ovvio, normale, costituisce
lesito di un processo di differenziazione modellato grazie alle mole,
agli scalpelli della cultura e quindi anche del sapere religioso4.
La compenetrazione tra religione e cultura dipende dai processi
storici. In ogni angolo del mondo, in qualsiasi universo immaginario, la religione ha operato nel tempo come agenzia antropologica
e di produzione di senso. Le visioni del mondo coestensive a ogni
cornice culturale sono cresciute e si sono scolpite anche attraverso
il lavorio dellimmaginazione religiosa. La fede e le sue categorie di
senso hanno agito come una corrente di fondo nella formazione dei
saperi e degli abiti culturali, e si sono mimetizzate con essi, sino a
rendersi in parte invisibili. Un italiano o un indiano possono essere
rigorosamente laici, persino atei, ed esibire questa loro connotazione tenendosi a distanza da quel che ritengono religioso. Il punto
che anche nel definire qualcosa come religioso e qualcosaltro come
laico o normale, entrambi utilizzeranno categorie di giudizio culturalmente radicate nel cristianesimo e nellinduismo, anche se ormai
confuse con il rispettivo sapere comune5.
Le ambiguit per non finiscono qui. Ed cos perch laico, oltre
che il singolo individuo, pu essere e autoproclamarsi anche lo stato
e con esso le istituzioni pubbliche. Anzi, il sostantivo laicit si declina nel lessico istituzionale come caratteristica della politica statale.
Che cosa significa, dunque, stato laico? Significa che le istituzioni
pubbliche non devono avere a che fare con la religione? Ma com
M. Ricca, Oltre Babele. Codici per una democrazia interculturale, Dedalo,
Bari, 2008.
5
M. Ricca, Costruire lesperienza giuridica oltre le identit, in Daimon, 2008,
pp. 1 ss.
4

61

Mario Ricca

possibile che ci si verifichi dal momento che la religione vive nei


comportamenti della gente e si proietta in ogni ambito esistenziale?
Ancor pi, poi, considerando che cos difficile distinguere quanto
normale, laico, da quanto religioso? Inoltre, lo stato laico, per non
avere a che fare con la religione, non pu neanche vietarla o perseguitarla. Lo stato laico non lo stato ateo, cos come una societ laica
non una societ atea. Tentare di reprimere le visioni del mondo di
matrice religiosa e i gesti a esse conseguenti come vorrebbe il modello di un ateismo intransigente significa imporre una o pi visioni
del mondo alternative totalmente scevre da connotazioni religiose.
Questo lobiettivo, ma anche il dilemma dello Stato e della societ
atei. possibile costruire, per scelta politica o culturale, un sapere e
un fare collettivi che facciano evaporare qualsiasi retaggio religioso
dal proprio bacino di significati?
Unopera di decontaminazione totale della vita pubblica dalle
sue componenti religiose presumerebbe la possibilit di edificare un
mondo orfano di passato e quindi orfano di cultura6. Ma il materiale
da costruzione delle innovazioni culturali, persino dei cambiamenti
di paradigma, sempre la cultura stessa. Le innovazioni dei sistemi
di conoscenze, sia teoriche sia pratiche, sono sempre parziali o periferiche. Distruggere lintero edificio culturale, privarlo di qualsiasi
asse di ancoraggio con il passato, semplicemente impossibile, perch gli arnesi per condurre in porto lopera fanno parte integrante di
esso. Noi distruggiamo ricostruendo e ricostruiamo distruggendo.
cos che si sviluppa la vita culturale delle societ e degli individui.
per questo motivo che lateismo integrale costituisce unopzione sostanzialmente irrealizzabile. Ogni risultato porterebbe in s, comunque, limpronta di saperi che hanno avuto a che fare con la religione.
E la circostanza che questa ascendenza venga negata (come pure
storicamente accaduto ad es. in USSR) non farebbe che peggiorare
le cose, rendendo occulto e indicibile quel che si annida nel profondo. a causa di questo paradosso storico-culturale che lateismo
6
H.P. Glenn, Tradizioni giuridiche del mondo. La sostenibilit della differenza,
il Mulino, Bologna, 2011.

62

Laicit interculturale. Cos?

tende a rivelarsi come una fede, motore di una lotta inane contro le
altre fedi. Ma se la laicit non pu essere ateismo, qual allora la
sua via di manifestazione e di significazione? La risposta pressoch
unanime del pensiero politico contemporaneo sembra raggrumarsi
attorno a un vocabolo: neutralit. Lo stato laico lo stato neutrale.
Esso non combatte le fedi. Anzi, ne riconosce la libert di espressione e di manifestazione pratica. Piuttosto, se ne tiene a ponderata
distanza; una distanza scandita dalla frontiera tra pubblico e privato.
La fede religiosa pulsa dalla dimensione privata, intima, dei soggetti
e si proietta nella sfera pubblica in modo libero, sin dove non urta
con altri valori laici ritenuti fondamentali dallassetto costituzionale
dellordinamento statale7. Quindi lo stato laico-neutrale dovrebbe
comportarsi rispetto alle religioni un po come un agente esente, una
sorta di semaforo metafisico.
La metafora dello stato come agente-esente evocativa, ma incompleta. Il semaforo non decide i propri colori, n il tempo dilluminazione rispettivamente del rosso, del verde o dellarancione. C
qualcuno che lo programma e soprattutto stabilisce dove posizionarlo. Nella regolamentazione della vita pubblica per nessuno decide
per lo Stato se, come, dove e quando far scattare il verde oppure il
rosso di fronte alle manifestazioni della fede religiosa. lo Stato
stesso a farlo. E per farlo deve distinguere nuovamente cosa normale o laico da ci che religioso. Solo che impossibile regolare
senza definire e qualificare8; e non si pu n definire, n qualificare,
se non servendosi di criteri, di unit di misura connotati culturalmente. Ma la cultura, a sua volta, non scevra da connotazioni religiose,
che appunto permettono di riconoscere, al suo interno, cosa ritenere
religioso e cosa laico.
La neutralit dello Stato richiede che le istituzioni possano gettare sulle realt sociali uno sguardo da nessun luogo, uno sguardo asetG. Paganini, E. Tortarolo, Pluralismo e religione civile. Una prospettiva storica e filosofica, Bruno Mondadori, Milano, 2004.
8
J. Dewey, Metodo logico e diritto, in A. Faralli, John Dewey. Una filosofia del
diritto per la democrazia, Clueb, Bologna, 1990.
7

63

Mario Ricca

tico, proiettato da una sorta di grado zero della cultura. Pi che uno
sguardo, un punto cieco. Non ci vuole molto a concludere che intesa
come asetticit culturale la neutralit semplicemente impossibile.
Il miracolo della laicit come neutralit un fuoco fatuo, almeno
per quel che riuscita a disegnare sino a oggi lesperienza statale e
democratica. La sua persuasiva apparenza si fonda tutta sulla mimetizzazione della religione e delle sue stratificazioni cognitive allinterno degli abiti culturali. Al punto che ogni individuo, dallinterno
della propria esperienza culturale, pu sinceramente convincersi di
esprimere idee o di adottare comportamenti neutri senza avere alcuna
consapevolezza del loro retaggio religioso.
Per obiettare, qualcuno potrebbe appellarsi, a questo proposito, a
una sorta di rappresentativismo. Come a dire che non importa lorigine delle idee o dei gesti, ma il modo attuale di rappresentarseli. Per
esemplificare: se la civilt occidentale ritiene laiche le proprie categorie giuridiche, esse allora saranno autenticamente laiche; e questo
bench possano avere una matrice o un midollo di origine cristiana.
Si tratta di unobiezione tuttaltro che infondata dal punto di vista
psicologico. Fatalmente, per, essa appare destinata a frantumarsi
nel contatto con lesperienza della diversit culturale.
Il rappresentativismo, anche dal punto di vista epistemologico,
ha un limite coincidente con la sua intrinseca, e peraltro fruttuosa, relativit. Dire che non vi cognizione senza rappresentazione
ha una sua plausibilit, ma non equivale ad assolutizzare le singole
modalit rappresentative. Tuttavia proprio quel che fa lobiezione psicologico-rappresentativista a difesa della laicit-neutralit.
Basta porsi in ascolto di altre modalit rappresentative perch le
implicazioni pragmatiche di una falsa auto-rappresentazione della
propria laicit-neutralit si rivelino cariche di problemi. Ed appunto la situazione generata dallesperienza della multiculturalit/
multireligiosit vissuta dalle societ contemporanee. Quel che appare culturalmente normale, laico, razionale, ovvio, naturale, etc.
allindividuo che osserva se stesso o le sue istituzioni dallinterno
della sua cultura pu invece denunciare la propria ascendenza religiosa agli occhi dellAltro, da chi osserva e getta uno sguardo da
64

Laicit interculturale. Cos?

fuori. La laicit, meglio la percezione della laicit, in conclusione


culturalmente relativa9.
In un universo sociale multiculturale/multireligioso limpossibilit della neutralit si converte immediatamente in asimmetria e in una
percezione dingiustizia. Circostanza che si verifica ogni volta che il
neutro per qualcuno venga imposto come neutro anche allAltro, che
invece dallalto (o dal basso) della sua differenza lo percepisce come
culturalmente e religiosamente relativo, quindi partigiano. Daltronde, la cultura, anzi il culturale neutro per definizione agli occhi di
chi lo osserva dallinterno. Peggio, con una conversione tuttaltro
che innocua, tende irresistibilmente a trasformarsi in naturale, evidente e alla fine in (aprioristicamente) universale. Chi non lo pratica,
e quindi non lo condivide, dunque fuori dalla natura, oltre i confini
dellumanit.
Ma se cos complicato e problematico articolare la laicit, come
mai essa divenuta un asse del costituzionalismo moderno e contemporaneo? Uno slogan inossidabile, al quale a turno si appellano
tutti, persino i soggetti confessionali, editandone ciascuno la propria
versione ovviamente indicata come quella autentica? La risposta riposa nella storia.
La laicit, come idea politica, figlia dellIlluminismo. La possibilit di realizzarla, in quanto opzione istituzionale e pratica, non
per legata allateismo militante, a un atteggiamento ideale ostile alla
religione. Piuttosto, la forza del pensiero laico giace in unaltra fede:
la fiducia nellauto-evidenza della ragione e delle sue verit.
LIlluminismo laico fu lincarnazione politica del razionalismo
moderno inaugurato gi dallEuropa del XVII secolo. La sua lotta
contro i poteri ecclesiastici e i loro bastioni culturali fu una conseguenza e non il presupposto della fede nella ragione. Dalle verit
scientifiche di matrice galileiana e newtoniana sino allasserita trasparenza del diritto naturale razionale e dei principi etici universali, gli assiomi della laicit illuminista orbitano attorno a un preciso
9
G.E. Rusconi, Laicit ed etica pubblica, in G. Boniolo, Laicit. Una geografia
delle nostre radici cit.

65

Mario Ricca

presupposto antropologico. Esso consiste nella capacit dellessere


umano, di ogni singolo essere umano, di usare le sue facolt razionali per riconoscere lovviet, levidenza della natura, sia fisica, sia
antropica.
Cronologicamente, fu in prima battuta lopporsi della teologia
naturale propugnata dalla Chiesa cattolica alle scoperte scientifiche
a innescare lopposizione tra fede e ragione10. Qualcosa di simile si
verific anche sul piano politico. Non fu la religione in s e per s,
quanto piuttosto le istituzioni clericali e la legittimazione da esse offerta a supporto dei quadri dancien rgime a costituire la fonte delle
polarit e degli antagonismi tra pensiero politico moderno e universi
di fede.
La dialettica tra fede e ragione ebbe insomma una matrice strategica, non genuinamente cognitiva, tanto meno antropologico-culturale. Fu una lotta per il potere, non per il sapere in s. Laicismo
e razionalismo moderni non sono sinonimi. E bench questa possa
apparire unaffermazione eretica o eccentrica, il vocabolario stesso della laicit a suffragarla. Il razionalismo scientifico ha prodotto
una reale, profonda rivoluzione nellimmagine della natura e nelle
metodologie per scandagliarne i segreti. Lo stesso non pu dirsi invece dellimpegno illuministico e poi liberale sul fronte del progresso
sociale. Certo, laffermazione dei diritti delluomo e delle libert naturali trov in entrambi formidabili alfieri, che hanno accompagnato
lascesa e il cammino della democrazia e del costituzionalismo. Ma il
nucleo dellidea dei diritti naturali ha matrici culturali pi antiche11,
cos come lintero apparato delle categorie di diritto inglobate nelle
legislazioni ottocentesche post-rivoluzionarie12.
Laicit e secolarizzazione, allinterno del lessico dei paesi latini,
si configurano come piste parallele o comunque non coincidenti. Gli
A. Funkestein, Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, Einaudi, Torino, 1996.
11
B. Tierney, Lidea dei diritti naturali, il Mulino, Bologna, 2002.
12
F. Todescan, Le radici teologiche del giusnaturalismo laico I. Il problema
della secolarizzazione nel pensiero di Ugo Grozio, Giuffr, Milano, 1983.
10

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Laicit interculturale. Cos?

assetti laici vengono connotati, almeno storicamente, per la loro anticlericalit, per lattitudine a emanciparsi, a smarcarsi dai presupposti
di legittimazione di matrice religiosa. Il cammino della secolarizzazione viene inteso invece come un percorso culturale, coincidente
con laffrancamento cognitivo del pensiero occidentale dalle categorie teologico-filosofiche del cristianesimo13. Eppure questa biforcazione assai meno ampia di quanto, per tradizione e per posa politica, non si sia indotti a ritenere.
Secolarizzazione e laicit costituirono processi parziali, certamente di innovazione, ma anche di riconfigurazione di saperi ancorati nel fondo del patrimonio cognitivo delle societ occidentali. Pur
nel suo rifiuto tutto moderno di scandagliare le cause prime o ultime
della natura, persino la rivoluzione scientifica seicentesca port con
s e lavor grazie a nozioni e schemi mentali sviluppatisi in seno
a precedenti circuiti culturali (cristiano, ebraico, islamico, indiano),
profondamente intrisi di fede religiosa14. Il paradigma complessivo
mut, indubbiamente, ma non tutti i suoi mattoni da costruzione. In
modo ancor pi spiccato, discorso analogo pu essere svolto sul piano politico. Gli immaginari moderni hanno consentito la periferizzazione socio-politica della religione, ma non hanno affatto disdegnato
di servirsi degli apparati concettuali elaborati dalla teologia morale
dascendenza medievale15. Lopera dei filosofi, dei giuristi e dei teologi del lungo medioevo europeo (patristica, nominalismo, scolastica
e seconda scolastica, glossatori e commentatori) non fu affatto posta
H. Blumenberg, La legittimit dellet moderna, Marietti, Genova, 1992; H.
Lbbe, La secolarizzazione. Storia e analisi di un concetto, il Mulino, Bologna,
1970; E.W. Bckenfrde, La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, Morcelliana, Brescia, 2006; Id., Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno allEuropa unita, Laterza, Roma-Bari, 2007.
14
E. Grant, Le origini medievali della scienza moderna. Il contesto religioso,
istituzionale e intellettuale, Einaudi, Torino, 2001.
15
H.J. Berman, Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, il Mulino, Bologna, 1998; P. Prodi, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, il Mulino, Bologna, 2000;
C. Schmitt, Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della sovranit, in Id.,
Le categorie del politico, il Mulino, Bologna, 1972.
13

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Mario Ricca

nel dimenticatoio. Piuttosto venne occultata, dopo averla sapientemente spogliata delle vestigia teologiche e rieditata in forme razionalistiche. Anche in questo caso, mut il dosaggio degli ingredienti e il
prodotto finale, ma molta materia prima rimase inalterata.
Come il processo di secolarizzazione, anche la svolta laica invest il ruolo pubblico delle chiese/confessioni piuttosto che i contenuti culturali di matrice religiosa. La dimensione antropologica delle
diverse fedi rimase comunque intima allarticolazione culturale del
sapere. Ma non c da stupirsene. Tra fede e cultura vi sovrapposizione, coestensivit, soprattutto se i loro legami vengono riguardati
su ampi archi temporali.
Tuttavia non si d alcuna possibilit per larticolazione sociale di
una fede nella ragione che sia culturalmente esente. Le ovviet, le
trasparenze cognitive della ragione sono evidenze necessariamente
culturali, segnate e cifrate dai circuiti comunicativi della cultura. E
fuori dalla dimensione culturale non vi n evidenza, n ovviet.
la cultura la fabbrica delle certezze, delle idee chiare e distinte (Cartesio) e quindi anche dellimmagine della natura partorita e creduta
da ogni epoca e da ogni contesto della storia umana. La stessa natura
delluomo tra le altre quella di essere culturale.
Nel discorso comune, la laicit viene riconosciuta come fronte
dellopposizione tra ragione e religione. Ma si tratta di una rappresentazione falsata. Alla base di essa vi una fuorviante metonimia,
una confusione della parte con il tutto. Dal punto di vista politico, lo
stato laico nasce e si struttura in opposizione dialettica alle Chiese,
alle confessioni, nella loro dimensione istituzionale16. Ma confessione e religione sono fenomeni non coincidenti; identificarle appunto
indicare la parte per il tutto. Se le religioni germogliano allinterno
di gruppi confessionali, pi o meno circoscrivibili soggettivamente e
oggettivamente, viceversa i loro effetti culturali si propagano a largo
raggio allinterno della mappa culturale delle societ. La religione,
considerata in senso antropologico, qualcosa di assai pi ampio
16
M. Stolleis, Stato e Ragion di Stato nella prima et moderna, il Mulino, Bologna, 1998.

68

Laicit interculturale. Cos?

della confessione. Nella storia dEuropa, ad esempio, le stesse guerre


di religione si dimostrano retrospettivamente come lotte per linvestitura politica, per la legittimazione del potere pubblico e assai meno
come conflitti sulle assi culturali di fondo. Il patrimonio etico del
cristianesimo, sedimentato da secoli di pratica nellesperienza quotidiana, non ne venne investito. Anzi, proprio su questo plafond culturale che si costru lidea di un diritto naturale-razionale. Sarebbe un
errore tuttavia ritenere che si tratti di un fenomeno idiomatico della
moderna esperienza occidentale. Con modalit differenti, la commistione tra cultura e religione, tra ragione e fede, vale per tutte le tradizioni e gli universi sociali, dallislamico al confuciano, dallhindu
al buddhista, e cos via.
In Occidente, il cammino della laicit e della secolarizzazione
politica hanno emancipato il potere politico dalla legittimazione
confessionale. Laffrancamento dalle categorie cognitive della fede
cristiana, stratificate nel sapere culturale comune, risultato invece
assai meno pregnante ed esteso. Daltronde, il contrario sarebbe stato
pragmaticamente e politicamente impossibile. La storia non si pu
farla ripartire dal grado zero. Rappresentare in questi termini lIlluminismo, o qualsiasi altra rivoluzione ideale, pu essere una buona
strategia retorica, ma si risolve in una sostanziale mistificazione17.
2. La laicit come equidistanza culturale
Pensare e proclamare che il discorso politico o assiologico dei
singoli stati sia religiosamente asettico, puramente razionale, pu
risultare anche plausibile sul piano comunicativo e cos stato.
Ma leffetto destinato a rivelarsi di breve periodo. Allinterno di
ogni contesto, la religione fattasi cultura comune, perch mimetizzata con essa dagli usi comunicativi, pu anche apparire come ragione.
Il prezzo di questa assimilazione, certamente utile sul piano del consenso e del controllo sociale, prima o poi dovr per essere versato.
M. Ricca, Oltre Babele. Codici per una democrazia interculturale cit.

17

69

Mario Ricca

La resa dei conti avviene quando ledificio delle certezze, dei saperi di fondo, viene scosso, spostato, producendo un decentramento
cognitivo. Quando ad esempio linnovazione scientifico-tecnologia
impatta sulle scansioni di fondo della quotidianit improvvisamente
esplodono conflitti culturali infallibilmente inclini ad acquisire contorni religiosi. Ma nulla pi che cronaca della contemporaneit. In
questi frangenti, viene invocata regolarmente la laicit, contestando
la discesa in campo delle autorit confessionali. Il punto per non
se le confessioni abbiano o meno il diritto di esprimersi su questioni come laborto, leutanasia, lingegneria genetica, la gestione del
decesso e della malattia, e simili. Piuttosto bisognerebbe chiedersi
perch allinterno di societ ampiamente secolarizzate come quelle
occidentali la gente si interessi, segua, si ponga il problema di valutare lopinione delle agenzie confessionali. A tal proposito, alcuni
parlano di de-secolarizzazione18. Ma nellelaborare questa nozione
generano nullaltro che un clone speculare della secolarizzazione,
enfatico e assolutizzante quanto il suo doppio19.
Piuttosto, quel che viene etichettato come de-secolarizzazione
sovrappone i suoi contorni alla parte irrealizzata della secolarizzazione, messa in movimento e disincagliata dal fondo dei saperi culturali impliciti a causa dellimpatto delle innovazioni. il legame
profondo e mai tranciato tra religione e cultura che rende interessanti, pertinenti, gli interventi delle autorit confessionali alle orecchie
della gente comune. Opporre a queste presunte invasioni di campo
secondo il vecchio adagio, silete clerici in munere alieno il semaforo rosso della laicit non fa che accrescere lintensit dei conflitti. Ma ci accade soltanto perch negare cittadinanza civile alla
voce confessionale occulta la presenza della dimensione religiosa
allinterno della cultura c.d. laica. Prende vita cos un paradosso,
bench solo apparente. Pi si interdice il recupero delle radici, delle
interdipendenze profonde tra ragione e religione sul piano culturale,
P. Norris, R. Inglehart, Sacro e secolare cit.
M. Rosati, Solidariet e sacro. Secolarizzazione e persistenza della religione
nel discorso sociologico della modernit, Laterza, Roma-Bari, 2002.
18
19

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Laicit interculturale. Cos?

pi il discorso laico diverr vulnerabile, se non pure succube del


conflitto.
Gli antagonismi, legati alle fasi di metamorfosi del sapere sociale, tendono a commutarsi in molti casi in conflitti religiosi proprio perch non si ha consapevolezza di quanta religione vi sia nella
cultura. Solo quando si demistificasse il mito della laicit integrale,
dellesclusiva razionalit del discorso pubblico, si potrebbe promuovere un effettivo processo di critica della religione e del suo capitale
culturale sedimentato nella mentalit comune. In breve, la religione
nascosta tra le pieghe dei saperi culturali va sviscerata e guardata in
faccia. Anche perch non si pu essere liberi rispetto a ci che non si
conosce. Larcano, il non conosciuto, destinato a dominarci, almeno finch abita in questa condizione allinterno di noi stessi.
Lesagerata attenzione mediatica su questioni come il crocifisso
nelle aule scolastiche, linsegnamento della religione, le esternazioni
dei ministri di culto sulle questioni bio-mediche, e altro, un effetto
della commistione profonda, storica, tra religione e cultura, e non la
sua causa. Il fatto che argomenti come il rapporto tra vita e morte, corpo e persona, etica pubblica e istruzione, sono profondamente connotati, in ogni cultura, da coefficienti di significato di matrice
religiosa. Non appena viene scossa lovviet delle opinioni, degli
abiti di pensiero e comportamento su questioni simili, inevitabile
che lancoraggio religioso acquisti evidenza e presenzialit. Il sapere
laico si scopre allora religioso e quindi esposto allinfluenza religioso-confessionale. Ma una scoperta tardiva. In realt si apprende
quel che sempre stato. Forse perch la cosa pi difficile sapere di
sapere. Sebbene la retorica della laicit integrale e compiuta abbia
camuffato questo sapere, in realt esso sopravvissuto sul fondo per
lintera durata della modernit occidentale. Il sentiero di una laicit
autentica si disegna quindi a partire dallacquisizione della consapevolezza di tale sopravvivenza, puntando a una sua rivalutazione critica, da svolgersi in modo aperto, senza pregiudizi aprioristici, innanzi
tutto sul piano cognitivo, prima ancora che su quello politico.
Le scosse che portano alla luce i reperti religiosi nascosti nella
cultura non provengono tuttavia solo dallevoluzione scientifico71

Mario Ricca

tecnologica, n sono tutti ed esclusivamente endogeni a ogni singolo contesto culturale. Molte sono le culture e altrettante le religioni.
Il loro saldarsi determina altrettante razionalit, ovviet, normalit.
Quando diversi mondi di evidenza entrano in contatto, viaggiando
sulle spalle delle persone, inevitabile che gli apparati di giudizio,
le categorie utilizzate per scandire la realt, subiscano una potenziale
relativizzazione e risultino esposte a critiche e a possibili contaminazioni. La convivenza tra diversi, tra persone con mentalit differenti,
implica il decentramento dalle proprie ovviet e dalla loro indiscussa legislativit come effetto intrinseco e simultaneo allo stesso riconoscimento della diversit, dellAlterit. Limpatto tra differenti
galassie di senso pu quindi essere traumatico, configurandosi persino come unombra sul futuro, sulle conseguenze del proprio agire
allorch esso intreccia inevitabilmente quello degli Altri da noi.
Allinterno di ogni tradizione o civilt, la religione ha contribuito
alla creazione delle visioni del mondo, degli orizzonti di valore e delle scansioni dellagire collettivo e individuale20. Le vestigia del suo
contributo possono anche essersi smarrite, occultate, discendendo al
di sotto della soglia della consapevolezza culturale. Rimangono per
le orme del lavorio del pensiero religioso, delle categorie di fede, pistiche (dal greco pistis: fede)21. Nel contatto con altri modi di vedere
il mondo e di agire, le stratificazioni del passato tornano alla luce, acquisendo nuovo senso e inedite potenzialit. Doversi confrontare con
il nuovo innesca sempre una crisi riflessiva, quindi la ricerca dellidentit ancorata a radici che affondano nel passato. Questo sguardo
alle proprie spalle scalfisce di regola la patina dellovviet culturale,
proprio perch ha come motore il dubbio esistenziale innescato dal
confronto con il diverso. allora che si avvia la ricerca di fonti di
legittimazione, di oggetti di fede, necessari per garantire una rinnovata grammatica del sapere culturale e personale. Scorgere le proprie
H.P. Glenn, Tradizioni giuridiche del mondo cit.
M. Ricca, Pistemica giuridica. Percorsi di ricerca in chiave antropologica
sui rapporti tra categorie del diritto e fenomenologia della fede, in Id., Diritto e
religione, Cedam, Padova, 2002.
20
21

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Laicit interculturale. Cos?

certezze in equilibrio precario e avvertire il bisogno, innanzi tutto a


fini pratici, di costruirne di nuove, magari anche invocando linossidabilit di quelle trascorse, sono momenti di un processo unitario. In
ogni caso, loggettivazione del S, il suo ancoraggio a una tradizione
re-inventata per affrontare il presente e le incognite del futuro, sono
processi cognitivi di tipo creativo. Essi comportano una costante
opera di revisione, di risemantizzazione del proprio saper passato.
Le religioni funzionano in questi frangenti come garanti accreditati
dei sentieri di riscoperta di se stessi.
Ma il ripiegamento verso le proprie radici religiose non un affare solipsistico. In quella direzione, verso le orme della fede, lindice
viene puntato innanzi tutto dallAltro. Dal di fuori del recinto culturale, ogni ovviet appare idiomatica, motivata e situata. La storia fa
parte della cornice contestuale e, ovviamente, limpronta della religione viene osservata come sua componente inequivoca, di l da
ogni auto-qualificazione in termini di laicit. per questa via che
lOccidente viene visto e si riscopre oggi cristiano. Allo stesso modo,
nellaffrontare londa durto della modernit occidentale, il resto del
mondo riscopre le proprie radici, quasi come un riflesso della propria
non occidentalit/modernit. Orientalismo e Occidentalismo22, quali
matrici di stereotipi speculari utilizzati alla stregua di controdiscorsi
strategici nel fronteggiare lAltro, sono i vettori dei rinnovati antagonismi tra Islam, Induismo, Cristianesimo, Ebraismo, e cos via.
Nello scontro tra culture differenti la laicit si stempera. Quasi
senza pudore, anche le culture laiche proclamano la valenza culturale
della propria tradizione religiosa. Prende forma cos ancora un paradosso, tale per solo in termini analitici, ma non storico-contestuali.
In effetti, le societ e gli stati laici sorpresi a rivendicare la propria tradizione religiosa stanno semplicemente restituendo, rendendo visibile
22
E. Said, Orientalism, Penguin Books, London, 1991; G. Carrier, Occidentalism: Image of the West, Clarendon Press, Oxford, 1995; A. Nandy, The Intimate Enemy: Loss and Recovery of Self under Colonialism, Oxford University Press, New
Delhi, 1983; C. Venn, Occidentalism: Modernity and Subjectivity, Sage, London,
2001; I. Buruma, A. Margalit, Occidentalism: The West in the Eyes of its Enemies,
Penguin, New York, 2004.

73

Mario Ricca

la consistenza effettiva, e dunque parziale, dei propri processi di laicizzazione. Che vi sia una laicit cristiana, una hindu, una confuciana,
una possibile laicit islamica (vedi ad es. la Turchia, e chiss cosa
avverr nei c.d. stati islamici post-rivoluzionari del Nord-Africa)
anchessa unovviet antropologico-politica. Ma non potrebbe essere
altrimenti. Il problema semmai sta nel modo esplicito di riaffermare
le proprie radici culturali ovvero nelle armi discorsive utilizzate per
difendere le proprie certezze dallirruzione della straniante Alterit.
Quando si generano conflitti culturali/religiosi il nucleo di certezze e ovviet implicite a essere minacciato, esattamente come accade a causa delle implicazioni prodotte dallinnovazione scientificotecnologica. Tuttavia la connessione diretta tra gangli centrali delle
culture e impatto delle diversit non evidente, essa non mette in
mostra in modo esplicito i sommovimenti endogeni ai singoli contesti socio-culturali. La conseguenza plateale e presto delineata.
Bench lobiettivo sia quello di preservare il centro dei diversi circuiti culturali, lo scontro viene articolato attorno a feticci, simboli,
spesso periferici, ma comunque eclatanti, visibili ictu oculi, eletti a
rappresentare il fronte dellidentit culturale e della sua tutela. Veli,
turbanti, croci, chiese e minareti, modalit rituali, usi del corpo, codici sessuali, etc., vengono branditi come sciabole ideali per tutelare
lidentit e, al tempo stesso, per camuffare quel che veramente si
vuole preservare o si ha timore che venga alterato. Il problema che
cos facendo si d voce alla paura preconcetta e istintiva della diversit in s peraltro tuttaltro che incomprensibile o non istintiva e
vengono inceppati i processi di auto-oggettivazione, cio la presa di
coscienza effettiva della propria tradizione, dei suoi saperi e della
loro coimplicazione con lazione antropologica dellatteggiamento
religioso o, pi in generale, di fede.
Questo modo di comportarsi riscontrabile sia nelle societ occidentali, sia nelle altre realt socio-culturali presenti sul pianeta, in
particolar modo in quelle post-coloniali. Se le societ occidentali
intendono mantenere inalterate le certezze laiche, sotterraneamente
commiste al lascito etico della religione cristiana, quelle post-coloniali devono affrontare il problema opposto. In molti casi, si trovano
74

Laicit interculturale. Cos?

a confrontarsi con apparati normativi e istituzionali ereditati dallesperienza coloniale. A innescarsi, allora, un tendenziale processo di
riappropriazione culturale della sfera pubblica e dei suoi linguaggi
(lIndia costituisce in tal senso un esempio paradigmatico)23. Tentativo peraltro minato, spesso, dallincombere della globalizzazione e
dalla pervasiva diffusione dei flussi di informazione e di beni derivati
dalle culture occidentali. A fare da arieti sono ancora una volta feticci
e simboli religiosi, talora apparentemente lontani dal nucleo di abiti,
norme e istituzioni importati durante il periodo coloniale e ancora
permanenti. Ma si tratta di un trucco strategico. Estirpare quanto di
occidentale fa ormai parte della quotidianit spesso impossibile e
tutto sommato nemmeno conveniente; in compenso, per, possibile addomesticarlo, selezionarlo, rieditarne il significato utilizzando
come cifra dirimente la sua compatibilit con la tradizione culturale/
religiosa autoctona. La religione diviene allora uno strumento di configurazione e qualificazione politico-antropologica della soggettivit
pubblica. Uno strumento che opera a vasto raggio, ma concentrando
la sua azione su alcune icone, elementi simbolici usati come segnavia
verso la tradizionalizzazione, e per certi versi la vernacolarizzazione,
della modernit. La cosa interessante che simili tentativi si consumano sia in contesti ufficialmente confessionali, come quelli islamici, sia in altri formalmente laici, come quello indiano.
Per alcuni aspetti, la convergenza tra linguaggi della laicit e discorso religioso-culturale tra le diverse parti del mondo, anche al
meglio degli effetti della situazione post-coloniale, pu apparire preoccupante. Invece si tratta semplicemente del carattere culturalmente
relativo di ogni societ laica, cos come del suo diritto. Piuttosto, v
da osservare che i tentativi di vernacolarizzazione della modernit
non possono che essere parziali e spesso solo apparenti. Ciascuno di
essi produce i suoi effetti lungo i percorsi dei flussi transnazionali,
restituendo e rigenerando di continuo nuovi assetti semantici della
23
T.N. Madan, Modern Myths, Locked Minds. Secularism and Fundamentalism
in India, Oxford University Press, New Delhi, 2005; W. Menski, Postmodern Hindu
Law, in http://www.arts.manchester.ac.uk/casas/papers/pdfpapers/pomolaw.pdf.

75

Mario Ricca

modernit. Declinare in modo particolare il codice della modernit,


ad esempio situando, localizzando luniversalit dei diritti umani,
non costituisce una deriva delluniversale, ma al contrario la sua linfa vitale24. Qualunque forma di universalit non sarebbe tale se non
fosse in grado di situarsi, di prendere corpo in un luogo e nel rendersi
idiomatica rispetto alle esperienza che si consumano in esso. Di ritorno, queste esperienze potranno entrare nella cornice semantica e
comunicativa che rende vivente luniversale, riplasmandone dallinterno i contenuti. Vivere in un mondo globalizzato significa proprio
questo: cio che quanto accade in un possibile l partecipa degli stessi paradigmi di senso necessari a interpretare e ad agire quel che accade in un possibile qua. Per tornare allesempio dei diritti umani,
se essi vengono interpretati e declinati in un determinato modo in
India, questa circostanza influir sul loro statuto semantico generale,
producendo presto o tardi i suoi effetti anche nel modo in cui verranno interpretati in Italia o negli Stati Uniti. A traghettare i flussi di
contaminazione semantica sono le relazioni tra attori indiani e attori
italiani sul palcoscenico del condominio-mondo traversato dal vettore
dei percorsi migratori e delle interdipendenze economico-politiche.
I processi di auto-trasformazione sociale adesso descritti dimostrano che limplicazione reciproca tra religione e cultura non soltanto un fatto del passato. Viceversa si tratta di un passato che si
rinnova e viene recuperato di continuo nella definizione del presente
e dei suoi orizzonti. Da ci deve dedursi che la nozione di laicit non
pu essere limitata esclusivamente ai rapporti tra politica e diritto, da
una parte, e religione, dallaltra. La neutralit richiesta dalla vulgata
della laicit impossibile proprio perch la religione fa parte della
cultura. Tuttavia, per poter essere neutrali rispetto alle appartenenze
religiose, le istituzioni dovrebbero esserlo anche rispetto alle culture. Ma ci significa che laici sono solo lo stato, il diritto, la societ,
K.M. Clarke, M. Goodale, eds., Mirrors of Justice: Law and Power in the
Post-Cold War Era, Cambridge University Press, Cambridge, 2010; S. Engle Merry, M. Goodale, eds., The Practice of Human Rights. Tracking Law Between the
Global and the Local, Cambridge University Press, Cambridge, 2007.
24

76

Laicit interculturale. Cos?

garanti del diritto di cittadinanza delle differenze. Ma se laicit


deve essere sinonimo di rispetto per le differenze allora essa diviene una metafora delluguaglianza. Unuguaglianza non solo nella
legge, ma allinterno di essa. Dunque, unuguaglianza non soltanto
formale, ma sostanziale in senso radicale. Essa non dovr limitarsi
n a dettare regole uguali per tutti, ma sorde alle differenti condizioni sociali dei soggetti di diritto; n a rimuovere gli ostacoli o le
vulnerabilit di fatto che non consentono a tutti di godere in modo
equivalente della protezione giuridica espressa dalle norme e relativa
a un modello astratto ed etnicamente e/o eticamente predeterminato
di soggetto sociale e giuridico. Luguaglianza autenticamente laica
dovr presentarsi come culturalmente equi-rappresentativa ed equiresponsiva. Questo significa, in altre parole, che le norme legislative
dovranno esprimere una sintesi ponderata tra la semantica culturale
delle diverse soggettivit presenti nella platea sociale. Il volto del
soggetto di diritto dovr essere la risultante di questa sintesi. E solo il
suo presentarsi come una condensazione tra le differenze, tra le loro
connotazioni di senso, potr renderlo inclusivo25.
Per raggiungere la soglia di un linguaggio normativo laico, e
quindi un tessuto legislativo capace dincludere le diversit, sar tuttavia necessaria una preventiva opera di traduzione e transazione tra
le differenze, tra i loro linguaggi e significati. Lesito, quando si riuscisse a raggiungerlo positivamente, sar il risultato della creativit
e della ragionevolezza, piuttosto che lesercizio astratto di una razionalit oggettiva, asettica. Laicit non indica dunque razionalit, lesercizio in campo politico-normativo di una ragione assoluta e priva
di attributi qualificativi o di torsioni culturali. La laicit non si libra
al di sopra delle differenze, ma sta in mezzo a esse, come una (possibile) emergenza del loro intersecarsi e tradursi reciproco. Essa non
asettica, avulsa dai conflitti, semmai invece terapeutica, mediatrice.
Al contrario, addurre a supporto della laicit lagire della ragione
come agenzia neutrale di produzione di significati e modelli politiconormativi non fa che incrementare la curvatura culturale e, quindi,
M. Ricca, Oltre Babele cit.

25

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Mario Ricca

anche religiosa delle scelte istituzionali. Chiunque invochi lanaliticit o la trasparenza dei giudizi della ragione non far altro che
articolare i propri convincimenti culturali/religiosi, ammantandoli di
universalit. Cos, pi la sua laicit si professer intransigentemente
areligiosa e neutrale, pi si accentuer agli occhi degli altri, dei gruppi minoritari, la relativit culturale dei suoi contenuti. Agli sguardi
gettati da fuori, dallesterno, il diritto laico tradir uninevitabile,
marcata e dispotica coestensivit con il patrimonio storico-teologico
del contesto sociale di riferimento.
3. Regole vs. riconoscimento
Lastro sorgente della multiculturalit ha fatto germinare, un po
dovunque nel mondo, linvocazione della sicurezza e delle regole. Il
diverso, il culturalmente altro, sembra stimolare con la sua presenza
lo spettro del caos. Come se le omogeneit locali non fossero costrette, anche quando esistessero davvero, a misurarsi reciprocamente in
uno spazio planetario ormai contratto, imploso in una quotidianit
pervasivamente meticcia e cosmopolitica. Piuttosto vero proprio
il contrario. Vale a dire che la fede nellomogeneit locale, in una
sicurezza specchiata in regole nitide, generali, buone per tutti, genera
luoghi in conflitto tra di essi e anche allinterno di se stessi.
Quante volte accade di udire la propaganda mediatico-politica
accoppiare regole e sicurezza?26 Si tratta di un tormentone ossessivamente indirizzato soprattutto agli stranieri, ai culturalmente
diversi. La sua resa retorica pi in voga suona pi o meno cos: chi
viene qui da noi deve rispettare le regole. Tutti devono rispettare
le regole, anche secondo laltro adagio, artatamente propagandato,
che proclama lesigenza di attenersi allunit nella diversit (lEuropa comunitaria lo ha adottato come icona-identikit). Ma, come si
detto, per essere laico, il lessico normativo e politico deve poter
offrire una sintesi creativa e transattiva fra le differenze. In che senso, dunque, si pu chiedere allAltro di rispettare le regole, di esDimensioni della sicurezza, a cura di T. Greco, Giappichelli, Torino, 2007.

26

78

Laicit interculturale. Cos?

sere partecipe di unUnit asse della convivenza tra le differenze?


La domanda pone il problema delluniversalit delle regole. Perch
luniversalit sia autentica non sufficiente declinare gli enunciati
normativi in termini generali e astratti. Non basta dire tutti devono,
tutti hanno diritto, o usare formule equipollenti, per porre gli atti
di politica normativa al riparo dallaccusa di discriminazione. Le regole, anche quelle generali, possono aspirare alluniversalit soltanto
se risultano responsive e rappresentative degli interessi ponderati di
tutti. Ma affinch ci possa verificarsi prima necessario elaborare
un lessico frutto di processi di riconoscimento reciproco tra i soggetti
sociali. Altrimenti, in assenza di un linguaggio interculturale, sar
impossibile escogitare formule che non siano escludenti, partigiane,
espressione di una razionalit e quindi di ununiversalit di parte.
Senza riconoscimento reciproco, allora uguaglianza, generalit e
universalit verranno semplicemente inflitte agli altri, a chi non
rappresentato nello specchio del dettato normativo, complice la forza
delle istituzioni. Ma questa condizione quanto di pi lontano possa immaginarsi dalla laicit. Il terreno proprio della laicit quello
dellovvio, confinante con il senso comune. Ma dire senso comune
significa riferirsi a un precipitato abbastanza generico delle convinzioni, dei punti di vista, degli abiti mentali diffusi allinterno di una
comunit sociale. Quando cambiano gli ingredienti demografici e
culturali di quella comunit, quando la sua stabilit entra in subbuglio, quel che prima era senso comune diviene differenza, ancorch
ascrivibile alla parte dominante. Questo non significa affatto che lidea di qualcosa in comune debba essere lasciata cadere, abbandonata
come un reperto del passato, ormai obsoleto e inadatto a un mondo
nomade, in trasformazione, endemicamente ibrido e proteiforme.
Affermazioni del genere enfatizzano la perdita di qualcosa, forse
mostrandosi pi conservatrici di quanto il frasario avanguardista/
post-moderno non voglia mettere in mostra27. Pi semplicemente,
27
M. Ricca, Norma, autorappresentazione identitaria, memoria culturale. Alterit e storia nellagire giuridico interculturale, in Materiali per una storia della
cultura giuridica, 2010.

79

Mario Ricca

la trama di quel che comune deve essere ricucita pazientemente,


ricostruita giorno per giorno, posta sotto la lente dingrandimento e
trattata con consapevolezza, a partire dalla traduzione/transazione tra
nuove e vecchie differenze.
Solo dopo aver dato inizio a questopera di riscrittura del dire comune sar possibile invocare tout court il rispetto delle regole come
dispositivo di universalizzazione della soggettivit sociale. Scambiare la forma universalistica della regola per il suo contenuto universale non solo ingiusto e mistificatorio, ma nel tradire smaccatamente
le promesse della laicit fomenta linsicurezza. Chi non si riconosce
nelle leggi, e non pu riconoscervisi, se ne sentir sfrattato. Subir il
diritto senza esserne partecipe attivo. Questa condizione di amputazione psico-sociale costringer gli appartenenti ai gruppi minoritari
a evadere dalla sfera pubblica, in cerca di circuiti sociali pi ospitali.
La mimetizzazione delle differenze culturali nelle pieghe del privato,
tra le oasi della libert, sar il corrispettivo di una fuga dalla sfera
pubblica, dallapparire ufficiale, e quindi anche dal controllo sociale.
Circuiti subalterni od occulti e devianza, per, fanno presto a gemellarsi, tramutandosi in un vero e proprio verme dentro la mela della
sicurezza pubblica. Lenfasi sulle regole per le regole deve dunque
essere moderata con un sano senso di modestia culturale28, peraltro
ingrediente decisivo in ogni ricetta di laicit istituzionale. Chi non
viene riconosciuto nelle connotazioni della sua soggettivit allinterno del discorso pubblico, inevitabilmente non riuscir a riconoscersi
nella legge. Ma questa evenienza inaugurer la sua emigrazione dallo
spazio istituzionale, dal vivere comune. Per gli immigrati di altra
cultura pu parlarsi di una contro-emigrazione psicologica dal paese
di accoglienza, apparentemente muta, silenziosa, ma per questo tanto
pi allarmante.
Parlo di allarme non soltanto per evocare il pericolo della delinquenza marcata straniero. Al contrario, lestraneit della regola di
legge, la non universalit dei suoi contenuti, finiscono per sganciare
28
A. Saj, ed., Human Rights with Modesty: The Problem of Universalism, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden/Boston, 2004.

80

Laicit interculturale. Cos?

dalla tutela istituzionale soprattutto i soggetti pi deboli, coloro che


allinterno delle comunit migranti o nei circuiti della diversit religiosa e culturale tendono a subire la forza, il potere condizionante
dei prepotenti. La regola generale, ma di parte, la legge dei pi forti che infligge la propria universalit, creano sfiducia e subalternit,
ghettizzazione e disaffezione. Generano esse stesse lombra che impedisce alle istituzioni di vedere, di forare la coltre di oscurit che
ammanta lingiustizia, la prevaricazione, lo sfruttamento. Chi sa di
perdere in partenza, sempre e comunque, non va dal giudice29. Sa
in anticipo che non verr compreso o comunque se ne convince invincibilmente, perch schiacciato dalla sorda potenza di regole che
esigono obbedienza, ma non ascoltano.
4. Diversit, democrazia e sovranit interculturale
Ma perch gli stranieri o comunque le minoranze dovrebbero avere il diritto di essere riconosciuti nella legge e non solo di fronte a
essa? Perch, con i loro indici culturali, dovrebbero comprimere lo
spazio degli autoctoni? Non gi tanto che vengano accolti o tollerati? Che si conceda loro di violare il cerchio sacro della sovranit
territoriale o di articolare la voce della dissidenza nel privato? In
fondo nessuno li ha costretti a venire. E per le minoranze autoctone
varr pure la necessit di rispettare la volont della maggioranza! La
libert, assicurata a livello costituzionale, non gi una sufficiente
valvola di salvaguardia? Perch la sfera pubblica non dovrebbe essere lo spazio proprio del senso comune quello della maggioranza?
Questa batteria di domande, peraltro diffusissime nellopinione
pubblica, ha due risposte secche: riflessivit democratica e responM.-C. Foblets, Mobility versus Law, Mobility in the Law? Judges in Europe
are Confronted with the Thorny Question Which Law Applies to Litigants of Migrant Origin?, in F. von Benda-Beckmann, K. von Benda-Beckmann, A. Griffiths,
eds., Mobile People, Mobile Law. Expanding Legal Relations in a Contracting
World, Aldershot, Ashgate- Burlington, 2005.
29

81

Mario Ricca

sivit delle istituzioni. Negli assetti democratici il presupposto di legittimazione delle norme e dello stato stesso risiede nellidea che le
leggi siano riflessive, cio vincolino e beneficino tutti, tanto gli autori
di esse quanto i destinatari. Nessuno pu essere esente dalla legge.
Ma ci possibile, in termini effettivi, soltanto se le leggi rappresentano tutti e gli interessi di tutti, gruppi dominanti e gruppi minoritari.
E questo significa che le istituzioni devono essere responsive rispetto
ai bisogni, alle convinzioni, agli indici culturali di tutti.
Se vengono meno riflessivit e responsivit la democrazia rischia
di tramutarsi in una dittatura della maggioranza, ben lontana dallidea di sovranit popolare. Per intendersi, la maggioranza potr certamente operare scelte contrarie alle opzioni proposte dalla minoranza.
Ma la soglia di preferenza non pu compromettere radicalmente, fino
agli aspetti fondamentali della soggettivit culturale, la capacit degli
individui di riconoscersi, discrivere il proprio orizzonte esistenziale
allinterno dei contenuti normativi. Pur nella diversit di opinioni,
un plafond culturale comune deve essere creato, costruito e, quindi,
mantenuto. Ma in una societ multiculturale, questo plafond non potr che essere interculturale.
In caso contrario, come potr affermarsi che le leggi, modellate
e calibrate solo sulla cultura e sugli interessi della maggioranza (ancorch autoctona), rispettano lideale democratico della (tendenziale) coincidenza tra governanti e governati? Come potr dirsi sorto
dalla voce della sovranit popolare un ordinamento che ripete al suo
interno solo gli schemi culturali, etici, religiosi di alcuni, negando
radicalmente cittadinanza a quelli di altri? Il lessico della sovranit
e quindi del diritto potr dirsi democratico soltanto se esso riuscir a dimostrarsi (ponderatamente) equidistante, dunque inclusivo.
Diversamente esso costituir lespressione non gi di uno stato democratico, ma di uno stato etico/etnico. Potranno anche sollevarsi
mille obiezioni circa questa conclusione. Obiezioni di carattere utilitaristico, comunitarista, tradizionalista, religioso-identitario, etnicoterritoriale. Oltre una determinata soglia, tuttavia, esse non potranno
fare a meno che convertirsi in una negazione dellideale democratico/costituzionalista. Non v nulla di male (in senso assoluto) in
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Laicit interculturale. Cos?

tutto questo. Non si tratta certo di difendere il carattere sacro della


democrazia. Si tratta di un sistema politico colmo di pregi, ma anche
di difetti. Qualcuno potrebbe anche preferire un sistema teocratico.
Nulla dimostra che la democrazia sia intrinsecamente buona o intrinsecamente migliore; discorso analogo pu farsi per i diritti umani. E
certo non una dimostrazione della loro pregevolezza assiologica la
circostanza storica che essi si siano affermati, che la storia (presente)
ne abbia decretato laffermazione o quantomeno la legittimazione
su scala pressoch planetaria. La storia trabocca di ingiustizie autorevoli30. Che qualcosa esista e sia diffusa non affatto garanzia di
bont. Fatti e valori non sono nettamente disgiungibili, nonostante la
speculazione filosofica si sia a lungo esercitata sul loro divorzio. Ma
questo non significa nemmeno che i fatti, presi nella loro brutalit,
siano valori, che lesistente vada venerato o mantenuto integro.
Quel che sto provando a porre in evidenza solo limpossibilit di
definire uno stato democratico e fondato sulla sovranit popolare se
le sue leggi non integrano la diversit culturale, non sono inclusive.
In un assetto democratico/costituzionale, la sovranit non pu che
essere interculturale proprio perch popolare, espressione di tutto
il popolo. Declinare la democrazia fondandola su un asse di fedelt
a un codice etico o etnico/culturale significa semplicemente negarne il presupposto: una testa, un voto, ovvero il principio fondante
dellautonomia individuale31.
Tutti quelli che sono soggetti alla legge devono poterne essere
autori, almeno in via potenziale o immaginaria. Questo loptimum
democratico, la versione statica e radicale della democrazia. Il principio deve ovviamente conoscere alcuni temperamenti, altrimenti rischierebbe di commutarsi in una dittatura della minoranza. Lunanimit, se assunta come criterio di manifestazione delle scelte politiche
funzionali alla produzione normativa, fornisce una sorta di strapotere
M.-B. Dembour, Who Believes in Human Rights? Reflections on the European
Convention, Cambridge University Press, New York, 2006.
31
J. Tully, Strange Multiplicity. Constitutionalism in an Age of Diversity, Cambridge University Press, Cambridge, 1995.
30

83

Mario Ricca

al singolo individuo. Lunico in disaccordo potrebbe impedire di approvare le leggi, di cambiare quelle vecchie o ritenute obsolete dalla
maggioranza meno uno della popolazione.
Ma diritto e politica vivono nella storia, la loro materia prima il
mutamento. Proiettata in senso diacronico, lunanimit deve cedere il
posto al criterio di maggioranza, per quanto possa apparire paradossale, proprio in ossequio al principio di uguaglianza. lalternarsi
possibile di maggioranze e minoranze, tra loggi e il domani, il modo
dincarnarsi del principio di uguaglianza attraverso il tempo. Ma
quella possibilit richiede equidistanza, simmetria tra le parti sociali,
tra gruppi dominanti e gruppi minoritari. Per questo, i contenuti delle
leggi devono recare un nucleo di senso antropologicamente inclusivo, esprimere un ground di connotazioni della soggettivit pubblica
in grado di consentire a tutti di muoversi tra le pieghe del sociale e
di concorrere alla costruzione di future maggioranze. In altre parole,
nessuna maggioranza, ancorch si autoproclami garante della tradizione nazionale, di un verbo etnico unificante, pu avere il diritto di
cementare la propria condizione di supremazia, di impedire lavvicendamento alla guida dello stato. In caso contrario, non si tratterebbe pi di una maggioranza democratica. Quando ci accadesse, il
sistema sarebbe gi tracimato oltre il solco della democrazia, debordando in una condizione di dispotismo culturale. Purtroppo, i mezzi a
disposizione dei gruppi dominanti per imporre la propria la supremazia etica, economica e culturale sono moltissimi e straordinariamente
efficaci, anche perch spesso occulti e mascherati allombra delle
retoriche di potere. Lidea della cultura giuridica di un popolo, della
sua unit e omogeneit, ne un esempio eclatante. La differenza tra
chi qui da sempre e chi arrivato da poco uno degli argomenti
preferiti da quanti intendono conservare lo status quo. La sua forza
psicologica poggia, in fondo, sulla forza subliminale delladagio chi
tardi arriva male alloggia. Ma questa idea, pure antropologicamente
tuttaltro che banale, incompatibile con la logica democratica.
La democrazia equivale a una forma di normalizzazione del mutamento sociale, politico e culturale. Il suo asse di legittimazione giace
nel consenso e nel processo del suo costante auto-rinnovamento. I
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Laicit interculturale. Cos?

prodotti normativi di uno stato democratico sono e devono sempre


essere esposti al mutamento, alla rivalutazione, a un esame condotto
dallalto del presente e da quanti lo popolano nelladesso. Di conseguenza, creare primazie tra soggetti e tra contenuti normativo-culturali
porrebbe in crisi tutto ledificio democratico in modo irrimediabile32.
Evidenziare la stretta connessione tra democrazia e contingenza
ovviamente non significa che il potere decisionale debba e possa essere attribuito calibrandone la titolarit sullistante, su situazioni effimere. Le opzioni politiche sono candidate a trasformarsi in norme
e le norme sono orientate a catturare il futuro. Esse distribuiscono
doveri e benefici ponderando le situazioni pregresse e quelle a venire. Vantaggi e costi devono essere dunque sopportati da tutti, e il
loro prodursi, il momento in cui bussano alla porta, non sempre
sincronico, n di immediata realizzazione. Le leggi possono attribuire nelloggi vantaggi che dovranno comunque essere bilanciati da
sacrifici nel domani; e viceversa, i sacrifici attuali potranno dimostrarsi fruttuosi solo a distanza di tempo. La titolarit a partecipare ai
processi di integrazione politica democratica, insomma, deve essere
calibrata, almeno in parte, anche sul fattore tempo, sulla permanenza,
su un coefficiente di stabilit demografica. Diversamente, chi oggi
c, perch arrivato da poco e gi in procinto di andar via, avr tutto linteresse a massimizzare i vantaggi immediati, scaricando sugli
altri, su coloro che resteranno, i costi delle scelte legislative. Ma
ci precipiterebbe i processi decisionali in una condizione di patente ineguaglianza. Lo straniero, dunque, potr partecipare al gioco
democratico, esigere una riconformazione in chiave inclusiva e interculturale delle assi culturali della soggettivit giuridica e sociale,
solo a condizione di essere stabilmente partecipe del popolo sovrano.
E bench nella vita degli uomini non vi sia nulla che possa essere
ascritto alla categoria del sempre, bisogna comunque che la presenza
degli stranieri fornisca alcuni indici probabilistici di stabilit.
32
M. Ricca, Democrazia e cultura. Uguaglianza, pluralismo, interculturalit.
Una retrospettiva sulle trasfigurazioni del soggetto nel prisma della legge, in Id.,
Dike meticcia. Rotte di diritto interculturale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008.

85

Mario Ricca

Ancora una volta, il tempo, in questo caso passato, pu in qualche


modo fornire unindicazione. Partecipare ai processi democratici,
esercitare la cittadinanza politica, pu legittimamente esigere, come
suo prerequisito, che i sopravvenuti dimostrino di voler rimanere.
Fermo restando che il risiedere in un paese da almeno dieci anni
(come attualmente richiesto dalla normativa italiana e indicato quale
limite massimo per il diritto a richiedere la cittadinanza dalle normative europee) non dimostri affatto che poi non si possa decidere di
migrare; considerazione, del resto, che vale anche per chi in un paese
nato e vissuto da sempre.
Credo sia da ribadire che non vi nulla di etnico o tradizionalista nel porre uno sbarramento di tipo temporale/demografico alla
partecipazione ai processi di integrazione politico-democratica. Viceversa, quel limite risponde a unesigenza egualitaria. La stessa esigenza che induce ad affermare la necessit di una democrazia laica,
equidistante dalle diversit culturali presenti nella platea sociale ed
espressione di una sovranit interculturale.
5. Tradizioni, religioni e vita comune
Ma perch declinare lequidistanza culturale come laicit? La
grammatica del pluralismo socio-politico e costituzionale sarebbe
sufficiente, in fondo, a fondare la necessit di rapporti simmetrici, del
mutuo riconoscimento e di istituzioni eque. Perch mischiare i piani
della politica con quelli della religione? Non rischierebbe dessere
una scelta linguistica fuorviante, fonte di confusioni? Piaccia o non
piaccia il termine laicit ha una connotazione storica ben precisa, che
lo ancora alla libert religiosa, alla lotta contro la teocrazia, allaffrancamento del pensiero moderno dalle maglie dei condizionamenti teologici. Bench animato da intenti pacificatori, il pensiero laico sgorga
dalla faglia aperta da questi aspri conflitti, da irrisolte dicotomie, poste sotto controllo ma non neutralizzate dalla modernit occidentale.
A queste pur plausibili obiezioni va risposto che anche quando
non ne parlasse, il pluralismo dovrebbe comunque fare i conti con il
86

Laicit interculturale. Cos?

fattore religioso. Tacerlo, occultarlo, espungerlo dal linguaggio istituzionale non farebbe certo svanire la religione dal circuito antropologico, dalla sfera di esperienza vissuta dagli individui presenti nei
diversi contesti sociali. Che parlare di religione sia fonte di problemi,
soprattutto per il discorso politico moderno, non autorizza a tacerne. Nel campo della politica e del diritto non pu valere la massima
wittgeinsteiniana per cui ci di cui non si pu parlare (senza ambiguit o precisione) si deve tacere.
Nessuno, neanche un despota, pu decidere fino in fondo di che
cosa si deve tacere. La signoria sul linguaggio un esercizio effimero, di facciata. I silenzi che essa pu imporre si caricano di significato
assai pi delle parole interdette. A determinare questo vincolo, questa
costrizione, la circostanza che politica e diritto non sono esercizi
di fantasia. Il potere non disegna a mano libera. Anchesso sconta
vincoli di possibilit, che si registrano innanzi tutto sul piano semiotico e comunicativo, quindi sul terreno pragmatico. Se non rispettati,
quei limiti si convertono in deficit di effettivit delle istituzioni e
delle norme da esse prodotte. Far finta che la religione non ci sia, non
parlarne, rafforza il suo peso sociale, anzich tacitarlo. Questa la
lezione che la modernit secolarizzata ha dovuto apprendere, un po
dovunque in Occidente.
Ma se cos, dipende da una circostanza curiosa, gi in parte illustrata. Anche a voler tassativamente tacere di religione, il diritto ne
parlerebbe comunque. Il linguaggio pubblico intriso di passato, di
tradizione. Non esiste abito comunicativo che non affondi le proprie
radici in schemi di pensiero e di comportamento incorporati nellagire delle persone in modo irriflesso ed ereditati dal passato delle
comunit di appartenenza. Senonch nei percorsi della memoria collettiva tradizione e religione appaiono inestricabilmente intrecciate.
Molti non sanno di sapere di religione, e di saperne molto; molti non
hanno consapevolezza di reiterare attraverso i propri gesti quotidiani
i significati di una tradizione religiosa. Cos, quando il diritto scandisce la vita pubblica e privata delle persone adagia le proprie qualificazioni su reti di senso comune traboccanti di questo sapere irriflesso
e da esso modellati. Tra linguaggio giuridico/deontico e linguaggio
87

Mario Ricca

comune non vi per solo una relazione estrinseca. Nel regolare la


vita, le norme e i fini da esse perseguiti si intrecciano e contaminano
con le reti di significato, con le categorie del vivere comune. Del
resto, gli stessi autori delle leggi fanno parte del mondo sociale che
sono deputati a regolare.
Sul piano culturale, quindi, il dire giuridico compie comunque
scelte di campo. E queste scelte solcano i tracciati di senso sedimentati dal sapere religioso. Gli incroci possono essere positivi, cooperativi, ma anche conflittuali o egemonici. Parlando luno o laltro
dialetto culturale, le leggi finiscono per attivare reazioni ed echi
di senso che disincagliano dalle tradizioni, dal sapere di fondo dei
gruppi componenti le societ multiculturali, la voce della religione
e dellappartenenza religiosa. La commistione tra lessici antropologici e codici di fede pu allora commutarsi in un motore politico.
Sotto lombrello della libert religiosa e della laicit dello Stato, gli
attori della diversit culturale costruiscono le trincee della propria
resistenza alla forza omologante del diritto statale, quando questo
viene avvertito come espressione della cultura dominante. Accade
cos che la cifra religiosa si commuti in una sorta di passpartout del
discorso politico/normativo poich essa pu funzionare come dispositivo legittimo di rivendicazione, schiudendo le porte del confronto
istituzionale alla differenza culturale.
Daltronde, la religione ha sempre rivendicato, almeno ragionando sulla base del codice genetico della modernit occidentale,
una sorta di alternativit e concorrenza rispetto allo stato. Questa
circostanza conferisce a essa una sorta di autorevolezza aprioristica
e apicale, radicata in specifiche caselle istituzionali (ad es. la libert
religiosa) gi esistenti nel linguaggio costituzionalistico e in grado
di innescare dispositivi di tutela effettiva, come ad esempio il giudizio di legittimit costituzionale. Il punto di vantaggio offerto dalla
possibilit di conferire alle rivendicazioni culturali una curvatura
religiosa e lintrinseco intreccio fra tradizioni, memoria personale
e religioni, fanno il resto. Il risultato finale si condensa nel dover
constatare lattuale tendenza dei confronti e dei conflitti culturali a
commutarsi in confronti e conflitti a base religiosa o che comunque
88

Laicit interculturale. Cos?

trovano nella religione una sorta di plafond argomentativo e di legittimazione pubblica.


Linsieme di questi fattori fa s che il complesso dei problemi posti
dalle societ multiculturali del presente non possa essere derubricato
rispetto alla voce laicit. Al contrario, essi inducono ad affermare
che la gestione del pluralismo culturale non pu evitare di fare i conti
con la promiscuit religiosa propria di ogni scelta di politica concernente le questioni poste dalla multiculturalit. Dunque, il diritto, cio
lagenzia che pi di tutte scandisce la quotidianit nelle sue pieghe pi
intime, deve misurarsi con la religione nascosta, silente, la stessa mimetizzata negli abiti antropologici, nei gesti irriflessi, nel sapere non
saputo dei soggetti di diritto. E solo a partire dai risultati di questopera di ricalcolo delle sfere di senso, dei confini semiotici tra vita comune e differenze culturali/religiose, potr essere costruito un lessico
del pluralismo costituzionale effettivamente in grado di pacificare i
conflitti e di funzionare da piattaforma per la convivenza. Bisogner,
insomma, riattraversare i paesaggi narrativi descritti dalle tradizioni,
dai loro bacini di significato, per poter tracciare una mappa comune
della soggettivit, un lessico inclusivo ed equanime della cittadinanza
quotidiana e delle sue coordinate istituzionali e normative.
6. Lessico istituzionale e storia culturale
Ma perch necessario uno sforzo in pi per costruire un lessico
istituzionale comune? La storia della modernit, e della modernit
laica in particolare, non ha prodotto forse standard normativi rispondenti a una ragione universale? Una ragione condensata in principi
giuridici naturali perch appunto razionali e quindi ascrivibili alla
natura umana? Libert, uguaglianza, solidariet, autodeterminazione, quali assi del linguaggio giuridico democratico-costituzionale,
non rappresentano forse standard neutri, adattabili o estraibili da
qualsiasi cultura? E quando ci non avviene, quei principi non rappresentano rispetto alle culture refrattarie uno strumento di emancipazione e sviluppo degli individui che ne fanno parte? Considerare
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Mario Ricca

quegli standard come sorgente dei diritti individuali non equivale a


supportare unesperienza giuridica autenticamente laica?
La ricerca antropologica del XX secolo ha fortemente contestato
luniversalit dei diritti umani. Ne ha sottolineato la matrice occidentale, la connotazione storica, il loro situarsi allinterno di una porzione della storia e della geografia culturali dellumanit. Di riflesso,
ha sostenuto la loro relativit, sottolineando che essi costituiscono
lespressione di unesperienza culturale situata nel tempo e nello spazio. Ancora, ha mostrato la pari dignit di tutte le culture e dei loro
apparati etico-deontici, in quanto dotati di orizzonti di senso, non
sempre commensurabili, ma non per questo privi di pregevolezza33.
La ricerca antropologica ha fatto da motore e talvolta da portavoce alla critica politica. La modernit, affermano le voci critiche, ha
utilizzato le conquiste dellIlluminismo alla stregua di vele e cannoni. Insieme al progresso tecnologico, essa ha esportato e utilizzato in
modo strategico ed egemonico anche il discorso dei diritti. Considerati come la soglia antropologica dellemancipazione umana dallignoranza, essi sono stati assunti quale architrave per la legittimazione dellazione coloniale. Larrivo degli occidentali stato dipinto
come la chance storica, per le altre popolazioni del pianeta, di uscire
da uno stato di minorit, dinfanzia culturale. Sotto la maschera del
soccorso antropologico una sorta di missione assegnata allOccidente si legittimato il dominio, lo sfruttamento, lesautorazione di
intere popolazioni dalle loro terre, lusurpazione delle loro ricchezze,
talora persino lo sterminio etnico. Tutto vero. La modernit ha condito il progresso con il puzzo di morte disseminato con laratro del
saccheggio spietato. Piaccia o non piaccia, moderna la retorica del
colonialismo.
Ma la storia non sta tutta (solo) qui. Quel che si fatto, luso retorico e mistificatorio della modernit, del suo arsenale etico e ideologico, non coincide con le sue potenzialit di senso, tanto meno con
33
K.M. Clarke, M. Goodale, eds., Mirrors of Justice: Law and Power in the
Post-Cold War Era cit.; S. Engle Merry, M. Goodale, eds., The Practice of Human
Rights. Tracking Law Between the Global and the Local cit.

90

Laicit interculturale. Cos?

il suo autentico significato. Che il fuoco possa essere utilizzato per


incendiare, non lo priva intrinsecamente della capacit di riscaldare
o di cuocere, cio dessere utilizzato per fini benefici.
La critica anti-moderna e anti-occidentalista ha sviluppato una
corrente di pensiero animata dallintento di valorizzare il carattere
alternativo dei valori altri, ascrivibili alle altre civilt, differenti da
quella occidentale. Tra le molteplici declinazioni assunte da questo
filone critico si annovera il movimento dei c.d. Asian Values. Ma
la sua diffusione stata tanto rapida quanto effimera. Rispetto alle
battaglie condotte dalle popolazioni indigene altra etichetta di critica politica gli Asian Values si connotavano per la compattezza e
lampiezza geografico-culturale dei loro riferimenti. Non scevra da
una sorta di stereotipizzazione alla rovescia, figlia dellOrientalismo
partorito dallepoca coloniale e convertita in uno speculare Occidentalismo, la difesa dei valori asiatici ha orbitato attorno alla centralit
del momento comunitario, rispetto a quello individualistico, quale
caratteristica peculiare e differenziante delle culture dellAsia.
La contestazione del carattere eticamente catalizzante, epicentrico, dellindividuo, conduce questa corrente di pensiero a una radicale
contestazione dei diritti umani e della loro logica34. Essi si sostiene assumono una connotazione antropologica individualistica e la
spacciano come condizione umana universale. LOriente, il pensiero
orientale, poggiano su una versione della soggettivit del tutto diversa, dove le connotazioni dellindividuo sono il riflesso, e non lasse
dellordine comunitario, dei vincoli di solidariet, dellordine etico
considerato come riflesso di un ordine cosmico complessivo. Si tratta di obiezioni importanti, che pongono la versione occidentale dei
diritti umani e la stessa modernit di fronte a un ineludibile impegno auto-riflessivo. Nello specchio dellalterit, per quanto irrigidita in formule troppo nette e costrette entro una logica oppositiva, il
J.R. Bauer, D.A. Bell, eds., The East Asian Challenge for Human Rights,
Cambridge University Press, Cambridge, 1999; D.A. Bell, A.J. Nathan, I. Peleg,
eds., Negotiating Culture and Human Rights, Columbia University Press, New
York, 2001.
34

91

Mario Ricca

pensiero moderno costretto a unanalisi retrospettiva, autocritica,


a una sorta di prova di resistenza della sua asserita universalit. La
dialettica con lOccidente aperta dagli Asian Values, cos come dai
movimenti indigenisti, ha per alcuni difetti genetici, riconducibili
complessivamente a una superficiale essenzializzazione delle connotazioni culturali dei fronti culturali posti in conflitto35. Nonostante
questo, ha prodotto per alcuni effetti benefici.
Il progressivo smorzarsi della forza e del successo politico degli
Asian Values ha coinciso con forme di revisione critica dei diritti
umani e dei lessici costituzionalistico-democratici. Dal confronto,
lassetto semantico dei diritti umani uscito trasfigurato. Esso ha
dovuto abbandonare il suo apriorismo razionalizzante, aprendosi
alla valutazione empirica degli usi discorsivi delle dichiarazioni dei
diritti inaugurati e rivendicati dai non-occidentali. Nel superare la
prova, come testimoniato dal mutato atteggiamento contemporaneo
degli stessi antropologi, la cultura dei diritti umani ha dovuto porre
in luce la sua valenza multiculturale, il suo porsi come piattaforma di
articolazione per le soggettivit altre, la sua capacit di auto-contaminazione e traduzione culturale.
In effetti, a togliere i canini allantagonismo predicato dagli Asian
Values stato un dato fondato sullesperienza. Le popolazioni non
occidentali hanno dimostrato di non intendere affatto rinunciare a
valersi dei diritti umani. Di l dal fatto che essi siano universali in
s oppure no, che siano intrinsecamente giusti o parto di una storia
segnata da colorature egemoniche, certamente il loro utilizzo onnilaterale non pu essere trascurato o considerato privo di valore36.
Al contrario, la rilettura delle piattaforme enunciative e semantiche
del discorso sui diritti umani pu agevolarne la caratura universaliz35
R. Niezen, A World beyond Difference: Cultural Identity in the Age of Globalizations, Blackwell, Malden-Oxford-Carlton, 2004.
36
J.K. Cowan, M.-B. Dembour, R. Wilson, Introduction, in Ead., eds., Culture
and Rights: Anthropological Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge,
2001; W. Twining, Human Rights, Southern Voice: Francis Deng, Abdullahi AnNaim, Yash Ghai and Upendra Baxi, Cambridge University Press, Cambridge,
2009.

92

Laicit interculturale. Cos?

zante, intesa come processo in atto, come orizzonte e quindi come


mezzo per mettere in moto la creazione dal basso di un linguaggio
giuridico interculturale e cosmopolitico. Che nello scontro con gli
Asian Values e con le altre truppe di relativisti i diritti umani abbiano dovuto valersi della voce degli altri, di coloro che li invocano
seppure a partire dal proprio punto di vista, rappresenta un inizio
importante di un nuovo modo di intenderne il valore etico e normativo. In altre parole, per legittimarsi essi hanno dovuto abbandonare la
propria auto-descrizione come punto di arrivo della storia, icona di
una ragione eterna ed eternante. Viceversa, lapertura allesperienza,
alla valutazione dei loro usi culturali alternativi, ne ha dimostrato il
carattere strumentale, il porsi come mezzo per lavvicinamento a un
orizzonte sempre rinnovato di universalizzazione. In breve, pu dirsi
che i diritti umani oggi si avviano a essere intesi non pi come lessenza delluniversalit, ma come motore semantico di un processo
duniversalizzazione aperto allinclusione delle diversit culturali37.
Oggi si dice che i diritti umani e il loro gemello statale, i diritti fondamentali indicati dalle costituzioni dei diversi paesi, devono
essere interpretati con modestia, senza apriorismi o essenzializzazioni38. Questo significa che di essi va fornita una lettura inclusiva,
recettiva delle diversit, delle reinterpretazioni culturalmente orientate. C per unaltra faccia della moltiplicazione prospettica dei
significati attribuibili ai diritti umani. Mi riferisco alla circostanza
che la loro universalit, proprio per essere autentica, deve dimostrare
di potersi situare, cio di adattarsi ai contesti. E qui, nonostante il
mondo di oggi sia globalizzato, de-territorializzato, segnato da interdipendenze capaci di contaminare ogni circuito di senso articolato a
livello locale, emerge in tutta la sua drammatica difficolt il legame
tra lessico istituzionale e storia nazionale.
Nel coniugarsi con i diversi circuiti politico-istituzionali, il discorso sui diritti umani inevitabilmente incrocia i lessici giuridici
elaborati da ogni tradizione nazionale. In molti casi, ci implica la
M. Ricca, Oltre Babele. Codici per una democrazia interculturale cit.
A. Saj, ed., Human Rights with Modesty: The Problem of Universalism cit.

37
38

93

Mario Ricca

necessit di una riscrittura di essi, soprattutto nei paesi che hanno


conosciuto una recente conversione dei precedenti regimi in assetti
politico-istituzionali ispirati al costituzionalismo democratico. Ma
in Occidente le cose vanno in modo diverso, anche perch sono gi
andate in modo diverso. Molte democrazie occidentali sono coeve,
quando non coestensive, allinvenzione del discorso sui diritti e alla
loro implementazione a livello costituzionale. Questa coincidenza
cronologica ha fatto s che linterpretazione dei diritti umani si sia
fusa e cosviluppata assieme allevoluzione dei testi legislativi e delle
categorie del diritto comune. Ma queste, a loro volta, erano e sono
cariche di storia e di cultura, e quindi anche di religione ancorch
questa rappresenti una presenza dissimulata, occultata dalla retorica
della secolarizzazione moderna. Il situarsi dei diritti umani certo
una dimostrazione, e non una negazione della loro universalit. Tuttavia, nel comporre i loro significati allinterno del paesaggio semantico del diritto comune, essi hanno finito per assumere connotazioni
culturalmente orientate. Niente di male, ribadisco. A patto per di
non considerare queste riletture in chiave prototipica, scambiando le
versione locali dellattuazione e dellinterpretazione dei diritti umani
per loro forme essenziali, prototipiche. Peraltro, questa non soltanto
unipotesi astratta, una mera possibilit. Si tratta invece di un pericolo
grave, che ha gi prodotto risultati nefasti anche sul piano internazionale. Laver sperimentato il discorso dei diritti umani in casa propria ha spesso condotto gli occidentali a voler esportare una versione
provinciale della loro potenziale universalit. Essi hanno confuso le
modalit di attuazione con il significato assoluto, scambiando luniversalit con lidentico a s e trasformando la propria storia in un
modello cosmopolitico. Tutto ci ha provocato veri e propri disastri
politico-antropologici, generando una profonda disaffezione delle
popolazioni extra-occidentali rispetto al discorso dei diritti. Se poi si
coniuga tutto ci con le strumentalizzazioni operate dalla modernit a
scopo egemonico, si comprende bene quale sia la matrice dellostilit
dimostrata in altre culture rispetto al vessillo dei diritti, sbandierato
dallOccidente come simbolo della propria azione salvifico-planetaria e quale asse di legittimazione delle istituzioni sovranazionali.
94

Laicit interculturale. Cos?

Ma i problemi e i motivi di polemica non si esauriscono qui. Le


migrazioni contemporanee trasferiscono la dialettica sui diritti umani
anche allinterno degli stati, mettendo in discussione il complessivo
assetto dei rapporti tra autorit e libert disegnato dallo scacchiere
internazionale. La presenza degli altri, di persone di diversa cultura
allinterno dei contesti nazionali occidentali genera una crisi interna
nelle modalit di declinazione nazionalistiche dei diritti umani. Il binomio uno stato/una cultura, per quanto artificioso e discriminante
nei confronti delle stesse minoranze autoctone, tende oggi a perdere
plausibilit. Leffetto che le forme di universalizzazione situata,
di localizzazione della logica dei diritti, vengono oggi sottoposte a
critica. La fusione fra tradizioni giuridiche locali e diritti umani e/o
fondamentali viene contestata dallinterno, dai soggetti che coabitano con gli autoctoni sul territorio nazionale, ma agiscono culture e
tradizioni differenti, venute da lontano.
In questa condizione scambiare le universalizzazioni storiche locali, le attuazioni dei diritti umani e costituzionali per il prototipo dei
diritti umani stessi, per lessenza inverata dei loro significati potenziali, rischia di aprire fronti di conflitto irrisolvibili e soprattutto di
compromettere la fiducia nel potenziale universalizzante del discorso
sui diritti. Lincapacit di risolvere i confronti tra culture allinterno delle democrazie multiculturali carica degli errori del passato
come del presente, dei tentativi di esportare forzosamente non solo
la logica dei diritti, ma anche lintero lessico giuridico occidentale,
le sue categorie, il suo sostrato antropologico-religioso, artatamente
camuffato e spacciato per razionale, neutro, a-culturale. Il carico di
questi errori promette di trovare uneco di rimbalzo negli irrigidimenti etnico-nazionali, nel rifiuto di mettersi al lavoro per elaborare
allinterno delle democrazie multiculturali un lessico giuridico interculturale, con la conseguenza di riproiettare questi conflitti sul piano
internazionale, sulla stampa planetaria goduta dal discorso sui diritti.
Lopera di riconversione interculturale dei lessici giuridici nazionali per ardua e richiede lauto-distanziamento dei gruppi
dominanti dalla propria cultura, la presa di coscienza del carattere
culturalmente relativo non solo delle proprie interpretazioni dei di95

Mario Ricca

ritti umani, ma ancor prima delle categorie di fondo della propria


esperienza giuridica. A tutto questo, poi, deve unirsi il senso di responsabilit e la capacit di comprendere la necessit di rimettere
in discussione quelle categorie, di esporle a forme di traduzione e
transazione interculturale. un passo ineludibile e propedeutico a
una riformulazione in senso interculturale, e quindi autenticamente
universalistico, dellinterpretazione dei diritti umani e dei diritti costituzionali in sintonia con le esigenze di equanimit, equidistanza
istituzionale e di laicit delle societ multiculturali.
Si tratta di unoperazione difficile, anche dal punto di vista psico-cognitivo. davvero complicato far comprendere a popolazioni
autoalimentate dal mito della propria avvenuta secolarizzazione che
i propri lessici giuridici e il gergo della quotidianit sono entrambi intrisi di tradizione e religione. Ancora oggi, lascerebbe molti alquanto sconcertati lasserire che senza il sapere di fondo di matrice
cristiana i codici civili e penali occidentali sarebbero in molti casi
incomprensibili o comunque soggetti a modalit interpretative straordinariamente distanti dal diritto vivente. Eppure unaffermazione
immediatamente verificabile solo che ci si confronti con le comunit di stranieri presenti sul territorio, provando a esplicitare a essi
i significati impliciti, il non-detto, le parti mute del diritto dei paesi
occidentali. Si prenda come esempio lordinamento italiano. Dalla
definizione di matrimonio, al concetto civilistico di buona fede o
di equit contrattuale, dallidea di responsabilit e di colpevolezza
penalistiche fino al rapporto tra persona, individuo e corporeit implicito nelle forme della capacit e soggettivit giuridiche, si di
fronte comunque a categorie profondamente impregnate dallimmaginario antropologico-culturale del cristianesimo. E questo vero
anche quando si analizzino istituti, come il matrimonio, fortemente
investiti dai processi di secolarizzazione. Ne riprova lincapacit
del divorzio, pure introdotto in Italia da un quarantennio, di scalfire
il modello etico di convivenza tra uomo e donna implicito nel tessuto normativo. Ci, si badi, nonostante la prassi sociale tenda ad
allontanarsene, per le vie di fatto, sempre pi intensamente, seppure
in modo contraddittorio (se vero che la gente preferisce convivere
96

Laicit interculturale. Cos?

anzich sposarsi, non si possono tacere le pressioni dei conviventi


per ottenere a livello giuridico garanzie analoghe a quelle offerte ai
coniugi legali; o persino la rivendicazione delle coppie omosessuali
di poter accedere al matrimonio legale).
La lettura interculturale dei diritti umani, esito straordinariamente
promettente della dialettica con gli Asian Values e con i c.d. Indigenous Rights39, incrocia la necessit di rieditare le culture legali nazionali conferendo a esse la medesima curvatura dialogica,
transattiva. Loperazione chiama in gioco la laicit a un livello di
profondit antropologica mai sperimentato prima. Essa sollecitata
a immergersi sino alle profondit culturali della religione nascosta,
degli schemi di pensiero dotati di ascendenza fideistica e mimetizzati
allinterno del linguaggio comune e del suo corrispondente legale.
la caratura cosmopolitica del discorso sui diritti umani a richiederlo,
trasferita sulle spalle dei migranti che oggi rivendicano, sulla base
di quegli stessi diritti e della logica democratica, la conversione del
lessico delle sovranit nazionali dei paesi di accoglienza in quello di
altrettanti circuiti di sovranit interculturale.
7. Diseguaglianze occulte e laicit asimmetrica
Ogni sistema giuridico ha il proprio linguaggio. Nel linguaggio
della legge si riflette la storia, la tradizione di un popolo. Cos la dimensione normativa si fonde e confonde spesso con quella descrittiva. Come il mondo deve essere e come sono aspetti almeno in parte
coincidenti. E questo slittamento semantico non altro che il riflesso
di quella coincidenza, del lento scivolare dei valori nelleffettivit. I
testi legislativi sono per lo pi coniugati allindicativo presente. Le
categorie del diritto vengono esplicitate negli stessi enunciati normativi come fossero oggetti, fenomeni esistenti. Il contratto , la
vendita , sono solo esempi paradigmatici di un uso linguistico
comune. Naturalmente quel significa un deve essere. Al tempo
A.J. Connolly, ed., Indigenous Rights, Ashgate, Farnham-Burlington, 2009.

39

97

Mario Ricca

stesso, per, la sostituzione tra essere e dover-essere va considerata come la traccia di un fenomeno latente e diffuso. In molti casi,
la forza conformatrice delle norme pi risalenti si gi consumata,
assestata e sedimentata nelluso sociale. Questo per solo uno dei
volti della stretta implicazione tra vivere sociale e strati normativi,
tra la comunicazione quotidiana e il discorso istituzionale.
Il diritto un fatto sociale non solo in forza del reificarsi della sua
forza conformativa, quindi della sua capacit di produrre e imporre
abiti di comportamento. In buona parte anche vero il contrario. Vale
a dire che esso espressione di un accadere sociale, proiezione di
valori che dal punto di vista istituzionale costituiscono lessere della
societ, prima ancora che il suo dover essere. Il diritto poggia pesantemente su queste dimensioni fattuali, che sono poi il manifestarsi
storico-concreto della cultura di ogni comunit. Senza un simile supporto pragmatico e cognitivo leffettivit delle norme sarebbe unimpresa a scarso coefficiente di probabilit. Ma c di pi. Quel che
accade spontaneamente, e che il diritto presuppone anche in ordine
alla propria legittimit, non coincide solo con quanto viene esplicitamente ordinato. Nel suo discorso, ogni legge, ogni atto normativo,
d per presunti gli oceani di significato sui quali poggia la forza ingiuntiva del comando, la molla propulsiva dei fini intrinseci a ogni
obbligo imposto dalle istituzioni. Senza i paesaggi di senso prodotti
dal sapere culturale, ordini e fini rimarrebbero incomprensibili, come
frammenti isolati dal proprio contesto di senso. Le loro implicazioni
pragmatiche sarebbero indecifrabili, affogate in una palude di ambiguit e polivalenze semantiche. Nellimporsi, quindi, il diritto presume un mondo, un mondo dei fatti, che per solo il riflesso di
opzioni culturali, di categorie cognitive, condivise da una comunit
di parlanti. Ma proprio su questo oceano di continuit comunicative
che si abbatte, come un ciclone, la diversit culturale40.
Di fronte allo straniero, i diritti nazionali disegnano percorsi traboccanti di diseguaglianze occulte. Le leggi presumono conoscenze
40
M. Ricca, Lombra del diritto. Le parti mute dellagire sociale e la traduzione interculturale, in E/C, Rivista italiana di studi semiotici, 2011.

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Laicit interculturale. Cos?

non possedute da chi un nuovo arrivato. E quelle presunzioni vengono articolate come se il loro oggetto, il sapere tacitamente attribuito allaltro, costituisse nulla pi che un dato oggettivo, una sorta di
coefficiente antropologico universale, invece che il riflesso di una
specifica tradizione culturale. Chi non fosse in possesso di esso, dimostrerebbe dunque dessere incapace dintendere e di volere, non
in grado di vedere le cose come esse sono41 questa la convinzione
tacita posta a base dellagire istituzionale autoctono. In molti casi si
tratta di una pretesa infondata e come tale fonte di ingiustizie. Ma
non basta. Donare implicitamente evidenza alle proprie categorie
culturali si commuta in una sorta di naturalizzazione e, in questa veste, anche di ontologizzazione assiologica delle opzioni, dei giudizi
a esse soggiacenti. Come a dire, in termini pi diretti, che il proprio modo di vedere viene scambiato per quello naturale, e in quanto
naturale come intrinsecamente buono42. Questo modo di ragionare,
tanto apparentemente opinabile, quanto difficile da cogliere come
proprio atteggiamento, si traduce in uno sbarramento allalterit culturale, alle ragioni di chi diverso da noi, alla dequalificazione dei
suoi alternativi schemi di giudizio. Il potere dei gruppi autoctoni, la
loro condizione di dominanza fa il resto, corroborando come verit
assolute semplici possibilit e opzioni culturali. Lintreccio tra diritto e schemi cognitivi, tra dover-essere e fatti sociali, genera cos
diseguaglianze destinate a rimanere occulte, non percepite come tali
dagli autoctoni e spesso neutralizzate o peggio legittimate, e quindi
normalizzate, dalla retorica della sovranit nazionale.
Questa situazione diviene particolarmente sintomatica e per molti
versi paradigmatica di un vero e proprio paradosso diffuso in molte democrazie contemporanee allorch la diversit culturale viene
iscritta sotto la rubrica della libert. Nonostante il riconoscimento ormai affermato dei c.d. diritti delle culture, ancora difficile articolare una contestazione rispetto alle forme imperanti della soggettivit
41
M. Jackson, ed., Things as They Are: New Directions in Phenomenological
Anthropology, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis, 1996.
42
M. Ricca, Natura implicita e natura inventata nel diritto cit.

99

Mario Ricca

giuridica a partire dalle proprie, semplici opzioni culturali. Strada


assai pi rapida ed efficace, almeno nei paesi occidentali, rappresentata dalla rivendicazione delle proprie prerogative culturali sotto
letichetta del culto, della libert religiosa. Su questo fronte i profili
tradizionali della laicit dello stato, intesa come gemello della libert
religiosa, e quelli coincidenti con lequidistanza rispetto alle diversit tendono a fondersi e confondersi per ragioni tuttaltro che banali.
Per poter illustrare i motivi profondi di questa commistione bisogna
per muovere da una constatazione piuttosto scomoda, ovvero che in
molte democrazie la laicit oggi assicurata in modo asimmetrico,
perch asimmetrico il modo di tutelare la libert religiosa.
Ma in cosa consiste e da cosa dipende questa asimmetria? Le sue
radici si intrecciano con la parzialit dei processi di secolarizzazione
che hanno accompagnato laffermarsi della modernit occidentale43.
Il lessico giuridico delle democrazie dOccidente si presenta come
razionale, teologicamente neutro, avulso da coloriture di marca fideistica. Tuttavia, come gi segnalato, la sua semantica e limmaginario
antropologico soggiacente alle sue categorie sono intrisi di rimandi
alla cultura cristiana. La religione, intesa in senso antropologico, si
mimetizza nel lessico culturale attratto allinterno del discorso giuridico. Dato, peraltro, per nulla scandalizzante. In effetti, la neutralit del discorso laico un mito, poich ipotizza un grado zero di
conoscenza, uno sguardo gettato da nessun luogo. Ma, ovviamente, si tratta di una condizione impossibile da conquistare, almeno in
assoluto. Vero invece che il sapere religioso si confonde con la
razionalit culturale, finendo cos per apparire alle singole comunit
di parlanti come parte integrante della ragione e dei fatti da essa descritti. Visto dallinterno, il discorso giuridico pu anche apparire del
tutto scevro di connotazioni religiose, poich il suo dire coincide con
i territori dellovvio, del culturalmente condiviso, l dove limmaginario religioso si confonde con il mondo della vita comune. solo
43
C. Taylor, La modernit della religione, Meltemi, Roma, 2004; Id., Let secolare, Feltrinelli, Milano, 2009; P. Costa, Religione, modernit e secolarizzazione,
in C. Taylor, La modernit della religione cit.

100

Laicit interculturale. Cos?

quando la diversit religiosa o culturale entra a far parte dei circuiti vitali, quando varca i confini disegnati dalla sovranit territoriale
degli stati-nazione, che lovvio tradisce le sue ascendenze storiche,
il suo pedigree culturale e inevitabilmente anche religioso. Sono gli
occhi degli stranieri, soggetti al diritto dello stato di accoglienza, le
cineprese pi affidabili nel registrare simili genealogie ideali. Ma
questo non perch lo straniero possieda maggiori abilit cognitive;
piuttosto, semplicemente perch il suo scrigno di ovviet non combacia con quello di chi lo accoglie.
Quando limplicito, il sottinteso, lagito in modo irriflesso, entra
in rotta di collisione con la realt, allora indispensabile, quanto
automatico, ricorrere alla memoria, alla propria storia, in cerca di
assi di legittimazione, di sicurezze identitarie44. Quando il mondo ci
dice no, allora che ci chiediamo chi siamo e da dove veniamo,
qual il nostro (legittimo) posto nel paesaggio quotidiano, ovvero
nel nostro attuale ambiente di vita. Quando lo straniero impatta con
il diritto italiano, ammesso che riesca a comprenderne sia lo strato
esplicito, sia quello implicito, le sue parti mute, si ritrova appunto
alle prese con il codice cifrato di un mondo che dice no alle sue
ovviet, ai suoi abiti dorigine. Nel fuoco di questo rifiuto, scoprir
presto la propria differenza e prover a tracciarne letichetta, lidentikit, o comunque una connotazione che la renda riconoscibile e assiologicamente pregevole (quantomeno ai suoi occhi). Le religioni, in
questi casi, si dimostrano prodighe di soccorsi. Esse fungono da casa
immaginaria, offrendo alla mente in cerca di sicurezza interi arsenali
di certezze, immensi bacini di significato, nobilissime genealogie.
Nello specchio della propria religione tutti riacquistano, in quanto
militanti e appartenenti, la dignit in qualche modo negata, declassata dal discorso articolato dai gruppi dominanti o dalle leggi dei paesi
di accoglienza. Per converso, nello scoprire la matrice religiosa delle
proprie ovviet si fa presto a proiettarsi in modo speculare in quelle
altrui. Accade cos che il discorso laico, neutrale, razionale, del diritto delle democrazie occidentali improvvisamente si orni dellombra
M. Ricca, Norma, autorappresentazione identitaria, memoria culturale art. cit.

44

101

Mario Ricca

del crocifisso. A questo punto lebbrezza della demistificazione fa il


resto, alimentando la tendenza a rappresentare la differenza culturale
in chiave confessionale/fideistica, e quindi come libert religiosa.
Lasimmetria della laicit praticata nelle democrazie occidentali
non per solo una rappresentazione che scaturisce da dinamiche
psico-culturali. In effetti, le continuit di senso tra lessico giuridico
nazionale e ascendenze etico-culturali di matrice cristiana relativizzano molto lestraneit del fattore religioso rispetto alla sfera pubblica. Le istituzioni moderne si sono auto-costruite e auto-legittimate a
partire dalla polarit stato/chiesa, parallela al dualismo tra ragione e
religione. Agli albori della modernit occidentale, queste scansioni
costituivano il riflesso di conflitti socio-politici tra apparati religiosi
e istituzioni secolari che si contendevano il campo per la legittimazione del proprio potere. Lo scontro venne affrontato e parzialmente
risolto mediante una delimitazione di aree di competenza. La sfera
pubblica venne distinta dalla sfera privata, e a fare da agente di dogana tra i due domini venne posta lidea di libert individuale. In
questo scenario, lo Stato radicava la propria legittimazione nel consenso originario dei governati, il mitico contratto sociale. I cittadini
tuttavia mantenevano di fronte allautorit il diritto di declinare la
propria sfera privata in modo libero. Il fronte della libert religiosa, insieme alla propriet, costitu il primo percorso di rodaggio per
questo nuovo dispositivo di organizzazione antropologico-politica.
Sempre che la storia possa avere torto (e io non posso non credere di
s, bench sia impossibile dimostrarlo poich le strade non percorse,
perci stesso, possono apparire tutte lastricate doro), dimostr in
questo caso di avere ragione. Diritto e religione, sfera pubblica e
sfera privata, dominio delle istituzioni statali e regno della fede, si
divisero il campo e, tra alterne contrapposizioni, riuscirono da allora
a trovare una formula di convivenza.
Sarebbe per ingenuo pensare che la scansione pubblico/privato
e quella parallela diritto/religione abbiano avuto come proprio architrave una reale rottura antropologica, una frattura epocale consumata sino alle radici del senso comune, della cultura comunitaria e
individuale. Tra lessico giuridico e lessico religioso rimasero molte
102

Laicit interculturale. Cos?

continuit, occultate dalla rivisitazione in chiave razionalistica dei


principi travasati attraverso il lavorio della Seconda Scolastica e del
giusnaturalismo dal piano della teologia morale cristiana a quello del
diritto naturale/razionale. I cristiani potevano cos obbedire a principi di convivenza dettati dalla ragione, ma in moltissimi aspetti del
tutto continui e commensurabili con gli imperativi dettati loro dalla
morale cristiana. Lungo la linea dorizzonte che divideva pubblico e
privato, ragione e religione, il cielo e la terra si confondevano.
Questo straordinario artificio retorico fece salvo il patrimonio
antropologico generato dalla cultura cristiana pur se allombra di
un divorzio epocale tra religione e politica, adottato come strategia
di pacificazione sociale. Ciascuno rimaneva libero di credere nel
proprio dio privato, obbedendo nella sfera pubblica ai principi di
condotta dettati dal dio comune, il dio di tutti i cristiani, travestito
da Stato o da diritto naturale. Daltronde, che cattolici, anglicani,
luterani, calvinisti, e persino ebrei europei, tra loro non intendessero in modo molto diverso la grammatica etica del contratto, del
matrimonio, del diritto successorio, delle forme di tutela penale e di
reato, costituiva un dato di fatto. Bastava mutare la marca di queste
ovviet culturali, sostituendo a dio la ragione, e sarebbe cessato per
ci stesso il motivo per rivendicare lappartenenza teologica di queste categorie. Unappartenenza infranta, fatta a brandelli, contestata
dalle lotte confessionali45.
Il risultato di questi processi di riedizione discorsiva di vecchie
verit fu di straordinaria efficacia. Consent di articolare la retorica
del progresso, e non solo la retorica, senza tagliare i ponti con il
passato sul piano della vita quotidiana, degli abiti di comportamento
effettivamente tenuti dalla gente, del comune sapere implicito. Alterare radicalmente i gangli profondi delle mentalit pratiche sarebbe
stata unopera ciclopica, oltrech impossibile sul piano storico. Letti
retrospettivamente, i contorni netti della modernit sfumano quindi nelle mezze tinte. Ma sono proprio queste che oggi si rivelano
un problema. Da vantaggio strategico in seno ai tornanti della storia
P. Prodi, Una storia della giustizia cit.

45

103

Mario Ricca

doccidente, esse si sono tramutate in un grave problema nel fuoco


del confronto con le altre culture.
Le continuit del diritto attuale dei paesi occidentali con lantropologia cristiana rende la libert degli altri, e la libert religiosa in
particolare, meno che uguale. Mentre un cristiano trova appunto facilit di traduzione tra il proprio linguaggio religioso e quello giuridico statale, almeno sul piano dei comportamenti pratici, al contrario
lo straniero ha grande difficolt nel travasare la semantica della sua
libert e della sua fede nei circuiti discorsivi della sfera pubblica.
La sfera privata dellaltro, del non cristiano, non ha la possibilit di
estendersi, di proseguire lungo una pista di commensurabilit e di
continuit di senso allinterno della sfera pubblica organizzata dalle
istituzioni democratiche dello Stato. A differenza del cristiano, egli
non trover rispecchiati i propri codici culturali, etici e religiosi nelle trame del linguaggio normativo, nel lessico istituzionale e nella
sintassi della vita pubblica. La storia non gioca dalla sua parte. Di
conseguenza, lenciclopedia della sua soggettivit sar costretta a
comprimere i propri indici culturali e religiosi allinterno di una sfera
privata troppo esigua, perch calibrata sulle assai minori necessit di
declinare la propria diversit da parte del cristiano. Tutti i no che
il codice culturale del discorso giuridico pubblico pronuncia allindirizzo dellaltro si convertiranno in un tentativo inevitabilmente
inane da parte sua di esprimere nella sfera privata gli imperativi, le
implicazioni, le proiezioni pratiche che a vasto raggio cultura e religione disegnano allinterno del suo vivere quotidiano e nelle sue
relazioni pubbliche. A conti fatti, quindi, il non cristiano straniero
potr esercitare una libert amputata, difettiva, rispetto allautoctono
cristiano. E questo non perch egli sia oggetto di esplicite discriminazioni (peraltro non assenti). A fare la differenza sar lindifferenza
del linguaggio giuridico dello Stato rispetto alla sua non-cristianit.
Unindifferenza che ha come alibi la fittizia neutralit religiosa della
ragione giuridica moderna.
Porre rimedio a questa situazione significa rileggere la storia occidentale. Ancor prima, esige che nel compiere questa impresa gli
occidentali cristiani accettino di prendere le distanze da se stessi. La
104

Laicit interculturale. Cos?

posta in gioco, che anche una poderosa sfida epocale, la riscrittura


del lessico delluguaglianza. Un lessico indispensabile a far articolare una laicit simmetrica, che per essere tale dovr necessariamente
emergere da uno sforzo di traduzione/transazione interculturale della
grammatica degli indici delle soggettivit presenti nel contesto sociale multiculturale e multireligioso. Si tratta di uno sforzo enorme,
innanzi tutto sul piano dellantropologia politica. Perch esso possa
articolarsi su uno sfondo di consenso necessario che i popoli considerino esaurita la fase degli stati nazione, intesi non tanto come unit
di potere territoriale, quanto piuttosto come circuito etnico-culturale
omogeneo ed esclusivo.
8. Ortoprassi culturali e grammatica dei diritti
Le culture contengono enciclopedie di saper fare, istruzioni per
luso della vita nelle sue relazioni con lambiente umano e naturale.
Ciascuna esprime e trasmette ricette differenti. Ogni ricetta descrive
i confini immaginari di un mondo. Non si tratta ovviamente di mondi
chiusi, reciprocamente non comunicanti. Il pianeta Terra ospita molte culture, quindi molti mondi culturali. Il suo spazio funziona come
una piattaforma di interazione e traduzione tra di essi. Nessun mondo puro, totalmente originario, auto-prodotto. Ci nonostante, pur
nei flussi di comunicazione, si creano circuiti di senso dotati di una
relativa idiomaticit. Quanto proviene dallesterno viene assorbito e
vernacolarizzato, cio reinterpretato e adattato alla dimensione locale. In un certo senso potrebbe dirsi che viene naturalizzato. Persino
la globalizzazione, condizione comune dellesperienza umana contemporanea, oggetto di processi di naturalizzazione46. Il globale,
oltre che subto, viene reinterpretato, rilavorato e quindi restituito al
circuito planetario. Il processo funziona come un alternarsi tra diastole e sistole lungo un flusso ininterrotto di comunicazione tra locale
46
M. Ricca, Riace, il futuro presente. Naturalizzare il globale tra immigrazione e sviluppo interculturale, Dedalo, Bari, 2010.

105

Mario Ricca

e globale. Nel suo inesausto riprodursi nuovi confini e circuiti culturali sorgono, altri svaniscono. Allinterno di essi si definiscono nuove
enciclopedie di saper fare, altre si rigenerano47.
Nello spazio/tempo di ogni cultura il saper fare per anche un
dover fare. La lingua culturale ha una sua propria legislativit, strumento indispensabile allottimizzazione dei processi comunicativi.
Possedere un dialetto concettuale condiviso rende la vita pi semplice, pi efficiente. Vivere dentro una cultura come membro di essa
significa saper parlare quella lingua, conoscerne i registri di senso,
saperla usare in modo efficace per interagire con lambiente circostante. Linsieme degli schemi dazione e di comunicazione costituito da modalit di comportamento, mentale e pratico, definibili
come script oppure ortoprassi. Le ortoprassi culturali scandiscono
la vita quotidiana, dettandone i ritmi in modo normativo. Tutti noi,
a qualsiasi cultura apparteniamo, siamo sintonizzati su simili ritmi,
sulle sequenze iscritte negli spartiti delle ortoprassi culturali. Essi si
infiltrano nelle pieghe pi intime della vita giornaliera. Creano tempi
e spazi, forgiano modalit di percezione del tempo e dello spazio.
Le nostre soggettivit sono esito dellincrociarsi delle differenti ortoprassi che mappano il vivere individuale e collettivo. Muoversi,
cibarsi, commerciare, morire, parlare, persino il tacere, sono oggetto
di questa implicita modalit di normazione.
In ogni societ il livello giuridico si sovrappone a questo strato
normativo tacito, ma non per questo meno potente. Talmente potente che il diritto formale interamente impastato di esso. Del resto,
si tratta di una corsia obbligata. Nessun sistema giuridico potrebbe
funzionare, sviluppare plausibili prognosi di effettivit, se i suoi atti
legislativi si dimostrassero del tutto alieni rispetto alle ortoprassi culturali diffuse a livello sociale. La grammatica dei diritti, per quanto espressa in termini formali, generali e astratti, impregnata di
costume, di moduli mentali e comportamentali depositati nel senso
comune. Questi fanno da cornice semiotica, da contesto di senso e di
esperienza come si dice, indessicale rispetto alle parole della legSulla cultura come enciclopedia di saper fare cfr. M. Ricca, Oltre Babele cit.

47

106

Laicit interculturale. Cos?

ge. Separare ortoprassi e parole legislative significherebbe generare


altri mondi sociali. Diritto e universo di esperienza, in questo senso,
costituiscono un binomio inscindibile, ancorch dinamico nelle relazioni reciproche tra i suoi membri.
Il sovrapporsi di pi modelli culturali agiti dagli individui contestualmente presenti negli stessi spazi vitali determina inevitabilmente una diffrazione tra grammatica dei diritti ed esperienza. Per
usare una metafora, un po come se unimmagine venisse estrapolata da uno sfondo e collocata in un altro. Lo spostamento produrr distorsioni di senso, incongruenze, metamorfosi di significato
e uscendo dalla metafora soprattutto discontinuit tra mezzi normativi e fini, tra parole e prospettive di concreta realizzazione dei
valori incastonati nelle enunciazioni di diritto. Lo scollamento tra
piano delle norme e piano delle ortoprassi culturali implica una sorta
di de-soggettivazione giuridica di quanti non appartengano al gruppo
dominante. Gli indici di significato del loro vivere, le matrici di senso
della loro soggettivit, troveranno nellordinamento una batteria di
negazioni e ostruzioni. E poich cultura e religione sono strettamente
interconnesse, inevitabilmente risulter colpita, resa difettiva anche
la capacit di queste minoranze di dar spazio alle proiezioni pragmatiche della propria fede di appartenenza. Potr trattarsi di una discriminazione relativa, non assoluta. In altre parole, essa non dipender
da una generale e aprioristica interdizione delle ortoprassi culturali
e religiose dei gruppi non dominanti. Piuttosto, la discriminazione
potr e dovr essere registrata sul piano dei fatti e della diversa condizione a essi riservata rispetto ai soggetti appartenenti alla cultura
o alla fede di maggioranza. Per questi, il diritto parla la loro stessa
lingua, consente loro di vivere la propria quotidianit gestendo allunisono coscienza e obbedienza alle leggi, senza bisogno di sforzi di
traduzione o di rocamboleschi accomodamenti e compromessi.
Discontinuit di significato e discriminazioni tacite animeranno
tuttavia una situazione complessiva inevitabilmente segnata dalla
tensione latente, dallo scontro incipiente. In nome dellautonomia dei
gruppi culturali, della libert religiosa e del pluralismo, probabilmente si giunger a chiedere per le ortoprassi non iscrivibili nella gram107

Mario Ricca

matica generale dei diritti una sorta di cittadinanza separata, speciale.


questa la via del pluralismo multiculturalista. Una via destinata a
risolversi nellinfausto progetto di una convivenza compartimentata, a blocchi culturali reciprocamente isolati, non comunicanti. La
soggettivizzazione o personalizzazione della normazione lesito di
un simile approccio, da molti visto positivamente. La soluzione, secondo le formule in voga, sarebbe quella delle leggi personali e delle
c.d. Courts of Arbitration: tribunali interni alle comunit deputati
ad applicare, almeno in alcuni settori, il diritto, le regole delle singole
tradizioni culturali e religiose48. Ma non ci vuol molto per intendere
che si tratterebbe di unulteriore, colossale finzione. Una pseudo-soluzione buona solo a incrementare i conflitti e a coltivare lillusione
di poter far vivere le singole culture e i loro rappresentanti come
eremiti organizzati, posti in una fasulla relazione di reciproco, ma
pur sempre coordinato isolamento. Di contro, a risultarne drammaticamente erosa sarebbe la sintassi delluguaglianza giuridica e sociale, asse indefettibile e scaturigine di qualsiasi forma di pluralismo
e ponderata tutela delle differenze. Un pluralismo orfano del regolo
delluguaglianza che si commuterebbe istantaneamente nel particolarismo giuridico e, inevitabilmente, in unirrimediabile deriva verso
la sperequazione sociale e intersoggettiva.
La creazione di un lessico giuridico interculturale appare lunica
via per mettere insieme grammatica dei diritti, uguaglianza e ortoprassi culturali. Ed cos perch soltanto mediante un previo sforzo
di traduzione reciproca e bilanciata tra i differenti saperi culturali
presenti nella mappa sociale sar possibile definire un lessico della
soggettivit giuridica inclusivo, in grado di rendere la legge socialmente ed equanimemente responsiva rispetto alle molteplici forme di
soggettivit. Lortoprassi culturale laica, indispensabile presupposto
di una grammatica dei diritti effettivamente laica, non potr dunque
che essere la sintesi, la risultante dellintegrazione transattiva tra
le differenti soggettivit culturali e/o religiose presenti nella platea
48
G. Anello, Tradizioni di giustizia e stato di diritto I. Religioni, giurisdizione,
pluralismo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma, 2011.

108

Laicit interculturale. Cos?

pubblica. Non si tratta ovviamente di un esito semplice o da poter


costruire a tavolino. Esso richiede uno sforzo continuato di riposizionamento culturale e pragmatico condotto dalle diverse parti sociali.
Peraltro, non detto che il raggiungimento dellobiettivo debba transitare necessariamente attraverso labrogazione radicale del sistema
normativo esistente. Al contrario, le strategie normative della modernit, incentrate nei paesi di civil law sulla generalit e astrattezza
degli enunciati legislativi, rendono gli ordinamenti aperti a un uso
interculturale delle norme. questa laltra faccia della generalit,
spesso invece posta sotto accusa come responsabile della tendenza
propria del moderno a creare serializzazioni, falsi universalismi,
omologazioni improprie e mortificanti il valore delle diversit49.
Certamente, la generalit delle leggi pu essere utilizzata come uno
strumento egemonico. Essa pu essere posta al servizio del tentativo
di soffocare la voce della differenza allombra di una falsa unit.
anche vero per che le generalizzazioni sono intrinsecamente ambigue. Da una parte omologano, dallaltra presentano confini mobili,
sfrangiati, continuamente vulnerabili, rimodellabili, esposti allintegrazione. Le categorie generali includono ed escludono50.
Ma nellescludere spesso finiscono per precostituire le condizioni
perch quanto viene escluso possa domani risultare interno a esse. Ci
avviene per la semplice ragione che quel che resta fuori da ogni categoria possiede molti elementi connotativi in comune con quanto vi
incluso. Cos, a partire da queste continuit, le precedenti esclusioni
possono essere sottoposte a critica e commutarsi in inclusioni. Processo che pu verificarsi anche nella direzioni inversa. Lungo il reiterarsi
di queste oscillazioni, lentamente, le categorie e le generalizzazioni si
rimodellano. Per ogni nuova inclusione verr ridefinito il nucleo delle connotazioni comuni degli oggetti, degli enti che compongono la
P. Chatterjee, Oltre la cittadinanza, Meltemi, Roma, 2006; R. Peerenboom,
ed., Asian Discourses of Rule of Law. Theories and implementation of rule of law in
twelve Asian countries, France and the U.S., Routledge, London-New York, 2004;
M. Ricca, Democrazia e cultura. Uguaglianza, pluralismo, interculturalit cit.
50
Z. Bauman, Modernit e ambivalenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2010.
49

109

Mario Ricca

categoria. Pian piano lasse della categoria, la lista di controllo delle


connotazioni pi comuni tra membri dellinsieme muteranno, determinando una metamorfosi semantica. La categoria subir una sorta di
deriva, talora impercettibile, altre volte catastrofica e repentina. Il fatto straordinario, per, che tutto ci avverr mantenendo comunque
la categoria, la generalizzazione, sempre e comunque riconoscibile,
coerente con se stessa e attiva negli usi comunicativi.
La pista della traduzione interculturale tra le ortoprassi pu condurre proprio a simili auto-trasformazioni semantiche. Nuove continuit emergono rispetto a oggetti, soggetti e comportamenti, prima
ritenuti incommensurabili, se non pure opposti. Nel fuoco della traduzione interculturale possono perci stabilirsi insospettabili equivalenze metaforiche. Questo perch in contesti culturali differenti gli
stessi gesti possono assumere significati incommensurabili; viceversa, gesti o parole diverse possono diventare sinonimi. Si badi, lequivalenza non sar mai integrale. Nellopera di traduzione e metaforizzazione incrociata qualcosa si perder e qualcosaltro verr guadagnato. Di fatto si creeranno nuove categorie allombra e sotto i vestiti
linguistici di quelle sempre esistite. Ma ci ipotizzabile solo grazie
alle generalizzazioni e, nel mondo del diritto, sfruttando la vaghezza
semantica degli enunciati normativi generali e astratti. Per mezzo
dellambiguit intrinseca in ogni generalizzazione la differenza potr
trovare le corsie per iscriversi allinterno del discorso giuridico. Le
ortoprassi straniere potranno cos rintracciare un canale di emersione e di affermazione nella sfera pubblica. Un canale, si badi, dotato
di valenza normativa, in grado di imporsi anche agli altri, cio agli
autoctoni. Inevitabilmente, il linguaggio giuridico funzioner come
uno specchio riflettente, ma al tempo stesso deformante. I codici
culturali dovranno subire un processo di straniamento e transazione
interculturale. Esso tuttavia non sar univoco. A esserne coinvolte
saranno anche le ortoprassi culturali degli autoctoni. Le sequenze di
traduzione e transazione, nello specchio del lessico giuridico e delle
sue categorie, saranno cio biunivoche bench nulla assicuri che
siano per questo automaticamente simmetriche ed equanimi. Se ci
accadr, la grammatica dei diritti potr acquisire una curvatura inter110

Laicit interculturale. Cos?

culturale poich lo stesso linguaggio giuridico esistente potr essere


sottoposto a un uso interculturale. La cifra di una laicit effettiva,
ricostruita dal basso e in modo equo, simmetrico, potr quindi essere
iscritta allinterno del modo di pensare e fare il diritto.
La semantica giuridica potrebbe iniziare, a queste condizioni, a
sintonizzarsi sulla composizione multiculturale e multireligiosa della societ contemporanea, assicurando una risposta effettivamente
democratica e la modellazione di una soggettivit autenticamente
laica e inclusiva. In altri testi51 ho cercato di fornire esempi pratici,
casi concreti, esemplificazioni delle modalit di riscrittura e di uso
in chiave interculturale delle categorie giuridiche esistenti. Misurandosi con essi, si potr osservare come il processo di adattamento del
diritto esistente allalterit culturale, alle ortoprassi altrui, presenti
straordinari elementi di continuit con lattivit giornalmente condotta dai professionisti del diritto nellaffrontare i proteiformi aspetti
della realt sociale e delle sue dinamiche quotidiane. In fondo, bench la difficolt di attraversare la distanza culturale rappresenti un
problema suppletivo, tuttavia luso interculturale del diritto si iscrive
nelle prassi, nelle abilit da sempre messe in campo dai professionisti
del diritto (avvocati, notai, giudici)52.
9. Multiculturalit, universalismo ed eccessi identitari
Giungere a imprimere una curvatura interculturale al diritto vigente o a rielaborarne il lessico in sede di produzione normativa richiede
per il superamento della multiculturalit. Essa va oltrepassata sia
come percezione di una frontiera stabile, fissa, tra il S e lAltro, sia
come scelta ideologica o prescrittiva. La necessit di operare questo
M. Ricca, Oltre Babele cit.; Id., Norma, autorappresentazione identitaria, memoria culturale art. cit.; Id., Lombra del diritto art. cit.; Id., Notariato latino come
agenzia interculturale. Un percorso tra diritti umani e prassi giuridiche quotidiane,
in www.accademiadelnotariato.it.
52
M. Ricca, Norma, autorappresentazione identitaria, memoria culturale art. cit.
51

111

Mario Ricca

valico scaturisce da una circostanza ben precisa. Avvertire il mondo


sociale come multiculturale presuppone lidentificazione della differenza culturale, dellAltro come diverso da S. Questa operazione
tuttavia non neutra, non si produce allinterno di una relazione tra
soggetto e oggetto priva di effetti riflessivi e auto-trasformativi. Per
essere pi espliciti, il soggetto che riconosce nel suo spazio vitale
lAltro da S un soggetto che si gi modificato rispetto al suo
stato originario. Riconoscere lAltro come diverso implica sempre
e simultaneamente una rinnovata percezione del S. Lidentico si
specchia nel diverso e si ridefinisce a partire da esso. Ecco perch la
multiculturalit, anche come semplice rappresentazione, un effetto
di uninterculturalit implicita, cio di una trasformazione silenziosa
gi prodotta dallapparire, dallirrompere dellAltro sulla scena della
quotidianit53.
Linterculturalit irriflessa, generata sottosoglia, scaturisce da una
condizione di crisi psicologica. Essa coincide con il senso di latente interdizione prodotto dalla percezione, spesso vaga ma non per
questo meno incisiva, di una possibile, sopravvenuta inefficacia e
inattendibilit dei propri abiti di vita54. Di fronte allAltro, allo straniero, la mente avverte che qualcosa dei suoi saperi non funzioner,
sar destinato a incepparsi nella corsa verso la realizzazione dei fini
vitali. Le ortoprassi quotidiane sono sedimentate nellenciclopedia di
quegli stessi saper fare che ordinariamente vengono agiti inconsapevolmente. La loro modalit di attivazione lautomaticit. Essi sono
innescati il pi delle volte senza che la coscienza ne sia al corrente.
Ci conferisce loro una grande efficienza. Il controprezzo consiste
per nella difficolt di oggettivarli, di recuperarne il significato, di
trasformali in simboli, rendendoli cos disponibili allintelletto e alla
riflessione. Senza riflessione tuttavia non pu esservi modulazione
o modifica, cio adattamento rapido e consapevole. Ecco allora che
sorge la crisi e dalla crisi la propensione al conflitto. Crisi e conflitto,
M. Ricca, Riace, il futuro presente cit.
M. Ricca, Polifemo. La cecit dello straniero, Torri del Vento Edizioni, Palermo, 2011.
53
54

112

Laicit interculturale. Cos?

comunque, costituiscono gi un cambiamento, sebbene solo difettivo. Attraverso e a causa di esso gli abiti si radicalizzeranno, irrigidendosi, talvolta sclerotizzandosi.
Nella situazione di scontro, le ortoprassi culturali si pietrificano e
divengono vessilli per alimentare e legittimare la contrapposizione.
Delle differenti ortoprassi vengono selezionati gli aspetti pi eclatanti e idiomatici, meno esposti alla traduzione e alla transazione. Di
fatto, per, il potenziale di senso degli abiti culturali, cos facendo, si
immiserisce, fino a svuotarsi. I loro contenuti finiscono per migrare
verso i paesaggi onirici della memoria etnica, nazionale, religiosa,
ma in questo modo allentano la loro presa con la realt, la capacit di
controllare e imbrigliare programmaticamente il corso degli eventi.
Nel fuoco del conflitto ciascuna parte coinvolta lotta per rimanere se
stessa, inalterata, ma proprio per questo destinata a mutare, trasformando i propri saperi in armi di contrapposizione, anzich utilizzarli
come codici per interpretare il mondo. Purtroppo in questa onnilaterale crisi di senso, la lotta per lidentit si commuta in uno scontro
formale (appunto) tra identici, cio tra soggetti animati esclusivamente da una petizione di potere nei confronti dellAltro. Bench
illuso di combattere per se stesso, per la propria identit, ogni polo
del conflitto, ogni contendente, si batte contro lidentico a s, cio
semplicemente il suo opposto formale. Ogni parte diviene puramente
e semplicemente controparte, destinandosi a una sorta di etero-determinazione a opera di quello stesso contendente che vuole eliminare.
Ma se cos , quando la battaglia giungesse a buon fine per una delle due fazioni, paradossalmente, il vincitore cesserebbe di esistere
nel medesimo momento dellottenuta eliminazione dellaltro. La sua
cultura, trasformata in mero strumento strategico, in un artificio retorico svuotato di intelligente corrispondenza e interpenetrazione con il
mondo, andrebbe allora ricostruita, rivivificata, sempre che ci fosse
ancora possibile55.
Se questa la parabola potenziale dellinterculturalit implicita,
non le da meno la multiculturalit, cio lidea che le culture siano
M. Ricca, Riace, il futuro presente cit.

55

113

Mario Ricca

circuiti di senso a compartimenti stagni, destinati, nei migliori auspici, a permanere in una condizione di calcolata non contaminazione.
Unidea, di l dalle possibili apparenze, comunque figlia dellinterculturalit implicita. Al fondo, gli attori che popolano il paesaggio
multiculturale, appunto le culture, sono il prodotto della contrapposizione interculturale implicita, fantasmi di entit essenzializzate
che questa partorisce. La versione del pluralismo soggiacente alla
ricetta multiculturale, allidea di una convivenza parallela dei gruppi
culturali allinterno della medesima sfera sociale, per anchessa
difettiva. Si presenta al tempo stesso relativistica e universalistica.
Dichiara lincommensurabilit di ogni cultura rispetto alle altre, ma
simultaneamente afferma il diritto di ciascuna ad affermarsi su un
piano di parit reciproca. Insomma, nel quadro del multiculturalismo, dallincommensurabilit si transita quasi impercettibilmente
alluniversalit, al comune denominatore cultura. Ogni cultura,
cos, potr leggersi come unica, irripetibile, idiomatica, ma al tempo
stesso universale. E proprio perch incommensurabile alle altre, dal
punto di vista interno, verr inevitabilmente percepita dai suoi appartenenti come La Cultura. Il terreno per il maturarsi della cecit nei
confronti dellAltro sar stato a questo punto doviziosamente messo
a semina. Ogni cultura potr leggersi come il prototipo delluniversalit: il prototipo delluguaglianza, della libert, dellautonomia. Gli
altri, paradossalmente proprio perch a priori ritenuti incommensurabili, tuttal pi potranno essere visti e considerati come replicanti formali di questo prototipo. Altre unit uguali alla prima, ai suoi
contenuti, ai suoi significati. La sequenza adesso descritta potr forse
apparire come un ulteriore paradosso, ma non cos. Per rendersene
conto, baster proseguire lungo il suo solco.
Nella stessa direzione appena delineata, ogni societ apparir agli
occhi dei suoi membri come il modello della libert, delluguaglianza,
della dignit, della solidariet e dellautonomia. E poich questi sono
valori considerati universali, gli stessi che ci consentono di vedere
lAltro come Altro da S, originario e incommensurabile, ne diverranno lunit di misura, anzi di esistenza. Leffetto finale sar che la
reale differenza dellAltro, la diversit dei suoi saper fare, delle sue
114

Laicit interculturale. Cos?

enciclopedie culturali, semplicemente svaniranno, almeno agli occhi


dellosservatore esterno, dellindividuo di altra cultura che lo osserva.
A prodursi sar un effetto di omologazione strisciante, di serializzazione delle forme possibili di umanit. Dal punto di vista psicologico e cognitivo si generer una tendenza a confondere e a spacciare
lidentit con se stessi per universalit. Ogni cultura e i suoi rappresentanti leggeranno se stessi come lincarnazione prototipica di categorie universali, di valori e diritti umani. In modo speculare, lAltro
non omologo al modello subir inevitabilmente un declassamento.
Semplicemente, in quanto diverso, risulter meno che umano. Per intendersi, egli non sar dis-umano perch in astratto il suo modo di vivere e di pensare non possa iscriversi nello schema ideale della libert, delluguaglianza, della dignit, dellautonomia. Piuttosto, egli non
sar umano, in senso universale, semplicemente perch non identico a
un noi presupposto e al connesso modo di declinare (culturalmente)
luniversalit nel suo agire quotidiano comune (nel senso di solito).
In un mondo sociale rigidamente e coerentemente multiculturalista nessuno va in cerca delluniversalit oltre i confini della propria comunit. questo il paradosso del relativismo. In un universo
dominato dalle rappresentazioni relativiste tutti sono uguali nella
loro radicale diversit. Uguali nella forma, incommensurabilmente
diversi nei contenuti. Nella terra di nessuno posta al centro di questa
contraddizione, inevitabilmente tutti i noi, tutti i gruppi, tendono a
vedere se stessi come incarnazione delluniversale (almeno dal punto
di vista dei contenuti). Questo perch, fatalmente, il contenuto tender a migrare nella forma, a sovrapporsi e a confondersi con essa.
Ed esattamente ci che spesso fanno gli occidentali con il resto
del mondo. Essi prima proclamano valori universali, come appunto
uguaglianza, libert, etc., e poi sostituiscono a essi il proprio modo
di attuarli. Il tentativo di imporre agli altri le proprie categorie culturali, le proprie leggi, veicolandole al traino della diffusione dei diritti
umani, la conseguenza immediata e pi dannosa di questo modo di
pensare e agire. Il risultato, drammatico, sar che gli altri, soprattutto
se pi deboli o succubi, finiranno per identificare anche se al rovescio quelle categorie culturali con i diritti umani stessi, con il po115

Mario Ricca

tenziale codice delluniversalit. Lapprodo finale, inevitabile e gi


realizzatosi, sar quello della proclamazione di codici delluniversalit alternativi, ovvero di altre carte dei diritti umani. Lossimoro,
la contraddizione in termini, di tanti modelli di diritti umani quante
sono le culture costituisce il capolinea dellapproccio multiculturalista. Ed un capolinea gi parte integrante della storia, ormai sotto gli
occhi di tutti. Com possibile, vien da chiedersi, che si sia giunti fino
a questo punto? Qualche spiegazione pu essere tentata.
In una prospettiva multiculturale, la possibilit di tradurre lalterit, di trovare ponti di comunicazione e di significazione comune, risulta compromessa in partenza. cos perch linevitabile incrociarsi
delle diversit culturali e delle loro proiezioni pragmatiche nellarena
comune della vita sociale, come nellarena politica internazionale,
verr interpretato e vissuto in modo inevitabilmente antagonistico.
Nel calderone del relativismo culturale, ogni fazione prover a iscrivere le proprie istanze allinterno di un codice delluniversalit e
delluguaglianza rivendicate come unit di misura della tolleranza
reciproca. Insomma, il gioco di contrapposizioni punter a dimostrare che la diversit dellAltro non compatibile con unequa ripartizione degli spazi e dei tempi sociali comuni. Surrettiziamente, ogni
parte tenter di riempire con i propri contenuti culturali la grammatica delluniversalit, il regolo della convivenza tra gli incommensurabili: ora mimetizzando quei contenuti con il lessico della soggettivit
comune, ora provando a impedire che a farlo siano quelli degli altri.
Il meraviglioso mondo della tolleranza reciproca coltivata allombra del riconoscimento delluniversale diversit di tutti da tutti il
mito spacciato dal multiculturalismo e dai suoi tentativi di affermazione politica. Un fronte di scontro permanente ne invece la reificazione concreta: un mondo sociale animato da tensioni inestinguibili
tra auto-rappresentazioni culturali sollecitate alla radicalizzazione e
alleccesso identitario. Del resto, dove lunit di misura della soggettivit pubblica diviene la differenza reciproca giocoforza che questo ne sia lesito. Il problema pi grave, per, coincide con la tendenza a utilizzare il diritto e il lessico dei diritti semplicemente in modo
strategico. Cos, gli enunciati normativi non verranno usati come
116

Laicit interculturale. Cos?

piattaforme di traduzione interculturale e come canali normativi per


leffettiva iscrizione delle differenze in un contesto comunicativo e
pragmatico condiviso. Al contrario, approfittando dellampiezza del
loro spettro semantico, della vaghezza delle relative enunciazioni (ad
es., tutti sono uguali, la libert personale inviolabile, etc.), ogni
fazione culturale tenter di piegarli alla realizzazione dei propri interessi, delle proprie istanze declinate in modo radicale e antagonistico.
La conclusione, davvero tragica, sar la commutazione del pluralismo multiculturale in una cieca contrapposizione per la spartizione delle risorse necessarie a poter coltivare lillusione di esistenze
(comunitarie) separate. Fatalmente, lunico traduttore interculturale
si riveler allora la moneta, capace di tradurre tutto proprio perch
non traduce nulla, ma si limita a creare equivalenze quantitative, finanziarie, dove invece a confrontarsi nella realt sono diversit qualitative, antropologiche. Senonch la commutazione delle diversit
qualitative in equivalenze quantitative avviene sempre per amputazione, trascegliendo appunto solo quel che quantificabile secondo
gli standard dettati dal mercato e tralasciando tutto il resto.
Il resto per coincide con la differenza culturale, la stessa che
si vorrebbe articolare in autonomia. Se quel resto non tradotto, si
rischier di non cogliere la sua interdipendenza dal contesto sociale
complessivo. Ma non coglierne linterdipendenza significher, a sua
volta, non comprendere quali possano essere le effettive chance per la
sua realizzazione pratica, gli ostacoli esistenti, le possibilit di adattamento. Al meglio di questa ignoranza o non conoscenza la via del
conflitto verr intrapresa inesorabilmente. A quel punto, lunica strada
possibile sar una spirale di eccessi identitari e radicalizzazioni culturali, abnormi discendenti delluniversalismo di marca multiculturale.
10. Rotte e possibili approdi della laicit interculturale
Universalismo di marca multiculturalista formula sinonimo
di neutralit. Il suo confluire in una situazione conflittuale, figlia
della scissione tra forma e contenuti culturali, il medesimo esito
117

Mario Ricca

di una laicit intesa come neutralit. Se il diritto e le sue grammatiche della soggettivit ipotizzassero, in nome della propria laicit,
di poter articolare un discorso neutrale, relativistico, privo di traduzioni tra i contenuti culturali, non farebbero altro che alimentare la
contrapposizione identitaria. Con unaggravante, gi denunciata: e
cio che allombra della dichiarata neutralit del lessico normativo
si nasconderebbe comunque la prevalenza dei codici culturali dominanti, percepiti e imposti dai gruppi pi forti come specchio di
una soggettivit universale. Nel caso, poi, delle societ multiculturali
di recente formazione, ci darebbe luogo come avviene al noto
fenomeno dellaccreditamento della connotazione culturale soltanto
in capo agli altri, ai nuovi venuti. Cio a dire che ad avere differenze culturali o religiose sono solo gli stranieri, mentre gli autoctoni
parlano gi la lingua della realt, una lingua neutrale e naturale. Una
formula riassumibile, nel campo giuridico, con lo slogan falsamente
pluralistico: il nostro diritto e le culture degli altri.
Il primo passo nella direzione opposta, quella di una laicit interculturale, consiste invece nelladozione di un punto di vista definibile
come planetario. Anzich porre al centro del cosmo sociale la cultura
dominante, mimetizzandola con il diritto dello stato, probabilmente
bisognerebbe inoltrarsi su una rotta ideale differente. Perch il diritto sia di tutti necessario che le culture vengano tutte considerate
eccentriche e, per restare in metafora, come se fossero tutte pianeti
posti su orbite equidistanti dal centro del sistema, anche se non allineate, onde evitare collisioni. Il centro gravitazionale, a sua volta,
andrebbe considerato non come un corpo estraneo, altro rispetto ai
pianeti, ma al contrario come la sintesi ponderata delle loro masse e
del loro tipo di composizione. Fuor di metafora, il diritto dovrebbe
costituire la sintesi dei differenti linguaggi culturali, a sua volta esito
di un processo di traduzione e transazione interculturale. Ed appunto verso questo approdo che dovrebbe incamminarsi un ordinamento
costituzionale che aspirasse alla produzione di un modello effettivo
di laicit per una societ multiculturale.
La rotta da seguire per giungere a destinazione, cio alla laicit
interculturale, transita attraverso la creazione di un lessico intercul118

Laicit interculturale. Cos?

turale suscettibile di essere travasato dentro le norme giuridiche e in


grado di stimolare, a sua volta, un uso interculturale del diritto. La
prima tappa intermedia, lungo questa navigazione, consiste nel comprendere che la realt, il fatto da qualificare mediante gli strumenti
del diritto, non indipendente dalla cultura di chi agisce o parla.
Essere di unaltra cultura, insomma, non vuol dire soltanto valutare
in modo differente lo stesso mondo, la stessa realt, ma anche vedere
e vivere una realt diversa, fatti differenti. Acquisire consapevolezza che il fattore culturale pu produrre variazioni cognitive circa il
mondo dei fatti costituisce il primo transito corretto lungo la rotta
della laicit interculturale. Spiegare le cose attraverso la prospettiva
del giurista pratico forse aiuter a comprendere meglio limportanza
di questo passaggio.
Quando un giudice, un avvocato o un notaio devono qualificare giuridicamente un fatto, ai fini della propria professione, essi utilizzano una conoscenza di sfondo generata dal contesto culturale,
dalleducazione. Nei circuiti nazionali questa conoscenza di sfondo
considerata comune sia al professionista del diritto, sia ai cittadini.
Tanto il principio ignorantia legis non excusat, quanto le prognosi
di effettivit formulate in sede di confezione dei dettati normativi,
poggiano in modo consistente sulleducazione giuridica folk posseduta in media dalla cittadinanza. Come vivere senza violare la legge
simpara da bambini. una conoscenza integrata nella cassetta degli
attrezzi per luso della vita sociale e fornita a ogni individuo gi nel
contesto familiare56. Cos, quando un giudice o un avvocato ascoltano le storie della gente che devono giudicare o assistere, essi possono
utilizzare il proprio sapere culturale come matrice, come un calco per
comprendere e tradurre gesti e parole altrui. In questo sapere accreditato anche nella mente degli altri, dei cittadini, sono presenti i pi
svariati abiti di comportamento, compresa la conoscenza popolare
dei vincoli posti dalla legge. Ovviamente ci non significa che tutto
sia chiaro, senza zone dombra. Osservare e comprendere gli altri
56
A. Sarat, T.R. Kearns, Law in Everyday Life, The University of Michigan
Press, Ann Arbor, 1995.

119

Mario Ricca

implica sempre e comunque uno sforzo di traduzione, una trasposizione necessariamente metaforica dalla loro mente e dal loro contesto di vita ai nostri. Il risultato sar sempre frutto di una transazione
di senso, gemella dellattivit di traduzione.
Prover a essere ancora pi concreto ed esplicito. Quando un
cliente va dallavvocato per ottenere assistenza, nella maggior parte dei casi non richieder espressamente il tipo di azione legale da
promuovere, magari indicando le norme processuali o sostanziali da
utilizzare. Piuttosto, egli racconter una storia, in parte gi impastata
di nozioni giuridiche, anche se declinate insieme a pratiche di costume, a indirizzi morali, e cos via. Lavvocato sar chiamato a tradurre
il tutto in termini normativi formulando ipotesi che lo spingeranno
a proporre ulteriori domande. In questo modo la situazione di fatto
si chiarir sempre di pi, quindi si definiranno pi precisamente gli
interessi del cliente e, di rimbalzo, prenderanno forma le pi opportune modalit di interpretazione delle piattaforme normative vigenti.
Tutto insieme dar vita a una sintesi integrata di attivit proiettate
verso il futuro, cio verso una soluzione della questione sottoposta
allanalisi dellavvocato.
Lintera sequenza comunicativa e interpretativa adesso illustrata
si svolge usualmente sotto lombrello di codici culturali relativamente condivisi tra le parti coinvolte. Se invece il cliente fosse uno straniero di altra cultura, le cose sarebbero inevitabilmente diverse. In
questo caso, lavvocato non potr dare per scontato che le situazioni
narrate dallo straniero, anche se in perfetta lingua italiana (e non
detto sia sempre cos), abbiano un significato equivalente a quelle
raccontate, magari con le stesse parole, da un italiano medio. Gesti,
cose e parole variano il proprio senso da cultura a cultura. Diversi
sono anche fini e valori. Inoltre, significati diversi supportano fini
differenti e fini differenti inducono a trarre dalle situazioni significati
differenti. Se non possiede i codici culturali del cliente, almeno in
linea di massima, lavvocato come un altro professionista oppure
un giudice rischia di fornire risposte del tutto errate. E non solo.
Lerrore non dipender soltanto dalla falsa interpretazione dei fatti, dalla diversit tra gli schemi cognitivi e culturali rispettivamente
120

Laicit interculturale. Cos?

dellavvocato e del cliente. Esso risulter ulteriormente incrementato


dalla conseguente applicazione dei criteri di qualificazione normativa. Decidere quali norme applicare dipende dalla rappresentazione
che lavvocato riesce a elaborare nella sua mente in ordine ai fatti e
ai fini propri del cliente. Fraintendere fatti e fini pu far sovrapporre
alle situazioni pratiche effetti normativi del tutto incongruenti. Le
conseguenze di questi deficit interculturali possono essere catastrofiche. Un avvocato o, peggio, un giudice cattivi interpreti e maldestri
traduttori possono dimostrarsi due volte traditori. E questo perch
non solo errano nella traduzione, ma anche perch rischiano di conferire al loro errore leffettivit e la certezza promananti dallautorit
e dalla forza coattiva del diritto. Proprio perch usano la legge, anche
se a diverso titolo, hanno entrambi il perverso potere di applicare le
norme a una realt che non esiste, suggellando per sempre il silenzio,
lirrilevanza di quella effettivamente vissuta, compresa, voluta dallo
straniero, sia egli un cliente o un individuo sottoposto a giudizio57.
Per evitare simili problemi fondamentale contestualizzare le
richieste e le narrazioni dello straniero. A tal scopo si rende necessario immergersi con limmaginazione nelluniverso mentale che accompagna il suo pensare e il suo agire. Interpretare le sue parole, i
suoi gesti, secondo gli schemi culturali autoctoni pu produrre fatali
fraintendimenti. Per questo necessario impegnarsi in unattivit di
traduzione interculturale. Essa dovr puntare a precisare i significati articolati dallAltro attraverso la ricerca di equivalenze di senso
con i propri schemi culturali. Lattivit non sar mai neutra. Ogni
trasposizione, qualsiasi trasloco di parole, gesti e significati, da un
dominio culturale a un altro, inevitabilmente implicher una trasformazione58. Un po come accade quando viene generata una metafora.
Ci che accade in questo caso non altro che il trasferimento di una
parola (e di ci che essa indica) da un contesto a un altro. Si prenda
come esempio la frase seguente: quellavvocato una sanguisuga.
Nel trasferimento da avvocato a sanguisuga entrambi i termini
M. Ricca, Norma, autorappresentazione identitaria, memoria culturale art. cit.
M. Ricca, Lombra del diritto art. cit.

57

58

121

Mario Ricca

acquisiranno qualche caratteristica e ne cederanno altre. Sovrapponendosi essi produrranno inevitabilmente un significato nuovo, adatto a descrivere e a dare informazioni circa una situazione particolare,
per molti versi inusuale. In fondo, la creazione di metafore serve
proprio a questo, a interpretare in modo efficace circostanze nuove,
non riconducibili con esattezza alle espressioni linguistiche correnti.
Il linguaggio, attraverso la metafora, viene forzato e sospinto verso
la creazione di nuovi significati per consentire la comprensione e la
descrizione di situazioni nuove.
La trasposizione delle parole da un contesto a un altro somiglia
molto allattivit di traduzione. Bench questa sia orientata a produrre equivalenze di significato, in realt essa trasforma sempre i significati di partenza. E ci avviene semplicemente perch ogni lingua
legata a un contesto di esperienza, a un mondo, a un universo di
senso. Allinterno di esso, il semplice pronunciare una parola evoca
subito uno scenario possibile. Ma gli scenari evocati, ovviamente,
cambiano a seconda degli usi, degli schemi mentali sedimentati nella
memoria, negli schemi comunicativi diffusi nei diversi circuiti sociali e culturali. Creare equivalenze tra parole quindi un modo di
trasporre e sovrapporre esperienze diverse. Circostanza che permette di assimilare lattivit di traduzione anche alla comunicazione tra
persone che parlano la stessa lingua. Nei fatti, ciascuno pu usare le
stesse parole per descrivere e comunicare esperienze differenti. La
comprensione reciproca implica dunque unimplicita traduzione, una
metaforizzazione inconsapevole.
Il processo di sovrapposizione/rigenerazione dei significati appare invece esplicito nella traduzione tra lingue diverse. Tuttavia,
tradurre letteralmente pu spesso produrre gravi fraintendimenti.
Questo perch le equivalenze stabilite dal vocabolario sono spesso
centrate sui significati centrali (o molari). Esse non tengono conto
delle infinite proiezioni contestuali, delle molteplici reti di significato connesse alluso delle parole59. Una traduzione interculturale,
59
R.W. Gibbs, Poetics of Mind. Figurative Thought, Language and Understanding, Cambridge University Press, New York, 1994.

122

Laicit interculturale. Cos?

al contrario, orientata specificamente allesplicitazione dei contesti


di significazione e alla loro lettura incrociata. per questo che essa
risulter inevitabilmente creativa, innovativa. La contestualizzazione
incrociata potr generare equivalenze insospettabili, assai lontane da
quelle stabilite dal vocabolario. A seconda delle culture, ad esempio,
il silenzio assume significati completamente differenti. Tradurre il
silenzio di un orientale, giusto per essere concreti, pu coincidere
in determinate situazioni con una parola o un arcipelago di parole
pronunciate da un italiano. Non difficile intendere, allora, quanto
sia importante nella vita del diritto adottare una prospettiva interculturale. Diversamente, si finirebbero per imputare agli stranieri intenzioni e gesti per nulla corrispondenti a quelli pensati o da loro posti
in essere.
Scegliere quale norma applicare a un comportamento tenuto da
uno straniero dipende dunque dal significato interculturale dei suoi
gesti. Comprenderlo, decodificando in modo avveduto le narrazioni
e le situazioni di vita descritte dal cliente straniero o dallimputato,
pu indurre avvocati e giudici a chiamare in causa norme differenti.
Tutto ci potr condurre alla costruzione di un lessico interculturale,
frutto di traduzioni, metaforizzazioni e transazioni di senso. Pi in
generale, questattivit potr sfociare in un uso interculturale del diritto, cos come farsi vettore di una produzione legislativa modellata
attraverso luso di un lessico giuridico interculturale.
Adottare un approccio al diritto ispirato allinterculturalit apre
la possibilit di utilizzare le piattaforme normative come interfaccia
culturale. Diffondere negli stranieri o nelle persone di diversa cultura
la consapevolezza di poter iscrivere i codici della propria soggettivit allinterno del lessico normativo pu stimolare un senso di coappartenenza alla sfera pubblica. Questa prospettiva, la possibilit di
immaginare il linguaggio giuridico in ascolto della diversit, pu
stimolare a livello sociale la disponibilit a impegnarsi nella produzione di contestualizzazioni culturali incrociate. Dove, al contrario,
proprio dallassenza di traduzioni/transazioni interculturali pu scaturire un uso delle previsioni normative imperialista, non equanime,
ingiusto perch inadeguato. Un uso inevitabilmente incline a iterare
123

Mario Ricca

la predominanza dei gruppi sociali pi forti e a cementare la subalternit e la discriminazione degli appartenenti ai gruppi pi deboli,
migranti in testa. Ma la diseguaglianza nella legge, conseguenza della non responsivit di essa rispetto ai diversi codici culturali presenti
nella platea sociale, laltra faccia della medaglia di un deficit di
laicit dellordinamento. Soltanto la creazione di un lessico interculturale, e quindi di un lessico giuridico interculturale, pu ovviare
alla mancanza di una soggettivit sociale e normativa equanime e
inclusiva delle diversit culturali e religiose. In conclusione pu dirsi
che soggettivit giuridica interculturale e laicit interculturale sono
fattori coestensivi o comunque da considerare strettamente interconnessi in un assetto democratico costituzionale. La loro compresenza
indispensabile a garantire adeguati standard di pluralismo, presupposto indefettibile perch luguaglianza di fronte alla legge possa
dirsi effettiva.
11. Lessico interculturale, equiconvivenza e modernit
Lelaborazione di un lessico interculturale da considerarsi implicazione diretta del progetto politico della modernit. La creazione
di una grammatica della soggettivit laica ha accompagnato sin dagli
albori il manifestarsi del pensiero moderno. Essa venne ottenuta spogliando delle vestigia teologiche molte delle categorie etiche generate
nel grembo del cristianesimo e da esso intrecciate lungo i secoli con
la grammatica della quotidianit, con il vocabolario antropologico
della cultura europea. Nonostante il razionalismo politico moderno
si articolasse in base alla cifra delluniversalit, la sua realizzazione
storica fu culturalmente situata. Il diritto naturale ne fu la proiezione istituzionale, successivamente trasfusa nellesperienza codicistica
dellEuropa continentale. Ma le continuit tra etica cristiana e istituti civilistici e penalistici dei codici moderni sono profonde, almeno
da un punto di vista antropologico. Se la religione ufficiale, la sua
dimensione confessionale/istituzionale venne sfrattata dalluniverso
del diritto e della legittimazione politica, la religione mimetizzata
124

Laicit interculturale. Cos?

con i saperi culturali rimase ben saldamente ancorata sul fondo del
discorso giuridico.
Dissimulando la presenza della religione con unabile strategia
retorica, la modernit giuridica pot affermare la propria discontinuit rispetto al passato. Una discontinuit che appunto faceva rima
con laicit. La parabola del colonialismo propag poi questa finzione
in giro per il mondo. Impose ai popoli non-occidentali un universalismo razionalista popolato da schemi concettuali, abiti e prassi
di matrice cristiana, anche se spacciati come icone di una ragione
antropologicamente neutra, trasparente a se stessa. Ma la lingua del
cosmopolitismo coloniale era in realt un dialetto (culturale).
La fine dellera coloniale e lo sgretolarsi delle aderenze politiche post-coloniali hanno dimostrato comunque che la modernit ha
disseminato se stessa per il pianeta, nel bene, come nel male. Oggi,
il c.d. Resto del Mondo riuscito a impugnare la modernit per il
manico. Ha iniziato cos a utilizzarne i punti di forza a proprio vantaggio, imbastendo una competizione (finalmente) simmetrica con
lOccidente. Questo movimento, distribuito lungo le corsie delleconomia, della politica e della critica antropologica, ha prodotto
una profonda rilettura delle incarnazioni giuridico-istituzionali del
pensiero moderno e in molti casi un processo di appropriazione e
di vernacolarizzazione di esse. Transitando attraverso le critiche di
matrice fondamentalista, gli Asian Values e le rivendicazioni degli
Indigenous Rights, i diritti umani e le istituzioni liberal-democratiche
sono stati recuperati dal linguaggio politico dei popoli e delle culture
non occidentali e reinterpretati. La loro cifra universalistica stata
utilizzata come dispositivo per iscrivere la differenza allinterno di
una piattaforma discorsiva e normativa dotata di immediata risonanza internazionale e cosmopolitica.
Luniversalit delle categorie giuridiche moderne, in un certo
senso, adesso illuminata dal basso e sospinta, a ogni proposta di
reinterpretazione, lungo una linea dorizzonte pi ampia e distante,
ma al tempo stesso pi inclusiva. Il fenomeno indubbiamente non
privo di strumentalizzazioni contingenti. Per molti versi, per,
genuinamente emancipatorio. E questo non solo per chi legge i di125

Mario Ricca

ritti umani o la democrazia provenendo dal Resto del mondo, ma


anche per lOccidente stesso. In fondo, la coincidenza aprioristica tra
identit (occidentale) e universalit finalmente sincrina, spezzando i
legacci che avevano stretto intorno a essa le esigenze del potere coloniale e post-coloniale esercitato dagli stati occidentali sul mondo. La
modernit pu uscire cos dal suo provincialismo, da quel marchio
limitante impresso dallessere (ritenuta) oriunda europea60. Un marchio nientaffatto casuale o impresso inconsapevolmente, che aveva
tuttavia compromesso la realizzazione autentica della cifra universalistica del pensiero moderno e specificamente dellIlluminismo. Tra
occultamenti retorici, dissimulazioni strategiche ed esigenze di continuit storica imposte dalle prassi di governo, il progetto moderno
ha dovuto rinunciare, e comunque ha rinunciato di fatto, al perseguimento spassionato dellideale cosmopolitico. Incarnandosi, anche
per ragioni logistiche, nelle esperienze nazionali e macro-regionali,
la modernit politica e giuridica ha sostanzialmente abdicato allinclusione delle diversit, a un ecumenismo culturale di tipo induttivo
e inclusivo. Tutto allopposto essa divenuta strumento strategico e
mistificatorio al servizio delle mire espansionistiche degli stati nazionali europei. E nel far questo ha subto una sorta di conversione
dialettica. Il suo peregrinare per il mondo annunciava universalismo
e invece propagava (forzosamente) etnocentrismo, cieca imposizione di schemi culturali di matrice cristiano-europea su realt antropologiche del tutto differenti per storia e mentalit. Il risultato stato il
realizzarsi, laffermarsi di una modernit difettiva, incompleta, traditrice di se stessa61. Gli odierni rigurgiti religioso-fondamentalisti
sono il controprezzo inevitabile di una laicit monoculturale esportata ai quattro angoli del mondo e imposta come (falsa) grammatica
della neutralit. Le popolazioni che hanno dovuto sopportare, nel suo
D. Chakrabarty, Provincializzare lEuropa, Meltemi, Roma, 2004; G.K.
Bhambra, Rethinking Modernity; Postcolonialism and the Sociological Imagination, Palgrave Macmillan, New York, 2007.
61
M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dellIlluminismo, Einaudi, Torino,
2010.
60

126

Laicit interculturale. Cos?

nome, la riconformazione dei propri abiti di vita quotidiani, la sottoposizione di essi alle categorie del diritto di derivazione europea,
hanno visto in essa solo un inganno, un fattore di straniamento e di
cesura rispetto al proprio passato. Moderno, ai loro occhi, divenuto sinonimo di statalismo nazionalista e di espansionismo.
La critica alla modernit, ai diritti umani, persino alla democrazia, era ed ancora di fatto una critica alla loro caricatura, a una
pratica di essi aberrante, sovente in netto contrasto con il modello
e lispirazione ideale. Ecco perch si tratta, per alcuni versi, di una
critica salutare. Essa fa salva la modernit da se stessa, dalle sue
incarnazioni perverse. E segna un ulteriore passo in questa direzione
la circostanza che dalla critica antagonistica si sia oggi passati a una
rilettura costruttiva, creativa e pragmatica, pronta a utilizzare quanto
di positivo e vantaggioso pu provenire dalla matrice universalistica
dei diritti umani. Tutto ci costringe il progetto moderno a tener fede
a se stesso, alla sua aspirazione originaria. Recupera pragmaticamente lidea universalistica e le sue potenzialit, che ne fanno un risultato
sempre aggiornabile, un orizzonte costantemente rinnovato piuttosto che unessenza retrostante, qualcosa di reificato e sostantivato in
modo aprioristico e quindi inevitabilmente etnocentrico.
La tendenza a trasformare il discorso dei diritti in un catalizzatore
di diversit culturali va salutata positivamente. Essa tuttavia necessita dessere costantemente assistita da uno sforzo di traduzione interculturale. Diversamente, la generalit delle enunciazioni dei diritti
umani, la loro curvatura universalistica, rischiano di trasformarsi in
un mero pretesto per imbastire contrapposizioni antagonistiche. Il
linguaggio dei diritti, in altre parole, proprio per la sua vaghezza potrebbe diventare, come spesso gi accade, una sponda per articolare
differenze e pretese postulate gi in partenza come intransigibili. I
diritti umani diverrebbero allora un vuoto involucro, suscettibile di
legittimare qualsiasi petizione che si ascriva a essi, al loro spettro
semantico, solo per autoaffermarsi nellagone politico interno e internazionale. A queste condizioni essi significherebbero tutto e niente, mero strumento per consentire lassolutizzazione delle differenze,
anzich una loro sintesi inclusiva e transattiva. A evitare questa deri127

Mario Ricca

va pu giovare solo uno sforzo di costante di traduzione. Un compito


da condurre a partire dalle scansioni della quotidianit, dagli abiti
densi di spessore antropologico-culturale, gli stessi regolati dalle silenziose proiezioni etico-giuridiche delle ortoprassi di derivazione
religiosa sedimentate nel bacino mnestico di ogni cultura e di ogni
soggetto individuale. Lungo il processo di traduzione i diritti umani
potranno utilmente servire da interfaccia di traduzione, aprendosi a
letture multiprospettiche e multivocali. Il pericolo di una loro strumentalizzazione a mano libera, incontrollata, in tal caso verr escluso. Questo perch essi potranno essere invocati in modo situato, cio
allinterno di una cornice semantica preimpostata dagli sforzi di traduzione tra gli schemi dellagire comune diffusi nelle diverse enciclopedia culturali di volta in volta poste a confronto. La loro chiamata in causa, in altre parole, sinnesterebbe lungo il filo di continuit,
di possibili equivalenze, che il fine della traduzione interculturale
avr gi tracciato tra le differenze62. In questo modo, i diritti umani
e pi in generale il diritto stesso potranno servire a generare corsie
semantiche e assiologiche di condensazione e transazione tra le diversit culturali, anzich fungere da sponda per un loro esasperato
irrigidimento in chiave antagonistica.
Le dinamiche internazionali e macropolitiche che si agitano attorno alle letture interculturali dei diritti umani trovano una sorta di
proiezione, di rispecchiamento, nei contesti migratori e nelle societ multiculturali da essi generate. Oggi, dentro il cuore degli ambiti
nazionali si riproduce il dilemma di dover tener fede alla cifra universalistica della modernit. La stessa cifra universale che gli stati
nazionali occidentali trovano scolpita nelle proprie assi di legittimazione, cio nel lessico costituzionale. Qui, nel nucleo denso delle reificazioni nazionalistiche del Moderno, questo viene messo di fronte
a se stesso e alla sua originaria cifra universalistico-cosmopolitica.
LAltro che arriva propone la propria differenza e tenta di iscriverla
nel linguaggio dei diritti fatto proprio dalle Carte costituzionali. La
lettura provincialistica di quel linguaggio, consentita dal localismo
M. Ricca, Oltre Babele cit.; Id., Lombra del diritto art. cit.

62

128

Laicit interculturale. Cos?

delle precedenti reificazioni della modernit politica, sottoposta


cos a una vera e propria prova da stress. Prova che i rigurgiti xenofobi, tradizionalisti e pseudo-religiosi di alcune democrazie occidentali (compresa quella italiana) dimostrano di poter non superare.
Ma, se cos fosse, se la possibilit di creare un lessico interculturale
non si realizzase, la prospettiva di unequi-convivenza tra le diversit culturali rischierebbe di tramontare. E ci segnerebbe il tracollo
degli ideali moderni e non una vittoria dellOccidente, semmai la sua
sconfitta definitiva. Gli ideali universalistici, democratici e persino
il costituzionalismo liberale, dimostrerebbero di non poter resistere
allimpatto (domestico) con la differenza culturale. A conti fatti, si
paleserebbero come nulla pi che una meta-narrazione etnocentrica,
una delle tante mitologie fondative partorite dalle pi diverse civilt
nel corso della storia umana. Nulla pi che una ricetta locale sfruttata
a scopi egemonici.
Quel che pi grave sta nel fatto che la sconfitta si maturerebbe
proprio sul terreno della convivenza quotidiana. Essa coinciderebbe,
guardata pi da vicino, con lincapacit di generare, di inventarsi un
modello di soggettivit sociale e giuridica inclusiva, rinegoziata a
partire dalle differenze culturali e dalle matrici religiose mimetizzate
al loro interno. Unincapacit, si badi, ulteriormente alimentata dalle
ricette multiculturaliste, spesso impegnate in una forma di soggettivizzazione della tutela normativa, persino in materia penale. Proprio
in nome della multiculturalit vengono spesso erogate eclatanti forme di riconoscimento della diversit culturale, talora rivolte a consentire comportamenti apparentemente inconciliabili con la cultura
dominante e con il codice assiologico degli ordinamenti. Oltre lapparente apertura pluralistica e relativistica, esse nascondono tuttavia
un nocciolo amaro, che ne lesoso controprezzo. Dar spazio alle
differenze senza tentare n di tradurre, n di transigere, rafforza gli
stereotipi, la reciproca estraneit culturale tra i gruppi. Ma non solo.
In realt, dispositivi multiculturalisti come, ad esempio, le c.d. cultural defences sono spesso uno specchietto per le allodole. Essi concedono su un fronte soltanto per impedire dallaltro la rinegoziazione
a vasto raggio delle categorie di fondo della soggettivit giuridica e
129

Mario Ricca

sociale, forgiata invece a immagine e somiglianza dei gruppi socialmente dominanti e dei loro modelli di soggetto. Anzich aperture, in
realt, quelle concessioni sono bavagli, accettati in cambio di riconoscimenti concernenti comportamenti che orbitano alla periferia del
sistema sociale complessivo o connotano lesistenza relativamente
chiusa di sparute minoranze. Non di rado, si tratta di concessioni
operate in cambio di consenso politico strumentale o, comunque, di
una neutralizzazione della critica o della contestazione ai poteri forti.
La creazione di un lessico interculturale, rivolto allesigenza di
assicurare una laicit interculturale, si muove nella direzione esattamente opposta. Esso punta alla predisposizione di una piattaforma
giuridica inclusiva delle differenze in ordine agli snodi di fondo della convivenza sociale e alle connesse modalit di categorizzazione
normativa. Produrre questo lessico allinterno dei circuiti nazionali
costituirebbe un passo decisivo verso la realizzazione effettiva e autentica degli ideali moderni, laicit compresa. Un passo ciclopico,
se considerato nelle sue implicazioni sul piano dei rapporti internazionali e dei confronti interculturali che in essi prendono forma. I
contesti migratori insomma sono da considerarsi come miniature del
pianeta e delle sue diversit antropologico-culturali. Una palestra/
laboratorio per la storia futura, per un futuro presente.

130

Perch ho scritto un libro di Diritto ecclesiastico

Perch ho scritto un libro di Diritto ecclesiastico


e lho intitolato Diritto e religione
di Pierluigi Consorti

1. Il libro sul quale mi si chiede di tornare a riflettere nasce da unesigenza principalmente didattica. Disponiamo di diversi ottimi manuali; eppure nessuno mi sembrava adatto per sostenere adeguatamente
la mia funzione didattica. Molti sono stati immaginati e scritti in un
momento storico molto diverso dallattuale: non sempre sono aggiornati; inoltre, siccome riportano un quadro completo delle diverse
materie oggetto della nostra disciplina, spesso non risultano adeguati
al nuovo sistema dei crediti. Mi sembrava scorretto suggerire agli
studenti lacquisto di un librone per ritagliarne poi alcune parti,
sacrificandone in definitiva limpianto e togliendo qua e l la parola
allAutore. Alcuni testi pi recenti sono stati peraltro espressamente
immaginati per un pubblico pi vasto dei soli studenti universitari. Sono rivolti agli aspiranti avvocati e perci privilegiano aspetti
tecnici e mancano di un apparato di rinvio alla dottrina: lefficacia
concorsuale provoca cos un difetto difficilmente colmabile per un
libro che deve essere messo in mano ad uno studente universitario.
Le recenti riforme ci hanno costretti a contrarre e velocizzare i
tempi di insegnamento. Abbiamo in assoluto meno tempo per parlare
di quello che ci sembra essenziale, e dobbiamo farlo pi in fretta.
Per questo durante il Corso ho deciso di privilegiare alcuni temi rispetto ad altri, soffermandomi su quelli che ritenevo pi formativi e
maggiormente caratterizzanti il metodo di indagine pratica che un
giurista in assoluto e, a mio modo di vedere, un ecclesiasticista soprattutto, deve incarnare. Penso che il nostro compito di docenti universitari sia quello di rendere chiari i principi di riferimento offrendo
agli studenti, e pi in generale a chi si interessa delle nostre materie,
delle chiavi di lettura che consentano di intervenire in modo profes131

Pierluigi Consorti

sionale nei singoli casi che possono incontrare nella loro vita. Sono
peraltro convinto che i tratti pi affascinanti del Diritto ecclesiastico
non si trovano in singole questioni specifiche (che probabilmente gli
avvocati o i giudici incontreranno poche volte nella loro vita professionale), ma in quellampio sguardo dinsieme che vede da sempre
questa materia intersecata non solo con le altre discipline giuridiche,
ma con pi vasti settori di interesse come quello storico, filosofico
o antropologico.
Siamo giuristi e per questo maneggiamo il diritto (o forse linverso), ma ci interessiamo di religione e questo ci aiuta a non soffrire
troppo il limite che spesse volte incontrano i nostri Colleghi giuristi, che finiscono per restare avvolti in un sistema tendenzialmente
autoreferenziale. Il diritto rischia di diventare un ambito di riferimento potenzialmente totalizzante. Le regole per dirla con Rodot
prevalgono sulla vita. Talvolta anche il rigore metodologico che
contraddistingue i giuristi diventa uno strumento per proporre una
sorta di catecumenato esclusivo (ed escludente). Com noto, non
c insulto peggiore di dare del sociologo ad un giurista; oppure
lo studio di certi temi viene delegato allantropologo, giacch noi
dobbiamo salvaguardare la specificit giuridica. Credo per che
sia impossibile trattare giuridicamente i temi che ci riguardano senza chiedere aiuto allindagine sociologica piuttosto che a quella antropologica. Abbiamo bisogno di molta storia e filosofia; una buona
formazione teologica non guasta. Il nostro termine di riferimento
giuridico infatti la religione. Torner sul punto.
2. Come ho detto, nel corso degli anni ho cominciato a selezionare
ed approfondire quegli argomenti che, a mio modesto avviso, costituiscono il cuore di quello che come giurista che si interessa di
questioni religiose vorrei comunicare. Per questa ragione il mio
libro non un manuale: almeno non nel senso classico del termine.
Ritengo per che abbia un significativo valore didattico, lesperienza dimostra che gli studenti di Giurisprudenza (e ancor pi quelli
di Scienze politiche) lo trovano persino avvincente. Questo perch
non si limita a fornire al lettore il quadro di riferimento normativo
132

Perch ho scritto un libro di Diritto ecclesiastico

o giurisprudenziale degli argomenti presentati, ma propone un coinvolgimento personale. Lo studente si vede chiamato a ragionare per
costruire un proprio percorso di riflessione, sulla base di dati giuridici inseriti in un contesto pi ampio di riflessione che parte dallesame
della vita quotidiana. Per questa ragione ho accettato di buon grado
la proposta dellEditore di inserirlo nella Collana Manuali.
Nel mio caso il rapporto con lEditore ha una certa importanza;
perci vorrei fermarmi un momento su questo punto. Come ben sappiamo, laccademia produce libri. Il libro anzi, la monografia
costituisce un passo ineludibile per chi voglia appartenere allUniversit. Quella che un tempo era una legge non scritta, oggi un
elemento formalizzato (in termini di mediane). Per questo motivo
gli aspiranti docenti universitari sono portati a scrivere libri per i
concorsi, di modo che chi scrive si rivolge principalmente ai suoi
futuri valutatori, oppure ai propri pari. Opere eccellenti, insieme ad
altre meno lusinghiere, vengono cos inserite in Collane universitarie
i cui costi (ingenti) di pubblicazione sono in genere sopportati dallUniversit stessa (se non addirittura dallAutore). una strada ben nota,
che anchio ho seguito ad esempio per il volume sul sostentamento
del clero ma che ho volentieri abbandonato appena ho avuto lopportunit di scrivere libri adatti al mercato editoriale. Con tutti i pregi
e i difetti che ne derivano. Del resto ogni libro ha i suoi limiti; ed ho
accettato molto volentieri la sfida di pubblicare un libro destinato a
lettori normali. Lho considerata unopportunit da non perdere.
Sapevo bene che pubblicare questo libro poteva essere rischioso.
Avrei fatto meglio ad aspettare, magari pubblicando prima una monografia settoriale, concorsualmente pi redditizia. Non sarei per
riuscito a parlare di Diritto ecclesiastico in termini altrettanto chiari
di come ho potuto fare in un libro espressamente dedicato ai rapporti
fra diritto e religione. Costruire questo libro mi piaciuto moltissimo, perch rappresenta bene il modo in cui concepisco il Diritto
ecclesiastico. In un certo senso procedendo (secondo me in avanti)
lungo la strada della mia formazione iniziale, provando a prendere
una direzione che ritengo utile (se non indispensabile) per mantenere
viva una tradizione che corre il rischio di restare travolta dal tempo
133

Pierluigi Consorti

che scorre, e cha gi adesso per molti versi ritenuta da tanti insignificante.
3. La scelta del titolo Diritto e religione non quindi casuale.
Il convegno odierno dimostra che non sono stato molto originale.
Prima del mio solo Mario Ricca aveva chiamato cos un suo libro di
Diritto ecclesiastico: dopo di che Luciano Musselli, Valerio Tozzi,
Gianfranco Macr, Marco Parisi (e poi Sara Domianello, Roberto
Mazzola, Alessandro Ferrari, Maria Cristina Ivaldi, Antonello De
Oto, Daniela Milani, Ivan Iban) hanno usato la stessa espressione.
Non so quali ragioni abbiano spinto gli altri Colleghi ad usare questa locuzione, ma vorrei chiarire che per me la scelta non stata
indolore. Credere che si tratti di un aspetto meramente nominalistico
sarebbe limitativo. Ero certo che non lavrei chiamato Diritto ecclesiastico. In primo luogo perch non fosse confuso con un manuale
tradizionale o con un testo per concorsi [Chi acquista un libro chiamato Diritto ecclesiastico ha diritto a veder soddisfatta laspettativa di trovare un manuale completo che lo aiuti a districarsi nella materia con metodologia e sistematica tradizionale. Ricordo che quando
fui chiamato a far parte della commissione per lesame di stato un
magistrato che interrogava in Diritto ecclesiastico quando io non
ero presente mi disse: Quando tu parli di Diritto ecclesiastico apri
orizzonti. Quando interrogo io non c pathos. Parlo sempre la stessa
lingua dei candidati: abbiamo studiato tutti sul Simone!. Per me fu
un bel complimento (ma va detto che lo spettro di tenere in vita il
Diritto ecclesiastico grazie agli esami di Stato e ai Manuali Simone
continua ad aggirarsi per lItalia!)].
Nemmeno sono stato spinto dalla volont di differenziarmi. Ero
piuttosto condizionato dalla scarsa capacit comunicativa che attribuisco alla locuzione Diritto ecclesiastico. Secondo me, chi acquista un libro chiamato Diritto ecclesiastico o gi sa cos il Diritto
ecclesiastico, o costretto a comprarlo perch deve sostenere un
esame di Diritto ecclesiastico. Desideravo piuttosto rivolgermi a chi
non sa cos il Diritto ecclesiastico: e per raggiungere questo obbiettivo lespressione Diritto e religione mi sembrava certamente pi
134

Perch ho scritto un libro di Diritto ecclesiastico

affabile. Per la verit avevo pensato di intitolarlo Laicit, diritto e


religione. Che mi sembrano i poli attorno ai quali ruotano le nostre
riflessioni. Ed infatti ho dedicato un intero capitolo ad approfondire
questo tema, che tuttavia non esaurisce il contenuto del libro.
LEditore mi ha quindi convinto ad usare solo i termini Diritto
e religione: non ci ha messo molto. Quando mi capita di rispondere
ad una domanda sui miei interessi, per evitare fraintendimenti, da
anni dico solo Diritto. Evito cos di dovermi sobbarcare la fatica di
spiegare cosa sia il diritto ecclesiastico. Credo di avere a che fare con
gente normalissima, che non sa cosa sia il Diritto ecclesiastico, ma
coglie al volo il fascino dellintreccio implicito che lega la dimensione religiosa e quella della prassi quotidiana, in cui il diritto gioca un
ruolo decisivo in termini sia espliciti sia impliciti.
4. Usando lespressione Diritto e religione ho anche preso una posizione netta nel dibattito che serpeggia fra i docenti di Diritto ecclesiastico (e canonico) circa il nomen della disciplina. Dipendesse da
me, abbandonerei senza esitazione la locuzione ottocentesca Diritto
ecclesiastico. La sua intraducibilit oltre le frontiere europee (ma
forse solo spagnole) mi pare gi unottima ragione. Lecclesiastical
law il diritto canonico anglicano: di cui in genere non ci curiamo se
non in via eccezionale. Ci interessiamo invece di law and religion.
Non ne faccio una mera questione terminologica o da interpreti/traduttori. La faccenda tocca da vicino i contenuti.
Le attuali relazioni che legano diritto e religione nelle odierne
societ multiculturali non hanno molto a che vedere con le logiche
verticali dei rapporti fra Stato e Chiesa/e, che hanno monopolizzato
i secoli passati fino agli anni pi recenti, e che hanno condizionato
pure il Diritto ecclesiastico e gli ecclesiasticisti. Identificarci oggi
con gli studiosi dei rapporti giuridici fra Stato e confessioni religiose
quasi fossimo gli esperti delle faccende concordatarie (o affini)
mi sembra un errore. La nostra preoccupazione sostanziale dovrebbe
restare la tutela e la promozione delle libert, prima fra le quali quella
di religione; di cui indaghiamo gli aspetti giuridicamente rilevanti.
Per poterlo fare dobbiamo restare in ascolto della vita vera; e, consa135

Pierluigi Consorti

pevoli della limitatezza del nostro campo, farci aiutare da sociologi,


antropologi, storici e via dicendo.
Per tradizione disciplinare conosciamo qual il contenuto della relazione che il diritto intreccia col potere, specie quello religioso, e ne abbiamo indagato la dimensione giuridica. In questo senso
abbiamo molto da dire a chi studia o si interessa di questi aspetti;
spesso affrontati senza attribuire la giusta importanza allelemento
giuridico. Se torneremo ad avere come punto di riferimento la tutela
e la promozione delle libert i nostri studi potranno recuperare la
centralit che vanno perdendo, perch torneranno ad interessarsi di
questioni che toccano la vita concreta di tutte e di tutti.
E proprio guardando a questa vita concreta incontriamo quotidianamente la sfida che ogni giorno affronta chiunque voglia autodeterminarsi liberamente. Questa lotta per la libert di essere se stessi, che
un tempo si giocava principalmente in termini di libert religiosa,
oggi si estende in altri campi, che a buon diritto possiamo coltivare.
I termini dei problemi identitari toccano ancora lappartenenza religiosa, ma in modo analogo attraversano le opzioni culturali o politiche, come anche quelle di genere, che interessano il diritto come (se
non pi di) quelle religiose (basti pensare al matrimonio fra persone
dello stesso sesso o alla questione dei simboli, alle varie opzioni di
coscienza). La lotta per essere se stessi si concretizza in un impegno
che d luogo ad un insopprimibile incontro fra la dimensione etica
che contrassegna la vita di tutti e le regole che il diritto non solo
propone, ma impone. Mi pare che su tale versante chi si interessa di
diritto e religione debba coprire una posizione di primo piano che
lecclesiasticista inteso in senso tradizionale non sempre ha il
coraggio di tenere.
peraltro vero che assistiamo ad una rinascita di interesse per le
tematiche religiose. La religione non morta, come qualcuno profetizzava. Le questioni religiose sono continuamente sulle pagine dei
giornali, spesso associate alla dimensione dei conflitti: dal terrorismo
internazionale alle polemiche interne tra forze politiche e istituzioni
religiose, alla scissione fra religione e cultura. A mio avviso questo
rinnovata centralit religiosa non dipende tanto dalla rinascita del
136

Perch ho scritto un libro di Diritto ecclesiastico

senso religioso, quanto da una pi profonda risistemazione dei rapporti tra le esigenze etiche dellumanit e lo spazio delle scelte politiche. Investe direttamente il processo di secolarizzazione che nonostante le apparenze pi vistose tocca lOccidente quanto lOriente
caratterizzando la globalizzazione di cui tanto si parla.
Pi che alla rinascita del religioso, stiamo assistendo alla rinascita
dellindividualismo, con conseguenze da approfondire sul lato della ridefinizione delle identit. Tale circostanza si accompagna a una
accentuazione del pluralismo religioso e culturale che rende sempre
meno frequenti le ipotesi di monismo religioso alle quali eravamo abituati e sulla base delle quali abbiamo costruito le regole della
convivenza civile. Ormai nessuna parte del mondo (salvo, forse, lo
Stato del Vaticano!) vede vivere (in un solo Stato-ordinamento giuridico) una sola confessione religiosa o una sola ideologia religiosa.
In Italia il rapporto fra religione e diritto, che fino a pochi anni fa
era quasi totalmente assorbito dalle dinamiche relazionali fra Stato e
Chiesa cattolica, presenta contorni del tutto nuovi. Le ipotesi conflittuali pi concrete vale a dire con minore spessore ideologico si
registrano soprattutto verso la presenza di comunit non omogenee al
tradizionale contesto culturale italiano. In modo particolare verso gli
islamici, nei confronti dei quali ci si ostina a non ritenere ripetibile
la soluzione negoziata adottata con altre, ben pi piccole, confessioni religiose. Alimentando cos un conflitto culturale che sembra
rafforzato proprio dalla differenza religiosa, vissuta come problema
invece che come opportunit. Di fronte a tale conflitto il legislatore
tace, lesecutivo esprime unesplicita tendenza giurisdizionalista, e
la dottrina spesso balbetta.
Se da un lato gi disponiamo degli strumenti di base per affrontare tali problemi, dallaltro lato credo dobbiamo ancora dotarci di attrezzi che ci aiutino nellanalisi dei fenomeni e nella individuazione
delle strade che consentono di proporre soluzioni efficaci. I conflitti
rischiano di scalare in forme violente e le possibilit di incontro si
trasformano in scontri. In tale contesto dovremmo proporre il dialogo laico inteso tanto come valore quanto come metodo interpretandolo come strumento formidabile di gestione dei conflitti. Qui sia137

Pierluigi Consorti

mo nel cuore del rapporto fra diritto e religione: non mi sembra che
tali sfide possano essere affrontate mediante il tradizionale schema
della relazione fra ordinamenti. Penso perci che il diritto ecclesiastico tradizionalmente inteso abbia bisogno di rinnovarsi e di aprirsi
verso nuove frontiere.
5. Il mio libro ha lambizione di entrare dentro questi temi che il collega Mario Ricca da tempo sollecita ad approfondire nella dimensione interculturale. Ragioni editoriali mi hanno impedito di affrontarli
con la distensione che avrebbero meritato. Per il momento ho potuto
solo proporre suggestioni in pillole, che mi ripropongo di sistemare in una futura (non lontana) edizione del libro. Sono convinto
che abbiamo bisogno di un approfondimento culturale che ci aiuti a
guardare un po pi lontano del nostro cortile. Per convivere in pace
dobbiamo sforzarci di conoscere meglio gli altri. Dobbiamo perci
riprendere a studiare per entrare in dialogo con un dibattito pi largo che vede talvolta i giuristi in una posizione marginale. Abbiamo
qualcosa da dire; tirarsi indietro significherebbe addossarci colpe che
possiamo ancora evitare di caricarci.
In questo senso non solo mi pare che sia sempre pi necessario
impostare i rapporti tra diritto e religione in termini di promozione
della libert personale e collettiva, quanto di insistere sul fatto che
questa esigenza si presenta come una diretta conseguenza della dignit umana. questultima che fonda le pretese di libert, ed al
tempo stesso impone al diritto di assecondarle.
Tali esigenze di libert devono peraltro a loro volta liberarsi dal
paradigma verticale proprio delle relazioni apicali fra Stato e soggetti
religiosi che ha condizionato il Diritto ecclesiastico tradizionale. Il
ricorso alle intese, recentemente ripreso in termini ancor pi sciatti
del passato, conferma la tendenza a conservare tali relazioni nello
schema degli accordi fra poteri che contrattano provvidenze economiche, lasciando da parte le risposte politiche e in quanto tali, poi
giuridiche richieste da una societ sempre pi multiculturale. Tale
questione non una mera conseguenza dei recenti fenomeni migratori. Laccentuazione del pluralismo religioso e culturale in parte
138

Perch ho scritto un libro di Diritto ecclesiastico

indipendente da questi aspetti. anche il frutto di una societ secolarizzata che presenta domande nuove alle quali il multiculturalismo
non ha saputo dare risposte.
Da questo punto di vista la mia scelta esce rafforzata. Attraverso
lo spostamento dellattenzione verso i fenomeni identitari socialmente pi rilevanti e conflittuali, intendo prendere parte per un cambiamento di orizzonti fondato sulla solida tradizione del Diritto ecclesiastico, che mi piacerebbe condurre verso spazi pi larghi che
contemplano lo studio dei rapporti fra diritto e religione.

139

Parte seconda
Commenti sulle opere considerate

Diritto e religione, di Macr, Parisi e Tozzi

Diritto e religione, di Macr, Parisi e Tozzi


di Rinaldo Bertolino

La felice occasione di questo Incontro pisano, intelligentemente pensato e voluto dai colleghi Tozzi e Consorti, consente una opportuna
riflessione sullo stato attuale della disciplina del Diritto ecclesiastico,
per come rappresentata in quattro importanti manuali di edizione
recente. A me toccata la fortunata opportunit di riflettere sul libro
Diritto e religione, di Gianfranco Macr, Marco Parisi e Valerio Tozzi.
Dico subito che il libro, piccolo per mole, invece ricco di contenuti; suscita interesse, perch capace di sintesi sempre adeguatamente motivate e di dettagliate analisi critiche; merita di essere studiato,
nellinsieme e negli specifici aspetti dei temi trattati.
Un libro-frontiera, che colloco volentieri tra passato e futuro della
disciplina del Diritto ecclesiastico: esemplare anche per la metodologia di collaborazione adottata dagli autori, colleghi di et diversa
e di differente qualificazione accademica, in cui Maestro e allievi si
pongono allo stesso livello e riescono in una armonica sintonia sui
temi trattati, attraverso un evidente e fecondo dialogo nella ricerca
comune.
Meno appropriato ritengo per contro il titolo affidato al volume,
soprattutto se voglia essere come nelle intenzioni degli autori
la proposta per una nuova denominazione scientifico-didattica della
classica disciplina del Diritto ecclesiastico.
Anchio la penso ormai bisognosa di modifica e di innovazione;
ma continuo a pensare preferibile la denominazione diritto delle religioni o, meglio ancora, diritto pubblico delle religioni, con luso
del genitivo sia nel modo oggettivo che in quello soggettivo.
In forma soggettiva, perch in tal modo si pu rispondere sostanzialmente agli interrogativi della religione e delle confessioni; in
modo oggettivo, perch la religione svolge funzioni sociali, etiche e
143

Rinaldo Bertolino

civili, rilevantissime nella vita di ogni ordinamento giuridico statuale


o sovranazionale, le cui analisi e regolamentazione bene sattagliano
alla logica, metodologia e, appunto, normazione giuridiche.
Il libro viene presentato come una semplice introduzione allo studio della disciplina giuridica italiana del fenomeno religioso; ma a me
sembra molto di pi. Coglie infatti e li studia adeguatamente nella
loro evoluzione quasi tutti gli elementi della materia ecclesiasticistica: i fattori storici e la disciplina costituzionale, raffrontata, nelle pagine di Macr e di Parisi, con la normazione e la dimensione europee.
Tutte le sue pagine sono ispirate e sorrette dalla forte passione
civile degli autori, che hanno come convinto traguardo la migliore
giustizia, sotto i profili della uguaglianza e della libert dei consociati, nella disciplina del loro credo religioso individuale. Dal canto mio
sottolineerei per lesigenza della tutela anche di quello collettivo,
convinto come sono della piena condivisione sul punto di Valerio
Tozzi, il quale non casualmente scolpisce un perfetto medaglione
della figura del giurista (mi augurerei, comunque, di quella dellecclesiasticista) e della sua funzione, richiedendo (p. 84) chegli sappia
operare nel senso dellequilibrio del sistema, con tutta la ricchezza
della attualit dello svolgimento del suo compito, ma [quanto preziosa risulta questa notazione] con i limiti della fallibilit delluomo.
Ricerca, dunque, di un equilibrio nella politica e nella legislazione del fatto religioso. Trovo pertanto del tutto condivisibile il rifiuto, evidenziato con molta forza nel testo, della teoria e del metodo
dei cosiddetti diritti riflessi in materia religiosa, cari al guardasigilli dellinfausta epoca fascista Alfredo Rocco, con cui si arrivati
facilmente a negare fondamentali diritti della persona e la sua libert religiosa. A pagina 33 si incontra un giudizio molto fermo al riguardo: la fede delle persone (se ortodossa), scrive Tozzi, cess
di essere un diritto per divenire manifestazione di appartenenza alla
patria, espressione del carattere nazionale e identificata con i voleri dellautorit ecclesiastica, cui venne affidata la rappresentazione
istituzionale degli interessi e dei bisogni delle persone; la religione
divenne nuovamente un problema di relazioni fra Stato e Chiesa
cattolica.
144

Diritto e religione, di Macr, Parisi e Tozzi

La considerazione, sicuramente condivisibile, si accompagna


peraltro ad una valutazione negativa di tutta la (e di ogni) politica
concordataria: di quella del 29, ma anche dellapprezzamento datone nellart. 7 e, di riflesso, pure nellart. 8 della nostra Costituzione
repubblicana.
C, in verit, un interrogativo di fondo, decisivo, nelle pagine del
volume, che lo accompagna e motiva. Lo si trova a pagina 135: In
una societ pluralista e multiculturale, fondata sul principio delluniversalit della dignit della persona umana e del radicamento dei
diritti inviolabili delluomo, ivi compresa la libert religiosa, ancora accettabile che i rapporti sociali a carattere religioso siano disciplinati da leggi civili che perpetuano il modello dei diritti riflessi, tutelando la libert religiosa della persona prevalentemente attraverso
il patronnage delle confessioni religiose?.
La risposta che Tozzi e i coautori del libro danno negativa: essi
parlano infatti della sola strumentalit dellattenzione istituzionale
alle organizzazioni religiose rispetto alla esigenza primaria della promozione della persona umana. Per giungere a questa conclusione si
guarda al quadro costituzionale italiano, i cui solenni principi frutto
della mediazione di diverse istanze politiche debbono essere interpretati secondo il modello della loro enunciazione aperta. Consiste in
questo, infatti, lattualit della funzione del giurista, che deve sapere
interpretare e attuare i principi in maniera flessibile, capace di farne
corrispondere i contenuti alle effettive condizioni politiche e sociali
dellordinamento. Ma poich assodato che la persona umana a
fondamento della organizzazione dello Stato e dei suoi poteri; che
esiste un inderogabile principio personalista nella filigrana connettiva del nostro testo costituzionale; che la persona umana diviene
loggetto diretto dellattenzione dellordinamento e [che] la socialit
delluomo, anche in materia religiosa, viene riconosciuta come sua
dimensione normale, da tutelare al pari dellindividualit (p. 38),
ne deriva (ivi) una tutela diretta dei bisogni dellindividuo ed una
tutela delle formazioni sociali nelle quali si realizza la personalit
umana, diretta ma strumentale al bene primario, che appunto la
tutela della persona umana stessa.
145

Rinaldo Bertolino

Questa posizione rafforzata dalla necessaria interazione tra il


diritto interno del nostro ordinamento anche di quello di rango costituzionale e la normazione europea, della quale trattano Macr e
Parisi. V, in effetti, una profonda consonanza di pensiero tra questi
autori e Valerio Tozzi; specialmente l dove Macr scrive (p. 103) che
lidentit europea ritrova nel super valore della dignit della persona umana [] il suo nucleo duro costituzionale in vista della costruzione della nuova casa comune, o, anche (p. 107), questo valore
applica metodologicamente alla new governance europea, la quale
muoverebbe dai bisogni religiosi delluomo, collocando sullo sfondo
le diverse forme organizzate delle religioni, che sono anchesse si
riconosce portatrici di bisogni, ma non necessariamente coincidenti con quelli dei rispettivi seguaci.
Anche la giurisprudenza e le fonti normative europee, studiate da
Parisi, riconoscono innanzi tutto i diritti delle persone, senza ipotizzare convenzioni o norme particolari di protezione per le chiese.
Secondo gli autori del volume, dunque, sia la nostra normativa
costituzionale interna che il diritto sostanziale e la giurisprudenza
europei concorderebbero sulla preminenza della persona (e della sua
dignit), dei suoi bisogni e del suo credo e sentire religiosi, rispetto
alla presa in considerazione della dimensione organizzativa e societaria del fenomeno religioso.
Su questo punto sorgono per mie perplessit e il dissenso con la
posizione degli autori. Se anche si ammetta, infatti, che le considerazioni sopra riportate siano esatte, ove si voglia attualizzare (per usare
lespressione cara a Tozzi) un diritto giusto in materia di diritto e di
politica ecclesiastica, permane sempre, invero, lesigenza di ricercare il giusto punto di equilibrio tra il momento della individualit e
quello comunitario e sociale del fenomeno religioso.
Questa esigenza impone che non si possa prendere in considerazione soltanto il singolo, con pregiudizio delle confessioni religiose,
ignorando e svuotandone la realt storica, pregiuridica e, pure, quella
giuridico-istituzionale. fuor di dubbio che il principio di attualit,
nella societ odierna caratterizzata da uno spiccato soggettivismo,
porti a privilegiare la dimensione individuale del sentire religioso.
146

Diritto e religione, di Macr, Parisi e Tozzi

Ma lo dico da canonista essa non esaurisce la realt di quel momento, n, appunto, corrisponde appieno alla realt storico-sociale.
Intanto, non condividerei ma ci non sta scritto nel libro n
appare essere nelle intenzioni dei suoi autori che si consideri la persona uti individuus soltanto, dimenticandone la dimensione sociale,
quella sua uti socius. che, proprio dal punto di vista religioso, la
professione individuale, il solo sentire soggettivo, il riferimento unicamente personale allEssere supremo nel che certamente la pi
convinta e coerente espressione di una fede religiosa non (ormai)
adeguata a rappresentare correttamente le realt religiosa, di quella
almeno delle chiese cristiane; certo non della Chiesa cattolica.
Se, nel passato, il pensiero liberale pretendeva di riconoscere e di
apprezzare il solo vissuto individuale del credente, voluto paradossalmente quasi solipsistico, oggi non pu pi essere cos. La Chiesa
del Vaticano II ha obbligato a una aggiornata riconfigurazione critica
del proprio ordinamento; ha offerto di s una dimensione societaria
pi completa e forte (quella del popolo di Dio); ha riscoperto il valore della comunit della communio rispetto alla fede e alla posizione del singolo christifidelis. Si tratta oltretutto di una dimensione
societaria, che in una corretta visione teologica ed ecclesiologica,
non pu ridursi a quella storica soltanto, dovendo configurarne la
coessenziale realt escatologico-sacramentale: la Chiesa, appunto,
come Ursakrament (K. Rahner).
Non intendo introdurre qui il tema, pur importante, della configurazione giuridica dellappartenenza confessionale, che Silvio Ferrari, in dissenso con Valerio Tozzi, accredita a manifestazione di una
pubblica identit. Guardo a profili di sostanza; a come possa e debba essere un corretto, nuovo sentire religioso, il quale per essere
tale non pu essere soltanto individuale: non si d, infatti, sentire
religioso ove manchi la religio; ove manchi, cio, la configurazione
societaria, lappartenenza comunionale alla Chiesa.
Mi limito a probanti esemplificazioni e momenti di vita della e
nella Chiesa cattolica, nella quale si pu ben dire che non esista il
christifidelis senza di questa, e che non esista la Chiesa senza la persona del fedele, nella sua identit e autonomia. Ma lappartenenza
147

Rinaldo Bertolino

alla Chiesa, la qualificazione del soggetto come christifidelis, lacquisizione stessa della sua personalit giuridica avvengono nel battesimo (can. 96), il quale sacramento e strumento proprio alla istituzione e di questa costituisce la insostituibile via di ingresso. Se, poi, il
battesimo (da non intendersi, ovviamente, in modo solo anagrafico)
il momento iniziale della fede religiosa individuale, la partecipazione
piena del credente, quella vera, alla vita comunitaria della Chiesa
avviene e si esprime attraverso il sacramento delleucarestia. Ma la
titolarit sui sacramenti appartiene prevalentemente alla dimensione
istituzionale della Chiesa e alla sua organizzazione, anche giuridica.
Si pu, cos, ritornare al preteso compromesso raggiunto, a mio
avviso sapientemente, nella carta costituzionale del 48 e al necessario punto di equilibrio tra le esigenze di tutela individuale e di quella
comunitaria del credo religioso. Non sono, invero, ragioni compromissorie, ma di una pi autentica comprensione della realt del fenomeno religioso, quelle che hanno condotto i costituenti a un giusto
punto di equilibrio, di coordinazione, tra i due momenti: gli artt. 7,
8 e 20 cost., orientati nella direzione societaria, sono equilibrati e
coordinati, cos, dagli artt. 2, 3 e 19, che privilegiano invece quella
individuale.
Gli autori stessi del libro colgono, opportunamente, questi profili;
ne elaborano anzi approfondite analisi critiche e li inquadrano assai
bene nella temperie storica e politica di quel tempo.
Da ultimo, su un punto ma decisivo sono pienamente daccordo con Tozzi: che il prius del riconoscimento e della tutela della
libert religiosa si identifica sempre con quello della libert di coscienza. Anchio lho sostenuto da sempre nei miei studi, motivandolo sino al riconoscimento estremo della obiezione di coscienza;
difendendo la tesi che tale libert non possa esaurirsi nelle sole sue
estrinsecazioni di natura religiosa.
Anche per me dunque indubbio che il prius di ogni autentica fede religiosa sia insito nella capacit intellettuale e nel cuore di
ogni persona; ma la confessione religiosa non , per ci stesso, solo
un posterius. Essa invece coessenziale al credo religioso di ogni
uomo, meritevole pertanto di un uguale apprezzamento rispetto alla
148

Diritto e religione, di Macr, Parisi e Tozzi

libert a lui riconosciuta. Lio religioso mi scuso dellassonanza


delle parole non pu prescindere mai dalla realt di Dio. Ancor pi
del Dio cristiano, incarnatosi nella storia, rivelato nella testimonianza del Vangelo, pregato nella unit di fede, dottrina e di vita nella
comunione ecclesiale.
Ma non solo il riconoscimento della necessaria strumentalit
della organizzazione confessionale a reclamare una disciplina, apposita e adeguata; si tratta anche, nella attuale situazione di pluralismo
confessionale, del riconoscimento ineludibile della identit, storica e
istituzionale, di ciascuna chiesa, specie di quelle significativamente
presenti nel nostro Paese.
In un recente libro, che raccoglie pagine molto belle di Margiotta
Broglio sulle figure dei Maestri delle nostre discipline (Religione,
diritto e cultura politica nellItalia del Novecento, il Mulino, Bologna, 2011) vengono raffrontate le posizioni del Ruffini e di Scaduto.
Non intendo, naturalmente, presumere di paragonarmi al Maestro
torinese, n di attribuire a Valerio Tozzi posizioni intellettualmente
riconducibili alla dottrina e alla visione politica dello Scaduto; certo
che la mia visione del Diritto ecclesiastico sembra divergere dalla
sua, precisamente sul punto in cui Benedetto Croce attribuiva al Ruffini (p. 29) qualcosa di pi profondo che non il cosiddetto consenso
nelle idee: il consenso nel sentimento verso la vita vissuta.

149

Diritto e religione in Italia ed Europa di Luciano Musselli

Diritto e religione in Italia ed in Europa di Luciano Musselli


di Francesco Margiotta Broglio

Vorrei anzitutto ringraziare i promotori di questo incontro, Valerio


Tozzi e Pier Luigi Consorti, ma vorrei ringraziare anche Paolo Moneta che per tanti anni ha tenuto alto il prestigio delle nostre materie
nellAteneo di Pisa.
Prenderei lo spunto dal riferimento di Consorti agli effettivi degli studiosi delle discipline IUS 11, per sottolineare che essi sono
molto pi numerosi di quelli della mia epoca e che, diversamente da
allora, molti ricercatori tengono corsi. E ricorderei che per lo studente
il professore quello che svolge il corso e fa gli esami, non quello
che abbia vinto un concorso. Una situazione, a mio avviso, senzaltro
positiva. Vorrei, poi, spezzare una lancia a favore dellADEC: se tutti
i numerosi presenti si iscrivessero e fossero attivi nellassociazione
presieduta da Enrico Vitali, riusciremmo forse ad avere, come disciplina, un po pi di spazio e di forza accademica.
Veniamo ai manuali. Ce ne sono sempre stati due tipi: quelli
omnibus e quelli che privilegiano alcune tematiche di fondo tenendo presenti lattualit o il maggiore rilievo politico, quelle che
Consorti ha definito novit. Ricordo che Orio Giacchi, parlando
di un manuale molto diffuso negli anni Sessanta del Novecento, mi
disse: Vede quel manuale bellissimo e completissimo, ma come
lorario delle ferrovie. C tutto: stazione di partenza e di arrivo, orario di partenza e di arrivo, ma se si rompe il treno o c lo sciopero
dei ferrovieri il sistema e quindi anche il manuale non funziona
pi. Era una critica ai manuali di quegli anni che erano molto espositivi e poco problematici, con leccezione delle Lezioni di Jemolo.
Riflettendo sui temi di questo incontro mi sono, anche, ricordato che
quando ho sostenuto lesame di Diritto ecclesiastico alla Sapienza
di Roma nel lontano 1958 la materia era prevista in tutte le facolt
151

Francesco Margiotta Broglio

giuridiche al terzo anno del corso di laurea in Giurisprudenza. Oggi


in ogni ateneo le materie Diritto ecclesiastico e Diritto canonico,
a Giurisprudenza, e Storia e sistemi delle relazioni Stato-Chiesa e
Storia delle istituzioni religiose, a Scienze politiche, sono collocate
in anni di corso diversi. E ovviamente un manuale per studenti di
secondo anno devessere concepito in maniera diversa da un corso
di lezioni destinato a studenti del quarto o quinto anno (del biennio specialistico per scienze politiche): una questione che non pu
essere sottovalutata in una discussione sui manuali universitari che
vanno sempre pi orientandosi anche verso il diritto comparato delle
religioni e verso i sistemi del Consiglio dEuropa e dellUnione Europea. Nel secolo passato il corso era obbligatorio e di sessanta ore
(in pratica cinquanta) magistrali, mentre oggi, come si fa notare nella
brochure che stata distribuita, in vista dei concorsi,le materie gi
ius 11 sono state inserite nel macrosettore Diritto costituzionale e
diritto ecclesiastico, il che finisce per escludere tutto il diritto matrimoniale e anche la storia del diritto canonico.
Lasciatemi ricordare, in proposito, che nel Cours de droit constitutionnel professato alla Facolt di diritto di Parigi nellanno accademico 1835-36 (integrato nel 1838 e ripubblicato pi volte dopo
la sua morte anche a cura di Carlo Bon-Compagni), Pellegrino Rossi
affermava che la materia ecclesiasticistica trova la sua tete de chapitre in quel ramo fondamentale del diritto pubblico che dicesi costituzionale. Un corso di cui venne edita negli anni novanta unantologia (Lezioni, a cura di G.F. Ciaurro, A. Bartoli e G. Negri, Colombo,
Roma, 1992), ma che varrebbe la pena di ristampare integralmente,
menzionando anche la sua risposta a Montalembert alla Camera dei
Pari di Francia, riprodotta in appendice alle Liberts de lglise gallicane del Dupin (1860). Del resto nellEuropa del secolo XIX, tranne
che in Germania (come aveva spiegato lo Hinschius a fine secolo e
come ha evidenziato Landau, quasi centanni dopo), non erano molti
i corsi di quella materia che nel Regno di Napoli era definita polizia
ecclesiastica: basta ricordare in proposito la prolusione palermitana
di Catalano del 1965, il recente contributo (2004) di Ibn sulla prolusione, nella stessa Universit, di Francesco Scaduto sul concetto
152

Diritto e religione in Italia ed Europa di Luciano Musselli

moderno della disciplina, letta nel 1884, e il saggio di Adami sulla


manualistica tra fine 800 e inizi 900 apparso nel volume del 2011
curato da Varnier, sul quale torner. Un testo, quello di Scaduto, nel
quale lautore si impegnava a presentare nellaspetto critico che le
si conviene, tanto dal lato del diritto privato, quanto, e pi, dal lato
del diritto pubblico la rinnovata materia del corso di laurea in giurisprudenza.
Vorrei anche far notare che, rispetto agli studi della mia generazione (come dimostrano i volumi esposti allingresso di questa sala),
a partire dalla fine degli anni Sessanta, i manuali di Diritto ecclesiastico e alcuni di canonico sono usciti fuori dal recinto delleditoria
giuridica tradizionale per approdare nei cataloghi di editori generalisti (penso al Mulino e a Laterza), e, quindi, in tutte le librerie,
con conseguenze non irrilevanti per quei lettori e per quellopinione
pubblica che non frequentano solitamente le cos dette librerie giuridiche prossime alle facolt o ai palazzi di giustizia. Del resto un
autore come Jemolo era stato ben presente nelleditoria non specialistica, mentre chi vi parla, insieme a Carlo Cardia, aveva provato,
dalla seconda met dei Sessanta, ad uscire da quel pur glorioso settore editoriale. Una escursione non apprezzata, allora, da tutti i
docenti, ma che credo abbia giovato allo sviluppo della manualistica
e al rinnovamento profondo della disciplina verificatosi negli ultimi
ventanni.
Prendiamo, per continuare il ragionamento, gli Elementi di diritto
ecclesiastico di Jemolo del 1927, pubblicati con un editore generalista, il Vallecchi di Firenze (quello di Papini, Prezzolini, Palazzeschi,
Pratolini, Soffici), e leggiamo quanto scrive nel paragrafo Nozione
del diritto ecclesiastico: dopo aver elencato le opinioni di Scaduto,
Schiappoli, Coviello, Romano, del Giudice e Falco, conclude: Nessuna di queste definizioni ci pare interamente accettabile anche
perch tutte lasciano in ombra una circostanza essenziale. Quale?
Che la disciplina include in s due diversi sistemi organici di norme
giuridiche, accomunati soltanto per opportunit di trattazione didattica: il diritto della Chiesa e il diritto dello Stato (in effetti i manuali
dellepoca contenevano, in genere, una prima parte canonistica e una
153

Francesco Margiotta Broglio

seconda ecclesiasticistica). Per quanto riguarda questultima, aggiunge: come parliamo di un diritto civile, di un diritto commerciale, di
un diritto amministrativo, astrattamente, senza riferirci a un determinato Paese, cos possiamo anche parlare di un diritto ecclesiastico
dello Stato in astratto, come del complesso organico di norme statali
che nei vari Paesi regola la vita delle societ religiose. Se a livello
didattico era opportuno accomunare il diritto della Chiesa di Roma
e quello italiano, riteneva che a livello pratico le norme regolatrici
della vita delle altre confessioni come quelle degli altri Stati sarebbero state prive di interesse. Altri autori, invece, come il Galante
(1923) e il Badii (1925), avevano preso in considerazione i sistemi
di relazioni Stati-Chiese anche di altri paesi, mentre, come ha messo in evidenza Mirabelli, era tradizionale linteresse della dottrina
italiana per i sistemi doltralpe (basta pensare agli studi di Schiappoli e Ambrosini sul Diritto ecclesiastico francese prima e dopo la
Separazione o al Ruffini traduttore del Friedberg , al Bertola del
Regime dei culti in Turchia del 1925 o al Giannini de I concordati
post-bellici del 1929-36). Ci per ricordare che, se le pi giovani generazioni di ecclesiasticisti hanno scoperto il diritto europeo delle
religioni, o quello internazionale dei culti, o la comparazione giuridica in questi settori, linteresse per queste tematiche e per questi
approcci data almeno dalla mitica Biblioteca di scienze politiche,
diretta dal costituzionalista torinese Attilio Brunialti, il cui ottavo volume (Torino, 1892, circa 1400 pagine) era dedicato alle relazioni fra
gli Stati e le Chiese. Nel 1933 compare presso Hoepli il manuale di
Gabriele Cornaggia Medici (allora assistente alla cattedra di Diritto
ecclesiastico di Milano ricoperta dal Falco) con il nihil obstat del
censore mons. Oldani, con limprimatur della diocesi di Milano e
con il sottotitolo Storia e sistema del diritto della Chiesa. Diritto
dello Stato in materia ecclesiastica. Scrivendo di Concetto, caratteri
e posizione delle norme in materia ecclesiastica nel sistema generale
del diritto italiano, Cornaggia critica implicitamente le definizioni
correnti e dichiara che il c.d. diritto ecclesiastico in senso statuale
(pi esattamente il diritto dello Stato in materia ecclesiastica) []
pu con definizione unitaria considerarsi il complesso delle norme
154

Diritto e religione in Italia ed Europa di Luciano Musselli

emanate autarchicamente dalla Corona pel regolamento dellattivit,


delle istituzioni, delle persone e delle cose della religione ufficiale
dello Stato. Ovviamente siamo allindomani dei Patti, della legge
sui culti ammessi e della normativa sulle comunit ebraiche, ma va
riconosciuto che lautore uno dei pochi che valorizza lart. 18 dello
Statuto albertino e che qualifica lart. 1 una importante riserva per
il passato legislativo ecclesiastico e un insuperabile vincolo per il
futuro, spiegando che libert politica e libert di culto non potevano
essere confusi e che, a pi forte ragione dopo il 1929, il principio
che la religione cattolica la sola religione dello Stato [] deve
rappresentare la regola, e il principio della libert religiosa, in quanto posto unilateralmente dallo Stato, soltanto leccezione. Non so
se avesse ragione: certo a quasi novantanni di distanza aspettiamo
ancora, nonostante la fine del principio confessionista, una legge generale sulla libert religiosa.
Consentitemi, per, di segnalare il recente volume (2011), curato
dallamico Varnier per i tipi dellUniversit di Macerata, che raccoglie una serie di importanti contributi, dal titolo La costruzione di
una scienza per la nuova Italia: dal diritto canonico al diritto ecclesiastico. Un volume di notevole rilievo che sarebbe stato utile poter discutere in questo incontro al quale avrebbe sicuramente offerto
un prezioso elemento di confronto. Mi si permetter, comunque, di
segnalare un dissenso con le conclusioni del saggio predisposto da
Silvio Ferrari (autore della pi importante ricerca storica sui manuali e riviste della disciplina) sulla nascita del Diritto ecclesiastico.
In esse lautore sostiene che per quanto coperto e negato il gene del
diritto canonico continua ad operare allinterno del diritto ecclesiastico e che la sua specificit continua a risiedere nella attenzione alle
ragioni della istituzione che , a sua volta, leco dellorigine canonistica di questa disciplina. In un mondo dove pullulano le religioni
senza chiesa e in un paese, come il nostro, dove la religione di
maggioranza quella degli atei e degli indifferenti, dove i praticanti e
i ministri di culto cattolico continuano a diminuire, dove fortissimo
laumento dei matrimoni civili, delle libere unioni (anche same sex) e
della prole naturale, non credo che il Diritto canonico possa avere
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Francesco Margiotta Broglio

ancora questa rilevanza per un diritto ecclesiastico che deve sempre


pi qualificarsi come diritto delle libert di religione e di convinzioni non religiose, individuali e collettive. Certo alle filosofie di
cui parla il recente Trattato sul funzionamento dellUnione Europea
non penso che la antica e gloriosa tradizione canonistica possa dire
ancora molto.
Tornando al volume curato da Varnier, vorrei ricordare la vasta
rassegna di Cesare Magni del 39, la prolusione di Catalano del 65,
i vari scritti di Luigi de Luca, i contributi di Ventura, Ferrari, Rabello, Salachas e Fantappi al Dizionario diretto da Alberto Melloni, la
relazione di Tozzi al Convegno di Padova dellADEC, e vorrei ringraziare il medesimo Varnier per la menzione, da lui fatta con grande
cortesia, di una delle molte imprese da me iniziate e mai concluse, il
Seminario internazionale del 1981 su Diritto ecclesiastico statuale
e cultura giuridica europea (secoli XIX-XX), che aveva coinvolto
Giovanni Tarello e il collega Schlick di Strasburgo. Gli elementi di
riferimento che ho ricordato e quelli richiamati da Varnier, da Ferrari,
da Adami e Fuccillo in quel volume, sono punti di partenza importanti per un rinnovato confronto sulla tematica dei corsi e manuali di
diritto ecclesiastico.
Veniamo, ora, al manuale di Luciano Musselli che mi stato
chiesto di presentare (Diritto e religione in Italia ed in Europa. Dai
concordati alla problematica islamica, Giappichelli editore, Torino,
2011). Va subito detto che nel volume vi una positiva coniugazione di diritto e di storia. Infatti non viene mai trascurata la dimensione storica dei problemi sinteticamente affrontati e viene dato
ampio conto della doppia dimensione europea dei medesimi: quella
del Consiglio dEuropa e quella della Unione europea ora collegate
dai meccanismi della Carta dei diritti fondamentali, ma pur sempre
diversificate, ad esempio, a livello di episcopati cattolico-romani che
si riuniscono in due diverse conferenze episcopali, quella della grande Europa e quella dei paesi membri dellUnione europea ed hanno
ciascuna un suo presidente. Consentitemi di citare, in proposito, il recentissimo volume curato da Laura De Gregorio Le confessioni religiose nel diritto dellUnione Europea, edito a Bologna da il Mulino.
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Diritto e religione in Italia ed Europa di Luciano Musselli

Si tratta, nel caso di questo che si presenta, di una manuale chiaro


e semplice per gli studenti: conoscendo la bibliografia di Luciano
Musselli e la sua vastissima cultura, dobbiamo apprezzare senzaltro
lo sforzo di accantonare la sua formidabile conoscenza della storia
e del diritto e di costruire un itinerario comprensibile dagli studenti
universitari. Penso che esso sia destinato agli studenti dei primi tre
anni del corso di laurea perch, per quelli del periodo successivo di
studi giuridici o politici, personalmente preferirei corsi monografici
nei quali questo manuale potrebbe essere utilizzato come corso di
base. Ricordo che negli anni Settanta, con un gruppo di colleghi di
varie discipline che operavano con leditrice il Mulino di Bologna,
sperimentammo la formula del c.d. manuale componibile. Si trattava di una serie di volumi per le singole discipline che iniziavano
con un testo dal titolo Le basi del diritto , al quale seguivano volumi che approfondivano alcune tematiche specifiche, e che ebbero
una inaspettata fortuna editoriale. Nella situazione di oggi, disorganica e frammentata didatticamente a seconda degli atenei, si potrebbe,
forse, ripensare ad una sperimentazione del genere.
Musselli prende le mosse da una definizione della disciplina del
tutto condivisibile (Il diritto ecclesiastico il diritto di fonte statale
che concerne il fenomeno religioso nel suo complesso ed in particolare la posizione giuridica delle Chiese e confessioni religiose)
ma, a mio avviso, da integrare alla luce dellart. 17 del Trattato sul
funzionamento dellUnione dellUnione Europea. Sviluppa poi in tre
parti la trattazione (le basi, la dimensione europea, la problematica
islamica), cui segue una parte speciale dedicata allislam di fronte
agli ordinamenti occidentali. Privilegia, comunque, in tutto il volume la dimensione della libert religiosa sulla quale, dopo la Costituzione si accentuer progressivamente lattenzione, mentre dopo
la secolarizzazione [] della seconda met del Novecento altri
oggetti di studio sono apparsi in primo piano: obiezione di coscienza,
sette, nuovi culti, laicit dello Stato e problema dellislam diventato
la seconda confessione in Italia. Molti gli aspetti interessanti ma non
possibile in questa sede soffermarsi su tutti. Richiamerei il problema aperto dalla revisione concordataria circa lapplicazione o meno
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Francesco Margiotta Broglio

ai nuovi accordi e alla legislazione derivata dellart. 7 della Costituzione. Alle due tesi opposte in materia e alla conclusione di Musselli
(pare difficile [] che questa ingente massa di norme possa godere
di una particolare tutela costituzionale), osserverei che se gli Accordi del 1984 hanno avuto la finalit dichiarata di adeguare i Patti del
1929 alle norme costituzionali (sicuramente rinforzate dalla teoria
dei principi supremi enucleati dalla Corte Costituzionale), il problema di una resistenza supercostituzionale di norme come quelle del
1929, che erano in palese contrasto con la Carta fondamentale e che
la Corte Costituzionale ha considerato poi di rango inferiore, non pu
porsi per una normativa di derivazione pattizia o unilaterale che
stata prodotta in conformit e alla luce dei principi della Costituzione
proprio per sanare quegli evidenti contrasti.
Altro aspetto importante della riflessione di Musselli quello
della obiezione di coscienza, sulla quale un maestro come Bertolino
scrisse pagine fondamentali, che, superata dalla fine del servizio militare obbligatorio in questo settore, oggi in primo piano per quanto
riguarda lobiezione allaborto che, se generalizzata, pu portare
a conseguenze [] non facilmente prevedibili. In proposito richiamata la sentenza 26 maggio 2011 della Corte europea dei diritti
delluomo che ha stabilito che le autorit degli Stati aderenti alla Convenzione europea dei diritti delluomo devono organizzare i servizi
sanitari in modo che la libert di coscienza dei medici sia garantita
in un contesto professionale che non impedisca ai pazienti di accedere ai servizi ai quali hanno legalmente diritto. Il rischio che per
rispettare le coscienze si finisca per tornare agli aborti clandestini.
Sottolineerei, nelle pagine dedicate alla posizione giuridica della
Chiesa, la sintetica formula con la quale lautore definisce il sistema
italiano di rapporti Stato-Chiesa cattolica: Collaborazione nella separazione degli ambiti. Un sistema concordatario e non separatista,
un sistema concordatario per non confessionista, che prende atto
del grande rilievo sociale e istituzionale della Chiesa cattolica come,
in misura minore, del rilievo delle altre confessioni, senza rinunciare
ad essere patria religiosamente neutrale di tutti i suoi cittadini e alla
sua dimensione di laicit. Aggiungerei che il sistema deve, oggi,
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Diritto e religione in Italia ed Europa di Luciano Musselli

prendere atto anche del vasto mondo dellindifferenza e delle credenze non confessionali e che, comunque, rimane sempre irrisolta,
anche in presenza di pressioni sociali separatiste, la questione dei due
ordini separati, ma non definiti, ognuna delle due Parti ritenendo
di avere, come scriveva Jemolo, la competenza delle competenze.
Tanto pi irrisolta quanto pi da parte ecclesiastica e da parte di politici ubbidienti si continua a parlare di valori non negoziabili,
come era non negoziabile, ancora cento anni fa, il potere temporale
del pontefice debellato definitivamente a Porta Pia. Ad esso sopravvisse, invece, listituto carloalbertino della religione dello Stato,
il cui significato e la cui storia di circa un secolo e mezzo Musselli
richiama per soffermarsi, poi, sulla questione del vilipendio risolta,
grazie ad alcune recenti sentenze della Corte Costituzionale, con labrogazione del relativo reato.
Il paragrafo dedicato agli edifici di culto, che illustra puntualmente la normativa civile e quella di derivazione concordataria, mi suggerisce di richiamare un problema che sembrerebbe di recente essere
stato avviato a soluzione: il biglietto dingresso nelle 95.000 chiese
italiane alle quali tutti hanno diritto di accedere, a proposito del quale
il Consiglio Permanente CEI ha di recente stabilito che, salvi casi
eccezionali, i vescovi devono garantire a tutti laccesso gratuito a
quelle aperte al culto perch venga in evidenza la fondamentale destinazione alla preghiera liturgica e individuale. Dovrebbero finire
cos quegli ibridi che sono le chiese-museo che violano il principio
della apertura al culto pubblico con la pretesa di contributi per spese
di mantenimento e sorveglianza facilmente sostenibili attraverso il
meccanismo del cos detto otto per mille previsto dalla legge n.
222/1985.
Nel capitolo dedicato alle confessioni diverse dalla cattolica (concetto, intese, disciplina comune) Musselli affronta per primo rispetto
ad altri manuali la questione se la massoneria possa considerarsi
una confessione religiosa e conclude negativamente anche perch
se cos fosse si finirebbe per ammettere la duplice appartenenza confessionale, che se non ricordo male Hans Kung considera invece legittima e che, in ogni caso, tornata alla ribalta con lambigua crea159

Francesco Margiotta Broglio

zione della Prelatura personale cattolica per gli anglicani transfughi,


i cui vescovi e il cui Prelato, diversamente da quello dellOpus Dei,
hanno portato con loro mogli e figli, talvolta, forse, meno sopportabili del cilicio. Chiederei a Musselli di riflettere su una situazione del
tutto nuova. Vorrei per osservare come non si possa non tenere conto che, sia nelle dichiarazione n. 1 annessa al Trattato di Amsterdam,
sia nel vigente art. 17 del Trattato sul funzionamento dellUnione
Europea, grazie alle pressioni delle logge europee, stata inserita la
parificazione delle chiese e comunit religiose con le organizzazioni
filosofiche o non confessionali, abilitate, come le prime, a stabilire un
dialogo formalizzato con gli organi dellUnione. A parte la difficolt
di definire questo tipo di organizzazioni, la massoneria ne fa sicuramente parte se le sue rappresentanze si sono date tanto da fare per
ottenere la pur poco definibile formulazione. Star alla Commissione
europea definire i criteri di applicazione dellart. 17, alla luce dellart.
10 della Carta di Nizza (che parla di culto, pratiche e riti anche con
riferimento alle convinzioni non religiose individuali e collettive) e
tenendo conto altres dello status di organizzazioni filosofiche o paraconfessionali (ad esempio Scientology) negli ordinamenti interni
dei paesi membri. Certo in Belgio accanto allUniversit dei cattolici
(Lovanio) vi lateneo massonico Universit libera di Bruxelles,
il cui presidente (rettore) di solito un alto dignitario massonico, e
nei Paesi Bassi la massoneria ha un suo definito statuto, mentre in
Francia i presidenti della Repubblica ricevono i dignitari della Gran
Loggia come il Consiglio della Conferenza episcopale cattolica e in
Gran Bretagna, se non ricordo male, spesso il Gran Maestro un
membro della famiglia reale.
Ovviamente di grande interesse la parte dedicata allislam dallautore che uno dei pionieri degli studi in materia nel nostro paese e
che fa immediatamente presente, parlando di prospettive di intesa, la
mancanza sia di organi o soggetti che possano assumere la rappresentanza di tale religione ai sensi dellart. 8 della Costituzione, sia di
un qualsiasi tipo di accordo o coordinamento tra le associazioni rappresentative degli islamici. Ricorda anche il c.d. matrimonio temporaneo degli sciiti volto ad evitare avventure di breve durata che
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Diritto e religione in Italia ed Europa di Luciano Musselli

altrimenti sarebbero ricadute nellottica del meretricio, istituzione


condannata dalla morale islamica. A parte i riferimenti puramente
casuali che si potrebbero fare a recenti situazioni italo-marocchine
(senza scomodare il presidente Mubarak) la notazione di particolare interesse. Mentre, su una linea diversa ma non irrelata, segnalerei
le pagine sui matrimoni celebrati nello Stato Vaticano (specialmente
da cittadini italiani) dove il diritto canonico anche diritto vigente,
quelle sulla sempre complessa questione della procedura per la trascrizione dei matrimoni concordatari anche nei casi tardivi o post
mortem e, infine, quella sullefficacia civile odierna delle sentenze
ecclesiastiche di nullit e quelle, annose e poco utili in una societ
sempre pi secolarizzata (che vede, come nota lautore, una grandissima contrazione del numero delle cause di questo tipo), sulla
esclusivit o meno della giurisdizione ecclesiastica sul matrimonio
concordatario dopo gli Accordi del 1984 , mentre merita attenzione
il problema del rapporto tra esecutivit delle sentenze canoniche di
nullit e divorzi.
Non mi soffermo sul troppo noto e troppo enfatizzato tormentone del crocifisso nelle sedi elettorali e in quelle scolastiche, sul
quale i giudici della Gran Camera di Strasburgo sembrano aver detto parole definitive, mentre sottolineo limportanza delle pagine dedicate allambito europeo a livello nazionale, convenzionale 1950 e
comunitario e alla dimensione internazionale della libert religiosa,
nelle quali vedo, e ancora una volta, ignorato il Codice internazionale della libert religiosa predisposto dalla Scalabrino per lUnit di
ricerca di Firenze e edito a Leuven, Parigi e Dudley (USA) nel 2003.
Alla parte speciale, organica e argomentata, sullislam di fronte
agli ordinamenti occidentali va riconosciuta una particolare capacit di introdurre a problemi attuali e complessi studenti spesso non
predisposti culturalmente ad affrontare temi delicati ma di grande
rilevanza, tra i quali ben noto quello dei simboli ostentati e, in particolare, quello dei veli, parziali o totali, indossati da donne musulmane. Scarso successo hanno avuto i maldestri tentativi dei ministri
Pisanu e Maroni di istituire, con spirito vagamente bonapartista, consulte e comitati che non hanno prodotto gran cosa. Lunico tentativo
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Francesco Margiotta Broglio

che aveva portato ad un positivo risultato stato quello del Ministro


Amato che aveva prodotto una rilevante Carta dei Valori, in gran
parte predisposta da Carlo Cardia, accettata da quasi tutte le organizzazioni islamiche italiane. La rivalutazione del diritto comune,
propugnata da Musselli allinterno di una rigorosa cornice di laicit
dello Stato, mi sembra una via senzaltro da percorrere ma con difficolt fino a che il Parlamento non si decider a varare quella nuova e moderna legge generale sulla libert religiosa che traduca in
norma lo spirito della Costituzione (e, aggiungerei, anche quello
della ricca normativa di derivazione internazionale ed europea) e che
attende ormai da quasi trentanni (la invoc Craxi nel 1984/85, De
Mita, presidente del Consiglio, chiese che venisse predisposta e Andreotti nel 1993 fece approvare dal Consiglio dei Ministri il relativo
progetto). Troppi per quelle molte confessioni, soprattutto orientali o
para-islamiche, come i Bahai dellIran, che potrebbero vedere riconosciute le proprie legittime esigenze senza imbarcarsi sugli incerti
traghetti delle intese (basti pensare alle molte intese ex art. 8 della
Costituzione, concluse e mai approvate dal Parlamento).
Concluderei sottolineando quanto scrive Musselli sulla difficolt
di delimitare il concetto di confessione religiosa, difficolt oggi accresciuta dal pi volte richiamato articolo 17 del Trattato di Lisbona
sul funzionamento della Unione Europea, che si riferisce indistintamente, senza alcuna specificazione e senza che i lavori preparatori
possano contribuire ad essa, a chiese, associazioni e comunit religiose, per non parlare delle filosofie.

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Diritto e religione di Mario Ricca

Diritto e religione di Mario Ricca


di Paolo Picozza

1. Parlare di Mario Ricca non un compito facile, anche perch considero Mario Ricca un maestro del pensiero capace di approfondite
riflessioni, di renderci consapevoli di un sapere che ci appartiene ma
che per ignoriamo di conoscere. Non possibile, con il tempo a
disposizione, illustrare per esteso il suo libro Diritto e religione. Per
una pistemica giuridica. Il volume, infatti, piuttosto complesso,
cos come il suo recente saggio Laicit interculturale. Cos?, che
sviluppa ulteriormente le originarie tematiche. Mi soffermer, pertanto, solo su alcuni argomenti che hanno colpito la mia sensibilit,
senza ovviamente sminuire limportanza degli altri, tra i quali debbo
ricordare la problematica relativa a Cittadinanza e religioni (cap. II)
ed il capitolo veramente penetrante sulle Genealogie culturali della
libert religiosa (cap. III). Debbo, inoltre, premettere che il volume
di Mario Ricca Diritto e religione, paradossalmente, lontano dal
Diritto ecclesiastico, cos come da noi comunemente inteso, insegnato e trattato nei manuali della disciplina, ma al tempo stesso
anche quello che forse pu essergli pi vicino, al punto da fornire alla
nostra disciplina elementi utili per il suo rinnovamento e soprattutto
lauspicabile quanto necessario ampliamento del suo orizzonte, pur
restando in ambito propriamente giuridico.
2. In questo libro edito nel 2002, scelto, insieme ad altri tre volumi, per
riflettere sulla evoluzione di un settore della scienza giuridica attraverso il confronto di quattro libri, la parte pi ecclesiasticistica, vista
sempre attraverso unottica di ampliamento, quella relativa allart.
20 Cost., che Mario Ricca tratta sotto la categoria, da lui adottata, del
pluralismo religioso. Questa parte del libro certamente quella che
pi propriamente interessa lecclesiasticista in senso tradizionale.
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Paolo Picozza

Debbo premettere, a mio avviso, che larticolo 20 Cost. aveva ed


ancora oggi ha lesclusivo scopo e finalit di impedire qualsiasi forma di discriminazione con il ricorso diretto o indiretto allo strumento
tributario o con speciali limitazioni legislative e non, invece, il suo
contrario, ovvero, la finalit di favorire e privilegiare gli enti confessionali ed oggi, anche gli enti religiosi non confessionali. Mario Ricca, insieme a tanti altri, legge invece larticolo 20 della Costituzione
in senso positivo, ampliandone ulteriormente lorizzonte, postulando
una netta distinzione tra gli enti ecclesiastici e gli enti con fine di religione e di culto. Distinzione in cui gli enti con fine di religione e di
culto possono, in realt, essere non ecclesiastici e non confessionali,
ma semplicemente religiosi o a connotazione religiosa.
Lart. 20 Cost. verrebbe, cos, ad assicurare il riconoscimento
della personalit giuridica non solo a tutti gli enti appartenenti alle
confessioni organizzate o alle formazioni aventi carattere ecclesiastico ma, anche a quelle che pur non essendo riconducibili a
pi generali alvei confessionali, perseguono in forma privata il fine
di religione o di culto. Con tutta una serie di conseguenti problematiche: superamento della confessionalit strettamente intesa
e conseguente riconoscimento di qualsiasi ente religioso anche
di semplice ispirazione religiosa, ponendo conseguentemente tutta
una serie di problemi relativi allauto qualificazione ed allaccertamento degli indici di religiosit che non possono e, soprattutto,
non debbono essere ricondotti ai classici indici di confessionalit,
perch, come sottolinea Mario Ricca, il concetto di religione, fatto
proprio dalla Costituzione, supera, di molto, il concetto di confessione religiosa.
3. Dopo questa breve premessa, ritengo utile un breve cenno allultima parte del libro, cap. VI Dalla Teoria alla didattica (anche se
si riferiva alla precedente ipotesi di riforma dellUniversit; adesso
ce n unaltra ma il ragionamento e la proposta di Ricca rimangono
ancora valide). Il Diritto ecclesiastico, inteso in senso strettamente
tradizionale, pu avere ancora una certa limitata utilit pratica per gli
operatori del diritto: ci sono diversi casi in cui pu trovare concreta
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Diritto e religione di Mario Ricca

applicazione (enti, lavoro, matrimonio etc.) anche se statisticamente,


si tratta pur sempre di un settore di nicchia.
4. Tra le problematiche pi impegnative che, soprattutto sotto il profilo concettuale, costituiscono la parte centrale del lavoro di Mario
Ricca (che qui non posso riassumere, non solo per ragione di tempo,
ma anche perch veramente difficile sintetizzare la complessit del
suo pensiero), si colloca il problema del rapporto tra diritto e fede.
Dopo un approfondito excursus sulla genealogia della libert religiosa (cap. III), la tesi di Mario Ricca, si sviluppa nel fondamentale capitolo sulla Pistemica giuridica (Percorsi di ricerca in chiave
antropologica sui rapporti tra categorie del diritto e fenomenologia
della fede), termine apparentemente difficile quanto denso di contenuti. Per Mario Ricca esiste oggettivamente una forma di fede, quasi
un a priori, che non pu non tenere conto di quella che la struttura, di quello che lhumus in cui storicamente luomo si trova: con
tutte le sue esperienze, che risalgono anche a qualche millennio fa.
assolutamente inutile, secondo il nostro autore, voler pensare di
razionalizzare la religione e cercare di estrometterla dagli stati, perch, comunque, la religione, anche se non se ne ha pi alcuna consapevolezza, rimane inseparabilmente radicata allinterno del campo
civile: la religione infatti ha assunto delle forme, degli habitus e dei
modi con cui si totalmente standardizzata tanto da non essere pi
percepita come religione, anche se continua a conservarne caratteri
essenziali.
Mario Ricca, al riguardo, afferma con convinzione: Come si
cercato di porre in luce in precedenza, il nesso tra soggettivit e cultura strettamente legato alla relativa fissit degli abiti in funzione
della conservazione delle comunit umane. In questo contesto storicamente attestato, i valori tendono ad assumere una connotazione
tendenzialmente rigida, antiutilitaristica, e talora perfino disfunzionale rispetto agli aut aut di sopravvivenza, talora imposti da improvvisi
mutamenti ambientali. Le religioni si sono presentate storicamente
in pi di una occasione come il baluardo di questa fissit, finendo per
essere declassate sotto la lente valutativa delle civilt vincenti, dal
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Paolo Picozza

rango di agenzie culturali, a mere forme di superstizione. E lo stesso


atteggiamento pistico certo non depone nel senso dellantitradizionalismo e delle capacit di adattamento rapido delle credenze di valore.
C tuttavia da dire che se la fede gioca come fattore di conservazione nella trasmissione culturale, il suo abito reca con s unattitudine
allagire pratico non antitetica alle capacit di apprendimento. Sotto
certi aspetti la fede un aprirsi allesperienza, alla prova.
5. Il problema fondamentale che poi sviluppa in questo testo pi recente riguarda la laicit e che intitola espressamente: Laicit interculturale. Cos? su questa tematica, di stringente attualit, augurandomi di aver compreso bene il suo pensiero, che si incentra la
sua analisi fortemente critica. Ma siamo proprio sicuri, si interroga
Mario Ricca, che il nostro concetto di laicit sia un concetto valido?
Che cosa significa innanzitutto laicit? Laicit in senso latino o laicit in senso anglosassone? Mario Ricca sostiene, con argomentazioni rigorose, che non si pu fare assolutamente a meno (anche se
si vorrebbe il contrario) della religione. Anche la persona pi laica
o convintamente atea, anche se vuole, non pu fare a meno della
oggettiva quanto estesa presenza della componente religiosa, proprio allinterno di quella cultura che, invece, ritiene laica; anzi esente
da elementi religiosi. Ovviamente, parlando di religioni pensiamo
sempre al Cristianesimo e alle varie forme del Cristianesimo, ma il
discorso di Ricca prende in considerazione tutte le altre religioni che
si sono incardinate nel tempo e che hanno posto le radici nella cultura
e nella tradizione nei luoghi in cui operano o hanno operato.
Alla luce di quanto sopra il concetto di laicit pone innanzitutto
un problema terminologico, in quanto qualificare come laico quello
che non ha nulla a che vedere (o che si ritiene come abbia nulla a che
vedere) con la religione un vero e proprio non senso; in altri termini, una affermazione storicamente e sostanzialmente errata. Quindi,
anche se poi vogliamo continuare ad utilizzare il concetto di laicit
come espressione di normalit, in un certo senso naturale, Mario Ricca ci ricorda che anche il concetto stesso di natura nasce dalla cultura, e la cultura intrisa dagli elementi religiosi. Infatti il mistero,
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Diritto e religione di Mario Ricca

larcano, eccetera, sono quei capisaldi ineludibili ed indiscutibili che,


ancora oggi, continuano a costituire le radici di tutto, radici che non
riusciamo o piuttosto preferiamo non recidere.
Dobbiamo conseguentemente constatare che in certi stati, che si
ritengono e sono comunque laici (sia pure nel senso indiretto di Ricca), specie quando emergono certe problematiche come la nascita, la
morte, la presenza in luoghi pubblici di simboli religiosi, vale a dire
tutta una serie di problemi etici, anche di grande attualit, le religioni o meglio le confessioni religiose (che ne costituiscono laspetto
operativo) si fanno subito autoritativamente presenti e finiscono per
essere ascoltate e quindi incidere nella realt sociale dello stato.
Le spiegazioni di tale fenomeno possono essere molteplici. Innanzitutto perch la religione, fattasi cultura comune, pu apparire anche
come ragione: il legame profondo e mai tranciato tra religione e
cultura che rende interessanti, pertinenti, gli interventi delle autorit
confessionali, agli orecchi della gente comune, afferma Ricca. Si
ritiene cio di avere dalle religioni un lume, una risposta, un qualcosa che la ragione non sa fornire. Si finisce, quindi, per obbedire alle
autorit confessionali che, a loro volta, non perdono loccasione di
imporre, quando le circostanze lo consentono, anche in uno stato c.d.
laico, come accade nel nostro paese, le loro convinzioni, spesso slegate da qualunque razionalit o ragionevolezza, quando non basate
direttamente sul dettato fideistico, nel campo delletica, convinzioni
che non poche volte vengono codificate in dettati normativi, che, obbligando tutti, finiscono, cos, per violare il diritto fondamentale di
libert religiosa e di autodeterminazione dellindividuo, che noi riteniamo essere una conquista del nostro mondo, per lo meno occidentale. Ma siamo poi sicuri, si domanda Mario Ricca, che questi diritti,
per noi fondamentali, siano poi fondamentali per altre culture intrise
di elementi religiosi e dominate dalle varie confessioni religiose? E
lo stesso concetto di libert, e soprattutto di libert religiosa, un
concetto valido per tutti? Cos come i diritti umani che riteniamo, per
noi, fondamentali, sono concepiti come tali da tutti?
Allora il vero e concreto problema che Ricca pone alla nostra
riflessione il seguente. In un mondo globalizzato, come facciamo a
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Paolo Picozza

rapportarci con gli altri, a convivere senza andare verso derive autoritarie, o nuovamente teocratiche. Perch il rischio che si vada verso
derive e realt soprattutto teocratiche concreto; noi lo vediamo in
certi paesi non proprio vicini a noi. Ed il ricorso al metodo democratico non sempre in grado di funzionare, anche perch come sostiene
Mario Ricca, nulla dimostra che la democrazia sia intrinsecamente
buona, o intrinsecamente migliore. Non pi possibile continuare
a pensare ad uno stato democratico, fondato sulla sovranit popolare e sul conseguente criterio di maggioranza, se le sue leggi non
integrano la diversit culturale. E quindi la sovranit stessa non sia
interculturale.
Domande, come si vede, che pongono in dubbio i nostri radicati
convincimenti. E le risposte anche sul piano normativo sono ancora pi difficili. La soluzione dei problemi che lintercultura pone,
necessita di risposte e comportamenti diversi rispetto a quelli fino
ad oggi utilizzati. In altre parole impensabile continuare, o meglio
tentare, di imporre i nostri schemi culturali, comunemente di matrice
cristiana, o cercare di esportare la nostra laicit monoculturale, mascherata da una pretesa imparzialit. Negativa poi lattitudine, sotto
lapparente nome della multiculturalit, ad accettare e legittimare,
spesso, o per utilit politica o quando costretti da forte contestazione, comportamenti non conciliabili nel nostro ordinamento. Dare
spazio alla diffidenza senza tentare n di tradurre, n di transigere,
rafforza gli stereotipi, la reciproca estraneit culturale tra i gruppi.
La soluzione che Mario Ricca propone, consiste piuttosto in un metodo, che richiede certamente tempi lunghi, ma che pu e deve portare al risultato che tutti desiderano. La creazione di un lessico interculturale, scrive Mario Ricca, rivolto allesigenza di assicurare
una laicit interculturale si muove in direzione esattamente opposta.
Esso punta alla predisposizione di una piattaforma giuridica inclusiva delle differenze in ordine agli snodi di fondo della convivenza
sociale e alle connesse modalit di categorizzazione normativa. Produrre questo lessico allinterno dei circuiti nazionali costituirebbe un
passo decisivo verso la realizzazione effettiva e autentica degli ideali
moderni, laicit compresa. Passo ciclopico, se considerato nelle sue
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Diritto e religione di Mario Ricca

implicazioni sul piano dei rapporti internazionali e dei confronti interculturali in cui essi prendono forma. I contesti migratori insomma
sono da considerarsi come miniature del pianeta e delle sue diversit
antropologico-culturali. Una palestra/laboratorio per la storia futura,
per un futuro presente.
Mi sembra una conclusione da condividere. Penso che prima di
arrivare a questo ci vorr parecchio tempo. Occorre poi constatare,
con rammarico, che non si cerca neppure di risolvere i problemi posti
oggi dalla globalizzazione ampliando i propri orizzonti, compiendo
cos significativi passi in avanti. I problemi vengono invece affrontati
facendo dei passi indietro; ritornando cio alle vecchie logiche o categorie di popolo, nazione, regione, della difesa della propria identit
religiosa e/o culturale, affrontando cio la sfida della globalizzazione, al sicuro, rinchiusi dentro il proprio orticello.

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Diritto e religione di Pierluigi Consorti

Diritto e religione di Pierluigi Consorti


di Enrico Vitali

In questo convegno mi stato assegnato il compito di parlare del


volume Diritto e religione di Pierluigi Consorti. Mi stato detto: fai
una specie di recensione. Ed eccomi qua.
Parlando di recensioni, mi viene in mente un fatto degli anni
1960-70. Su una rivista, diretta da uno dei maestri del Diritto amministrativo, un bel giorno cominciarono a uscire, quasi in ogni numero, delle recensioni firmate da uno studioso che era stato allievo
di quel direttore, ma che non aveva seguito la carriera universitaria,
preferendo la grande industria. Questo cultore della materia, non
avendo alcun legame con lUniversit, scriveva liberamente quel che
pensava, senza remore e condizionamenti accademici. Erano stroncature terrificanti per chi le subiva, ma molto divertenti per i lettori.
A quel punto cominci a formarsi una specie di claque, che aspettava
luscita del numero successivo per leggere la nuova recensione del
signore in questione. Nel chiacchiericcio, che cominci ad accompagnare quelle recensioni, alcuni cominciarono a pensare che sotto
il nome dellallievo si nascondesse il maestro, che usasse quel nome
come un riparo. Ricordo, tra le altre, che fu pubblicata una recensione a un libro di Diritto amministrativo piuttosto corposo, la cui
conclusione era: e in fondo non neanche un libro.
Oggi questo tipo di recensione non usa pi.
Al chiasso di quelle esecuzioni si sostituito il silenzio.
Qualunque cosa uno scriva accolta dal silenzio, al pi rotto da
flebili pettegolezzi privati.
Certo, un silenzio di questo tipo, che poi il vuoto, non fa andare
avanti la materia.
Bene ha fatto quindi lamico Tozzi a riunirci qui a Pisa per parlare di alcuni manuali usciti da poco, sperando che portino novit.
171

Enrico Vitali

Insomma siamo qui per vedere come sta la nostra materia attraverso
il periscopio di quattro manuali.
Una precisazione: ci si soffermati di preferenza su manuali intitolati Diritto e religione. Ma a parte questo criterio di scelta, che mi
sembra leffetto di una rivoluzione puramente nominalistica, quali
sono, per dirla con Montale, le notizie dallAmiata?
Per darle vediamo il volume di Consorti.
Dico subito che il libro si segnala per lo stile accattivante, caratterizzato da notevole immediatezza, come se si rivolgesse a persone
che non conoscono il diritto e che ancor meno sanno che cosa sia il
Diritto ecclesiastico, materia che notoriamente, per i pi assolutamente sconosciuta. Ma anche i lettori che nulla sanno del Diritto
ecclesiastico, osserva lA., se si fermano a ragionare, avvertono che
esso tocca le dimensioni profonde del modo di vivere in pratica la
nostra vita (p. VI).
La materia riguarda fattispecie religiosamente significative, cio
qualificate dallattinenza alla religione, per cui, precisa lA. ponendosi nel solco della dottrina maggioritaria della legislatio libertatis,
il diritto ecclesiastico si apre verso orizzonti che coinvolgono i sentimenti profondi della persona nella fase della loro esternazione. Le
interferenze tra religione e diritto sono continue; molta materia si
interseca con altre discipline giuridiche su di un tessuto culturale fatto di storia, di politica e filosofia, in un ambiente mai culturalmente
chiuso in s stesso (oggi forse, dico io).
Si tratta dunque di un testo per corsi universitari, non per di un
manuale dove trovi tutta la normativa della materia didascalicamente
presentata; sotto questo profilo, anzi, un volume che suscita pi
problemi che sicurezze; che mostra una certa insofferenza per il testo
legislativo, avvertito spesso come limitante (cfr. per esempio p. 49) e
che quindi tende a superarlo.
Esemplare sotto questo profilo pu essere il paragrafo matrimonio e famiglia: scritto con garbo, illustra le forme di convivenza
non fondate sul matrimonio, i problemi della genitorialit, affronta
il tema del matrimonio fra persone dello stesso sesso insomma i
temi oggi pi scottanti (pp. 95-107) ma poi limita la trattazione del
172

Diritto e religione di Pierluigi Consorti

matrimonio concordatario a due paginette concludendo sulla delibazione delle sentenze ecclesiastiche con una espressione sintetica che
potrebbe dar luogo a fraintendimenti e cio essere intesa anche come
un grave errore (p. 109 in fondo).
Chiaramente non un testo sul quale fare affidamento per la preparazione dellesame di stato di avvocato o per un uso professionale, nel quale sono necessari dati normativi e indicazioni di possibili
connessioni. Invece sarebbe adatto ad un insegnamento nellambito
di un corso di laurea in Scienze politiche, perch libro che susciterebbe certamente il dialogo tra docente e discente con possibilit di
aperture e verifiche.
Nel primo e secondo capitolo dopo aver illustrato le origini della
nostra materia e della dizione Diritto ecclesiastico che oggi si
pu intendere come linsieme delle norme poste dallo Stato (o da altri enti) per disciplinare gli interessi religiosi o meglio, le manifestazioni del sentimento religioso. LA. afferma che la dizione Diritto
ecclesiastico potrebbe essere sostituita senza traumi da Diritto e
religione che appunto il titolo che stato dato al volume titolo
sul quale ritorner pi avanti. Funzione delle norme del Diritto ecclesiastico quella di assicurare la libert religiosa concepita come componente fondamentale della libert personale, che non pu esaurirsi in
una semplice tutela contro le aggressioni fisiche alla libert personale,
ma si apre a garantire la piena autodeterminazione di ogni individuo
nei confronti delle grandi tematiche della vita e il pieno riconoscimento di unautonomia etica articolata e diffusa, che consente a ciascun soggetto di realizzare un personale progetto di vita (Pacillo). E
quindi lA. tiene ad evidenziare come il Diritto ecclesiastico colga le
tensioni tra diritto ed etica, tra legge e coscienza, meglio, tra imperativi della coscienza e obblighi imposti dal legislatore, tra imperativi
imposti dal gruppo religioso o condotte consentite o garantite come
diritto delle norme dello Stato. Sorgono cos alternative tra approfittare delle facolt consentite dal diritto dello Stato e losservanza dei
divieti religiosi (divorzio, aborto), ossia i conflitti di lealt.
Pertanto, secondo lA., tutelando le manifestazioni del sentimento religioso in quanto atti esterni alla persona, il diritto ecclesiastico
173

Enrico Vitali

viene a tutelare il profondo, lintimo della persona e quindi tutela la


dignit della persona umana per cui la salvaguardia della dignit
umana costituisce un valore supercostituzionale che il diritto ecclesiastico moderno deve assumere come compito proprio (p. 6).
Il volume distingue due possibili atteggiamenti assumibili dal legislatore: nella disciplina dei rapporti religiosamente qualificati: un
primo costituito dal diritto ecclesiastico verticale, che lA. giudica
fuori dalla storia (p. 29), posto in essere dai rapporti apicali tra gli
enti esponenziali dello Stato e della Chiesa come nel 29 e che
presenta affinit con gli schemi internazionalistici, ma lascia in secondo piano i diritti dei singoli che risultano tutelati solo in quanto
coincidano con linteresse dellistituzione. Tuttavia il continuo proliferare di accordi in materia di beni culturali ecclesiastici o di assistenza ospedaliera a livello locale, per es. tra autorit locali e conferenze episcopali regionali o tra autorit civili locali e singoli vescovi
mi pare contrastino con questo rilievo (che personalmente altrimenti
condividerei); dallaltra parte vi il diritto ecclesiastico orizzontale
che ha la funzione di assicurare la libert religiosa concepita come
elemento fondamentale della libert personale (p. 11).
LA. distingue inoltre tra libert religiosa positiva (credere e credere in ci che pi piace) e libert religiosa negativa (non credere in
nulla) distinzione che mi pare non abbia senso, perch i due diversi
atteggiamenti sono comunque assorbiti nel contenuto del diritto della
libert religiosa.
Posto che funzione del diritto ecclesiastico quella di assicurare
la libert religiosa quale elemento fondamentale della libert personale, lA. precisa che libert religiosa non si risolve solo nella libert
di esprimere una fede religiosa (e quindi di averla o di non averla,
ecc.), ma contempla le diverse possibili espressioni della spiritualit personale e quindi si rapporta alle esigenze della coscienza che
possono esprimersi tanto in relazione al pensiero quanto alla credenza religiosa e quindi il diritto ecclesiastico concerne la tutela della
libert di coscienza nella dimensione della libert personale e della
valorizzazione della dignit umana (p. 12). La libert di coscienza
dunque la premessa per la libert delle scelte, per le opzioni dello
174

Diritto e religione di Pierluigi Consorti

spirito, e quindi riguarda lintimo della persona. I limiti tra ci che


rileva civilmente e ci che importa spiritualmente devono essere stabiliti dalla coscienza di ciascuna persona e non possono essere imposti n dallo Stato n dalla religione (per esempio sul finis vitae). Si
tratta, secondo lA., di una concezione che concernendo la libert e la
dignit umana travalica i confini nazionali e supera la dimensione di
una relazione di tipo di formale con le fonti di produzione di un dato
ordinamento. Il diritto ecclesiastico non questione di fonti, ma di
interessi coinvolti (p. 13).
Qui sorgono spontanee alcune osservazioni.
La prima: mi sembra che la visione dellA. si allarghi per cui la
libert di coscienza non pi solo una componente della libert religiosa, ma un momento della libert tout-court, anteriore anche
alla libert religiosa. Pertanto, quella che era una delle componenti
della libert religiosa, nella concezione del Ruffini, si allarga e non
tocca pi solo la religione e la posizione propria dellindividuo e dei
gruppi di fronte alle credenze di religione, ma riguarda la posizione
del soggetto di fronte a qualsiasi scelta, di fronte ad ogni opzione di
coscienza. Il problema se tale allargamento, che dovrebbe garantire
sempre pi le possibilit di opzione della coscienza personale, non
finisca con lindebolire la tutela della libert religiosa e di contro
se non ponga in dubbio la potest stessa di legiferare in merito da
parte dello Stato (pensiamo alla obbiezione di coscienza in materia
fiscale).
Consorti richiama naturalmente il principio di laicit. Egli ritiene
che la laicit sia il punto di equilibrio tra promozione della libert
individuale e il fatto istituzionale. Nellambito dei ragionamenti sul
concetto di laicit (dove egli respinge i termini di neutralit o imparzialit dello Stato rispetto alle confessioni religiose o alla religione in genere, perch si ricadrebbe nella impostazione verticale del
problema) egli afferma che la laicit dello Stato riguarda in definitiva
la sua capacit di garantire una eguale libert di coscienza e propone
al diritto la necessit di mettere le persone in condizione di formare
liberamente i propri convincimenti di coscienza, ossia senza sottostare a condizionamenti e discriminazioni (p. 30). Ricollegandosi
175

Enrico Vitali

probabilmente al pensiero di Calogero, lA. evoca la necessit del


dialogo e dellincontro con gli altri come metodo, mediante il quale
si possono dare risposte alle domande che vengono dalla coscienza religiosa. In conclusione la laicit sembra essere intesa come un
modo di vivere lesperienza religiosa a livello personale e interiore.
Qui mi sorge qualche dubbio perch tradizionalmente ci hanno
insegnato che ci che deve rilevare per il giurista la manifestazione
esterna, il comportamento esterno della persona, il fatto. Invece, nel
volume che stiamo esaminando, si focalizza lattenzione sul fatto di
coscienza, che pu anche rimanere interno allindividuo. Il fatto di
coscienza comporta la necessit di considerare lesigenza della libert di formarsi una coscienza, per cui, come osservavo prima, si ha
non solo la libera scelta in campo religioso, ma anche di fronte a fatti
non religiosi, ma puramente etici.
Mi chiedo se queste scelte appartengano al campo del diritto se
non danno luogo a comportamenti esterni.
Una ulteriore osservazione concerne il problema delle fonti, dove
mi sembra che lA. tragga argomento dalla transnazionalit.
Ho qualche dubbio che il diritto ecclesiastico non sia anche questione di fonti, ma solo di interessi coinvolti e quindi di contenuti. Basta pensare, anche di sfuggita, ai problemi suscitati dallart. 7 Cost.,
nonch alla strana copertura costituzionale conferita allAccordo del
1984 tra Stato italiano e Santa Sede. Mi rendo conto che qui si ricade nel deprecato diritto ecclesiastico verticale, che sar anche fuori
dallo storia come scrive Consorti (e forse politicamente ha ragione),
ma continua a regolare e anzi si vieppi esteso a molti settori delle
fattispecie religiosamente qualificate, attraverso accordi locali.
Ancora, vero che laicit e democrazia formano un binomio inscindibile, come scrive Consorti, ma proprio per questo rileva il problema delle fonti.
Il sistema delle fonti essenziale per ogni ordinamento, sia per
quel che riguarda la loro gerarchia e quindi la loro diversa efficacia
sia per quanto attiene il profilo orizzontale del riparto delle competenze per materia. Non vero che si sia di fronte solo a rapporti
formali; qui attraverso la forma si salva la sostanza, nel senso che la
176

Diritto e religione di Pierluigi Consorti

garanzia della democraticit di un ordinamento si evidenzia attraverso la scelta delle forme della produzione legislativa.
Consorti afferma anche che la garanzia giuridica dei diritti di libert non costituita dal diritto, ma dalla dignit umana.
Anche qui mi sorge qualche dubbio.
Se vero, come stato osservato, che la dignit umana quel
complesso di valori umani fondamentali che costituisce lessenza di
ogni persona nel suo statico esserci e che la persona umana viene
quindi considerata per s stessa e nel suo libero svolgimento (Baldassarre), impedendo cos a chiunque di degradare la persona a mero
oggetto (Pacillo), chiaro che si tratta di una considerazione statica
delluomo.
Mentre la considerazione dei diritti fa rilevare il conferimento di
possibilit dellagire. Quindi il profilo della dignit evoca una considerazione del soggetto in s, non nelle sue possibilit di agire. Ci
dovrebbe significare rispetto delle dignit delluomo sia in campo
pubblico che in campo privato, in quanto membro della comunit
umana. Essa il presupposto dei diritti inviolabili e indisponibili che
configurano nella loro unit complessiva i momenti essenziali del
concetto di personalit garantito dallart. 2 Cost..
Questo ragionamento indica meglio il soggetto, la personalit,
cui fa riferimento il diritto, ma non mi sembra di poter accettare la
icastica espressione: la garanzia giuridica dei diritti di libert non
costituita dal diritto, ma dalla dignit umana. E tale dignit si tutela
attraverso il conferimento dei diritti indisponibili e irretrattabili, tra i
quali rientra anche la libert religiosa. Quindi sono i diritti che tutelano la dignit e non viceversa.
Due parole sul titolo del volume.
Oggi il Diritto ecclesiastico non pi solo un diritto bilaterale, ma
soprattutto un diritto posto unilateralmente dallo Stato attraverso
diversificati procedimenti legislativi, nonch a seguito della incidenza diretta o indiretta degli obblighi comunitari. Si pu ricordare a
questo proposito che un tempo si parl anche di Diritto internazionale ecclesiastico (Balladore Pallieri), oggi si parla di Diritto
ecclesiastico europeo, che una parte attuale della materia. Daltra
177

Enrico Vitali

parte i fatti evolvono con una velocit cui non sempre il legislatore,
per di pi tendenzialmente neghittoso come il nostro, riesce a raggiungere.
Direi che i fatti si impongono e sono pi forti della non progettualit.
Da ci deriva una notevole confusione sia a livello di formazione
delle idee sia a livello di progettualit scientifica, che ha investito
persino la denominazione della disciplina.
Non mi sfugge che tutte le volte che, nella civilt dellOccidente,
ledificio delle convinzioni morali e dei fondamenti della vita civile e
democratica, nonch del gusto, non resse al proprio peso e fu solcata
da fenditure che sembravano annunciare lultimo crollo (Cecchi), da
codeste fenditure si vide balenare lOriente e si dubit della sopravvivenza della civilt. Questo fenomeno provoca spesso quella che
si potrebbe chiamare una fuga dal battello su cui si sta navigando e
induce a cercare altrove, su altre barche, ritenute inaffondabili, ricovero, sperando in una pi sicura navigazione. Non vorrei che il fenomeno investisse la nostra materia provocando una sorta di trahison
des clercs.
A questo fenomeno vorrei opporre molto semplicemente il D.M.
25 novembre 2005 e il pi recente D.M. 29 luglio 2011: il primo che
qualifica il Diritto ecclesiastico e il Diritto canonico come attivit
formative indispensabili per cui i due insegnamenti sono stati inseriti tra le attivit formative di base. Il secondo ha ribadito lautonomia concorsuale del Diritto ecclesiastico e canonico (devo queste
indicazioni allamico Rivetti, che ringrazio). Questa la situazione
normativa. Sicch mi sembrerebbe, che il miglior partito, in una fase
di transizione e di quasi quotidiana modificazione normativa, sarebbe quello di rimanere fermi e contenti dellattuale sistemazione. Di
contro si manifestata una sorta di insofferenza verso la dizione Diritto ecclesiastico, pronosticandone la prossima fine, forse perch
essa evoca lappartenenza alla Chiesa (il che mi sembrerebbe infantile), che per da quando la materia stata introdotta nellordinamento
universitario italiano e cio dalla seconda met dell800 in avanti
non ha mai assunto un tal contenuto. Nel solco di questa insofferenza
178

Diritto e religione di Pierluigi Consorti

stato detto che il problema fondamentale sarebbe quello del multiculturalismo provocato dal fenomeno dellimmigrazione che nelle
scuole implica una educazione interculturale e la conoscenza e valorizzazione delle differenze, anche religiose, presenti nella scuola
stessa. Di qui la proposta di sostituire alla dizione di Diritto ecclesiastico quella di diritto del multiculturalismo, confondendo un
piccolo settore con il tutto.
Quello del multiculturalismo un fenomeno che deve senzaltro
attirare lattenzione dellecclesiasticista, ma una attenzione che deve
inglobare il fenomeno nel Diritto ecclesiastico e che deve essere affrontato secondo i parametri della giuridicit e non della sociologia.
Esso potrebbe essere certamente un capitolo importante del Diritto
ecclesiastico, ma dentro di esso e non fuori, dove invece perderebbe
qualsiasi connotazione giuridica divenendo al pi una materia complementare in divertimento di mediazione linguistica. Daltra parte,
se si deve parlare di antropologia, ci sono i cultori di tale materia che
potrebbero accusare lecclesiasticista dedito al multiculturalismo di
essersi trasformato in uno studioso daccatto e che potrebbero dire
che essi (antropologi) quegli studi li fanno meglio.
Da altre parti si propone un nuovo appellativo, Diritto e religione, che giunge a tale risultato dopo una considerazione della fine
dellassetto westfaliano dei rapporti tra Stato e Chiesa, dopo il mutamento del fenomeno religioso attuale e infine a seguito del diversificarsi delle autorit statuali e non che vengono in considerazione a
fronte del fenomeno religioso. Ho limpressione che in questo modo
si sia costruita una versione alquanto astratta della realt da superare
(quando si form il Diritto ecclesiastico italiano, lassetto westfaliano era gi tramontato), che non corrisponde alla realt effettuale,
ma che diventata pi vera del vero. Talch lappellativo, peraltro
dimportazione, Diritto e religione, mi sembra pecchi per la sua
genericit. E allora perch non Diritto sulle credenze di religione?
Sia ben chiaro, la mia non una posizione di testardo difensore
dellantico. Niente di tutto ci.
Non vorrei per che la questione nominalistica servisse a nascondere il segno di un disagio personale che potrebbe essere inteso come
179

Enrico Vitali

rifiuto di studiare sotto il profilo giuridico le questioni sempre nuove


di una materia tanto affascinante e problematica come quella che fino
ad oggi abbiamo chiamato banalmente Diritto ecclesiastico.

180

Parte terza
Contributi dal Seminario

Cronaca del Seminario

Cronaca del Seminario


di Chiara Lapi

Lincontro svoltosi a Pisa nel Palazzo dei Dodici, sede dellOrdine dei
Cavalieri di Santo Stefano, non stato un convegno nel senso proprio
del termine, ma un Seminario che si articolato in fasi specifiche
distribuite secondo orari precisi nel corso della giornata allo scopo di
garantire lapplicazione di una metodologia partecipativa, solitamente poco utilizzata nei consessi accademici. Infatti, mentre la prima
parte della giornata ha seguito un andamento tradizionale, con i saluti
del Direttore del Dipartimento di Diritto di pubblico della Facolt di
Giurisprudenza, Roberto Romboli, la relazione introduttiva di Pierluigi Consorti, e le presentazioni dei quattro libri1, lattivit pomeridiana
si strutturata nella forma della divisione in gruppi facilitati.
Questo elemento, che ha costituito la novit dellincontro e la cui
previsione nel programma aveva suscitato negli iscritti una certa suspence, ha svolto un ruolo significativo per pi ragioni. La divisione
in gruppi permette ad ogni partecipante di esprimere il proprio pensiero pi liberamente rispetto al contesto assembleare. Allinterno
del gruppo tende ad attenuarsi la differenza gerarchica tra i partecipanti che rivestono ruoli accademici diversi, anche grazie al fatto che
costoro sono seduti a forma di cerchio e non davanti al tavolo dei reI testi, in ordine di presentazione, sono i seguenti: G. Macr, M. Parisi, V.
Tozzi, Diritto e religione, Plectica, Salerno, 2011; L. Musselli, Diritto e religione in Italia ed in Europa. Dai concordati alla problematica islamica, Giappichelli,
Torino, 2011; M. Ricca, Diritto e religione: per una pistemica giuridica, Cedam,
Padova, 2002; P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma-Bari, 2010. Lonere
della presentazione dei libri stato assunto da quattro docenti non pi in ruolo, Rinaldo Bertolino, Francesco Margiotta Broglio, Paolo Picozza ed Enrico Vitali, che
hanno dedicato, ai libri riservati a ciascuno di loro, ampio spazio mettendone in luce
i relativi pregi ed operando anche critiche costruttive.
1

183

Chiara Lapi

latori, come accade nelle sessioni dei normali convegni. Inoltre, ogni
partecipante ad un gruppo ha la facolt di spostarsi da un gruppo ad
un altro potendo cos ascoltare la discussione relativa ad un diverso
tema e portare il proprio contributo. Il numero limitato dei componenti2 fa s che si instauri fin da subito una sinergia tra loro, che induce ciascuno ad esercitare un ascolto attivo nei confronti dellaltro,
per cui ogni intervento suscita immediatamente una reazione, con il
risultato di una partecipazione attenta, vivace e collaborativa. Lagilit dei lavori di ciascun gruppo stata garantita dalla presenza di
un facilitatore3, persona non esperta del diritto ecclesiastico, ma del
metodo, con il compito di gestire gli interventi in modo da evitare sia
che eccedessero una certa durata, per permettere a tutti di parlare, sia
divagazioni dal tema.
Le sollecitazioni emerse dalle relazioni di presentazione dei quattro libri e dalle repliche degli autori dei testi hanno permesso di individuare tre domande riguardanti il diritto ecclesiastico (Cos?,
Perch?, A che cosa serve?), presentate in plenaria, ciascuna
delle quali stata assegnata ad un gruppo. I partecipanti ai workshop
hanno cos potuto scegliere la domanda di proprio interesse e quindi
il gruppo di lavoro.
Il primo gruppo doveva cercare di rispondere alla domanda
Cos il diritto ecclesiastico, ed in particolare interrogarsi su Qual
la specificit del d. e. rispetto alle altre discipline giuridiche, su
Quali sono i contenuti che contraddistinguono la disciplina. Il secondo gruppo doveva iniziare la discussione a partire dalla domanda
2
Nellincontro del 28 marzo, essendo gli iscritti circa quaranta, sono stati formati, per lo svolgimento dellattivit pomeridiana, tre gruppi di circa quindici persone
ciascuno.
3
Lattivit di facilitazione allinterno dei gruppi stata resa possibile grazie ai
ricercatori del Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace di Pisa, persone che
hanno imparato nel corso della loro attivit accademica e professionale a gestire
i conflitti ed a lavorare sulle tecniche partecipative: il Dott. Andrea Valdambrini,
il Dott. Andrea Fineschi, il Dott. Flavio Croce, il Dott. Giaime Berti e la Dott.ssa
Tatiana Vasilyeva. Alla Dott.ssa Luisa Locorotondo era stata affidata la cura della
logistica.

184

Cronaca del Seminario

Perch il diritto ecclesiastico, ossia chi sono i destinatari del nostro lavoro di ricerca. Infine, il terzo gruppo si occupato di analizzare A che cosa serve il diritto ecclesiastico e Qual la sua
funzione nellattuale contingenza sociale.
I risultati della discussione di ogni gruppo sono stati riportati in
plenaria da tre persone, esperte della disciplina, incaricate di verbalizzare gli interventi per poi esporre la relativa sintesi a tutti i partecipanti, riunitisi nuovamente in plenaria, una volta terminato il lavoro dei workshop. Le domande assegnate a ciascun gruppo avevano
molti aspetti in comune per cui le osservazioni formulate nei gruppi
si sono rivelate in parte sovrapponibili. Perci sembrato utile riportare i risultati dei workshop globalmente, prescindendo dalla loro
collocazione nei singoli gruppi di riflessione.
In primo luogo emerso che, nonostante il diritto ecclesiastico
possa talvolta apparire in crisi, in realt una disciplina vivente e
vitale, non solo particolarmente utile, ma necessaria nellattuale contesto multiculturale, come dimostrato del resto dallalto valore dei
contributi prodotti dagli ecclesiasticisti. Il motivo principale della
presunta crisi forse da individuare in una difficolt di carattere comunicativo per cui molto spesso, sia dai docenti di altre discipline
giuridiche sia dal pubblico in generale, il diritto ecclesiastico ancora percepito come quella branca che studia solo i rapporti dello stato
con le confessioni religiose ed in particolare con la Chiesa cattolica. Per risolvere i problemi di carattere comunicativo e per mettere in luce la funzione precipua dellecclesiasticista, che consiste nel
prospettare soluzioni di stampo pratico a fronte di nuove esigenze
concrete che la societ pone, emersa la proposta di promuovere
iniziative scientifico-accademiche che coinvolgano studiosi di altri settori giuridici. In questo modo si farebbe comprendere meglio
limportanza interdisciplinare della materia, che pu dare un apporto
significativo al diritto penale, al diritto di famiglia e a tutte le altre
discipline giuridiche.
La difficolt di comunicazione emerge anche nel rapporto con
gli studenti che, di primo acchito, non comprendono la funzione del
diritto ecclesiastico, e pensano che sia una materia da studiare solo
185

Chiara Lapi

al fine di acquisire crediti; mossi da un simile ragionamento utilitaristico, anche coloro che si preparano a sostenere la prova orale
dellesame di avvocato, nella maggior parte dei casi, scelgono diritto
ecclesiastico perch pi breve rispetto ad altre materie. stato notato che questo problema pu essere affrontato dando agli studenti
rassegne di sentenze dalle quali emerga limportanza del fattore religioso: infatti, quando si rendono conto dellutilit pratica della materia, gli studenti cambiano atteggiamento e si appassionano al Diritto
ecclesiastico. Sarebbe anche utile provare ad istituire allinterno delle facolt laboratori in grado di offrire assistenza gratuita alle persone che presentano problematiche attinenti al diritto ecclesiastico
(si pensi alle questioni legate allimmigrazione). Tali laboratori potrebbero collaborare con le istituzioni pubbliche permettendo di far
comprendere limportanza della materia anche al di fuori dellambito
strettamente accademico (si veda, a questo proposito, lesperienza
guidata da Roberto Mazzola del Piemonte orientale).
Un altro modo per implementare la disciplina potrebbe consistere
nellinserire la materia allinterno dei corsi di Master come accade
gi in Francia e nel mondo anglosassone.
La funzione dellecclesiasticista si apprezza anche alla luce della
considerazione che il diritto ecclesiastico una materia con due anime, una pi ampia, culturale, ed una tecnica, giuridica in senso stretto. Ci considerato, si posto il problema delleventuale influenza
che discipline quali la filosofia, la sociologia, la storia esercitano sul
diritto ecclesiastico. Su questo punto lopinione degli studiosi quasi
unanime: sebbene lapporto delle discipline non giuridiche sia utile,
occorre salvaguardare la specificit della giuridica della materia.
Allinterno dei gruppi ha occupato uno spazio ampio la proposta
di Mario Ricca, che mira a ripensare il diritto ecclesiastico nella chiave interculturale. Su questo punto si registra una certa divergenza
tra gli studiosi: alcuni nutrono forti dubbi sul diritto interculturale,
mentre altri ritengono che possa aprire ampie prospettive di ricerca,
e cos rafforzare lutilit del diritto ecclesiastico.
Data la vivacit della discussione e la ricchezza delle riflessioni
e delle proposte che hanno caratterizzato i lavori di ciascuno dei tre
186

Cronaca del Seminario

gruppi, si pu concludere che il nuovo metodo sperimentato nellincontro pisano del 28 marzo abbia raggiunto il suo obiettivo, permettendo a tutti i partecipanti, indipendentemente dal loro grado accademico, di portare un contributo significativo al dibattito sul futuro del
diritto ecclesiastico. Al termine del Seminario, sembrato che tutti
fossero soddisfatti dei risultati della giornata: liniziale atteggiamento di suspence di molti si trasformato in apprezzamento per lidea
innovativa. Per queste ragioni, il metodo dei workshop mediati merirebbe di essere applicato anche nellambito di altri consessi accademici: se cos accadesse, liniziativa pisana avrebbe avuto il merito di
essere fondativa, come ha osservato Romboli nel saluto iniziale.
Il Seminario si chiuso con i ringraziamenti di Valerio Tozzi che
ha precisato come lo scopo principale della giornata, consistente nel
consolidare la comunit scientifica attraverso il confronto delle
idee, la passione del mestiere ed i contenuti del lavoro che svolgiamo, sia stato pienamente realizzato.

187

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere


di Maria Gabriella Belgiorno de Stefano

Il Diritto ecclesiastico deve ritrovare la sua identit scientifica e didattica ripartendo dal pensiero di Francesco Ruffini, dalla sua idea di
libert religiosa e di laicit dello Stato e dal valore da lui stesso attribuito alle minoranze religiose come matrice originaria, sia del diritto
di tolleranza, sia dello stesso diritto di libert religiosa.
Anche oggi le minoranze religiose e tutte le credenze anche laiche
chiedono in primo luogo la salvaguardia del diritto fondamentale alla
libert di coscienza e religione in comunit politiche da fondare sul
principio di laicit dello Stato.
Tali principi sono stati i pilastri fondanti del diritto ecclesiastico e
proprio in quanto tali Arturo Carlo Jemolo li ha posti a fondamento
della formazione della Scuola romana e Francesco Scaduto ne ha
fatto lindirizzo scientifico della scuola siciliana.
Tali pilastri non sono solo la struttura portante della nostra materia, ma costituiscono anche parte essenziale della struttura costituzionale nazionale (articoli 2, 3 e 19 Costituzione) ed europea come
testimonia lart. 9 della Convenzione Europea dei diritti delluomo
del 1950 e lindirizzo giurisprudenziale della Corte Europea dei diritti delluomo, che ha fissato in tali principi la chiave dinterpretazione della tutela della dignit umana in una societ multiculturale,
multi religiosa e multietnica. Si ricorda che lo Jemolo in particolare,
in tutta la sua vasta produzione scientifica, ha sempre sottolineato il
valore della libert in tutte le sue manifestazioni, ritenendo la libert
di coscienza e religione una delle manifestazioni pi significative da
salvaguardare in un sistema giuridico-statale, dove sussistono religioni e credenze anche laiche.
Proprio in base a tali presupposti occorre difendere lautonomia
della nostra materia, non solo perch essa rappresenta un particolare
189

Maria Gabriella Belgiorno De Stefano

ambito giuridico del diritto pubblico, ma perch attraverso di essa si


possono conoscere e tutelare i nuovi sistemi religiosi, culturali e sociali la cui complessit spesso sfugge al cultore del diritto pubblico,
come al sociologo o allo storico.
Tale mia opinione purtroppo non appare condivisa n dalle scelte
formative didattiche delle facolt e dipartimenti universitari, n dalle politiche statali ed internazionali tendenzialmente conservatrici,
tendenti a vivificare lidentit storico-culturale e religiosa degli Stati
ignorando la presenza di nuove culture, diritti religiosi, usi e costumi
che ormai sono radicati nelle diverse comunit politiche e richiedono
specifiche regolamentazioni statali rese necessarie dalla salvaguardia
del diritto alla libert di coscienza e religione.
Sappiamo che il diritto ecclesiastico italiano ha potuto sopravvivere nel dopoguerra perch ha tentato di ripercorrere la strada risorgimentale del principio libera Chiesa in libero Stato. LAssemblea Costituente, infatti, cerc di realizzare un difficile momento di
trasformazione istituzionale del paese e gli artt. 7 ed 8 della nostra
Costituzione sappiamo quali dibattiti hanno suscitato prima di giungere alla loro definitiva stesura. Le componenti politico-evangeliche
ed ebraiche, proprio nella sede costituente, costantemente ribadivano
la necessit che la Costituzione repubblicana fosse impostata rigidamente sul principio della laicit dello Stato e della tutela della libert
religiosa di tutti. Dopo lunghe trattative, invero, si riusc a raggiungere un accordo sul testo normativo degli artt. 7, 8 e 19 della Costituzione che costituiscono ancor oggi i fondamenti costituzionali e laici
della Stato e ancora oggi su di essi potrebbe essere costruito un nuovo assetto della nostra comunit politica. Anche gli anni 60, come si
ricorda, sono stati unepoca fiorente del diritto ecclesiastico in relazione ad una apertura culturale, sociale e religiosa che si orientata
principalmente allobiezione di coscienza al servizio militare e alla
guerra ed allapertura del dialogo tra le religioni1.
1
Si ricorda che la legge statale sullobiezione di coscienza datata 15 dicembre 1972, n. 772, dopo un difficile cammino giurisprudenziale dei tribunali penali
militari.

190

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

Negli anni 60, infatti, sembrava aprirsi un rinnovamento strutturale della Chiesa Cattolica che emergeva dai documenti del Concilio
Vaticano II ed in particolare dalla Costituzione apostolica Gaudium
et spes che fu considerata uno dei documenti pi importanti del
Concilio, poich essa si proposta di risolvere il problema teologico
del rapporto strettamente intrinseco che esiste tra le realt profane ed
umane e il mistero della salvezza in Cristo2.
Si ritenne che la Chiesa Cattolica romana avesse abbandonato lo
storico e dinastico rapporto con gli Stati ed i suoi governanti per potenziare il legame con lindividuo e su esso dirigere la sua potestas
in spiritualibus3. Lunzione divina del principe si era tramutata in
sacerdozio comune del Popolo di Dio e luomo diveniva il punto
dintersezione delle realt materiali e spirituali. In tale prospettiva
spirituale sembrava doversi interpretare anche una lettura politica
della Gaudium et spes al 76 allorch affermava la comunit politica e la Chiesa sono indipendenti ed autonome luna dallaltra nel
proprio campo. Sembravano infine accettati i fondamenti del diritto
di libert di coscienza e religione non solo nella condivisione dellapertura del dialogo ecumenico, ma anche nel riconoscimento degli
altri sistemi religiosi mondiali, come ad esempio, quello ebraico,
quello induista, quello islamico4.
Si ricorda che non pochi ecclesiasticisti ritennero che la Chiesa
si fosse resa conto della nuova realt umana in atto e che la ChieP. Gismondi, Il diritto della Chiesa dopo il Concilio, Giuffr, Milano, 1972,
pp. 151 ss.
3
P. Bellini, Potestas Ecclesiae circa temporalia, in Ephemerides Iuris Canonicis, XXIV, n. 1-2, 1968, p. 22. A tale proposito il Gismondi sostenne il mutamento
della potestas Ecclesiae in potestas directiva ed affermava che di grande importanza in una societ pluralistica che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunit politica e la Chiesa e si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli
individualmente o in gruppo compiono in proprio nome come cittadini, guidati dalla
coscienza cristiana e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunit
con i loro pastori.
4
P.A. DAvack, Il problema storico giuridico della libert religiosa, Bulzoni,
Roma, 1966 pp. 264 ss; L. Spinelli, Il diritto pubblico della Chiesa dopo il Concilio,
in collaborazione con G. dalla Torre, Giuffr, Milano, 1982.
2

191

Maria Gabriella Belgiorno De Stefano

sa in tale nuova prospettiva avrebbe rinunciato a quei privilegi che


avessero potuto far dubitare della sua missione spirituale (76 della
Gaudium et spes)5.
La nuova struttura concentrica del Popolo di Dio ed il riconoscimento delle altre chiese come societas giuridicae (ordinamenti
giuridici separati dalla Chiesa cattolica romana) sembrava realizzare finalmente quellintendimento ecumenico a cui ciascuna chiesa
sispira6. Si ritenne che la Chiesa romana avesse accettato ormai il
principio risorgimentale libera Chiesa in libero Stato testimoniata
anche dalla finale realizzazione di riforme legislative particolarmente significative come la legge di divorzio7, quella relativa alla Riforma del diritto di famiglia8 quella sullinterruzione volontaria della
gravidanza9.
Si giunse alla conclusione da parte di non pochi giuristi ecclesiasticisti che i sistemi concordatari non giovavano alla Chiesa postconciliare, soprattutto per i fatali scivolamenti sul terreno politico; si
apr di conseguenza per lItalia una stagione nuova per la revisione
del Concordato Lateranense del 1929, con la costituzione di una delegazione statale (Gonella, Jemolo, Ago) e quella vaticana (Casaroli,
Silvestrini, Lener) che doveva finalmente cancellare quel principio
confessionista statale, che dichiarava la religione cattolica apostolica
romana la sola religione dello Stato (art. 1 Trattato) e dare impul5
P. Gismondi, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giuffr, Milano, 1975, p. 3: Lo
studio del diritto ecclesiastico acquista particolare importanza nella nostra epoca
con la Costituzione italiana del 1948 e dopo il Concilio Vaticano II. Infatti la Costituzione ha manifestato uno speciale interessamento per il fattore religioso dal punto
di vista organizzativo esterno, al fine di assicurare il soddisfacimento dei bisogni
religiosi dei cittadini. F. De Gregorio, Coscienza laica stato confessionale e libert
religiosa dopo il Concilio Vaticano II, Aracne, Roma, 2012.
6
G. Peyrot, Aspetti e rilievi giuridici delle relazioni ecumeniche, in Protestantesimo, 1966, pp.129 ss. Si ricorda anche che si costitu successivamente a tal fine
la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, il 5 novembre 1967.
7
Legge 1 dicembre 1970, n. 898. Tale legge trov una larga opposizione cattolica e si giunse al referendum abrogativo che si tenne il 12 maggio 1974.
8
Legge 19 maggio 1975, n. 151.
9
Legge n. 194 del 22 giugno 1978, anchessa sottoposta a referendum.

192

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

so al sistema delle intese con le confessioni diverse dalla cattolica;


questultime, infatti, attendevano da tempo, non solo una nuova legge sulla libert religiosa, ma anche un proprio riconoscimento giuridico nel diritto pubblico esterno italiano10.
Ma limpulso innovativo che aveva caratterizzato lepoca dei
referendum abrogativi per il divorzio e per linterruzione volontaria della gravidanza ed aveva proposto una nuova epoca di rapporti
Stato-Chiesa sappiamo purtroppo che si progressivamente affievolito, perdendosi nei molti rivoli di una riconfessionalizzazione statale
portata avanti dalle diverse anime dellassociazionismo cattolico e
dalla svolta conservatrice europea, che ha voluto rifondare un nuovo
giurisdizionalismo confessionista statale posto nelle mani di cittadini
fedeli politicamente e spiritualmente indirizzati, ma anche di cosiddetti laici devoti.
Lo storico Accordo di Villa Madama (1984) in parte snaturato
dai principi contenuti nel suo stesso preambolo, che comunque era
sopravvissuto alle numerose bozze, ebbe in realt il solo merito di
aver abolito il principio gi contenuto nello Statuto Albertino e recepito nellart. 1 del Trattato lateranense per cui la religione cattolica
apostolica romana la sola religione dello Stato.
La Chiesa cattolica, da parte sua, aveva rielaborato i principi conciliari in una prospettiva conservatrice (si ricorda il progetto della
Lex Ecclesiae fundamentalis) e nel 1983 riusc a promulgare un nuovo codex juris canonici che rappresentava nella realt una elaborazione pi sociologica che giuridica degli stessi principi conciliari.
Si apr anche contestualmente la stagione delle Intese con le
confessioni diverse dalla cattolica con lIntesa Valdo-Metodista. Da
tale epoca di apparenti grandi riforme emerge a mio avviso il punto
dolente dei rapporti tra Stato e fattore religioso rappresentato dalla ri10
Accordo di Villa Madama 18 febbraio 1984, Legge 25 marzo 1985, n. 121, con
Protocollo addizionale; parimenti si aprirono altre delegazioni con gli enti esponenziali delle confessioni diverse dalla cattolica per giungere allattuazione del dettato
dellart. 8 Cost. e dare una giusta dimensione giuridica alle confessioni diverse dalla
cattolica. La prima intesa fu con la Tavola valdese (Intesa valdo-metodista) 21 febbraio 1984, Legge n. 449 del 1984.

193

Maria Gabriella Belgiorno De Stefano

conferma dellinsegnamento dellora di religione nelle scuole statali,


anche se tale insegnamento non era pi obbligatorio. Si ricorda infatti come nella realt vennero creati problemi didattici e costituzionali
per lorganizzazione delle ore alternative allora di religione.
La Corte Costituzionale fu chiamata a pronunciarsi su tale questione, con la storica sentenza che oltre a dirimere la questione
dellobbligatoriet dellora alternativa a quella di religione, affermava lesistenza nellordinamento italiano del principio supremo di
laicit dello Stato11. Tale affermazione sembr colmare il vuoto costituzionale costituito dallassenza di una chiara affermazione della
laicit dello Stato e si sper che la sentenza della Corte Costituzionale aprisse, anche contro la realt progressivamente dominante,
una nuova stagione normativa statale in materia ecclesiastica, mentre
lora di religione diveniva un forte simbolo confessionista potenziato
da testi confessionali e dal progressivo consolidamento dello status
giuridico dei professori di religione nelle scuole pubbliche statali.
La progressiva riconfessionalizzazione trasversale degli stessi
apparati statali ha creato una realt sociale e politica devota, quella
stessa che gi lo Jemolo pessimisticamente intravedeva come evento
pericoloso nellimmediato dopoguerra (la fine della Democrazia Cristiana e dei partiti della Prima Repubblica).
Il gioco dei veti incrociati, come abbiamo potuto constatare in
questi anni, ha allontanato il paese non solo dallattuazione del risorgimentale principio del Cavour libera Chiesa in libero Stato, ma ha
anche impedito che si giungesse legislativamente ad una nuova legge
sulla libert religiosa; quella oggi vigente risale al 192912.
Corte Costituzionale, sentenza 12 aprile 1989, n. 203: la previsione di altro
insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione della coscienza che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto.
Lesercizio della libert costituzionale di religione e la questione del matrimonio
religioso indissolubile con effetti civili dissolubili definiti dalla legge di divorzio
sembrava risolta dalla definita delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullit
matrimoniale canonica che veniva a risolvere i contrasti giurisprudenziali creati in
materia dalla stessa Corte di Cassazione.
12
Legge n. 1159 del 1929, sui culti ammessi.
11

194

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

In tale asfittica realt sociale e politica, il diritto ecclesiastico si


trova in realt al bivio tra due anime. La prima tendente a riciclare
un sistema di rapporti di tipo confessionista con la Chiesa cattolica
apostolica romana anche in nome di una identit storica ed europea
che si voleva fosse inserita nel preambolo della Costituzione dellUnione Europea. Laltra anima, a contrario, quella progressista che,
partendo dal pensiero di Francesco Ruffini (che riconosceva alle diverse confessioni religiose libero protestantesimo un ruolo fondamentale nella creazione del diritto subbiettivo alla libert religiosa),
ma nello stesso sistema costituzionale europeo, vorrebbe che lo Stato
sviluppasse il dettato dellart. 19 Cost. e quindi si orientasse al riconoscimento di quel pluralismo religioso confermato di fatto nella nostra
comunit politica dalla presenza dei diversi diritti religiosi professati
dagli immigrati, che chiedono anche primariamente la tutela legislativa del loro diritto fondamentale alla libert di coscienza e religione.
Il pluralismo religioso e sociale del nostro paese pu essere, infatti, facilmente verificato entrando nelle scuole pubbliche italiane in
primo luogo nelle scuole materne ed elementari nelle quali lutenza
non cattolica e culturalmente e religiosamente diversa facilmente individuabile. Le due anime della materia, ma in realt le anime
sono molte, si contrappongono tra loro e di conseguenza il diritto
ecclesiastico ha perso la sua storica identit e la sua strutturale veste
giuridica e per questo stato inquadrato nellampio bacino del diritto
pubblico statale.
Prospettive di studio del Diritto ecclesiastico
Il Diritto ecclesiastico ha avuto anche un sviluppo in una prospettiva internazionalista, come gi dagli anni 60 sosteneva il Margiotta
sottolineando la rilevanza dei trattati internazionali bilaterali e multilaterali13, ponendo le basi metodologiche del diritto ecclesiastico
13
Trattato di amicizia, commercio e navigazione fra Italia e USA del 2 febbraio
1948, reso esecutivo dalla legge 18 giugno 1949, n. 385. Trattato di pace del 1947 tra

195

Maria Gabriella Belgiorno De Stefano

comparato e indicando lo studio della Convenzione europea dei diritti delluomo in riferimento allart. 9, nonch i possibili sviluppi
giurisprudenziali attuabili da parte della stessa Corte Europea dei diritti delluomo che avrebbe potuto rappresentare una futura garanzia
internazionale sia del diritto di libert di coscienza e religione, sia
della laicit degli Stati.
Lampia panoramica delle fattispecie di cui si occupata la Corte europea dei diritti delluomo dimostra la perenne attualit della
materia. Tra le tante ricorderemo solo a titolo esemplificativo la sentenza Refah Partisi contro Turchia nella quale la Corte ha preso una
netta posizione contro linvadenza di un diritto religioso nel sistema costituzionale laico di uno Stato (sharia)14. E da ultimo il caso
Lautsi contro Italia (pi noto come il crocifisso nelle aule scolastiche
della scuola pubblica), la cui rilevanza politica (attualissima) dimo-

Italia e altri paesi reso esecutivo con d.L.C.p.S 28 novembre 1947, n. 1430, obbligo
dellItalia di rispettare il diritto fondamentale alla libert di culto. Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali stipulata a
Roma il 4 novembre 1950 che riconosce ad ogni persona il diritto alla libert di coscienza e religione inclusa la libert di cambiare religione, di manifestare il proprio
credo in forma individuale o associata. Trattato di Lisbona che modifica il trattato
sullUnione europea e il trattato che istituisce la Comunit europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007: articolo 6 (ex articolo 6 del TUE): 1. LUnione riconosce i
diritti, le libert e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dellUnione
europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo
stesso valore giuridico dei trattati; articolo 10 Libert di pensiero, di coscienza e di
religione: 1. Ogni individuo ha diritto alla libert di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libert di cambiare religione o convinzione, cos come
la libert di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, linsegnamento, le
pratiche e losservanza dei riti; 2. Il diritto allobiezione di coscienza riconosciuto
secondo le leggi nazionali che ne disciplinano lesercizio. (F. Margiotta Broglio,
C. Mirabelli, F. Onida, Religioni e sistemi giuridici, Introduzione al diritto ecclesiastico comparato, il Mulino, Bologna, 1997).
14
Corte Europea dei diritti delluomo, caso Refah Partisi, Erbakan, Kazan et
Tekdal c. Turchia (n. 41340/98 e 41342/98), sentenza del 31 luglio 2001, confermata
dalla Grande Camera con sentenza del 13 febbraio 2003.
196

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

strata dal fatto che allorquando una prima pronuncia15 stata oggetto
di riesame da parte della Grande Camera della stessa Corte europea,
si visto lintervento di numerose associazioni pro e contro le conclusioni della prima sentenza, ma soprattutto si visto lintervento di
ben dieci Stati16 che chiedevano che fosse mantenuta lesposizione
del crocifisso nelle aule scolastiche. Con la sentenza emessa dalla
Grande camera il 18 marzo 2011, la Corte, pur riconoscendo che il
crocifisso un simbolo religioso, ne ha ritenuta legittima lesposizione in quanto di per s simbolo passivo, riversando sui docenti la
responsabilit di eventuali proselitismi nei confronti della personalit degli studenti17.
Lorientamento in materia di libert religiosa e di laicit dello Stato della Corte Europea dei diritti delluomo deve essere sostenuto in
questo momento storico proprio di fronte alla crisi dellassetto Unione Europea, poich il Consiglio dEuropa, grazie alla Convenzione
Europea ed al suo sistema giudicante riuscita comunque a creare un
sistema giurisprudenziale condizionante per le legislazioni europee;
infatti, se attualmente sembrano prevalere anche nella dimensione
economica le politiche reazionarie degli Stati membri, indiscutibile
che le politiche ecclesiastiche indicate dalla Corte Europea costituiscono una necessit storica e politica non eludibile anche di fronte alla
presenza di nuove religioni e credenze immigrate nei paesi membri.
Ma il diritto ecclesiastico italiano e internazionale ha infine sviluppato un ulteriore ambito scientifico della materia nello studio dei
diritti religiosi, estendendo il metodo di studio del diritto canonico
della Chiesa cattolica romana, percorso indicato gi dai maestri storici (Ruffini, Scaduto e Jemolo) ai diritti canonici delle altre religioni
e si giunti allo studio del diritto comparato delle religioni fondato
3 novembre 2009.
Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione di Russia, Grecia, Lituania, Malta,
Monaco, Romania, San Marino.
17
Europa e Islam, a cura di V. Tozzi, G. Macr, Rubbettino, Soveria Mannelli,
2009. M.G. Belgiorno de Stefano, Il crocifisso salvatodalla Corte Europea dei
diritti umani, in Scritti in onore di Franco Bolognini, Pellegrini, Cosenza, 2011, pp.
55 ss.
15
16

197

Maria Gabriella Belgiorno De Stefano

sullesame comparato dei diritti religiosi come lEbraismo, lIslam e


il Cristianesimo ed anche altri sistemi come lInduismo, il Buddhismo ecc.
Tale orientamento della materia dovrebbe permettere anche una
pi ampia conoscenza non solo dei diversi sistemi religiosi, ma anche della loro rilevanza giuridica e sociale nei diversi Stati a livello
mondiale, anche in relazione al fenomeno dellimmigrazione. Un
pi attento esame inoltre stato svolto pi recentemente non solo
nellanalisi dellIslam mediterraneo18, ma anche nelle diverse aree
continentali come lAsia e lAfrica, la cui multireligiosit e multiculturalit richiedono una conoscenza specifica anche per valutare la
rilevanza di tali diritti nei sistemi normativi, giudiziari ed amministrativi dei paesi europei.
Tali problematiche sono necessariamente solo indicative e spesso
richiedono una conoscenza sistemica delle particolarit normative
religiose legate ad usi, costumi e tradizioni particolari, come dimostra il problema delle mutilazioni genitali femminili e maschili19.
Attraverso tali nuove frontiere della materia si potrebbe, anche
nel nostro paese, sviluppare e predisporre le innovazioni legislative necessarie in un contesto sociale multiculturale e multi religioso,
creando finalmente una legislazione idonea in materia di tutela del
diritto fondamentale di coscienza e religione. A tal fine sarebbe estremamente necessaria, come gi pi volte sottolineato, che venisse approvata in sede parlamentare una nuova legge sulla libert religiosa,
che sostituisse definitivamente la legge sui culti ammessi del 1929,
che recepisse anche le direttive internazionali in materia e superasse
il sistema delle intese, tenendo anche presente che le ultime approvate, quella con i Testimoni di Geova e quella con lUBI (Unione
Buddhisti Italiana) sono ancora in attesa di apposita legge statale e le
18
Diritto e religione nellIslam mediterraneo. Rapporti nazionali sulla salvaguardia della libert religiosa: un paradigma alternativo?, a cura di S. Ferrari, il
Mulino, Bologna, 2012. Il libro dedicato ad Edoardo Dieni che stato il precursore
degli studi di diritto comparato delle religioni.
19
M.G. Belgiorno De Stefano, La comparazione del diritto delle religioni del
Libro, Ianua, Roma, 2002.

198

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

molteplici altre in naftalina non sono nemmeno in fase preliminare


di discussione20.
Ma nella attuale fase reazionaria e conservatrice dello Stato italiano, il diritto ecclesiastico, come possiamo tutti constatare, opportunamente relegato nellarea del diritto pubblico che nella sua vastit
tutto comprende e tutto nasconde; spetta pertanto ai nuovi docenti
della materia di opporsi a tale realt e rifondare il diritto ecclesiastico
italiano ed internazionale.
Il Diritto ecclesiastico, continuando la prospettiva della scuola romana
In conclusione mi sembra doveroso ancora una volta ricordare il
valore scientifico che ancora ha per la nostra materia linsegnamento
di Francesco Ruffini che pu essere definito il fondatore del Diritto
ecclesiastico, insieme a Francesco Scaduto. Il Ruffini rimane il pi
illustre tra i nostri maestri ed in lui possiamo trovare quegli elementi
di studio che servono per riprendere un percorso innovatore in questo
nostro momento storico. Egli non solo vissuto in una epoca ancora
rivoluzionaria e risorgimentale, ma ha anche affinato la sua cultura
giuridica nella scuola del Friedberg a Lipsia, nella quale approfond
i fondamenti storici e pubblicistici della materia21.
Il periodo prussiano pose il Ruffini anche a contatto con unesperienza politica statale fondata sul nazionalismo statale, sullesaltante nascita dellimpero prussiano (18 gennaio 1871), sullinimicizia con la Francia cattolicissima (che aveva impedito lunit dItalia
fino al 1870) e sullanticlericalismo cattolico22.
20
P. Piccioli, Il prezzo della diversit. Una minoranza a confronto con la storia
religiosa in Italia negli scorsi cento anni, Jovene, Napoli, 2010.
21
Il Ruffini tradusse in italiano il trattato di diritto ecclesiastico del Friedberg.
Anche Francesco Scaduto studi a Lipsia impostando il proprio pensiero a favore
della sostanziale superiorit della laicit dello Stato.
22
Le Leggi prussiane ecclesiastiche del 1872 erano fondate sulla lotta per la
civilt (KulturKampf) e rappresentavano un vero attacco di Bismarck alla Chiesa

199

Maria Gabriella Belgiorno De Stefano

Il Ruffini proprio in tale contesto, entrando in contatto con tutti


quei movimenti di liberi protestanti che in quel periodo godevano di
maggiori libert sociali e politiche, svilupp la sua ricerca sulle origini della libert di coscienza e religione studiando il Giansenismo, il
Socinianesimo e le loro influenze in Europa ed in America23.
Il suo insegnamento universitario, prevalentemente a Torino, gli
permise di confrontarsi con gli studiosi del tempo e di definire la dimensione scientifica e culturale della nostra materia non tralasciando
i presupposti storici di essa, ma indirizzando la struttura portante di
essa alla determinazione del diritto subbiettivo di libert religiosa ed
alla elaborazione istituzionale del principio di laicit dello Stato24.
La partecipazione anche alla vita politica italiana come senatore
del regno e lo svolgimento anche di una ampia attivit giornalistica
gli permise di consolidare le sue prospettive scientifiche nella costante verifica delle effettive necessit politiche e giuridiche nazionali.
La sua opera ancor oggi pi significativa legata al suo corso di diritto ecclesiastico: la libert religiosa come diritto pubblico subbiettivo.
Nella stessa Prefazione del Corso egli definiva il suo testo non un
manuale, n un trattato e nemmeno un testo di Istituzioni, ma un lavoro nel quale esporre tutto ci che nella universa nostra disciplina
stimammo dover importare massimamente ad uno studioso italiano.
cattolica romana ed al cattolicesimo; esse erano state elaborate anche dal Friedberg
e si fondavano sul principio della superiorit dello Stato sulla Chiesa. Le leggi prussiane ecclesiastiche del 1872 rappresentavano una scelta politica di superiorit dello
Stato sulla Chiesa e sul fattore religioso in nome della quale si regolava la chiusura
di alcuni ordini religiosi, sistituiva un tribunale regio per le questioni ecclesiastiche,
si ipotizzava anche la creazione di una Chiesa nazionale.
23
Il Ruffini nella sua opera Storia di unidea esamina la formazione del concetto
di libert religiosa nel seicento e nel settecento. Egli cerc di comprendere il valore
del dogma sociniano nellidea stessa di tolleranza. In A.C. Jemolo, Introduzione,
in F. Ruffini, La libert religiosa: storia di unidea, Feltrinelli, Milano, 1962 (prima
edizione 1908). La nostra attenzione a Francesco Ruffini legata anche alla continuit del suo pensiero con quello di Arturo Carlo Jemolo, suo studente a Torino e
suo primo allievo.
24
F. Margiotta Broglio, Introduzione, in F. Ruffini, Discorsi parlamentari, Senato della Repubblica, Roma, 1986.
200

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

Il criterio della scelta non fu quindi oggettivo ma soggettivo25. Una


materia che appariva la pi vasta fra le giuridiche come quella che
presenta gli aspetti pi disparati26.
Il Ruffini non volle limitare la sua trattazione scientifica ai rapporti Stato-Chiesa, ma estenderla alla considerazione del diritto del
cittadino ad un assetto di tali rapporti che rispetti e garantisca, innanzi tutto, la sua libert di fede, per questo il suo libro analizza nella la
prima parte lepoca della intolleranza religiosa, nella seconda lepoca della libert religiosa, concludendo lopera con una finale riflessione sul valore del separatismo come principio costituzionale.
Sappiamo anche come il Ruffini si opponesse al mutamento di un
sistema di separazione tra Stato e Chiesa cattolica come afferm proprio specificamente nel suo lavoro sui rapporti tra Stato e Chiesa27. Si
oppose ai Patti Lateranensi ritenendoli una involuzione storica e una
continuazione di quel rapporto storico dinastico creatosi tra lItalia
e la Sede Apostolica romana, databile nei lontani tempi della calata
longobarda, per cui fu La collocazione trasversale dei possedimenti
pontifici a far da spartiacque fra due Italie: contribuendo a separare
quelle due aree geografiche e quei due ambiti umani e a mantenerli
distinti per interessi, mentalit, per interessi politici28.
La scuola romana di Diritto ecclesiastico nasceva quindi dallidea di Ruffini ed anche se nel quadro della materia troviamo illustri
ecclesiasticisti, come Francesco Scaduto ed altri che hanno allargato
i confini della materia stessa, possiamo affermare che la singolarit
F. Ruffini, Corso di diritto ecclesiastico italiano. La libert religiosa come
diritto pubblico subiettivo, Bocca, Torino, 1924, p. 1.
26
Diritto storico e diritto presente, diritto universale e diritto particolare, diritto
statuale e diritto extra-statuale riconducibili a tre punti essenziali: 1) diritto pubblico subiettivo, 2) autonomia, 3) autarchia). Tre punti per apparivano per il Ruffini
strettamente collegati, tutti e tre infatti derivano dal duro nocciolo primitivo della libert di religione che tutta la teoria dei diritti di libert si venne poi faticosamente enucleando, perch quello della inviolabilit della propria coscienza fu il primo
e per un pezzo il solo diritto che lindividuo abbia accampato di fronte allo Stato.
27
F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa. Lineamenti storici e sistemici, a cura
di F. Margiotta Broglio, il Mulino, Bologna, 1974.
28
P. Bellini, Tra due Italie, Claudiana, Torino, 2010, p. 15.
25

201

Maria Gabriella Belgiorno De Stefano

del metodo del Ruffini diede una dimensione specifica allautonomia


del diritto ecclesiastico e nello stesso tempo lo inser pienamente in
quel complesso momento storico in cui si pensava che lunit dItalia
avrebbe rappresentato il crogiolo di tutte le libert religiose e civili.
Egli in realt era nato allindomani dellunit italiana ed aveva
percepito pienamente il significato della incompiuta realizzazione
del sistema di separazione tra Stato e Chiesa e di un vero sistema di
garanzia del diritto subbiettivo di libert religiosa, vivendo poi, anche, come senatore del regno le vicende postunitarie italiane gravate
dal non expedit papale. Tali riflessioni possono essere comprese leggendo proprio lepistolario di Benedetto Croce a Francesco Ruffini
nel quale si pu cogliere la profonda crisi dello Stato liberale italiano
nella nuova prospettiva politica ed ideologica dello Stato29.
Se il Ruffini considerato il fondatore del diritto ecclesiastico
italiano, in onore anche alla sua completa personalit umana di studioso, di politico e di giornalista, egli anche considerato il punto
di riferimento della scuola romana poich ebbe come allievo a Torino, nella facolt di giurisprudenza, Arturo Carlo Jemolo che fu in
realt colui che diede valenza nazionale ed internazionale al diritto
ecclesiastico italiano e che prosegu lopera del maestro, sviluppando
le tematiche fondamentali della materia e interpretando la successiva epoca storica e le vicende politiche e sociali del paese con gli
occhiali del giurista ed insegnando prevalentemente a Roma nella
Facolt di Giurisprudenza dellUniversit La Sapienza30.
Lo Jemolo fu rigoroso giurista, ma anche attento osservatore della
connessione tra diritto, politica e storia. Sappiamo che la sua produzione scientifica, letteraria e giornalistica fu eccezionale, ma forse
per comprendere pienamente il significato del suo pensiero e tracciare una linea unitaria tra la sua produzione scientifica e lindirizzo
di studio lasciato agli allievi, occorre leggere il suo libro Tra dirit-

29
F. Margiotta Broglio, Travaglio e crisi dello Stato liberale, in Lettere di Benedetto Croce a Francesco Ruffini, in Nuova Antologia, n. 2159, 1986.
30
Chiesa e Stato negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino, 1948.

202

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

to e storia 1960-198031 che costituisce anche il nesso di continuit


della scuola romana con i suoi esponenti storici pi illustri (P.A.
DAvack, P. Gismondi, L. De Luca, T. Mauro, L. Spinelli). Questultimi, essendosi recati a presentare gli auguri al maestro in occasione
del suo novantesimo compleanno, si stupirono della sua semplicit e
modestia, mentre ricordava limpegno con il quale ognuno di loro
aveva affrontato il lavoro scientifico quasi ignorando il significato
del suo messaggio di guida e di maestro. Gli allievi stessi per degnamente onorarlo successivamente pensarono di raccogliere parte dei
suoi saggi pi significativi e comunque scelti collegialmente in modo
che testimoniassero anche i diversi indirizzi della materia sviluppati
da essi32. In tale opera, nella quale sono raccolti diversi lavori dello
Jemolo, emerge in tutti lattenzione costante dello storico e del giurista al tema della libert che considerata come afferente innanzitutto
allintima coscienza del singolo ed alletica vigente in seno alla comunit. Per luomo di sentimenti liberali quel che conta non tanto
la sua libert, ma il vivere in un sistema di libert.
La libert religiosa ha quindi caratteri suoi propri; essa presenta: libert e tolleranza, libert ed eguaglianza, libert di credere e
di operare contrasti tra le norme di una religione e la legge statale,
lintolleranza di diritto e quella di fatto. Anche la normativa canonica della Chiesa Romana fu studiata dallo Jemolo che, confermando
lorientamento del Ruffini, considerava il diritto della Chiesa come
un ordinamento giuridico i cui fondamenti erano nel diritto romano e
si sviluppavano in un complesso sistema di sacralizzazione del diritto, costituendo un autonomo diritto religioso come peraltro analogamente costituiva un diritto religioso quello ebraico33.
Il tema della libert di coscienza e religione venne costantemente
collegato nei suoi scritti anche al tema della separazione tra Chiesa
A.C. Jemolo, Tra diritto e storia (1960-1980), Giuffr, Milano, 1982.
Id., Vita ed opere di un italiano illustre. Un professore dellUniversit di
Roma, a cura di G. Cassandro, A. Leoni, F. Vecchi, Jovene, Napoli, 2007.
33
Lo Jemolo era profondo conoscitore e studioso del diritto ebraico essendo egli
stesso di origini ebraiche.
31
32

203

Maria Gabriella Belgiorno De Stefano

e Stato, considerando negativamente sia i Patti Lateranensi, sia la


nuova impostazione della Costituzione italiana del 1948. Egli si definiva liberal-cattolico, termine riservato a chi per intensa che sia la
sua fede e la sua pratica pensi secondo schemi della societ civile, dia
gran posto nelle preoccupazioni alle strutture statali, a chi ad esempio riconoscesse che nella sua formazione avessero agito eminentemente uomini del mondo laico34.
Il mio personale ricordo di Jemolo risale a molti anni fa, quando
nel corso della lezione magistrale della docenza di Giuseppe Caputo
(suo pi giovane allievo) vidi entrare un vecchio signore un po malandato, che si sedette agli ultimi banchi silenziosamente. Poco dopo
i professori della scuola romana presenti DAvack, Gismondi, De
Luca, Mauro ed allora i pi giovani Bellini e Margiotta si lanciarono
verso il malandato signore costringendolo a sedersi in prima fila. Egli
continuava ad essere riluttante e infastidito da tanta attenzione, ma
poi rivolse, dietro gli occhiali, una occhiata benevola al folto gruppo dei pi giovani quasi per compiacersi della continuit potenziale
della materia. Il ricordo di quella giornata non pu non legarsi anche
alla continuit della scuola romana non tanto nelle diverse sedi universitarie italiane, nelle quali i vari giuristi ecclesiasticisti sono stati
e sono presenti, ma per la continuit ideale e sostanziale della loro
produzione scientifica con il pensiero dei loro primi maestri. Tutti
hanno sviluppato con orientamenti diversi nelle loro opere scientifiche sia il tema della libert religiosa, sia il valore del principio di
separazione tra Stato e Chiesa, formando in tal senso anche i loro allievi. Il patrimonio scientifico e culturale del diritto ecclesiastico non
dovrebbe andare disperso; recentemente nella mia sede universitaria
di Perugia, a fronte della proposta di sopprimere in quell universit
linsegnamento del diritto ecclesiastico, ho pubblicamente affermato: salvate il soldato Ryan.
Ma il problema fondamentale della sopravvivenza della materia
non legato solamente ai problemi economici delle universit ita34
C. Stajano, Jemolo lumilt della virt civile, in Corriere della sera, 10 agosto 2011, p. 37.

204

Il Diritto ecclesiastico pu sopravvivere

liane, esso connaturato alla voluta non conoscenza sociale e giuridica del fondamentale significato della libert anche religiosa e di
pensiero. Le enunciazioni formali anche politiche della tutela dei
diritti fondamentali della persona sono solo vuote enunciazioni e il
valore dellautonomia dello Stato da tutte le religioni e credenze
altro principio sostanzialmente dimenticato in una societ reazionaria, economicamente umiliata e diseducata a dare il giusto valore ai
rapporti umani (fratellanza), alla libert e alluguaglianza ed anche
al diritto alla felicit. Il rispetto personale e collettivo di tali principi
potrebbe rappresentare una nuova svolta storica sociale e politica che
per sembra purtroppo molto lontana nel futuro del nostro paese35.

35
P. Bellini, Il diritto di essere se stesso. Discorrendo dellidea di laicit, Giappichelli, Torino, 2007.

205

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico.


Primi cenni
di Fabiano Di Prima

Ringrazio anzitutto gli organizzatori della giornata di studi, che offre


ai cultori pi giovani della disciplina loccasione per riflettere sulle
sorti del diritto ecclesiastico.
Premetto che ripagher offrendo solo qualche minima suggestione.
Non per scortesia, naturalmente; ma perch ritengo che per esprimere
assunti compiuti su un tema di tale portata e delicatezza occorra un
bagaglio desperienza e conoscenza superiore al mio. Mi limiter,
pertanto, a tracciare alcune prime coordinate duno sviluppo possibile
dellinsegnamento; facendomi guidare dallipotesi da verificare che
una sua caratteristica genetica gli conferisca una naturale tendenza
allo scrutinio costante dei propri schemi, metodiche e contenuti, e una
tensione di base a un ciclico ripensamento della propria identit.
Per procedere a tale esposizione, partirei dallannotazione duna
circostanza che attiene al vissuto dellAccademia, e che sar capitata
a molti affacciatisi (come il sottoscritto) in un momento incerto di
questultima. Mi riferisco al consiglio che pi volte m capitato di
ricevere da parte dei maestri della disciplina, di non badare al contesto
generale avvilente, e piuttosto concentrarsi sullo studio dei classici1.
In tal senso, in ordine agli studi canonistici ed ecclesiasticistici, quantomeno
suggestiva mi pare la circostanza che solo negli ultimi mesi siano state edite ben tre
opere deputate a rievocare figure di insigni giuristi della disciplina (F. Margiotta
Broglio, Religione, diritto e cultura politica nellItalia del Novecento, a cura di
G. Mori e A.G. Chizzoniti, il Mulino, Bologna, 2012; La costruzione di una scienza per la nuova Italia: dal diritto canonico al diritto ecclesiastico, a cura di G.B.
Varnier, EUM, Macerata, 2011) o a riproporne il pensiero circa le metodiche pi
opportune da seguire nella ricerca e nella didattica (Lo studio e linsegnamento del
diritto canonico e del diritto ecclesiastico in Italia, a cura di S. Gherro e M. Miele,
1

207

Fabiano Di Prima

Un suggerimento che ricordo volentieri, anche perch effettivamente


proficuo: procedere sulle spalle dei giganti (per usare una nota
immagine2), permette nei giorni meno bui e con un po dottimismo
dintravedere tempi migliori.
Sennonch, per chi si occupa di Diritto ecclesiastico tale procedimento pare sortire un effetto secondario, pur esso, in un certo senso,
giovevole. A seguire quel consiglio, infatti, si scopre in prima battuta
che i maestri della disciplina, a cominciare dai fondatori (vedi ad
esempio Francesco Scaduto3), hanno convissuto anchessi con uninsicurezza di fondo: quella, cio, di coltivare una scienza allora ritenuta
marginale, accusata di non avere autonomia scientifica e comunque di
non essere indispensabile per la formazione del giurista: una disciplina
il cui insegnamento, era questo il pensiero ostile, risultava surrogabile
da altri (pi consolidati) ambiti scientifici4.
Cedam, Padova, 2012); e lo stesso a dirsi in ordine al tema prescelto in occasione
dellultimo Convegno nazionale dellA.D.E.C., svoltosi nellAteneo patavino, Gli
insegnamenti del diritto canonico ed ecclesiastico a centocinquantanni dallUnit,
Padova, 27-28-29 ottobre 2011, cfr. olir.it/areetematiche/95, consultato il 2 maggio 2012) e altres a quello su cui s incentrato il recentissimo incontro di studi
tenutosi nellAteneo federiciano nellaprile scorso Rileggere i Maestri (cfr. olir.it/
areetematiche/news/documents/news_3174_napoli_rileggere_maestri_18apr2012.
pdf, consultato il 2 maggio 2012).
2
Si tratta del celebre aforisma riportato da Giovanni di Salisbury nel suo Metalogicon (1159), e da lui attribuito a Bernando di Chartres, secondo il quale noi siamo
come nani issati sulle spalle di giganti, cosicch possiamo vedere pi e pi lontano
di loro, non per lacutezza dello sguardo o per la statura del corpo, ma perch siamo
sollevati in alto dalla loro mole gigantesca. Per approfondimenti, cfr. M. Giansante, Giganti e nani. Gli antichi e i moderni in una metafora medievale, in I Quaderni
del M.A.E.S., 2009-2010, pp. 137 ss., anche in biblioteca.retimedievali.it.
3
F. Scaduto, Il concetto moderno del diritto ecclesiastico. Prolusione letta
il 21 novembre 1974, L. Pedone Lauriel, Palermo, 1885, ora in appendice a I.C.
Iban, Enlos orgenesdelDerecho Eclesistico, Boletin oficial del Estado, Madrid,2004,p.187 ss.
4
Come rilevato, tra gli altri, da A. Zannotti, nel suo intervento svolto in occasione delle Giornate di studio su Linsegnamento del diritto ecclesiastico nelle
universit italiane, svoltesi a Campobasso nel gennaio del 2001 (i cui contributi
sono raccolti nel volume Linsegnamento del diritto ecclesiastico nelle universit
208

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

In altre parole, quel tuffo nel passato consente di rinvenire un


tratto ricorrente dellecclesiasticista di rango, che pur forte del lustro
conseguito in una civilt giuridica raffinatissima5 (e quindi estremamente esigente), pu scontare un latente senso di scetticismo e
insicurezza6 sullautosufficienza scientifica della materia7; e talvolta
maturare (specie nelle fasi di stanca) un convincimento pessimista sul
futuro della stessa8.
italiane, curato da M. Parisi, Esi, Napoli, 2002) v un radicato indirizzo di pensiero
per il quale, da una parte, il diritto ecclesiastico non avrebbe una sua autonomia
scientifica, ma dovrebbe essere ricompreso dentro linsegnamento e lalveo del diritto costituzionale, rappresentandone, esso, niente pi che quella branca che studia
i rapporti tra lo Stato, la Chiesa e le altre confessioni religiose.
5
Lespressione presa a prestito da E. Vitali, Legislatio libertatis e prospettazioni sociologiche nella recente dottrina ecclesiasticistica, in Il diritto ecclesiastico,
1980, I, p. 30 (ora anche in Id., Scritti di diritto ecclesiastico e canonico, Giuffr,
Milano, 2012, p. 9), che la utilizza in ordine a un celebre studio di L. De Luca (Il
concetto del diritto ecclesiastico nel suo sviluppo storico, Padova, 1946), per indicare come esso risultasse il frutto ultimo, per lappunto, di una civilt giuridica
raffinatissima, portata ad interrogarsi sulle ragioni stesse del proprio operare.
6
Cos, G. Catalano, Problemi metodologici nel diritto ecclesiastico tra
storia e dogmatica, in M. Tedeschi, G.Catalano, P. Bellini, P. Lombarda,
E.G.Vitali,M.Condorelli,F. Finocchiaro, L.DeLuca,Storia e dogmatica nella
scienza del diritto ecclesiastico, Giuffr, Milano, 1982, p. 46.
7
Ad esempio, a quanti (e non credo siano pochi) abbiano appreso i primi rudimenti del diritto ecclesiastico dal manuale del Finocchiaro, pu fare una qualche
impressione la scelta dello stesso di aprire un saggio incentrato sullo studio della
disciplina (Lo studio del diritto ecclesiastico negli ultimi venti anni, in Problemi
metodologici cit., p. 149), col quesito se il diritto ecclesiastico sia una scienza; pur
al netto della spiegazione fornita dallA., di voler agevolare una valutazione degli
studi ecclesiasticistici del ventennio test trascorso, col porre in evidenza come alcuni di essi, pur trattando problemi fondamentali della materia, non sempre hanno
tenuto conto della necessit di procedere in modo scientifico, (nel senso prospettato
dal Finocchiaro, e cio) sulla base di principi classificatori individuati con un sufficiente margine di sicurezza; allA. pare altres problematico (nel senso indicato),
il fatto che quando pure tali studi avessero individuato detti principi, non sempre
avevano per oggetto lindagine sulla materia offerta dallesperienza (p. 151).
8
Ci si riferisce allesempio pi noto di A.C. Jemolo (vedi il suo Considerazioni
sulla giurisprudenza dellultimo decennio in materia di decime con particolare riguardo a quella della Corte di Venezia e dei Tribunali Veneti, in Studi in onore di
209

Fabiano Di Prima

Leffetto giovevole di cui si diceva, tuttavia, non sta solo in questo


primo e parziale rilievo: che, al pi, potrebbe cagionare al giovane
ricercatore lesiguo mezzo gaudio di patire un disagio (quello
dellinsicurezza) conosciuto anche dai grandi. C invece soprattutto
la sensazione che questultimo possa aver incentivato le dinamiche
culturali del diritto ecclesiastico; pungolando, cio, i relativi cultori
ad unopera costante di costruzione e decostruzione dellarchitettura
della disciplina, che nel cercare i criteri normativi speciali9 atti a
darle il fondamento pi solido, fungesse al contempo a dar evidenza
della sua autonomia dalle altre scienze giuridiche (specie agli occhi
dei relativi cultori)10. Determinando una rincorsa alleccellenza che
Francesco Scaduto, vol. II, Casa Editrice del dott. Carlo Cya, Firenze, 1936, pp. 4
ss.) che a pochi anni dalla conciliazione, avvertiva come nel languire o nello spegnersi della polemica, il diritto ecclesiastico si trovasse in acque stagnanti, apparendo un ramo morto o quantomeno meno vivo del diritto. Preoccupazioni sul
destino della disciplina, che lambivano quelle sulla sua autonomia scientifica, posto
che lA. lamentava altres come la pi gran parte della letteratura ecclesiasticistica
vertesse sulla materia matrimoniale, cio su un capitolo comune al nostro diritto e
a quello civile. Gli faceva eco il suo allievo, P. Fedele, Il problema dello studio e
dellinsegnamento del diritto canonico e del diritto ecclesiastico in Italia, in Archivio di diritto ecclesiastico, 1939, I, p. 51, che rilevava, rispetto al primo profilo,
come il diritto ecclesiastico gli sembrasse un terreno povero, arido, il quale altri
frutti non ormai in grado di offrire al ricercatore se non quelli contingenti, dordine professionale e pratico; e quanto al secondo, che il diritto ecclesiastico fosse
ormai cos ristretto nel suo ambito da ridursi nelle mani dei suoi cultori ad una sola
materia, che per di pi non pu neppure considerarsi estranea ai cultori del diritto
civile, come la matrimoniale. Scritto, questultimo, che origin un vivace e prolungato dibattito tra illustri canonisti ed ecclesiasticisti ospitato nella medesima rivista
(diretta dallo stesso Fedele), la cui lettura ora resa pi agevole dalla ristampa dei
relativi interventi contenuta nel summenzionato volume Lo studio e linsegnamento
del diritto canonico e del diritto ecclesiastico in Italia. Vi fa cenno, tra gli altri, M.
Tedeschi, Sullo studio delle discipline ecclesiasticistiche, in Id., La tradizione dottrinale del diritto ecclesiastico, Pellegrini, Cosenza, 2007, p. 53 ss.
9
Sulla scienza giuridica come ricerca di criteri normativi, cfr. M. Dogliani,
Indirizzo politico. Riflessioni su regole e regolarit nel diritto costituzionale, Jovene, Napoli, 1985, p. 5 ss.
10
Esemplificativamente, vedi le osservazioni operate sul punto da V. Del Giudice,
Corso di diritto ecclesiastico, vol. I, Giuffr, Milano, 1933, p. 34 ss.; M. Falco, Cor210

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

nel succedersi continuo di soluzioni innovative, critiche e/o impostazioni alternative, mira alla delineazione di modelli teorico-sistematici
ottativamente inattaccabili: con un procedere che nellimmediato
divide o polarizza, come e pi della tensione dialettica tra laicisti e
confessionisti11; ma nel lungo risulta preziosa.
Solo per fornire un esempio, si focalizzi quanto accade nella disciplina nel periodo compreso tra la stipula e la revisione del Concordato
lateranense, dove segnatamente: a) allindomani della Conciliazione,
prima prevale una certa impostazione formalistica incentrata sulla specialit del diritto ecclesiastico12, poi monta un pensiero avverso, che
ne denuncia lindole privilegiaria e leccessiva astrattezza tecnica13;
b) con lavvento della Costituzione repubblicana, questo secondo trae
forza dai principi pluralistici e garantistici in essa contenuti, per far valere lidea generale del diritto ecclesiastico quale legislatio libertatis14;
so di diritto ecclesiastico, vol. II, Cedam, Padova, 1938, pp. 4 ss.; O. Giacchi, Note
sullo studio del diritto ecclesiastico, in Lo studio e linsegnamento cit., pp. 125 ss.
11
Cfr. G.B. Varnier, Leattualiprospettivedeldirittoecclesiasticoitaliano.Relazione di sintesi, in olir.it, maggio 2005, p. 2, nota la peculiarit del diritto ecclesiastico, che nasce laicista e sfocia nel confessionismo, alimentandosi dalla contrapposizione dialettica tra queste due opposte correnti, mentre teme il ristagno della
palude. Circa un decennio prima, A. Vitale, Lo stato degli studi di diritto ecclesiastico in Italia, in Anuario de Derecho Eclesistico del Estado, vol. XII, 1996, p.
442, parlava duna tradizionale articolazione ideologica esistente nel campo della
disciplina, tra cattolici clericali e moderati e laici anticlericali e moderati ma rilevando come essa a prima vista [non fosse] cos netta come in passato. Sul punto,
cfr. altres, V. Tozzi, Linsegnamento del Diritto Ecclesiastico nellUniversit italiana, in Linsegnamento del diritto ecclesiastico nelle universit italiane cit., pp. 21-2.
12
Emblematica, in tal senso, la visione di V. Del Giudice, Manuale di diritto
ecclesiastico, Giuffr, Milano, 1951, pp. 3 ss. Sul punto, vedi E. Vitali, Legislatio
libertatis e prospettazioni sociologiche cit., pp. 36 ss.; M. Tedeschi, Sulla scienza del
diritto ecclesiastico, Giuffr, Milano, 20073, pp. 49 ss.
13
Cfr. M. Tedeschi, Sulla scienza cit., p. 54; E. Vitali, Legislatio cit., pp. 17 ss.
14
Il richiamo va a L. De Luca, Diritto ecclesiastico ed esperienza giuridica,
Giuffr, Milano, 1971. Sul punto, cfr. tra gli altri A. Albisetti, Diritto ecclesiastico
italiano, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. V, Utet, Torino, 1999, pp.
237 ss. (ora anche in Id., Tra diritto ecclesiastico e canonico, Giuffr, Milano, 2009,
pp. 186 ss.) e E. Vitali, op. ult. cit., passim.
211

Fabiano Di Prima

ma pi tardi, con laffermarsi dun certo modello di Stato (sociale) e di


Chiesa (postconciliare), questa stessa idea informa una costruzione
peculiare parzialmente divergente, basata su prospettazioni sociologiche e concentrata sulle esperienze comunitarie di base15; c) negli
anni 80, prima e dopo il rinnovamento della piattaforma normativa
bilaterale ex artt. 7 e 8 Cost. che ribadisce la centralit del rapporto interistituzionale16 e lo specifico rilievo delle confessioni17, lanzidetta
costruzione riceve critiche che segnalano limprescindibilit di questi
due punti; rilievi che, in quello stesso periodo, col varo dellindicata
nuova piattaforma, ispirano spesso a loro volta nuove teoriche18.
Non si crede quindi di generalizzare, se si evince da ci (ma anche
da altre schermaglie dottrinali gi compiutamente descritte e analizzate) lesistenza duna costante tensione dialettica nella disciplina, la
quale pare non contentarsi mai degli esiti teorici raggiunti, specie
quando variano le contingenze della concreta esperienza giuridica; e
ci anche perch in gioco, sia pur magari non direttamente, sta sempre
il tema della sua identit di scienza19, che conduce nel pi dei casi a
Emerge in tal senso soprattutto larchitettura delineata da A. Vitale, Il diritto
ecclesiastico, Giuffr, Milano, 1978. Cfr. i rilievi critici su tale opera in E. Vitali,
op. ult. cit., pp. 27 ss.
16
Si ribadisce peraltro, in generale, la centralit del rapporto tra autorit dei due
rispettivi ordini, come suggerisce la ritrosia delle parti a trattare fenomeni non organicamente legati alle confessioni. Sul punto, pi diffusamente, sia consentito il rinvio
a F. Di Prima, Il volontariato religioso nellordinamento giuridico italiano, in Stato,
Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica (statoechiese.it), dicembre 2011.
17
Cfr. C. Cardia, Stato e confessioni religiose, il Mulino, Bologna, 1988, pp.
173 ss.
18
Quello degli anni 80, secondo G. Casuscelli, Le attuali prospettive del diritto
ecclesiastico italiano, in Olir.it, aprile 2005, pp. 5-6, pare essere uno snodo significativo, ma non in senso positivo: posto che secondo lA., la spinta propulsiva
che, dopo gli anni sessanta, aveva consentito una vera e propria rifondazione della
disciplina il cui baricentro si era spostato, con lenta progressione ma con solidit di
impianto, dallassorbente prisma concordatario verso quella configurazione di legislatio libertatis che dalla cattedra milanese ha tratto ispirazione prima ed alimento
poi, quella spinta si pian piano attenuata dopo la fine degli anni ottanta.
19
Cfr. P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 3, che parlando del presente della disciplina, nota come essa stia attraversando un momento
15

212

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

una difesa pervicace del peso e del senso della sua presenza, e delle
sue metodiche caratteristiche.
Un ragguardevole sforzo critico, in effetti mai cessato (specialmente in questi ultimi anni, e segnatamente appresso al passaggio grave
della riforma degli studi universitari del 9920) che opportunamente
ha fatto emergere, altres, quella costante autocritica che un celebre
studioso spagnolo ha con sense of humour elevato a minimo comun
denominatore degli ecclesiasticisti italiani21. Quasi come se questi
ultimi avessero inteso, chi pi, chi meno, raccogliere il testimone di
Francesco Scaduto, come trivellatore appassionato22.
non facile, e in parte sembra essere alla ricerca di una sua identit. V. anche G.B.
Varnier, La mutazione genetica dei contenuti della didattica, in Linsegnamento
del Diritto ecclesiastico nelle Facolt di Scienze politiche, a cura di G. Macr, Gutenberg, Fisciano, 2005, pp. 24-33, il quale manifesta lavviso chesiaprioritariorivendicareunaidentitdellenostrematerie. Sul punto in questione, altres, cfr. le
osservazioni fatte a suo tempo da G. Catalano, Lezioni di diritto ecclesiastico, I,
Giuffr, Milano, 1989, p. 46 ss.
20
Cfr., in proposito i saggi raccolti allindomani della riforma in parola nel volume collettaneo Linsegnamento del diritto ecclesiastico nelle universit italiane cit.
21
I.C. Iban, Francesco Scaduto como propugnador de la concepcin moderna
del derecho eclesistico, in Il contributo di Francesco Scaduto alla scienza giuridica,
a cura di S. Bordonali, Giuffr, Milano, 2009, pp. 31-2, nel porre a confronto il diritto
ecclesiastico italiano e lo Staatkirchenrecht tedesco, nota come quiz la nota distintiva ms llamativa tra le due realt scientifiche que en Alemania hay una marcada
tendencia a la consideracin de todo trabajo de cierta entidad como definitivo, en
tanto que en Italia el diritto ecclesiastico de modo continuo se ha sometido a un
constante processo de autocritica, de tal manera que nada puede darse por definitivo.
22
Nellimpegno a scavare le trincee di una usurante, ma avvincente, battaglia
delle idee, combattuta su pi fronti. Limmaginifica espressione adoperata da A.C.
Jemolo, nella Introduzione alla nuova edizione, curata dalla Regione Siciliana, del
celebre lavoro di Scaduto, Stato e Chiesa nelle due Sicilie dai Normanni ai giorni
nostri (Palermo, 1969; ediz. orig., Amenta, Palermo, 1887). Per approfondire il tema
specifico dellapproccio peculiare, insieme meticoloso e agguerrito, adottato da
Scaduto nella redazione dei suoi studi, si rinvia a G. Catalano, La problematica del
diritto ecclesiastico ai tempi di Francesco Scaduto e ai nostri giorni, in Il Diritto ecclesiastico, I, 1965, I, pp. 23-34; Id., Il contributo di Francesco Scaduto alla nascita
ed allo sviluppo del Diritto ecclesiastico italiano, ivi, 1995, IV, pp. 845 ss.; O. Condorelli, Il Diritto ecclesiastico di Francesco Scaduto nel giudizio di alcuni con213

Fabiano Di Prima

Tutto ci per provare a offrire uno spunto di riflessione, e cio che


la cifra del diritto ecclesiastico italiano sia tradizionalmente quella
duna disciplina dalla fibra robusta (per via degli illustri apporti) e
dallallure notevole, per lunicit del campo prescelto23, i.e. la ricerca della specialit normativa cagionata da un fatto religioso; ma al
contempo questo il punto naturaliter messa in discussione. Ci
essenzialmente a causa del suo legame stretto rilevato da Scaduto24
temporanei. Note minime su frammenti di ricerca, in Il contributo cit., pp. 162 ss.; F.
Di Prima, Il metodo di Francesco Scaduto. Un caso paradigmatico, ivi, pp. 95 ss.
23
Cfr. S. Berling, Lo stato dellarte cit., p. 114, dove segnala lapporto non di
poco conto che la scuola ecclesiasticistica italiana ha offerto allodierno modo
di concepire il diritto come sistema normativo; e levidenza del fatto che il mos
italicus abbia fatto e continui a fare proseliti anche al di fuori del nostro Paese,
sicch gli studi di diritto ecclesiastico vanno sviluppandosi sempre pi secondo il
metodo offerto dalla scuola italiana e, non di rado, in diretto rapporto di sinergia
con i suoi esponenti anche in realt nazionali o in ambiti sovranazionali che non
avevano mai sviluppato, finora, una disciplina di studio autonoma per i rapporti
giuridici tra il sistema dordine che presiede alle esigenze della polis e linsieme
delle regole che attiene alla libera adesione delle coscienze (religiose o no, che siano). LA. rimanda in quella stessa sede alla esatta ed orgogliosa rivendicazione di
primazia per la scuola ecclesiasticistica italiana rinvenibile in G. Catalano, Il
contributo di Francesco Scaduto alla nascita ed allo sviluppo del diritto ecclesiastico italiano cit., pp. 845 ss.; nonch al valore paradigmatico assunto da quella scuola,
per quel che riguarda lesperienza spagnola, in J. Martinez-Torrn, Religin derecho y sociedad. Antiguos y nuevos planteamientos en el derecho eclesistico del
Estado, Granada, 1999, pp. 16 ss. Quanto a questultima valenza, si rinvia anche al
menzionato lavoro di I. C. Ibn, En los origines cit., pp. 13 ss.
24
Al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (organo dellamministrazione centrale della p.i. ai sensi dellart. 2 della Legge Casati), che aveva espresso il
parere che il diritto ecclesiastico difettasse dautonomia scientifica, sulla scorta del
rilievo (in s corretto) della comunanza dei campi di questultimo a quelli di altre discipline (e che queste ultime potessero perci essere le sole a occuparsene), Scaduto
risponde convinto del fatto che se pure i lati forense e storico si potevano annettere,
senza notevole danno della scienza, alle materie affini del diritto civile e della storia
del diritto; ma non cos [poteva dirsi] rispetto agli altri sociologico e politico, la
cui importanza [ sarebbe andata] in grandissima parte perduta, quando la materia
[] non si [ fosse pi] present[ata] nel suo insieme (F. Scaduto, Il concetto
moderno del diritto ecclesiastico, cit.,p.187 e ss.).
214

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

(e recentemente da Catalano25) col dato sociologico e politologico


dellesperienza religiosa: che costringe la disciplina non solo a registrare il pi minimo cambiamento di tale dato, fungendo in qualche
modo da termometro della sua mutevolezza26; ma altres, per starvi
dietro, a tarare costantemente la precisione e laffidabilit delle
misurazioni effettuate27, e in caso di grandi variazioni di sistema,
a prefigurare la necessit di aggiornare lo stato dellarte28. Da qui il
ripensamento costante, la messa in discussione, il dibattito serrato e
tutte quelle dinamiche che dicono del fisiologico svolgimento della
missione ecclesiasticistica: quella di fornire una costruzione teorica
ogni volta effettivamente rappresentativa degli aspetti socio-politici
che stanno dietro al fenomeno religioso inquadrato dal diritto con una
regola ad hoc.
Cfr. G. Catalano, Lezioni di diritto ecclesiastico cit., p. 48; Id., La problematica del diritto cit., pp. 34 ss.
26
Si mutua limmagine da G.B. Varnier, Il Diritto ecclesiastico dopo le riforme,
in Id., Il nuovo volto del Diritto ecclesiastico italiano, Rubettino, Soveria Mannelli,
2004, p. 53, che vede la disciplina quale termometro sensibile dei mutamenti in
atto nella societ.
27
Ci pare dedursi dalla combinazione dellidea illustrata nella nota precedente
(la disciplina come termometro dei mutamenti sociali) con la notazione dello stesso A. (G.B. Varnier, ibidem), circa il cedimento strutturale conosciuto dalla disciplina, dovuto, tra laltro, allessere rimasta questultima in ritardo nei confronti
dei cambiamenti che hanno investito la realt storico-sociale e le stesse esperienze
religiose non riconducibili ad unit.
28
A pena dinfrangere, altrimenti, il compito che secondo S. Berling, Lo
stato dellarte ecclesiasticistica: dalla dura specialitdei privilegi alla forte
specificit del Diritto ecclesiastico, in Rivista di Diritto costituzionale, 1999, p.
118, proprio degli studiosi di diritto ecclesiastico, e cio di mediare culturalmente
fra il momento speculativo e ideologico e il momento pragmatico o tecnico-operativo di concretizzazione di una data esperienza giuridica. A tal proposito, vale il
rilievo critico di M. Ventura, Regolazione pubblica del religioso. La transizione tra
simboli e realt, in Autonomia, decentramento e sussidiariet: i rapporti tra pubblici poteri e gruppi religiosi nella nuova organizzazione statale, a cura di M. Parisi,
Esi, Napoli, 2003, p. 213, che segnala la difficolt del diritto ecclesiastico italiano
a cogliere i problemi relativizzandoli (rispetto alla pluralit di contesti e sistemi)
e contestualizzandoli (rispetto al nesso tra idee/strumenti giuridici ed equilibri di
forze, pressioni e conflitti, negoziazioni e strategie).
25

215

Fabiano Di Prima

Dietro un nome convenzionale, sta, quindi, un contenuto costantemente in bilico, tra la difesa, la metabolizzazione e la critica delle
impostazioni da adottare; che vive tuttavia, nel bene e nel male, proprio
di questa intelligente tensione, o per dirla diversamente, duna saggia
stratificazione di spinte, equilibri e assetti29. Pu esservi staticit, insomma, ma soltanto nel brevissimo periodo: poich la sua persistenza,
che in altre discipline cagionerebbe al pi arretratezza; qua fa perdere
le coordinate delloggetto di studi (gi di per s estremamente sfuggente), determinando uno smarrimento di fronte a un orizzonte non pi
conosciuto, che letale per una scienza di frontiera30. Appoggiarsi,
infatti, in tale circostanza, a criteri elaborati da altre discipline giuridiche, significherebbe asseverare la degradazione del proprio statuto
epistemologico come minimo a scienza ancillare di altri settori.
Pare cos emergere come rappresenti non solo un segnale positivo,
ma un requisito insieme vitale e identitario del diritto ecclesiastico
italiano il costante riaggiornamento delle proprie prospettive.
*
questo il caso, a me pare, della circostanza posta allattenzione
dallodierno Seminario, della diffusione di volumi e riviste curati dagli
anzidetti specialisti che utilizzano il binomio Diritto e religione, o
Diritti e religioni31.
Cos, M. Ventura, Regolazione pubblica, cit., p. 215. Cfr. , altres, G. CasuA chiare lettere- Editoriale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale.
Rivista telematica (Statoechiese.it), gennaio 2007, p. 1, dove evoca le crisiricorrenticheinvestonoildirittoecclesiastico.
30
Cfr. S. Berling, Lo stato dellarte, cit., p. 109 e ss.
31
Si considerino, oltre ai quattro volumi (G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto
e religione, Plectica, Salerno, 2011; L. Musselli, Diritto e religione in Italia e in
Europa. Dai concordati alla problematica islamica, Giappichelli, Torino, 2011; P.
Consorti, Diritto e religione cit.; M. Ricca, Diritto e religione. Per una pistemica
giuridica, Cedam, Padova, 2002) ed alla rivista (Diritto e religioni, diretta da Mario
Tedeschi) posti in debita evidenza nellodierno Seminario, altres i tre volumi collettanei pubblicati questanno per i tipi de il Mulino, curati da S. Domianello (Diritto
e religione in Italia), R. Mazzola (Diritto e religione in Europa) e A. Ferrari (Diritto
29

scelli,

216

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

una scelta che in molti casi segue un orientamento gi inquadrato


in dottrina32, che parrebbe dire duna preferenza a non adoperare
lespressione Diritto ecclesiastico33, perch ritenuta non del tutto
appagante e da alcuni finanche poco adatta a rendere allesterno il
senso duno specifico ambito di studi, che appare mutato, nei contenuti
e nelle modalit dindagine.
Le motivazioni culturali che animano questindirizzo sono varie:
provando a richiamarne qualcuna per sommi capi, si pu partire da
quella che sembra lidea generale, e cio che i paradigmi tradizionali
della disciplina non rispecchino da qualche tempo le novit intervenute
nel quadro sociale e istituzionale italiano ed europeo. Si allegano a tal
proposito, fenomeni di portata epocale, ampiamente analizzati, come
e religione nellIslam mediterraneo); nonch gli altri usciti in tempi a noi vicini,
i.e. quello curato da D. Milani e J.G. Navarro Floria (Diritto e religione in America
Latina, il Mulino, Bologna, 2010), e laltro a cura di S. Ferrari, L. Gerosa e L. Mller
(Diritto e religioni nel mondo contemporaneo, 2009); ed ancora gli altri due editi
un paio danni prima, di E. Dieni (Diritto e religione vs nuovi paradigmi. Sondaggi
per una teoria postclassica del diritto ecclesiastico civile, Giuffr, Milano, 2008,
pubblicato postumo a cura di A. Albisetti, G. Casuscelli e N. Marchei) e M.C. Ivaldi
(Diritto e religione nellUnione Europea, 2008); e infine i meno recenti contributi,
curato uno da S. Ferrari, insieme a W. Cole Durham Jr. ed a E. Sewell (Diritto e
religione nellEuropa postcomunista, il Mulino, Bologna, 2004), e laltro steso a
quattro mani dallo stesso S. Ferrari e da I.C. Iban (Diritto e religione nellEuropa
occidentale, 1997). Rileva come il binomio de quo sia stato di recente usato anche
per intitolare un convegno internazionale arricchito dalla presenza di studiosi di differenti settori (tra cui anche quello ecclesiasticista), i cui atti sono stati pubblicati
nel 2010 per i tipi della Aracne (Diritto e religione. Tra passato e futuro. Atti del
Convegno internazionale, Villa Mondragone. Monte Porzio Catone, 27-29 novembre 2008, a cura di M.R. Di Simone, A.C. Amato Mangiameli, Aracne, Roma, 2010).
32
Esemplificativamente, vedi R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico. Valori
religiosi e rivendicazioni identitarie nellautunno dei diritti, Giappichelli, Torino,
2008, p. 63; M. Ventura, Diritto ecclesiastico e Europa. Dal church and state al
law and religion, in Il nuovo volto cit., pp. 191-213; S. Domianello, Linsegnamento
del diritto ecclesiastico e lavvenire, in Linsegnamento del diritto ecclesiastico
nelle universit italiane cit., pp. 64 ss.; G. Cimbalo, La riforma dellinsegnamento
universitario e prospettive di insegnamento del Diritto Ecclesiastico, ivi, pp. 37 ss.
33
Cfr. S. Ferrari, Una modesta proposta per prevenire, in Quad. dir. pol.
eccl., 1998, I, p. 9.
217

Fabiano Di Prima

ad esempio la globalizzazione, limmigrazione, la multiculturalit, il post-secolarismo e la crisi della sovranit westfaliana34, che
indubbiamente hanno cambiato (e cambiano) assetti consolidati, sul
piano istituzionale/verticale delle decisioni politiche e della produzione
delle regole; e su quello sociale/orizzontale dei modelli culturali, etici
e religiosi, sempre pi differenziati e sfaccettati35.
A esser messa in luce, nello specifico della gestione della fenomenologia religiosa, la novit che lo Stato e le Chiese non ne
sono pi i protagonisti assoluti: e ci per un complesso di fattori
legati ai predetti fenomeni, che in estrema sintesi ex parte Status,
attengono alla perdita di sue proprie attribuzioni verso lalto (a vantaggio di organismi sovranazionali e internazionali) e verso il basso
(a pro di enti territoriali, soggettivit private, authorities e istituzioni
indipendenti)36; mentre ex parte Ecclesiae concernono dinamiche
34
Lespressione adoperata da M. Ventura, Diritto ecclesiastico e Europa cit.,
p. 196.
35
Fornisce un quadro riassuntivo delle ragioni del mutamento socio-religioso,
da ultimo, F. Margiotta Broglio, Confessioni e comunit religiose o filosofiche
nel Trattato di Lisbona, in Le confessioni religiose nel diritto dellUnione Europea,
a cura di L. De Gregorio, il Mulino, Bologna, 2012, pp. 34-6. Vedi altres, tra gli
altri, G. Dammacco, Il diritto ecclesiastico tra riformismo e multiculturalismo, in
Il riformismo legislativo in diritto ecclesiastico e canonico, a cura di M. Tedeschi,
Pellegrini, Cosenza, 2011, pp. 157 ss.; S. Bordonali, Lincidenza del fatto religioso
nei percorsi formativi della legge nellordinamento italiano, in Anuario del derecho eclesiastico del Estado, vol. XXVI, 2010, pp. 733 ss.; P. Consorti, Pluralismo
religioso: reazione giuridica multiculturalista e proposta interculturale, in Multireligiosit e reazione giuridica, acuradiA.Fuccillo,Giappichelli,Torino,2008, pp.
197 ss.; P. Lillo, Globalizzazione del diritto e fenomeno religioso, Giappichelli,
Torino, 2007; R. Botta, Sentimento religioso ed appartenenza confessionale, in Religione, cultura e diritto tra globale e locale, a cura di P. Picozza, G. Rivetti, Giuffr,
Milano, 2007, pp. 51 ss.; M. Ventura, op. ult. cit., pp. 192 ss.; il volume collettaneo
Integrazione europea e societ multi-etnica, a cura di V. Tozzi, Giappichelli, Torino,
2001; V. Tozzi, Societ multi-culturale, autonomia confessionale e questione della
sovranit, in Il dir. eccl., 2000, I, pp. 124 ss.
36
Esemplificativamente, cfr. G. Corso, Persistenza dello Stato e trasformazioni
del diritto, in Ars Interpretandi. Annuario di ermeneutica giuridica, XVI, 2011, pp.
107 ss.; e M. Ventura, Diritto ecclesiastico e Europa cit., pp. 196 ss.

218

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

incrementali (pluralismo confessionale; indifferentismo religioso) e


decrementali (calo dellappartenenza e della pratica religiosa) che ne
ridimensionano il peso e il ruolo rappresentativo37. Si evidenzia, insomma, lindebolimento dun dittico su cui per secoli s strutturata
la dialettica tra politica, diritto e religione; e che ha, a catena, segnato
una certa impostazione tradizionale della dottrina. Allo stesso tempo,
si segnala come la parte del proscenio che rimane libera, tenda ad
esser occupata da presenze vecchie e nuove che incombono: da un
lato, le forme altre della religione38 e i loro diritti speciali, ovvero
le credenze in genere (specie individuali); e dallaltro le istituzioni
diverse da quelle statali.
A tal proposito, tra i predetti fattori che mitigano linfluenza degli
Stati, dato particolare rilievo al processo di integrazione europea, e
al ruolo determinante assunto dalle istituzioni euro unitarie e dagli
organi della CEDU. Da un canto, in quanto entrambi assumono, in
forza di tale processo, unautonomia decisionale in apicibus su settori
che investono direttamente (come nel caso della Corte europea dei
diritti delluomo) o indirettamente (come accade, ad esempio, nel
caso della Corte di Giustizia) il sentire religioso (rendendo frequente
lipotesi che siano questi a dirimere effettivamente i conflitti derivati dallesplicazione di quel sentimento nella sfera pubblica)39.
Dallaltro, in ragione dello spirito e delle logiche che animano quelle
decisioni: nel caso delle istituzioni UE, di segno antimonopolistico
Cfr., tra gli altri, S. Ferrari, Diritto e religione nello Stato laico: Islam e laicit, in Lo Stato secolarizzato nellet post-secolare, a cura di G.E. Rusconi, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 313 ss.; F. Margiotta Broglio, Leredit del recente passato, in Chiese, associazioni, comunit religiose e organizzazioni non confessionali
nellUnione europea, a cura di A.G. Chizzoniti, Vita e Pensiero, Milano, 2002, pp.
XIII ss.
38
Cfr. P. Consorti, Diritto e religione, cit., p. 7.
39
Cfr. G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione cit., pp. 100-26. Sulle
decisioni giurisprudenziali, cfr. tra gli altri O. Pollicino, Corti europeee e allargamento dellEuropa: evoluzioni giurisprudenziali e riflessi ordinamentali, in Il diritto
dellUnione europea, 2009, I, pp. 1 ss.; C. Zangh, Evoluzione e innovazione delle
sentenze della Corte europea dei diritti delluomo, in Studi sullintegrazione europea, 2008, I, pp. 29 ss.
37

219

Fabiano Di Prima

e antidiscriminatorio, comunque volte in linea di massima a promuovere la competizione degli interessi, piuttosto che la conservazione di rendite di posizione40; nellambito CEDU, fin da subito,
di attenzione primaria ai diritti protetti dalla Convenzione (e solo di
riflesso a quelle istituzionali, statali ed ecclesiastiche, coinvolte), e
negli ultimi anni, con una certa frequenza, di tendenziale surrogazione del ruolo dei legislatori nazionali nello standard setting circa
il rispetto di tali diritti41 (logica foriera di alcuni recenti conflitti fra
i primi e la Corte42). Col risultato complessivo di erodere la forza
dei principi posti a salvaguardia delle prerogative del dittico, sia
nella Costituzione (vedi la potest legislativa esclusiva riservata alla
Repubblica in materia di rapporti con le confessioni; o il privilegio
riconosciuto alle Chiese di rappresentare elettivamente gli interessi
religiosi confessionali nella stipula e applicazione del diritto pattizio),
sia nel Trattato sul funzionamento dellUnione europea (con la formula
ivi contenuta del non pregiudizio e del rispetto dello status previsto
nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunit
religiose degli Stati membri43).
Ma le motivazioni in discorso inquadrano non solo il mutamento di
peso dellintervento statale, ma anche quello del suo ruolo elettivo.
Non sono infrequenti, infatti, sviluppi teorici che considerano cruciale
lanalisi del mutato atteggiamento che lo Stato contemporaneo/demo40
Cfr. M. Ventura, Religione e integrazione europea, in Stato secolarizzato cit.,
pp. 327 ss.; Id., Diritto ecclesiastico cit., pp. 204 ss.
41
Cfr. S. Ferrari, La Corte di Strasburgo e larticolo 9 della Convenzione europea.Unanalisi quantitativa della giurisprudenza, in Diritto e religione in Europa.
Rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo in materia
di libert religiosa, a cura di R. Mazzola, il Mulino, Bologna, 2012, pp. 51-2. Rileva
L. Lorello, in Lo Stato costituzionale di diritto e le insidie del pluralismo, a cura di
F. Viola, il Mulino, Bologna, 2012, p. 182, come in tempi pi recenti gli interventi
della Corte Edu abbiano assunto una maggiore incisivit e una diversa connotazione, tradottasi tra laltro, nella scelta di elaborare nuove versioni di principi e
diritti, non sempre in linea con le tradizioni costituzionali nazionali.
42
Cfr. M. Ventura, Conclusioni. La virt della giurisdizione europea sui conflitti religiosi, in Diritto e religione in Europa cit., pp. 357-8.
43
TfUe, art. 17.

220

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

cratico deve assumere in ordine alla triplice dialettica su considerata


(politica/diritto/religione). Sottolineando come il nuovo contesto
imponga ad esso di svolgere una funzione prevalentemente mediatrice,
onde comporre una pluralit di tensioni sempre meno incasellabili,
per lemergere dellindicata pluralit di istanze ideali e spirituali; e
rilevando come per svolgere tale compito in modo costituzionalmente
efficiente assuma valenza basilare la laicit, come metodo e cifra
delle decisioni da assumere44 col maggior grado di soddisfazione per
le diverse istanze culturali (caso per caso) coinvolte45. Un approccio
teorico che quindi appare interessato potrebbe dirsi alla verifica
delle condizioni di praticabilit della democrazia rispetto allesplicarsi di unesperienza umana del tipo indicato, entro le condizioni
dettate dalle contingenze46.
Queste e altre ragioni allegate da chi opta per lapproccio law and
religion, sottolineano la necessit duno studio focalizzato su questo
scenario mutato in senso plurale, i cui campi di ricerca preminenti paiono dunque grossomodo essere: a) le decisioni giuridicamente vincolanti
assunte in sedi extrastatuali (o decentrate); b) il diritto prodotto dagli
ordinamenti religiosi emergenti, analizzabile anche con tecniche
comparatistiche47, ovvero nellinterazione con lesperienza giuridica
civile48; c) le rivendicazioni personali ultraconfessionali di libert
nelle scelte etiche e di coscienza49 (per inciso, un tema antico, ma
che torna attuale alla luce delleclettico rapporto con la spiritualit
proprio delluomo postmoderno).
Cfr. S. Ferrari, Tra geo-diritti e teo-diritti. Riflessioni sulle religioni come
centri transnazionali di identit, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica,
2007, p. 13; P. Consorti, Diritto e religione cit., pp. 13-4.
45
Cfr. M. Ventura, Grillo parlante o Pinocchio? Come sta nascendo il diritto ecclesiastico dellItalia multiculturale, in Multireligiosit e reazione giuridica
cit.,pp.181 ss.; M. Ricca, Laicit interculturale. Cos, in ScienzaePace. Rivista
del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace-Universit di Pisa, pp. 19 ss.
46
Prefigura questo tipo dindagine A. Vitale, Lo stato cit., p. 455.
47
Cfr. Introduzione al diritto comparato delle religioni. Ebraismo, Islam e Induismo, a cura di S. Ferrari, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 18 ss.
48
Cfr. S. Ferrari, Una modesta proposta cit.
49
P. Consorti, op. ult. cit., pp. 8-19.
44

221

Fabiano Di Prima

Tutto ci, infine, conduce, con toni e formule le pi diverse, a


incoraggiare ladozione di questo tipo di approccio; pur nel rispetto
di quello church and state, pi confacente al vecchio diritto ecclesiastico. Col risultato ultimo di suggerire che la convenzione adottata da Francesco Scaduto sfidando un etimo che rimanda ad altro
(il chiesastico), sia sempre meno acconcia a fotografare il quadro
sopra descritto.
Tuttavia, riprendendo quanto detto a proposito del carattere (che
qui si assume proprio) della disciplina, pare di poter giungere a una
conclusione diversa. Se vero, infatti per i motivi dianzi esposti che
la storia del diritto ecclesiastico italiano fatta dun ciclico ripensamento sulle acquisizioni (ogni volta) raggiunte; che ci rappresenta il
sintomo dun indefettibile inappagamento insieme culturale (a presidio
dellidentit scientifica) e funzionale (al suo proposito di apprendere
il dato ultimo socio-politico che sta dietro alla norma speciale religionis
causa); che questo spinge i cultori a ricercare con insistenza i contenuti
e gli approcci pi aderenti ai dati dinteresse in continua mutazione:
allora pare ricavarsi limpressione che lorientamento appena illustrato
(quello law and religion), lungi dal segnalare la caducit del diritto
ecclesiastico, piuttosto ne confermi la vitalit, rappresentando un
fenomeno fisiologico e tipico della natura peculiare dellinsegnamento.
Pi che duno snodo evolutivo della disciplina in quanto tale; quindi, si pu forse parlare dun ambito scientifico che come avvenuto in
passato si affianca a quello tradizionale (cio quello legato allapproccio church and state), e lo completa, dedicandosi prioritariamente
ai settori maggiormente coinvolti dalle descritte mutazioni di sistema.
Non pare, infatti, di scorgere una radicale discontinuit nel modo di
vagliare i fenomeni da studiare, sembrando in entrambi i casi inforcati a tal fine per usare unimmagine raccolta in dottrina gli occhiali
dellecclesiasticista50: quelli, cio alfine focalizzati sulla ricerca
dellecclesiasticit, e cio dellespressione (comunque manifestata)
duna speciale esperienza individuale e/o collettiva che reclama una
disciplina adeguata a tale specificit. Parendo quindi, in altre parole,
Cfr. R. Botta, Manuale cit., p. 66.

50

222

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

che a cambiare sia il campo dindagine prescelto, e il conseguente


approccio adottato, per studiare alcune particolari risposte che offre
il mondo della politica e del diritto51; ma che resti ferma lesigenza
(che sembra) propria della disciplina, di studiare prioritariamente la
regola speciale che sovviene alla peculiarit dellesperienza religiosa52.
*
A confortare tale impressione, del resto, sta il fatto che il dittico
Stato-Chiesa, per quanto depotenziato nel senso prima visto, non
abbia comunque perso centralit; e che quindi rebus sic stantibus lagire delle istituzioni statali ed ecclesiastiche continui a rappresentare
un oggetto danalisi cruciale per lecclesiasticista (quello, cio, del
diritto ecclesiastico nazionale).
Da una parte, infatti, persiste lo Stato (e il diritto da esso prodotto):
come altre costruzioni artificiali della modernit, in perenne crisi53
(al punto che c chi ritiene questultima una sorta di connotato
permanente dello Stato54), nonch oggi effettivamente limitato nel suo
51
G. de Vergottini, Garanzia della identit degli ordinamenti statali e limiti
della globalizzazione, in Global Law v. Local Law. Problemi della globalizzazione
giuridica, a cura di C. Amato, G. Ponzanelli, Giappichelli, Torino, p. 6.
52
Su questa specifica esigenza della disciplina, cfr. A. Albisetti, Diritto ecclesiastico italiano cit., p. 244.
53
del 1909 il celebre saggio di Santi Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi
(1909), che si pu leggere in Scritti minori, a cura di G. Zanobini, vol. I, Diritto
costituzionale, Giuffr, Milano, 1950, pp. 311-25; il tema della crisi dello Stato moderno, come rileva F. Viola nella sua Introduzione, in Ars Interpretandi cit., p. 7,
ripreso da Giuseppe Capograssi nel 1921 e da Giorgio Del Vecchio nel 1933, e nel
dopoguerra da altri studiosi, storici del diritto e giuristi, a noi pi vicini nel tempo,
come tra gli altri, Opocher, Tarello, Mazzacane, Ferrajoli, Sabino Cassese, tanto
che s parlato duna vera e propria cultura della crisi dello Stato. Largomento
ha costituito uno degli oggetti preminenti di riflessione nel corso del II Convegno
nazionale dellADEC tenutosi a Macerata (28-30 ottobre 2010) sul tema Libert
religiosa tra declino o superamento dello Stato nazionale, i cui atti sono stati pubblicati nella rivista Il dir. eccl., 2010, III-IV.
54
Lo rileva L. Ferrajoli, Lo stato costituzionale, la sua crisi e il suo futuro, in
Stato costituzionale cit., p. 309, notando come nella letteratura ad essa dedicata, la

223

Fabiano Di Prima

raggio dazione; eppure al contempo, per certi versi, in buona salute,


come paiono suggerire alcuni indicatori, quali lincrementale consistenza numerica delle entit statali, il persistente rilievo dellinteresse
nazionale dietro vicende apparentemente ascrivibili alle organizzazioni internazionali (come nel caso degli avvenimenti dellAfrica del
Nord)55 e la crescita costante della produzione giuridica statale. Rileva,
in particolare, questultimo dato, legato non solo a cause interne vecchie e nuove (ad esempio la costituzionalizzazione dei diritti, che
eccita la produzione di leggi per assicurarne lesercizio, e impedirne
la violazione; il peso dellopinione pubblica; lincidenza pressante
di sfere sociali prima paghe dellautoregolazione56; lintolleranza
esponenziale verso i fattori di rischio, ambientale, economico e
soprattutto sanitario, ecc.) ma altres, paradossalmente, al fatto su
indicato del conferimento di prerogative alle organizzazioni sovrastatali: giacch ad esempio, nel caso di attivit basilari per lo sviluppo
del Paese come quelle economiche in genere e i servizi pubblici, se il
diritto europeo indica altri soggetti deputati alla relativa gestione, lo
Stato tuttavia resta presente nel momento antecedente, (ugualmente)
capitale, della regolazione57.
Il punto che spiega lapparenza del paradosso proprio quella
della volontariet del conferimento e della delega: gli Stati, cio,
liberamente creano le predette organizzazioni (per rispondere a
crisi [dello Stato] stata caratterizzata di volta in volta, sotto innumerevoli aspetti,
quanti sono i connotati comunemente associati al termine stato: come crisi dello
stato liberale, come crisi dello stato sociale, come crisi dello stato rappresentativo,
come crisi dello stato di diritto, come crisi dello stato nazionale, come crisi dello
stato sovrano.
55
Sul punto, cfr. G. Corso, Persistenza dello Stato e trasformazioni del diritto, in
Ars Interpretandi. Annuario di ermeneutica giuridica, XVI, 2011, pp. 107-8, il quale, segnatamente in ordine alle recenti vicende richiamate, nota come solo prima facie
siano eventi riconducibili alle strategie e agli interventi delle organizzazioni internazionali (ONU, NATO, Unione Europea, Unione Africana, Lega Araba); ma come
in effetti le reazioni siano fondamentalmente quelle diverse e in qualche misura
confliggenti degli Stati: la Francia, la Germania, il Regno Unito, gli Stati Uniti.
56
Cfr. F. Viola, Introduzione, in Ars Interpretandi cit., pp. 13-4.
57
Cfr. G. Corso, Persistenza cit., pp. 117 ss.
224

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

bisogni che superano lorizzonte nazionale, in primo luogo quello


dellintegrazione), volontariamente vi aderiscono e, sempre in libert,
decidono quali e quante attribuzioni conferirvi (cfr. il paradigmatico
testo degli artt. 4, par. 1 e 5, par. 2 del Trattato sullUnione europea58).
Essi quindi, per dirla con la Corte costituzionale federale tedesca59,
restano i Signori dei Trattati (Herren der Vertrge): depositari della
responsabilit primaria60, esercitano effettivamente e in ultima istanza
lautentico potere decisionale in seno a dette istituzioni61, restando,
in sintesi, i veri soggetti sovrani.
Talch, com stato osservato, piuttosto che a una crisi della
sovranit statale, sembra pi di assistere ad una trasformazione62 o
58
Cfr. il testo dellart. 4, par. 1 Tue (qualsiasi competenza non attribuita allUnione nei trattati appartiene agli Stati membri) e dellart. 5, par. 2 Tue (In virt del
principio di attribuzione, lUnione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da
questi stabiliti).
59
Cfr. la sentenza del 30 giugno 2009 della Corte costituzionale federale (Bundesverfassungsgericht), relativa alla compatibilit con la Costituzione tedesca
(Grundgesetz) della legge di ratifica del Trattato di Lisbona (nonch della legge di
accompagnamento e delle norme sui poteri delle istituzioni tedesche).
60
Cfr., quanto allUnione europea, L.S. Rossi, I principi enunciati dalla sentenza
della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona: unipoteca sul futuro
dellintegrazione europea?, in Riv. dir. internaz., 2009, IV, pp. 993 ss., dove rileva come la Corte costituzionale federale tedesca (Bundesverfassungsgericht), nella
citata sentenza del 30 giugno 2009, precis[i] che lUnione europea gode di unautonomia decisionale che diversa dalla sovranit, in quanto non originaria ma
derivata dalla volont degli Stati membri.
61
Cfr. L. Condorelli, Crisi dello Stato e diritto internazionale: simul stabunt
simul cadent?, in Ars Interpretandi, XVI, 2011, p. 177.
62
Cfr., esemplificativamente, sullesperienza europea, C. Mirabelli, Primato
del diritto comunitario (anche sulle Costituzioni?), in Le confessioni religiose cit.,
p. 23. Pi in generale, sul mutamento della sovranit, cfr. V. Tozzi, Societ multiculturale cit., pp. 124 ss.; M. Ricca, Metamorfosi della sovranit e ordinamenti confessionali. Profili teorici dellintegrazione tra ordinamenti nel diritto ecclesiastico
italiano, Giappichelli, Torino, 1999; recentemente, vi accenna J. Pasquali Cerioli,
La maggiore disponibilit nei confronti del diritto canonico matrimoniale: una
formula ellittica al vaglio dellevoluzione dellordine pubblico, in Stato, Chiese
e pluralismo confessionale, Rivista telematica (statoechiese.it), maggio 2007, p. 2.

225

Fabiano Di Prima

alterazione dei modi di esercizio di questultima63. Appare senzaltro


in crisi, invece, la democrazia statale, risultando in particolare appannato, come nel caso italiano, il ruolo delle assemblee parlamentari64.
Non v chi non veda, infatti, il momento infelice conosciuto dalla
politica e dallistituto della rappresentanza democratica65 (per cui
si parla dun progressivo svuotamento del ruolo di governo della
prima, incalzata dai poteri economici e finanziari), e i conseguenti
processi di verticalizzazione e semplificazione66 dei sistemi politici,
per via dei quali si tende a esautorare i parlamenti e a rafforzare, anche
accrescendone i poteri normativi, gli esecutivi67 (sempre pi luogo
abituale delle decisioni essenziali68).
Ci si rileva in quanto ne scaturisce, tra laltro, in generale e nel
particolare della situazione italiana, il mutamento del tipo di diritto
Cfr. L. Condorelli, op. ult. cit., p. 177.
Cfr. R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2006,
p. 62, dove gli A. parlano dun ruolo sempre pi difficile dei Parlamenti. Cfr.,
altres, sul punto, i rilievi critici di A. DAndrea, Gli affanni della democrazia italiana, in Il governo sopra tutto: cattiva politica e Costituzione, a cura di Id., Bibliofabbrica, Gussago, 2009, pp. 17 ss.; L. Spadacini, Leclissi della rappresentanza
allorigine della crisi del Parlamento italiano, ivi, pp. 113 ss. Per unarticolata lettura critica degli aspetti costitutivi della democrazia, cfr. H. H. Hoppe, Democrazia:
il dio che ha fallito, Liberi Libri, Macerata, 2005.
65
Cfr. A. Barbera, La rappresentanza politica: un mito in declino?, in Quad.
cost., 2008, IV, pp. 854 ss.
66
Cfr. L. Ferrajoli, Lo Stato costituzionale cit., p. 329.
67
Sul punto c una copiosa bibliografia. Si rimanda al recente saggio di R. Di
Maria, La vis expansiva del Governo nei confronti del Parlamento: alcune tracce
della eclissi dello Stato legislativo parlamentare nel ruolo degli atti aventi forza
di legge, e alla bibliografia ivi citata; nonch al volume collettaneo Trasformazioni
della funzione legislativa. II. Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. Modugno, Giuffr, Milano, 2000.
68
Si usa lespressione adoperata da C. Schmitt nel suo Dottrina della Costituzione (1928), dove osserva come dalla perdita del ruolo rappresentativo del Parlamento, deriva come esso non sia pi il luogo nel quale viene presa la decisione pubblica
politica, in quanto le decisioni essenziali vengono prese fuori da esso. Cfr., sul
punto, G. Azzariti, Critica della democrazia identitaria, Laterza, Roma-Bari, 2005,
pp. 67 ss., dove lA. riporta la citazione test indicata.
63
64

226

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

prevalentemente prodotto dallo Stato: i.e. atti normativi del Governo69,


linee-guida e norme regolamentari dettate da agenzie di emanazione
governativa o da autorit indipendenti (ovvero ancora da comitati
etici), ma anche ordinanze sindacali70 e un numero sempre maggioCfr. R. Di Maria, La vis expansiva cit.
Il potere di ordinanza del sindaco, come rileva V. Cerulli Irelli, Sindaco legislatore?, in Giur. cost., 2011, II, p. 1600, tradizionale e risalente nella nostra legislazione. Il nodo critico dellambito di estensione di tale potere, fuori dai
casi di eccezionali emergenze che conducano allassunzione delle ordinanze c.d.
contingibili e urgenti, emerso, come rileva R. Mazzola, Laicit e spazi urbani.
Il fenomeno religioso tra governo municipale e giustizia amministrativa, in Stato,
Chiese e Pluralismo confessionale cit., marzo 2010, pp. 10 ss., con lintroduzione
nellordinamento del precetto contenuto nellart. 6 della l. 24 luglio 2008, n. 125
(l. di conversione del decreto legge 23 maggio 2008, n. 92) che ha riformulato lart.
54 comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.), attribuendo al sindaco il
potere di adottare con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel
rispetto dei principi generali dellordinamento, al fine di prevenire e di eliminare
gravi pericoli che minacciano lincolumit pubblica e la sicurezza urbana. Notava
lA. il pericolo insito nel rafforzamento del ruolo dei sindaci nella materia della
sicurezza, per le ricadute sulle politiche di integrazione, comportando un aumento, da parte delle amministrazioni comunali, delluso delle c.d. ordinanze libere,
alle quali si fatto spesso ricorso per risolvere problemi connessi alla presenza di
minoranze religiose allinterno dei centri urbani. Segnatamente V. Cerulli Irelli,
Sindaco cit., rileva come fosse da subito emerso il rischio che la portata della norma
modificata potesse essere intesa nel senso di conferire al sindaco una sorta di potere
generale di ordinanza (a contenuto normativo, si direbbe) da esercitare anche in deroga a singole disposizioni di legge (con il solo limite del rispetto dei principi generali
dellordinamento); ma al di l dei casi che [] giustificano ladozione di ordinanze
contingibili ed urgenti, quindi senza i necessari presupposti per lesercizio del potere
di ordinanza (contingibilit ed urgenza) e senza i limiti temporali circa lefficacia dei
relativi atti: un potere quindi che, anche in considerazione della vastissima gamma
di significati che assume il concetto di sicurezza urbana, appariva estremamente ampio, tale da rendere lesercente una sorta di sindaco legislatore, con giurisdizione
su quasi tutti i rapporti della vita sociale nellambito della comunit. Sulla questione
intervenuta la Consulta, che con la pronuncia n. 115 del 2011, ha dichiarato la
parziale illegittimit costituzionale del predetto comma 4 dellart. 54 (i.e. nella parte
in cui si indicavano provvedimenti anche contingibili e urgenti, elidendo codesto
virgolettato, cos che la norma adesso evoca solo quelli, per lappunto, contingibili
e urgenti), in primis escludendo la possibile summenzionata lettura della norma,
69
70

227

Fabiano Di Prima

re di provvedimenti giurisprudenziali71. Ci a dirsi anche per le


fattispecie dinteresse ecclesiasticistico. La fine della centralit del
parlamento72 italiano determina, infatti, la progressiva perdita di
ruolo della legge quale fonte tipica di regolamentazione degli interessi
e delle situazioni giuridiche soggettive (individuali e/o collettivi o
istituzionali) sottesi alle esperienze di fede ancorch costituzionalmente protette; e laccresciuto ricorso ad altri atti aventi forza di legge,
a fonti secondarie e ad altri atti/provvedimenti di incerta natura e
collocazione73. Si aprono dunque vasti spazi allazione della P.A.,
secondo cui essa avrebbe attribuito ai sindaci un potere di ordinanza generale capace
di derogare a norme di rango legislativo con il solo limite del rispetto dei principi generali dellordinamento, come accade mediante i poteri di ordinanza in senso proprio;
vieppi chiarendo come il sindaco, quale ufficiale del Governo non possa adottare
provvedimenti a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato, pur al
fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, fuori
dai casi di contingibilit e urgenza. Sul tema, cfr. fra gli altri, R. Bin, G. Pitruzzella,
Le fonti del diritto, Giappichelli, Torino, 2009, pp. 245-54.
71
Sul trend incrementale favorevole a un trasferimento del potere della tutela
dei diritti dalla sede dellattivit parlamentare a quella dellattivit [] giurisprudenziale in senso lato, cfr. S. Domianello, Il ripensamento e la ridistribuzione
suggeriti ai sistemi giuridici liberaldemocratici dalla naturale metamorfosi della
domanda di libert in materia religiosa, in Il dir. eccl., 2010, III-IV, pp. 635 ss.
Cfr., sul punto, altres M. Parisi, Il soddisfacimento delle istanze di visibilit spirituale e culturale tra margine di apprezzamento statale e principio maggioritario: il
caso Lautsi contro Italia, in Il dir. di famiglia e delle persone, 2011, IV, p. 1380,
dove nota come la lentezza del legislatore, a tutti i livelli dellesercizio della funzione nomopoietica, nellesame delle richieste pi diverse sollevate dalle minoranze
etniche e culturali [] abbia determinato laffidamento alla giustizia per lindividuazione di soluzioni utili al soddisfacimento delle istanze in causa.
72
Cos G. Casuscelli, Le attuali prospettive cit., p. 14.
73
Cos G. Casuscelli, Il pluralismo in materia religiosa nellattuazione della
Costituzione ad opera del legislatore repubblicano, in Diritto e religione in Italia
cit., pp. 29 ss. Pi in generale, come rileva F. Freni, Soft law e sistema delle fonti del
diritto ecclesiastico italiano, ivi, settembre 2009, p. 4, si avverte un cambiamento
del modello di regolazione, e lesigenza sempre pi avvertita di accentuare la
flessibilit e larticolazione degli interventi atti a regolamentare le mutate dinamiche
sociali. Il primo virgolettato rimanda al saggio citato dallA. di B. Pastore, Soft
law, gradi di normativit, teoria delle fonti, in Lavoro e Diritto, 2003, p. 8.
228

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

specie locale74 (che patisce meno, in linea di massima, la sfiducia


incombente sugli organi rappresentativi locali e nazionali) sovente in
vista di esigenze di sicurezza, su materie ecclesiasticisticamente sensibili (luoghi di culto, finanziamenti, simboli in spazi ove sesercitano
pubbliche funzioni; uso di oggetti religiosamente orientati, ecc.)75. A
loro volta, tali provvedimenti sollecitano spesso lintervento giudiziale, per districare i nodi non sciolti nella fase della normazione, e
acclarati da quella dellapplicazione. Cos che, in molti casi, da un lato
il principio di legalit soggetto a fibrillazioni; dallaltro si registra
un significativo incremento del tasso di discrezionalit dellazione
amministrativa76 specialmente degli enti locali (che a sua volta d
la stura a una proliferazione di ricorsi giudiziari).
evidente che questo nuovo diritto ecclesiastico statale pone
problemi giuridici seri, specie riguardo al grado di tutela effettivamente
offerto alle predette peculiari situazioni soggettive77. Ma qui interessa
74
Cfr. A. Licastro, Libert religiosa e competenze amministrative decentrate, in
Il dir. eccl., 2010, III-IV, pp. 607 ss.
75
Cfr. R. Mazzola, Laicit e spazi urbani cit., p. 13.
76
Cos M. Bignami, Principio di laicit e neutralit religiosa: lesperienza del
giudice amministrativo italiano, in associazionedeicostituzionalisti.it, p. 14; concordano su tale lettura R. Mazzola, Laicit e spazi urbani cit., marzo 2010, p. 12;
G. Cimbalo, Il diritto ecclesiastico oggi: la territorializzazione dei diritti di libert
religiosa, ivi, novembre 2010, p. 16.
77
Notano M.C. Folliero e G. Dangelo, Il pluralismo in materia religiosa nel
settore del privato sociale e in quello scolastico, in Diritto e religione in Italia cit.,
p. 61, come nella pi ampia logica di ridefinizione del ruolo delle [] istituzioni pubbliche connessa ai fenomeni da crisi della sovranit si iscrivono processi
(condizionati dalla fisologica complessit dellistanza pluralista) saturi di problematicit: queste ultime, soggiungono gli A., appaiono particolarmente incisive (al
punto da convertirle in vere e proprie criticit) laddove investano realt peculiari,
in primis quelle di natura religiosa/e o confessionale. Cfr., altres, le osservazioni di
A. Ferrari, Libert religiosa e nuove presenze confessionali (ortodossi e islamici):
tra cieca deregulation e super-specialit, ovvero del difficile spazio per la differenza
religiosa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale cit., luglio 2011, pp. 6-7, che
sottolinea le preoccupazioni nutrite dalle minoranze religiose per via dellaffermazione di uno dei fenomeni pi evocati quando si ragiona di questi temi, i.e. il federalismo, che rischia di acclarare un problema grave del Paese, chericonosce le

229

Fabiano Di Prima

rilevare che, nel bene e nel male, questo complesso variegato di regole scritte e lebendes Recht costituisce spesso il materiale normativo
utilizzato dagli operatori per gestire le eventuali criticit derivanti
dallesplicazione di una o pi istanze di tipo religioso.
Appare inoltre convincente il fatto che a orientare tale complesso
giuridico restino comunque i principi cardine costituzionali78 del
riconoscimento della libert religiosa individuale e collettiva, del
precetto dellaccordo con le confessioni religiose e della loro autonomia statutaria79. Un sostrato fondamentale che dice, insieme ad
altre previsioni basilari contenute nella Carta, della identit costituzionale italiana; e che in tal guisa (cio come corredo genetico che
impone alla Repubblica un certo approccio col fenomeno religioso)
pare ricevere ulteriore forza giuridica (oltre che politica) dal nuovo
precetto eurounitario che impone allUe di rispettare la identit nazionale insita nella [] struttura fondamentale degli Stati membri
(art. 4, par. 2 Tue)80.
autonomie ma incapace ad adempiere al compito, che pur si dat[o], di fissare per
esse una cornice adeguata, che salvaguardi la possibilit, per tutti ed ovunque, di un
pieno ed effettivo godimento dei diritti fondamentali (art. 117, 2, lett. m Cost). Per
alcuni esempi di particolari evenienze problematiche legate alle predette criticit,
sia consentito il rinvio a F. Di Prima, Il volontariato cit.; e Id., Interventi pubblici di
sostegno alle attivit di promozione socio-culturale degli enti ecclesiastici, tra interesse pubblico e sussidiariet orizzontale. Note critiche alla sentenza del Consiglio
di Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n. 371, in Il dir. eccl., 2009, III-IV, pp. 671 ss.
78
Ispirati tra laltro, come rileva G.B. Varnier, Orientamenti culturali e politici
della scienza ecclesiasticistica italiana nei secoli XIX e XX, in La costruzione di
una scienza cit., p. 12, dal ripudio delle visioni proprie dello Stato etico e dalla
riscoperta della specifica collocazione delle formazioni sociali.
79
Il virgolettato di G.B. Varnier, Orientamenti culturali e politici cit., p. 12.
80
Per unampia e approfondita ricostruzione del concetto, vedi il recente contributo di M. Starita, Lidentit costituzionale nel diritto dellUnione europea: un
nuovo concetto giuridico, in Stato costituzionale cit., pp. 139 ss. Sul punto, cfr. le
riflessioni di S. Mangiameli, Lidentit dellEuropa: laicit e libert religiosa, in
forumcostituzionale.it, pp. 9-10, dove rileva come la costruzione dellidentit europea, non solo non passata attraverso la decisione su presunte comunioni storiche
di tipo linguistico, etnico, territoriale e, non ultimo, religioso [] ma ha utilizzato
diffusamente nel corpo dei trattati questi elementi come caratteri distintivi posti a
230

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

Da ci deriva, venendo allaltro termine del dittico in parola, la


persistente centralit ordinamentale delle Chiese (pur sofferenti,
come accennato, sui piani diversi e generali della conservazione del
rilievo sociale e dellattecchimento delle relative dottrine sulle nuove
generazioni81) e conseguentemente del diritto pattizio. Se infatti la
linea del cambiamento che investe il diritto statale appare, a fronte
di quanto appena detto, contenuta e tracciata allinterno della stessa
Carta fondamentale82, allora sembra restare immutato il rilievo della
previsione costituzionale che inquadra le confessioni religiose quali
rappresentanti privilegiati degli interessi religiosi confessionali83:
per la stipula di accordi o intese (giusta artt. 7, II co. e 8, III co.) come
pure per tutto ci che riconducibile allapplicazione della legislazione pattizia84. Inoltre, il radicamento costituzionale di tali pattuizioni
pare fondare ancora una certa preminenza del diritto di produzione
pattizia85, facendo s, cio, che gli accordi raggiunti non siano mere
salvaguardia dellidentit degli stati membri, facendo loro assumere il compito di
fungere da contro-altare alla comune identit europea costituita dai principi e dai
valori. Per approfondimenti, vedi E. Di Salvatore, Lidentit costituzionale dellUnione europea e degli Stati membri. Il decentramento politico-istituzionale nel processo di integrazione, Giappichelli, Torino, 2008; P. Hberle, Costituzione e identit
culturale, tra Europa e Stati nazionali, Giuffr, Milano, 2006; C. Magnani, Il principio dellidentit nazionale nellordinamento europeo, in Lordinamento europeo, I,
I Principi dellUnione, a cura di S. Mangiameli, Giuffr, Milano, 2006, pp. 481 ss.
81
Cfr., da ultimo, G. Filoramo, Trasformazioni del religioso e ateismo, in Quad.
dir. pol. Eccl., 2011, I, pp. 3-14; C. Taylor, Let secolare, Feltrinelli, Milano,
2009 (ed. orig. Harvard University Press, Harvard, 2007); nonch gli originali spunti
di riflessione di U. Beck, Il Dio personale, Laterza, Roma-Bari, 2009.
82
Cos J. Pasquali Cerioli, La maggiore disponibilit cit., p. 2.
83
Cfr. sul punto dei rapporti interordinamentali tra Stato e Confessioni religiose, tra gli altri, A. Bettetini, Sulla relazione fra religione, diritto canonico e diritto
politico in una societ dopo-moderna, in Il dir. eccl., 2003, III, pp. 901 ss.
84
Cos A. Chizzoniti, Il rapporto fra istituzioni civili e soggetti religiosi collettivi
a livello amministrativo; interventismo, sussidiariet e rapporti con le autonomie,
in Proposta di riflessione per lemanazione di una legge generale sulle libert religiose, a cura di V. Tozzi, G. Macr, M. Parisi, Giappichelli, Torino, 2010, p. 107.
85
Ivi, pp. 107-8. Contra, N. Colaianni, Laicit e prevalenza delle fonti di diritto
unilaterale sugli accordi con la Chiesa cattolica, in Politica del diritto, 2010, II,
231

Fabiano Di Prima

occasioni per emanare una legge ordinaria, bens circostanze propedeutiche alla produzione di una fonte fornita di particolare stabilit86
(una preminenza che, per inciso, si percepisce maggiormente, stante
la grave perdurante assenza di una legge comune generale sul fatto
religioso, che potrebbe e dovrebbe fungere da punto di riferimento
per tutti i culti e per tutti i cittadini fedeli, superando lobsoleta legge
sui Culti ammessi87).
*
Tirando le fila di queste primissime osservazioni, pare potersi
ricavare la sensazione che ladozione di un approccio church and
state, ossia di un orientamento incline a restare nellalveo del diritto
ecclesiastico civile (per usare la definizione di Catalano), sguiti a
presentarsi proficua per lecclesiasticista, stante la centralit che a
tuttoggi rivestono, sia pur in senso mutato, i profili istituzionali della
dialettica politica/religione/diritto. Allo stesso tempo, sempre sulla
scorta di quanto detto prima, pare altres che lanima virtuosamente
pp. 181 ss., dove espone le ragioni che suffragano secondo lA. la primaut della
legge unilaterale laica (p. 222).
86
Cfr. S. Bordonali, Lincidenza del fatto religioso nei percorsi formativi della
legge nellordinamento italiano cit., p. 752.
87
Ivi, p. 754. La legge sui Culti ammessi n. 1159, del 24 giugno 1929, sorta come
nota G. Dalla Torre, Libert di coscienza e di religione in Stato, Chiese e pluralismo confessionale cit., marzo 2008, p. 1, in un contesto politico e sociale del tutto
diverso da quello attuale, ha una sorta di funzionamento residuale, applicandosi
quando listanza religiosa non proviene dalla Chiesa cattolica (art. 1) ovvero da una
delle confessioni che hanno sottoscritto unintesa ex art. 8, III co, Cost., per via di
unapposita previsione ogni volta espressamente contemplata nel testo pattizio che
la rende inefficace (cfr. sul punto, tra gli altri, S. Bordonali, Problemi di dinamica
concordataria, in Il riformismo legislativo cit., pp. 278 ss.; M.J. Ciaurriz, La abrogacin de la legislacin italiana sobre los culti ammessi, in Anuario de Derecho
Eclesistico del Estado, vol. XIV, 1998, pp. 691 ss.). Per approfondimenti, cfr. M.
Tedeschi, La legge sui culti ammessi, in Dalla legge sui culti ammessi al progetto di
legge sulla libert religiosa, Atti del Convegno di Ferrara, 26 ottobre 2002, a cura di
G. Leziroli, Jovene, Napoli, 2004, pp. 35 ss.
232

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

irrequieta propria della disciplina incentivi naturalmente lespressione, al suo interno88, duna costante tensione e dun permanente
dinamismo culturale. Suffragando, in tal senso, la stabile ambizione
di aprire fronti nuovi: come quelli di cui si discute in questo consesso,
incentrati sullanalisi dellinterazione tra ordinamenti interni e sovrastatali in materia di libert religiosa, e delle pluralit emergenti (dei
diritti religiosi, da una parte, e delle istanze etiche, dallaltra). Pare,
pertanto, ravvisarsi la plausibilit di uno sviluppo dellinsegnamento
che, in coerenza col predetto carattere, ma altres con la sua identit
di scienza e la sua storia, coltivi entrambi gli orientamenti (e perch
no, altri ancora a venire, laddove accadano altri mutamenti epocali
di sistema).
Non solo un auspicio ottimistico ovvero un blando irenismo:
la pratica dei due indirizzi sotto legida duno stesso insegnamento,
infatti, sembra offrire non solo la garanzia della copertura di spazi
dapprofondimento culturale sempre maggiore (secondo una semplice
logica additiva); ma altres un contributo potenziale allo scioglimento di alcuni nodi cruciali nella gestione della fenomenologia religiosa,
specie quelli pi complicati derivanti dalla multilevel governance89
(e il relativo inevitabile conflitto fra direttrici). Ci in quanto da tale
pratica scaturisce un deposito di soluzioni dottrinali peculiari a
disposizione degli operatori90, munite del non indifferente appeal
di essere differenti (a seconda della prospettiva assunta) ma tutte
sussumibili sotto il medesimo obiettivo scientifico: e cio la ricerca
del contegno dei poteri pubblici pi confacente al soddisfacimento
della peculiare istanza in causa. Si pensi, ad esempio, al problema

Rileva A. Fuccillo, Lincidenzaprofessionaledeldirittoecclesiastico, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale cit., ottobre 2009, p. 3, come allinterno della
disciplina si confront[i]no varie anime e sensibilit, che poi costituiscono uno dei
valori portanti della stessa.
89
Cfr. A. Licastro, Libert religiosa e competenze amministrative decentrate
cit., pp. 607 ss.
90
Cfr., A. Fuccillo, Il diritto ecclesiastico come diritto vivente nella esperienza giuridica contemporanea, in Il riformismo legislativo cit., pp. 410 ss.
88

233

Fabiano Di Prima

complesso concernente lampiezza del margine dapprezzamento91


che la Corte di Strasburgo decide di riconoscere agli Stati membri del
Consiglio dEuropa nei casi concernenti una violazione della libert
religiosa92. Lottica law and religion, attenta alla dimensione del
91
Cfr., sul punto, tra gli altri, P. Tanzarella, Il margine di apprezzamento, in I
diritti in azione. Universalit e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, a cura di M. Cartabia, il Mulino, Bologna, 2007, pp. 145 ss.; G. Letsas, Two
Concepts of the Margin of Appreciation, in Oxford Journal of Legal Studies, 2006,
pp. 705 ss.; F. Donati, P. Milazzo, La dottrina del margine di apprezzamento nella
giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo, in La Corte costituzionale e le Corti dEuropa, a cura di P. Falzea, A. Spadaro e L. Ventura, Giappichelli,
Torino, 2003, pp. 88 ss.; cfr. altres, per cogliere lindirizzo seguito dalla Grande
Chambre della Corte europea dei diritti delluomo, in un caso specifico avente ad
oggetto un tema di stringente attualit (la conformit alla Convenzione dei divieti
imposti da alcuni Stati membri circa ladozione di pratiche di fecondazione di tipo
eterologo), il recente contributo di C. Nardocci, La centralit dei Parlamenti nazionali e un giudice europeo lontano dal ruolo di garante dei diritti fondamentali, in
Forum di Quaderni costituzionali, 3 febbraio 2012 (che mette in luce, tra laltro, il
rilievo dato in tale pronuncia al principio di sussidiariet).
92
Nota G. Casuscelli, Convenzione europea, giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo e sua incidenza sul diritto ecclesiastico italiano. Unopportunit per la ripresa del pluralismo confessionale?, in Il dir. eccl., 2010, III-IV,
come la CEDU abbia sin dalle prime decisioni affrontato il tema delle relazioni
stato/chiese con un atteggiamento misurato, e di prudenza. Dando atto pi volte, quindi, del fatto che la complessit e [la] delicatezza dei problemi coinvolti
dalle discipline nazionali di questi rapporti rendono le autorit locali pi idonee
alla valutazione ed alla decisione idonea a rendere giustizia nel caso concreto in
favore di chi si ritenga vittima di una (norma, una pronuncia, una prassi posta in)
violazione della norma convenzionale. Di conseguenza, essa ha ammesso che in
questo ambito deve essere riconosciuto ai singoli stati membri un margine di discrezionalit nel dettare una concreta disciplina giustificata o richiesta dallo specifico
contesto (storico, culturale, sociale, politico) che li contraddistingue , pi ampio
che in altri settori pur essi assistiti da garanzie convenzionali. Tuttavia, negli ultimi
tempi, soggiunge lA. si va delineando (non senza contrasti, e non solo dottrinali)
un nuovo orientamento della Corte, volto a circoscrivere lo spazio del margine
di apprezzamento. Si afferma, infatti, che un siffatto potere discrezionale non possa
essere ritenuto illimitato, privo di regole, affidato alla esclusiva, discrezionale ed
incensurabile decisione del legislatore/giudice/amministratore di uno Stato membro,
ma debba invece essere inteso in modo piu restrittivo [] e sopratutto esercitato in

234

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

diritto convenzionale e alla sua ispirazione universalistica di protezione delle istanze fondamentali, tender a segnalare la criticit insita
nellapplicazione generosa di tale canone, i.e. la vanificazione del fine
della supervisione internazionale e leccessiva autonomia lasciata alle
scelte nazionali93; laddove invece lottica per cos dire tradizionale,
incentrata prioritariamente sul diritto nazionale (specialmente costituzionale) e sulle esigenze peculiari e identitarie da esso espresse, sar
portata a segnalare leventuale problema opposto, di un insufficiente
riconoscimento da parte della Corte dellautonomia degli Stati e della
loro meilleur position94 per stabilire i criteri normativi adeguati al
proprio contesto storico e culturale95.
Ebbene queste due tendenze, apparentemente divergenti (la priorit del diritto vs la primazia dellidentit costituzionale) in
verit appaiono convergere se inquadrate sotto il filtro ecclesiasticista
della continua ricerca della specialit: in quanto in entrambi i casi la
prospettiva di base assunta quella di chi cerca la migliore risposta
peculiare offerta dal sistema giuridico in vista duna o pi istanze
via eccezionale, secondo criteri rigorosi e oggettivi di necessit e di ragionevole proporzione, entro i limiti posti dallobbligo di osservare la Convenzione e di rispettare
quanto prescritto dalle istituzioni del Consiglio dEuropa. Sul punto, vedi altres
M. Pedrazzi, Sviluppi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani in
tema di libert religiosa, in Studi in onore di Vincenzo Starace, Esi, Napoli, 2008,
pp. 657 ss.
93
Esemplificativamente, R. Mazzola, Introduzione. La dottrina e i giudici di
Strasburgo. Dialogo, comparazione e comprensione, in Diritto e religione in Europa
cit., p. 21. Pare di scorgere questavviso, altres, in N. Fiorita, Linsostenibile leggerezza della laicit italiana, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale cit., giugno
2011, pp. 4-5, dove rileva come nei casi in cui la Corte di Strasburgo decide di rimettersi completamente alle scelte assunte dai singoli ordinamenti, implicitamente
essa abdichi al proprio compito di garantire il rispetto effettivo e pieno del diritto
fondamentale di libert religiosa attraverso lenucleazione di uno standard minimo
di tutela sottratto alla disponibilit nazionale.
94
Sul concetto, cfr. tra gli altri G. Haarscher, Freedom of religion in context, in
Brigham Young University Law Review, 2002, pp. 269 ss.
95
Vedi in tal senso, tra gli altri, V. Turchi, La pronuncia della Grande Chambre
della Corte di Strasburgo sul caso Lautsi C. Italia: post nubila Phoebus, in Stato,
Chiese e pluralismo confessionale cit., ottobre 2011, p. 19.
235

Fabiano Di Prima

connesse con la religiosit e la coscienza individuale. Sicch entrambe


le visuali, in altri termini, paiono essere funzionali a rilevare i criteri
normativi pi efficienti da applicare al caso concreto, suggerendo,
mediante la loro sinossi, unauspicabile soluzione bilanciata tra i
fini-valori in discussione.
Restando sul tema della tutela offerta dalla Corte EDU, lindicato
procedimento ermeneutico potrebbe rilevarsi addirittura indispensabile
in vista delle macroproblematicit che si prospettano allorizzonte,
nellipotesi in cui si profilasse una frizione fra i fondamenti del sistema
costituzionale e i caposaldi dellordine convenzionale. Si prefigura96,
infatti, leventualit intricata che una norma interna di derivazione pattizia contrasti con lart. 9 della Convenzione, ma non con un principio
supremo dellordinamento costituzionale: avendosi cos una previsione
interna costituzionalmente legittima (secondo il consolidato indirizzo
della Consulta sul punto stabilito nel 7197) ma convenzionalmente
illegittima. Un ipotetico conflitto che investirebbe i piani assiologicisostanziali su cui si reggono i rispettivi sistemi: poich se da un lato
il Giudice delle leggi pare da qualche anno (sentt. 311 e 317 del 2009;
sentt. 113 e 245 del 2011)98 aver imboccato una strada che porta a
Cfr. G. Casuscelli, Convenzione europea, giurisprudenza della Corte europea
dei diritti delluomo e sua incidenza sul diritto ecclesiastico italiano. Unopportunit per la ripresa del pluralismo confessionale?, in Il dir. eccl., 2010, III-IV.
97
Ci si riferisce allimpostazione assunta dalla Consulta a partire dal 71 (sentt.
1 marzo 1971, n. 30 e 31) per cui esistono principi supremi dellordinamento costituzionale, muniti duna valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango
costituzionale; e che pertanto le norme di derivazione concordataria, pur fornite di
particolare copertura costituzionale, non si sottraggono allaccertamento della (loro)
conformit con detti principi. Sul punto, esemplificativamente, E. Vitali, Giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale e princpi supremi dellordinamento
costituzionale, in Diritto ecclesiastico e Corte costituzionale, a cura di R. Botta, Esi,
Napoli, 2006, pp. 381 ss.; C. Mirabelli, Diritto ecclesiastico e principi supremi
dellordinamento costituzionale nella giurisprudenza della Corte. Spunti critici,
ivi, pp. 389 ss.
98
Ma non nella sent. 80 del 2011, dove pure secondo A. Ruggeri, La Corte costituzionale equilibrista, tra continuit e innovazione, sul filo dei rapporti con la
Corte EDU, in Consulta online, 2011, per i temi trattati avrebbe potuto farvi men96

236

La proficua irrequietezza del Diritto ecclesiastico

riconoscere alla CEDU il rango di vera e propria Carta costituzionale dei diritti, capace di giocarsi [...] la partita alla pari con la
Costituzione (ed altri documenti ancora)99, giusta lassunzione del
criterio del livello di tutela pi intensa (che ammette leventualit
di un innalzamento della prima al medesimo livello delle norme della
seconda)100; daltro canto, detto Giudice non pare aver (ancora) abbandonato il criterio ispiratore delle c.d. sentenze gemelle (sentt.
348 e 349 del 2007) che dice duna prevalenza di fondo della norma
interna laddove servitrice di valori di natura costituzionale101 (pur
a fronte del vincolo derivante dagli obblighi internazionali giusta art.
117, I co., Cost.).
Non mancano ai due orientamenti descritti gli elementi per risolvere questo complicato rebus: ma lidea che anima queste righe che
anche in questo caso, e forse soprattutto in questo caso, la soluzione
pi appagante (scientificamente e culturalmente) sia quella che pu
offrire la speciale visione di sintesi della disciplina.

zione. Cfr., sul punto, O. Pollicino, Margine di apprezzamento, art 10, c.1, Cost. e
bilanciamento bidirezionale: evoluzione o svolta nei rapporti tra diritto interno e
diritto convenzionale nelle due decisioni nn. 311 e 317 del 2009 della Corte costituzionale?, in forumcostituzionale.it, dicembre 2009.
99
A. Ruggeri, Conferme e novit di fine anno in tema di rapporti tra diritto
interno e CEDU, in forumcostituzionale.it.
100
A. Ruggeri, La Corte costituzionale equilibrista cit., avverte come la Corte a tuttoggi [] non ha dichiarato mai che la Convenzione possa affermarsi persino a discapito della Costituzione. E, con ogni verosimiglianza, non lo far neppure
in seguito, per la elementare ragione che dalla Costituzione (e solo da essa) che
ritiene come si dir a momenti, a torto di trarre la propria legittimazione.
101
O. Pollicino, Margine di apprezzamento cit.
237

Orientamenti del Diritto ecclesiastico nellUniversit riformata

Alcune osservazioni sugli orientamenti del Diritto ecclesiastico


nellUniversit riformata
di Alberto Fabbri

1. Nellultimo decennio si sono realizzati molti incontri organizzati


da docenti del nostro settore al fine di analizzare e verificare lo stato
di salute e di attualit delle nostre discipline1 alla luce delle tematiche e delle metodologie adottate nelle singole Universit e Facolt.
Lo spirito che sta alla base di queste iniziative motivo per proporre alcune valutazioni.
Questi convegni possono essere letti come un momento autocelebrativo, nel quale viene esposto lo stato della ricerca sulla materia
nei diversi Atenei, anche per cercare una condivisione delle tipologie di indagini avviate; tali incontri conseguono, inoltre, la finalit
di fotografare lo stadio di sviluppo delle problematiche relative al
settore IUS/11, nel prendere atto di quanti studiosi oggi si dedichino
alla ricerca ed alla didattica in questo settore, anche per valutare le
strategie da adottare al fine di rispondere in modo adeguato ai cambiamenti dei tempi.
Sul piano oggettivo vanno considerati questi elementi.
In primis la riforma universitaria che ha visto prima spezzare il
percorso universitario in un lungimirante 3+2, cos da richiedere la
necessit di trovare una idonea collocazione della materia secondo
un percorso logico per il docente, ma illogico per lo studente che non
1
Campobasso nel 2001 (Linsegnamento del diritto ecclesiastico nelle Universit italiane, a cura di M. Parisi, E.S.I., Napoli, 2002), Genova nel 2002 e nel 2003
(Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano, a cura di G.B. Varnier, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004), Capri nel 2004 (Linsegnamento del diritto ecclesiastico nelle facolt di Scienze politiche, a cura di G. Macr, Dipartimento di Teoria
e Storia delle Istituzioni, Universit degli Studi di Salerno, Salerno, 2005) e Pisa
questanno.

239

Alberto Fabbri

sempre frequenta lintero ciclo di studi nello stesso Ateneo2. da


tener presente, poi, che nella legge n. 240 del 30 dicembre 2010 (riforma Gelmini) si legato il docente ad un solo corso per gli aspetti
qualitativi, quantitativi e di requisiti minimi, e ci ha determinato
una situazione spesso conflittuale tra docenti per collocare quella
specifica disciplina insegnata nella posizione migliore3.
Ancora, il pensionamento di molti professori ordinari ha richiesto una riprogrammazione dellorganigramma in una fase povera di
concorsi; la modifica di collocazione del settore IUS/11, immettendolo nel nuovo macrosettore 12C, come 12C24, accanto al diritto costituzionale, storico concorrente nellarea di ricerca; si marcata di
entrambi la natura pubblicista, e al tempo sono stati posti in secondo
piano gli studi ecclesiasticisti e canonisti di carattere privatista e storico. Infine va ricordato che i repentini avvenimenti storici, politici e
sociali hanno riguardato ogni aspetto sociale del fenomeno religioso.
Proprio la pluralit dei temi potenzialmente di interesse inducono
alla frammentazione della ricerca a danno del valore dellanalisi prodotta; sintomatica la stessa declaratoria del nostro settore il settore
comprende lattivit scientifica e didattico-formativa degli studi relativi alla disciplina giuridica del fenomeno religioso, anche nella prospettiva comparatistica, sia allinterno dellordinamento statuale, sia
negli ordinamenti confessionali, con particolare riferimento a quello
della Chiesa cattolica. Gli studi attengono, altres, alla storia del diritto canonico, alla storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, al
2
Se lo spezzettamento stato in gran parte ora superato con il ciclo unico quinquennale della laurea magistrale in Giurisprudenza (classe LGM/01), il tema si pone
in altre classi di laurea, come quella di Scienze politiche e delle relazioni internazionali (classe L/36), dove il settore posto come caratterizzante nel corso magistrale
(classe LM/62), ma che pu trovare spazio come opzionale nel triennio vecchio
ordinamento (classe 15), o come nel corso di laurea triennale in Scienze giuridiche
(classe 31) e specialistica in Giurisprudenza (classe 22/S).
3
Per lofferta formativa, D.M. n. 509 del 3 novembre 1999 e D.M. n. 270 del 22
ottobre 2004. Per i requisiti minimi quantitativi e qualitativi, D.M. n. 15/2005, D.M.
n. 544/2007, D.M. n. 17/2010 e D.M. n. 50/2010.
4
Decreto ministeriale 29 luglio 2011, n. 336, Declaratorie SSD 2011.

240

Orientamenti del Diritto ecclesiastico nellUniversit riformata

diritto comparato delle religioni e si estendono ai profili di rilevanza


giuridica dei fenomeni di pluralismo etico e religioso.
Il rischio quello di diventare esperti di tutto, nel ricoprire il ruolo di opinionisti del fenomeno religioso.
2. La realt che ci si presenta sembra la risultante di un percorso
politico-istituzionale che parte da lontano, dal nuovo ruolo che viene assegnato allUniversit. Quella funzione che prima era ricoperta
dalle scuole medie superiori, ora trasferita ai corsi triennali, cui
affidato il compito di formare la preparazione minima per accedere
al mondo del lavoro.
Per la realt universitaria questo comporta una rivoluzione in termini di programmazione, ma, ancora prima, un ripensamento profondo della propria funzione. Il luogo deputato a fornire gli strumenti
culturali e formativi dei diversi settori di studio, deve improvvisamente diventare il terreno di conoscenza degli strumenti tecnici minimi, per unimmediata operativit dello studente.
Alle lauree magistrali e alle scuole di dottorato, nelle finalit della
riforma, viene attribuito il compito di proporre gli approfondimenti e
fornire le chiavi di lettura per unalta formazione.
Conosciamo gli esiti. Lo spacchettamento dei corsi classici e
lampliamento dellofferta formativa hanno prodotto la corsa al posto, ogni settore ha cercato di essere presente sia nella triennale sia
nella magistrale con uno sfilacciamento dei corsi a tutto discapito
degli aspetti contenutistici.
Ci siamo trovati a dover fronteggiare pi corsi con un numero
ridotto di crediti, senza avere il tempo di programmare un percorso
giuridicamente logico. Si verificato il caso dellattivazione di un
corso di Diritto ecclesiastico comparato nei corsi specialistici in alcune classi di laurea per studenti che non disponevano le basi minime
del diritto ecclesiastico, cos da dover ripensare lo stesso programma
del corso.
A rafforzare questa precaria condizione c la dimensione imprescindibile dei numeri. Da un lato la pluralit di offerte formative in
un sempre crescente numero di Atenei fa s che tutto il bagaglio cul241

Alberto Fabbri

turale e sociale, anche legato al territorio, che ha caratterizzato nel


tempo e nello spazio una Facolt piuttosto che un Ateneo, perdano
improvvisamente valore se viene meno il numero di studenti, soprattutto frequentanti, con cui istaurare un dialogo costruttivo tra docente
e discenti. Per contro quello, a cui si presta maggiore attenzione oggi
sono gli aspetti legati alla capacit dellUniversit di attrarre studenti, quasi da richiederle il ruolo proprio di unazienda; si impongono
degli standard numerici da rispettare, pena la chiusura di interi corsi,
se non di Facolt.
Ancora. Lapertura di nuove sedi universitarie, magari molto pi
comode da raggiungere, hanno comportato una distribuzione orizzontale del corpo docente a tutto svantaggio delle scuole di ricerca.
Infatti assistiamo, spesso nelle Universit minori, alla presenza di
un solo docente di ruolo per settore scientifico-disciplinare nellintero Ateneo, cos da perdere lentamente il fenomeno di trasmissione
del sapere che passava nella relazione quotidiana tra il giovane ricercatore e il suo maestro, relazione necessaria non solo sotto gli aspetti
culturali, ma anche di metodo, necessaria per impostare una ricerca
in un determinato ambito, quella relazione permetteva di partire da
risultati ed da intuizioni proprie della scuola di appartenenza e svilupparle ulteriormente, secondo direttive e criteri metodologici gi
sedimentati e provati.
Infine lattribuzione ai ricercatori del ruolo di docenti; se ci si
propone di attivare tutte le forze presenti in Ateneo per sostenere la
funzione didattica, lo stesso porta ad un necessario impoverimento
della ricerca pura, la quale si ritrova a dover essere collocata nei ritagli di tempo tra un semestre e laltro.
3. Questa la ben nota situazione, oggettiva e strutturale, nella quale
siamo chiamati ad operare. Tuttavia, rispetto ad altri settori, il nostro
ha visto crescere in maniera esponenziale le tematiche connesse, grazie ai molteplici campi dove il fenomeno religioso acquista sempre
maggiore rilevanza.
La situazione che si venuta a creare rappresenta levoluzione
sociale e istituzionale di un percorso storico nel quale sono andati
242

Orientamenti del Diritto ecclesiastico nellUniversit riformata

lentamente scemando le problematiche legate alla relazione StatoChiesa istituzione, per concentrarsi sulle conseguenze prodotte dalla secolarizzazione della societ e alla necessit di regolamentare le
nuove esigenze religiose che i movimenti migratori portano con s.
Proprio la ricerca di una soluzione, e il livello raggiunto nel regolamentare il fenomeno religioso, acquista una valenza determinante
sia nel definire il grado di sviluppo sociale, giuridico e politico proprio del paese o dellistituzione interessata, sia nel fornire la base per
una convivenza fondata sul pluralismo religioso e culturale.
Nellappartenenza del diritto di libert religiosa alla sfera dei
diritti fondamentali si gioca la partita della modernit, nella quale
la nuova laicit deve essere in grado di dialogare con la religiosit,
come espressione di un valore sociale e come manifestazione individuale e collettiva del cittadino.
La sfida non semplice.
La declaratoria del nostro settore fa riferimento anche al diritto
comparato.
Specie nelle lauree specialistiche di Relazioni internazionali e di
Scienze della politica linsegnamento del diritto ecclesiastico comparato aiuta a comprendere i rapporti ed i condizionamenti esistenti tra
normative religiose e leggi statali negli Stati ortodossi dellEuropa
orientale e negli Stati islamici del Medio Oriente e del Nord-Africa,
oggi pi che mai alla ribalta della politica internazionale; non solo,
ma aiuta il legislatore nazionale ed europeo a capire e regolamentare
le esigenze religiose di quanti sono portatori di tradizioni cultuali,
giuridiche e religiose diverse; a tutti noto che in seguito al crescente
flusso migratorio dallEuropa Orientale, sia dagli Stati facenti parte
dellUnione Europea sia da altri, il numero dei fedeli ortodossi5 e
5
Scrive V. Parlato (Le chiese ortodosse in Italia, oggi, in Studi Urbinati di
scienze giuridiche, politiche ed economiche, n. 61, 3 (2010), p. 483): Se prima gli
ortodossi appartenevano a comunit da secoli presenti nella penisola o erano esuli di
possedimenti italiani nel Mediterraneo orientale, oggi i fedeli sono prevalentemente
immigrati, moltissimi dalla Romania, in cui la chiesa ortodossa la chiesa della stragrande maggioranza dei Romeni; minori sono i flussi migratori, dalla Bulgaria altro
Stato facente parte dellUnione Europea, pi numerosi i cittadini dellUcraina e del-

243

Alberto Fabbri

islamici, regolari ed irregolari, dimoranti nella Repubblica notevolmente aumentato6.


4. Come riuscire a conciliare il nuovo percorso universitario intrapreso con la necessit di riaffermare il valore e lautonomia del nostro
settore scientifico-disciplinare ed in particolare di una disciplina, il
diritto ecclesiastico, che detiene gli strumenti per decifrare la realt?
Da una attenta lettura delle dichiarazioni espresse dai colleghi sul
ruolo e sulla funzione che andr ad assumere il settore IUS/11 nella
dimensione universitaria, risulta chiara la volont di non costituire
una agenzia di formazione che si caratterizzi per la sua funzione professionalizzante7, quanto piuttosto proporre un luogo del pensiero
critico8, nel quale vengano fornite categorie di pensiero, strumenti
interpretativi storico-giuridici, fondati su di una dimensione scientifica e metodologica collaudata.
Dal punto di vista teorico le posizioni sostenute mirano a salvaguardare lunit della disciplina, il diritto ecclesiastico, la sua identit e il suo carattere, ma rischiano di mostrarsi troppo distaccate se
non completate da contenuti che siano in grado di gettare un ponte
tra il mondo del diritto e la realt umana e sociale che esso regola9.
Questo percorso, a mio avviso, richiede un processo integrato
nel quale far convergere la dimensione statale, quella confessionale,
quella interordinamentale e comparatista. Infatti il livello di rilevanla stessa Russia oltre che delle altre realt statuali dellEuropa orientale. Vi anche
un flusso migratorio di fedeli cristiani egiziani, eritrei, etiopi, ma il cristianesimo di
queste popolazioni sostanzialmente copto, e le chiese maggioritarie di quegli Stati
non appartengono alla Comunione delle chiese ortodosse, bens alle altre antiche
chiese orientali pre-calcedoniane.
6
Secondo alcune stime solo i cristiani ortodossi sarebbero circa un milione cfr.
D. Giordano, Le prospettive dellecumenismo ed il dialogo in Italia, in O Odigos,
Rivista del Centro Ecumenico Padre S. Manna , 1/2007, pp. 20 ss.
7
A. Zanotti, Intervento, in Linsegnamento del diritto ecclesiastico cit., p. 99.
8
S. Domianello, Linsegnamento del diritto ecclesiastico e lavvenire, in
Linsegnamento del diritto ecclesiastico cit., p. 82.
9
S. Ferlito, Gli strumenti didattici del diritto ecclesiastico di fronte alla riforma, in Linsegnamento del diritto ecclesiastico cit., p. 111.
244

Orientamenti del Diritto ecclesiastico nellUniversit riformata

za del fenomeno religioso nelle relazioni nazionali e internazionali


induce a ricercare tutti i codici comportamentali che loggetto della
ricerca contiene nelle diverse dimensioni nelle quali si forma e negli
ambiti nei quali si genera, cos da non limitare langolo di osservazione, ma cercare di cogliere il diverso valore che assumono gli
aspetti legati alla religione. Nel promuovere questo procedimento si
riescono a rilevare meglio nella sintesi i criteri ultimi adottati nella
disciplina della tematica. Di conseguenza, la conoscenza del percorso che un fenomeno religiosamente qualificato attraversa nella regolamentazione giuridica permette di cogliere gli aspetti perduti e
quelli acquisiti o che hanno subito un processo interpretativo pi o
meno marcato.
5. Prima di prospettare possibili modelli applicativi dellinsegnamento nelle universit italiane, necessario chiarire lidea di diritto
ecclesiastico che si intende promuovere.
a. In unidea statica-statale, basata sul dato normativo, il diritto
ecclesiastico cerca di prospettare una lettura giuridica della realt per
confermare o meno i criteri elaborati secondo stratificazioni normative-ordinamentali. Il punto di osservazione rigorosamente statale e
lordinamento civile diventa il terreno sul quale confrontare i diversi movimenti che presentano una matrice di natura religiosa, o che
interessano il fenomeno religioso, sia che abbiano origine in ambiti
confessionali o laici, sia che si formino allinterno di aree nazionali
o sopranazionali. Il metodo di lavoro richiede un continuo confronto
per confermare la validit dellelemento che si preso come riferimento, in una verifica che coinvolge i diversi aspetti della realt. In
questo modo tutte le evoluzioni sociali e culturali del fenomeno religioso non rilevano fino al momento in cui non trovano espressione su
un piano normativo sul quale avviene il confronto. Latteggiamento
quello dellattesa, nellaspettare che i processi in atto si concludano e
producano gli atti conseguenti, sui quali si incentra la ricerca.
b. In unidea dinamica-sociale, lanalisi della realt si muover
allinterno delle stesse dimensioni che costituiscono espressioni del
fenomeno religioso, cercando, prima, di catalogare tutti gli aspetti
245

Alberto Fabbri

nei quali il fenomeno si esprime, e, poi, nel tentare unanalisi degli elementi comuni, con una attenzione anche verso le particolarit,
come segno distintivo e di identit. In questo modo la ricerca si articoler allinterno delle stesse dinamiche che producono il fenomeno religioso, cos da cogliere gli aspetti costitutivi fondamentali; in
questo processo si richiede una conoscenza profonda delle fonti sulle
quali si svolge lindagine, per applicare un metodologia corretta, che
sia in sintonia con lambiente di produzione del fenomeno religioso.
Nellutilizzo di criteri giuridici langolo di osservazione viene collocato nella realt sociale verso la quale si apre una ricerca continua
per monitorarne tutti gli sviluppi.
Appare chiaro che la dimensione propria del diritto ecclesiastico
la risultante di entrambe le idee-espressioni, per un metodo di indagine ad ampio spettro; lindirizzo nellassumere una direzione piuttosto che unaltra dipender in definitiva dellobiettivo che si vuole
perseguire. Infatti la differenza di impostazione risiede unicamente
nel settore politologico, sociologico, storico o economico, piuttosto
che giuridico, verso il quale viene rivolto linsegnamento.
Archiviata la figura delle Facolt con le quali risultava pi facile
e immediato promuovere una differenza di contenuti della materia,
con il trasferimento della funzione didattica ai Dipartimenti, occorrer conoscere lambito nel quale si vuole improntare un percorso
formativo, il settore caratterizzante il corso, in particolare di quelli
interdipartimentali. A mio avviso la contrapposizione da applicare
quella tra ambito giuridico, da un lato, e il resto degli ambiti umanisti
nei quali il diritto ecclesiastico pu trovare collocazione, dallaltro.
Infatti lo spartiacque segna una profonda differenza nella metodologia di presentazione del fenomeno religioso, non tanto sui principi
applicativi, quanto sui criteri di analisi del contenuto normativo. Il
percorso formativo che si intende promuovere attraverso il diritto ecclesiastico, consiste nel portare a conoscenza degli studenti gli strumenti giuridici essenziali e i canoni metodologici con cui decifrare
la realt cos come si presenta, e allo stesso tempo prospettare dei
percorsi di ricerca che contengano elementi innovativi, senza tuttavia
contrastare con i principi costituzionali attualmente in vigore.
246

Orientamenti del Diritto ecclesiastico nellUniversit riformata

6. Per quanto concerne lambito giuridico, al fine di evitare un percorso didattico troppo professionalizzante, o al contrario troppo teorico e quindi lontano dal piano immediatamente operativo, occorrerebbe rivedere limpostazione dellintero settore, per disporre una
differenziazione interna.
Nellambito di un corso altamente professionalizzante, di durata
quinquennale a numero chiuso, nel quale formare operatori del diritto italiano e comunitario, prescindendo dalla preparazione specifica
forense, peraltro satura di soggetti, il diritto ecclesiastico sarebbe
chiamato a contribuire alla formazione di una mentalit giuridica e
culturale dello studente attraverso un percorso che parta dai principi
propri di una scienza pura, per poi transitare nella scienza applicata,
mediante una didattica di tipo giuridico-positivo, procedurale e applicativo. Si dovrebbe portare gli studenti alla conoscenza dei criteri
giuridici che sono a fondamento delle norme e delle regole sottese
ai procedimenti, avendo ben chiaro la relazione che esiste tra ius e
lex. Nel rilevare il valore che lordinamento riserva al fenomeno religioso, la finalit verrebbe collocata nel dare immediato riscontro ai
contenuti appresi. Si dovrebbe prevedere un approfondimento della
normativa nazionale (matrimonio concordatario, matrimoni misti,
unioni matrimoniali a base confessionale, legge sulla libert religiosa, riconoscimento degli enti, insegnamento della religione nelle
scuole pubbliche) per spostarsi successivamente negli ambiti europei
e internazionali (Unione europea, Cedu, OSCE, libert religiosa, individuale e collettiva, come diritto fondamentale identitario).
Parallelo potrebbe essere il percorso ordinario di base sempre
nellambito giuridico; il percorso si presenterebbe sempre improntato alla formazione di una metodologia giuridica, ma pi orientata
alla conoscenza dei parametri non solo giuridici sui quali si muove
il fenomeno religioso, per coglierne le caratteristiche fondamentali
sulla base di criteri che trovano la loro giustificazione nel diritto di
autodeterminazione delle confessioni religiose e nel diritto comune
disciplinato dallordinamento. Il procedimento che si prospetta non
vuole limitarsi ad una conoscenza statica, ma dovrebbe promuovere
uno spirito critico capace di trovare negli stessi ambiti normativi le
247

Alberto Fabbri

chiavi di lettura per una evoluzione del diritto di libert religiosa.


Il contenuto potrebbe poi essere meglio adattato al corso, facendo
emergere gli aspetti comparatisti, interordinamentali, internazionali
o lavoristi che contribuiscono allapprendimento di una visione globale delle tematiche studiate.
Sarebbe anche utile discutere con gli studenti delle dinamiche sociali che investono gli aspetti legati alla libert di religione nella sua
dimensione evolutiva, per capire le direttive che assumono i sistemi
giuridici interessati, le chiavi di lettura e di conoscenza utilizzate.
Il confronto su tematiche di attualit nelle quali viene ad essere
interessata la dimensione religiosa-spirituale, aiuterebbe a intercettare correttamente i principi che sono a fondamento della disciplina in
oggetto, a cogliere le possibili divergenze tra diritto scritto e diritto
applicato e a ipotizzare, infine, nuove categorie giuridiche.
Linsegnamento di diritto ecclesiastico presente nei corsi di laurea non giuridici dovrebbe presentare e promuovere altri contenuti.
Il fenomeno religioso, espressione di un diritto di libert individuale e collettiva, dovrebbe essere indagato come correlato ad aspetti
storico-politici e socio-culturali, ed analizzato come valore che contribuisce, insieme ad altri elementi, alla formazione del diritto e alla
costituzione di una tipologia giuridica specifica.
Il tentativo quello di cogliere la rilevanza riservata alla religione
nel processo di trasformazione dellidentit sociale, e il peso assunto
nella formazione del patrimonio culturale nazionale ed europeo. In
questo percorso il dato normativo e luso della norma verrebbero ad
essere letti come il frutto di un percorso storico e sociale, come risposte a precise richieste non solo comunitarie, ma della realt europea
e mediterranea, realt nella quale da millenni opera la cultura e la
scienza giuridica italica per conseguire la pacifica convivenza ed il
bene comune dei popoli.
Lindagine proposta avrebbe fondamento su di una base giuridica integrata da elementi storici, culturali, sociali e antropologici.
Nel cogliere lindirizzo e lincidenza che la religiosit occupa nello
spazio pubblico, caratterizzato da un pluriconfessionismo e da un
pluriculturalismo, si acquistano i parametri per comprendere il limite
248

Orientamenti del Diritto ecclesiastico nellUniversit riformata

che una tutela dei diritti fondamentali riserva agli aspetti religiosi e
spirituali.
La didattica, cos, andrebbe impostata su due linee guida. Nella
prima andranno collocati gli attori che intervengono sul fenomeno
religioso, le confessioni religiose, lo Stato e le istituzioni sovranazionali, anche nella dinamica di comprendere il grado di incidenza che
assumono le nuove comunit religiose con la loro crescente presenza
sul territorio. Questo richieder un approfondimento dei diritti religiosi, della natura delle fonti sulle quali si fondano e dei criteri che
trovano applicazione nel contesto relazionale.
La seconda linea guida si concentrer sul concetto e sul valore
della libert religiosa del fedele come espressione di una appartenenza, per capire quale modello di espressione della propria religiosit
lordinamento capace di accogliere e disciplinare, e a quali condizioni.
Lanalisi dovr necessariamente considerare la dimensione spirituale che assume i contorni dellateismo, come il prodotto di una
secolarizzazione che mira a confinare lespressione della propria religiosit nella sfera privata. Ecco allora che diventeranno oggetto di
analisi e di discussione tutte le questioni che sono di stretta attualit
e i problemi connessi, come luso dei simboli religiosi, lobiezione
di coscienza, la bioetica in tutte le sue fattispecie, leutanasia, senza
escludere questioni molto pi economiche come lapertura domenicale degli esercizi commerciali etc.
A tutto questo si aggiunge il rapporto pubblici poteri-confessioni
religiose nella gestione dei servizi sociali, fino a comprendere la relazione che intercorre tra le pretese avanzate dai nuovi movimenti
religiosi e il diritto.
7. La recente riforma universitaria deve essere letta come il tentativo di risposta, in modo adeguato, ai cambiamenti dei tempi, con la
proposta di strumenti didattici capaci di prospettare ai giovani un
bagaglio culturale da investire nel mondo del lavoro. Il diritto ecclesiastico, in particolare, in questo contesto chiamato a lavorare su
due fronti paralleli. Nel primo deve dimostrare di possedere la cono249

Alberto Fabbri

scenza degli strumenti di analisi giuridica della realt ordinamentale


e sociale nella quale si esprime il fenomeno religioso, e nellaltro
fronte deve lavorare per proporre contenuti che, nel solco della viva
tradizione, sappiano meglio spiegare le situazioni attuali sulla base
dei principi assunti come presupposti.

250

Le nuove frontiere del Diritto ecclesiastico

Le nuove frontiere del Diritto ecclesiastico


di Mario Ferrante

1. Cenni introduttivi - 2. Considerazioni sul cambiamento di denominazione


della disciplina - 3. Sullimportanza del diritto canonico - 4. Conclusioni

1. Il tema del cambiamento di denominazione della disciplina Diritto Ecclesiastico, oggetto del convegno di Pisa, viene supportato
in dottrina partendo dal presupposto che la locuzione con cui attualmente si individua la materia sarebbe inadeguata a ricomprendere i
fenomeni religiosi che sono entrati a fare parte dellattuale sistema
sociale in esito alla spesso richiamata globalizzazione1.
In altri termini, si ritiene che senza un effettivo cambiamento, si
rischierebbe una sterile difesa dufficio di una disciplina impreparata
ad affrontare i temi del multiculturalismo sociale e religioso e, pertanto, divenuta ormai anacronistica ed obsoleta, in quanto legata ad
unantiquata concezione del fenomeno religioso.
Si segnala, inoltre, la volont di emancipare la materia dal diritto
canonico, visto solo come un retaggio storico ormai ingombrante da
cui affrancarsi in vista di una modernizzazione della disciplina.
Invero, da tempo, si evidenzia in dottrina lineludibile necessit
che a fronte del citato multiculturalismo vi sia unadeguata reazioSul punto cfr. P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 7.
Per uninteressante analisi della tematica con riferimento alla situazione spagnola,
si veda J. M. Gonzles Del Valle, Derecho eclesistico espaol, Civitas ediciones, Madrid, 20056, pp. 47-65, il quale, nel criticare luso dellespressione Derecho
eclesistico del Estado, adoperata in Spagna, che ritiene dovuta alla circostanza
che esta disciplina comienza a cultivarse slo desde hace algunas dcadas an no
tiene el suficiente arraigo terminolgico, per cui propone luso dellespressione
Derecho eclesistico espaol (p. 49).
1

251

Mario Ferrante

ne giuridica dello Stato laico che permetta al diritto ecclesiastico di


ammodernarsi per fare fronte al tema del pluralismo confessionale e,
soprattutto, della multireligiosit2.
2. Lidea di utilizzare lespressione sostitutiva di Diritto e religione sarebbe motivata dalla ritenuta e, per certi aspetti, condivisibile necessit di realizzare il superamento dello schema tradizionale
[] per cui i bisogni religiosi della persona umana rilevano e sono
tutelati dalle istituzioni dello Stato [...] principalmente o esclusivamente attraverso la mediazione delle confessioni religiose, cio delle
forme apicali di organizzazione degli interessi religiosi collettivi3.
2
In argomento si vedano i contributi contenuti nel volume Multireligiosit e
reazione giuridica, a cura di A. Fuccillo, Giappichelli, Torino, 2008, ad indicem.
Per unanalisi storica del tema cfr. anche C. Cardia, Le sfide della laicit. Etica,
multiculturalismo, islam, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007, pp. 9 ss. Per un contributo teorico alla rivalutazione della portata di significato e di valore del metodo
della laicit giuridica quale garanzia di governo non dispotico delle societ pluraliste, Diritto e religione in Italia. Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libert
religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale, a cura di S. Domianello,
il Mulino, Bologna, 2012, ad indicem.
3
Cos G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione, Plectica, Salerno, 2011,
p. 7. Segnala un mutamento delloggetto della materia anche L. Musselli, Diritto e
religione in Italia ed in Europa. Dai Concordati alla problematica islamica, Giappichelli, Torino, 2011, p. 4, il quale ricorda come dopo la secolarizzazione avutasi
nella seconda met del Novecento si evidenziano altri oggetti di studio, dalla obiezione di coscienza al problema delle sette e dei nuovi culti, evidenziandosi in particolare la problematica della laicit dello Stato e delle nuove religioni (religioni orientali, Islam, ecc.). Sul punto, con specifico riferimento alla realt latino-americana,
si veda Diritto e religione in America Latina, a cura di J.G. Navarro Floria, D.
Milani, il Mulino, Bologna, 2010, pp. 11-2. Per il punto sulla situazione e sul grado
di tutela della libert religiosa in Europa, cos come regolata dallart. 9 della Convenzione europea dei diritti delluomo e sul modo in cui questultima sia stata interpretata e applicata dalla Corte di Strasburgo si rinvia a Diritto e religione in Europa.
Rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo in materia
di libert religiosa, a cura di R. Mazzola, il Mulino, Bologna, 2012, specialmente
pp. 55 ss.; si veda anche Diritto e religione nellIslam mediterraneo.Rapporti nazionali sulla salvaguardia della libert religiosa: un paradigma alternativo?, a cura
di A. Ferrari, il Mulino, Bologna, 2012, ad indicem.

252

Le nuove frontiere del Diritto ecclesiastico

Si vuole, in tal modo, superare la concezione della tutela del diritto


di libert religiosa individuale quale semplice diritto riflesso e del diritto ecclesiastico quale diritto delle formazioni sociali qualificabili
come confessioni religiose4.
In realt, se la soluzione proposta quella di sostituire il termine
ecclesiastico considerato troppo legato al concetto di confessione e, al pi, ad un pluralismo di tipo meramente istituzionale con
quello di religione, ritenendo, cos, di ricomprendere in esso i nuovi fenomeni religiosi che si esprimono non gi attraverso la categoria delle confessioni ma, in modo pi ampio, in ogni altro tipo
di formazione sociale religiosa5, non riteniamo che ci costituisca
la soluzione ottimale e preferibile. Invero, basti dire che il termine
religione che dovrebbe diventare uno dei due poli di riferimento
della materia, linterfaccia con cui fare relazionare il diritto crea
non pochi problemi definitori. Senza volersi troppo addentrare in
tale complessa tematica, basti citare il sempre attuale pensiero di E.
Durkheim, il quale, dopo essersi interrogato su cosa si dovesse intendere per religione, concludeva asserendo che una religione un
sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre, cio
separate e interdette, le quali uniscono in ununica comunit morale,
chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono6. Ne consegue, in
dottrina, che lidea di religione non quindi distinguibile da quella
di Chiesa e riguarda pertanto una collettivit di individui7.
In altri termini, anche sostituendo al termine confessione quello
di religione, si finisce, inevitabilmente, per tornare al punto di par4
Cos A. Albisetti, voce Diritto ecclesiastico italiano, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. V, Utet, Torino, 1990, p. 242, ora anche in Id., Tra diritto
ecclesiastico e canonico, Giuffr, Milano, 2009, p. 198.
5
Lespressione di V. Tozzi, Normative contrattate fra le confessioni religiose
e lo Stato ed esigenze di una legge generale dello Stato di disciplina delle libert
religiose, in G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione cit., p. 131.
6
Cos E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, trad. it. a cura di C.
Cividali, Meltemi, Roma, 2005, (edizione originale Paris, 1912), p. 25.
7
Cos M. Tedeschi, Sulla scienza del diritto ecclesiastico, Giuffr, Milano,
2007, p. 122.

253

Mario Ferrante

tenza, ossia allaspetto istituzionale del fenomeno religioso. Ancora,


la contrapposizione terminologica tra il diritto e la religione appare
riduttiva, anche quando si voglia porre laccento sullaspetto giuridico di tale binomio8.
Invero, in questo ambito del diritto, pi che in molti altri, si evidenzia che esso solo uno strumento, un mezzo per la realizzazione di una qualsivoglia politica in materia ecclesiastica. Quindi, in
una prospettiva di modifica della terminologia della materia, pensare
che il solo termine diritto, non altrimenti specificato, possa rendere
in pieno la posizione dello Stato di fronte al fenomeno religioso, o
esprimere i contenuti della materia, pare poco realistico.
A parte ogni considerazione sul punto se il diritto al di l della
sua necessit oggettiva possa essere lo strumento pi adeguato, o,
meglio, il terreno pi fertile di elaborazione e coltura del rapporto
tra lo Stato ai suoi vari livelli e il fenomeno religioso, parrebbe pi
opportuno se proprio si deve pensare a riformare la denominazione
della materia ipotizzare una terminologia pi articolata ed esaustiva, quale, ad esempio, Diritto, Politica e Religione.
Prescindendo dalla questione terminologica, si vuole proporre
una semplice considerazione: forse per inserire il diritto ecclesiastico
in un pi ampio circuito culturale e dare un maggiore respiro alla
materia immettendovi nuova linfa vitale, non affatto necessario e,
per altri versi, neppure sufficiente cambiare il nome alla materia.
Si ricorda, infatti, che il diritto ecclesiastico stato pi volte dato
per morto eppure, come laraba fenice, riuscito, ogni volta, a risorgere dalle sue ceneri. Basti dire che gi A.C. Jemolo aveva segnalato
il rischio che il diritto ecclesiastico fosse da considerarsi come un
ramo morto della scienza giuridica dopo che con la conciliazione si
era spenta ogni polemica9. In realt, non stato cos, in quanto al
di l di un incurabile scetticismo sul futuro della disciplina resta il
In argomento si veda F. Viola, G. Zaccaria, Le ragioni del diritto, il Mulino,
Bologna, 2003, pp. 152-8 e pp. 205-7; F. DAgostino, Diritto e giustizia. Per una
introduzione allo studio del diritto, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2000, ad indicem.
9
Cos M. Tedeschi, Sulla scienza del diritto ecclesiastico cit., p. 122.
8

254

Le nuove frontiere del Diritto ecclesiastico

dato incontrovertibile che il diritto ecclesiastico, essendo legato alle


cangianti e magmatiche dinamiche sociali, propone unelaborazione
teorica che non pu mai dirsi conclusa ma, anzi, in continuo divenire
che rende la materia odierna in s da un punto di vista contenutistico,
a prescindere della sua denominazione10. Vale a dire che la mutevolezza delloggetto, lungi dallessere un problema, o, peggio, un limite, rappresenta uninesauribile fonte di ricchezza che rende sempre
interessante e innovativo lapproccio alla nostra disciplina.
Lodierna fluidit storica e sociale della materia poi tale che, se
oggi si decidesse di mutare il nome della materia (a circa un secolo
da quando il diritto ecclesiastico ha acquisito la propria autonomia
scientifica), ci non garantirebbe, comunque, dal rischio di dover essere costretti tra qualche decennio ad una nuova modifica della denominazione della disciplina per adattarla ad eventuali ulteriori cambiamenti sociologici e culturali, con le ovvie conseguenze del caso.
In realt, al di l della denominazione, ci che appare caratterizzante la nostra materia il metodo storico-comparativistico con
approccio multidisciplinare da essa utilizzato che rappresenta lelemento qualificante che la rende sempre attuale ed in grado di fare
fronte anche alle attuali sfide sociali e culturali11.
3. Per ci che attiene al rapporto tra diritto ecclesiastico e diritto canonico seppure si deve ammettere che i recenti sviluppi socio-culturali hanno segnato un ulteriore tappa nellormai lungo e inesorabile
cammino di differenziazione ed allontanamento tra Diritto ecclesia10
Come ricorda S. Berling, Fonti del diritto ecclesiastico, in S. Berling, G.
Casuscelli, S. Domianello, Le fonti e i principi del diritto ecclesiastico, Utet, Torino, 2000, p. 5: pi in generale, in un contesto democratico e pluralista quale quello
tipico della Costituzione repubblicana, riservare una considerazione specifica al sottosistema delle fonti del diritto ecclesiastico, non risulta eversivo rispetto alle linee
fondamentali dellinsieme; appare, al contrario, intimamente compenetrato con la
sua essenza.
11
Sul rapporto tra diritto ecclesiastico e scienza giuridica, nonch sul metodo
si veda F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, a cura di A. Bettetini e G. Lo Castro,
Zanichelli, Bologna, 200910, pp. 2-5 e pp. 13-5.

255

Mario Ferrante

stico e Diritto canonico12 resta vero il fatto che per lecclesiasticista evidente la necessit di conoscere il diritto canonico13.
In altri termini, si ritiene che, guardando al nostro settore scientifico disciplinare, lo IUS/11, Diritto Canonico ed Ecclesiastico, anche
nellipotesi in cui si giungesse a modificare la seconda parte della sua
denominazione nella formulazione che la nostra comunit scientifica
dovesse ritenere pi corretta, dovrebbe restare inalterata la sua prima
parte che, a mio sommesso avviso, rimane storicamente e culturalmente caratterizzante la nostra disciplina14. Invero, come ricorda il
Mirabelli, la questione del metodo nello studio del diritto canonico
ha indirettamente contribuito allo sviluppo dellinteresse comparativistico nella dottrina ecclesiasticistica15.
4. Mi sia consentita, in ultimo, una breve considerazione da cultore
della materia: in un momento storico in cui la materia attraversa una
crisi di identit e viene inserita dalle recenti riforme universitarie in
contesti scientifici pi ampi in cui rischia di dissolversi in scienze
giuridiche soltanto parzialmente affini come il Diritto Costituzionale16, il richiamo alle proprie origini storiche e culturali, pare non solo
Sul punto cfr. L. De Luca, voce Diritto ecclesiastico, in Enc. dir., vol. XII,
Giuffr, Milano, 1964, p. 977, il quale ricorda che il diritto ecclesiastico nel senso
di diritto dello Stato relativo a materie ecclesiastiche presuppone non solo il disconoscimento del principio che la Chiesa sia lunica fonte capace di dettare norme
giuridiche in materie da essa ritenute ecclesiastiche, e, quindi, di propria esclusiva
competenza, ma presuppone altres in modo imprescindibile lemancipazione del
diritto positivo dal diritto divino quale autenticamente dichiarato dalla Chiesa.
13
Cfr. M. Tedeschi, Sulla scienza del diritto ecclesiastico cit., p. 45.
14
Cfr. C. Mirabelli, Diritto ecclesiastico e comparazione giuridica, in C. Mirabelli, F. Margiotta Broglio, F. Onida, Religioni e sistemi giuridici. Introduzione al
diritto ecclesiastico comparato, il Mulino, Bologna, 1997, p. 30.
15
Cfr. P. Fedele, Il problema dello studio e dellinsegnamento del diritto canonico e del diritto ecclesiastico in Italia, in Arch. Dir. Eccles., 1939, pp. 50 ss.; Id.,
Ancora sullo studio e linsegnamento del diritto canonico e del diritto ecclesiastico,
in Arch. Dir. Eccles., 1940, pp. 390 ss.
16
Si veda il Decreto Ministeriale 29 luglio 2011 n. 336, relativo alla Determinazione dei settori concorsuali, raggruppati in macrosettori concorsuali, di cui
12

256

Le nuove frontiere del Diritto ecclesiastico

opportuno ma direi necessario per riaffermare lautonomia scientifica ed epistemologica della nostra bella materia.

allarticolo 15. Legge 30 dicembre 2010, n. 240, con cui, allinterno dellarea 12
- Scienze Giuridiche, si artificiosamente creato il macrosettore denominato 12/C
- Diritto Costituzionale ed Ecclesiastico. Si tratta di una soluzione che non tiene
adeguatamente conto della poliedricit del diritto ecclesiastico che, al di l della forte componente costituzionalistica, presenta riferimenti anche significativi con altre
branche del diritto quali, ad esempio, il diritto privato. Sul punto mi sia consentito di
rinviare a M. Ferrante, Diritto ecclesiastico - Diritto privato: ossimoro o sinestesia?, in Diritto civile e diritti speciali. Il problema dellautonomia delle normative
di settore, Giuffr, Milano, 2008, pp. 219-41.
257

A proposito di una nuova definizione del Diritto ecclesiastico

A proposito di una nuova definizione del Diritto ecclesiastico


di Giuseppe Gullo

Il seminario nazionale su Diritto e Religioni, svoltosi a Pisa il 30 marzo 2012, ha permesso di interrogarsi sulla concreta attualit di quel
ramo della scienza giuridica catalogata sotto la denominazione di diritto canonico e diritto ecclesiastico (in riferimento al s.s.d. IUS/11).
Partendo dal presupposto secondo cui al continuo evolversi delle dinamiche socio-religiose, ha fatto seguito un conseguente mutamento della disciplina del diritto ecclesiastico (quale strumento di
regolamentazione statale del fattore religioso), con il proliferare di
diverse materie che si sono via via aggiunte al settore disciplinare di
cui sopra. per queste ragioni che si giustificava il confluire dellintera materia del diritto ecclesiastico nel pi grande settore del diritto
costituzionale (s.s.d. IUS/12).
Non altrettanto solerte, questa sembra la preoccupazione che si
coglie dal dibattito, risultato ladeguamento dellaltro ramo del diritto che, al pari di quello ecclesiastico, definisce i rapporti con il
sentimento religioso della stragrande maggioranza della nostra popolazione, ossia il diritto canonico.
Si proponeva, quindi, di rivisitare la ormai obsoleta denominazione di Diritto ecclesiastico, ritenuta non pi adeguata, in una pi
moderna espressione di Diritto e Religione, lasciando intendere che,
altrimenti, si rischierebbe di regolamentare in maniera inadeguata gli
ormai complessi fenomeni religiosi presenti nel nostro sistema giuridico. I sostenitori di tale orientamento facevano leva sulla considerazione secondo cui le istituzioni statali hanno come diretti interlocutori gli organi rappresentativi delle rispettive confessioni religiose,
ragion per cui non si potrebbe continuare a ridimensionare sotto la
dicitura diritto ecclesiastico la complessa disciplina dei diversi interessi religiosi della collettivit.
259

Giuseppe Gullo

Crediamo, per, che la semplice sostituzione del termine ecclesiastico con religione non possa fungere da soluzione alla questione sollevata dellattuale complessit dello studio dei diversi profili che la religione assume nella societ moderna.
Non si pu prescindere dalla oggettiva difficolt che il significato
del termine religione comporta, specie se si pensa al necessario
riferimento allaltro cardine di riferimento della materia (diritto).
Senza voler sollevare riflessioni di carattere di teoria generale sul diritto si potrebbe pi semplicemente alimentare un qualche rilievo sul
carattere confessionale della singola comunit religiosa che di volta
in volta viene in contatto con lordinamento interno.
Il diritto ecclesiastico, anche nei suoi aspetti di studio storico e
politico dei rapporti tra Stati e singole confessioni religiose, stato
caratterizzato da molteplici punti di contatto con le fonti degli ordinamenti che reciprocamente si integrano nel nostro ordinamento. Vi
quasi una sorta di naturale predisposizione, allinterno della materia, per lo studio di tali rapporti secondo una pluralit di sistemi
e modelli organizzativi, il tutto senza perdere di vista le peculiari
caratteristiche e la consapevolezza della propria autonomia e regolamentazione.
Non sono mancate, come detto, nuove materie che si sono inserite
nel settore disciplinare in questione, le quali hanno di certo contribuito a valorizzare lo studio comparatistico di questa disciplina ampliandone il quadro culturale e formativo generale. Va detto per che
il progredire della cooperazione e dellintegrazione politica e giuridica europea, il recuperato ruolo nazionale delle religioni in alcuni
paesi, nonch la diffusione del pluralismo di valori e del multiculturalismo, hanno reso meno definiti i confini nazionali delle chiese e
delle confessioni religiose.
Si potrebbe pensare, allora, di modificare non la denominazione
della disciplina ma il suo contenuto, ampliandone la portata in modo
da approfondire i suoi metodi di insegnamento e diffusione nei modi
che si riterranno pi confacenti alle mutate esigenze della societ.
Avendo sempre come punto di riferimento la consapevolezza di essere lunico strumento per studiare ed analizzare quel settore dellor260

A proposito di una nuova definizione del Diritto ecclesiastico

dinamento giuridico di ogni singolo Stato che regola il fenomeno


religioso.
stata avanzata lidea, semmai, di aggiungere, accanto alla dizione diritto ecclesiastico lo specifico riferimento alla qualifica di
civile o statale per non confonderlo con il diritto confessionale
delle singole comunit religiose1.
Con la nuova proposta di denominazione della materia, ci si priverebbe, inoltre, dello specifico riferimento al ramo del diritto confessionale costituzionalmente garantito e che storicamente ha da
sempre caratterizzato i rapporti tra Stato e Chiesa.
Cos facendo si correrebbe il rischio di far confluire lintero settore
disciplinare della materia in un pi ampio contesto (quale quello costituzionale), col rischio di perdere la propria autonomia scientifica.

1
F. Margiotta Broglio, Religioni e sistemi giuridici. Introduzione al Diritto
ecclesiastico comparato, il Mulino, Bologna, 1997, p. 5.

261

Brevi note esperienziali didattiche

Brevi note esperienziali didattiche


di Manlio Miele

1. Sullinsegnamento del Diritto canonico - 2. Sullinsegnamento del Diritto


ecclesiastico - 3. Sullimpatto pratico del Diritto ecclesiastico

1. Mi limito qui ad alcune notazioni piuttosto pratiche, derivanti


dalle esperienze dinsegnamento ormai pluriennali. Ho parlato di
esperienze, al plurale. Questo sottende il fatto che ho avuto modo
di insegnare girando in tutte le sedi universitarie del Nordest, eccezion fatta per Trento e Trieste; in sedi di fondazione sia antica che
contemporanea1. Inutile dire che, in riferimento al settore scientifico
disciplinare Ius/11, le diverse sedi esprimono esigenze ed inclinazioni diverse; queste dipendono da molteplici variabili. Alcune sono
interne allapparato universitario, come il peso della tradizione, la
personalit degli antichi docenti, lorientamento dei comitati fondatori nel caso degli atenei di recente creazione. Altre variabili, corrispondenti ad altrettanti elementi dinfluenza, sono invece esterne e
hanno a che fare con la situazione politica, sociale, culturale del luogo dove si svolge linsegnamento. Non va nascosto poi che non sono
affatto mancati, nel caso di sedi universitarie nate sul fondamento di
convenzioni con enti privatistici, i desiderata di tali enti. Il fatto che
non siano mancati, non significa che siano stati di per s assecondati.
Comprendendo Ius/11 sia il Diritto canonico che il Diritto ecclesiastico, occorre premettere qualche considerazione sul rispettivo rilievo nellambito dei piani di studio da me incontrati. Dopo
linstaurazione della laurea quinquennale in Giurisprudenza, infatti,
1
La sede trevigiana della Facolt di Giurisprudenza nasce nel 2000. Subito vi
venivano attivati i due insegnamenti di Ecclesiastico e Canonico.

263

Manlio Miele

il Diritto canonico diventava obbligatorio a Padova, a Treviso e a


Udine. Il Diritto ecclesiastico assumeva la veste di insegnamento facoltativo e obbligatoriamente attivato2. A Verona i due insegnamenti
venivano addirittura accorpati in un unico modulo da 6 crediti, con la
denominazione Diritto canonico ed ecclesiastico, nella quale non
inderogabile n luno n laltro.
Sullinsegnamento del Diritto canonico nellUniversit dello
Stato posso dire qualcosa di storicamente e geograficamente delimitato. Il Nordest, infatti, viene o veniva ritenuto una zona geografica
fortemente religiosa e cattolicamente caratterizzata, ci che poteva
influire sullinteresse verso una materia confessionalmente determinata. I rilevamenti pi recenti, per, evidenziano una realt diversa,
specie a livello di giovani generazioni. Nel Triveneto, degli appartenenti alla fascia det che va dai 18 ai 29 anni, dichiarano dessere
cattolici senza riserve il 6,6% degli intervistati3. Il commentatore
nota come unanalisi pi raffinata, condotta tra chi ha unet compresa tra 18 e 26 anni, che possiamo considerare cio figli, e chi
una compresa tra 48 e 56, che possiamo ritenere come genitori,
dice in sostanza che tutti gli indici di religiosit non solamente diminuiscono, ma si dimezzano. E ci interessa tutte le dimensioni della
religiosit4.
Comunque sia, del Diritto canonico il programma stesso viene impostato con un metodo sostanzialmente positivo, coincidente con la
bipartizione diritto costituzionale-diritto matrimoniale. Il riscontro
stato vario, ma non sono mancati gli studenti che, in sede di valutazione, hanno chiesto per quale motivo, in una facolt di Giurisprudenza
statale, fosse obbligatorio uno specifico diritto confessionale. Certo
non siamo ai livelli di difficolt incontrati da Giambattista Pertile
pochi anni dopo lunificazione nazionale e raccontati dal professor
2
A Udine, sin dallinizio, venne attivato solo linsegnamento di Diritto canonico
prima e di Istituzioni di diritto canonico poi.
3
V. A. Castegnaro, Una prospettiva individuale, in Il Regno-att., 57 (2012),
p. 131. La rilevazione stata effettuata dallOsservatorio socio-religioso triveneto in
occasione di un convegno ecclesiastico tenutosi ad Aquileia dal 12 al 15 aprile 2012.
4
Ivi, p. 132.

264

Brevi note esperienziali didattiche

Falchi nel suo recente saggio sulla soppressione del corso autonomo di Diritto canonico del 18755. Altri studenti infatti, pi riflessivi,
confrontandosi col docente, condizionavano la valenza formativa
della materia alla sua impostazione in termini di teoria generale e di
ricostruzione storica degli istituti, con un riferimento storico-critico
costante al sistema delle fonti; ci che comporta unattenzione particolare, se non esclusiva, al I libro del Codex. Questo, personalmente,
ritengo il motivo fondante della giustificazione dellinsegnamento del Diritto canonico, per di pi obbligatorio, in un Ateneo dello
Stato6. Solo riflettendo specialmente sul I libro credo sia possibile,
in relazione al complesso normativo canonico, percepire poi le due
dimensioni congiunte: la costanza della tradizione, il consolidarsi del
mutamento7.
A favore di una simile convinzione stanno diverse circostanze.
Una , per cos dire, accidentale, e riguarda lopportunit di rafforzare ulteriormente la sensibilit culturale degli studenti odierni,
generalmente ostili alla Storia, per il fraintendimento secondo cui
In una nota del Preside patavino, datata 1 novembre 1873, relativa al corso
di Diritto canonico, si dice: non vengono bene disposti oggid i nostri giovani ad
udirlo, fattone a loro un dovere. Troppo si disse, e si fece in conformit al detto, nel
pubblico e nelle stesse universit contro il diritto canonico ed il suo insegnamento
obbligatorio ai laici, che ormai la posizione del Prof.re resa difficile. F. Falchi,
La soppressione del corso autonomo di Diritto canonico delle Facolt giuridiche disposta dal ministro Bonghi nel 1875, in www.statoechiese.it (cit. da p. 34 dellestr.).
6
Riscontro speculare nella parole di M. Ventura, Diritto ecclesiastico, in
Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento, a cura di A. Melloni, il
Mulino, Bologna, 2010, I, p. 735: Il metodo storico-critico apparso obsoleto e
inadatto ad esprimere la specifica vocazione ecclesiale del diritto canonico; venuta
imponendosi quella dogmatica teologica su cui il pontificato giovanneo-paolino ha
concepito e costruito la coesione della comunit ecclesiale del terzo millennio. Il
linguaggio del diritto ormai praticabile, nel diritto ecclesiale, solo a prezzo di
una purificazione che lo restituisca al suo habitat teologico. La virata ha comportato una profonda crisi nella scuola laica italiana che si fatta ormai residuale nel
panorama della canonistica internazionale e che rischia lemarginazione nellambito
degli studi giuridici secolari.
7
P. Grossi, Valori e limiti della codificazione del diritto (con qualche annotazione sulla scelta codicistica del legislatore canonico), in Jus, 52 (2005), p. 358.
5

265

Manlio Miele

questa comporterebbe uno sforzo mnemonico inutile in relazione a


date, nomi etc., e non costituisca invece un elemento fondante per
approfondire il mutamento istituzionale sotto il profilo interdisciplinare8. Studiare la storia degli istituti canonici significa, anche,
penetrare lo sviluppo della civilt giuridica occidentale9.
Unaltra circostanza, certo disputabile, riguarda i caratteri della
legislazione canonica, e del Codex del 1983 in particolare, successivamente alle riforme postconciliari. Facendo un passo indietro, in
uno scritto a mio avviso tuttora significativo del 1937, Andrea
Piola aveva a motivare linsegnamento del Diritto canonico nelle
universit di Stato, tra laltro, con una citazione nella quale Vincenzo
Del Giudice sotto il Codex del 1917 segnalava essere quello canonico un ordinamento dalta perfezione tecnica10. Ora, in riferimento ai libri diversi dal I, si ha limpressione che luniverso concettuale, ma anche la tecnica costruttiva del Codex del 1983, appaiono
agli studenti (di Giurisprudenza) come esotici a causa proprio di quei
caratteri che la scienza canonica generalmente vorrebbe qualificare come peculiari e originali del diritto postconciliare. Si potrebbero fornire molteplici esempi di una siffatta difficolt.
Cos, prendendo uno dei primi manuali usciti dopo il 1983, scritto con una terminologia giuridica, sarebbe indubbiamente appagante
poter approfondire, sia in sede di lezione che di accertamento, i principi canonici del Vaticano II, esposti dal Lombardia con rara acribia11. Tuttavia va tenuto conto di quanto ammette lo stesso Autore,
e cio che quei principi, i quali asseritamente sono fondamento del
Codex, si presentano nei documenti conciliari con uno scarso grado
F. Margiotta Broglio, Diritto canonico e scienze umane, premessa a G. Le
Bras, La Chiesa del diritto, il Mulino, Bologna, 1976, p. XXVII.
9
Come ricorda S. Ferrari, Diritto delle religioni, in Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento cit., I, p. 714.
10
A. Piola, Diritto ecclesiastico, diritto canonico e diritto concordatario, in
Studi sassaresi, XV (1937), p. 9 estr. LAutore auspicava linclusione del diritto
canonico fra gli insegnamenti fondamentali. Ivi, p. 10.
11
P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico, ed. it. a cura di G. Lo Castro,
Giuffr, Milano, 1985, pp. 36-40.
8

266

Brevi note esperienziali didattiche

di formalizzazione, poich non era proposito dellassemblea sinodale offrire testi redatti secondo la tecnica legislativa12. Parimenti, la
categoria della pastoralit, cos come viene comunemente riferita al
Codex, pone problemi di effettiva comprensione. Infatti, nellimmaginario diffuso, pastorale sembrerebbe un carattere alquanto eterogeneo rispetto al dato giuridico13.
Questo carattere, espresso con un termine polivalente14, risulterebbe per irrinunciabile, come dimostra il fatto che, anche quando
se ne denuncia la possibile equivocit, lo si definisce elemento costitutivo essenziale della legislazione canonica15. Le tensioni sottese al binomio diritto-pastorale16, che probabilmente hanno una certa
parentela con la discussione talvolta polemica sulla pastoralit del
Vaticano II, si riflettono sui dati esperienziali che gli studenti ricavano dal contatto personale con lordinamento canonico vivente. Questi
sembrano il pi delle volte assai lontani dai dati teorici esponibili
in relazione allordinamento vigente, facendo apparire quello che
stato chiamato anche lo scarto tra il diritto scritto e il diritto praticato nella vita delle comunit17.
Ivi, pp. 37-8.
Forse riflesso di tale diffusa percezione il tentativo di identificare la categoria
(negativa) del pastoralismo, che consisterebbe nel sostituire le soluzioni giuridiche
con quelle (pretese) pastorali. Cfr. J. Hervada, Pensamientos de un canonista en la
hora presente, Navarra Grfica Ediciones, Pamplona, 20042, p. 15 e passim.
14
E. Baura, Pastorale e diritto nella Chiesa, in Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Ventanni di esperienza canonica, 1983-2003, Libreria Editrice
Vaticana, Roma, 2003, p. 164-7.
15
J. Herranz, Salus animarum, principio dellordinamento canonico, in Id.,
Giustizia e pastoralit nella missione della Chiesa, Giuffr, Milano, 2011, p.191.
16
Emblematico, sul tema, il contributo di A. Borras, Rle et signification du
droit canonique dans la pastorale, in Revue thologique de Louvain, 40 (2009),
p. 360-81.
17
C. Fantappi, Diritto canonico codificato, in Dizionario del sapere storicoreligioso del Novecento cit., I, p. 695. Ad esempio, una efficace tutela dei diritti dei
fedeli pur proclamati appare, nellordinamento canonico, tuttora insufficiente.
Cfr. I. Zuanazzi, Praesis ut prosis. La funzione amministrativa nella diakona della
Chiesa, Jovene, Napoli, 2005, pp. 662 ss.
12
13

267

Manlio Miele

Ancora, la ricostruzione storica sembrerebbe avere il pregio di far


apparire in tutta la sua complessit una questione ermeneutica fondamentale, non accademica ma effettiva: quella del rapporto tra Codice
e Vaticano II. Rapporto che, studiato alla luce delle norme generali
del I libro del Codex, pu forse concorrere egregiamente a formare
unattitudine correttamente critica, in grado di superare i limiti di
quel positivismo che da molti viene additato come il pericolo fondamentale nello studio del Diritto canonico. Del resto, proprio nel primo libro stanno i criteri interpretativi generali della legge canonica,
tra i quali la mens legislatoris, e non va dimenticato che la corretta
spiegazione canonistica dei canoni pu chiarire quali convinzioni
teologiche il legislatore abbia considerato degne di una traduzione
giuridica e quali no18. Specialmente nei periodi di riforma, non
possibile separare lordinamento positivo dalla sua storia, coglierne
lo stabile ed il mutante, interrogare le fonti con luso di una seria
cultura storico-giuridica19.
Piola, nello scritto citato, non ometteva di riportare altri contributi al dibattito sui contenuti dellinsegnamento canonico, con Arturo
Carlo Jemolo che auspicava una cattedra con carattere eminentemente storico: storia della formazione e della evoluzione del diritto
della Chiesa, esegesi delle sue fonti, storia dellapporto che il diritto
canonico e i canonisti hanno recato alla formazione del diritto comune e del diritto codificato nei vari Paesi, storia dei rapporti tra Stato e
Chiesa20. Inutile dire che, per quanto penso, la ricostruzione storica
degli istituti canonici sia ancor pi significativa e formativa nello Studio di Padova, ateneo nel quale per secoli era organicamente
inserito il consultore in jure e nel quale linsegnamento del Diritto
canonico era segnato da forti accenti nazionali: fin nei manuali ottocenteschi si riscontra la tendenza ad esporre il Diritto canonico
18
N. Ldecke, Studium Codicis, schola Concilii, in Il Regno-att., 51 (2006),
p. 348.
19
M. Vismara Missiroli, Diritto canonico e scienze giuridiche, Cedam, Padova,
1998, p. 204.
20
A. Piola, Diritto ecclesiastico, diritto canonico e diritto concordatario cit.,
p. 13.

268

Brevi note esperienziali didattiche

nazionale21. Questultimo impone di riflettere sullo svolgimento


diacronico delle fonti e sullobiettivo intersecarsi di diritto (talvolta
preteso) universale e diritti particolari, tema centrale nel conflitto settecentesco sulla cattedra patavina di Diritto pubblico ecclesiastico22.
Limpostazione storica consentirebbe anche di evitare un dilemma tutto interno alla libert dinsegnamento. Se sia cio possibile tenere indenni gli studenti dal dibattito sulla c.d. specificit del Diritto
canonico, dibattito che secondo qualcuno da un lato sarebbe ad un
punto morto, ma che, dallaltro, comunque presenterebbe il merito
di aver contribuito ad approfondire non solo le propriet dellordinamento canonico, ma il senso del diritto in quanto tale, dando una
spallata decisiva al positivismo giuridico che in un modo pi o meno
inconscio era considerato anche allinterno della Chiesa semplicemente il diritto23. Se gli studenti delluniversit dello Stato dovessero essere informati su tale specificit, come sempre s cercato di
fare, questo di per s non comporterebbe una svalutazione del metodo giuridico acquisito nei corsi istituzionali relativi al diritto statuale,
la cui mentalit propria, secondo qualcuno, potrebbe addirittura
essere nociva nel campo del diritto canonico24.
2. Il Diritto ecclesiastico, a livello di manuali adottati, ha mantenuto
limpostazione in termini prevalenti di studio dei rapporti tra enti
sovrani; quellimpostazione nella quale centrale, se non esaustivo,
lesame esegetico dellart. 7 Cost. Daltro canto la parte speciale ha
F.E. Adami, La manualistica italiana di diritto ecclesiastico tra fine 800 ed
inizi del 900, in La costruzione di una scienza per la nuova Italia: dal diritto canonico al diritto ecclesiastico, a cura di G.B. Varnier, Eum, Macerata, 2011, p. 86,
nota 3.
22
Basti qui P. Preto, voce Fabbro Angelo Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, 43, Istituto dellEnciclopedia Italiana, Roma, 1993, p. 667-9.
23
Cos V. De Paolis, Il ruolo della scienza canonistica nellultimo ventennio,
in Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Ventanni di esperienza canonica
1983-2003 cit., p. 152.
24
Cos Z. Grocholewski, Linsegnamento del Diritto canonico dopo la promulgazione del Codice del 1983, in Pontificio Consiglio per i testi legislativi, La legge
canonica nella vita della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Roma, 2008, p. 129.
21

269

Manlio Miele

riguardato, fino a qualche tempo fa, esclusivamente il matrimonio


concordatario, e ci sul presupposto che questa sia, in loco, la forma maggioritaria di legame matrimoniale. A dire il vero gli studenti,
messi di fronte allalternativa di una parte speciale relativa agli enti
confessionali o religiosi, dimostravano il loro forte interesse, se non
altro perch alcuni argomenti usualmente molto menzionati (onlus,
enti non profit), trovano poi scarso riscontro di trattazione in ambito
accademico.
Ma soprattutto la realt sociale del Triveneto, i conflitti l esistenti e in qualche modo collegati col fenomeno religioso, le problematiche derivanti dal venir meno del monolitismo confessionale, si
riflettevano sullinsegnamento del Diritto ecclesiastico, in occasione
delle domande di spiegazione rivolte dagli studenti dopo le lezioni,
nel corso di pubbliche conferenze organizzate dal docente o allatto
della richiesta della tesi di laurea. Le domande degli studenti, quelli
costituenti il classico piccolo gruppo pi partecipe, dimostravano,
in genere, scarso interesse per i profili relativi ai c.d. rapporti interordinamentali e maggiore attenzione per linveramento dei diritti
di libert e di eguaglianza in campo religioso. A suscitare siffatto
interesse non erano questioni di dogmatica giuridica, ma fatti della
realt socio-politica contemporanea e, moltissime volte, locale. Da
tale punto di vista devo dire che lattitudine politica locale in campo
religioso, negli ultimi anni, ha fornito molto materiale di discussione,
di confronto e di studio durante il corso di Diritto ecclesiastico; in
un certo senso direi che rispetto agli anni in cui frequentavo i corsi
da studente ne ha determinato, o a concorso a determinarne, il mutamento delloggetto materiale preponderante. Ci che conferma il
rilievo, fatto gi anni or sono, della forte pressione della realt personale e sociale, composita e pluralista, che nel trasformarsi impone
nuove regole, nuovi strumenti didattici e conoscitivi, nuove forme di
organizzazione25.
25
A. Bettetini, La riforma dellinsegnamento universitario e prospettive dellinsegnamento del diritto ecclesiastico, in Linsegnamento del Diritto ecclesiastico
nelle universit italiane, a cura di M. Parisi, ESI, Napoli, 2002, p. 35.

270

Brevi note esperienziali didattiche

E cos, la questione dei simboli religiosi negli spazi pubblici o la


problematica, se tale sia, degli abiti femminili religiosamente ispirati,
entrava nelle discussioni correnti alla fine delle lezioni (o nella determinazione del titolo della tesi) non perch una qualche corte italiana
o europea se ne occupasse, o perch fosse pendente nel Parlamento
nazionale un qualche disegno di legge, ma perch diversi sindaci facevano oggetto del proprio potere di ordinanza prescrizioni in tali
materie. Neppure destavano particolare interesse gli accenni confessionali dello statuto regionale o le proposte dellassessore regionale
tendenti a rendere obbligatorio linsegnamento della religione cattolica in tutte le scuole della Regione per motivi culturali. Capitava
invece che, in occasione di una conferenza tenuta dal sottosegretario
agli Interni sullo statuto giuridico dellIslam in Italia26, intervenisse
uno studente islamico a chiedere precisazioni, o perlomeno quelle
possibili, sul fatto che i numerosi islamici presenti nella provincia di
Treviso siano sforniti di edifici di culto adeguati; e sul fatto che sia
loro inibito pure luso di aree pubbliche. E poich i politici intervistati in sede locale si avvalgono della c.d. clausola di reciprocit, talch
le migliaia di islamici regolari che lavorano in Provincia dovrebbero
vedersi riconosciuto il diritto agli edifici di culto, o pi semplicemente il diritto di pregare in pubblico o in luogo aperto al pubblico,
purch ci sia consentito anche a noi a casa loro, gli studenti hanno
condotto il corso di Diritto ecclesiastico verso unanalisi rigorosa dei
diritti fondamentali, della loro valenza alla stregua del diritto interno,
delle convenzioni internazionali e del diritto internazionale generale
e, soprattutto, delle condizioni per la loro applicabilit diretta.
Va anche detto che in questa circostanza ho potuto riscontrare una
generale sensibilit verso il tema speculare al precedente della salvaguardia del diritto di libert religiosa allinterno dei gruppi
confessionali e delle famiglie che vi aderiscono. Questo interesse,
evidentemente, ha a che fare con lesperienza delle scuole superiori, la composizione multiculturale delle cui classi consente contatti
26
Islam italiano: problemi giuridici aperti, Conferenza dellon. Alfredo
Mantovano, Treviso, 13 marzo 2009.

271

Manlio Miele

con atteggiamenti genitoriali differenti e non sempre improntati alla


sensibilit verso la libert religiosa o anche solo culturale dei figli
minorenni. Destava pure molto interesse il seminario sul concetto
di laicit27, tema impervio ma prontamente recepito, nei suoi profili critici, dagli studenti; ai quali in altri corsi, tra laltro, era stata
presentata come scontata la distinzione giuridica tra laicit e laicismo. Il seminario conduceva gli studenti di Diritto ecclesiastico ad
interrogarsi ed a interrogare sullesistenza di criteri giuridici, e non
ideologici, che consentano di riconoscere ci che laicit e ci che
laicismo, giungendo da soli alla contestualizzazione storico-geografica del concetto28.
In sostanza, gradatamente e nel volgere di alcuni anni, ci si accorti di come, in riferimento al Diritto ecclesiastico, linteresse contenutistico sia mutato in un senso meno attento a quelli che potremmo definire rapporti di vertice, e mutando si sia invece spontaneamente rivolto verso reali situazioni di conflitto e di dissenso, quasi
a conferma che proprio di queste la disciplina dovrebbe occuparsi29.
Nei contatti con gli studenti dedicati agli approfondimenti, ad
anno accademico inoltrato, si potuto notare come probabilmente,
anche nellItalia di oggi, un corso di Diritto ecclesiastico debba principiare per dir cos dalla grammatica di cui allart. 19 Cost.
e 9 della Convenzione europea dei diritti delluomo e delle libert
fondamentali, se non altro perch identificare quando una fede sia
religiosa, e non ad es. politica o calcistica, ha delle ovvie conseguenze concrete, generalmente toccanti una delle sfere pi intime della
persona. Daltro canto non si pu neppure ancor prima non dedicare adeguato spazio allinterpretazione di quel tutti dellart. 19
Cost., se gi in sede di Assemblea costituente ci si chiedeva se una
simile espressione non fosse cos astratta nella sua latitudine da
27
La laicit o le laicit, Conferenza del professor Francesco Margiotta Broglio,
Treviso, 13 dicembre 2010.
28
Cfr. S. Berling, Presentazione, in Diritto e religione in Italia, a cura di S.
Domianello, il Mulino, Bologna, 2012, p. 13.
29
E. Vitali, Il Diritto ecclesiastico oggi, in Studi in onore di Giorgio Marinucci,
a cura di E. Dolcini e C.E. Paliero, Giuffr, Milano, 2006, III, p. 2989.

272

Brevi note esperienziali didattiche

rischiare di essere priva di un destinatario preciso (Ruggiero)30. In


materia, particolarmente, non apparirebbe sufficiente, o comunque
utile, presentare i modelli teorici come avulsi dalle loro ragioni
genetiche31. E sulla crescente importanza concreta dellart. 9 della
Convenzione cit., specialmente a partire dal 1993, nonch sulle relative motivazioni, si veda il recente saggio di Silvio Ferrari32.
3. Ora un accenno a due fatti concreti: le discussioni sullofferta
didattica relativa ad un possibile nuovo corso di laurea di giurista
dimpresa e le esperienze della partecipazione alle commissioni degli
esami di libera avvocatura. Entrambi sembrano poter essere fonte di
alcune osservazioni, forse utili.
Del tutto cortesemente, i colleghi della Facolt che hanno discusso, e discutono, di questo nuovo possibile corso di laurea in giurista
dimpresa, presso la sede trevigiana, hanno coinvolto il docente di
Ius/11, per vedere di impostare in qualche modo forse non proprio
un diritto relativo alle religioni, quanto agli enti (associazioni o
istituzioni) che perseguono un fine di religione o di culto, ai sensi
dellart. 20 Cost. Ci, se non altro, perch molte volte siffatti enti
svolgono pure attivit commerciali; ma anche perch identificare i
confini del non profit operazione correlata alla fissazione dei confini del profit. Losservazione per la quale la materia che va sotto il
nome di Diritto ecclesiastico dovrebbe gi occuparsi di siffatti enti,
non ha avuto un successo completo o, meglio, non ha avuto lo stesso
successo della proposta, fatta in via residuale dal docente di Ius/11,
relativa ad un corso non derogabile di diritto degli enti non commerciali; proposta, questa, subito accettata da tutti. Io non so se il
fatto particolare debba ingenerare nel docente un caso di coscienza
relativo alla pertinenza a Ius/11 di una simile disciplina; va per rileAtti dellAssemblea costituente, sed. 20.03.1947, p. 2276.
M. Ricca, Diritto e religione. Per una pistemica giuridica, Cedam, Padova,
2002, p. 202.
32
S. Ferrari, La Corte di Strasburgo e larticolo 9 della Convenzione europea.
Unanalisi quantitativa della giurisprudenza, in Diritto e religione in Europa, a cura
di R. Mazzola, il Mulino, Bologna, 2012, pp. 27 ss.
30
31

273

Manlio Miele

vato come il semplice mutamento di denominazione, in rapporto ad


una materia che poteva tranquillamente trattarsi nella parte del corso
di Diritto ecclesiastico relativa agli enti ecclesiastici, abbia ricevuto
unaccoglienza universalmente favorevole in un nuovo piano di studi
dichiaratamente concepito come alternativa maggiormente appetibile per le nuove generazioni. Anche in questo caso, si sperimentato
che i nomi costituiscono un processo di costruzione dellidentit,
come stato osservato in rapporto alla determinazione del settore
non profit33.
E ora qualche considerazione derivante dalle esperienze nelle
commissioni desame per laccesso alla libera avvocatura. Come
noto, in questa sede il Diritto ecclesiastico materia di libera scelta,
considerata dai candidati assolutamente marginale rispetto a quelle
ritenute pi importanti; la conseguenza che, come materia ritenuta
leggera, la scelgono tutti. E poich per i candidati congiunzione
astrale sfavorevole che in commissione vi sia un docente di Diritto
ecclesiastico, linterrogazione in genere viene effettuata a turno dai
singoli commissari. Questo determina, sul piano oggettivo, uno svilimento (e una cattiva fama) della materia, visto che troppe volte i
candidati riferiscono di domande o talmente generiche da rientrare nellambito della cultura giornalistica, o talmente periferiche da
sfiorare il ridicolo34. La prassi indice, almeno cos sembra, di una
sofferenza della materia, e questa sofferenza pare investire i capisaldi
dellantico Diritto ecclesiastico italiano. Pur dovendosi aggiungere
che, sempre negli esami davvocatura, sorte non migliore capita allo
G.P. Barbetta, F. Maggio, Nonprofit, il Mulino, Bologna, 20082, p. 17.
Cfr. gi V. Tozzi, Linsegnamento del Diritto ecclesiastico nellUniversit italiana, in Linsegnamento del Diritto ecclesiastico nelle Universit italiane cit., p.
26. Il Diritto ecclesiastico non stato escluso dagli esami per laccesso alla libera
avvocatura, ma il trattamento che in quella sede (generalmente) subisce, sembra
avere a fondamento quanto notato dallAutore: Ci accade per ignoranza delle
nuove frontiere problematiche cui esso si adopera e nella errata convinzione che
la riduzione di importanza dei suoi ambiti scientifici precedentemente rilevanti (il
matrimonio e gli enti ecclesiastici) costituisca unattenuazione dellesigenza di professionalit degli operatori sui temi del diritto ecclesiastico in generale.
33
34

274

Brevi note esperienziali didattiche

stesso Diritto costituzionale, non pu non osservarsi come, professionalmente, mentre socialmente scontata la figura ad es. del penalista o del tributarista, stenta (per eufemismo) a delinearsi invece
quella dellecclesiasticista. Se esiste, egli professionalmente chiamato o ad occuparsi di questioni di ius antiquum (interessanti quanto
rarissime) o ad affrontare direttamente casi sempre pi infrequenti
relativi ad enti o a matrimoni canonici trascritti. Gli sembra maggiormente consono, invero, fungere da supporto verso altri professionisti (avvocati, notai, commercialisti) nella soluzione di specifici
aspetti occasionali (ecclesiasticit di un ente, legale rappresentanza,
controlli canonici etc.) o anche verso le pubbliche amministrazioni.
Tuttavia, per queste ultime, bisogna distinguere. Le amministrazioni statali sono, ovviamente, guidate secondo il principio gerarchico,
nel quale lo studioso periferico difficilmente si inserisce, eccezion
fatta per eventuali contenziosi, nei quali egli interviene professionalmente. Le amministrazioni locali, invece, seguono sovente strade
frammentarie, tortuose, anche attraverso il c.d. bilaterale confuso (spesso troppo sensibile ad esigenze localistiche)35; e, talvolta,
strade dichiaratamente ostili allinveramento del principio di libert
religiosa o di laicit delle istituzioni pubbliche. La cosa anche pi
preoccupante quando, a sostegno di siffatte iniziative, si invoca il
principio di sussidiariet, palesemente strumentalizzato in funzione
antiunitaria e, soprattutto, concepito come svincolato da limiti, col
pericolo delle violazione del principio della parit di trattamento36.
In questi casi gli ecclesiasticisti vengono accuratamente evitati.
Questa funzione negativa, quasi di impedimento e comunque critica degli studiosi di Diritto ecclesiastico, in materia di diritti fondamentali, sembra concorrere a demarcare ulteriormente lautonomia
scientifica della disciplina e confermarne lutilit37.
E. Vitali, Il Diritto ecclesiastico oggi cit., p. 2987.
Cfr. N. Colaianni, Eguaglianza e diversit culturali e religiose, il Mulino,
Bologna, 2006, p. 217.
37
S. Domianello, Lutilit pratica del Diritto ecclesiastico civile come scienza, in Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano, a cura di G.B. Varnier,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 287-302. Cfr. anche S. Berling, Diritto
35
36

275

Manlio Miele

Adottando un paradigma meno stringente in relazione alle finalit


professionali38, gli studenti di Giurisprudenza sembrano chiedere, e
chiederci, come ci si debba accostare in modo adeguato agli artt. 7
e 8 Cost.; ovviamente, in un modo oggi adeguato. Questa domanda
di adeguatezza, che il pi delle volte emerge in occasione dellesame, si deve notare acuta sullart. 7, soprattutto in riferimento ad una
sovranit formulata quando, nella gerarchia delle fonti, mancavano
pressoch totalmente quelle europee e comunitarie; e quando, con il
termine sovranit, si credeva probabilmente di esprimere esaustivamente il concetto di potere supremo su un dato territorio in rapporto
a certe materie39. La discussione in sede costituente nella sessione
del 21 novembre 1946, che vide come protagonisti tra altri Dossetti
e Basso, tutta pervasa dal convinto presupposto che qualunque limitazione alla sovranit statale sia sempre conseguenza di unautolimitazione40. Sarebbe interessante provare a leggere lart. 7 Cost.
attraverso la mediazione di chi del potere sovrano, del suo esercizio
e del suo funzionamento e dunque della sovranit e delle limitazioni ad essa , ha fatto da tempo una lettura critica, tanto da parlare
di eclissi della sovranit41. Questa comporta labbandono di una
concezione monistica e lassunzione di un quadro pluralistico, nel
quale lo Stato ormai incapace di essere un unico e autonomo centro di potere, il soggetto esclusivo della politica, il solo protagonista
nellarena internazionale e in cui la pienezza del potere statuale,
indicata appunto dalla sovranit, sta venendo meno, per cui lo Stato
interculturale: istruzioni per luso di un ecclesiasticista-canonista, in Daimon,
8 (2008), dove lAutore configura una specifica attitudine dellecclesiasticistacanonista ad indagare su quel non-luogo che rinvenibile in tutti i luoghi dellumana esistenza e delle relazioni interpersonali, parlando di una frontiera [...] del
non-diritto che non definibile una volta per tutte, e che, per altro, interpella continuamente il diritto perch precisi, individui e garantisca i suoi presidi (ivi, p. 47-8).
38
Cfr. M. Ricca, Diritto e religione cit., pp. 212 ss.
39
M. Ricca, Metamorfosi della sovranit e ordinamenti confessionali, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 28 ss.
40
G. Dossetti, La ricerca costituente (1945-1952), a cura di A. Melloni, il
Mulino, Bologna, 1994, pp. 208 ss.
41
N. Matteucci, Lo Stato moderno, il Mulino, Bologna, 1997, p. 97.
276

Brevi note esperienziali didattiche

si quasi svuotato e scomparsi i suoi confini42. Questa stessa lettura


esigerebbe il rigetto della convinzione secondo cui lapertura al diritto comunitario ed internazionale costituirebbe una sorta di cessione
ad una sovranit esterna, dovendosi invece sostenere che la soggezione, laddove se ne abbia in concreto riscontro, dello stesso diritto
costituzionale (e, discendendo, del diritto da questo derivato) al diritto internazionale consuetudinario ed al diritto comunitario non costituisce affatto una menomazione del primo ma, allinverso, la sua
piena realizzazione43. Lasciando sullo sfondo il quesito vertiginoso
di uno studente acuto durante una lezione sullart. 7 Cost.: se, cio,
la sovranit appartenga allo Stato, come per il medesimo articolo, o
al popolo, come recita lart. 1 Cost.44.
Che dire poi della c.d. globalizzazione, parola popolarissima
per non essere utilizzata sia dai nostri studenti che dai nostri tesisti.
Paolo Grossi ne ha fatto oggetto di una lectio articolata45, dalla quale, forse un po immaginosamente, su pi punti ho provato a trarre
conseguenze per il diritto ecclesiastico italiano e per la disciplina che
lo studia. Quando si dice, ad esempio, che globalizzazione significa
deterritorializzazione [] significa anche primato delleconomia a
tutto detrimento della politica; di pi, significa eclisse dello Stato e
della sua espressione pi speculare, la sovranit46. O quando ancora
si sottolinea come il diritto della globalizzazione rifugge dalla testualit47. Siamo sicuri che queste meditazioni si riferiscano solo al
diritto privato, come qualcuno potrebbe obiettare? Anche cos fosse,
potrebbe comunque insinuarsi il sospetto che, durante le lezioni, si
Ivi, p. 97-8.
A. Ruggeri, Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti, XI, Studi dellanno 2007, Giappichelli, Torino, 2008, p. 38-41.
44
Cfr. lo stesso interrogativo posto da P. Grossi, Brevi riflessioni sullart. 7 della Costituzione, in Sovranit della Chiesa e giurisdizione dello Stato, a cura di G.
Dalla Torre, P. Lillo, Giappichelli, Torino, 2008, p. 20.
45
P. Grossi, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Paolo Grossi, a cura
di G. Alpa, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 190-210.
46
Ivi, p. 195.
47
Ivi, pp. 190, 200-4.
42
43

277

Manlio Miele

parli di una sovranit dello Stato che pi non esiste, o che comunque
non esiste nei contenuti presupposti allora dal Costituente.
Nella realt, ogni ulteriore anno dinsegnamento fa sperimentare leffetto delle dinamiche europee sul diritto ecclesiastico... nel
senso di evidenziare linadeguatezza di quellapproccio church and
state verso i rapporti tra politica, diritto e religione48, con ci provandosi che la tutela delle libert religiose non pi un problema
di diritto interno dei singoli Stati nazionali, ma diviene sempre pi
oggetto dellattenzione delle sedi sovranazionali nelle quali questi
coordinano le proprie politiche49.
Egualmente, sullart. 8 Cost. e sul meccanismo delle intese, non
sfugge il fatto che aggregazioni religiose numericamente rilevanti in
Italia, come quelle degli islamici e dei testimoni di Geova, ne prescindono; ragion per cui ci si interroga sulla funzionalit effettiva
della disposizione costituzionale e del meccanismo delle intese, anche se gli studenti non arrivano allacribia terminologica e a dipingere il fenomeno come a quello delle intese fantasma50.
Di fatto gli studenti, figli del loro tempo, si dimostrano sensibili
a problematiche meno legate alleredit storica tipicamente italiana;
quelle problematiche, per intenderci, connesse alla Questione romana, alla presenza della Sede petrina nella nostra penisola, allorganizzazione del patrimonio ecclesiastico. Si viene interrogati, invece, e
si prende posizione, in un senso o nellaltro, sui limiti della presenza
dei gruppi religiosi nello spazio pubblico; sul fondamento delle disposizioni tributarie derogative; sullapplicazione in materia religiosa del principio di eguaglianza, non mancando uno studente pensoso
che chiedesse quale sia il rapporto vero tra il principio di eguaglianza
sostanziale di cui allart. 3 Cost. e legualmente libere dellart. 8,
48
M. Ventura, Diritto ecclesiastico e Europa. Dal church and state al law and
religion, in Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano cit., p. 197-8.
49
V. Tozzi, Le fonti del diritto ecclesiastico italiano, in G. Macr, M. Parisi, V.
Tozzi, Diritto ecclesiastico europeo, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 69.
50
Secondo la definizione di A. Albisetti, Le intese fantasma, in www.statoechiese.it.

278

Brevi note esperienziali didattiche

quasi intuendo di questultimo una natura compromissoria51; sui


limiti che pu offrire lart. 19 Cost. riguardo ai fondamentalismi; e,
abbastanza significativo, su come possa essere tutelato nel nostro ordinamento un diritto allindifferenza, che evidentemente qualcosa di diverso dal diritto allateismo. Possiamo forse dubitare che la
maggiore attenzione verso la tutela della libert religiosa nel quadro
delle dichiarazioni internazionali per la protezione dei diritti umani
chiesta ancora in anni passati rispetto ad uneccessiva insistenza
sulla considerazione costituzionale e sulla sovranit dello Stato52
non porti ad includere tra i diritti umani quello di credere ad essi,
o anche solo di farne oggetto dinsegnamento, essendo indifferenti
rispetto al loro fondamento?
In sostanza sembrerebbe percepibile, anche al livello dei discenti,
il riassetto del diritto di libert religiosa allinterno del testo costituzionale, visto che la perdita di centralit della disciplina pattizia
rispetto allassetto di garanzia della libert positiva e dei diritti fondamentali potrebbe avere leffetto di riorientare la disciplina stessa
verso la centralit di altri principi accanto alla libert religiosa, come
quello del pluralismo e della tutela delle minoranze53.
Tale riassetto subisce il fascino che sa suscitare il diritto giurisprudenziale, nella sua dialettica con le produzioni dottrinali, che
oramai non sono pi ristrette allambito esclusivamente nazionale54.
Il diritto giurisprudenziale europeo, con i suoi meccanismi formativi
affatto peculiari rispetto alla tradizione nazionale55, appare come una
Cfr. G. Taddei, Confessioni prive di intesa, libert religiosa e principio di
eguaglianza, in Diritti, nuove tecnologie, trasformazioni sociali. Scritti in memoria
di Paolo Barile, Cedam, Padova, 2003, p. 762.
52
P. Lombarda, Il rapporto tra Diritto canonico e Diritto ecclesiastico, in Storia
e dogmatica nella scienza del Diritto ecclesiastico, Giuffr, Milano, 1982, p. 77.
53
G. Anello, Modelli di scrittura normativa e dinamica concordataria, Cedam,
Padova, 2004, p. 61.
54
Cfr. R Mazzola, Introduzione. La dottrina e i giudici di Strasburgo. Dialogo,
comparazione e comprensione, in Diritto e religione in Europa cit., pp. 9 ss.
55
Ivi, p. 11: come evidenzia efficacemente de Vergottini, il lavoro istruttorio
e conoscitivo della Corte di Strasburgo comprende, tra laltro, anche il riscontro e
lanalisi della dottrina, in modo da consentire al giudicante di farsi una idea di.
51

279

Manlio Miele

forma attraverso la quale, a livello europeo, si costruisce il diritto


costituzionale56.

Cfr. G. Macr, Evoluzione ed affermazione del diritto fondamentale di libert


religiosa nellambito della comunit sovranazionale europea, in La libert religiosa in Italia, in Europa e negli ordinamenti sovranazionali, a cura di G. Macr,
Universit degli Studi di Salerno, Dipartimento di teoria e storia delle istituzioni
giuridiche e politiche nella societ moderna e contemporanea, Salerno, 2003, p. 69,
nonch M. Parisi, Affermazione di principi in materia religiosa nella giurisprudenza delle Corti di Strasburgo e del Lussemburgo, in G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi,
Diritto e religione, Plectica, Salerno, 2011, pp. 109 ss.
56

280

Diritto ecclesiastico: il futuro dipende dalle origini

Diritto ecclesiastico: il futuro dipende dalle origini


di Giuseppe Rivetti

1. Diritto ecclesiastico o Diritto canonico, attivit formative di base nel


nuovo corso di laurea magistrale in Giurisprudenza: sviluppi e prospettive
- 1.2. Le discipline canonistiche ed ecclesiasticistiche tra postmodernit ed
incerta codificazione dei saperi - 1.3. Le parole del Diritto

1. Diritto ecclesiastico o Diritto canonico, come noto, nellattuale


Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza, sono stati qualificati
come attivit formative indispensabili ed inseriti nel ristretto novero delle attivit formative di base, per effetto del D.M. 25 novembre 20051.
Un riconoscimento formale di rilievo fondato, evidentemente, sul
presupposto che contribuiscano alla formazione di base del giurista,
assicurando lacquisizione di conoscenze e competenze di carattere
generale, richieste per lo svolgimento del successivo percorso formativo. Una qualificazione indubbiamente importante, nellattuale
strutturazione dei piani di studio delle Universit italiane, in continuit con la prestigiosa tradizione2 e le innovative prospettive di svi1
In G.U. n. 293 del 17 dicembre 2005. Il Decreto Ministeriale ha strutturalmente rideterminato i regolamenti didattici degli Atenei italiani, relativamente ai nuovi
corsi di studio, a partire dallanno accademico 2006/2007.
2
Per una riflessione sulla prestigiosa tradizione, nella totalit degli atenei italiani, si rinvia agli atti del convegno, in corso di pubblicazione, Glinsegnamenti del
diritto canonico ed ecclesiastico a centocinquantanni dallUnit, promosso dalla
Facolt di Giurisprudenza e dal Dipartimento di storia, filosofia del diritto e diritto
canonico dellAteneo di Padova e dallA.D.E.C. (Padova, Palazzo del Bo, 27-29
ottobre 2011). In particolare gli interventi di S. Gherro, F. Margiotta Broglio,
R. Bertolino, V. Tozzi, M. Ventura, E. Vitali. Le relazioni di L. Musselli, Atenei
di Genova, Padova, Pavia, Milano Statale, Milano Cattolica, Torino, Trieste; F.E.

281

Giuseppe Rivetti

luppo delle Scienze canonistiche ed ecclesiasticistiche. Ad ulteriore


conferma, con il D.M. 29 luglio 2011, Determinazione dei settori
concorsuali3, stata ribadita lautonomia concorsuale del corrispondente settore disciplinare, poich, con riferimento alle nuove declaratorie, nellambito del macrosettore Diritto costituzionale ed ecclesiastico (12/C), stato previsto il settore autonomo (12/C2: Diritto
ecclesiastico e Diritto canonico), distinto dallaltro settore (12/C1:
Diritto costituzionale)4.
Nessuna diminuzione, quindi, o confluenza per affinit scientifica
in altri settori disciplinari, comunque, importanti ma non fisiologicamente strutturati per cogliere, nella loro complessit, sensibilit
e sfumature interordinamentali, proprie della tradizione giuridica e
Adami, Atenei di Bologna, Ferrara, Modena, Parma; A. Talamanca, Atenei di Cagliari, Camerino, Firenze, Macerata, Perugia, Pisa, Roma, Sassari, Siena, Urbino;
O. Condorelli, Atenei di Bari, Catania, Messina, Napoli, Palermo; G. Feliciani,
Esperienze canonistiche nelluniversit italiana nel secolo XX; g.b. Varnier, Lineamenti e contenuto di un diritto relativo alle religioni; S. Ferrari, Quale futuro per
il diritto ecclesiastico e canonico? Una riflessione attraverso lesame di manuali e
riviste degli ultimi cento anni; S. Domianello, Dove va la Storia: forme tradizionali
e nuovi contenuti della ricerca scientifica e degli insegnamenti di diritto canonico
ed ecclesiastico.
3
Si tratta di macrosettori concorsuali, di cui allarticolo 15, legge 30 dicembre
2010. V., inoltre, Parere espresso dal C.U.N. in data 4 novembre 2009, n. 7, in relazione alla definizione di un modello di revisione dei settori scientifico-disciplinari
ed allutilizzo di tale modello per le procedure di abilitazione e progressione di carriera o reclutamento (parere espresso dal C.U.N nelladunanza del 10 marzo 2011);
schema di decreto trasmesso con nota prot. n. 1497 del 3 marzo 2011; d.l. 16 maggio
2008, n. 85, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 luglio 2008, n. 121; l. 19 novembre 1990, n. 341; l. 15 maggio 1997, n. 127 ed, in particolare, lart. 17, commi
95, 99 e 102; il d. 30 luglio 1999, n. 300, e succ. mod.; l. 16 gennaio 2006, n. 18, con
riferimento art. 2, comma 1; l. 30 dicembre 2010, n. 240, recante norme in materia
di organizzazione delle universit, di personale accademico e reclutamento e, in particolare, gli artt. 15 e 16; D.M. 4 ottobre 2000 e successive modifiche e integrazioni,
concernente la rideterminazione e laggiornamento dei settori scientifico-disciplinari e definizione delle relative declaratorie.
4
I limiti numerici (dei professori ordinari), rispetto ai quali il nostro settore sembra in difficolt, rappresenta una preoccupazione che attraversa la quasi totalit dei
settori disciplinari.
282

Diritto ecclesiastico: il futuro dipende dalle origini

culturale della scienza del Diritto ecclesiastico. Al riguardo lautonomia e soprattutto lespresso richiamo del Diritto ecclesiastico
nella stessa denominazione formale del macrosettore, assume un valore simbolico/strutturale, poich sottende il riconoscimento di chiari
profili identitari.
Nel contempo vengono delineati dal Ministero i confini della
nostra disciplina che nelle sue linee programmatiche e funzionali,
secondo il richiamato D.M. 29 luglio 2011, comprende lattivit
scientifica e didattico-formativa degli studi relativi alla disciplina
giuridica del fenomeno religioso, anche nella prospettiva comparatistica, sia allinterno dellordinamento statuale, sia negli ordinamenti
confessionali, con particolare riferimento a quello della Chiesa cattolica. Gli studi attengono, altres, alla storia del diritto canonico, alla
storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, al diritto comparato
delle religioni e si estendono ai profili di rilevanza giuridica dei fenomeni di pluralismo etico e religioso.
Delimitazione di massima entro la quale possiamo/dobbiamo, naturalmente, inserire tematiche altre, per sfuggire un pericoloso isolamento, in un tempo in cui talune rigidit ottocentesche sembrano
essere venute definitivamente meno; il sapere scientifico, infatti, si
attraversa e nessuna disciplina pu bastare a s stessa.
Allinterno delle richiamate tematiche, non vanno trascurate le
problematiche relative al superamento delle logiche Stato-nazione
che impongono la riconsiderazione di un nuovo orizzonte, allinterno
del quale veniamo sollecitati ad affrontare problemi inattesi. Nuovi
scenari che ridefiniscono il complesso rapporto tra Stati e religioni,
poich i tradizionali soggetti nazionali, secondo alcuni, si presentano
inadeguati per esprimere identit e gruppi sociali. Del resto il cosiddetto modello di territorialit moderna, coincidente con la costituzione di spazi esclusivi, sembra essere entrato in crisi, nel momento
in cui gli Stati non sono pi riusciti ad esaurire al loro interno, a causa di reciproche interdipendenze, tutte le correlate problematiche5.
5
Tuttavia non ritengo si possa parlare di un completo superamento degli Stati
nazionali poich lordinamento internazionale, per certi versi, sembra caratterizzato

283

Giuseppe Rivetti

1.2 Per effetto delle citate disposizioni di riordino dellordinamento universitario, molte materie sono state compresse o depresse
nellautonomia (didattica/concorsuale), ma non hanno intonato il De
profundis e ascoltano, con un certo sgomento, i discorsi relativi alla
imminente fine, sotto diverse forme, della nostra disciplina.
Di conseguenza, a mio avviso, il ricorso in atto, alle tradizionali
forme di liturgie per i defunti, celebrate in ogni ricorrenza, appare
ancora da incertezze ed in molte applicazioni appare privo di effettivit. In dottrina,
Diritto e religione in Europa. Rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti delluomo in materia di libert religiosa, a cura di R. Mazzola, il Mulino,
Bologna, 2012; A. Licastro, Il diritto statale delle religioni nei paesi dellUnione
europea. Lineamenti di comparazione, Giuffr, Milano, 2012; M. Lugli, J. Pasquali
Cerioli, I. Pistolesi, Elementi di diritto ecclesiastico europeo, Giappichelli, Torino,
2012; Le confessioni religiose nel diritto dellUnione Europea, a cura di L. De Gregorio, il Mulino, Bologna, 2012; G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto ecclesiastico
europeo, Laterza, Bari-Roma, 2006, pp. 48 ss.; G. Dalla Torre, Verso un diritto
ecclesiastico europeo? Annotazioni preliminari sulla Costituzione UE, in Quad.
dir. e pol. eccl., 2005, 2, pp. 399-412; F. Margiotta Broglio, C. Mirabelli, F. Onida, Religioni e sistemi giuridici. Introduzione al diritto ecclesiastico comparato, il
Mulino, Bologna, 2004; P. Floris, LUnione e il rispetto delle diversit, in Scritti in
onore di Anna Rav, a cura di C. Cardia, Giappichelli, Torino, 2003, pp. 421 ss.; S.
Berling, Il cammino e le radici: riflessioni su di una nuova missione della
vecchia Europa, in Quad. dir. pol. eccl., 2005, 2, pp. 361 ss.; Chiesa cattolica ed
Europa centro-orientale. Libert religiosa e processo di democratizzazione, a cura
di A.G. Chizzoniti, Vita e Pensiero, Milano, 2004; G. Cimbalo, Europa della regioni
e confessioni religiose, Giappichelli, Torino, 2002.; V. Marano, Unione Europea ed
esperienza religiosa, in Dir. Eccl., 2001, 3, pp. 862-904.
Su tutto la problematica della libert religiosa, poich superfluo ricordare che
laddove questultima non sia garantita, non potr prosperare nessuna libert civile. I
problemi della libert religiosa, infatti, si dilatano fino a toccare il problema di ogni
libert e di ogni diritto, in dottrina, O. Fumagalli Carulli, Matrimonio ed enti tra
libert religiosa e intervento dello Stato, Vita e Pensiero, Milano, 2012; M. Jasonni,
Alle radici della laicit, Il Ponte, Bologna, 2008, pp. 37 ss.; La coesistenza religiosa
nuova sfida per lo Stato laico, a cura di G.B. Varnier, Rubbettino, Soveria Mannelli,
2008; C. Cardia, Le sfide della laicit. Etica, multiculturalismo, islam, San Paolo,
Cinisello Balsamo, 2007, pp. 147 ss.; P. Picozza, G. Rivetti, Religione, cultura e
diritto tra globale e locale, Giuffr, Milano, 2007; Problematiche attuali del diritto
di libert religiosa, a cura di E. Vitali, Cuem, Milano, 2005, p. 155.
284

Diritto ecclesiastico: il futuro dipende dalle origini

quanto meno prematuro e, forse, inopportuno, anche se giusto riflettere sul ruolo della materia6, non confidando molto sui mutevoli
(e per questo inaffidabili) orientamenti ministeriali.
Daltra parte le preoccupazioni si fondano su domande alle quali
difficilmente riusciamo a dare risposte, se non partendo da alcune
considerazioni che interessano lUniversit nel suo complesso7, ed
assumendo come presupposto condiviso, la necessit di avviare una
rilettura/ revisione dei contenuti strutturali della disciplina, in un tempo governato da mutamenti che non possono lasciarci indifferenti.
La proliferazione di nuovi saperi non codificati e per questo immediatamente pi affascinanti, salvo poi scoprirne la corrispondente
fragilit strutturale, allinterno di un rapporto, sempre pi sbilanciato
tra pensiero debole e tecnologia forte, dove il sapere finisce per essere
sempre pi confinato in uno spazio tecnicistico, mortificano lanima
umanistica dell Universit, allinterno della quale possiamo naturalmente inserire i nostri insegnamenti. Di conseguenza, questultima
rischia di essere declassata al ruolo di custode sonnolenta e improduttiva di un passato glorioso cui tributare qualche atto di ossequio
saltuario e indolore ed alla quale destinare una quota minima di spese
di manutenzione, sul presupposto che non abbia pi nulla da offrire
al nostro futuro. Parole che attraversano il nostro sistema universita6
M. Ricca, Pantheon, Torri del Vento, Palermo, 2012; S. Ferlito, Le religioni
il giurista e lantropologo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005; Il nuovo volto del
diritto ecclesiastico, a cura di G.B. Varnier, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004.
7
Nellattuale contesto universitario il giovane che con linizio del corso accademico entri per la prima volta nel mondo delle scienze, quanto pi ha sensibilit e
inclinazione per la totalit, tanto meno ha lo possibilit di ricevere unimpressione
diversa da quella di un caos in cui non riesce a distinguere alcunch, o di un vasto
oceano, nel quale si vede trasportato senza bussola e senza stella polare, F.W.J.
Schelling, Lezioni sul metodo accademico (1803), tr. it. di C. Tatasciore, Guida,
Napoli 1989, p. 63. In questo modo, ricorda L. Alici, si aprivano le magistrali lezioni
sul metodo accademico che si riferiscono al severo e ordinato ambiente accademico
tedesco del primo Ottocento, recentemente richiamate da L. Alici, Tra Universitas
e Multiversity, dove comincia il futuro. Prolusione, Universit di Macerata (2012).
Considerazioni interamente sovrapponibili, nella forma e nella sostanza, allattuale
sistema universitario.

285

Giuseppe Rivetti

rio e riecheggiano (inascoltate) nelle sempre pi tristi inaugurazioni


accademiche, rispetto agli annunci sistematici di tagli e riduzioni di
risorse8.
La dimensione giuridica, inoltre, si misura con la dimensione globale e la modernit con tutte le sue rassicuranti applicazioni sembra
irreversibilmente segnare il passo rispetto ad un plurale/postmoderno
privo di riferimenti9, in cui la scienza giuridica perde le sue forme
(e in questa crisi, per certi versi, manifesta tutto il senso di una promessa tradita)10.
L. Alici, Tra Universitas e Multiversity cit. In un tempo, peraltro, sottolinea
ancora lA., che pretende di parlare di futuro e di innovazione nellepoca dei post:
postmoderno, postsecolare, ecc.
9
Diritto e religione in Italia. Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libert
religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale, a cura di S. Domianello,
il Mulino, Bologna, 2012; A. Albisetti, Tra diritto ecclesiastico e diritto canonico,
Giuffr, Milano, 2008; M. Tedeschi, Multireligiosit e reazione giuridica:contributi
congressuali, in Multireligiosit e reazione giuridica, a cura di a. fuccillo, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 11-28; G. Casuscelli, Dal pluralismo confessionale alla
multireligiosit: il diritto ecclesiastico e le sue fonti nel guado del post-confessionismo, ibidem, pp. 61-80; S. Bordonali, Le istanze religiose di fronte ai meccanismi
di produzione giuridica, in Dir. eccl., 2005, 1, pp. 81-97.
10
Per questo motivo il vocabolo crisi sta ad indicare nella sua radice etimologica una armonia che si scioglie, una stabilit che cede al mutamento. Saldezza e sistematicit giuridica che lasciano spazio a fragilit ed approssimazioni, riconducibili
agli stessi processi di produzione del diritto, P. Grossi, Scienza giuridica italiana.
Un profilo storico (1860-1950), Giuffr, Milano, 2000, p. 275; S. Berling, Lultimo
diritto, Giappichelli, Torino, 1998, pp. 190 ss.
Tutte variabili che costituiscono per il giurista del Ventunesimo secolo una pericolosa tentazione: considerare definitivamente superata la cultura giuridica del Novecento, sul presupposto che la postmodernit abbia ridisegnato un mondo nuovo,
fondato su dinamiche, a volte, inespresse che la modernit non solo non intuisce ma
addirittura non capisce. Non tutto condivisibile. Del resto di fronte alle difficolt
del presente, come non pensare a quelle straordinarie figure di studiosi che ci hanno
preceduto ed hanno attraversato (con naturalezza) notevoli cambiamenti: la caduta
di un regime, la nascita di un nuovo sistema democratico, il trapasso istituzionale
del sistema monarchico, lavvento della Repubblica ed, infine, lintroduzione di una
nuova Carta costituzionale che ha disegnato un nuovo affresco istituzionale ed un
nuovo sistema giuridico (e non sembrano aver scontato la fatica dellinnovazione),
8

286

Diritto ecclesiastico: il futuro dipende dalle origini

In tale scenario, le tensioni che attraversano il nostro settore disciplinare potrebbero essere ricondotte ad una naturale crisi identitaria
che, a mio avviso, attraversa la quasi totalit dei settori disciplinari,
generata dallevidente senso di smarrimento del giurista moderno,
posto improvvisamente di fronte ad una realt fluida/liquida che per
questo destruttura e disorienta; sullo sfondo la crisi delle fonti del
diritto con le sue, conseguenti, incerte applicazioni.
In alcuni casi, si aggiunga, inoltre, un progressivo abbandono
della dimensione giuridica di riferimento, sempre pi sommersa da
passioni che rischiano di sacrificare categorie e forme giuridiche. Di
contro il diritto non la filosofia, il diritto ha una funzione pratica e
la costruzione giuridica ha la finalit ultima di dare una regola di vita,
di stabilire delle normae agendi11.
Del resto, sono stati numerosi gli spunti provenienti da autorevoli e qualificati studiosi della nostra disciplina, che hanno saputo,
di recente, indicare percorsi raffinati ed innovativi, anche se questo
non vuol dire, necessariamente, partire dalle macerie (il nuovo non
comincia mai da zero ed il futuro, spesso, dipende dalle origini)12.
La cultura giuridica vive di continuit e nella continuit. I Maestri
del passato rimandano temi, indicano delle strade, ci spingono pi
avanti. In altre parole ci sono momenti in cui continuiamo a dialogare con loro ed in alcune circostanze riusciamo a cogliere lessenza
delle loro argomentazioni, sviluppiamo, con la consapevolezza del
presente, nuovi percorsi ed improvvisamente il loro pensiero appare
attuale, in qualche modo, a noi contemporaneo.
G. Rivetti, Attilio Moroni, un giurista dal tratto rinascimentale, in La costruzione di
una scienza per la nuova Italia: dal diritto canonico al diritto ecclesiastico, a cura di
G.B. Varnier, Eum, Macerata, 2011, pp. 280-1. In proposito lopera di F. Margiotta
Broglio, Religione, diritto e cultura giuridica nellItalia del Novecento, a cura di
A.G. Chizzoniti, G. Mori, il Mulino, Bologna, 2012.
11
In tal senso, A.C. Jemolo, Confessioni di un giurista, in Pagine sparse di diritto e storiografia, scelte e ordinate da L. Scavo Lombardo, Giuffr, Milano, 1957,
pp. 168 ss.
12
H.-G. Gadamer, La filosofia nella crisi del moderno, Herrenhaus, Milano,
2000, p. 43.
287

Giuseppe Rivetti

1.3. Il giurista moderno appare tormentato da molteplici preoccupazioni: spesso il linguaggio nasconde il pensiero e molti mettono
insieme un imponente apparato di parole lunghe e composte, di intricati fioretti retorici, di sterminati periodi, di espressioni nuove e
inaudite, il che costituisce nel suo complesso un gergo per quanto
possibile arduo e dallapparenza assai erudita. Con tutto ci tuttavia
essi non dicono nulla: da loro non si riceve alcun pensiero, non ci si
sente accresciuta la propria visione del mondo, e si deve sospirare:
Odo il suono del mulino, ma non vedo la farina13.
Peraltro, la grammatica e le corrispondenti parole del diritto, in
diverse circostanze,appaiono improprie ed inadeguate, caratterizzate
da oscillazioni semantiche che, in alcuni casi, denotano poca consapevolezza delle categorie giuridiche sottese.
Al contrario le parole (del diritto) andrebbero scelte con prudenza
e misurate sulla base di una antica disciplina ed armonia (perduta), in
un tempo in cui i diritti soggettivi sono sempre pi in via di estinzione e gli effetti si amplificano a dismisura, senza confini.
In tale ambito, si potrebbe suggerire di dismettere il comodo uso
di parole cangiati (che cambiano colore) e per questo adatte ad ogni
contesto e recuperare le forme ed i valori sottesi, di quella tradizione giuridica sapientemente orientata verso le prospettive14 (e non
13
A. Schopenhauer, La filosofia delle universit (1851), tr. it. di G. Colli,
Adelphi, Milano, 1992, p. 49.
14
Lo spazio pubblico europeo diventa il luogo cui ricondurre molte delle considerazioni sviluppate in precedenza. Al riguardo proprio le differenze linguistiche,
spesso trascurate, risultano estremamente importanti poich creano consapevolezze
concettuali in grado di valorizzare quelle diversit e soprattutto capaci di tradurre
diritto. Le lingue non sono neutre, esprimono categorie proprie, si pensi al concetto
di laicit che la lingua francese esprime molto bene un significato legato al contesto
nazionale, ma difficilmente traducibile in altre lingue, se non ricorrendo con lunghe
perifrasi. Ancora quando si parla di libert in Francia, di regola, il riferimento sottende diritti garantiti dallo Stato, in Inghilterra, si richiama, invece, una limitazione
del ruolo del potere pubblico nei rapporti con i privati. In definitiva non solo un
problema linguistico ma di traduzione di fondamentali parole che rimandano a valori e principi in grado di influenzare e condizionare le forme giuridiche, poich
quello che caratterizza ogni lingua sono gli equivoci che essa contiene, gli equivoci

288

Diritto ecclesiastico: il futuro dipende dalle origini

esclusivamente gli effetti) che lopera e la tecnica del giurista pu


generare.

caricano di senso le parole di una lingua nel suo senso tecnico e politico (e giuridico). Le parole del diritto ecclesiastico europeo restano, quindi, una delle variabili pi
importanti, tenuto conto della richiamata esistenza di diverse gradazioni di rapporti
rispetto a simboli ed appartenenze religiose, cui corrispondono diverse ipotesi di
soluzioni, G. Rivetti, Spazio pubblico e religioni. Prospettive di superamento della
dicotomia pubblico-privato nelle manifestazioni del sacro, Comunicazione inviata
al Convegno nazionale di studio (organizzato dallA.D.E.C. e tenutosi a Bari il 1718 settembre 2009) sul tema Laicit e dimensione pubblica del fattore religioso.
Stato attuale e prospettive, destinata ad essere pubblicata negli atti del Convegno.
289

Il contributo della scienza del Diritto ecclesiastico

Il contributo della scienza del Diritto ecclesiastico


al farsi dellordinamento giuridico
di Marta Tigano

1. Necessit di un ampliamento del contenuto tipico della materia - 2.


Il paradigma offerto dal diritto canonico - 3. La funzione eminente
dellecclesiasticista - 4. Il diritto ecclesiastico come formante


1. Da diversi anni ormai, presso i cultori del diritto ecclesiastico,
viene avvertita lesigenza di rinnovare la rappresentazione a fini didattici della disciplina giuridica civile del fenomeno religioso, per il
tramite del superamento degli schemi classici offerti dai tradizionali
manuali a tale materia espressamente dedicati1.
Tale esigenza, da una parte della dottrina, viene percepita come
autentico disagio quando si tratta di perpetuare luso della stessa denominazione Diritto ecclesiastico, in quanto eccessivamente evocativa dellepoca in cui lo studio del fenomeno si esauriva, pi che
altro, nella disciplina delle relazioni Stato italiano - Chiesa cattolica
cos come si erano venute delineando dopo lentrata in vigore della
Costituzione repubblicana, per sostituirla con la dizione, certamente
pi attraente ed accattivante, di Diritto e religione2.
1
In questo senso si esprimono G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione,
Plectica, Salerno, 2011, p. 7.
2
Tale esigenza, peraltro, ha dato luogo alla pubblicazione di alcuni volumi che
recano nel titolo la dizione Diritto e religione. Oltre al sopracitato lavoro, si fa riferimento a P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma-Bari, 2010; L. Musselli,
Diritto e religione in Italia e in Europa. Dai concordati alla problematica islamica,
Torino, 2011; M. Ricca, Diritto e religione. Per una pistemica giuridica, Cedam,
Padova, 2002; nonch, da ultimo, Diritto e religione in Italia, a cura di S. Domianello; Diritto e religione nellIslam mediterraneo, a cura di A. Ferrari; Diritto e
religione in Europa, a cura di R. Mazzola, il Mulino, Bologna, 2012, pubblicati

291

Marta Tigano

Ora, non vi pu essere dubbio sul fatto che la societ civile sia
profondamente mutata rispetto allepoca in cui venne coniato, per
la nostra materia, il nomen di Diritto ecclesiastico. I fenomeni del
multiculturalismo, della globalizzazione e dellintegrazione europea,
solo per fare alcuni esempi, se, da un lato, hanno avuto il pregio, tra
gli altri, di riportare il tema della libert religiosa al centro dei dibattiti pubblici; dallaltro lato, hanno gettato una luce sullesigenza di un
cambiamento o, meglio, di un ampliamento e di unapertura dei tradizionali contenuti della disciplina alle novit che si registrano nel
mondo esterno, alle nuove problematiche, ai nuovi interrogativi,
alle nuove domande di libert. Si pensi, ad esempio, alle problematiche legate allIslam, alla bioetica, alle c.d. mobili frontiere3, al
no profit, rispetto alle quali, gi da diversi anni, alcune esperienze
didattiche hanno avvertito lesigenza di affiancare i classici manuali
adottati come libri di testo con alcuni saggi o veri e propri studi monografici al fine di colmare i vuoti di interi settori.
A questo proposito, anzi, merita senzaltro attenzione il fatto che
la produzione scientifica pi recente si dimostra particolarmente sensibile ai problemi indotti, ad esempio, dalla dimensione europea, dalla crisi delle sovranit nazionali, dal federalismo, dal regionalismo e
dalla devolution, dalla mondializzazione, dalle nuove libert, dai
codici e dai comitati etici e dalla interculturalit4; e, al tempo stesso,
mostra lattitudine ad una ripresa innovativa ed aggiornata delle tematiche di tradizionale appannaggio della disciplina: dai concordati
al matrimonio, dagli enti ecclesiastici e non lucrativi alla tolleranza
religiosa, dalla laicit alla libert religiosa nei suoi profili sincronici
con il finanziamento del Progetto nazionale Prin 2007 dal titolo Libert religiosa
e pluralismo giuridico nellEuropa multiculturale: paradigmi di integrazione a confronto, rispettivamente dalle Universit degli Studi di Messina, dellInsubria (sede
di Como), Firenze e Torino.
3
Cos G. dalla Torre, La citt sul monte. Contributo ad una teoria canonistica
sulle relazioni fra Chiesa e Comunit politica, AVE, Roma, 2007, pp. 35 ss.
4
Fra i pi recenti si segnalano: F. Alicino, F. Botti, I diritti cultural-religiosi
dallAfrica allEuropa, Giappichelli, Torino, 2012; F. Freni, La laicit nel biodiritto,
Giuffr, Milano, 2012.
292

Il contributo della scienza del Diritto ecclesiastico

e diacronici, dai conflitti di lealt innestati dalla adesione ad una credenza o convinzione di coscienza ai rapporti fra diritto internazionale
e diritto ecclesiastico5.
Il nuovo volto6 dellodierno diritto ecclesiastico risulta cos essere un mix fra tradizione ed innovazione: lascia intravedere unutile apertura a nuovi orizzonti tematici, unansia di percorrere nuove
strade e di affrontare ricerche davanguardia, senza tuttavia distogliere lo sguardo dal fil rouge che consenta di interpretarli secondo le
modalit pi coerenti con lidentit frattanto assunta nellambito
disciplinare che ci proprio7.
2. Non vi pu essere nemmeno dubbio sulla circostanza per cui allesigenza di apportare alcune modifiche o, meglio, integrazioni ai contenuti tipici della materia, in un certo senso interni alla disciplina,
dovrebbe accompagnarsi, simultaneamente, un ampliamento anche
esterno alla stessa individuato, da attenta dottrina, in un dialogo a
pi voci tra i pubblici poteri e quelle minoranze religiose che spesso
rimangono nelle retrovie, o che, ancora pi spesso, vengono parametrate secondo gli schemi delle confessioni religiose di cui agli artt.
7 e 8 Cost.8
In Italia, infatti, come stato osservato, le denominazioni di individuazione dei diversi tipi di organizzazioni collettive a carattere
religioso vengono spesso confuse, in quanto linterpretazione dottrinale e giurisprudenziale resta modellata sul fenomeno dei rapporti
5
Per citarne solo alcuni: G. Dalla Torre, P. Lillo, G.M. Salvati, Educazione e
religione, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano, 2011; D. Durisotto, Educazione e libert religiosa del minore, Jovene, Napoli, 2011; nonch i due volumi di
A. Fuccillo, Giustizia e religione, Giappichelli, Torino, 2011.
6
Lespressione presa in prestito da Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano, a cura di G.B. Varnier, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004.
7
Cfr. S. Berling, Passata la tempesta? Il diritto ecclesiastico dopo la
riforma universitaria: riflessioni ex post factum, in G.B. Varnier, op. cit., p. 79.
8
Cfr. V. Tozzi, Normative contrattate fra le confessioni religiose e lo Stato ed
esigenze di una legge generale dello Stato di disciplina delle libert religiose, in G.
Macr, M. Parisi, V. Tozzi, op. cit., pp. 131 ss.

293

Marta Tigano

Stato-Chiesa e legata agli schemi della sovranit (della Chiesa cattolica), dellautonomia originaria o derivata (degli altri gruppi)9.
Questa impostazione, infatti, finisce con lassimilare fenomeni
diversi, salvo poi operare classificazioni e gerarchie allinterno del
genus, e col discriminare i gruppi meno potenti ovvero politicamente insignificanti10.
Si trascura, cos, la circostanza che la Costituzione parla di confessioni religiose quale categoria istituita dallart. 8, 1 comma,
e rimandante allart. 7 , ma anche di associazioni o istituzioni a
carattere religioso o con fine di culto o di religione (art. 20); e della
pi ampia e omnicomprensiva categoria delle forme associate di professione di fede religiosa di cui allart. 1911.
Pertanto, la collaborazione con lo Stato (rectius: con i poteri pubblici), deve riservare uguali opportunit a tutte le formazioni sociali
a carattere religioso, cio a tutti i soggetti collettivi che soddisfano le
esigenze religiose di un parte, anche minoritaria, della popolazione.
Solo cos si farebbe strada una logica di rilievo della religione come
fatto di interesse pubblico12.
Pu sembrare un azzardo, ma, in questo senso, il diritto canonico
pu essere assunto soprattutto dopo gli approfondimenti e le revisioni condotti dal Concilio Vaticano II come modello e termine di
confronto per le modalit di dialogo da instaurare tra i sistemi eticoconfessionali e lordine giuridico delle comunit politiche13.
Queste peculiari organizzazioni della religiosit umana non sono da relegare al
mero fatto privato, ma nemmeno da confondere tout court con il pubblico nella sfera
istituzionale dei rapporti civili. Vi sono religioni, come quelle di ceppo islamico, che
rifiutano i caratteri e gli attributi organizzativi di una struttura centralistica, come, ad
esempio, quella della Chiesa cattolica, e, pertanto risulta difficile il loro accesso alle
forme di ricognizione della loro rilevanza sociale predisposte da una legislazione
statale tarata sul modello delle confessioni religiose, quale la prassi ha dogmaticamente strutturato in clima mono-culturale. Cos V. Tozzi, op. ult. cit., p. 141.
10
Ivi, p. 132.
11
Ivi, p. 131, in special modo nota 56.
12
Ivi, p. 132.
13
Non un caso se Silvio Ferrari, nel lavoro dal titolo La nascita del diritto
ecclesiastico, rileggendo, sulle orme delle analisi compiute dal pensiero di Max We9

294

Il contributo della scienza del Diritto ecclesiastico

Con la sua tipica dinamicit, infatti, intesa nel senso di attenzione ai segni dei tempi; con la sua caratteristica apertura, nella
duplice accezione di apertura verso tutti gli uomini indistintamente
e non solo quelli che fanno gi parte del proprio ovile , e verso
gli ordinamenti giuridici altri, cio diversi da s, pur mantenendo integra la sua peculiare coesione, il diritto canonico si offre
come paradigma estremo, ai confini tra lordine giuridico e lordine
morale14.
La nuova trama della laicit che , ad un tempo, democratica, pluralista e sociale nello stato contemporaneo si va tessendo e
reggendo anche con e per il ricorso alla negoziazione fra le diverse
identit (culturali, etiche, religiose) che ormai compongono ciascun
popolo insediato sul medesimo territorio.
A tal fine, luso dello strumento dellanalogia con riferimento ai
sistemi di raffronto e di raccordo sinora adoperati nellincontro tra
la comunit di fede e quella politico-giuridica potrebbe concorrere
ad aprire un percorso di verifica che oltrepassi i confini di ogni unilaterale (e in quanto tale squilibrato) modello di omologazione o di
integrazione.
ber e di Carl Schmitt, latto che allorigine del diritto ecclesiastico italiano, vale
a dire la prolusione palermitana di Francesco Scaduto del 1884, faccia rilevare la
presenza nel diritto ecclesiastico di un gene del diritto canonico, da cui esso ha origine. Secondo lAutore, infatti, questa sarebbe la ragione profonda della diversit del
diritto ecclesiastico rispetto al diritto costituzionale, amministrativo e ad altri rami
dellordinamento giuridico statale e il fondamento della sua non assimilabilit. Per
quanto coperto e negato, il gene del Diritto canonico continua ad operare allinterno
del Diritto ecclesiastico. Naturalmente si tratta di un orientamento generale che
viene poi diversamente calibrato in base alla convinzioni dei singoli studiosi: ma
la specificit del diritto ecclesiastico e quindi anche lapporto che, nel bene e nel
male, pu dare alla scienza giuridica mi pare risiedere in questa attenzione alle
ragioni dellistituzione che, a sua volta, leco dellorigine canonistica di questa
disciplina. Cos S. Ferrari, La nascita del diritto ecclesiastico, in La costruzione
di una scienza per la nuova Italia: dal diritto canonico al diritto ecclesiastico, a cura
di G.B. Varnier, EUM, Macerata, 2011, in particolare p. 84
14
Sullargomento sia consentito il rinvio a S. Berling, M. Tigano, Lezioni di
diritto canonico, Giappichelli, Torino, 2008, in particolare pp. 51 ss.
295

Marta Tigano

La rotta cos tracciata potrebbe rendere esperibili proficui tentativi per trasformare loccasione offerta dalle libert delle coscienze
da mere di garanzie volte ad esaltarne la funzione negativa di limite,
a positive chances per sempre nuovi contenuti assiologici.
Onde evitare il rischio di privare gradualmente di senso lirriducibile alterit, diversit, specificit o tipicit del fenomeno religioso,
ricacciandolo nel limbo del coacervo anonimo degli indistinti15,
vale la pena correre il rischio di esplorare le realt che costituiscono le ultime riserve di senso per la vita propria di ciascuna
persona, facendo tesoro della carica alternativa e critica che esse alimentano nei confronti degli assetti sociali maggioritari.
In questo senso, allora, le confessioni religiose possono costituire senza dubbio uno strumento di arricchimento, anzich di prevaricazione: guardare attraverso i loro occhi pu fornire il contributo
pi genuino e fecondo che le religioni, ciascuna con la sua specifica visione del mondo e della vita, pu offrire alla comunit politica
nel suo insieme considerata, secondo quel progetto costituzionale
di politica ecclesiastica che riconosce la necessit di coerenza tra il
quadro generale della Costituzione e dei rapporti tra cittadino e istituzioni ivi istaurati, e le regole del sistema di disciplina del fenomeno
religioso, in una prospettiva promozionale della persona umana16.
3. Tali brevi considerazioni mi inducono a ritenere che il problema,
se cos si pu dire, del diritto ecclesiastico non sia tanto legato alla
forma, quanto alla sostanza; non sia, cio, un problema di nomenclatura, ma di contenuti, di identit, di specificit, di diversit della
materia rispetto ad altri settori del diritto17.
La nota espressione appartiene a G. Peyrot, Condizione giuridica delle confessioni prive di intesa, in Nuovi accordi fra Stato e confessioni religiose. Studi e
testi, con saggio introduttivo di P. Gismondi, Giuffr, Milano, 1985, p. 388.
16
Cfr. V. Tozzi, Il progetto di disciplina del fenomeno religioso nella Costituzione italiana del 1948, in G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e religione cit., p.
62 ss.
17
Sulla specialit degli strumenti di cooperazione con le confessioni religiose,
sia consentito il rinvio a M. Tigano, Norme interposte e artt. 7 e 8 Cost.: norme
15

296

Il contributo della scienza del Diritto ecclesiastico

Le tipicit del diritto ecclesiastico, infatti, come stato osservato, non sta in questo o in quel determinato oggetto, o insieme di
oggetti di studio e di insegnamento; sta nella sua vocazione ed
attitudine ad indagare su quel non-luogo che rinvenibile in tutti i
luoghi dellumana esistenza e delle relazioni interpersonali, su quella
frontiera col non-diritto che difficilmente definibile una volta per
tutte, e che ci nonostante interpella di continuo il diritto perch precisi, individui e garantisca i suoi presidi18.
Non v disciplina, infatti, pi del diritto ecclesiastico, incline,
per sua stessa natura, alla interdisciplinariet ed alla connessa delocalizzazione anche didattica19: tale circostanza, tuttavia, da occasione propizia di arricchimento e crescita, non deve tramutarsi in
unavventura senza ritorno20, ovverosia in frantumazione e frammentazione in vecchi e sedimentati, o nuovi ed inesplorati, luoghi del
sapere. Fuor di metafora, ci significa che il diritto ecclesiastico pu
senzaltro inserirsi proficuamente in una dinamica interdisciplinare,
a patto che non ne risulti snaturato il suo DNA di disciplina giuridica
del tutto peculiare.
Pertanto, esso rivendica la propria identit di disciplina giuridica
quando entra in rapporto con quelle non giuridiche; ma, per converso, entra in sinergia feconda con altre discipline giuridiche solo se
riesce a salvaguardare la sua peculiarit, cio il suo essere scienza
di frontiera21, al confine col multiforme mondo del non-diritto.
interposte di tipo diverso?, in Quad. dir. pol. eccl., 2008/3, pp. 867 ss., specialmente p. 893.
18
Cfr. S. Berling, Passata la tempesta? cit., p. 81.
19
Ibidem.
20
Lespressione mutuata dal titolo di un lavoro di P. Consorti, Lavventura
senza ritorno. Intervento e ingerenza umanitaria nellordinamento giuridico e nel
magistero pontificio, Edizioni Plus, Pisa, 2002.
21
Ovverossia scienza (avanzata perch operante democraticamente in funzione) mediatrice fra le norme e gli atti (anche solo parzialmente) confligenti di due
o pi ordinamenti giuridici che operano allinterno del medesimo territorio e nei
confronti dei medesimi soggetti. In questi termini S. Domianello, Linsegnamento
del diritto ecclesiastico e lavvenire, in Linsegnamento del diritto ecclesiastico
nelle universit italiane, a cura di M. Parisi, ESI, Napoli, 2002, pp. 74 ss.
297

Marta Tigano

Lo specifico bagaglio culturale di cui lecclesiasticista per primo


deve fare tesoro, va ricercato nella sua stessa indole di frequentatore di campi normativi diversamente dimensionati e tipizzati, ma pur
sempre riconducibili alla realt giuridica positiva, latamente (ma non
impropriamente) intesa; nonch nella sua vocazione di moderatore delle regole idonee a risolvere le controversie di confine tra ordini22, che, nonostante le diversit, sono destinati ad intrecciarsi23.
Si comprende, pertanto, come mai una simile ed originale competenza non solo possa risultare preziosa nellarricchire ogni ambito di esperienza disciplinare (endosistemica), ma addirittura possa
risultare infungibile quando si tratti di cimentarsi nel terreno, sinora
poco battuto, della comparazione fra i vari diritti religiosi (extrasistemica): la laica formazione dellecclesiasticista puro, infatti, pu
contribuire a liberare dalle incrostazioni della materia lo spirito
autentico dei diritti religiosi24.
Cos come, tra i ministeri della Chiesa, quello dei consacrati
spicca per la funzione profetica, ovverossia la funzione di implementare la vocazione del laico e del chierico per il tramite di un
continuo richiamo alla autenticit evangelica, non per raggiungere
uno stato di individualistica perfezione, bens per favorire il dispiegarsi dello Spirito nellopera di edificazione della Chiesa; cos larte dellecclesiasticista consiste nel saggiare e calibrare di continuo
la compatibilit degli accordi particolari con le regole generali e
lo spirito della Costituzione25.
In altri termini, come il religioso funge da trait dunion tra i due
ministeri del laico e del chierico e la loro aspirazione trascendente;
lecclesiasticista, pur non identificandosi ora col canonista, ora con
lo storico, ora con lesperto di altro diritto confessionale, funge da
Cfr. S. Berling, op. ult. cit., p. 82.
Si serve di questa suggestiva espressione P. Bellini, Stato e Chiesa: un destino
intrecciato, in Orient. soc., 1995/2, pp. 34 ss.
24
probabilmente questa la chiave di lettura pi idonea per il lavoro di S. Ferrari, Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo e islam a confronto, il
Mulino, Bologna, 2002.
25
Cfr. S. Berling, op. cit., p. 91.
22
23

298

Il contributo della scienza del Diritto ecclesiastico

dialogica cerniera, con la missione tipica di recuperare di continuo i caratteri dellermeneutica giuridica.
Se, dunque, lapporto specifico delle ricerche dellecclesiasticista
alle varie discipline non pu essere negato, non bisogna tuttavia confondere il bagaglio culturale di questo giusperito che, per necessit, indaga nei vari campi del sapere, con una mera sommatoria di
conoscenze pubblicistiche, privatistiche, penalistiche, amministrativistiche, comparatistiche, storico-sociologiche, teologiche e cos via.
Lecclesiasticista, infatti, a differenza del giusperito puro che
conosce di un singolo settore del diritto, ha come inclinazione naturale quella di captare lelemento religioso in tutti i campi in cui esso
si pu manifestare. Deve pertanto conoscere i singoli tasselli che
compongono lordinamento giuridico, i quali, addizionati tra loro,
non danno vita ad una semplice somma, bens ad un prodotto
assolutamente nuovo.

4. Tale precisazione dovrebbe aiutare a sgombrare il campo dallulteriore equivoco di ritenere che i temi del diritto ecclesiastico siano
come ritagliati, per mera comodit di studio e fini puramente sistematici, da temi pi ampi che, nel loro intero rientrerebbero nel
diritto costituzionale, privato, amministrativo, penale, e cos via. La
vocazione interdisciplinare e comparatista al tempo stesso della scienza del diritto ecclesiastico civile merita, invero, di essere compresa e
descritta come una qualit particolare ed esclusiva degli studi ad alta
specializzazione, destinati ad operare principalmente intra moenia.
Il principale compito dellecclesiasticista puro, infatti, come
stato detto, consiste nellusare lo strumento della comparazione per
verificare ed evidenziare (se ce ne sono), le assonanze o, al contrario, le irriducibili differenze che intercorrono tra le fattispecie
complesse, nel senso di complicate dallelemento religioso, disciplinate dalle norme speciali del diritto ecclesiastico, e le analoghe
fattispecie semplici regolate dagli altri rami del diritto civile26.
26
Cfr. S. Domianello, Lutilit pratica del Diritto ecclesiastico civile come
scienza, in Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano cit., pp. 287 ss.

299

Marta Tigano

Si tratta di un contributo di non poco conto alla complessiva evoluzione dei sistemi giuridici secolari, in quanto solo attraverso il confronto con le risposte che alle domande di libert religiosa potrebbero
offrire le singole discipline di settore al cui crocevia si pone il diritto
ecclesiastico possibile misurare la differenza che corre, in termini di effettiva garanzia democratica, tra un sistema di tutela dei vari
diritti di libert che pretenda di soddisfare, senza tuttavia introdurre
alcun distinguo, tutte le manifestazioni religiosamente caratterizzate;
e un sistema, invece, che pretenda di riservare proprio alle istanze
libertarie complicate, un trattamento giuridico particolare27.
Lautonomia (inter)disciplinare del diritto ecclesiastico, dunque,
va riaffermata con forza affinch non naufraghi il contributo che
tale scienza, ad alta specializzazione professionale, in grado di offrire alla formazione strettamente giuridica delle varie categorie di
partecipanti alla vita pratica degli ordinamenti secolari, nazionali
e sovranazionali.
Come il diritto canonico invita tutti a divenire partecipi al
farsi del proprio ordinamento, riempiendo di contenuto specifico e
concreto la norma generale e fondamentale della carit; cos, nellordinamento secolare, i partecipanti al farsi delle norme giuridiche
possono assolvere al delicatissimo compito del materiale riempimento della laicit secolare (nazionale, comunitaria o internazionale), di
sempre pi nuovi e numerosi contenuti di valore, solo se possono
attingere, direttamente o indirettamente, alla scienza tipica del diritto
ecclesiastico civile.
Non un caso se, diversamente dal medico che, specializzandosi,
conosce approfonditamente una sola parte del corpo umano e, in sede
patologica, individua la cura per la singola fattispecie di malattia;
lecclesiasticista deve conoscere necessariamente tutte le parti del
corpo in cui si annida lelemento religioso; per tale motivo egli
lunico che, avendo il quadro della complessit, in grado di intravedere lunit della persona umana (art. 2 Cost.).
27
Cos S. Domianello, Linsegnamento del diritto ecclesiastico e lavvenire,
in Linsegnamento del diritto ecclesiastico nelle Universit italiane cit., pp. 63 ss.

300

Il contributo della scienza del Diritto ecclesiastico

Mi avvio alla conclusione delle mie brevi osservazioni, prendendo in prestito alcune calzanti metafore che sono state adoperate a
proposito del diritto ecclesiastico: stato fatto, infatti, riferimento
a tempeste, odissee, visitatori, ospiti, ad un non luogo impossibile da allocare in unItaca qualsiasi28.
Mi sia consentito aggiungerne unaltra, forse la pi umana di
tutte: Ulisse.
E mi sia consentito laccostamento tra la figura dellecclesiasticista e lUlisse di omerica memoria, non semplice marinaio, ma
navigatore esperto; con gli occhi rivolti allorizzonte, ma il cuore
alla sua Itaca, ai suoi valori, al suo focolare.
Oppure allUlisse dantesco, fatto per seguire virtute e conoscenza, connotato cio da quella lealt e correttezza, o, ancora meglio, da quella onest intellettuale di cui occorre dotarsi quando,
bramosi di scorgere linfinito oltre la siepe, si intendono valicare
i confini di ci che gi stato concesso; o, infine, allUlisse di
Joyce, emblema del farsi, in cui il protagonista, viaggiando, si costruisce la propria identit arricchendosi delle diversit con cui entra
in contatto, senza risultarne tuttavia distrutto o assorbito.
Con lauspicio, per concludere, che lecclesiasticista non perda
mai n lo slancio propulsivo in termini di consapevolezza teorica, n
la buona pratica di indagine e, perch no, riesca anche ad ascoltare il bel canto delle sirene, resistendo, tuttavia, alla tentazione di
tuffarsi nel mare pieno di insidie mortali, legandosi saldamente
allalbero del metodo scientifico, per fare un giorno ritorno in patria,
non da reduce, ma da eroe.

S. Berling, op. cit., p. 81.

28

301

Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto e religione

Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto e religione


di Giovanni B. Varnier

Ringrazio tutti gli organizzatori per linvito che mi stato rivolto e


osservo subito che positivo che parecchi giovani come nel nostro
caso abbiano interesse per queste problematiche giuridiche che ai
pi potrebbero sembrare di secondaria importanza.
Forse sono proprio coloro i quali risultano meno gravati dal peso
di precedenti esperienze che avvertono meglio le novit che sono
davanti a noi e che interessano questa nostra scienza, che costantemente si rinnova per continuare ad assolvere limpegno di regolare
quellincontro tra lo spirituale e il temporale, il quale con modalit
proprie interessa ogni uomo nelle pi diverse epoche e societ.
Sono, dunque, problematiche antiche, che come si detto
pocanzi a taluno forse potrebbero sembrare anche vecchie, ma che
non sono da reputare secondarie. Si tratta infatti di riflettere sullevoluzione di un settore che forse il pi delicato dellintera scienza giuridica, perch coniuga in un unico precetto la coscienza individuale e
la norma positiva di valore collettivo.
Fu, quindi, una iniziativa propizia quella di incontrarci a Pisa il
30 marzo 2012, come ancor pi positivo lintento di Valerio Tozzi,
Gianfranco Macr e Marco Parisi di raccogliere in un volume monografico gli atti dellincontro pisano. Diritto e religione in Italia e in
Europa ormai la nuova cifra dellevoluzione di quel settore della
scienza giuridica, che comunemente conosciuto come Diritto ecclesiastico, ma che nel tempo stato qualificato in modo diverso.
Premetto che non intendo con questo richiamo alimentare il dibattito sulla denominazione con cui indicare la nostra materia, perch
ci potrebbe diventare fuorviante rispetto allindagine sui contenuti (di cui invece dobbiamo occuparci), ma non posso non ricordare
che quella del nome una discussione che si presenta ciclicamente
303

Giovanni B. Varnier

e solo per menzionare un caso a titolo di esempio gi Domenico


Schiappoli nella prolusione napoletana del 1895 si pose questo problema. Tuttavia indubbio che dalla law and religion di oggi al Diritto ecclesiastico dello Stato degli anni Trenta del Novecento c proprio una differenza che non semantica ma tocca i contenuti. Infatti,
si pu dire che costantemente vengano inclusi nel diritto che disciplina il fenomeno religioso profili di indagine diversi e nuove questioni
e, altrettanto costantemente, altre tematiche risultano abbandonate.
Cito per tutte il matrimonio che soltanto dal 1929 entr nelle competenze del diritto ecclesiastico mentre oggi assistiamo allindebolimento delle connessioni tra le fattispecie civilistiche matrimoniali e
le questioni di diritto ecclesiastico. Infatti, attualmente i temi prevalenti ruotano attorno alle novit relative alla privacy, al mondo del
volontariato, alla bioetica, al turismo religioso, al diritto ecclesiastico
europeo e alle problematiche legate al multiculturalismo.
C poi un fenomeno che si presenta con risvolti di attualit e sta
a met strada tra ladesione ad una fede religiosa e una visione ispirata a principi di laicit; si tratta di quale riconoscimento attribuire
al valore dellappartenenza confessionale, intesa come elemento di
identit che interessa in modo nuovo sia il cittadino che lo straniero
immigrato. Inoltre, ci sono poi da considerare pi profonde ragioni
esterne, in quanto vengono in evidenza sensibilit di ordine personale. Se infatti proviamo a prendere rapidamente in esame alcuni testi di
diritto ecclesiastico di differenti autori, troveremo definizioni diverse.
Incominciamo da Francesco Ruffini che, nella Prefazione a Lamministrazione ecclesiastica di Arturo Carlo Jemolo, con la consueta
eleganza letteraria ci ricorda come la materia: variamente denominata ed anche pi variamente intesa, ch il diritto ecclesiastico dello
Stato1, diritto che: dovrebbe essere ad ogni modo di gran lunga
pi comprensivo e considerare cos quelli, che, tanto per intenderci
e senza prendere ad esattezza di terminologia e di metodo, potremmo dire i rapporti costituzionali, come i rapporti amministrativi dello
1
F. Ruffini, Prefazione al volume di A.C. Jemolo, Lamministrazione ecclesiastica, Societ Editrice Libraria, Milano, 1918, p. 5.

304

Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto e religione

Stato con le chiese2. Vincenzo Del Giudice arriva al concetto del


diritto ecclesiastico partendo dallesame dello Stato moderno in relazione al fenomeno sociale a finalit religiosa e precisa che il ramo
del diritto interno duno Stato, nel quale si raccolgono a unit sistematica le norme che riguardano il regolamento del detto fenomeno
sociale religioso, si usa denominarlo diritto ecclesiastico3.
Osservando, quindi, che la denominazione tradizionale della
disciplina venne poi ad assumere una significazione pi ampia, riferendosi a tutte le norme vigenti nellordine giuridico statuale che
riguardino il fenomeno sociale come estrinsecazione della coscienza
religiosa collettiva o comunque relative a diffuse convinzioni in materia religiosa, in quanto queste danno luogo a raggruppamenti sociali
pi o meno organizzati e attivi secondo le dottrine cui sono informati
(confessioni religiose, culti, e simili)4, perviene alla conclusione che, ci stante, la denominazione di diritto ecclesiastico si mostra
ormai inadeguata a designare un tal ramo del diritto dello Stato, che
meglio potrebbe denominarsi diritto delle confessioni religiose, o dei
culti, o in modo analogo. La denominazione di diritto ecclesiastico,
non ha dunque, attualmente, che una significazione convenzionale5.
Cesare Magni giudic invece la definizione del diritto ecclesiastico insoddisfacente, questo per il fatto che la dottrina italiana
impiega il predicato con un significato diverso e molto pi esteso
di quello etimologico e di quello in uso nei testi delle nostre leggi
positive. Infatti nella dottrina quel predicato usato per denotare la
caratteristica religiosa o di culto, senza aver riguardo al contenuto
delle varie credenze, designa la propriet caratteristica, che denota
lappartenenza ad una qualsiasi credenza in materia di religione6.
Sempre il medesimo studioso fu chiaro nellindicare la necessit
di costruire un insieme ordinato di scelte normative nel campo del
Ivi, pp. 5-6.
V. Del Giudice, Manuale di diritto ecclesiastico, Giuffr, Milano, 19599, p. 3.
4
Ibidem.
5
Ivi, p. 4.
6
C. Magni, Interpretazione del diritto italiano sulle credenze di religione, I, Cedam, Padova, 1959, p. 84.
2
3

305

Giovanni B. Varnier

diritto ecclesiastico7, in questo aprendo spiragli sulla necessit di un


nuovo diritto, con un contenuto scientifico organico e con la necessit di predisporre idonei manuali.
A proposito del mutare del concetto di diritto ecclesiastico esso
stato evidenziato da Enrico Vitali nella Prefazione alla ristampa anastatica della monografia del 1946 di Luigi De Luca, Il concetto del
diritto ecclesiastico nel suo sviluppo storico, laddove il Vitali ricorda
di aver avvertito che, al fondo, la ricerca rispondeva ad un bisogno
dellAutore, che era quello di chiarirsi le ragioni del proprio operare.
E la giustificazione di questo operare era trovata anzitutto sul piano
storico, perch era quella pi appagante, in quanto consentiva di cogliere la dipendenza del mutare del concetto di diritto ecclesiastico
nel tempo quale effetto del mutare delle concezioni generali del diritto, a causa del fluire e dellevolversi delle situazioni ideologiche e
politiche8.
Se poi leggiamo Pietro Agostino DAvack: Il diritto ecclesiastico, quale noi lo studiamo, pu pertanto essere definito come il sistema delle norme giuridiche speciali poste dallo Stato italiano per
il regolamento di quelle attivit e rapporti sociali che esso considera
diretti alla attuazione di finalit religiose allinterno del suo ordinamento giuridico; o pi comprensivamente, il diritto speciale italiano
attinente la disciplina della materia ecclesiastica9.
Secondo Arturo Carlo Jemolo: Il diritto ecclesiastico un ramo
del diritto di quegli Stati che ritengono di dover dettare apposite norme per regolare sul terreno giuridico le manifestazioni del fenomeno
religioso10, aggiungendo che lordinamento statale a giudicare
quali comportamenti, quali attivit, debbano venir considerate reli-

Ivi, pp. 83 ss.


E. Vitali, Prefazione a L. De Luca, Il concetto del diritto ecclesiastico nel suo
sviluppo storico, Cedam, Padova, 2011, p. V.
9
P.A. DAvack, Trattato di diritto ecclesiastico italiano. Parte generale, seconda edizione integralmente rinnovata e aggiornata, Giuffr, Milano, 1978, p. 11.
10
A.C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, secondo aggiornamento della 3a
edizione, Giuffr, Milano, 1962, p. 23.
7
8

306

Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto e religione

giose o di culto11. Invece Mario Petroncelli definisce il concetto di


diritto ecclesiastico come quel complesso di norme che entro lordinamento dello Stato disciplinano la vita della Chiesa cattolica12,
precisando che lesclusione degli altri culti perfettamente logica:
in quanto nessuna delle confessioni esistenti nello Stato assume i
caratteri di Chiesa; quindi soltanto ai fini di necessit didattiche:
nella pratica [ ] si pu dire che esiste un concetto latissimo di
diritto ecclesiastico che comprende anche il diritto dei culti13.
Infine Francesco Finocchiaro afferma che tale diritto non costituito solo dalle norme prodotte direttamente dal legislatore statale,
perch, in non poche occasioni, le norme statali, per la disciplina dei
rapporti, rinviano a un ordinamento confessionale o presuppongono
fatti normativi, atti o negozi prodotti da un ordinamento confessionale. Perci, lo studio del diritto ecclesiastico concerne tutto il diritto efficace ed applicabile nellordinamento statale per la disciplina
del fenomeno religioso; un diritto che, se di prevalente produzione
statale, pu tuttavia importare lapplicazione del diritto prodotto da
ordinamenti confessionali14. Una definizione che, se accolta, supererebbe ogni necessit di ricercare un altro nome per la disciplina15.
Tutto questo ci fa capire che, se c il problema se si debba cambiare il nome essendo cambiati i contenuti, di maggior rilievo individuare proprio i nuovi contenuti, per il fatto che essi mutano rapidamente.
Sottolineo subito che la riflessione che vado svolgendo non intende essere fine a se stessa, ma ci aiuta a comprendere la contemporaneit, in quanto consente di seguire come le principali tappe della
disciplina furono indicate con una data precisa come quella che
fa riferimento alla Prolusione palermitana di Francesco Scaduto
mentre oggi manca questa data a cui fare riferimento e, quindi, al
Ivi, p. 25.
M. Petroncelli, Manuale di diritto ecclesiastico, Jovene, Napoli, 19652, p. 11.
13
Ibidem.
14
F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 20039, p. 4.
15
Ivi, p. 3.
11
12

307

Giovanni B. Varnier

momento abbiamo difficolt nel registrare il battesimo della nuova


materia.
Altro momento significativo quello del completo rinnovamento
normativo dopo la soluzione pattizia del 1929: il diritto ecclesiastico fascista aveva innovato nella forma e nella sostanza rispetto al
diritto ecclesiastico liberale. Pur essenzialmente profittando al consolidamento della disciplina, il passaggio non era stato percepito da
cultori del diritto ecclesiastico nello stesso modo16.
Se dopo i Patti del Laterano ci fu qualche studioso che giunse
a distinguere tra diritto ecclesiastico, diritto canonico e diritto concordatario, evidenziando la necessit di considerare quella parte del
diritto canonico che assume rilevanza nellordinamento statuale, in
primo luogo il matrimonio17, oggi si pu parlare di un diritto comune
per il fenomeno religioso (che comprende norme dello Stato, dellUnione europea e la giurisprudenza internazionale); un diritto pattizio
che interessa la Chiesa cattolica e le confessioni con intesa; il diritto
canonico per la sua influenza storica; il diritto delle confessioni religiose che abbiano stipulato accordi con lo Stato (a cui rinviare); i
diritti religiosi, che possono essere richiamati ed avere influenza per
via giurisprudenziale.
M. Ventura, Diritto ecclesiastico, in Dizionario del sapere storico-religioso,
a cura di A. Melloni, vol. I, il Mulino, Bologna, 2010, p. 725.
17
Concludendo su questo punto, credo che sia stato dimostrato che linsegnamento del diritto ecclesiastico, specialmente ora che pu essere istituito anche quello
separato del diritto canonico, non deve comprendere anche il diritto della Chiesa,
almeno nella sua totalit. Questo appare ancor pi evidente, se si tiene presente che
la dottrina recente pi autorevole, fissandone la posizione enciclopedica, considera
il diritto ecclesiastico come un ramo del diritto pubblico dello Stato e che soltanto
in questo senso pu apparire non contrastante linclusione nella nostra disciplina del
diritto riguardante i culti diversi dalla religione cattolica. Riuscirebbe infatti pi difficile sostenere che il diritto ecclesiastico sarebbe tanto eterogeneo da comprendere
il diritto statuale e quello extrastatuale in materia ecclesiastica, il diritto cattolico e
quello acattolico, se non anche la storia del diritto ecclesiastico (A. Piola, Diritto
ecclesiastico, diritto canonico e diritto concordatario. Prolusione al Corso ufficiale
1937-38 di Diritto ecclesiastico nella Universit di Sassari, ora in Id., Dalla Conciliazione alla Costituzione, Giappichelli, Torino, 19562, p. 289).
16

308

Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto e religione

Ricordo anche Silvio Ferrari che alla fine degli anni Settanta,
svolse una rilettura delle linee di evoluzione della scienza giuridica
alla luce delle trasformazioni istituzionali e sociali avvenute o ancora
in corso in Italia, giungendo a sottolineare che due soli sembrano
essere i riflessi della legislazione pattizia sulla struttura dei manuali
di diritto ecclesiastico. Il primo consiste nella trattazione della materia matrimoniale che, omessa nei vecchi manuali, giunge a coprire
pi di un quarto dellintero volume in alcuni corsi18.
La seconda trasformazione rilevabile nella sistematica dei manuali del ventennio fascista determinata dal lento e contrastato abbandono della bipartizione della materia in diritto costituzionale e
diritto amministrativo della Chiesa []a favore di una quadripartizione imperniata su persone, enti, patrimonio e matrimonio19.
Attualmente il percorso non dunque pi quello di valutare quale
sia lo spazio da attribuire al diritto concordatario, ma quello del diritto e religione resta e, da sempre, un difficile quanto delicato binomio, perch comprende oggetto, funzione e metodo della disciplina
giuridica del fenomeno religioso. Pertanto, abbastanza superata la
questione se la necessaria limitazione dellindagine a quella parte
del diritto canonico, che assume rilevanza giuridica nellordinamento statuale, indagine che devessere condotta sulla linea della tanto
dibattuta questione internazionalistica del rinvio tra diversi ordinamenti giuridici20.
Arrivo ora allultima considerazione che intendo presentare in
questa sede: il rapporto tra il diritto ecclesiastico e quello costituzionale. Un legame che di stretta attualit ma che tuttavia cercher di
leggere con qualche richiamo al passato.
Loccasione per questa riflessione mi offerta da una dispensa
universitaria di Arturo Carlo Jemolo, confrontata con il coevo manuale di Diritto ecclesiastico, sempre del medesimo autore.
S. Ferrari, Ideologia e dogmatica nel diritto ecclesiastico italiano. Manuali e
riviste (1929-1979), Giuffr, Milano, 1979, p. 135.
19
Ivi, p. 136.
20
Ivi, pp. 30-1.
18

309

Giovanni B. Varnier

Si tratta delle Lezioni di Diritto costituzionale, tenute nellUniversit di Bologna e pubblicate a cura dello studente Giuseppe Rabaglietti21. Lanno a cui si riferiscono non indicato, ma poich troviamo traccia di un altro corso per il 1929-3022, anche nel nostro caso
siamo senzaltro in un contesto storico pressoch coevo.
Jemolo, giurista e storico, allievo di Francesco Ruffini, visse tra
il 1891 e il 1981 e come sappiamo fu scrittore elegante e acuto
e, non ultimo, espressione di una coscienza sicuramente laica, ma
animata di profondi sentimenti religiosi. Formatosi in unepoca non
toccata dalleccesso di specializzazione e neppure di confusione del
sapere che caratterizza in senso negativo la cultura contemporanea,
egli pot contare su settanta anni di ininterrotta attivit scientifica e
di poliedricit espositiva, ma anche di testimonianza di un passaggio
epocale che dagli ultimi bagliori dello spirito risorgimentale giunge
al superamento dello Stato nazionale.
Ho compiuto questo riferimento, perch quando Jemolo pubblic,
allindomani della Conciliazione, le sue Lezioni di Diritto ecclesiastico, le accompagn dal seguente sottotitolo: Il Diritto ecclesiastico
dello Stato italiano23; una precisazione allora logica, ma che oggi
riferita ad un ordinamento completamente superato, con il conseguente superamento della stessa nozione di Diritto ecclesiastico dello
Stato italiano.
Infatti, la sua speculazione scientifica che ha segnato la seconda
met del Novecento italiano (con un netto contributo di pensiero a
sostegno della libert religiosa e di opposizione contro ogni luso
strumentale della religione) ancora attuale e rappresenta, anche
per gli studiosi pi giovani, un punto di riferimento, ma ovviamente
Cfr. A. C. Jemolo, Lezioni di Diritto costituzionale, La Grafolito Editrice Universitaria, Bologna, s.d.
22
Cfr. A.C. Jemolo, Lezioni di Diritto costituzionale, Gruppo Universitario Fascista Giacomo Venezian, Bologna, [1930], in Arturo Carlo Jemolo: vita ed opere di
un italiano illustre. Un professore dellUniversit di Roma, a cura di G. Cassandro,
A. Leoni, F. Vecchi, Jovene, Napoli, 2007, p. 34.
23
A.C. Jemolo, Lezioni di Diritto ecclesiastico. Il Diritto ecclesiastico dello Stato italiano, Soc. Tip. Leonardo da Vinci, Citt di Castello, 1933.
21

310

Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto e religione

egli non pot conoscere la foresta sterminata della globalizzazione


e neppure la societ multireligiosa. Questo pur essendo conscio del
fatto che la regolamentazione giuridica del fenomeno religioso non
pu in ogni circostanza essere sempre incanalata in modelli collaudati e definitivi. Nelle sue Lezioni di Diritto costituzionale il gi affermato studioso esordisce premettendo che interesse dello Stato il
soddisfacimento dei bisogni religiosi dei cittadini; premesso, infatti,
che ci sono finalit che lo Stato dichiara di volere siano raggiunte
ed al cui raggiungimento d opera in ogni modo, ma che non pu per
circostanze materiali raggiungere direttamente24.
Tra queste: lesempio pi antico e pi chiaro quello del comportamento dello Stato di fronte al sentimento religioso, alla Chiesa.
Lo Stato crea unapposita legislazione, appositi organi amministrativi, si addossa spese non irrilevanti per ottenere il soddisfacimento
del bisogno di culto dei fedeli, attraverso il regolare funzionamento
degli organi della Chiesa. Ma questo bisogno di culto di cui lo Stato
si preoccupa, che vuole essere appagato, non in grado di soddisfarlo esso stesso. Siamo nel campo del diritto pubblico ma di fronte ad
una attivit che lo Stato non pu svolgere, cui deve limitarsi a creare
condizioni favorevoli25.
Tale interesse dello Stato per il fenomeno religioso varia nel tempo: cos in altri tempi lo Stato legiferava sotto varie forme in materia spirituale o liturgica (ad es. dichiarava la superiorit del Concilio
ecumenico sul Papa) laddove oggi questi sono punti divenuti estranei
al diritto in quanto per lo Stato non pi dinteresse pubblico che nel
campo religioso si opini in un modo piuttosto che nellaltro26.
Sempre nella medesima ottica di un interesse pubblico per il fenomeno religioso, si ricorda che la legislazione ecclesiastica piemontese ed italiana non costitu certamente lo sviluppo dellart. 1
desiderato da Carlo Alberto27, per poi passare a considerare se
A.C. Jemolo, Lezioni di Diritto costituzionale cit., p. 26.
Ivi, pp. 26-7.
26
Ivi, p. 29.
27
Ivi, p. 123.
24
25

311

Giovanni B. Varnier

attributo essenziale del nostro Stato quello di essere cattolico, osservando subito siamo ancor nel pur vicini alla Conciliazione del 1929
in un quadro separatista che qui si possono affacciare seri dubbi.
vero ch precisamente lart. 1 dello Statuto carloalbertino a
dettare: La religione cattolica, apostolica e romana la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi. pur vero che non vale lopporre (come fanno
anche pubblicisti di gran valore, quale il Ranelletti) essere assurdo il
concetto di una religione dello Stato. Invero se si volesse pensare con
una esagerazione della teoria organica lo Stato come subietto munito
di un sentimento e di una fede religiosa analoghi al sentimento ed
alla fede delle persone fisiche, si cadrebbe in una di quelle goffaggini
note alla pi scadente pubblicistica tedesca. Ma il concetto di religione dello Stato ha un significato tradizionale ben fissato, e non risponde a rigor di termini al significato letterale della espressione. Lo Stato
ha una sua religione in quanto fa ad una confessione una particolare
posizione di diritto pubblico, in quanto assume i suoi concetti a principi direttivi della propria legislazione e della propria azione etica, in
quanto stabilisce una determinata relazione tra organi dello Stato ed
organi della Chiesa.
Bisogna piuttosto ricordare come il principio posto da Carlo Alberto in testa allo Statuto sia pi tardi stato attenuato e quindi addirittura negletto. Sicch dieci anni or sono i pubblicisti nostri, sia pure
con qualche esagerazione di fronte al diritto positivo ma credendo
quanto meno di interpretare la prossima evoluzione di questo, parlavano nellart. 1 come di norma che avesse ormai cessato di esercitare ogni efficacia e dello Stato italiano come di Stato laico. In fatto
il termine religione dello Stato era scomparso dalle nostre leggi.
Levoluzione pi recente del nostro diritto ha invece portato a far
rientrare nella terminologia legislativa lespressione statutaria. Peraltro non si pu dire n che sia stato attuato lideale di Stato chera
certo nella mente di Carlo Alberto, n che il nostro diritto positivo
sia quello che secondo la Chiesa dovrebbe essere proprio di un Paese
cattolico. Invero noi vediamo il nostro Stato avere proprie direttive
etiche (laddove lo Stato cattolico nel concetto della Chiesa non do312

Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto e religione

vrebbe avere se non quelle della dottrina cattolica nella interpretazione ecclesiastica), ritenere uguali di fronte ad esso Stato tutti i cittadini quale sia la loro fede religiosa e pur se privi di una fede religiosa,
consentire ai non cattolici di dare opera alla diffusione delle proprie
fedi, legiferare in una serie di materie che la Chiesa insegna essere
precluse allo Stato se non abbia avuto un indulto pontificio.
Daltronde nella coscienza collettiva lallontanamento dal concetto che inspir lart. 1 dello Statuto ed il parziale ritorno verso
di esso, non hanno mai assunto il valore di modifiche di elementi
essenziali dellordinamento giuridico. Una nuova direttiva in maniera di politica ecclesiastica diversa dallattuale non avrebbe mai quel
significato rivoluzionario, di distruzione dellordine costituzionale
odierno, che avrebbe il passaggio alla forma repubblicana o alla Monarchia assoluta o allo Stato non fascista28.
Infine ancora un richiamo ad un punto che tuttavia non tocca direttamente il diritto ecclesiastico, ma piuttosto le valutazioni di ordine politico con le quali nello scorso 2011 si commemorato il 150
anniversario dellunit dItalia. In quellultima circostanza per porre
in luce il contributo dei cattolici al processo di unificazione nazionale
si preferito ricordare la data del 17 marzo 1861, oscurando invece
quella che fu gi festivit nazionale del 20 settembre 1870.
Di fronte al valore di queste date Jemolo nelle sue Lezioni di Diritto costituzionale fu invece netto nel sostenere che la legge 17
marzo 1861 n. 4671 non sanzion quindi la creazione di un nuovo
Stato, ma soltanto il cambiamento del titolo dei nostri Re, sia pure
dincommensurabile importanza storico-nazionale29.
Ho richiamato questi diversi passaggi per due ordini di ragioni.
La prima risiede nel fatto che bisogna sempre rileggere i maestri del
passato perch il loro insegnamento anche negli aspetti contingenti
presenta una valenza atemporale.
La seconda ragione di interesse per queste indagini la ricavo da
un passaggio contenuto in un articolo di Amedeo Giannini, il quale
Ivi, pp. 170-3.
Ivi, p. 112.

28
29

313

Giovanni B. Varnier

ricorda che il diritto ecclesiastico specialmente al momento del suo


affermarsi come disciplina autonoma dal diritto della Chiesa fu
spesso insegnato per incarico, ricevendo in tal modo il contributo di
storici del diritto, pubblicisti; romanisti; civilisti, per cui: Questa
collaborazione di giuristi di diversa provenienza e mentalit non fu
senza vantaggi per lincremento ed il perfezionamento degli studi
del diritto ecclesiastico, dato lindirizzo sistematico e dogmatico che
era prevalso negli studi romanistici, civilistici e pubblicistici e che
temperava la diversa tendenza che poteva derivare dagli studi prevalentemente storici o esegetici30.
Sarebbe quindi non privo di interesse cercare traccia degli ecclesiasticisti che insegnarono diritto costituzionale e, di conseguenza,
prendere in esame come il diritto ecclesiastico fu affrontato nei manuali di diritto costituzionale. questa una pista di approfondimento
che indico volentieri ai pi giovani lettori.
Visto che abbiamo menzionato Jemolo un giurista a noi vicino
e ricco di risvolti di attualit pi delicato il superamento della
sua asserzione che il diritto ecclesiastico dello Stato una disciplina eminentemente italiana31, precisando che la pianta del diritto
ecclesiastico italiano, sorta come subito diremo, sul ceppo della nostra legislazione risorgimentale, ebbe sempre un carattere originale;
mentre non va taciuto che nel campo del diritto statale (non in quello
del diritto canonico) la poderosa linfa della scienza giuridica tedesca
sembr avere una sosta e un arresto nella sua virt creatrice a partire
dalla prima guerra mondiale32.
Richiamo questo non solo per il riferimento alla atipicit del
caso italiano, ma anche a quanto di recente stato richiamato con
grande sensibilit culturale da Ivan C. Iban. Lautorevole studioso,
licenziando da Oviedo il 15 giugno 2009 una raccolta di saggi intesi
come un particolare omaggio alla cultura ecclesiasticistica italiana,
A. Giannini, Il diritto ecclesiastico in Italia (1860-1944), in Rivista di diritto
pubblico e della pubblica amministrazione in Italia, 1944-46, p. 148.
31
A.C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giuffr, Milano, 19754, p. 153.
32
Ivi, p. 154.
30

314

Dal Diritto ecclesiastico dello Stato al Diritto e religione

esprimeva laugurio che questo volume venga considerato come


un mattone in pi per la costruzione delledificio della scienza del
diritto ecclesiastico europeo. Se vero che le fondamenta di questa
scienza si trovano in Italia, mi sembra che la maggior garanzia di
un loro consolidamento risieda nella collaborazione, per il disegno e
lesecuzione dellimmobile, dei giovani studiosi italiani. In tal modo
potranno essere degni successori dei loro maestri33.
Sono invece pagine tutte da costruire quelle del rapporto tra lambito del diritto pubblico che concerne il fenomeno religioso e il diritto canonico e gli altri diritti confessionali e ancora (se davvero
lUnione europea far dei passi avanti e non sar ostacolata dagli
egoismi nazionali della Germania) dovremo cercando di riunire
tutti gli elementi comuni alle diverse tradizioni europee34 mettere
in cantiere un diritto comunitario europeo per disciplinare in modo il
pi possibile uniforme il fenomeno religioso allinterno dellUnione.

I.C. Iban, Europa, diritto, religione, il Mulino, Bologna, 2010, p. 18.


Ivi, p. 134.

33
34

315

Parte quarta
Altri contributi

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto


di Giancarlo Anello

1. Introduzione - 2. Nel prisma della normativa: i condizionamenti legali


e giurisprudenziali alla libert del culto islamico - 3. Per unipotesi di sillogismo. Premessa maggiore: i doveri di culto del fedele secondo le norme
di diritto islamico - 4. Premessa minore: ibadat e gli articoli 17 e 19 della
Costituzione - 5. Conclusione: la ricategorizzazione giuridica come metodo
laico di governo delle questioni culturali

1. La sacralit investe la sfera profana incidendo sugli aspetti basilari


dellesperienza umana. Quando le religioni accedono alla dimensione
secolare, modificano il significato e il valore delle assi regolatrici dei
rapporti sociali e giuridici. Per fare un esempio, la sacralit investe la
vita sociale chiedendo la dedicazione di una dimensione alternativa
a quella ordinaria, temporale rispetto alla durata, spaziale rispetto
allestensione del sacro1. Nel saeculum, ovvero nel tempo mondano,
si dispone la sospensione periodica dello svolgimento delle normali
attivit per attendere agli obblighi rituali; nello spazio si ordina la
separazione di luoghi sacri dallo svolgersi delle pratiche quotidiane.
Tale incidenza sulle regole del convivere pu diventare problematica allinterno di un ordinamento statale laico, nel momento in cui
essa risulti difforme rispetto al bilanciamento di interessi (sia di tipo
pubblico, sia di tipo privato) consolidatosi nelle norme e nelle prassi giuridiche previgenti. Posto lassunto della relativit storica delle
1
Cfr. A. Bettetini, Diritto canonico e senso del tempo, in Lex Iustitia Veritas.
Per Gaetano Lo Castro. Omaggio degli allievi, Jovene, Napoli, 2012, pp. 41 ss.;
R. Aluffi Beck-Peccoz, Tempo, lavoro e culto nei paesi musulmani, Edizioni della
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2000, pp. 1 ss.; G. van der Leeuw, Fenomenologia della religione, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 302 ss. per le nozioni
di tempo e spazio sacri.

319

Giancarlo Anello

categorie del diritto2, uno tra i compiti dello studioso che si occupa
di diritto e religione pu essere, ove possibile, di elaborare percorsi
di interpretazione degli interessi religiosi, al fine di veicolare quelli
non ancora riconosciuti, ma giuridicamente accettabili, allinterno di
canali diversi di legittimazione. In tal senso egli pu anche operare
sullacquisizione dei concetti in modo da costruire categorizzazioni
o qualificazioni differenti3 e, di conseguenza, proporre nuove prospettive di bilanciamento degli interessi allinterno di una cornice
giuridica laica e pluralista4.
Un campo dindagine di queste riflessioni pu essere offerto dalle pratiche in cui si concreta la libert di culto delle confessioni di
recente insediamento in Italia. In particolare, la complessa tematica
dei luoghi di culto islamico offre un reticolo di norme legislative e di
decisioni giurisprudenziali sulle quali elaborare ipotesi di qualificazione giuridica alternative a quelle finora proposte, al fine di districare alcune questioni di carattere finanziario o urbanistico dal diritto
allesercizio del culto. Si tratta di dare seguito a osservazioni che
sono state, a suo tempo, gi sollevate dalla dottrina ecclesiasticistica5
e che hanno trovato parziale riscontro in quelle decisioni del giudice
ordinario e amministrativo che di questindagine integrano loggetto.
Da angolazioni diverse vedi, F. Salvia, La relativit delle categorie giuridiche e i nuovi criteri sostanzialistici nel diritto amministrativo, in Nuove autonomie, 2001, 1, pp. 7 ss., e N. Lipari, Categorie civilistiche e diritto di fonte comunitaria, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, fasc. 1, 2010, pp. 1 ss.
3
Cio realizzando una suddivisione, ordinando o classificando secondo vari criteri (gerarchico, potestativo, di specialit, di sussunzione e cos via) i comportamenti
umani in categorie giuridiche; ovvero attribuendo, in base ai caratteri specifici, una
qualifica normativa ad una fattispecie, cfr. A.J. Connolly, Cultural Difference on
Trial. The Nature and Limits of Judicial Understanding, Ashgate, Farnham-Burlington, 2012, p. 100.
4
M. Ricca, La laicit interculturale. Che cos?, in Scienza & Pace, Rivista
on line, marzo 2012.
5
V. Tozzi, Le moschee ed i ministri di culto, in www.statoechiese.it, 2007; inoltre, cfr. il numero monografico dei Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1,
XVIII, 2010, intitolato Campanili e minareti. I luoghi di culto tra norme civili e
interessi religiosi, di cui verranno richiamati, di seguito, singoli contributi.
2

320

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

2. In una recente sentenza6 il Consiglio di Stato ha espressamente


escluso che le problematiche di carattere finanziario o urbanistico
che ruotano attorno al tema degli edifici di culto islamico possano
configurare una limitazione della libert religiosa. Nel dettaglio, si affermava che lo specifico contenzioso, in materia di denuncia dinizio
attivit (DIA), andasse inteso come strettamente inerente a problemi
di compatibilit urbanistica degli interventi edilizi proposti dallappellante, lassociazione comunit islamica del Trentino Alto Adige,
senza che ci concretizzasse alcun coinvolgimento della libert di
culto costituzionalmente garantita. Daltra parte si aggiungeva
erano stati gli stessi ricorrenti a proclamare di non volere in alcun
modo conseguire obiettivi limitativi di diritti fondamentali. Risultava
pertanto corretto ricondurre la controversia allindirizzo giurisprudenziale di esclusiva pertinenza urbanistica secondo cui gli edifici
adibiti a luogo di culto (di qualsiasi culto) sono tenuti a rispettare la
disciplina stabilita dai comuni nellesercizio della propria potest di
conformazione del territorio7. In unaltra sentenza, in materia di cittadinanza, la medesima autorit rilevava che la partecipazione allattivit religiosa da parte dello straniero richiedente non poteva considerarsi una causa ostativa alla concessione della stessa. Al contrario,
si specificava che la frequentazione della moschea, fino a quando non
fossero emersi elementi contrari, costituiva esplicazione della libert
di religione, garantita dallarticolo 19 della Costituzione8. Un mero
accostamento tra le due sentenze esse non vertono sulla medesima
fattispecie serve per ad evidenziare una contiguit sostanziale tra
la libert religiosa e la frequentazione del luogo di culto. Ne consegue una certa perplessit verso quellimpostazione tecnicistica, ricorrente nella giurisprudenza amministrativa, che recide i nessi tra
la disciplina dello spazio di culto e quella delle attivit rituali in esso
svolte, contribuendo a realizzare una certa ineffettivit strutturale,
Cons. St., sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1488.
Cfr. la giurisprudenza del Cons. St., sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8298 e 27
luglio 2010, n. 4915.
8
Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 154.
6
7

321

Giancarlo Anello

in questi ambiti, del diritto di libert religiosa9. Che il tema dellattuazione di un ipotetico diritto alla moschea10 si inserisca nellalveo della libert religiosa, delineato dallart. 19 cost., e rappresenti
un aspetto dellinsediamento delle confessioni religiose diverse dalla
cattolica, di cui allarticolo 8, comma 2 della carta fondamentale,
invece una considerazione che si pu e si deve sviluppare. Come
accennato, essa pu almeno indurre ad elaborare ipotesi pluralistiche
di contemperamento tra gli interessi di tipo religioso e i cogenti limiti legali. Non si nega si tratti di un problema piuttosto complesso:
per questo appare semplicistico affrontarlo sia in chiave puramente
tecnicistica, sia sulla base di indicazioni meramente ottative, come
quelle del parere sui luoghi di culto islamici del Comitato per lIslam
Italiano11. In questo documento si richiamano alcune linee guida circa ledificazione dei luoghi di culto affermando, tra laltro che
i luoghi di culto islamici, relativamente alle procedure edilizie e urbanistiche,
alle norme di sicurezza e di gestione, e dellordine pubblico, dovranno fare
riferimento esclusivo alla normativa nazionale e locale vigente. Perci, gli
edifici dovranno essere costruiti in totale conformit con la normativa edilizia e urbanistica e, dunque, previa approvazione dellUfficio Tecnico del
Comune. Essi dovranno essere inseriti in zone urbanistiche compatibili con
la destinazione duso di pubblico interesse o luogo di culto. La comunit
islamica deve individuare larea per ledificazione del luogo di culto, con le
idonee caratteristiche urbanistiche, e presentare il progetto allUfficio Tecnico del Comune che lo esamina e ha facolt di proporre soluzioni alternative.
La comunit islamica si fa carico di acquistare larea per ledificio da adibire a luogo di culto, che dovr corrispondere a criteri di estetica e decoro,
anche in relazione allentit del bacino dutenza e deve essere conforme
alle vigenti norme urbanistico edilizie nonch a quelle in materia di igiene,
Cfr. lintervento di A. Chiettini, Giudice amministrativo, immigrazione e luoghi di culto, al convegno Frontiere dellimmigrazione o migrazione delle frontiere?,
tenutosi a Trento il 25 novembre 2011, pp. 2 e 17, ora consultabile on line allindirizzo internet http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/25_11_2011_relazione_chiettini.htm.
10
G. Casuscelli, Il diritto alla moschea, lo Statuto lombardo e le politiche comunali: le incognite del federalismo, in www.statoechiese.it, 2009.
11
Del 27 gennaio 2011, consultabile sul sito del Senato.
9

322

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto


sanit, sicurezza e ordine pubblico. A tale fine deve essere prevista anche la
possibilit di parcheggio delle automobili in misura adeguata allaffluenza
dei fedeli. Per i luoghi di culto di nuova edificazione si dovr richiedere regolare destinazione duso a luogo di culto delledificio interessato, secondo
la normativa in materia e le disposizioni dei piani urbanistici.

Colpisce il fatto che lo stesso documento ammetta che lesercizio


del culto, espressione delle pi fondamentali garanzie costituzionali,
possa per essere praticato con ampi margini di discrezionalit nei
luoghi privati. Di fatto, tale ampia discrezionalit nello svolgimento di funzioni religiose in immobili adibiti a residenza privata confermata dalla giurisprudenza. Il giudice amministrativo ha precisato
che il proprietario di immobile pacificamente destinato a residenza
libero di esplicare molteplici attivit umane, fra le quali rientra anche lutilizzo della propria residenza per riunioni religiose come per
lo svolgimento saltuario di pratiche di culto. Una circostanza simile
non ne integra una diversa destinazione duso. Eventualmente, quel
tipo di attivit incontrerebbe il limite dei comportamenti illeciti, che
sono sanzionati amministrativamente, civilmente e penalmente. Sarebbe sempre salva la facolt dei vicini di adire il giudice ordinario
qualora, in relazione allafflusso di persone e al disturbo cagionato in
occasione delle suddette cerimonie religiose, si registrassero immissioni moleste che eccedono la normale tollerabilit12.
In realt, da un esame a pi ampio spettro della giurisprudenza
recente, appare evidente che lesercizio del culto in residenze private
non limita o esclude la litigiosit sulla questione. Esso inoltre non d
conto di quelle circostanze in cui tale attivit richieda spazi adeguati
al numero di fedeli, in costante incremento in alcune aree urbane. La
problematicit di queste situazioni piuttosto risiede nel porsi a cavallo tra la sfera privata e quella pubblica. Si tratta di fattispecie che
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17 settembre 2009, n. 4665. Per rilievi generali in tema di immissioni sonore e attivit di enti ecclesiastici nella giurisprudenza pi recente cfr. M.R. Piccinni, Applicabilit agli enti ecclesiastici della disciplina
ex art. 844 c.c. in tema di immissioni sonore, in Diritto e religioni, n. 2/2007, pp.
622-37.
12

323

Giancarlo Anello

vanno dalledificazione di luoghi di culto in senso stretto allutilizzo


di sedi associative o centri culturali per scopi rituali. Condizionamenti o limitazioni allesercizio del culto vengono in essere nelle
diverse fasi di realizzazione o di utilizzazione di spazi o di edifici per
scopi rituali.
La disciplina in materia urbanistica e di edilizia di culto oggetto
di competenza concorrente dello stato e degli enti territoriali (artt. 8,
19, 117 co. 3 cost.). La casistica giurisprudenziale che ne deriva appare frastagliata, anche se in via di progressiva definizione. In modo
meramente esemplificativo, si pu provare a riassumere gli attuali
termini della questione in coincidenza dei momenti in cui, astrattamente, si determina la realizzazione di una moschea, avendo cura
di porre in evidenza alcune tra le linee di tendenza gi consolidate,
condizionanti in senso positivo o negativo la libert religiosa.
a. Pianificazione urbanistica e attuazione edilizia: a fronte di numerose ipotesi di discriminazione previste dalla legislazione regionale13, la Corte costituzionale ha ribadito che tutte le confessioni
religiose hanno uguale libert e un interesse tutelato, di rilievo costituzionale, non soltanto a concorrere alla ripartizione delle quote
dei contributi di concessione legati alle opere di urbanizzazione secondaria ma anche alla destinazione di aree per ledilizia di culto14.
In particolare, stato rilevato che i comuni non possono sottrarsi dal
prestare ascolto alle eventuali richieste che in questa fase mirino a
dare contenuto sostanziale al diritto del libero esercizio del culto. Ci
13
V. Tozzi, Gli edifici di culto tra fedele e istituzione religiosa, in Quaderni di
diritto e politica ecclesiastica, 1, XVIII, 2010, p. 37, ha qualificato come culturale,
oltre che normativa, la questione della discriminazione nella legislazione regionale
(legge Regione Sardegna, n. 38 del 13 giugno 1989 e legge Regione Veneto n. 44
del 20 agosto 1987) che attribuisce alle sole confessioni con intesa, lattribuzione di
aree specifiche per edificare, i contributi o finanziamenti per le attrezzature religiose.
14
In base alle leggi 29 settembre 1967, n. 847, e 28 gennaio 1977, n. 10, e al
D.M. 2.4.1968, n. 1444, sugli standard urbanistici, le aree per le attrezzature di
interesse comune religiose devono obbligatoriamente essere previste in sede di pianificazione urbanistica. Vedi quindi Corte cost., 27 aprile 1993, n. 195; Corte cost.,
16 luglio 2002, n. 346.

324

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

non solo nel momento attuativo del rilascio del permesso di costruire, ma anche nella precedente fase di pianificazione delle modalit
di utilizzo del territorio15. In sede di elaborazione degli strumenti
di pianificazione, i Comuni che ricevono richieste di localizzazione
di luoghi di culto possono legittimamente porsi soltanto il problema
delleffettiva esigenza di queste infrastrutture in relazione al numero
di soggetti interessati (anche su scala sovracomunale se per le ridotte
distanze o per altri motivi risulti verosimile che il bacino potenziale
pi ampio del territorio comunale). Ma, una volta accertata lesigenza di un luogo di culto, un diniego legittimo deve necessariamente
basarsi sullinidoneit del sito proposto secondo le normali valutazioni urbanistiche mentre, allopposto, la localizzazione deve essere
necessariamente conforme alla proposta presentata qualora i promotori del progetto abbiano la disponibilit degli immobili, in quanto
una diversa soluzione, coinvolgendo diritti di terzi, equivarrebbe di
fatto a un diniego arbitrario16. Sul punto, per, vale la pena segnalare
che tali passaggi possono essere strumentalizzati per speculazioni di
tipo ideologico. In una recente decisione, relativa allimpugnazione,
da parte di alcuni esponenti politici locali, del permesso di costruire
un luogo di riunione per i fedeli ottenuto dallUnione dei Musulmani
in Italia a Torino, la corte ha dichiarato inammissibile tale azione per
difetto di legittimazione e di interesse, dato che i ricorrenti non dimostravano lesistenza di uno stabile collegamento territoriale con
il luogo interessato dallintervento edilizio o alcun pregiudizio ai
loro interessi17.

Cons. St., sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8298, con commento di T. Rapisarda,
I luoghi di culto e la confessione religiosa islamica. Pluralismo religioso e convivenza multiculturale, in Diritto e religioni, VI, 1, 2011, pp. 480 ss.
16
Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 14 settembre 2010, n. 3522.
17
Cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 27 ottobre 2011, n. 1139. Sulla stessa scia, circa
la aberrante prospettiva di una approvazione popolare preventiva tramite referendum comunale, cfr. la decisa e condivisa critica di N. Marchei, Gli edifici dei culti
ammessi: una proposta di legge coacervo di incostituzionalit, in Quaderni di
diritto e politica ecclesiastica, 1, XVIII, 2010, p.117.
15

325

Giancarlo Anello

b. Mutamento di destinazione duso18: un discorso a parte va fatto


per le prassi che riguardano la conversione duso dellimmobile. Si
tratta di fattispecie composite, in cui i fedeli acquistano o fruiscono di immobili da adibire ad associazione; in seguito, in costanza
di ulteriori interventi, viene chiesto il cambio di destinazione duso,
pur in assenza di modifiche ai piani urbanistici, oppure si realizzano lavori allo scopo di adibire i locali medesimi a luogo di culto,
aggirando gli obblighi relativi alla realizzazione delle necessarie
infrastrutture di servizio19. In altre circostanze ancora, si presenta
allamministrazione locale una richiesta per poter fruire di immobili
di propriet del comune da adibire a centri culturali. Una volta ottenuta la concessione di tali spazi, si usa domandarne il mutamento di
destinazione duso, in assenza di modifiche ai piani urbanistici, allo
scopo di realizzare in quei locali veri e propri luogo di culto20. Tali
Cfr. G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Giuffr, Milano, 2010, pp. 456 ss.
Cfr. le vicende analoghe di T.R.G.A. Trentino Alto Adige, 7 maggio 2009,
n. 150 confermata da Cons. St., sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1488. Vedi nello stesso
senso, T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, 26 novembre 2009, n. 792 confermata
da Cons. St., sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 683. In tema, A. Bettetini, La condizione
giuridica dei luoghi di culto tra autoreferenzialit e principio di effettivit, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1, XVIII, 2010, pp. 3 ss.
20
Cfr. pertanto la modifica apportata ad hoc alla legge per il governo del territorio della Regione Lombardia n. 12 del 2005 come modificata dalla L.R. n. 3 del 21
febbraio 2011, in tema di norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi. Lart.71 ne circoscrive lambito di applicazione:
1. Sono attrezzature di interesse comune per servizi religiosi:
a) gli immobili destinati al culto anche se articolati in pi edifici compresa larea
destinata a sagrato;
b) gli immobili destinati allabitazione dei ministri del culto, del personale di
servizio, nonch quelli destinati ad attivit di formazione religiosa;
c) nellesercizio del ministero pastorale, gli immobili adibiti ad attivit educative, culturali, sociali, ricreative e di ristoro compresi gli immobili e le attrezzature
fisse destinate alle attivit di oratorio e similari che non abbiano fini di lucro.
c bis) gli immobili destinati a sedi di associazioni, societ o comunit di persone
in qualsiasi forma costituite, le cui finalit statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, allesercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di
preghiera, scuole di religione o centri culturali.
18

19

326

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

prassi sono state pi volte ritenute illeggittime sulla base della necessit di dare corretta applicazione alle normative locali in materia
urbanistica ed edilizia. In alcuni casi si fatto valere il principio di
effettivit, in virt del quale il mutamento strutturale e funzionale
della destinazione duso deve essere qualificato, non tanto in base
alle intenzioni espresse dalla parte interessata, quanto dalle oggettive
caratteristiche che presentano i locali. In altri casi, si rilevato che
le deroghe ai piani regolatori non possono legittimare eccezioni alle
destinazioni di zona, sulle quali si fonda la struttura concettuale del
piano regolatore generale.
c. Attivit svolte: infine va fatto un richiamo alla giurisprudenza
in tema di attivit svolte allinterno di tali luoghi. Pare necessario
sottolineare che in molte circostanze esse hanno sollevato preoccupazioni in materia di ordine e di sicurezza pubblica, in applicazione
di legislazioni inerenti la limitazione di attivit di sedizione politica
e religiosa21 da parte di imam integralisti, ad esempio, durante lo
svogimento del sermone del venerd. In relazione alla determinazione dei limiti, va segnalata, per, la decisione in virt della quale le
dichiarazioni rese alla stampa da un cittadino straniero di religione
musulmana, a favore dellintegralismo islamico, non giustificano lespulsione di questultimo dallItalia. Dette condotte non appaiono
tali per le concrete modalit di esternazione che le hanno carat2. Le attrezzature di cui al comma 1 costituiscono opere di urbanizzazione secondaria ad ogni effetto, a norma dellarticolo 44, comma 4.
3. Gli edifici di culto e le attrezzature di interesse comune per servizi religiosi
interamente costruiti con i contributi di cui al presente capo non possono essere in
ogni caso sottratti alla loro destinazione, che deve risultare trascritta con apposito
atto nei registri immobiliari, se non siano decorsi almeno ventanni dallerogazione
del contributo. Tale vincolo di destinazione si estende anche agli edifici. di culto ed
alle altre attrezzature di interesse comune per servizi religiosi costruiti su aree cedute
in diritto di superficie agli enti delle confessioni religiose che ne siano assegnatari i
quali sono tenuti al rimborso dei contributi ed alla restituzione delle aree in caso di
mutamento della destinazione duso delle attrezzature costruite sulle predette aree.
21
Come nel caso di istigazione allodio razziale o religioso, in base alla legge 25
giugno 1993, n. 205; come nel caso del terrorismo internazionale di matrice islamica, di cui alla legge 31 luglio 2005, n. 155.
327

Giancarlo Anello

terizzate nel caso di specie da arrecare un grave turbamento per


lordine pubblico e costituire un pericolo per la sicurezza dello Stato.
Le suddette dichiarazioni debbono, infatti, ritenersi quali semplici
manifestazioni di pensiero, tutelate dalla Carta costituzionale, essendo espresse in modo palese e non connotate da alcuna forma di riservatezza o mimetismo, risultano inconciliabili secondo i dati della
comune esperienza con la volont di arrecare a chiunque un reale
nocumento22. Per la stessa materia, occorre richiamare la sentenza,
citata in precedenza, in virt della quale la frequentazione della moschea non pu considerarsi sufficiente a far sospettare linteressato di
avere rapporti con il fondamentalismo islamico, in modo da impedire
la concessione a suo favore della cittadinanza italiana23. Di recente,
infine, il giudice amministrativo ha avuto la possibilit di annullare
unordinanza sindacale che obbligava le associazioni culturali e religiose (islamiche) a tenere le loro riunioni latatamente pubbliche24
esclusivamente in lingua italiana25.
3. Dallanalisi della giurisprudenza amministrativa appare evidente
che la categoria giuridica sotto cui viene sussunta la realizzazione
degli spazi di culto islamici sia prevalente quella delledificio di culto, inquadramento che si colloca, a sua volta, allinterno delle previsione di principio e di dettaglio del diritto urbanistico. Tale inquadramento si risolto in una serie di pronunce del giudice amministrativo
che, di fatto, hanno inciso a vario titolo sulleffettivit costituzionale
T.A.R. Lazio, sez. I ter, 11 novembre 2004, n. 15336; Cons. St., sez. VI, 18
gennaio 2012, n. 154.
23
Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 154.
24
Vedi, n. 2, lett. f) Ordinanza Sindacale Trenzano (Brescia) n. 312/2009, in cui
si leggeva: da considerarsi pubblica anche una riunione che, sebbene indetta in
forma privata, tuttavia per laccessibilit del luogo in cui sar tenuta, o per il numero
di persone che dovranno intervenirvi, o per lo scopo o loggetto di essa, ha carattere
di riunione non privata.
25
T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II., 15 gennaio 2010, n. 19. Sia permesso
il rinvio al mio G. Anello, Pretese linguistiche e culture. Il diritto alla Parola
Sacra nella sfera pubblica pluri-culturale, in Multilinguismo e societ, Edistudio,
Pisa, 2011, pp. 21-34.
22

328

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

del diritto alla libert religiosa degli islamici. Tuttavia questo non
pare lunico inquadramento concettuale in cui si possano scomporre
le pratiche in cui si estrinseca lesercizio del culto islamico. La categorizzazione giuridica consiste in unoperazione di suddivisione
intellettuale che si pone in essere ordinando o classificando secondo
vari criteri (gerarchico, potestativo, di specialit, di sussunzione e
cos via) i comportamenti umani. Ci posto, di seguito si vorrebbe
proporre una sterzata interpretativa volta a categorizzare il culto islamico secondo una suddivisione differente rispetto a quella fino ad ora
praticata, al fine di rendere possibile lattribuzione di una qualifica
normativa diversa al complesso di tali pratiche.
Ammettendo che lart. 8 cost., comma 2, tuteli la possibilit di
fare rinvio agli statuti delle confessioni, anche in senso culturale26,
vi sarebbe, allinterno della tradizione giuridica musulmana, la possibilit di rintracciare, appunto, ulteriori ipotesi di inquadramento.
Tramite questo esperimento argomentativo ci si pone lobiettivo di
ipotizzare circuiti di riconoscimento di questo diritto fondamentale
la cui effettivit pare essere messa in discussione nella casistica giurisprudenziale precedentemente descritta. Per approfondire questa
prospettiva interpretativa si potrebbero scandagliare le categorie in
cui sono ordinate le pratiche del culto, c.d. ibadat, secondo il diritto islamico27, privilegiando la categoria ermeneutica dellattivit caratterizzante il culto, quella della preghiera congregazionale, rispetto
a quella basata sullubicazione delle stesse allinterno di un luogo di
culto. In altri termini, si andrebbe a scandire, almeno in prima battuta, la disciplina dellattivit di riunione da quella delledificio, al fine
di valutare, dal punto di vista antropologico, assiologico e giuridico, lutilit di convertire la qualificazione della moschea da quella di
edificio di culto in senso stretto a quella di spazio della preghiera.
G. Anello, Organizzazione confessionale, culture e Costituzione. Interpretazione dellart. 8 cpv. cost., Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007, pp. 5 ss. Cfr. anche lo
studio pionieristico di A. Predieri, Sharia e Costituzione, Laterza, Roma-Bari, 2006.
27
T.W. Juynboll, Manuale di diritto musulmano secondo la dottrina della scuola sciafeita, Vallardi Editore, Milano, 1916, pp. 42 ss.
26

329

Giancarlo Anello

Non si tratta di una virata ermeneutica inopportuna, ove si guardi alle categorie interpretative della tradizione islamica. Di l dalle
pur corrette distinzioni tra le differenti tipologie dei luoghi di culto
islamici (musallah, jamia, masgid, kllyie)28, infatti, nella cultura
di origine, la definizione della moschea non ha mai avuto una sua
autonomia ontologico e teologica29, architettonica e storica30, sociogiuridica31. Sotto il primo aspetto, per esempio, possibile tracciare
una differenza di grado tra santuari dellIslam, come la Kaabah e la
Moschea del Profeta Maometto a Medina, e gli altri luoghi di culto
nati durante lespansione dellIslam. La prima fonda la sua sacralit
direttamente nel Corano (3,96; 5,97), che la definisce la casa sacra.
Com noto, tale qualit la rende il centro effettivo della cosmogonia
islamica, il punto verso cui orientare le preghiere o attorno al quale
far convergere il pellegrinaggio. La seconda trae la sua sacralit dal
fatto di essere contigua alla casa del Profeta; abitazione che ha progressivamente assorbito. A differenza di tali santuari, i luoghi di culto
S. Khalil, Note sulla moschea, in La civilt cattolica, quaderno 3618, 2001,
pp. 599 ss.; S. Allievi, Moschee in Europa. Conflitti e polemiche, tra fiction e
realt, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1, XVIII, 2010, p. 148 ss.; G.
Necipolu-Kafadar, The Sleymaniye Complex in Istanbul: An Interpretation, in
Muqarnas, vol. 3 (1985), pp. 92-117.
29
Cfr. H. Salam-Liebich, Moschea (storia e tradizione), in Enciclopedia delle
religioni, vol. 8, Islam, Citt Nuova-Jaca Book, 2004, pp. 458 ss.
30
Cfr. S. Henderson, Moschea (architettura), in Enciclopedia delle religioni,
vol. 8, Islam cit., pp. 460 ss.
31
Del resto, si pu affermare che gli spazi sacri delle altre religioni abbiano uno
statuto giuridico originario che coincide con un certo edificio? Si propenderebbe per
il s ove si pensasse alla normativa canonistica di dedicatio formale e benedizione,
can. 1205 ss. Ma, anche in tal caso, cfr. in senso contrario la sottile distinzione
posta da M. Calvi, Ledificio di culto un luogo sacro? La definizione canonica
di luogo sacro, in Quaderni di diritto ecclesiale, 13 (2000), pp. 228 ss., per il
quale i cristiani non hanno luoghi sacri. Pi specificamente, la sacralit teologica
di un luogo non si converte automaticamente nella categoria giuridica delledificio
di culto. In una prospettiva comparativa semitica cfr. la distinzione significativa tra
tempio e sinagoga nellebraismo, M.C. Culotta, The Temple, the Synagogue, and
Hebrew Precedent, in Journal of the History of Ideas, vol. 31, n. 2 (apr.-jun. 1970),
pp. 273-6.
28

330

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

ordinari non paiono avere uno statuto religioso particolare. Il termine


masgid ricorre spesso nel Corano, in un significato tuttavia generico,
quello di luogo in cui si venera Dio. Un famoso hadith precisa che
esiste una moschea ovunque si preghi32. Quando si vuole individuare
specificamente un tempio musulmano si indica quel luogo preciso,
come la masgid al-Haram a Mecca o la masgid al-Aqsa a Gerusalemme (17,1). Peraltro, da un punto di vista architettonico le moschee
non corrispondono a un modello progettuale definito. Esse non sono
necessariamente costituite dal minareto, da una cupola, dalla mezza
luna, dal mihrab o dal minbar. necessario non confondere leccesso
di significato che la monumentalit produce attraverso la reiterazione
architettonica di questi elementi con larchetipicit architettonica o
giuridica. Tali elementi, infatti, hanno iniziato ad essere presenti solo
alla fine del primo secolo dellIslam, e trovano la propria ragion dessere nella funzione prototipica della moschea del profeta a Medina,
volta a reiterare la memoria collettiva della comunit33. Diversamente, sarebbe difficile spiegare come nellesperienza storica islamica,
le moschee siano state legittimamente ospitate in una disparata variet di luoghi e situazioni, dando origine a svariate interpretazioni
e realizzazioni. Queste ultime partono dalle moschee tradizionali,
costituite dagli elementi prima menzionati, transitano dai parcheggi
o dagli angoli delle strade, entrano nei garage o negli scantinati di
alcune citt, fino a innestarsi su moduli architettonici occidentali che
re-interpretano il vero nucleo significante dello spazio rituale, in funzione dellattivit che in esso si svolge, vale a dire la preghiera34.
Cfr. H. Salam-Liebich, op. cit., p. 458.
N. Rabbat, In the Beginning was the House: On the Image of the Two Noble
Sanctuaries of Islam, in Thresholds 25, 2002, pp. 56 ss.
34
Cfr. la possibilit di concettualizzazione di una generic mosque, come ipotizzata dallarchitetto-artista Azra Aksamija: The History of Islamic Architecture
teaches us that mosques have never been explicitly defined as a particular architectural form. Their formal variety around the world evokes the question of whether the
notion of the mosque can be understood as a specific building type at all. In regard
to such questions of typology, Rafael Moneo argues that the work of Architecture is
irreducible to any classification, http://tdd.elisava.net/coleccion/24/aksamija-en.
32
33

331

Giancarlo Anello

Non sorprendente, in tal senso, che la definizione pi pregnante di


moschea venga individuata in un luogo di riunione aperto ai fedeli,
nei quali i musulmani si incontrano per pregare con modalit regolari
e in cui si gestiscono altres gli affari pubblici35. A dispetto di una
concezione antropologica che ravvisa la sacralit nel temenos, cio
nella separazione dallo spazio ordinario, larea della moschea islamica stata fin dal principio concepita come unarea mondana, sociale
e pubblica36. Essa rappresenta, piuttosto, uno spazio disponibile per
riunire i fedeli al fine, quello s necessario, di ribadire i principi politici e religiosi della comunit: ci avviene attraverso la reiterazione
del fondamentale momento della riunione. In tal senso, ovvio che la
qualificazione del luogo come moschea deriva a un qualsiasi spazio
dallattivit che in esso si svolge, non insistendo sulla dedicazione di
un fabbricato ad attivit sacre.
In tal senso, si pu nutrire qualche perplessit verso una analogia senza sfumature tra moschee e chiese. Queste ultime, per essere
tali, necessitano di riti idonei a consacrare gli edifici, che assumono
solo successivamente un carattere funzionale e giuridico particolare.
35
Cfr. la convergenza tra la definizione riportata nel corpo del testo del giurista
medievale Ibn Taymiyya (morto nel 1328), citata in H. Salam-Liebich, op. cit., p.
458, e la seguente del sociologo contemporaneo S. Allievi, Mosques in Europe:
Real Problems and False Solutions, in S. Allievi (ed.), Mosques in Europe. Why a
Solution has become a Problem, NEF Initiative on Religion and Democracy in Europe, Alliance Publishing Trust, London, 2010, p. 15: I shall here use an extensive
definition and a commonsense criterion: all places open to the faithful, in which
Muslims gather together to pray on a regular basis, will be considered to be mosques. I am aware that this definition contains an inevitable margin of error, but at
the same time it is more meaningful and more comprehensive of the dimensions and
dynamics of the phenomenon under discussion. It appeals to the principal function
prayer and its collective and public aspect.
36
Non un caso che nella prima opera di costruzione di una moschea di colonizzazione a Damasco, per un certo periodo di tempo, quello iniziale del dominio omayade del khalifa Walid Ibn Abd al-Malik (il fondatore dello stato), lantico temenos
(larea sacra recintata, dal greco , tagliare) del tempio abbia ospitato simultaneamente, e senza eccessivi problemi, la chiesa cristiana e la prima musallah islamica. Cfr. R. Burns, Damascus. A History, Routledge, London-New York, 2005, p. 111.

332

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

tale carattere, una volta acquisito, che li rende idonei a ospitare


legalmente le attivit di culto da parte dei fedeli. Se il canone 1205
del Codex Iuris Canonici recita che loca sacra ea sunt quae divino
cultui fideliumve sepulturae deputantur dedicatione vel benedictione, quam liturgici libri ad hoc praescribunt, il canone 1214 precisa
che ecclesiae nomine intellegitur aedes sacra divino cultui destinata, ad quam fidelibus ius est adeundi ad divinum cultum praesertim
publice exercendum.
La formula normativa della prima disposizione subordina alla dedicazione/benedizione lassunzione della qualit sacra di un luogo.
La seconda disposizione definisce la chiesa come quel luogo consacrato, come tale idoneo a ospitare lesercizio del culto divino da parte
dei fedeli. Ma vi di pi: la natura giuridica assegnata alledificio
sembra addirittura prevalere su quella reale e funzionale: nel Codex
il termine luogo sacro non equivale immediatamente al termine
luogo di culto. I due vocaboli non sono sinonimi n sono tra loro
intercambiabili: soltanto alcuni luoghi, e a determinate condizioni,
sono identificati come luoghi sacri. E dallattribuzione di questa qualifica si fanno discendere alcune precise conseguenze di carattere e
valore normativi. Si pu presumibilmente dedurre che il Codex usi
la qualifica di sacro come una connotazione di tipo eminentemente
e primariamente giuridico, piuttosto che teologico o liturgico. Certo,
la norma canonica non intende prescindere, n potrebbe farlo, dalle
implicazioni teologiche e liturgiche ma, pur tenendone conto le dispone in un ordine logico giuridico molto chiaro che procede dalla
dedicazione allattivit cultuale37. Il processo che attribuisce valore
al luogo di culto islamico se c appare andare in senso inverso.
Anche sulla base di un superficiale sguardo alle fonti del diritto islamico, la dipendenza normativa e giuridica del luogo/moschea
rispetto alla pratica/preghiera incontrovertibile: nella tradizionale
sistemazione degli obblighi giuridici delluomo verso Dio (ibadat)
la preghiera rituale occupa una posizione privilegiata38. NellesecuCfr. M. Calvi, op. cit., p. 237.
Cfr. T.W. Juynboll, op. cit., p. 42.

37
38

333

Giancarlo Anello

zione di tale obbligo fondamentalmente il corpo umano la moschea


dellindividuo, le cui membra offrono il luogo e il mezzo per prostrarsi. La tradizione vuole che ogni essere umano ospiti sei masagid
(pl. di masgid, moschea), nelle ginocchia, nei palmi e negli alluci,
vale a dire nelle parti su cui poggia il credente durante la prostrazione39. Per questo motivo il ruolo della moschea nello svolgimento del
culto secondario, rispetto allattivit individuale e quotidiana della
preghiera islamica. Coerentemente, la frequentazione della moschea
per lesecuzione delle cinque preghiere quotidiane non obbligatoria.
Di contro, vi una circostanza in cui doveroso per i fedeli riunirsi con gli altri membri della comunit presso uno spazio unico
di preghiera: nel giorno del venerd a mezzod40. Tale prescrizione
39
K. Cragg, Culto e pratiche di culto islamiche, in Enciclopedia delle religioni,
vol. 8, Islam cit., p. 104.
40
Vedi A.J. Wensinck, Salat, Shorter Encyclopedia of Islam, Cornell Univ.
Press, Ithaca, 1953, per alcuni ahadith in materia di salat; M.H. Siddiqi, Salat, in
Enciclopedia delle religioni, vol. 8, Islam cit., pp. 567 ss. Si tratta di uninterpretazione consolidata, poich la preghiera islamica si compone tradizionalmente di
elementi ritualistici: linvocazione del nome di Dio, la recitazione, linchino, la prosternazione, il rialzamento e ladagiamento sui talloni. Le correnti sufi richiedono
altres che vi sia un momento di partecipazione interiore allinterno di questa cornice
gestuale, che, per esempio, al-Ghazali individuava nellinvocazione del nome come
momento in cui instaurare un dialogo privato con Dio. al-Ghazali, Scritti scelti, a
cura di L. Veccia Vaglieri, R. Rubinacci, Utet, Torino, 1986, p. 203. Vedi altresi
A. al-Maududi, mabadia al-islam (I fondamenti dellIslam), Engineering House
Press, Lahore, 1973, cap. 5, par. 186. Scrive lA. a tal proposito: si devono eseguire le orazioni obbligatorie, possibilmente, in comune con altri credenti; in special
modo lorazione obbligatoria comunitaria del giorno del venerd. Questo fatto crea
tra i musulmani un legame di solidariet e di comprensione reciproca. Questo fatto
risveglia in loro il sentimento della loro unit e nutre il senso di appartenenza ad una
comunit speciale. Il fatto di eseguire in riunione le orazioni obbligatorie inculca in
loro un profondo sentimento di fratellanza, esse sono altres il simbolo delluguaglianza, perch il ricco ed il povero, il potente e lumile, i dirigenti ed i dipendenti, i
dotti e gli illetterati, i neri e i bianchi, tutti sono nel medesimo rango e si prosternano
insieme davanti al loro Signore. Ma molto vero ci che afferma J.R. Bowen, Salat
in Indonesia: The Social Meanings of an Islamic Ritual, in Man, New Series,
vol. 24, n. 4 (dec. 1989), pp. 600-19: the salat is not structured around an intrinsic
propositional or semantic core.

334

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

solennemente prevista dal Corano, la cui sura intitolata al-juma


(il venerd) impone ai fedeli di lasciare i loro traffici nel momento
in cui viene fatto lannuncio della preghiera del venerd (62,9)41. La
distinzione assiologica tra la preghiera e la moschea scandita in
diversi ahadith della sunnah di al-Bukhari, relativi, da un lato, alla
variet di luoghi leciti per la preghiera individuale (sui tetti delle
case, sul minbar, sullimpiantito, su monticelli di terra, sopra i canali
di scolo, sul tetto della moschea, sulla neve, sul terreno destinato ai
cammelli, in luoghi di culto non musulmani)42; dallaltro, alla modalit, necessariamente congregazionale, di esecuzione della preghiera
del venerd. In essa, infatti, assume fondamentale rilievo il momento
collettivo, simbolizzato dal rito di disporsi su lunghe linee diritte,
fianco a fianco allineati43. Inoltre durante il venerd obbligatorio seguire il sermone dellimam (khutba)44. Questultimo una parte del
rito indispensabile e si traduce in unoccasione pubblica per educare
ed esortare i fedeli a comportamenti conformi ai principi religiosi.
La funzione dellimam, in quanto guida religiosa, consiste in tale
frangente nel suggerire ai membri della comunit condotte adeguate
ai dettami religiosi, ma anche alle circostanze di vita e del contesto
politico vissuto, attuale e concreto45.
Se, infine, i nomi sono significanti, letimologia delle parole e gli
usi linguistici della lingua araba che fanno riferimento ai fenomeni
in esame rendono chiarissima la priorit contenutistica e assiologica
Cfr. per la determinazione della giornata del venerd, S.D. Goitein, The origin
and the nature of the muslim friday worship, in The Muslim World, vol. XLIX, 3,
july 1959, pp. 183 ss, spec. p. 189 per gli usi preislamici.
42
al-Bukhari, Detti e fatti del profeta dellIslam, Utet, Torino, 2003, p. 134.
43
Si confronti lespressione inamma bauhu ila ba (stringersi gli uni con
gli altri), volta a definire lidea di riunirsi in moschea (tajammaa), in I. Mustafa,
A.H. Az-Zayi, H.A. Al-Qasr, M.A. An-Nagar, al-muajim al-wassyt (raccolta di
etimologie), vol. I., al-maktabah al-islamiyyah, Istanbul, 1972, pp. 134-5. Sullallineamento delle file durante la preghiera cfr. nelle fonti di diritto giurisprudenziale,
Malik Ibn Anas, al-muwatta. Manuale di legge islamica, Einaudi, Torino, 2011, p.
109; pi in generale sulla preghiera del venerd, nello stesso testo pp. 74-5.
44
al-Bukhari, op. cit., pp. 162-3.
45
K. Cragg, op. cit., p. 98.
41

335

Giancarlo Anello

dellattivit di riunione al venerd sul regime spaziale delledificio di


culto: tutte sono composte dalla radice verbale trilittera j-m-a, che
descrive lazione del raccogliere ci che sparso. In genere, la grande moschea in cui la comunit (jamaa) si riunisce al venerdi (ium
al-juma) prende il nome di masgid al-jamaa o masgid al-juma,
oppure ancora masgid al-jami (luogo della riunione), ma pi usualmente e comunemente viene chiamata al-jamiah46. Quando tale
radice verbale viene coniugata con riferimento a gruppi etnici accomunati dal dato religioso (al-qawm) esso indica una scelta collettiva,
concordata e spontanea47.
4. Nel rilevare una profonda divaricazione nelle discipline dei diritti
religiosi sottostanti alla concezione canonistica e islamica del luogo
di culto, ci si chiede se ci non possa avere conseguenze sulla categorizzazione concettuale e quindi sulla qualificazione nel diritto statale
dellattivit di culto islamico48. Ci anche in virt dellosservazione
che lordinamento italiano ha formato le categorie di coordinamento
Cfr. H. Salam-Liebich, op. cit., p. 458.
Si confronti anche lespressione di jammaa an-naas (la gente in assemblea):
shahidu al-jamiah wa-qau as-sallah fyha, essi hanno testimoniato la riunione
(del venerd) e hanno terminato la preghiera al suo interno. Cfr. I. Mustafa, A.H.
Az-Zayi, H.A. Al-Qasr, M.A. An-Nagar, al-muajim al-wassyt cit., pp. 134-5. Si
ringrazia il dott. Khaled Qatam per la preziosa ed erudita consulenza linguisticobibliografica circa letimo di jamiah.
48
Vedi L. Zannotti, I luoghi della convivenza religiosa e del pluralismo culturale, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1, XVIII, 2010, che evidenzia linterpretazione dualistica bene/male e la logica sottesa di inclusione/esclusione della
disciplina canonistica in materia di luogo sacro. Per questi motivi ci si sente di dubitare sulla dichiarata analogia senza sfumature tra chiesa, moschea e sinagoga proposta
da P. Cavana, Episcopati nazionali, chiese dismesse e nuove destinazioni duso, in
Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1, 2010. A dire il vero, in una prospettiva
storica la distinzione si coglie gi allinterno della tradizione ebraico-cristiana, cfr. M.
Calvi, op. cit., p. 230. LA. ha modo di osservare che anche nel vetero-cristianesimo
non era il luogo fisico, ma lattivit svolta che consacrava la congregazione dei celebranti. In progressiva differenziazione dal giudaismo vi sono molti testi neotestamentari che fanno pensare a un superamento della dimensione sacrale del tempio di
Gerusalemme: Gv 4,21; Ap 21,22; Mt 12,6; At 7,48; 1 Cor 3,16-17 e 6,19; 2 Cor 6,16.
46
47

336

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

tra diritto statale e diritti religiosi prevalentemente sullesperienza


storica canonistica49. Per questo, si suggerisce una sterzata ermeneutica orientata sulle categorie originali della tradizione islamica, volta
ad attribuire il primato contenutistico e assiologico alle attivit poste
in essere per le esigenze del culto, rispetto al luogo in cui esse si svolgono. Occorre in tal senso ipotizzare quali effetti giuridici potrebbe
avere sullintegrazione normativa del culto islamico uninterpretazione che privilegiasse la categorizzazione situazionale dellattivit
di culto su quella spaziale delledificazione urbanistica. Lipotesi di
partenza che un inquadramento siffatto, pi vicino alle categorie
ermeneutiche della religione islamica, potrebbe avere il pregio di
rendere pi effettivo e meno conflittuale lesercizio della libert di
culto dei musulmani in Italia e di individuare nuove ipotesi di regolamentazione pluralistica e strumenti di tutela giurisdizionale nei
confronti di questo tipo di pratiche.
Certamente, il primo effetto che balza agli occhi del giurista sarebbe quello di considerare lattivit di riunione, svolta in moschea,
in un garage, in un piazzale o altrove, sussunta sotto la tutela costituzionale dellart. 17, oltre che 19 della Costituzione. In questo
accostamento, lart. 17 andrebbe letto e vivificato alla luce dei nuovi
usi della libert religiosa, nelle societ plurireligiose e multiculturali50. Da parte sua, la lettura dellarticolo 19 che prevede, fra laltro,
il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in forma
individuale e associata, oltre che di esercitare il culto, andrebbe a
doppiare i modi di esercizio della libert di riunione prevista dallart.
17, nei limiti tradizionalmente riferibili a tale disposizione. Lintegrazione tra la libert di culto islamico e lulteriore ambito garantito
dallart. 17 va realizzata tenuto conto dellinterpretazione dottrinaria
e giurisprudenziale di questultima disposizione, in convergenza con
le particolarit delle pratiche rituali delle religioni di nuovo insediaSia consentito il rinvio al mio volume G. Anello, Modelli di scrittura normativa e dinamica concordataria, Cedam, Padova, 2004, passim.
50
Cfr. per questo M. Ricca, Art. 19, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti,
Commentario alla Costituzione, vol. 1, Utet, Torino, 2006, pp. 432 ss.
49

337

Giancarlo Anello

mento51. Da questo punto di vista, la nozione base dellattivit riunione, utile a configurare la fattispecie costituzionale, definita in
prima battuta dalla mera vicinanza fisica dei partecipanti. In genere,
si usa delimitare la riunione differenziandola da fenomeni simili che
se ne distinguono per la minore o maggiore intensit del vincolo di
aggregazione. Da un lato, ad esempio, si parla del mero assembramento caratterizzato dallassenza di un previo concerto o di una previa organizzazione dei convenuti. Dallaltro, ci si riferisce dellassociazione connotata, invece, dalla presenza tra i riuniti di un patto
sociale, vale a dire di una accettazione formale di perseguire assieme
un determinato scopo. Tale patto sociale determinerebbe la sussistenza di un vincolo ideale tra i soci, nonostante la loro lontananza fisica.
Per lesercizio del diritto di riunione, inoltre, si ritiene che il vincolo
tra lattivit e il luogo in cui essa si svolge sia meramente eventuale.
Lidentit del luogo un termine che viene definito per relationem
rispetto ai soggetti che pongono in essere la congregazione. Si pu
avere una riunione sia che i convenuti siano fermi, sia che si muovano in corteo o in processione52. Nondimeno, appare pi frequente che
la riunione di culto si svolga allaperto o allinterno di un luogo aperto al pubblico. Questultimo viene definito generalmente come uno
spazio caratterizzato dalla separazione fisica dallambiente esterno,
con la volont da parte del titolare di ammettere lingresso a tutti53.
Ebbene, tutti questi caratteri si attagliano bene alla descrizione
della preghiera del venerd: in essa rispettato il basilare requisito
dellaggregazione fisica; il criterio organizzativo costituito dallobbligo in coscienza di riunirsi e dalla consapevolezza sociale di una
sua effettiva osservanza da parte della comunit di fedeli. Come osVedi in dottrina, A. Pace, Art. 17, in Commentario della Costituzione, a cura
di G. Branca, Zanichelli-Soc. ed. del Foro Italiano, Bologna-Roma, 1977, pp. 145
ss.; R. Borrello, Riunione (diritto di), in Enc. del diritto, vol. XL, Giuffr, Milano,
1989, pp. 1401 ss.; G. Tarli Barbieri, Art. 17, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Commentario alla Costituzione, vol. 1 cit., pp. 383 ss.
52
Cfr. A. Pace, op. cit., pp. 156 e 153.
53
Cfr. Cass. pen. S.U., 31 marzo del 1951, cit. in G. Tarli Barbieri, op. cit., p.
393, nota 85.
51

338

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

servato, la mera eventualit di una insistenza dellattivit di riunione


allinterno di un luogo corrisponde pienamente alla tradizione religiosa di riferimento e giustifica da un lato il fatto che la congregazione possa occasionalmente avvenire nelle strade, nei parcheggi, nelle
piazze; dallaltro, che essa si svolga generalmente allinterno di locali aperti al pubblico iure voluntatis domini (sebbene di propriet privata, come abitazioni o sedi associative). Di conseguenza, lesercizio
congregazionale del culto islamico andrebbe calibrato sulla disposizione costituzionale in base ai riferimenti testuali e giurisprudenziali.
La libert di riunione conosce, per esempio, ipotesi di limitazione di
tipo soggettivo e oggettivo. Da un lato, la lettera della disposizione
costituzionale ne riserverebbe la disciplina ai soli cittadini. Questa
limitazione non pone preclusioni alla validit della tesi qui argomentata. La dottrina maggioritaria ritiene che, alla luce dellart. 2 cost.,
le libert costituzionali spettino anche agli stranieri almeno in quei
casi (tra cui sicuramente anche la disposizione in esame) in cui la
Costituzione non presupponga una disparit di trattamento54. Inoltre,
non si pu escludere a priori che lesercizio del culto islamico non
interessi, nelle forme della preghiera congregazionale del venerd,
anche cittadini italiani di fede musulmana. Dallaltro, le limitazioni
oggettive riguardano il fatto che tali riunioni si svolgano pacificamente e senza armi. Si tratta di una condizione, questultima, che
in questa sede viene considerata assolta per ipotesi, tranne che per
alcune circostanze di cui si dar specificamente conto.
Una volta sgombrato il campo da ragionamenti preliminari, occorre verificare la corrispondenza tra le riunioni di culto islamico e la
casistica giurisprudenziale in materia costituzionale. A tal proposito
soccorre un indirizzo consolidato formatosi sulla disciplina pre-repubblicana sui culti ammessi. Si ravviserebbe, cio, nellattuale limitazione ad usufruire di certi locali per riunioni periodiche, in quanto
privi delle caratteristiche tecniche di regolari luoghi di culto, una
fattispecie assai simile a quella regolata dalla celebre coppia di sentenze n. 45 del 1957 e n. 59 del 1958. La prima ebbe modo di dichiaVedi G. Tarli Barbieri, op. cit., p. 386.

54

339

Giancarlo Anello

rare lillegittimit costituzionale della norma contenuta nellart. 25


del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza del 18 giugno 1931, n. 773,
nella parte che implicava lobbligo del preavviso per le funzioni, cerimonie o pratiche religiose in luoghi aperti al pubblico. La seconda
dichiarava lillegittimit costituzionale dellart. 2 del decreto 28 febbraio 1930, n. 289: in questa pronuncia si precisava che, avendo la
Costituzione repubblicana posto una norma generale che garantisse
il diritto di riunione in luogo aperto al pubblico senza limitazione di
scopi, ne restassero travolte le norme incompatibili previgenti. In tal
modo, le riunioni a scopo di culto avrebbero potuto tenersi anche in
luoghi che fossero privi di autorizzazione. Si aggiungeva espressamente che in tali circostanze, di fronte alla libert costituzionale di
tenere le riunioni, il tempio dovesse considerarsi un luogo analogo a
qualsiasi luogo aperto al pubblico. Lo stesso principio veniva statuito
circa la possibilit che un ministro di culto privo di approvazione
potesse dirigere il culto delle confessioni senza intesa.
Le fattispecie in oggetto e quelle attuali non si sovrappongono
pienamente, in quanto le autorizzazioni abrogate costituzionalmente
erano quelle della legislazione autoritaria della legge sui culti ammessi e non quelle derivanti da disposizioni urbanistiche. Nondimeno appare necessario contemperare, nella disciplina integrata degli
articoli 17 e 19 della Costituzione ed entro i relativi limiti, interessi
contrastanti inerenti lo svolgimento dellattivit di riunione allinterno di locali aperti al pubblico, senza preavviso n autorizzazione, e il
rispetto della disciplina in materia di edilizia di culto.
In tal senso, si ritiene che la preghiera del venerd non possa essere subordinata a condizioni diverse rispetto a quelle a cui sono costituzionalmente assoggettate le riunioni in luogo aperto al pubblico. Queste possono essere limitate di fronte a esigenze di generale
tutela della pubblica salute e incolumit (art. 32 cost.). In tali casi,
il divieto eventualmente fatto alla riunione che debba svolgersi in
luogo pericoloso (e di cui la pubblica autorit sia comunque venuta
a conoscenza) sarebbe per sempre una conseguenza dellaccertato
pericolo derivante allincolumit pubblica dallaccesso a un determinato immobile. In tali casi, per, il divieto non dovrebbe essere
340

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

n presuntivo n generale, ma ai sensi dellart. 18, co. 4 T.U.L.P.S.,


sempre accompagnato dalle indicazioni di modalit di tempo e di
luogo circa il suo mantenimento. Si sottolinea altres che lautorit
che ha la competenza a emettere questo tipo di provvedimento il
prefetto, e non il questore55.
Per inerenza, va dato conto anche della tesi in virt della quale il
diritto di riunione andrebbe considerato strumentale rispetto ad altra attivit, la quale rileverebbe rispetto ad essa come finale. In tal
caso, lattivit svolta nel corso della riunione non sarebbe coperta
dalla tutela di tipo costituzionale ma andrebbe disciplinata dalla normativa prevista per essa in via generale56. Anche in questo caso, si
tratta di una tesi che si pu calibrare sullesercizio del culto islamico.
Ammettendo lapplicabilit della disciplina dellattivit finale e i relativi limiti sarebbe dubitabile che attraverso tale apertura possano
rientrare le limitazioni di carattere finanziario o urbanistico che sono
inerenti lattivit di costruzione del luogo di culto che non si pongono in rapporto di mezzo a fine rispetto allattivit espletata durante
la riunione, nel caso in cui questa fosse quella di preghiera. Tuttavia
tale teoria potrebbe aiutare a risolvere le questioni circa leventuale
pericolosit politica delle riunioni stesse57.
Nel caso in cui, durante la riunione del venerd, si configurassero
attivit pericolose per la sicurezza pubblica, sarebbe da ritenersi del
tutto opportuno applicare la normativa relativa a perseguire tali fatti;
Ai sensi dellart. 2 del T.U.L.P.S. Cfr. A. Sabato, Libert di culto, di associazione e di riunione: riflessi sulle norme urbanistiche, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, LXXXV, n. 5, 2011, p. 523.
56
Si fa riferimento in particolare a P. Gismondi, Le riunioni a carattere religioso
e la loro speciale disciplina costituzionale, in Giur. Cost., 1957, p. 580, in relazione allesistenza di uno speciale criterio di assorbimento tra libert di riunione (come
libert funzionale) e libert religiosa, o altre libert costituzionalmente disciplinate
(vedi art. 40, diritto di sciopero). Tesi richiamata anche da A. Pace, op. cit., p. 147,
e R. Borrello, op. cit., p. 1407.
57
R. Borrello, op. cit., p. 1405. La dottrina rileva per levidenza di come nel
vigente sistema costituzionale si indichi allinterprete la necessit di attribuire al diritto di riunione, sul piano contenutistico, il massimo potenziale di espansione, rispetto
al tipo di comportamento sociale preso in considerazione della situazione garantita.
55

341

Giancarlo Anello

n potrebbe la libert di riunione, in alcun modo, coprire o giustificare tali tipologie di attivit.
Unultima osservazione va dedicata al punto della qualificazione
della fattispecie in ordine al tema di un eventuale conflitto di giurisdizione. Difatti, in caso di stralcio dellattivit di riunione del venerd dal complesso articolato normativo che invece avvolge il tema
degli edifici di culto, ci si potrebbe interrogare su quale sede giudiziaria adire in caso di contestazione di esercizio legittimo dellattivit di riunione. Da questo punto di vista, un inquadramento dellattivit del culto islamico, limitatamente alla preghiera del venerd, al di
sotto della copertura costituzionale ammetterebbe comunque i poteri
di intervento dellautorit pubblica, e di conseguenza la competenza
del giudice amministrativo. Ma tali ampi poteri sarebbero comunque
delimitati. In particolar modo, essi sarebbero circoscritti allemanazione di un eventuale provvedimento di divieto di riunione in luogo
pubblico, da parte del Prefetto, previo accertamento della condizione
di pericolo per la salute pubblica. Qualora, invece, la pubblica autorit agisse sulla base di un potere diverso da quello conferito dal
combinato disposto delle norme costituzionali e delle norme in materia di pubblica sicurezza, competente a decidere sarebbe il giudice
ordinario.
Ovviamente dinanzi a tale autorit andrebbero incardinate tutte le
controversie circa abusi o violazioni commessi da un privato nei confronti di un altro privato in costanza di riunioni religiose, come nel
caso di atti di emulazione. Corollario di questo riparto sarebbe quello
di poter esperire, nellincerto atteggiarsi del diritto di riunione a volte
come diritto soggettivo a volte come interesse legittimo, una scelta
circa il mezzo di tutela pi efficace per contrastare un divieto di riunione illeggittimamente disposto. La tutela amministrativa potrebbe
non garantire in maniera efficace, contro un provvedimento adottato
senza potere, poich nonostante la previsione di una pronuncia sospensiva e fatte salve le ipotesi esperibili di tutela cautelare, i tempi per la proposizione di un ricorso e per la fissazione delludienza
potrebbero rendere vana la tempestiva contestazione di un divieto a
procedere a una riunione in un momento di poco o mediamente suc342

Categorie ermeneutiche dei diritti religiosi e libert di culto

cessivo58. Daltro canto, non vi sarebbe un rimedio ordinario per sospendere lesecuzione di un provvedimeno di divieto emanato, seppure illeggittimamente dalla pubblica amministrazione, gravante il
diritto soggettivo. Tuttavia in questo caso, si potrebbe in un momento
successivo dare luogo a una iniziativa legale di carattere risarcitorio
in caso di danno subito a causa del divieto illeggittimamente posto.
5. Lipotesi di ragionamento qui svolta, circa una riconversione ermeneutica nella categorizzazione e nella qualificazione giuridica delle pratiche di culto islamico, non pu considerarsi n originaria n
esaustiva. Essa, infatti, non proviene n raccolta da alcun soggetto
confessionale; inoltre, le sue premesse e le sue conseguenze andrebbero ulteriormente calibrate sulla giurisprudenza ordinaria e amministrativa in via di formazione sulla questione delle moschee. Tuttavia,
essa vale come contributo interpretativo indipendente, laico e interculturale delle norme disponibili in materia, finalizzato a promuovere
leffettivit della libert di culto delle confessioni religiose di nuovo
insediamento. Attraverso la sua presentazione si propone di riflettere
sul fatto che gli statuti culturali delle confessioni, rappresentati anche
dai diritti religiosi, possano utilmente integrare le norme di diritto
statali. Ci avviene con lestrazione dei significati dalle pretese di
riconoscimento, mediante la loro contestualizzazione culturale, tramite un loro orientamento di tipo assiologico e finalistico. Ci, come
osservato, potrebbe produrre benefici riflessi sulle interpretazioni del
diritto statale, garantendone maggiore effettivit. La cornice pluralistica del diritto italiano consente di elaborare simili ipotesi di ricategorizzazione delle pratiche religiose e culturali straniere: possibile rintracciarvi itinerari di legittimazione che siano compatibili sia
con lordine costituzionale dello stato, sia con lo svolgimento della
personalit delluomo allinterno di formazioni confessionali. Una
simile pratica di conversione funzionale che, del resto viene posta in
58
Cfr. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2010,
pp. 284 ss., in particolare nellipotesi di tutela cautelare ante causam, di cui allart.
61 cod. proc. amm. Cfr. anche A. Pace, op. cit., pp. 189-90.

343

Giancarlo Anello

essere ogni giorno dagli operatori del diritto allinterno della cornice dellordinamento interno, qui andrebbe svolta anche con lausilio
di tradizioni giuridiche e culturali straniere. Se collocata sulle scale
di formazione dei diritti religiosi, tale politica cognitiva di migrazione categoriale allinterno della sfera giuridica, oltre che incidere
sullinterpretazione del caso specifico, potrebbe assolvere una funzione pi generale, quella di contribuire a disinnescare sul nascere
pratiche simboliche in grado di accedendere i conflitti identitari. La
preghiera collettiva del venerd ne un esempio; indossare il velo ne
un altro59.
Tale contributo pu essere realizzato da chi ha la capacit di muoversi, con conoscenze necessarie e prontezza di spirito, negli ambiti
di studio in cui tali tematiche risultano allacciate, vale a dire il diritto
(laico) da un lato e la tradizione normativa (religiosa) dallaltro. Ad
avviso di chi scrive, tale competenza specifica rappresenta la cifra
pi caratterizzante lo studio giuridico delle questioni religiose. La
scienza giuridica, nella misura in cui svolga tale compito, osservando
la necessaria equidistanza dagli interessi statali e confessionali, maggioritari e di minoranza, sociali e di coscienza, individuali e collettivi, e di mantenere al centro lasse di valutazione costituito dallordinamento giuridico, pu costituire un vero e proprio metodo laico per
il governo delle societ pluriculturali odierne e future.

59
Cfr. per questa impostazione e per la relativa applicazione sulla tematica del
velo M. Ricca, Pantheon. Agenda della laicit interculturale, Torri del vento, Palermo, 2012, pp. 198 ss.

344

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

Diritto ecclesiastico e canonico


tra vecchio e nuovo multiculturalismo1
di Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

1. Il vecchio ed il nuovo multiculturalismo - 2. Le domande e le (possibili)


risposte del diritto ecclesiastico - 3. Le domande e le (possibili) risposte del
diritto canonico - 4. Conclusioni

1. Oggi il diritto deve confrontarsi con un contesto sociale profondamente mutato e tuttora attraversato da processi di trasformazione
molto ampi e profondi. La societ e la prospettiva culturale occidentale (europea, statunitense e anglosassone in senso lato) rapidamente cambiata per vari ordini di motivi: in funzione dei flussi migratori
e per la crescente pluralit di culture, di religioni e di convinzioni
che attualmente la caratterizza; per la diffusione e il radicarsi di una
cultura e di una sensibilit secolare favoriti dal progresso scientifico
e dallo sviluppo tecnologico. Pluralismo culturale/religioso e secolarizzazione sono i tratti caratterizzanti del nuovo contesto sociale e
culturale dellOccidente contemporaneo2.
Non cos facile risalire alle cause di tali trasformazioni. Sia
perch le cause non sono meno profonde e complesse delle trasformazioni stesse, sia perch le evoluzioni sociali e culturali sono da
attribuire, in realt, ad un insieme di concause. Tuttavia, le scienze
Il contenuto del presente lavoro frutto della riflessione comune dei due autori.
Il paragrafo 2 attribuibile a Pasquale Annicchino, il paragrafo 3 a Gabriele Fattori;
lintroduzione e le conclusioni ad entrambi.
2
Con pluralismo culturale/religioso vogliamo intendere alcuni fenomeni distinti,
ma collegati: la pluralizzazione culturale, religiosa e confessionale delle societ e la
centralit del fattore religioso (il c.d. ritorno del religioso e delle questioni religiose
nella sfera pubblica). Con secolarizzazione si intende secondo la classica concezione
il fenomeno che tende a marginalizzare il fattore religioso nella sfera privata.
1

345

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

sociali e antropologiche hanno provato a ricostruire almeno i principali fattori del cambiamento e dello sviluppo del moderno quadro
socio-culturale.
Il pluralismo sociale riconducibile principalmente al fenomeno
migratorio. Coerentemente si assiste anche al rapido mutare della geografia religiosa nel mondo: in Europa (dove crescono comunit musulmane), in Medio Oriente (dove sta scomparendo il Cristianesimo),
negli Stati Uniti (dove cresce la popolazione cattolica), in America
Latina (dove crescono i protestanti)3.
Secondo politologi e sociologi4 il fenomeno del ritorno del religioso nella sfera pubblica si deve prevalentemente al tramonto delle
grandi ideologie, alla globalizzazione delleconomia, del mercato del
lavoro, della tecnologia, dei mezzi di comunicazione. Il fenomeno si
pu rintracciare nella rivoluzione Khomeinista in Iran (1978-1979).
Si manifestato anche con il ruolo anti-comunista della Chiesa cattolica in Polonia (sostegno al movimento di Solidarns), con la formazione e la crescita dei partiti religiosi in Israele, in Turchia, in

Introduzione al diritto comparato delle religioni. Ebraismo, islam e induismo,


a cura di S. Ferrari, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 9-21.
4
Si veda ad esempio J. Casanova, Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla
riconquista della sfera pubblica, il Mulino, Bologna, 2000; G. Kepel, La Revanche
de Dieu: Chrtiens, juifs et musulmans la reconqute du monde, Seuil, Parigi,
2003; J.-P. Willaime, Unification europenne et religions, in Iglesias, confesiones y
comunidades religiosas en la Unin Europea, a cura di A. Castro Jover, Servicio
Editorial Universidad del Pas Vasco, Bilbao, 1999, pp. 27-54, e infine anche G.
Vincent, J.-P. Willaime, Religions et transformations de lEurope, Presses Universitaires de Strasbourg, Strasbourg, 1993. Cfr. F. Margiotta Broglio, Confessioni o
comunit religiose o filosofiche nel Trattato di Lisbona, in Le confessioni religiose nel diritto dellUnione Europea, a cura di L. De Gregorio, il Mulino, Bologna,
2012, pp. 34-5. Questultimo volume collettaneo con anche i contributi di Giorgio
Feliciani, Laura De Gregorio, Cesare Mirabelli, Piotr Mazurkiewicz, Richard
Puza, Duarte Da Cunha, Gianni Long, Aldo Giordano, Marta Cartabia, Mauro
Rivella, Andrea Perrone, Matteo Corti, Marco Miccinesi, Venerando Marano,
Carlo Cardia, Manlio Frigo.
3

346

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

India5, con la destra religiosa negli Stati Uniti6, con le rivendicazioni


giuridiche di movimenti religiosi o di fedeli atipici e comunque non
accomunabili alle religioni e ai fedeli tradizionalmente intesi. Sono
esemplari, a tal proposito, le pronunce della Corte Europea dei Diritti
dellUomo (Corte EDU), sul riconoscimento giuridico della Chiesa
di Scientology7, sulla questione dellesposizione dei simboli religiosi nello spazio pubblico e in particolare le sentenze Lautsi I e Lautsi
II8 sul crocefisso nelle aule scolastiche, la recente sentenza sul caso
dei Raeliani contro la Svizzera concernente una campagna di affissione di manifesti proposta dal Movimento Raeliano Svizzero9.
La secolarizzazione10, le cui pi rilevanti implicazioni pratiche
sono state la tendenziale indifferenza/diffidenza/ostilit verso la religione e lincredulit per la visione religiosa delluomo e del mondo,
riconducibile in gran parte al progresso scientifico. Soprattutto a
partire dal XIX secolo, scienza e tecnica hanno portato ad un nuovo patchwork mediale composto di media mainstream e non mainstream11 dettando attraverso di loro un frame scientifico-positivista
Cfr. L. Ozzano, Fondamentalismo e democrazia. La destra religiosa alla conquista della sfera pubblica in India, Israele, Turchia, il Mulino, Bologna, 2009.
6
Si veda su tutti S. Teles, The Rise of the Conservative Legal Movement: The
Battle for the Control of the Law, Princeton University Press, Princeton, 2010. Sul recente movimento dei Tea Parties cfr. T. Skocpol, V. Williamson, The Tea Party and
the Remaking of Republican Conservatism, Oxford University Press, Oxford, 2011.
7
Scientology c. Russia, Corte Europea dei Diritti dellUomo (ricorso n.
18147/02), sentenza del 5 aprile 2007.
8
Lautsi c. Italia, Corte Europea dei Diritti dellUomo (ricorso n. 30814/06),
sentenza del 3 novembre 2009 e del 18 marzo 2011.
9
Movimento Raeliano Svizzero c. Svizzera, Corte Europea dei Diritti dellUomo
(ricorso n. 16354/06), sentenza del 13 gennaio 2011. Attualmente pendente davanti
alla Grande Camera.
10
G. Davie, Religion in Britain since 1945. Beliving without Belonging, Blackwell,
London, 1994; Id., Religion in Modern Europe. A Memory Mutates, Oxford University Press, Oxford, 2000; D. Hervieu-Lger, Les tendences du religieux en Europe, in
Commissariat Gnral du Plan, Croyances religieuses, morales et thiques dans le
processus de costructions europenne, La documentation francaise, Paris, 2002.
11
Cfr. W. Benjamin, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, Einaudi, Torino, 1966; Id., Angelus novus. Saggi e frammenti, Einaudi, Torino,
5

347

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

a discapito della prospettiva dogmatica e trascendente offerta dalla


religione e dalle tradizionali discipline umanistico-teologiche. Per
questo, le religioni, e soprattutto le grandi religioni monoteistiche,
hanno ritenuto il processo di secolarizzazione il responsabile di una
metamorfosi/involuzione culturale realizzata attraverso una lunga
serie di dottrine eretiche, tra cui il razionalismo, il positivismo, lo
scientismo, il socialismo, il comunismo, il liberalismo, il relativismo,
lagnosticismo e lindifferentismo fino alla loro pi radicale espressione, lateismo12.
Pluralizzazione socio-politico-culturale e secolarizzazione rappresentano ormai un dato di fatto, un elemento caratterizzante e un
trend progressivo dellarea euromediteranea13 e dellintero mondo
1995; Id., I passages di Parigi, Einaudi, Torino, 2000; N. Luhmann, Struttura
della societ e semantica, Laterza, Roma-Bari, 1983; Id., La realt dei mass media, FrancoAngeli, Milano, 2000; N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della societ,
FrancoAngeli, Milano, 2003; G. Simmel, Le metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma, 2005; M. McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man,
McGraw Hill, New York, 1964; M. McLuhan, B.R. Powers, The global village.
Transformations in World life and Media in 21century, Oxford University Press,
New York, 1989; F. Martel, Mainstream. Come si costruisce un successo planetario
e si vince la guerra mondiale dei media, Feltrinelli, Milano, 2010.
12
Cfr. Lateismo contemporaneo, a cura della Facolt filosofica della Pontificia
Universit salesiana, S.E.I., Torino, 1969. In prospettiva giuridica cfr. il numero
1 del 2011 dei Quaderni di diritto e politica ecclesiastica con studi di Giovanni
Filoramo, Nicola Fiorita e Francesco Onida, Julie Ringelheim, Stella Coglievina, Pierangela Floris, Giovanni Cimbalo, Marco Parisi, Lucia Cappuccio e Daniel Gamper, Marco Greco, Gabriele Fattori, Domenico Francavilla, Valentino
Petrucci, Carlo Cardia, Alessandro Albisetti, Jos Antonio Rodrguez Garca,
Alessandro Ferrari.
13
Sulla c.d. primavera araba si vedano: M. Bchir Ayari, V. Geisser, Renaissance arabe. 7 questions cls sur des rvolutions en marche, ditions de LAtelier,
Ivry-sur-Seine, 2011; T. Ramadan, Lislam et le rveil arabe, Presses du Chatelet,
Paris, 2012; A. Bozzo, P.-J. Luizard, Le socites civiles dans lr monde musulmane,
La Dcouverte, Paris, 2011; T. Masoud, The road to (and from) liberation square,
in Journal of democracy, 2011, 22, 3, pp. 20-34; P.J. Schraeder, H. Redissi, Ben
Alis Fall, in Journal of Democracy, 2011, 22, 3, pp. 6-19; Religion, identity and
democracy. The Arab Spring: transition to Democracy at Crossroad, in The International IDEA Democracy Forum, Madrid, Spain, 28-29 november 2011, in www.
348

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

occidentale evidenziati da tutti gli analisti14. Il fenomeno sociale non


rimasto senza conseguenze giuridiche: in ambito giuridico esso
ha determinato una rinnovata centralit del c.d. principio pluralista15. Tale principio si ricava in via interpretativa da un insieme di
principi-cardine ormai comuni ai tutti i sistemi giuridici occidentali
nazionali e sovrastatali. Il principio pluralista non , in senso proprio, una formula del diritto costituzionale positivo, ma lespressione
comprensiva del riconoscimento di un nucleo inviolabile di diritti
umani, delluguaglianza formale e sostanziale di tutte le persone, del
divieto di non discriminazione, della libert di pensiero, di coscienza, di religione.
Nel suo insieme, il principio esprime la prospettiva giuridica con
la quale gli ordinamenti difendono una uguale libert di tutte le culture/religioni/credenze e di tutti i sistemi di pensiero. Giuridicamente
inteso, il principio pluralista difende e tutela le diversit e le minoranza culturali e/o religiose dallegemonia delle culture e delle religioni
dominanti/maggioritarie: sia nella giurisprudenza delle Corti europee
e internazionali, sia internamente a molti sistemi giuridici dei Paesi
europei, dellarea mediterranea e del mondo anglosassone16.
idea.it. Rispetto alle ricadute giuridiche del fenomeno cfr. A. Ferrari, Diritto e religione nellIslam mediterraneo. Rapporti nazionali sulla salvaguardia della libert
religiosa: un paradigma alternativo?, il Mulino, Bologna, 2012. Si ringrazia la Prof.
ssa Rossella Bottoni per il prezioso consiglio bibliografico.
14
Cfr. R.F. Inglehart, Changing Values among Western Publics from 1970 to
2006, in West European Politics, vol. 31, 1-2, 2008, pp. 130-146.
15
Per una elaborazione del principio pluralista in chiave politologica si veda
G. Sartori, Pluralismo, multiculturalismo ed estranei. Saggio sulla societ multietnica, Rizzoli, Milano, 2000. Per una ricostruzione del significato giuridico-ecclesiasticistico del principio pluralista a livello europeo cfr. G. Casuscelli, Convenzione europea, giurisprudenza della Corte europea dei diritti dellUomo e sua
incidenza sul diritto ecclesiastico italiano. Unopportunit per la ripresa del pluralismo confessionale?, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, settembre 2011,
e J. Pasquali Cerioli, La tutela della libert religiosa nella Convenzione Europea
dei diritti dellUomo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, gennaio 2011.
16
Per quello che concerne la giurisprudenza della Corte EDU si vedano in particolare A. Nieuwenhuis, The Concept of Pluralism in the Case-Law of the Euro349

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

Il nuovo contesto sociale e culturale interroga il diritto. La nuova fenomenologia sociale rappresenta e promuove essa stessa nuovi
interessi. Questi ultimi ambiscono a conquistare una visibilit e una
rilevanza politica. Nella dinamica fisiologica del diritto, la consistenza sociale di un determinato interesse si traduce, nel tempo, in una
pi o meno corrispondente rilevanza politica. La politica infatti
chiamata a interpretare e a rappresentare nelle sedi istituzionali i bisogni e le istanze emergenti in ambito sociale. Nello stesso momento
in cui acquisiscono una rilevanza politica, i nuovi fenomeni/interessi
chiedono di essere riconosciuti come interessi meritevoli di tutela
giuridica, cio di essere recepiti e regolati dal diritto.
Se il principio pluralista rappresenta il precipitato giuridico di
alcuni dei nuovi processi sociali, la teoria del multiculturalismo ha
assunto nel corso degli anni grande centralit nella teoria politica. Le
problematiche sociali portate dalla differenziazione etnica/culturale/
religiosa hanno infatti portato ad una riflessione sulle possibilit di
gestire in concreto le differenze sociali. Ovviamente impossibile
rintracciare una nozione univoca di multiculturalismo e le diverse
concezioni appaiono a tratti confliggenti17.
Michael Helfand18 ha recentemente distinto tra un vecchio ed
un nuovo multiculturalismo. Con il primo ci si riferisce a quellapproccio teorico e pratico che, nel dedicare particolare attenzione ai
temi classici del rapporto fra diritto dello stato ed istanze provenienti
dai diversi gruppi religiosi minoritari, ha valorizzato il classico principio liberale di riconoscimento dellaltro posto a base dei principi
di eguale libert ed eguale dignit19. Giuridicamente questo si tradotto, come abbiamo precedentemente evidenziato, nella centralit
pean Court of Human Rights, in European Constitutional Law Review, 2007, 3,
pp. 367-84, e Z. Calo, Pluralism, Secularism, and the European Court of Human
Rights, in Journal of Law and Religion, 2001, vol. 26, pp. 261-80.
17
Cfr. M.L. Lanzillo, Il multiculturalismo, Laterza, Roma-Bari, 2005.
18
Cfr. M. Helfand, Religious Arbitration and the New Multiculturalism: Negotiating conflicting Legal Orders, in New York University law Review, vol. 86, 5,
2011, pp. 1231-305.
19
N. Bobbio, Uguaglianza e libert, Einaudi, Torino, 1995.
350

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

assunta dal principio pluralista. Per Helfand: I dibattiti del vecchio


multiculturalismo hanno seguito un paradigma comune concentrandosi sullincorporazione e quindi sul riconoscimento dei membri e dei
simboli delle culture minoritarie nel contesto delle istituzioni pubbliche20. Temi classici del dibattito pubblico e scientifico centrato sul
paradigma del vecchio multiculturalismo sono quindi: il ruolo della
religione nella scuola pubblica, i simboli religiosi nello spazio pubblico, il ruolo delle argomentazioni religiose nel dibattito pubblico.
Nella ricostruzione di Helfand, il nuovo multiculturalismo appare
invece meno caratterizzato dalle politiche di riconoscimento21 e di
inclusione delle minoranze religiose nello spazio pubblico, ma viene
ad assumere una nuova centralit assunta il principio di autonomia
dei gruppi religiosi e dei loro diritti. Lidentit del gruppo si definisce
in questo caso meno nelle lotte per il riconoscimento, ma soprattutto nella valorizzazione delle regole e delle pratiche dettate dai diritti
religiosi concepiti quali ordinamenti giuridici diversi da quello dello
stato. Rispetto al vecchio multiculturalismo caratteristica essenziale
del nuovo multiculturalismo quindi la valorizzazione della differenziazione delle giurisdizioni religiose con particolare enfasi posta
sulla loro differenziazione rispetto allordinamento dello stato. Il confronto tra vecchio e nuovo multiculturalismo pu dunque essere
utile ad illuminare gli scenari scientifici e didattici che una disciplina
con una lunga tradizione alle spalle come quella del diritto ecclesiastico e canonico si trova ad affrontare ai nostri giorni viste anche le
recenti novit introdotte nella definizione dei settori disciplinari.
2. La centralit del principio pluralista nella gestione giuridica e sociale della diversit religiosa, in Italia22 ed in Europa, ha consentito
20
M. Helfand, Religious Arbitration and the New Multiculturalism: Negotiating
conflicting Legal Orders cit., p. 1272 (nostra traduzione).
21
Cfr. J. Habermas, C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento,
Feltrinelli, Milano, 2002, e N. Fraser, H. Axel, Redistribuzione o riconoscimento?
Una controversia politica, Meltemi, Roma, 2007.
22
Rispetto al contesto italiano ed alla centralit del principio pluralista si veda il
volume Diritto e religione in Italia. Rapporto nazionale sulla salvaguardia della lib-

351

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

un parziale e fecondo rinnovamento delle discipline ecclesiasticistiche secondo una prospettiva che ha dato, tra le altre, ampio spazio alla
dimensione del diritto sovranazionale e comparato. In realt, questa
prospettiva non del tutto nuova e vanta ad oggi una importante storia nel campo del diritto ecclesiastico23. Quello che cambia per il
sistema delle fonti egemoni che, per dirla con una espressione di Olivier Roy, procedono alla formattazione del religioso24. Innanzitutto
ha assunto particolare importanza il sistema di tutela dei diritti della
Convenzione europea di salvaguardia dei diritti delluomo cui fa capo
la Corte di Strasburgo. Come ha sottolineato Marco Ventura:
La virt della giurisprudenza europea sta appunto nel continuo sforzo di
sintesi tra individuo e gruppo, tra diritto e diritto, tra locale e universale, tra
principio generale e singolo caso. In parte, lo stesso compito delle Corti
nazionali. Ma la virt dellistanza europea, proprio perch sopranazionale,
sta nellaver elaborato un ricco sistema di principi che non prescinde dalle
esperienze nazionali e regionali, ma al contrario le elabora e le sintetizza
[]. Che si tratti di Chiese, di Stato o di laicit, o di qualsiasi sistema generale di relazioni tra Stato e Chiesa o di qualificazione dello Stato rispetto alla
religione, spetta alla Corte di Strasburgo, se interpellata, verificare gli effetti
del sistema nel caso concreto, onde accertarsi che esso non leda la libert
religiosa e pi in generale i diritti protetti dalla Convenzione25.
ert religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale, a cura di S. Domianello, il Mulino, Bologna, 2012.
23
La metodologia comparatista gi presente agli albori della disciplina basta
citare il classico contributo di F. Ruffini, La libert religiosa. Storia dellidea, Feltrinelli, Milano, 1991. Rispetto alla dimensione sovranazionale basti il riferimento
al fondamentale contributo di F. Margiotta Broglio, La protezione internazionale
della libert religiosa nella Convenzione europea dei diritti delluomo, Giuffr, Milano, 1967.
24
Cfr. O. Roy, La santa ignoranza: Religioni senza cultura, Feltrinelli, Milano,
2009.
25
Cfr. M. Ventura, La virt della giurisdizione europea sui conflitti religiosi in
Diritto e religione in Europa. Rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti delluomo in materia di libert religiosa, a cura di R. Mazzola, il Mulino,
Bologna, 2012, pp. 360-2. Si veda anche M. Ventura, Law and Religion issues in
Strasbourg and Luxembourg: the virtues of European Courts, Religiowest working
papers, novembre 2011, disponibile su: www.religiowest.eu.
352

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

Il ruolo della Corte di Strasburgo ovviamente da integrare con


quello della Corte di giustizia dellUnione europea che, dopo soprattutto linclusione della Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea nel Trattato di Lisbona, pu fornire nuova linfa per una rinnovata concezione nuova del diritto di libert religiosa e dei rapporti fra
stato e gruppi religiosi26. Lampliamento dei temi e delle prospettive
del diritto ecclesiastico non ha riguardato solo la dimensione delle fonti sovranazionali. A questo fenomeno ha fatto da contrappeso,
anche se in dimensione non paragonabile, la valorizzazione della dimensione regionale e delle rispettive fonti27. Dopo i noti fatti del
2001 ugualmente importanti si sono rivelate le analisi delle interazioni fra libert religiosa e prospettive legate alla sicurezza interna degli
stati nazionali28. Come ha sottolineato Valerio Tozzi: Dal punto di
vista dei contenuti scientifici e dellidentit culturale il diritto ecclesiastico vivo e vegeto29.
Lallargamento e la differenziazione sostanziale dello spettro
delle fonti porta con se nuove domande di ordine metodologico e
sostanziale cui il diritto ecclesiastico chiamato a rispondere. In primis, per ci che concerne la dimensione della disciplina dei tradizionali rapporti bilaterali pattizi fra stato italiano e confessioni religiose
si aggiunge lopera del diritto della Convenzione europea dei diritti
delluomo che, soprattutto sulla base dei principi di neutralit e pluralismo, fornisce nuovo materiale alla tradizione del diritto ecclesiastico italiano. Allo stesso modo sul piano del diritto ecclesiastico
26
Limportante dinamica di relazione fra le due Corti era gi stata precedentemente sottolineata da M. Ventura, La laicit dellUnione europea. Diritti, mercato,
religione, Giappichelli, Torino, 2001. Si vedano i contributi di Gianfranco Macr
in G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e Religione, Plectica, Salerno, 2011, pp.
47-61; 100-8.
27
Cfr. ad esempio I. Bolgiani, Regioni e fattore religioso. Analisi e prospettive
normative, Vita e Pensiero, Milano, 2012
28
Cfr. R. Mazzola, La convivenza delle regole. Diritto, sicurezza e organizzazioni religiose, Giuffr, Milano, 2005.
29
Cfr. V. Tozzi, Le attuali prospettive del diritto ecclesiastico italiano, in Stato,
Chiese e pluralismo confessionale, gennaio 2007, p. 5.

353

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

orizzontale30, nonostante la grande portata innovativa dei diritti di


libert contenuti nel testo della Costituzione del 1948, si deve registrare anche in questo campo la portata innovativa delle fonti sovranazionali. Soprattutto, lattenzione degli specialisti vede spostare il
suo baricentro dallanalisi dellattivit legislativa nei rapporti bilaterali fra stato e gruppi religiosi alla focalizzazione sul ruolo del potere
giudiziario31.
Le pronunce provenienti dalle giurisdizioni internazionali sembrano offrire importanti spunti di riflessione e porre nuove domande
agli studiosi. Certo, la centralit della Corte di Strasburgo non un
dato assoluto ma da considerare in relazione alle evoluzioni politiche
del continente europeo. Come ha scritto Roberto Mazzola la pronuncia della Grande Camera della Corte EDU nel caso Lautsi impone
di verificare, nei prossimi anni, se la Corte avr la forza politica
di imporre ai singoli Stati membri un proprio uniforme modello di
politica ecclesiastica32.
Da un punto di vista pi generale le domande che le trasformazioni sociali pongono al diritto ecclesiastico fanno s che la disciplina si
30
Secondo la definizione di Consorti tale sarebbe il diritto ecclesiastico nella
sua versione di strumento per la tutela e la promozione della libert religiosa mediante la tutela e la promozione della dignit personale di ciascuno. In questo senso il
diritto ecclesiastico perde la sua connotazione verticale per assumerne una pi orizzontale. Cfr. P. Consorti, Diritto e religione, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 11-2.
31
Tale fenomeno stato ben analizzato nei lavori di Ran Hirschl. Cfr. R. Hirschl,
Towards Juristocracy. The Origins and Consequences of the New Constitutionalism,
Harvard University Press, Cambridge, 2004. Cfr. anche Id., The Secularist appeal
of Constitutional Law and Courts: A Comparative account, ReligioWest Working
paper, novembre 2011, disponibile su: www.religiowest.eu.
32
Cfr. R. Mazzola, La dottrina e i giudici di Strasburgo. Dialogo, comparazione e comprensione, in Diritto e Religione in Europa cit., p. 22. Silvio Ferrari ha
sottolineato come la sentenza della Grande Camera si ponga come problematica e
rappresenti: una fuga allindietro, che trascura le trasformazioni in atto nella demografia religiosa di tutti i paesi europei caratterizzata quasi ovunque dalla crescita
del pluralismo religioso e del numero delle persone che non si riconoscono in alcuna
religione. Cfr. S. Ferrari, La Corte di Strasburgo e larticolo 9 della Convenzione
europea. Unanalisi quantitativa della giurisprudenza, in Diritto e Religione in Europa cit., p. 53.

354

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

sforzi anche di trovare una nuova dimensione paradigmatica e teorica che possa permettere un inquadramento pi consono anche rispetto al dibattito internazionale che attualmente declinato secondo le
categorie del Law and Religion e non pi secondo quelle del Church
and State33. Non si tratterebbe di una novit di portata rivoluzionaria per una disciplina abituata sin dalla sua nascita al confronto con
linterdisciplinariet e la prospettiva storica, filosofica e teologica.
Si tratterebbe solo di una nuova presa di coscienza. Tale ridenominazione sarebbe pienamente ricompresa nella declaratoria dei settori
concorsuali prevista dallallegato B del decreto ministeriale 29 luglio 2011 (n. 336) che lascia comunque sostanzialmente intaccata
la definizione della disciplina prevista dalla legislazione precedente:
il settore comprende lattivit scientifica e didattico-formativa degli
studi relativi alla disciplina giuridica del fenomeno religioso, anche
nella prospettiva comparatistica, sia allinterno dellordinamento statuale, sia negli ordinamenti confessionali, con particolare riferimento
a quello della Chiesa Cattolica. Gli studi attengono, altres, alla storia del diritto canonico, alla storia e sistemi dei rapporti tra Stato e
Chiesa, al diritto comparato delle religioni e si estendono ai profili di
rilevanza giuridica dei fenomeni di pluralismo etico e religioso34.
Giovanni Battista Varnier aveva gi sottolineato la necessit di trovare una
nuova denominazione della disciplina: che meglio esprima i nuovi metodi e soprattutto i diversi contenuti dellinsegnamento e che nel contempo, per lindubbio
allargamento dellarea scientifica in coerenza con lassetto pluralistico del nostro
ordinamento, dia conto di tutte le discipline comprese nellarea scientifica burocraticamente indicata come Jus 11. Cfr. G.B. Varnier, Il Diritto ecclesiastico dopo
le riforme, in Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano, a cura di G.B. Varnier,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, pp. 65-6. Cfr. anche M. Ventura, Diritto ecclesiastico e Europa. Dal church and state al law and religion, in Il nuovo volto del
diritto ecclesiastico italiano cit., pp. 191-216.
34
Cfr. Decreto ministeriale 29 luglio 2011, n. 336. Determinazione dei settori
concorsuali raggruppati in macrosettori concorsuali, di cui allarticolo 15 Legge 30
dicembre 2010, n. 240. Allegato B. Numerosi studi di ecclesiasticisti e canonisti
contemporanei hanno adottato la nuova denominazione: S. Ferrari, I.C. Ibn, Diritto e religione in Europa occidentale, il Mulino, Bologna, 1997; M. Ricca, Diritto
e religione. Per una sistemica giuridica, Cedam, Padova, 2002; Diritto e religione
33

355

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

La riforma dei settori disciplinari e concorsuali porta ulteriori domande, soprattutto sul futuro della disciplina. Il decreto ministeriale
provvede alla creazione del macrosettore disciplinare 12/C Diritto
costituzionale ed ecclesiastico differenziando poi per i settori concorsuali 12/C1 e 12/C2 tra diritto costituzionale e diritto ecclesiastico e canonico. Pur rimanendo intatta lautonomia disciplinare delle
discipline ecclesiasticistiche, non si pu non notare come lentrata
nellorbita disciplinare del diritto costituzionale potrebbe potenzialmente andare a svilire la natura interdisciplinare fatta di diritto
positivo e diritti religiosi propria della tradizione ecclesiasticistica
e canonistica italiana probabilmente con particolare svantaggio del
diritto canonico spingendo sempre pi il diritto ecclesiastico verso la
prospettiva del Diritto Pubblico delle religioni35.
3. Michael Helfand non il solo a profetizzare lavvento di un nuovo multiculturalismo36. Nel 2005 Peter L. Berger affermava che la
maggior parte del mondo religiosa, come lo lAmerica: leccezioin America Latina, a cura di J.G. Navarro Floria, D. Milani, il Mulino, Bologna,
2010; P. Consorti, Diritto e religione cit.; G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto e
religione cit.; L. Musselli, Diritto e religione in Italia ed in Europa. Dai concordati
alla problematica islamica, Giappichelli, Torino, 2011; R. Mazzola, Diritto e religione in Europa cit.; S. Domianiello, Diritto e religione in Italia cit.; A. Ferrari,
Diritto e religione nellIslam mediterraneo cit.
35
Lespressione di Nicola Colaianni. Cfr. N. Colaianni, Diversit religiose
e mutamenti sociali, in Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano cit., p. 160.
36
Qui utile dare atto che, ipotizzando i possibili futuri scenari socio-religiosi
dellet tardo-moderna e dopo-moderna, le scienze socio-politologiche delle religioni hanno elaborato due paradigmi ricostruttivi. Per il c.d. paradigma della secolarizzazione, la modernizzazione si accompagnerebbe in modo fatale e irreversibile ad un processo di progressivo indifferentismo religioso/agnosticismo/ateismo.
Il paradigma c.d. della economia religiosa, al contrario, suggerisce lipotesi che
la domanda religiosa resti sostanzialmente costante anche in societ caratterizzate da
un elevato grado di modernit, cfr. S. Ferrari, Religione, societ e diritto in Europa Occidentale, in Fattore religioso, ordinamenti e identit nazionale nellItalia che
cambia, a cura di G.B. Varnier, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, Genova,
2004, pp. 37-50 (la citazione a pp. 41-2).
356

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

ne lEuropa37. Nelle previsioni del sociologo americano, la diversit europea era per destinata a venir meno quando lEuropa fosse
stata colpita da una crisi di lunga durata che avrebbe riportato in
primo piano il ruolo pubblico delle religioni38. Proiettate in una
fase, come lattuale, di profonda crisi dellarea continentale, le intuizioni di Berger ridisegnano il concetto pi tradizionale di ritorno del
religioso39. Non meno che per Helfand quando teorizza un nuovo
multiculturalismo, si deve pensare che anche Berger alluda, con il
permanere e dietro le spinte della crisi in corso, ad una trasformazione pi profonda e sostanziale del paradigma politico europeo di
gestione sociale e giuridica del fenomeno religioso. Nuovi flussi migratori e nuovi equilibri demografici porterebbero oltre il pluralismo
proprio della tradizione laica, spingendo leccezione della laicit
europea a conformarsi alla regola della religiosit americana e globale con la progressiva emersione di autonomie religiose a livello
sociale e giuridico. Non dobbiamo attenderci, dunque, la semplice
riproposizione di sperimentate politiche del riconoscimento delle diversit religiose. Proprio qui le tesi di Berger si incontrano con quelle
di Helfand e ne rappresentano il possibile completamento. Secondo
i pronostici di Berger, infatti, il nuovo multiculturalismo delle autonomie dei gruppi e dei diritti religiosi si formerebbe sul modello
multiculturale dei Paesi di tradizione anglosassone.
Come ha scritto Giovanni Battista Varnier, anche in Italia stiamo
[] passando, per quanto riguarda le garanzie per le minoranze religiose, dal riconoscimento del diritto delluguale opportunit, a quello
delluguaglianza assoluta per arrivare al diritto garantito al riconoscimento della propria differenza40.
P.L. Berger, Integrazione religiosa ed europea: osservazioni dallAmerica, in
Europa laica e puzzle religioso, a cura di K. Michalski, Marsilio, Venezia, 2005, p.
87. Cfr. anche G. Davie, Europe: The Exceptional Case. Parameters of Faith in the
Modern Word, Longman & Todd, London, 2002.
38
P.L. Berger, Integrazione religiosa cit. La citazione si trova a p. 95 ed riproposta e commentata a p. 24 da F. Margiotta Broglio nellIntroduzione, pp. 11-43.
39
S. Ferrari, Introduzione al diritto comparato cit. La citazione a p. 9.
40
G.B. Varnier, Libert, sicurezza e dialogo culturale come coordinate del rap37

357

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

Non facile dire se il diritto alla differenza religiosa sia destinato


a espandersi in autonomia religiosa e confessionale. Ma, ammettendo che lo sia, non difficile riconoscere che la prospettiva di un
multiculturalismo delle autonomie dei gruppi e dei diritti religiosi
in terra europea si accompagna a grandi incognite. Molte delle quali
dovute ad un prevedibile ricomporsi degli equilibri confessionali41.
Tanto per cominciare, un multiculturalismo delle autonomie socio-religiose incombe sulla possibilit di armonizzare societ civile
e societ religiosa42. In un contesto in cui tutte le nuove istanze giuridiche appaiono coerenti con un senso comune ormai quasi perfettamente secolarizzato, un trend di progressiva autonomia giuridica dei
gruppi e dei diritti religiosi potrebbe portare, nel tempo, a radicalizzare lalternativa tra appartenenza allordinamento civile e obbedienza agli ordinamenti confessionali. Poich infatti, come ha osservato
Silvio Ferrari, le diversit religiose, e a maggior ragione le autonomie, si affermano non soltanto nei confronti delle altre religioni ed
istituzioni religiose ma anche in relazione ai valori della modernit
e allo Stato laico che ne lespressione43, il problema , e resta,
quello di stabilire quanta autonomia e dunque, sia pure dallinterno
di un nuovo multiculturalismo, di definire i confini dellautonomia
porto tra islam e occidente, in La coesistenza religiosa: nuova sfida per lo Stato
laico, a cura di G.B. Varnier, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 53.
41
Cfr. Religione, cultura e diritto tra globale e locale, a cura di P. Piccozza,
G. Rivetti, Giuffr, Milano, 2007. Qui, in particolare, il contributo di R. Botta,
Sentimento religioso e appartenenza confessionale, pp. 51-67 e specialmente le
pagine iniziali pp. 51-4 dove lAutore sottolinea come davanti ad un processo di
frammentazione culturale la aspirazione ad operare per un recupero di valori
non si prospetta come una ricerca di elementi capaci di includere nel senso di
esaltare lidentico , bens di escludere, nel senso di esaltare il diverso: il concetto di
identit, muta cos, in qualche misura, rispetto alla sua radice semantica, contenuto,
funzione e progetto, favorendo la divaricazione pi che la coesione (p. 52).
42
Cfr. S. Ferrari, Religione, societ e diritto cit., p. 46.
43
A noi pare che proprio questa sia una delle questioni alla base della riflessione
e della proposta di P. Consorti, Pluralismo religioso: reazione giuridica multiculturalsita e proposta interculturale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale,
maggio 2007, pp. 1-29.
358

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

religiosa44. La seconda grande incognita chiama in causa la sopravvivenza del pluralismo e del principio pluralista in un contesto di
nuovo multiculturalismo.
Non a caso Giovanni Sartori ha osservato che
in linea di principio chiaro che il pluralismo tenuto a rispettare una molteplicit culturale che trova. Ma non tenuto a fabbricarla. E nella misura
in cui lodierno multiculturalismo aggressivo, separante e intollerante, nella stessa misura il multiculturalismo in questione la negazione stessa del
pluralismo. Il pluralismo sostiene e alimenta una societ aperta [], tuttavia lintento primario del pluralismo di assicurare la pace inter-culturale,
non di fomentare una ostilit tra culture []. Un riconoscimento che viene
ricambiato da un radicale disconoscimento e anti-pluralistico []. Un multiculturalismo che rivendica la secessione culturale, e che si risolve in una
tribalizzazione della cultura, anti-pluralistico45.

Marco Ventura ha ragione sia quando dice che le tensioni e i


conflitti attuali non hanno la forza di de-secolarizzare lEuropa46,
sia quando afferma la necessit di rimanere agganciati ai valori comuni dellesperienza politica e giuridica del continente: i valori della
democrazia, del pluralismo e di quella originale laicit in cui devono
Rinaldo Bertolino ha parlato di inflazione nel riconoscimento degli statuti
particolari delle organizzazioni religiose a fronte di una latitanza di un pi pieno soddisfacimento dei bisogni religiosi di ciascun consociato, cfr. R. Bertolino,
Presentazione, in Proposta di riflessione per lemanazione di una legge generale
sulle libert religiose, Atti del seminario di studio organizzato dalla Facolt di Scienze Politiche dellUniversit degli Studi di Salerno e del Dipartimento di Teoria
e Storia delle Istituzioni, Napoli e Fisciano 15, 16 e 17 ottobre 2009, a cura di V.
Tozzi, G. Macr, M. Parisi, Giappichelli, Torino, 2009, pp. VII-X (la citazione alle
pp. IX-X). Il seminario afferiva al PRIN: Libert religiosa e pluralismo giuridico
nellEuropa multiculturale: paradigmi di integrazione e confronto.
45
G. Sartori, Pluralismo, multiculturalismo ed estranei cit. Nella 3a ed. (2007),
la citazione a pp. 29-31.
46
M. Ventura, The changing civil religion of secular Europe, in The George
Washington International Law Review, 41, 4, 2010, pp. 947-61, nostra la traduzione. Sul tema della desecolarizzazione, cfr. anche V. Pacillo, Laicit necessaria, in
P. Picozza, G. Rivetti, op. cit., pp. 119-47, in particolare il par. Societ post-secolare
e desecolarizzazione del diritto? a pp. 138-45.
44

359

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

coabitare religione, mercato e diritti47. Infatti, per quanto correlate,


una cosa la resistenza del secolarismo dentro la societ e unaltra
cosa la tenuta della laicit nel diritto. Del resto, il processo di secolarizzazione della vita privata e riconfessionalizzazione della vita
pubblica48 rispecchia la contraddizione tra la forza delle pressioni
delle chiese a livello istituzionale e la debole presa sociale del messaggio religioso49.
Se dobbiamo misurarci con leventualit di un nuovo multiculturalismo delle autonomie religiose, forse ancora troppo presto
per considerare del tutto fuori pericolo50 quella alleanza tra stati e
religioni in nome delle libert religiose, sociali ed economiche che
definisce la civil religion europea51. Mai come in questo momento,
lirrisolta debolezza politico-istituzionale dellEuropa pu riflettersi
su quella civil religion che invece in America, e nei paesi di tradizione anglosassone in genere, rappresenta il naturale contrappeso alle
rivendicazioni religiose (e non soltanto religiose)52.
M. Ventura nelle conclusioni del volume: La laicit dellUnione Europea.
Diritti, mercato, religione, Giappichelli, Torino, 2001, p. 256.
48
Lespressione tratta da S. Ferrari, Religione, societ e diritto cit., p. 37.
49
Cfr. G. Macr, Europa, lobbying e fenomeno religioso. Il ruolo dei gruppi
religiosi nellEuropa politica, Giappichelli, Torino, 2004.
50
A tal proposito, losservazione con cui Andrea Bettetini risale al retaggio di
quel pensiero illuministico di cui per tanti aspetti siamo figli che ci porta a pensare
in termini dialettici, quasi manichei, di identit-opposizione, e non in una prospettiva di differenza-complementariet cfr. A. Bettetini, Religione, diritto canonico e
diritto politico in una societ dopo-moderna, in Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano cit., p. 165.
51
M. Ventura, The changing civil religion cit., p. 961. Nostra la traduzione.
52
Sul piano giuridico, tradiscono questa debolezza le oscillazioni della giurisprudenza della Corte EDU sul margine di apprezzamento da riconoscere agli Stati convenzionati in ordine alle violazioni degli artt. 9-10 della Convenzione Europea dei
Diritti dellUomo, cfr. R. Mazzola, La dottrina e i giudici di Strasburgo cit., p. 22. Sia
consentito rinviare a P. Annicchino, Tra margine di apprezzamento e neutralit: il caso
Lautsi e i nuovi equilibri della tutela europea della libert religiosa, in Diritto e religione in Europa cit. pp. 179-93; si veda anche G. Fattori, Il caso dei Raeliani contro
la Svizzera, in Studi urbinati, 2010, Nuova Serie, 61, 3, pp. 367-84, in particolare le
conclusioni a pp. 401-2. Il caso si trova attualmente allesame della Grande Camera.
47

360

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

Del resto Giuseppe Rivetti invita a non sottovalutare come, nella


diaspora della migrazione, limmigrato tutto tende (o disposto)
a modificare, sotto il profilo sociale ed economico, tranne la propria
identit religiosa53.
Quali sono, allora, le domande e quali le (possibili) risposte del
diritto canonico di fronte alle nuove prospettive multiculturali? Se il
multiculturalismo che ci attende davvero il multiculturalismo delle autonomie religiose concepito da Helfand, il diritto canonico, e
pi in generale i diritti religiosi, saranno indotti, anche da dinamiche
concorrenziali interreligiose, a cercare i pi ampi spazi di indipendenza54. In altre parole, dal diritto canonico, il multiculturalismo
delle autonomie religiose avr molte domande e poche risposte. Di
fronte alla concessione di nuovi margini di autonomia, il diritto canonico sar incoraggiato a chiedere, vorr proporre e, come tutti o quasi
tutti i diritti religiosi, ciascuno in proporzione alle proprie forze politiche e sociali, prover a pretendere. Si pensi, ad esempio, alle istanze giuridico-religiose in materia di bio-diritto55, di diritto familiare e
Cfr. G. Rivetti, Migrazione e fenomeno religioso: problemi (opportunit) e
prospettive, in G.B. Varnier, La coesistenza religiosa cit., p. 109.
54
In materia matrimoniale, un esempio efficace di logica concorrenziale tra diritti religiosi per la conquista di diritti alla differenza di spazi di autonomia offerto
da Alessandro Albisetti che comparando le bozze di intesa stipulate dalle Comunit
islamiche in Italia mette in evidenza come discostandosi dagli altri nuovi matrimoni acattolici, che appaiono di fatto corrispondenti a una sorta di matrimonio civile
celebrato in forma speciale, il matrimonio musulmano vorrebbe [] apparire ben
pi simile al matrimonio concordatario e come in sede di stipulazione dellIntesa
gli ebrei avessero rivendicato una piena parit di trattamento una piena parit di
trattamento con i cattolici in materia matrimoniale auspicando il riconoscimento di
una vera e propria giurisdizione rabbinica, cfr. A. Albisetti, Osservazioni sul matrimonio islamico, in G.B. Varnier, La coesistenza religiosa cit., p. 71, e anche in
A. Albisetti, Tra diritto ecclesiastico e canonico, Giuffr, Milano, 2009, pp. 355-61.
Non a caso lAutore auspica un unico modello di matrimonio religioso civilmente
valido, cfr. A. Albisetti, Il matrimonio dei culti acattolici, in G. Bonilini (a cura
di), Il diritto di famiglia, I, Famiglia e matrimonio, Utet, Torino, 1997, p. 336 .
55
Cfr. Marco Ventura ha infatti sottolineato che diritto e medicina [] affondano le loro radici in uno specifico panorama religioso: di religione che legittima un
sovrano; di religione che legittima unidea del binomio individuo/societ, unidea
53

361

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

di diritto matrimoniale56. Quanto alle (possibili) risposte, certamente


non si pu ignorare che a porre la dignit al centro dellordinamento giuridico sia stato, prima di ogni altro, il diritto canonico, per la
semplice ma forte ragione che per la concezione cristiana, come per
quella giudaica, ogni persona immagine di Dio57.
Non poco, e anche questo apporto ha consentito la diffusione di
una cultura dei diritti umani e poi laffermarsi di una religione dei
diritti umani58. Ma poi non si pu neppure sottovalutare che il diritdel binomio corpo/anima, unidea della fisiologia/patologia del corpo, un sistema di
controllo giuridico della malattia/terapia. Il paternalismo medico specchio del paternalismo del sovrano e del paternalismo della chiesa, cfr. M. Ventura, Il giurista
e la medicina, in Studi in onore di Remo Martini, III, Giuffr, Milano, 2009, p. 875.
In particolare si vedano i parr. 1.1 Medicina e diritto nella religione; 1.2 Medicina
e diritto separati dalla religione; 1.3 Medicina e diritto nella nuova sovranit; 2.1
Il diritto nella medicina biotecnologia; 4.4 La polarizzazione ideologica. Sul passaggio dalloriginario paternalismo medico allattuale principio bioetico di autonomia e per una sua fondazione giuridica positiva a partire dagli artt. 13, comma
2 e 32 Cost., cfr. G. Dalla Torre, Le frontiere della vita. Etica, bioetica e diritto,
Edizioni Studium, Roma, 1997, pp. 137-45. Per un approccio personalista alle
principali questioni giuridiche in materia di bioetica, cfr. ancora G. Dalla Torre,
Bioetica e diritto. Saggi, Giappichelli, Torino, 1993. Cfr. anche. F. Freni, La laicit
nel biodiritto. Le questioni bioetiche nel nuovo incedere interculturale della giuridicit, Giuffr, Milano, 2012, e ivi bibliografia. Si veda infine G. Fornero, Bioetica
cattolica e bioetica laica, Mondadori, Milano, 2005.
56
Per comprendere le possibili problematiche di un multiculturalismo delle
autonomie dei diritti religiosi in materia familiare/matrimoniale utilissima la
prospettiva del diritto comparato delle religioni del volume: R. Aluffi Beck Peccoz, A. Ferrari, A. Mordechai Rabello, Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e
islamico: un commento alle fonti, a cura di S. Ferrari, Giappichelli, Torino, 2006.
57
Cfr. O. Fumagalli Carulli, A Cesare ci che di Cesare, a Dio ci che di
Dio. Laicit dello Stato e libert delle Chiese, Vita&Pensiero, Milano, 2006, p. 143.
Cfr. anche G.B. Varnier, Unicit dellordinamento giuridico della Chiesa di Roma:
tradizione e rinnovamento, in V. Parlato, Cattolicesimo e ortodossia alla prova,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010, p. 22.
58
Espressioni tratte da C. Cardia, Genesi dei diritti umani, Giappichelli, Torino,
20052, nellIntroduzione a p. V il quale, a tal proposito, si dimostra piuttosto scettico sulle potenzialit pacificatrici entusiasticamente attribuite ai diritti umani dalla
cultura dei diritti umani.
362

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

to della Chiesa cattolica, per sua natura antropologico ed ecumenico,


preparato a governare una pluralit, mentre la sua natura dogmatica
lo rende inadatto a fronteggiare il pluralismo, e meno che mai un pluralismo delle autonomie religiose59. E soprattutto bisogna riflettere
sul fatto che altri diritti religiosi appaiono ancor pi impreparati del
diritto canonico alle sfide di un nuovo multiculturalismo.
Lo stesso ordine di considerazioni porta infine a essere parzialmente scettici sulla capacit del nuovo multiculturalismo di dare
nuovo impulso alle discipline canonistiche come invece il vecchio
multiculturalismo riuscito a fare con le discipline ecclesiasticistiche60. Anzi, tanto pi protettivi saranno i margini di autonomia,
quanto pi statico sar il diritto canonico, demotivando, cos, anche
la scienza canonistica in senso stretto61. Non c dubbio che laffermarsi di autonomie religiose possa riportare in prima pagina62 i
diritti confessionali a vantaggio delle discipline canonistiche in senso
lato, come infatti dimostrano gli sviluppi del Diritto comparato delle

Cfr. G. Barberini, Diritto canonico e pluralismo. Mezzo secolo dopo il Vaticano II, in Daimon, 2010-2011, 10, pp. 123-37. Si legga in particolare quanto
lAutore scrive a pp. 136-137: Potrebbe essere anche suggestivo immaginare che in
qualche modo il fenomeno del pluralismo possa interessare la Chiesa. Ma una compiuta conoscenza del pluralismo [] fa escludere che lordinamento ecclesiastico
possa essere interessato da tale fenomeno per quanto concerne la sua vita interna e
che il pluralismo culturale, sociale, politico e giuridico quale si realizza nel moderno Stato democratico possa fornire criteri validi di funzionamento della Chiesa
[]. Mentre il pluralismo comporta per natura sua la diversificazione degli interessi
e la contrapposizione tra centri di potere, la pluralit presente nella Chiesa non pu
mettere a rischio lindispensabile unit di fede e di disciplina e la centralit del governo episcopale. Sul governo della pluralit interna al cattolicesimo (e al cristianesimo) cfr. anche V. Parlato, Cattolicesimo e ortodossia cit., e A. Fabbri, Presenza
istituzionale e pastorale cattolica in Europa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011.
60
Cfr. P. Annicchino, par. precedente.
61
In merito si presti attenzione alle riflessioni sullesclusivismo confessionale di
R. Coppola, Lesclusivismo degli ordinamenti religiosi, in Il diritto ecclesiastico,
1996, 1, pp. 158-65.
62
Lespressione tratta da F. Margiotta Broglio, Confessioni o comunit religiose o filosofiche cit., p. 33.
59

363

Pasquale Annicchino e Gabriele Fattori

religioni63. Ma anche ci, almeno cos pare, a discapito della scienza


canonistica tradizionalmente intesa, incapace di competere con lappeal culturale e scientifico dei nuovi diritti religiosi.
4. Le sfide della pacifica convivenza religiosa in Italia ed in Europa
sembrano indicare la rotta di due movimenti simultanei e confliggenti. Da una parte la forza centrifuga del principio pluralista ha attratto
nellorbita del diritto pubblico, nazionale o sovranazionale, la regolazione del fattore religioso nella sfera pubblica e privata. Questo
ha fatto s che soprattutto la Corte europea dei diritti delluomo si
ponesse come arbitro centrale nella creazione di categorie e standard
nella protezione della libert religiosa e nella gestione dei rapporti tra
Stato e gruppi religiosi.
Dallaltra parte, il movimento centripeto azionato dai gruppi religiosi che, al fine di evitare una regolazione percepita come troppo
omologante, reclama maggiore differenza mediante la valorizzazione del principio di autonomia dei gruppi religiosi. I due movimenti
producono importanti conseguenze di ordine sostanziale e metodologico. Dal punto di vista sostanziale appare evidente come il bilanciamento tra diritti fondamentali delluomo e diritto allautonomia dei
gruppi religiosi si ponga come il delicato baricentro di un equilibrio
politico e di un nuovo assetto giuridico e di poteri che mira a dare una
regolazione quanto pi bilanciata possibile del fattore religioso nella
sfera pubblica e privata. Dal punto di vista metodologico, anche per
via delle recenti riforme ministeriali che hanno inciso sulla disciplina, i rapporti tra vecchio e nuovo multiculturalismo interrogano
profondamente anche la centenaria tradizione del diritto ecclesiastico e canonico.
Silvio Ferrari ha scritto che, per quanto coperto e negato, il
gene del Diritto canonico continua ad operare allinterno del Diritto
ecclesiastico [] la specificit del diritto ecclesiastico e quindi
anche lapporto che, nel bene e nel male, pu dare alla scienza giuridica mi pare risiedere in questa attenzione alle ragioni dellistiCfr. nota 34.

63

364

Diritto ecclesiastico e canonico tra nuovo e vecchio multiculturalismo

tuzione che, a sua volta, leco della origine canonistica di questa


disciplina64.
Le evoluzioni di questi ultimi anni sembrano invece portare ad
una progressiva marginalizzazione del diritto canonico nel contesto
delle universit statali. E anche nella comparazione giuridica, dove
lo studio dei diritti religiosi sembra aver trovato nuovi stimoli e prospettive di crescita, il diritto canonico appare il pi mortificato65. Non
che il diritto ecclesiastico se la passi meglio. Se si volesse rispondere
alla domanda66 che quasi dieci anni fa Salvatore Berling si poneva
a proposito del futuro del diritto ecclesiastico e canonico verrebbe da
dire che forse la tempesta sta per arrivare.

64
Cfr. S. Ferrari, La nascita del diritto ecclesiastico, in La costruzione di una
scienza per la nuova Italia: dal diritto canonico al diritto ecclesiastico, a cura di
G.B. Varnier, EUM, Macerata, 2011, p. 84.
65
Per esempio, un dato rilevato da Giovanni Battista Varnier nel rapporto del
diritto canonico con il diritto islamico: nel rapporto tra diritto canonico e ordinamento islamico troviamo oggi il prevalere del secondo considerato nuovo rispetto al
primo ritenuto vecchio, cfr. G.B. Varnier, Libert, sicurezza e dialogo cit., p. 58.
66
Cfr. S. Berling, Passata la tempesta? Il diritto ecclesiastico dopo la
riforma universitaria: riflessioni ex post factum, in Il nuovo volto del diritto ecclesiastico italiano cit., pp. 71-92.

365

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate


di Benedetto XVI
di Luigi Barbieri

1. La teologia dellimpresa - 2. Impresa sociale e impresa socialmente responsabile: dal genere alla specie - 3. Mercato e logica mercantile

1. La dottrina sociale della Chiesa prescinde senza eluderle dalle


problematiche strettamente tecnico-giuridiche sulla definizione del
concetto di imprenditore e azienda1, per la semplice constatazione
che essa dottrina, pur avendo tra i suoi destinatari anche i responsabili dei sistemi economici e gli operatori degli ordinamenti giuridici,
travalica, di necessit, i confini di un singolo ordinamento2.
Ad un attenta analisi sullultima enciclica sociale, della Caritas in
veritate di Benedetto XVI, non sfuggir come non sia possibile isolaLa letteratura giuridica sui concetti di impresa e lavoro naturalmente sterminata e sovrasta il nostro tema. Unimpresa si definisce economica quando preordinata alla copertura dei costi con i ricavi. Superfluo aggiungere che la definizione giuridica deducibile dallart. 2082 c.c. Cfr. S. Ambrosini, E. Barcellona, G.
Bonfante, O. Cognasso, G. Nicolini, S. Poli, N. Rondinone, Elementi di diritto
dellimpresa. Propriet industriale. Contratti commerciali. Procedure concorsuali,
Giappichelli, Torino, 2010.
2
Il messaggio contenuto nellEnciclica si rivolge innanzitutto ai sistemi economici giuridici ove il Papa pu avere uningerenza diretta, come nellordinamento
canonico o nellordinamento dello Stato Citt del Vaticano. Vale la pena segnalare
che da circa due anni con il Motu proprio del 30-12-2010 il papa ha emanato nuovo
regole per la prevenzione e il contrasto delle attivit illegali in campo finanziario
e monetario. Con lo stesso documento viene promulgata dal Supremo Legislatore
la Legge concernente la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di
attivit criminose e del finanziamento del terrorismo del 30-12-2010. C. Cardia,
Una piccola rivoluzione. Le nuove norme vaticane in materia finanziaria, in Regno
attualit, 2011, p. 73.
1

367

Luigi Barbieri

re una definizione giuridica dei predetti concetti. Trattasi di categorie


concettuali che hanno una valenza interdisciplinare, soprattutto tra
le scienze giuridiche (che riguardano il dover essere) e quelle socioeconomiche (afferenti allessere).
Lanalista deve pertanto procedere individuando i percorsi per
isolare, con un metodo empirico-induttivo, gli stessi concetti innanzi
menzionati e ricondurli negli obbiettivi della sistematica giuridica.
opportuno evidenziare in proposito che nella disamina dellEnciclica per i concetti come imprenditore, impresa e lavoro, si rinviene
una conformit allinsegnamento tradizionale della dottrina sociale
della Chiesa, dalla Rerum Novarum ai nostri giorni; per altro con
significativi adeguamenti evolutivi3.
Il Pontefice si intrattiene su tali argomenti nel capitolo IV dellEnciclica e, per quel che riguarda limprenditore e limpresa, segnatamente dal numero 40 in poi, liddove il concetto di impresa assunto
nella sua natura funzionale4. Linsegnamento pontificio presuppone
il superamento del conflitto tra etica e profitto, esemplificabile nella
vulgata nordamericana: the social responsabilities of business is to
increase its profits5.
Pi che di evoluzione in senso corrente si dovrebbe parlare di accumulazione
progressiva, verificatosi in un arco temporale pi che secolare e dovuto alle continue
metamorfosi sociali. Per una analisi di tali concetti si veda M. Guachet, La religione
nella democrazia, Dedalo, Bari, 2009.
4
La funzione dellimprenditore consiste [] essenzialmente nellindividuare
e realizzare nuove possibilit, con la creazione e realizzazione di nuovi prodotti,
con lintroduzione di nuovi metodi di produzione, con lapertura di nuovi mercati di
sbocco, di nuove fonti di approvvigionamento, P.A. Samuelson, W.D. Nordhaus,
C.A. Bollino, Economia, Emme&E, Milano, 2009, p. 703.
5
Scopo degli affari fare affari. Lespressione usata sovente da Alfred T. Sloan, presidente della General Motors nel 1923, tratta da M. Friedman, The social
responsabilities of business is to increase its profits, in The New York Magazine,
13 settembre 1970, p. 33. Vale la pena riportare un passo dello stesso autore nella
lectio magistralis tenuta in occasione del conferimento del Premio Nobel nel 1962:
lidea che i manager e i dirigenti abbiano una responsabilit sociale che va oltre
il servire gli interessi degli azionisti andata guadagnando un ampio e crescente
consenso. Una tale visione tradisce un fondamentale fraintendimento del carattere
3

368

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate

In tale paragrafo si sottolinea la imprescindibile importanza del


rapporto tra impresa ed etica, intesa questa non come semplice etichettatura, bens come manifestazione essenziale delluomo a immagine di Dio6, in relazione alle norme morali-naturali. Il Papa sottolinea il rischio dellabuso dellaggettivo etico, in quanto se esso viene
usato in modo generico e superficiale: si presta a designare contenuti anche molto diversi, al punto da far passare sotto la sua copertura
decisioni e scelte contrarie alla giustizia e al vero bene delluomo
(Caritas in veritate, n. 45).
Nel documento in esame si evidenzia come bisognerebbe indirizzarsi verso un superamento della dicotomia tra impresa finalizzata al
profitto, for profit, e quelle che non traggono alcun vantaggio lucrativo, non profit7, come pure la distinzione tra imprese produttive di
e della cultura di una economia libera. In una tale economia esiste una ed una sola
responsabilit di impresa: usare le proprie risorse e impegnarsi in attivit orientate
allaumento dei propri profitti nel rispetto delle regole del gioco, vale a dire impegnarsi in una concorrenza aperta e libera, senza inganno o frode. Leconomia civile,
che qui ci occupa, supera tale visione di un liberalismo puro. In tale superamento
il profitto non deve necessariamente prevedere lo sfruttamento del dipendente e la
sopraffazione del concorrente debole, sul punto cfr. Etica e societ, in Sinergie.
Rivista di studi e ricerche, sul sito http://www.ermes.it/sinergie/art2.html.
6
Secondo Novak i segni dellimago nellimprenditore una metafora della
Grazia, una specie di sguardo dentro le vie divine della storia possono ravvisarsi
in tali elementi. La creativit: la sua creativit ha reso accessibili ai mercati quelle
ricchezze della creazione a lungo tenute nascoste. La sua creativit lo specchio
di quella divina. La libert: limpresa rispecchia la presenza di Dio anche nella sua libert [] nella indipendenza dallo Stato. Il carattere sociale: limpresa
intrinsecamente nella sua essenza collettiva []. Per molti milioni di credenti
lambiente sociale nel quale cercare ogni giorno la propria salvezza rappresentato
dalla sfera comunitaria nel posto di lavoro. Lintuito: il capitale di base di ogni
azienda lintuito, linvenzione e la capacit di trovare strade migliori. Lintuito
di vario tipo e ricopre diversi ruoli: anche alla base dellinvenzione; costituisce il
cuore dellorganizzazione; la forza vitale in ogni strategia innovativa, produttiva
e di marketing. Scelta e libert: unazienda mette a repentaglio la sua libert []
grandi errori di strategia possono rovinare anche le imprese pi solide. M. Novak,
Verso una teologia dellimpresa, Liberi libri, Macerata, 1996, p. XII.
7
Sul punto si veda G. Feliciani, Organizzazioni non profit ed enti confessionali, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1, aprile 1997, pp. 13-22; M.C.
369

Luigi Barbieri

beni e imprese produttive di servizi, con un travaso di competenze


dal mondo non profit a quello profit (Caritas in veritate, n. 41).
Tale superamento va nel segno della rivalutazione delleconomia
civile8, intesa come una nuova realt economica ove non c separazione tra vita civile e vita economica9, uneconomia che ridefinisce il ruolo del profitto. Tale concetto polisenso, plurivalente,
scrive il Papa. Nelle varie sfaccettature dellidea di profitto bisogna
considerare che quel che comunemente si ritiene tornaconto economico semplicemente una parte di tale concetto.
Lequazione profitto=lucro economico riduttiva, se non sbagliata. La gestione dellimpresa non pu tener conto degli interessi dei
soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le
altre categorie dei soggetti che contribuiscono alla vita dellimpresa
(Caritas in veritate, n. 40).
Le attivit delleconoma civile si esplicano principalmente nel
terzo settore10, ma non solo. Per tale ridefinizione il concetto di lucro, di guadagno solo una singola voce dellintera categoria del
profitto11. Vale a dire che nellidea di profitto deve essere inglobato
Folliero, Enti religiosi e non profit tra welfare state e welfare community. La transizione, Giappichelli, Torino, 2010; A. Guarino, Organizzazioni non lucrative di utilit sociale ed enti religiosi nella riforma tributaria del terzo settore, in Quaderni
di diritto e politica ecclesiastica, 1, aprile 1997, pp. 23-48. La distinzione for profit/
non profit tipica della cultura socio-economica statunitense ed sbagliato pensare
che possa essere utilizzata come griglia universale per comprendere la responsabilit
sociale dellimpresa, L. Bruni, La ferita dellaltro. Economia e relazioni umane, Il
Margine, Trento, 2007, p. 263.
8
Branca delleconomia che si propone un umanesimo a pi dimensioni, nel quale il mercato non combattuto o controllato, ma visto come un luogo al pari degli
altri, come un momento della sfera pubblica che, se concepito e vissuto come luogo
aperto ai principi di reciprocit e gratuit, pu costruire la citt. L. Bruni, La ferita
dellaltro. Economia e relazioni umane cit., p. 268.
9
Ivi, p. 88.
10
Non si tratta solo di un terzo settore, ma di una nuova ampia realt composita che coinvolge il pubblico e il privato, Caritas in veritate, n. 46.
11
Leconomia del presente lavoro presuppone la nozione tecnica di profitto, che
in termini contabili rappresenta il ricavo totale meno i costi correttamente imputabili a beni venduti (conto profitti e perdite); mentre nella teoria economica il profitto
370

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate

anche linteresse sociale, morale, umano12. Deve ritenersi superata


dunque unidea riduttiva del profitto che manca di neutralit e che
sta ad indicare la massimizzazione del guadagno, dellarricchimento
pecuniario.
Nelleconomia del dono limprenditore deve sentirsi appagato
non solo per la giusta mercede13, che consegue con la sua capacit
organizzativa tra beni, capitale e lavoro, bens anche per il conseguimento del prestigio sociale14, suo personale e dellimpresa; ancora
per la soddisfazione morale di aver realizzato un ente economicamente valido per la societ, produttore di ricchezza equa e solidale,
che ha tra i suoi effetti primari quello di ridurre il tasso di disoccupazione; in ultima analisi per una forma concreta di solidariet15.
Nellinsegnamento pontificio il termine profitto16 viene inteso come
la differenza tra il ricavo delle vendite e il costo-opportunit totale delle risorse connesse alla produzione dei beni. Sul punto si veda A. Samuelson, W.D.D.
Nordhaus, C.A. Bollino, Economia cit., pp. 764 ss.
12
A. Quadrio Curzio, Per una riflessione sul profitto, in Aggiornamenti sociali, XXXVI, 1985, pp. 675-86.
13
Lespressione scritta a carattere corsivo perch viene usata per la prima volta
nella Rerum Novarum, n. 34, promulgata dal Leone XIII nel 1891, cfr. P. Savona,
Caritas in veritate: un manifesto per lo sviluppo, in Aggiornamenti sociali, n. 7,
2010, pp. 523 ss. La terminologia ha comunque la sua matrice nel Vangelo di Luca:
Loperaio degno della sua mercede (10,7).
14
A. Smith, The Wealth of the Nations (1776), cfr. M. Friedman, Capitalismo e
libert, IBLLibri, Torino, 2005, p. 205, in particolare nota 4.
15
Riecheggiano in queste considerazioni le pagine di L. von Mises: La direzione degli affari economici in una societ di mercato compito degli imprenditori.
Loro il controllo della produzione. Essi sono al timone e guidano la barca. Un osservatore superficiale crederebbe che siano in posizione dominante, ma non lo sono.
Sono infatti tenuti a obbedire incondizionatamente agli ordini del capitano, e questi
il consumatore. L. von Mises, Lazione umana, Il Sole 24 Ore, Milano, 2010.
16
In termini sostanzialmente conformi si era espresso anche Giovanni Paolo II:
la Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento dellazienda: quando unazienda produce profitto, ci significa che i fattori
produttivi sono stati adeguatamente impiegati e i corrispettivi bisogni umani adeguatamente soddisfatti (Centesimus annus, n. 35). Sulla stessa scia lattuale Pontefice: la moderna economia di impresa comporta aspetti positivi, la cui radice la
libert della persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri campi,
371

Luigi Barbieri

uno strumento per realizzare finalit umane e sociali [] per raggiungere finalit di umanizzazione del mercato (Caritas in veritate,
n. 46)17. Luomo non deve tendere a divenire un fabbricatore di profitto, bens un artefice di produttivit18.
Da ci limprocrastinabile esigenza di armonizzare la legislazione, soprattutto fiscale, a tale nuova categoria economica-giuridica,
anche al fine di creare le condizioni per un mercato pi civile e nello
stesso tempo pi competitivo, secondo la lezione di Amartya Sen:
il mercato vero mercato quando non produce solo ricchezza, ma
soddisfa attese e valori etici19.
La svolta che viene sollecitata dallinsegnamento ratzingeriano
quella di riconciliare le dimensioni della persona umana, ritrovando accanto alla ricerca dellutilit anche i valori che nascono dalle
relazioni con gli altri, basate sulla fraternit: amicizia e rapporti di
mercato non possono restare divisi. La proposta quella di non considerare il volontariato, il non profit, il terzo settore come elementi complementari e separati, ma come realt capaci di contaminare
positivamente con la forza del dono tutto loperare economico. In
sostanza una economia a base etica che diventi correttiva dei sistemi economici-finanziari esistenti, non gi funzionale alle loro
disfunzioni (Caritas in veritate, n. 45).
Ha scritto Stefano Zamagni sul punto:
Il futuro appartiene alleconomia civile, la cui idea centrale fondare
larchitettura della societ su tre pilastri: pubblico (Stato ed Enti Pubblici),
privato (mondo delle imprese) e civile (organizzazione della societ civile,
perch sempre vale il diritto di libert come dovere di fare uso responsabile di
essa (Caritas in veritate, n. 32).
17
una profonda riflessione teologica che libera limprenditore dal senso di
colpa, per non considerare pi furto il profitto, furbizia lintelligenza, banditismo
il senso del rischio, cfr. D. Antiseri, Prefazione a M. Novak, Verso una teologia
dellimpresa cit., p. XIII.
18
A. Fanfani, Capitalismo, socialit, partecipazione, Mursia, Milano, 1976, p.
69. Il riferimento a tale autore viene richiamato nella sua esperienza culturale e prepolitica.
19
A. Sen, Lidea di giustizia, Mondadori, Milano, 2010, p. 23.
372

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate


per comodit denotate come terzo settore). I tre pilastri devono interagire tra
di loro in maniera organica secondo il metodo deliberativolordine sociale non pi basato sulla dicotomia pubblico-privato (o Stato-mercato), ma
sulla tricotomia pubblico, privato, civile. in ci lessenza del principio di
sussidiariet circolare. In questo modo si potranno risolvere problemi urgenti come la piena occupazione, che le sole forze del settore capitalistico non
possono assicurare; un nuovo Welfare, fondato sullalleanza tra pubblico e
privato e civile; il family mainstreaming per attuare politiche di armonizzazione tra lavoro e famiglia. Leconomia ha bisogno di una triplice scossa
culturale, politica ed etica20.

Scrive il Papa sul punto:


per rispondere alle esigenze e alla dignit di chi lavora, e ai bisogni della
societ, esistono vari tipi di imprese, ben oltre la sola distinzione tra privato e pubblico. Ognuna richiede ed esprime una capacit imprenditoriale
specifica. Al fine di realizzare uneconomia che nel prossimo futuro sappia
porsi al servizio del bene comune nazionale e mondiale opportuno tener
conto di questo significato esteso di imprenditorialit21. Questa concezione
pi ampia favorisce lo scambio e la formazione reciproca tra le diverse tipologie di imprenditorialit, con travaso di competenze dal mondo non profit
a quello profit e viceversa, da quello pubblico a quello proprio della societ
civile, da quello delle economie avanzate a quello dei Paesi in via di sviluppo (Caritas in veritate, n. 41).

In questa luce va rivalutato il business ethic espressamente richiamato nella Caritas in veritate al n. 45 che si fonda su un sistema di principi morali atti a regolare il comportamento delle imprese
nel suo complesso e dei singoli individui che in essa e per essa operano, con il rigoroso e costante rispetto dei valori prescelti, preferibilmente tra loro ordinati in gerarchia, secondo una scala di sistema di
priorit22. In altre parole per impresa etica deve intendersi quella che
In Avvenire, 18-10-2011.
Cfr. M.C. Folliero, Enti religiosi e non profit tra welfare state e welfare community cit., pp. 127 ss.
22
Traggo tale definizione da R. De George, Letica degli affari di fronte al futuro, in Etica degli affari e delle professioni, Citt Nuova, Milano, 1993, p. 4, ove si
rimanda anche a V. Coda, Valori imprenditoriali e successo dellimpresa, in Finanza, Marketing e Produzione, 1985, f. 2, p. 29.
20
21

373

Luigi Barbieri

ha loggetto, lo scopo e le modalit di gestione parametrati ai canoni


eticamente condivisi dalla societ in cui opera, con un sostanziale
equilibrio tra gli obiettivi perseguiti come entit economica e i valori
moralmente diffusi23. In tale impostazione giocano un ruolo determinante lassunzione dei codici etici24, atti prevalentemente a garantire,
come meglio si vedr in seguito, il rispetto dei diritti umani, sia con
riferimento ai lavoratori dellazienda, che al consumatore, sia alle
norme poste a salvaguardia dellambiente e del sistema ecologico.
In tal senso limpresa, assunta come societ intermedia perch
espressione della natura socievole delluomo25 pu divenire un utile strumento di giustizia sociale, unistituzione che funge da mediatrice tra il singolo individuo e lo Stato onnipotente26, in quanto
ragioni di saggezza e di prudenza suggeriscono di non proclamare
troppo affrettatamente la fine dello Stato. In relazione alla crisi attuale il ruolo sembra destinato a crescere, riacquistando molto delle
sue competenze. Ci sono poi delle Nazioni in cui la costruzione o la
ricostruzione dello Stato continua ad essere un elemento chiave dello
sviluppo (Caritas in veritate, n. 41).
Anche perch compito dellordinamento statale salvaguardare
i soggetti operativi e i consumatori dal mercato nero o collaterale.
Il riferimento principale che si legge nellenciclica va alle banche, al micro
credito e alla micro finanza. Caritas in veritate, n. 45.
24
Che adottano parametri di divieto price-fixing (pratiche monopolistiche illegali), di uso di informazioni del mercato finanziario, di contributi illegali a partiti
o correnti politiche; al divieto di violazione della legislazione sullambiente, della
salute e sicurezza sul lavoro, cfr. G.C.S. Benson, Codes of Ethics, in Journal of
business ethics, 2009, p. 8. Ad avviso di chi scrive le norme dei codici etici hanno
lefficacia delle norme di derivazione volontaristica, ovvero di una obbligazione di
diritto naturale. M.R. Ferrarese, Il diritto al presente, il Mulino, Bologna, 2002; P.
Gianiti, Principi di deontologia forense, Cedam, Padova, 1992.
25
Limpresa non solo unistituzione economica. anche unistituzione morale e politica. Genera e allo stesso tempo ne dipende alcune virt morali e politiche
[] fornisce anche nuove fondamenta per la politica, M. Novak, Verso una teologia dellimpresa cit., p. 73.
26
D. Antiseri, Prefazione a M. Novak, Verso una teologia dellimpresa cit., p.
XII.
23

374

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate

compito dello Stato emanare leggi per incentivi di efficacia: Le


leggi migliori sono quelle che consentono di perseguire, in maniera
efficace, la realizzazione di determinati lavori creando gli incentivi
opportuni negli operatori economici27.
2. Limpresa etica si scinde in un rapporto di genere a specie nellimpresa sociale28 e nellimpresa socialmente responsabile, richiamata
espressamente nel documento papale al n. 4129.
Limpresa sociale (olim: SI) si concretizza per lassenza dello
scopo di lucro, per cui la relativa attivit economica produttiva deve
rientrare nellelenco tassativo previsto dallart. 2 del decreto legislativo 155/200630. Per tali imprese il profitto non il primo movente
27
Ad esempio leggi sulle polveri sottili, L. Becchetti, Oltre lhomo oeconomicus. Felicit, responsabilit, economia delle relazioni, Citt Nuova, Milano, 2010,
p. 135.
28
Contemplata nel nostro ordinamento giuridico dal d. lgs. n. 155/2006. Sul punto A. Fuccillo, Disciplina dellimpresa sociale. Commento al decreto legislativo n.
155/2006, in N.L.C.C., 2007, pp. 317-36. P. Consorti, La disciplina dellimpresa
sociale e il 5 per mille, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 2, 2006,
p. 454-74. A. Bettetini, Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e disciplina
dellimpresa sociale. Lesercizio in forma economica di attivit socialmente utili da
parte di un ente religioso, in Ius Ecclesiae, n. 18, 2006, pp. 719-40. A. Bettetini,
S. Giacchi, Gli enti ecclesiastici e la disciplina dellimpresa sociale, in Il Diritto
ecclesiastico, n. 2, 2010, pp. 144 ss.
29
Osserva M. Yunus: molti restano perplessi quando sentono parlare per la prima volta di business sociale, e di solito lo confondono con limprenditorialit sociale
[...] il business un sottosistema dellimprenditorialit sociale. Chiunque progetti o
guidi un business sociale un imprenditore socialmente orientato. Ma non vero
il contrario, non tutti gli imprenditori socialmente orientati sono impegnati in un
business sociale; naturalmente lautore scarta lipotesi di immaginare un ibrido tra
le due tipologie di imprese: esiste un numero illimitato di ricerche per dar vita ad
un ibrido del genere, per esempio si pu pensare ad unimpresa con un 60% di motivazioni sociali e un 40% di motivazioni di interesse personale. Nella realt sarebbe
molto difficile controllare unimpresa controllata da due obbiettivi in conflitto con
la massimizzazione del profitto e la ricerca del miglioramento sociale, M. Yunus,
Un mondo senza povert, traduzione di P. Anelli, Feltrinelli, Milano, 2008, p. 47.
30
Tale normativa viene sottoposta a dura critica dalla dottrina socio economica,
L. Bruni, La ferita dellaltro cit., p. 86, nota 60.

375

Luigi Barbieri

dellagire aziendale, anzi esso un obiettivo meramente strumentale


al perseguimento di altre priorit.
In sostanza per definire unimpresa sociale non si devono valutare
tanto i beni e i servizi prodotti, quanto gli obiettivi e la modalit con
cui la produzione realizzata. La dottrina economica pi accreditata
cos, di recente, ha definito limpresa sociale; essa quellentit che
configura un soggetto giuridico privato e autonomo dalla pubblica amministrazione, che svolge attivit produttive secondo criteri imprenditoriali (continuit, sostenibilit, qualit), ma che persegue, a differenza delle imprese
convenzionali, unesplicita finalit sociale che si traduce nella produzione
dei beni diretti a favore di una intera comunit o di soggetti svantaggiati.
Essa esclude la ricerca del massimo profitto in capo a coloro che apportano il
capitale di rischio ed piuttosto tesa alla ricerca dellequilibrio tra la giusta
remunerazione di almeno una parte dei fattori produttivi e le possibili ricadute a vantaggio di coloro che utilizzano i beni o i servizi prodotti31,

vale a dire scrive il Papa a vantaggio dei lavoratori, [dei]


clienti, [dei] fornitori dei vari fattori di produzione [de]la comunit
di riferimento (Caritas in veritate, n. 40). Limpresa socialmente responsabile32 caratterizzata da una diversa idea del ruolo del profitto
(non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalit umane e sociali, Caritas in veritate, n. 46). Tale tipo di impresa ha trovato una maggiore considerazione anche nella legislazione
europea. In conformit a tali principi nel libro Verde della commissione Europea del 200133 vi si legge la definizione di diritto comunitario di impresa a responsabilit sociale: Lintegrazione volontaria
delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro
C. Borzaca, Impresa sociale, voce in Dizionario di economia civile, Citt Nuova, Roma, 2009, p. 516.
32
La responsabilit sociale di impresa un tema molto studiato nella letteratura
economica contemporanea. Per tutti si veda L. Gallino, Limpresa irresponsabile,
Einaudi, Torino, 2005.
33
Commissione della Comunit Europea, Promuovere un quadro europeo per
la responsabilit sociale delle imprese, cfr. il sito http://europa.euint./comm/employment_social/soc-dial/csr/csr_ index.htm
31

376

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate

operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate34.


Limpresa socialmente responsabile intende ridimensionare il ruolo
svolto dal profitto individuale del proprietario dellazienda, per destinare una quota parte dei proventi alla soluzione dei problemi di
natura sociale ed ecologica. Per raggiungere tali finalit limpresa si
autovincola ad una governance di multistakeholders, con il coinvolgimento dei lavoratori e degli altri portatori di interessi (consumatori
e fornitori, diversi dagli azionisti) nei processi di decisione aziendale.
Anche tale tipologia di impresa adotta, in genere, un proprio codice
etico. Il fatto che queste imprese distribuiscano o meno gli utili oppure che assumano luna o laltra delle configurazioni previste dalle
norme giuridiche diventa secondario di fronte alla loro disponibilit
a concepire il profitto come uno strumento per raggiungere finalit di umanizzazione del mercato e della societ35, in quanto dette
imprese fanno evolvere il sistema verso una pi chiara e compiuta
assunzione dei doveri da parte dei soggetti economici, giacch
la stessa pluralit delle forme di impresa a generare un mercato pi
civile e al tempo stesso pi competitivo (Caritas in veritate, n. 46).
Questa diversa tipologia di impresa36 deve concorrere ad individuare nellidea di profitto non solo un indicatore sintetico di efficienza allocativa delle risorse (il pi delle volte insufficienti), ma
soprattutto un criterio di equit che generi sviluppo materiale e morale37. Il profitto pertanto non deve essere pi visto come il fine unico
Commissione Europea, Green Paper, Promoting a European framework for
Corporate Social Responsability, Com. 2001, n. 366 del 18 luglio, Bruxelles, consultabile online.
35
Corsivo aggiunto.
36
Altra teoria economica, che sprigiona un certo fascino ai profani della scienza
economica, preferisce parlare di Impresa socialmente innovatrice, si confronti in
proposito M. Molteni, Imprenditore socialmente innovatore, voce in Dizionario di
economia civile cit., pp. 511 ss. Per altro non rientra nelleconomia del presente
lavoro catalogare, analizzare le varie teorie su tali concetti, essendo qui sufficiente
dare una ricognizione sintetica sulle categorie socio-economiche-giuridiche adoperate nel documento papale.
37
Il principale problema connesso con la responsabilit sociale dimpresa consiste nel fatto che per la loro natura [le imprese tradizionali] non sono attrezzate
34

377

Luigi Barbieri

delloperato dellimpresa, ma anche come un mezzo necessario alla


realizzazione del benessere sociale, valutando globalmente loperato
delle imprese, non solo per la qualit dei beni e dei servizi offerti,
bens anche per lattenzione alla riduzione dellinquinamento atmosferico, alla qualit del lavoro richiesto, alle strutture organizzative e
ai dividendi e a tutto ci che una azienda proietta nel mondo sociale
e istituzionale38. M. Yunus39 tratteggia un elenco meramente esemper misurarsi con i problemi sociali, e questo non perch chi le dirige sia necessariamente avido, egoista o malvagio. qualcosa di connesso alla natura stessa delluniverso aziendale o, volendo scendere pi in profondit, al concetto di impresa, che
il cuore del sistema capitalistico, M. Yunus, Un mondo senza povert cit., p. 81.
38
Adottando politiche salariali e di assunzioni per i soggetti deboli, migliorando
le condizioni ambientali per le prestazioni di lavoro dei dipendenti, promuovendo
corsi di formazione professionale, finanziando iniziative culturali o benefiche finalizzate al miglioramento dellambiente sociale, ovvero evitando pratiche inquinanti
nello sfruttamento delle risorse o nella lavorazione delle materie prime, cfr. P. Di
Toro, Letica nella gestione di impresa, Cedam, Padova, 1993, pp. 105 ss.
39
Lo scienziato, premio Nobel per leconomia nel 2006, per la verit ha indirizzato la sua ricerca e la sua azione di economista (impegnato anche politicamente)
prevalentemente allobiettivo di sconfiggere la povert nei paesi sottosviluppati,
come il suo Bangladesh; il banchiere dei poveri ritiene che un mondo senza poveri
debba essere una finalit realizzabile e non utopia. Va davvero riconosciuto grande
merito a tale scienziato per la sua opera a favore della distruzione di una piaga sociale di dimensioni mondiali. Lautore, probabilmente di tradizione induista, viene
citato di rado nella bibliografia ufficiale della dottrina sociale della Chiesa, tuttavia
non viene ignorato. C da dire per che lidea di Yunus non nuova. La microfinanza, come ricorda il Papa nella stessa enciclica trova origine nellopera e nel pensiero
della scuola francescana del tardo medioevo, che ebbe anche: La felice intuizione
dei Monti di Piet che elargivano i loro prestiti caso per caso in funzione delle
effettive necessit [microcredito ] primi finanziatori del credito al consumo e allo
sviluppo delle piccole imprese. Magnum pietatis opus istituti di credito sorti nella
met del XV secolo per i piccoli prestiti, cercando di coniugare le esigenze economiche con quelle etiche. I Monti di Piet avranno definitiva legittimazione dal Concilio
Lateranense V (1512-1517) e dalla bolla di Leone X del 4-5-1512. Le frasi virgolettate sono di O. Bazichi, Appunti sulletica economica della scuola francescana,
in Acta Philosophica, Rivista internazionale di filosofia, fascicolo 1, volume 21,
2012, p. 17; Eiusdem, Il paradosso francescano tra povert e societ di mercato.
Dai Monti di Piet alle nuove frontiere etico-sociali del credito, Effat, Cantalupo,
Torino, 2011. Ma sul punto cfr. A. Andreani, V. Pelligra, Microfinanza, il Mulino,
378

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate

plificativo delle imprese socialmente responsabili, come quelle nel


campo sanitario, nel campo scolastico e cos via.
3. A margine di queste brevi considerazioni sulla teologia dellimpresa nellanalisi dellenciclica sembra opportuno uno sguardo di
insieme a concetti pi strettamente di natura tecnica, che vengono
utilizzati dal Papa, in senso talvolta a-specifico.
il caso della nozione di mercato e della logica mercantile.
Il concetto di mercato, nella sua accezione pi ampia, omnicomprensivo e polisenso40. Detto istituto una categoria analitica, un
immenso meccanismo complesso e altamente sofisticato, capace di
indicare degli insiemi smisuratamente grandi di sistemi di valori monetari tendenzialmente coerenti tra di loro distesi su un orizzonte
temporale che pu arrivare a cento anni, in ognuno dei quali riassunto un elevato numero di informazioni, di aspettative, di possibili
comportamenti41.
Dal XVII secolo in poi con tale termine si indica un insieme di
ipotesi relative al funzionamento della societ nella sfera economicopolitica. Il punto nodale quello di stabilire se le logiche del mercato
presuppongono un funzionamento automatico, ovvero se richiedano
Bologna, 2009; M. Muzzarelli, Il denaro e la salvezza. Linvenzione del Monte di
Piet, il Mulino, Bologna, 2001. impossibile per ignorare un docente, premio
Nobel per leconomia, ma soprattutto perch nella sostanza diverge di poco con
laltro scienziato, anchegli premio Nobel di fede cattolica, ispiratore dellEnciclica
di Benedetto XVI: Amartya Sen. Entrambi attenti a non far confondere il concetto di
dono con la gratuit e principalmente con la filantropia.
40
La scienza economica ha approfondito lo studio del mercato da epoche remote. Luso di ordinare i mercati risale allantica Grecia, ove esistevano gli agoranomoi; nellepoca classica romana esistevano gli edili e i prefetti addetti ai mercati
interni (dalletimo latino mercari, commerciare); dalleditto di Teodosio (386 d.C.,
il noto editto Cunctos populos, dal quale significativamente si fa derivare lorigine
del principio della religione di Stato) vi provvidero le gerarchie ecclesiastiche. Dal
medio evo in poi la regolamentazione del mercato fu assunta direttamente dai principi, re, conti e signori, che propiziarono il primo nucleo essenziale della scienza di
politica economica. F. Galgano, Lex mercatoria, il Mulino, Bologna, 2010, p. 182.
41
P. Barucci, I cattolici e il mercato cit., pp. 10 ss.
379

Luigi Barbieri

un intervento regolatore esterno, soprattutto da parte dello Stato.


noto che il primo economista-filosofo che si posto tale punto di domanda risponde al nome di A. Smith, il quale con la sua opera Teoria
dei sentimenti morali, propone la metafora della mano invisibile
(vale a dire un meccanismo di adeguamento dellofferta alla domanda). Smith parte dallesigenza di risolvere il quesito se la legge di
mercato (lex mercatoria) imporrebbe una separazione tra etica individuale e coesione sociale; di qui la necessit di richiamare un senso
di giustizia sociale per evitare il crollo dellintero edificio sociale.
Pertanto la politica deve divenire uno strumento fondamentale
e insostituibile per le regolamentazioni necessarie del mercato. Dal
XVIII secolo in poi la storia del pensiero economico registrer una
continua oscillazione tra il capitalismo di Stato, dirigismo, e liberalismo di mercato, dove trover ingresso lelemento capitalistico
imprenditoriale42. Da tale epoca leconomia diviene un sottosistema
della societ e il pensiero economico viene considerato come politica
pratica, che si occupa soprattutto di scambi e di mercati, pervenendo
alla definizione di una nuova disciplina: leconomia politica43.
Dallepoca della caduta del sistema feudale tale scienza contempler e discipliner il moderno mercato della concorrenza: la libera
concorrenza la mano invisibile (invisble hand) che spesso (frequently) trasforma gli interessi individuali in azioni morali44.
NellEnciclica (Caritas in veritate n. 25), tali concetti vengono
utilizzati in considerazione di una prospettiva non strettamente tecF. Galgano, op. cit., p. 190.
G. Ardant, Politica finanziaria e struttura economica degli Stati nazionali
moderni, in La formazione degli Stati nazionali nellEuropa occidentale, a cura di
C. Tilly, il Mulino, Bologna, 1999, pp. 153 ss.; il rapporto tra diritto e mercato
stato analizzato tra gli altri da M. Barcellona, Diritto, sistema e senso, Giappichelli,
Torino, 1996.
44
Per quanto egoista si possa ritenere luomo, sono chiaramente presenti nella
sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe alle fortune altrui, e che rendono
per lui necessaria laltrui felicit, nonostante che da essa egli non ottenga altro che il
piacere di contemplarla, A. Smith, Theory of Moral Sentiments (1759), trad. italiana Teoria dei sentimenti morali, Mondadori, Milano, 2009.
42
43

380

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate

nica. Il n. 35 della Caritas in veritate lapidario: il mercato se


c fiducia reciproca e generalizzata listituzione economica che
permette lincontro tra le persone, in quanto operatori economici che
utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e
desideri. Il mercato soggetto al principio della cosiddetta giustizia
commutativa45, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere
tra soggetti paritetici46.
Dal punto di vista spaziale locale, internazionale o mondiale il
Papa prende in considerazione lultimo aspetto, qualificando il mercato pi appropriatamente come globale47.
Sul punto si veda A. Sen, Lidea di giustizia cit.
Di recente stato rievocato da economisti certamente laici il valore sacrale
dellorigine della legge mercantile: Prima che esistessero le monete si cominciato
a scambiare gli oggetti rari [] esisteva un rito dello scambio silenzioso, durante
il quale si posavano gli oggetti da scambiare in un luogo molto particolare, in genere
una radura con qualche connotazione religiosa. Il venditore lasciava loggetto e se
ne andava: chi lo voleva gli posava qualcosaltro in cambio; se il venditore accettava
veniva a prendere laltra cosa e se la portava via. Lo scambio era cos concluso senza
che le due parti si incontrassero, cfr. J. Attali, Il senso delle cose, Cedam, Padova,
2011, p. 233. Vedremo nel cap. IV che il Mauss, sociologo di una generazione precedente ad Attali, spinger allestreme conseguenze le conclusioni delle sue ricerche,
affermando che alla base delleconomia non vi era il baratto, bens il dono.
47
Sul punto cfr. P. Barucci, I cattolici e il mercato cit., p. 7, e, per unanalisi pi
strettamente storico-giuridica A. Guarino, Commercium et jus commercii, Jovene,
Napoli, 1973. La seconda classificazione riguarda loggetto: mercato dei prodotti, dei servizi, del lavoro, dei capitali, distinto a sua volta in mercato monetario e
mercato finanziario, cfr. D. Regoli, voce Mercati finanziari in diritto comparato, in
Digesto delle discipline privatistiche - Sezione Commerciale, vol. IX, Utet, Torino,
1996, pp. 407 ss.; per tale ultimo tipo di mercato allo stato gli stessi economisti di
formazione cattolica lamentano un atteggiamento troppo silenzioso della dottrina
sociale della Chiesa, sul punto rinvio a E. Malinvaud, voce Mercato, in Dizionario della dottrina sociale della Chiesa, LAS, Roma, 2005, pp. 426 ss. Dal punto
di vista soggettivo distinguiamo nella categoria del mercato dei produttori e degli
acquirenti, con particolare attenzione alla categoria dei consumatori. In tale ultima
angolazione il mercato generale se si riesce a favorire lincontro della domanda e
dellofferta di tutti i beni economici prodotti o speciale se si riferisce a una determinata merce. P.A. Samuelson, W.D. Nordhaus, C.A. Bollino, Economia cit., p. 798.
45
46

381

Luigi Barbieri

Nellinsegnamento pontificio il mercato globale il luogo dove


i Paesi ricchi devono ricercare le aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni per
accrescere il potere ed accelerare il tasso di sviluppo centrato sui
maggiori consumi per il proprio mercato interno. Vale a dire che il
mercato deve tornare ad essere una comunit da rifornire, non una
piazza da conquistare.
Il Papa ammonisce subito per sui rischi di natura etico-sociale
connessi a tale definizione di mercato, che ha stimolato forme nuove di competizione tra Stati, allo scopo di attirare centri produttivi di
imprese straniere per maggiori vantaggi economici a scapito delle reti di sicurezza sociale, caratterizzati da una imposizione fiscale
blanda a favore delle imprese straniere e nella deregulation del mondo del lavoro. Il pontefice non nega che il mercato debba essere soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, tuttavia
tale principio non deve essere mai scisso da quello della giustizia
distributiva e della giustizia sociale, altrimenti il mercato non rinviene alcuna forma di coesione sociale, indispensabile per uno suo
retto funzionamento.
La logica mercantile deve essere finalizzata al perseguimento del
bene comune. E a tale proposito il pontefice osserva che possono essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialit,
di solidariet e di reciprocit anche allinterno dellattivit economica e non soltanto fuori di essa o dopo di essa. Il Papa osserva che
lattivit economica di per s neutra, ma luso che ne fa il soggetto
economico che la rende positiva o negativa in s.
Pertanto anche nei rapporti mercantili il principio di gratuit e la
logica del dono come espressione della fraternit possono e devono
trovare posto entro la normale attivit economica [] unesigenza
della stessa ragione economica (Caritas in veritate, n. 36), in quanto il soggetto economico pu informare il proprio agire a principi
diversi del puro profitto, senza per ci stesso rinunciare a produrre
valore economico (Caritas in veritate, n. 37).
In tale ottica loperatore giuridico dovr limitarsi a dettare le norme che reprimono e pi ancora prevengono gli eccessi e gli abusi
382

Il business ethics nellEnciclica Caritas in veritate

degli operatori finanziari. questo il senso della normativa gi in


atto in molti paesi europei in relazione allantitrust, ovvero allistituzioni delle aucthorities.
Lintervento normativo occorre per disciplinare un rigoroso ordinamento monetario, un credito conforme alle norme sulla concorrenza, lattivit dei monopoli, una legislazione tributaria neutrale
rispetto alla concorrenza, la protezione dellambiente e la tutela del
consumatore48. In sintesi per quel che pu essere definito il liberalismo delle regole49.
Regole che non possono essere solo il frutto di unautoregolazione degli
attori del mercato. Su questo punto, nei decenni passati si fatta molta ideologia: non esiste un solo caso nella storia, di un mercato che sia nato e si sia
mantenuto senza interventi regolativi da parte dei poteri esterni del mercato
stesso. Il mercato oltre che ad avere alcuni fondamentali automatismi di funzionamento, ha anche un importante aspetto istituzionale, unistituzione
frutto di regole e produttrice di regole [] regole per la libert economica
come aspetto della libert umana nel suo insieme e, dunque, regole tali che
rinforzino anche le libert civili e politiche, ma ci devono essere50.

Con tali brevi notazioni crediamo di aver delineato gli aspetti salienti del business ethics in tema di dottrina sociale della Chiesa, cos
come tratteggiato nella enciclica Caritas in veritate, ultimo documento papale in materia socio-economica.

F. Felice, Leconomia sociale di mercato. Origini, relazioni con la dottrina sociale della Chiesa e implicazioni attuali, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 12.
49
A.M. Baggio, Il ritorno delletica: una lettura ragionata della crisi, in A.M.
Baggio, L. Bruni, P. Coda, La crisi economica. Appello a una nuova responsabilit,
Citt Nuova, Roma, 2009, p. 15.
50
A.M. Baggio, Il ritorno delletica: una lettura ragionata della crisi, in A.M.
Baggio, L. Bruni, P. Coda, La crisi economica. Appello a una nuova responsabilit
p. 11.
48

383

Laicit e libert religiosa

Laicit e libert religiosa:


prospettive dellattuale diritto delle religioni
di Germana Carobene

Le dinamiche delle societ multiculturali e pluraliste sono legate


allemergere di nuove problematiche che investono il tessuto sociale
e richiedono rinnovati interventi normativi1. Sono molteplici i settori
nei quali si sollecita lintervento del legislatore, dallesibizione dei
simboli religiosi, sia in forma privata che pubblica, allesercizio di
pratiche rituali non codificate nella nostra tradizione culturale, dal
riconoscimento delle diverse forme di adozione dei minori alle pratiche di fine-vita, alle festivit religiose, nel rispetto delle singole
opzioni etiche e morali.
Questo fenomeno investe il quadro generale delle discipline giuridiche, ma riveste un interesse particolare per lecclesiasticista il cui
ambito di studi tradizionalmente sensibile allapporto di altri settori
scientifici dalla sociologia, allantropologia, alla filosofia, alla morale2. Ed in tal senso che si orienta anche la pi recente dottrina in
materia centralizzando lo studio del diritto ecclesiastico sul trinomio
diritto - politica - religione3.
W. Kymlicka, Multicultural Citizenship: A Liberal Theory of Minority Rights,
Clarendon Press, Oxford, 1995.
2
Cfr. S. Ferlito, Le religioni, il giurista e lantropologo, Rubettino, Soveria
Mannelli, 2005.
3
In tale direzione si sono orientati cfr. P. Consorti, Diritto e religione, Laterza,
Roma-Bari, 2010; L. Musselli, Diritto e religione in Europa. Dai Concordati alla problematica islamica, Giappichelli, Torino, 2011; G. Macr, M. Parisi, V. Tozzi, Diritto
e religione, Plectica, Salerno, 2011; M. Ricca, Diritto e religione. Per una pistemica
giuridica, Cedam, Padova, 2002, ma anche Giustizia e religione, a cura di A. Fuccillo,
Giappichelli, Torino, 2011, ed i recenti volumi collettanei Diritto e religione in Italia.
Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libert religiosa in regime di pluralismo
confessionale e culturale, a cura di S. Domianello, e Diritto e religione in Europa.
1

385

Germana Carobene

Lo studio di un diritto delle religioni mira, dunque, a far emergere


un quadro delle possibili conflittualit in grado di fornire risposte
giuridicamente adeguate. Da una visione tradizionale e classica del
diritto ecclesiastico, come analisi dei rapporti Stato-Chiesa o pi in
generale potere politico-potere religioso, in una prospettiva verticistica e verticale di relazioni si progressivamente passati ad una configurazione di relazioni orizzontali per la moltiplicazione di contenziosi intersoggettivi a carattere religioso. Anche il termine religione
si ampliato, secondo una linea gi delineata dai documenti internazionali includendo anche la libert di pensiero e di coscienza in
senso ampio e comprendendo qualsiasi scelta eticamente sensibile.
Gli ambiti concreti di applicazione sono legati alla promozione e allo
sviluppo dellindividuo nella societ e diventano sempre pi evidenti
dal momento che, dopo il declino delle grandi ideologie secolari, le
religioni sembrano essere rimaste le sole a saper parlare il linguaggio
pubblico delle politiche di identit. Sono, infatti, le nostre strutture
democratiche a sembrare fortemente minacciate da forze centripete,
interne, potenzialmente implosive, che portano a ridiscutere del rapporto tra democrazia e religione/coscienza.
Allinterno delle stesse compagini sociali convivono, con esiti alterni, due diverse concezioni che da un lato portano a sviluppare un
concetto di laicit inclusiva e, allestremo opposto, a demonizzare
tutte le forme di espressivit culturale diverse.
La neutralit, la libert e luguaglianza si impongono come i tre
grandi pilastri sui quali costruire tale scienza nuova. Ciascuno di
tali principi si declina in una molteplicit di prospettive. La neutralit come separazione, autonomia, laicit. La libert come libert di
credo, di culto, di propaganda, di pratica. Leguaglianza come non
discriminazione, parit. Si evidenzia in tale settore del diritto, forse
pi di altri ambiti dellordinamento, la tensione tra le norme ed i valori, luogo di confronto tra lassoluto delle credenze e il pragmatismo
delle norme statuali.
Rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo in materia
di libert religiosa, a cura di R. Mazzola, ambedue il Mulino, Bologna, 2012.
386

Laicit e libert religiosa

Il primo obiettivo della laicit garantire lautonomia del potere


politico dallinfluenza religiosa un traguardo in gran parte raggiunto dalle moderne societ occidentali4. Il nuovo step dunque
indirizzato verso una laicit attiva, positiva, interculturale.
noto che il fattore religioso ha storicamente rappresentato un fenomeno importante nel processo di trasformazione degli ordinamenti
e consente di riesaminare e rimodulare il problema dellidentit, base
culturale, collettore e garante della successiva integrazione politica.
Il punto di partenza di una nuova cultura giuridica deve, dunque,
essere rappresentato da una corretta comprensione di tali concetti
affinch agli stessi si riesca a dare una struttura non solo filosoficoconcettuale, ma giuridico-positiva.
Dai diritti naturali si passati al riconoscimento ed alla garanzia
dei diritti umani fondamentali riconosciuti al singolo individuo in
quanto uti singuli ed uti socius. Lattuale multiculturalismo sociale
impone tuttavia di volgere maggiormente lattenzione sui diritti delle
collettivit, nel cui interno si esercita e si sviluppa la promozione
sociale dellindividuo. Se il riferimento alla nazionalit non pi
in grado di strutturare lidentit di un individuo, sar la comunit di
appartenenza a codificare un filtro tra il singolo e la societ. A livello
internazionale interessante sottolineare che nel Trattato di Lisbona
accanto alle organizzazioni religiose compaiono esplicitamente anche quelle a carattere non confessionale e filosofiche5.
La valutazione di questi fenomeni e la necessit di trovare idonee
risposte giuridiche impone un ampliamento prospettico, fondato su
unattenta valutazione e bilanciamento dei diritti umani fondamentali. Problema giuridico di non facile soluzione si pone, quindi, riguardo alla necessit di equilibrio tra il diritto alle differenze culturali e
la volont di difesa dei valori tradizionali, legati alla strutturazione
C. Cardia, Stato laico, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIII, Garzanti, Milano, 1990, pp. 874.
5
F. Margiotta Broglio, Confessioni e comunit religiose o filosofiche nel
Trattato di Lisbona, in Le confessioni religiose nel diritto dellUnione Europea, a
cura di L. De Gregorio, il Mulino, Bologna, 2012 pp. 33-42.
4

387

Germana Carobene

della propria identit. La formazione culturale , infatti, cos strettamente consolidata nelle percezioni individuali, che capire il modo di
vivere delle altre societ, e quindi le possibilit di relazionarsi alle
stesse, dipende da una piena comprensione della logica culturale
interna. Alla luce delle trasformazioni del tessuto sociale, non pi
omogeneo ma irrimediabilmente fluido occorre ripensare e relativizzare anche le categorie dei diritti umani assoluti.
noto che la nascita del concetto di relativismo culturale6
legata alle evoluzioni dottrinarie del particolarismo storico di F.
Boas7 e del funzionalismo di B. Malinowski8 che hanno scardinato
la mentalit etnocentrica ed evoluzionista di stampo ottocentesco.
Le suddette teorie partono da un assioma fondamentale: il riconoscimento dellesistenza, e della dignit, di culture diverse dalla propria.
Tale riconoscimento, trasformato da strumento metodologico a vera
e propria teoria, non stata, tuttavia, recepita nel sistema filosofico delineato nella Dichiarazione Universale dei diritti delluomo del
1948 che ha preferito porre, secondo una visione ancora occidentocentrica, alcuni valori come assoluti. Un documento rispettoso del6
M. Herskovits, Statement on Human Rights, in American Anthropologist,
1947, 4, 1. LA. introduce un tema fondamentale nellanalisi dei diritti umani, quello
della relazione inscindibile tra lindividuo e la cultura di appartenenza. Ma tali prospettive non risulteranno recepite nella Dichiarazione dei diritti delluomo del 1948.
7
Nel suo celebre testo I limiti del metodo comparativo in antropologia, 1896
(pubblicato anche in Antropologia culturale. Testi e documenti, a cura di L. Bonin,
A, Marazzi, Hoepli, Milano, 1970) supera le prospettazioni metodologiche degli
evoluzionisti che, partendo dalla premessa dellunit psichica del genere umano,
sostenevano la necessaria unicit della cultura e la necessit di una identica sequenza
di sviluppo. A questa impostazione sostituisce quella del particolarismo storico, una
concezione idiografica, tesa a considerare ogni singola cultura nella sua specificit.
Anche lanalisi linguistica contribuir a rafforzare lidea della relativit culturale. Si
apre la c.d. prospettiva emica che tende a comprendere le culture da un punto di
vista interno.
8
LA. propone la c.d. prospettiva funzionalistica olistica in cui la cultura vista come un organismo vivente. Ogni elemento culturale deve dunque essere analizzato e compreso solo tenendo conto del suo funzionamento in relazione alla totalit
della societ: cfr. B. Malinowki, Una teoria scientifica della cultura e altri saggi,
Feltrinelli, Milano, 1962.

388

Laicit e libert religiosa

le differenze culturali avrebbe dovuto, invece, considerare che gli


individui realizzano la loro personalit attraverso la loro cultura e,
quindi, che il rispetto per le differenze individuali implica un rispetto
per le differenze culturali. Il relativismo culturale legato al contatto
tra individui, che hanno subito processi di inculturazione in culture
diverse, ed impone la necessit di trovare regole transculturali quando le dinamiche del processo di inculturazione rendono impossibile
comprendere e giudicare soggetti appartenenti a differenti tradizioni9. Esso tende a superare le conflittualit, attraverso le ragioni del
dialogo, del confronto e della negoziazione, cos da porre in evidenza
che la scelta tra le diverse visioni del mondo non una scelta arbitraria del singolo ma strettamente legata al processo di inculturazione.
Questa prospettiva lo avvicina al concetto di pluralismo che implica lesistenza, allinterno dello stesso tessuto sociale, di una molteplicit di visioni del mondo. Il problema, evidenziato dai teorici del
pluralismo, un continuo lavoro di costruzione, basato sul riconoscimento di posizioni diverse, sulla base dei principi democratici10. La
differenza tra le due impostazioni che, se il pluralismo combatte
il principio dellassolutezza delle norme e dei valori, il relativismo
combatte lidea che la fusione sia un concetto pericoloso e la sostituisce con quella della cultura come un prodotto, un processo storico
in continua trasformazione11. compito del giurista la traduzione in
9
Esso si fonda, dunque, sul desiderio di comprendere le diversit ed compito
dellantropologo la conoscenza del diverso finalizzata alla ricerca di regole universali: cfr. C. Kluckhohn (Ethical relativity: Sic et non, in The Journal of Philosophy, vol. 52, 23, 1955, pp. 663-77), il quale definisce il compito dellantropologia
quello di elaborare tecniche per tenere sotto controllo le differenze di significato tra
valori apparentemente simili e per trovare somiglianze quando i fenomeni appaiono
sostanzialmente diversi agli occhi dellosservatore (in particolare p. 677).
10
G. Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla societ
multietnica, Rizzoli, Milano, 2000; G. Zagrebelsky, La virt del dubbio. Intervista
su etica e diritto, Laterza, Roma-Bari, 2007 e, dello stesso autore, Contro letica
della verit, Laterza, Roma-Bari, 2008.
11
U. Fabietti, Lidentit etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma, 1995; G. Canclini, Culture ibride. Strategie per entrare e uscire dalla
modernit, Guerini, Milano, 1998.

389

Germana Carobene

linguaggio normativo e coercitivo di una serie di regole di condotta


che, sulla base di queste premesse, consenta il pacifico relazionarsi
degli individui allinterno di un determinato tessuto sociale e politico. In tale prospettiva la piena tutela della coscienza individuale
declinabile solo in un contesto politico e giuridico correttamente
impegnato alla realizzazione del valore/principio della laicit.
2. La laicit la cittadinanza democratica e la religione un fenomeno soggettivo, privatistico. Se ci si sposta sul terreno pubblico,
ladesione fideistica diventa o dovrebbe diventare un fenomeno
irrilevante a livello collettivo, cos come lappartenenza religiosa
non pu caratterizzare la cittadinanza. Gli Stati moderni definiscono
una serie di diritti di appartenenza indipendentemente dalle scelte
religiose individuali, anche se socialmente maggioritarie. Leterogeneit delle appartenenze religiose rappresenta il politeismo dei
valori cos definito da Weber12 per il quale politeismo significa
che nessuna religione, inclusa la cristiana, pu pi aspirare al ruolo
di fondamento ideologico collettivo, transnazionale. Se si tenta di
declinare il concetto originale di laicit come eguaglianza civile e
politica si evidenzia lincompiutezza della stessa come pura forma
giuridico-politica. Lapparenza democratica delle nostre moderne
societ occidentali tenta di nascondere le profonde diseguaglianze,
ma soprattutto il carattere separatista di quella che Foucault avrebbe
definito la gouvernamit mondiale13.
La laicit, prima di essere una norma giuridica fonte di diritti/obbligazioni, un ideale. Il carattere laico di una struttura politica non
sar mai acquisito se non quando tutti i gruppi che compongono il
tessuto sociale non percepiranno questo principio come una chance,
una garanzia di poter liberamente esercitare i loro diritti e il loro culto,
indissolubilmente legata ai principi di libert e di eguaglianza. Una
M. Weber, La scienza come professione. La politica come professione, Einaudi, Torino 2004.
13
Cfr. A. Honneth, Critica del potere. La teoria delle societ in Adorno, Foucault e Habermas, Dedalo, Bari, 2002, in particolare pp. 217 ss.
12

390

Laicit e libert religiosa

sua corretta interpretazione pu, dunque, costituire la forza propulsiva


ad una reale integrazione sociale. Occorre impostare correttamente il
dibattito nella tensione tra laicit e integrazione e non confondere la
religione organizzazione temporale di una comunit con la fede
che ladesione volontaristica ad una specifica credenza. , inoltre,
importante sottolineare che la laicit, quale principio di organizzazione,
si impone nei confronti delle istituzioni, non dei singoli individui. Essa
mira, attraverso la separazione Stato-Chiesa, a distinguere il settore
dellamministrazione e dei servizi pubblici da quello della vita privata
dei cittadini. Nellattuale dibattito statunitense il problema si riproposto allattenzione dellopinione pubblica con la famosa Obamacare,
la Riforma Sanitaria il cui nome ufficiale Patient Protection and
Affordable Care Act, approvata il 23 marzo 2010 e ora in via di attuazione, che comprendeva una norma che obbligava le organizzazioni
cattoliche allacquisto di assicurazioni per le proprie impiegate, relative
a prestazioni sanitarie contrarie alla morale cattolica, e che attentano
alla sacralit della vita. Limmediata reazione della dottrina cattolica
che ha richiamato il Primo Emendamento alla Costituzione federale
degli Stati Uniti dAmerica e il Religious Freedom Restoration Act ha
spinto il governo alla ricerca di un compromesso e cos nel caso delle
istituzioni religiose, saranno le compagnie di assicurazione, e non pi
i datori di lavoro, a offrire gratuitamente alle donne lassistenza per
i contraccettivi14.
In ambito europeo pensando in particolar modo allesperienza
francese la laicit costituzionalmente dichiarata si identificata
nel divieto del velo islamico e successivamente del burqa15 come
La sentenza della Corte Suprema federale nel caso Hosanna-Tabor Evangelical Lutheran Church and School v. E.E.O.C., datata 11 gennaio 2012, riconosce per
la prima volta una eccezione legata al ministero nelle leggi federali che impediscono la discriminazione nelle assunzioni, affermando che le Chiese e altre istituzioni religiose statunitensi debbono essere libere di scegliere i propri capi senza subire
interferenza alcuna da parte del governo.
15
La legge 2004-228 del 15 marzo 2004, che inquadra, in applicazione del principio di laicit, le port de signes ou de tenues manifestant une appartenence religieuse dans les coles, collges et lyce public, pubblicata sul sito del governo
14

391

Germana Carobene

se la difesa dellesibizione identitaria potesse costituire tout court


minaccia o involuzione dellideale laico. Si potrebbe parlare di una
sorta di laicit difensiva. Di fronte allinfluenza di forte centripete
allinterno della societ lintervento politico-legislativo volto, in
nome del supremo principio di laicit, ad affermare i propri valori
fondamentali intervenendo in settori che sono, e dovrebbero essere,
privati. Tali forme di laicit-separazione sembrano, infatti, aver
messo in crisi il sistema repubblicano francese che non pi in
grado di regolamentare le conflittualit emergenti a livello sociale.
Sembra che lattuale politica di diritto ecclesiastico sia tesa verso
anacronistiche impostazioni di stampo giurisdizionalistico che, per
affermare il dogma della sovranit dello Stato e della neutralit dello
spazio pubblico, si orientano verso forme sempre pi accentuate di
intervento e di compressione della sfera privata dellindividuo.
necessario, tuttavia, comprendere anche limpossibilit, per il credente, di ridimensionare la religione ad un fenomeno privatistico dal
momento che la fede e non la religione investe necessariamente
la sfera pubblica, la morale comune e contribuisce alla strutturazione
del tessuto sociale e dei suoi codici etici.
Occorre, dunque, potenziare una politica dellidentit nel rispetto
delle diversit. allora necessario reinterrogarsi sul reale concetto
di laicit che, correttamente inteso, dovrebbe implicare la separazione della societ civile da quella religiosa, prodromo di una reale
neutralit dello spazio pubblico. La fase verso la quale si dovrebbero
indirizzare le moderne strutture democratiche dovrebbe essere fondata
su una laicit indispensabile. La nuova laicit deve, cos, basarsi su
una valorizzazione giuridica delle differenze, deve tendere alla creazione di uno spazio pubblico aperto e fruibile da tutti cittadini, non
condizionato n condizionabile da nessuna forma religiosa, tale da
consentire uneguaglianza di trattamento, sia a livello individuale che
collettivo, in tutti i settori della vita privata e pubblica collegati con
il sacro e con letica. La finalit dovrebbe essere il raggiungimento,
francese www.legifrance.gouv.fr. Cfr. P. Cavana, I simboli della dicordia. Laicit e
simboli religiosi in Francia, Giappichelli, Torino, 2004.
392

Laicit e libert religiosa

almeno a livello tendenziale, di una posizione aperta alla conoscenza


dellaltro, non giustificatoria e/o relativista, ma, in una prospettiva
interculturale, fondata sul dialogo e non su processi di assimilazione
forzata ai nostri paradigmi concettuali ed etici, in modo da coinvolgere la societ nel suo complesso e la responsabilit sociale di tutti
gli individui16.
Sono due i punti cardine intorno ai quali si pu delineare lideale della laicit: strutturazione dei confini sfera pubblica /sfera privata e sovranit della volont fondamento delle comuni regole di
convivenza sociale e della coscienza17. Lobiettivo finale deve essere rappresentato da una ridefinizione delle modalit e delle formule
del potere, tale da impedire alle riflessioni religiose di insediarsi nei
settori collettivi. Tutto questo impone di considerare che lidea laica racchiude in s una concezione filosofica sullindipendenza e la
capacit della ragione umana ed una concezione politica sui diritti
dello Stato e dei cittadini di fronte alle chiese18 e che la moderna
dimensione pluralista, multiculturale dovrebbe spostare lindagine
sul carattere di laicit dello Stato ben al di l del solo campo relativo allintegrazione del fenomeno religioso, ma ad un momento di
sintesi di un determinato assetto dei rapporti tra Stato e cittadini, tra
autorit e libert, alla luce di un modello etico non cognitivista19.
16
H. Jonas (Il principio responsabilit. Unetica per la societ tecnologica, Einaudi, Torino, 1993) sottolinea che nella compartecipazione al destino umano i fini
dei suoi simili, sia che egli li condivida oppure si limiti a riconoscerli negli altri, e
il fine in s della loro esistenza, possono in maniera unica confluire nel suo proprio
fine: archetipo di ogni responsabilit quella delluomo sulluomo (p. 124).
17
Libert de conscience, galit de droits, bien commun par-del les diffrences, confiace de principe dans lautonomie, affirmation simultane de la souverainet de la conscience individuelle, et du peuple sur lui-mme, principe dmancipation qui fait quon dispose de rfrences identitaires librement choisies, et non
quon leur soit demble alin: cest tout un idal qui retenit dans le mot laicit:
H. Pena Ruiz, Quest-ce que la laicit?, Gallimard, Mesnil-sur-lEstre, 2003, p. 27.
18
G. Weill, Prefazione a Storia dellidea laica in Francia nel secolo XI, Laterza,
Bari, 1937.
19
F. Rimoli, Laicit (diritto costituzionale), in Enciclopedia giuridica, vol.
XVIII, Istituto dellEnciclopedia Italiana, Roma, 1996, pp. 1-2.

393

Germana Carobene

3. Il nuovo diritto ecclesiastico si snoda attorno al concetto di


laicit come costruzione di uno spazio pubblico allinterno del quale
il singolo sia garantito nella sua libert di coscienza20 pur sottolineando che la tutela giuridica dei diritti di libert non costituita dal
diritto, ma si fonda sul principio del rispetto della dignit umana.
Il principio di laicit non pu costruirsi sul solo impianto costituzionale, ma, in quanto valore, deve costituire la base culturale
di costruzione di un determinato tessuto sociale. Esso riassume, ad
un elevato livello di generalit, il senso normativo comune ad una
molteplicit di previsioni costituzionali distinte seppur omogenee.
In particolare, tale principio coinvolge anche la libert religiosa, ma
non sidentifica con questa, n quindi in essa si risolve. Sicch la
produzione legislativa deve essere rispettosa oltre che della libert
religiosa anche del principio di laicit.
Per certi versi la differenza tra i due principi, entrambi senza dubbio di rango supremo, legata anche se solo parzialmente a
quella tra sfera pubblica e sfera privata: difatti mentre la laicit informa lattivit statale e delle strutture pubbliche in genere, la libert religiosa riguarda invece la dimensione personale. Il primo un
dovere statale, la seconda un diritto individuale, seppure esercitato
solitamente in forma collettiva.
Nel nostro Paese si affermato che il principio di laicit implica
non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello
Stato per la salvaguardia della libert di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale, secondo la nota definizione data
dalla Corte Costituzionale nel 1989. Nei successivi interventi il principio si arricchito di ulteriori significati, tanto che alla formula della
garanzia per la salvaguardia della libert di religione si aggiunta
quella della distinzione fra ordine civile e ordine religioso. Inoltre,
si precisato che il principio comporta equidistanza e imparzialit
rispetto a tutte le confessioni religiose e caratterizza in senso plu20
N. Fiorita, D. Loprieno, La libert di manifestazione del pensiero e la libert
religiosa nelle societ multiculturali, Firenze University Press, Firenze, 2009.

394

Laicit e libert religiosa

ralistico la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere,


in uguaglianza di libert, fedi, culture e tradizioni diverse.
Interessante ricordare quanto affermato in una sentenza della Corte Costituzionale del 1991, in cui si sottolineava che la sfera intima
della coscienza individuale deve essere considerata come il riflesso
giuridico pi profondo dellidea universale della dignit della persona umana che esige una tutela proporzionata alla priorit assoluta e al
carattere fondante ad essa riconosciuta nella scala di valori espressa
dalla Costituzione21. Tale analisi consente, dunque, di definire sinteticamente gli snodi della problematica: fondamento pluralista dello
Stato; irrilevanza del dato numerico e sociologico; divieto di discipline differenziate in base allelemento della religione; dovere di equidistanza ed imparzialit; regola della distinzione degli ordini; doverosa tutela delle minoranze religiose; legittimit, entro certi limiti,
della legislazione promozionale di tutela della libert di religione22.
21
Nella sent. 467/1991, Giur. Cost., 1991, pp. 3805 ss., in particolare pp. 3813
ss., punto 4 in diritto.
22
G. Casuscelli, Levoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia
di vilipendio della religione, in Quaderni della Scuola di Specializzazione in Diritto ecclesiastico e canonico, 7, 2002, pp. 79 segg., in particolare p. 86. Si pensi,
emblematicamente, alle affermazioni secondo le quali lo Stato italiano pu essere
dunque ritenuto laico solo in un senso attenuato rispetto a quello che il concetto
di laicit aveva acquisito nella cultura liberale dellOttocento e nellordinamento
giuridico francese dalla Terza Repubblica in poi. Lo Stato italiano cio laico in
quanto, pur non essendo vincolato alla neutralit assoluta nei confronti delle confessioni religiose, ha natura non confessionale ( cio indipendente e sovrano nella
propria sfera) e non pu ingerirsi negli affari interni delle diverse confessioni (essendo vincolato a regolare i rapporti con queste ultime previa intesa con i relativi
rappresentanti). Ritenere che una disciplina legislativa del fenomeno religioso sia
irrilevante dal punto di vista dello Stato democratico-pluralista, o anche che essa
debba essere ispirata a rigorosi canoni di imparzialit e di equidistanza rispetto a
tutte le confessioni religiose, non significa solo prescindere dal testo costituzionale
vigente, ma anche ignorare il rilievo del fenomeno religioso nella societ pluralista:
M. Olivetti, Incostituzionalit del vilipendio alla religione di Stato, uguaglianza
senza distinzioni di religione e laicit dello Stato, in Giur. Cost., 2000, pp. 3972
ss., in particolare 3977. La Corte cos afferma che va tutelata leguaglianza dei
singoli nel godimento effettivo della libert di culto, di cui leguale libert delle con-

395

Germana Carobene

Si evidenzia, cos, la stretta correlazione del principio di laicit con


lo specialissimo rilievo attribuito dalla Corte Costituzionale alla piena tutela e realizzazione della libert di coscienza, come prioritaria
libert del singolo23, da correlarsi con la protezione del sentimento
religioso. Questultimo deve in tal senso essere qualificato non quale
interesse dello Stato ma quale interesse, oltre che del singolo, della
collettivit. Si delinea un quadro in cui tale protezione sempre pi
correlata alla tutela generalizzata della libert di religione e di coscienza e alla laicit dello Stato.
Il modello di laicit, ricavabile dunque dalla giurisprudenza italiana,
assolutamente disomogeneo e non lineare, appare fondarsi su piani che
si intersecano nellimpossibile tentativo di escludere qualsiasi forma di
scontro con la struttura sociale, di stampo politicamente cattolico; nella
configurazione di una generalizzata ed asettica libert di coscienza
individuale ed eguale libert delle confessioni religiose nei confronti
dei pubblici poteri ma, soprattutto, di deciso privilegio nei confronti
del cattolicesimo e dei suoi valori fondanti. La giurisprudenza, cio,
ha legato la laicit, in quanto principio supremo dellordinamento,
ad un regime di pluralismo confessionale e culturale, ponendo cos
sullo stesso piano ogni opzione a meno che essa non si traduca in una
violazione del principio di uguaglianza che ostacolerebbe la convivenza delle diverse opzioni religiose24, sottolineando la necessit di
fessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano
comunitario: sent. 346/2002. A. Oddi (Il principio di laicit nella giurisprudenza costituzionale, in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi, La laicit crocifissa? Il nodo costituzionale dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, Giappichelli,
Torino, 2004, pp. 240 ss., in particolare pp. 247-8) ritiene sacrificata dalla Corte la
dimensione individuale a favore di quella istituzionale.
23
P. Spirito, Il giuramento assertorio davanti alla Corte costituzionale (nota
alla sent. n. 149/1995), in Giur Cost., 1995, pp. 1252 ss. Tale diritto riconosciuto
dalla Corte anche allateo, rintracciando in Costituzione oltre al riconoscimento di
una libert nella religione, anche il riconoscimento di una libert dalla religione
(p. 1252).
24
In tal senso anche Corte Costituzionale, sentenza 18 ott. 1955, n. 440, Il Foro
It., 1996, I, c. 30, ma anche S. Domianello, Sulla laicit nella Costituzione, Giuffr, Milano, 1979, pp. 58 ss.
396

Laicit e libert religiosa

elaborare congiuntamente, e dialetticamente, le regole di unetica e


di valori condivisi.
Il principio costituzionale di laicit o non confessionalit, correttamente inteso, non significa indifferenza di fronte allesperienza
religiosa, ma comporta equidistanza e imparzialit25 della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose. Se queste sono, a grandi
linee, le posizioni del supremo organo giurisprudenziale, in direzioni
diverse sono orientate le sentenze pi recenti, sviluppate intorno al
rapporto tra simboli e laicit dello Stato. In particolare, la qualificazione del crocifisso come non simbolo e soprattutto di carattere
passivo evidenzia una strutturazione dei concetti di laicit e libert religiosa ridimensionati alla semplice non costrizione a subire
pratiche religiose26. In alcune pronunce sembrerebbe delinearsi una
concezione del principio di laicit orientato al favor religionis, con
particolare attenzione allintreccio tra religione, contesto sociale, e
patrimonio storico nazional/identitario. In tali ipotesi si richiede, nel
tutelare i valori della libert religiosa, che i cittadini non siano discriminati per motivi di religione e che il pluralismo religioso non limiti
la libert negativa di non professare alcuna religione o credo. Sono
assolutamente criticabili i forzati tentativi di collegamento tra laicit
e crocifisso come valore di tolleranza, se non addirittura di laicit.
Questultimo deve essere, invece, collegato con i valori elaborati nel
corso dei secoli da una cultura secolare, a-religiosa il cui principio,
correttamente delineato, dovrebbe svilupparsi come condizione e
Sentenza della Corte Costituzionale, n. 329/1997, 40. E la pi recente sentenza, sempre della Corte Costituzionale, n. 168/2005, 41, riafferma che le esigenze
costituzionali di eguale protezione del sentimento religioso [] sono riconducibili,
da un lato, al principio di eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di religione sancito dallart. 3 Cost., dallaltro al principio di laicit o non-confessionalit
dello Stato [] che implica, tra laltro, equidistanza e imparzialit verso tutte le
religioni, secondo quanto disposto dallart. 8 Cost., ove appunto sancita leguale
libert di tutte le confessioni religiose davanti alla legge.
26
Con riferimento ai simboli cfr. Symbolon/Diabolon. Simboli, Religioni Diritti
nellEuropa multiculturale, a cura di E. Dieni, A. Ferrari, V. Pacillo, il Mulino, Bologna, 2005; ma cfr. anche S. Domianello, Sulla laicit nella Costituzione, Giuffr,
Milano, 1999.
25

397

Germana Carobene

limite del pluralismo, nel senso di garantire che il luogo pubblico


deputato al conflitto tra i sistemi indicati sia neutrale e tale permanga
nel tempo27.
Tutto ci consente di costruire un quadro non di semplice irrilevanza o indifferenza dello Stato nei confronti del fattore religioso, ma
di laicit positiva o attiva. La prima decisione della Corte Europea
dei diritti delluomo, nel caso Lautsi ha assunto cos il ruolo di una
rivoluzione copernicana nel settore della tutela dei diritti umani fondamentali. Se nel caso Sahin contro Turchia28, ma anche nei due casi
gemelli, contro la Francia, Dogru e Kervanci29, essa, in nome della
tutela della laicit, costituzionalmente affermata dai due Paesi, aveva
riconosciuto legittimo il divieto del velo, nel caso de quo, in nome della
stessa laicit ha deciso di tutelare il diritto delle minoranze, omettendo
qualsiasi valutazione sul tessuto sociale del nostro Paese. In tali ipotesi,
infatti, si preferito comprimere il margine di autonomia lasciato al
singolo Stato in nome della difesa di un diritto fondamentale dellindividuo, alla luce del dogma assoluto della laicit. Tali condivisibili
affermazioni sono state, tuttavia, come noto, assolutamente travolte
dalla pronuncia della Grand Chambre.
Se vero che la cultura politica di una societ democratica sempre
contraddistinta da una molteplicit di dottrine religiose, filosofiche e
morali se ne deduce che lo Stato deve tendere a consolidare lassetto
Sentenza della Corte di Cass., IV sez. pen., 1 marzo 2000, n. 439.
G. Carobene, La libert di religione, di manifestazione del credo religioso e il
rispetto dellordine pubblico. Riflessioni in margine allaffaire Leyla Schin davanti
alla Corte Europea dei diritti delluomo, in Diritto e religioni, 1/2, 2006, pp. 62133. Sentenza della Grande Chambre della Corte Europea dei diritti delluomo, Leyla
Sahin c. Turquie, 10 novembre 2005, req.n. 44774/98. Tale decisione successiva
ad una precedente pronuncia della IV Commissione della Corte del 29 giugno 2004.
Ambedue i testi sono pubblicati sul sito della Corte Europea www.cohe.eu.int.
29
Dogru e Kervanci c. France, 4 dic. 2008. Nel caso di specie la restrizione della
libert di religione non era dettata esclusivamente da motivi di sicurezza e di salute,
ma anche dallo scopo di preservare la neutralit e la laicit dellambiente scolastico
pubblico. A tal proposito, la Corte ricorda che in Francia il principio di laicit uno
dei principi fondamentali e che la Corte deve lasciare un ampio margine dapprezzamento alle autorit statali in materia di relazioni tra Stato e confessioni religiose.
27
28

398

Laicit e libert religiosa

pluralistico della societ, tenendo conto che la religione pu contribuire al progresso spirituale della societ (art. 4 Cost.) al pari di
altre visioni della vita. In Italia, tuttavia, il meccanismo di bilateralit
incompiuta non ha consentito laffermazione giuridica del principio
di equidistanza e di non identificazione, prodromici alla realizzazione
di una piena laicit.
Se il modello democratico, cos come elaborato e strutturatosi
nellEuropa occidentale, pu considerarsi una forma universalmente
condivisa, la sua efficienza sempre condizionata culturalmente
dallevoluzione dei modelli socio-giuridici e necessita di forme sempre aggiornate di eticit condivisa. Il progetto di laicit deve dunque
essere teso alla realizzazione di uno spazio realmente aperto a tutti e
di tutti per esercitare, in condizioni di libert e uguaglianza, i diritti di
libert morale (di coscienza, di pensiero, di religione e di culto, ecc.) e
per costruire a partire da questi la propria esistenza: uno spazio voluto
dagli uomini indipendentemente da Dio, etsi Deus non daretur30.

30
G. Zagreblesky, Scambiarsi la veste. Stato e Chiesa al governo delluomo,
Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 9.

399

Il diritto delle religioni nella Corte dei gentili

Il diritto delle religioni nella Corte dei gentili


di Cristina Dalla Villa

Quando i valori cardine di una cultura vengono messi in dubbio anche i criteri di giudizio e di misura funzionali fino a quel momento si
perdono: si tende a disconoscere la validit dei vecchi parametri di
riferimento per adottarne dei nuovi nei quali si cerca lelemento di
rottura con quelli precedenti.
Questo, probabilmente, coincide con quanto accaduto dalla rivoluzione francese in poi fino a tutto il ventesimo secolo.
Oggi la linea di rottura tra un sistema di valori ed un altro appare
pi sfumata, attraversandosi una fase di diluizione filosofica e psicologica che si riconosce nel pensiero relativista il quale pone le basi
per una relazionalit, sia essa intesa tra i singoli che tra le culture,
con cui si supera il concetto stesso di dialogo: questo non pi necessario, non ci si deve confrontare pi vigendo, su tutto, un tacito
assenso.
Il relativismo, per, non concepisce solo la dinamica dellinclusione ma elimina completamente quella dellesclusione: lunica scelta etica possibile quella dellaccettazione del tutto giacch questa,
con il suo corredo di decostruttivismo e pensiero debole, appare lultimo baluardo.
Nellenfasi odierna sulla laicizzazione della societ si tende a credere che labbandono di punti di riferimento forti equivalga ad una
pi rapida e disinibita apertura al mondo, accettazione indolore del
nuovo e del diverso.
Lo studio del diritto delle religioni, nellambito pubblico si rivela
necessario per poter guardare con speranza al futuro delle democrazie ed al domani dei popoli che, nelle democrazie, continuano a vedere lo strumento migliore per la promozione delle libert e di tutti i
diritti ormai riconosciuti dalla comunit internazionale.
401

Cristina Dalla Villa

Nel vivere, storicizzando, la fase successiva alla caduta delle


grandi ideologie, si ripropone la questione di scegliere i valori per
linterpretazione del progresso nellera della globalizzazione: ed
in questo territorio franco che si deve cogliere la sfida di testare gli
indici del fenomeno religioso (nella complessit dellanalisi giuridica e delle predisposizioni normative) quale contesto del senso di
una convivenza finalmente partecipata.
Le nuove generazioni vanno guidate alla realizzazione del bene
comune ed allaffermazione di un ordine sociale, giusto e pacifico,
dove possano essere pienamente espressi e realizzati i diritti e le libert fondamentali delluomo: vanno quindi guidate ad uscire dalla
logica dellattuale stagione, caratterizzata dalla palese contraddizione tra la logica dellostilit nei confronti dello straniero, sul piano
interno, e limpegno profuso, sia nella cooperazione allo sviluppo
che nelle politiche di integrazione, sul piano sovranazionale.
Sommessamente si ritiene che tale contraddizione sia uno dei nodi
da affrontare: lidentificazione di linee di sviluppo del dibattito in ordine alle politiche di integrazione, che hanno al centro il portato religioso, non potr prescindere dalla considerazione che, le stesse, dovranno essere perseguite innanzitutto a livello territoriale decentrato.
Le questioni relative allimmigrazione ed allintegrazione, nel
quadro di un sistema di multi-level governance, implicano una puntuale analisi che vede necessaria la partecipazione di attori pubblici e
privati, a diversi livelli, anche considerando la distinzione che la qualifica tra cittadino e straniero vieppi comporta una gradazione
diversa nel godimento dei diritti rilevanti nelle politiche considerate.
Ma, a questo punto, ulteriori interrogativi sollecitano lattenzione: in che misura lintegrazione pu costituire un momento di irreversibile trasformazione di una presunta identit nazionale? Fino a
che punto pu essere posta come un fine capace di giustificare, oltre
allesercizio di diritti civili, anche lattribuzione di diritti politici agli
immigrati? Quale dovr essere il ruolo degli Stati, degli enti territoriali minori, delle comunit locali?
Immediatamente e con tutta la forza che solo la Carta sa esprimere, balza agli occhi lonere imprescindibile che vincola ogni cit402

Il diritto delle religioni nella Corte dei gentili

tadino, cos come dettato dallart. 4 Cost.: concorrere al progresso


materiale e spirituale della societ.
In questo quadro si ricolloca lattenzione ad una diversa proposta di inquadramento, per la ricerca e la didattica, delle discipline
ecclesiastiche e canoniche (linquadramento nei curricula andrebbe
mantenuto omogeneo, cos come il riferimento al monte crediti ed
alle propedeuticit richieste).
Certamente tempo di prospettare una denominazione che riesca
a sintetizzare il portato di una area scientifica che, ad oggi (rispetto
alle altre), definitivamente caratterizzata dal dato della interdisciplinariet. Tale dato non si rafforza solo sotto il profilo pubblicistico
ma anche sotto il profilo privatistico, non si colloca solo a livello di
legislazione statuale o comunitaria, ma anche a livello di legislazione
decentrata: il futuro delle materie forse sar riuscire a tessere una
maglia omogenea per gli strumenti normativi delegati che dovranno,
in futuro, garantire lapplicazione dei principi generali e supremi?
2. Notiamo come, sul territorio e a livello decentrato, allAssessorato alle Politiche Sociali si sia affiancato, nelle Prefetture, il Consiglio Territoriale per lImmigrazione. Nellaprile 2011, con un Atto di
Governo di politica economica sottoscritto dallallora Ministro Tremonti, si dichiarato che la nazione riconosceva di aver bisogno di
duecentosessantamila immigrati per garantire parametri favorevoli
del PIL. Ecco quindi che per gestire il fenomeno della migrazione
indispensabile lapplicazione di criteri di giustizia sociale che non
potranno mai prescindere dal portato della tolleranza e dalla necessit della condivisione.
Nel capitolo 12 della Genesi Jahv dir ad Abramo vattene:
evidente la metafora vai verso te stesso costruisci la tua autonomia. Attraverso lesodo Jahv si rivela il liberatore dalla schiavit:
appartiene alla tradizione ebraico-cristiana la radice giuridica del
principio di dignitas che rintracciamo proprio nel patto con Jahv:
stabilir una relazione con luomo.
Nel Sinodo dei Vescovi dellottobre del 1999 Carlo Maria Martini
si era soffermato sulla necessit di predisporre i tempi per un Con403

Cristina Dalla Villa

cilio della Chiesa cattolica, sui punti fino a quel momento affrontati
dal pontificato di Wojtyla: la carenza di ministri ordinati, la posizione
della donna nella communio, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilit ministeriali, la sessualit e la disciplina del matrimonio,
la prassi penitenziale, il ravvivamento della speranza ecumenica.
Il talento conciliare molte chiese lo hanno trafficato nel secondo novecento: la chiesa cattolica (ricordiamo lindizione dellanno della fede per l11 ottobre 2012 a cinquantanni dallapertura del
Concilio Vaticano II), le chiese non calcedonesi (con il Concilio comune ad Adis Abeba del 1968) e, dopo la cattivit sovietica, ricordiamo come lortodossia russa abbia ripreso a celebrare concili che ne
hanno plasmato il diritto ed una speciale di dottrina sociale.
Le grandi chiese della Riforma e del protestantesimo (in teoria le
pi restie ad usare la sinodalit) continuano a ricorrere al consenso
sinodale per rimanere se stesse (si ricorda, nel 2010, il Concilio di
Grand Rapids).
Proprio il filone di ricerca sotteso al nostro settore scientificodisciplinare ci consentirebbe di riprendere, quindi, il progetto di un
Concilio delle Chiese che, nel World Council of Churches ginevrino,
aveva tracciato una pista di lavoro percorribile: dopo aver celebrato
il 150 anniversario dellUnit dItalia, sono infatti le nostre materie lalveo naturale per uno studio puntuale e coordinato sulla nuova
configurazione religiosa, che si attaglia al territorio nazionale, ormai
composta da molte e diverse presenze religiose (dai sikh ai mussulmani, dagli ortodossi alle nuove chiese cristiane di matrice pentecostale latino-americane, africane ed asiatiche).
Non si tratta solo di trovare delle nuove mediane nellapproccio
al dialogo interreligioso ma di allargare linterscambio progettuale ai
fini di una didattica correlata, anche a livello interdisciplinare, senza
tralasciarne il profilo storico, soprattutto nellambito comparatistico
(non in ultimo in linea con i documenti magisteriali).
3. Il multiculturalismo, come strategia culturale e come insieme
di politiche, ha circa quarantanni di storia: nel suo nome minoranze
etniche, razziali, linguistiche, sessuali e religiose hanno rivendicato
404

Il diritto delle religioni nella Corte dei gentili

diritti e riconoscimenti in varie sfere della vita pubblica, dalla governance locale alla rappresentanza politica.
Mentre recentemente in Egitto, nella prima parte della primavera
araba, abbiamo assistito ad una inedita difesa della libert di culto
(cristiani copti e musulmani sono scesi assieme in piazza rivendicando il diritto, quali credenti, alla libert di aderire alla propria religione senza imposizioni) in controtendenza, ormai da alcuni anni,
assistiamo, in molti stati tradizionalmente liberal-democratici, ad
una crisi progressiva che riguarda i migranti (in Europa soprattutto
arabi musulmani) non toccando parimenti le minoranze sub-statali e
i popoli indigeni.
Le garanzie costituzionali offrono tuttora enormi possibilit di
tutela alle politiche multiculturali mentre probabilmente iniziato il
declino di quel principio che vuole lo Stato geloso custode di speciali
differenze tra gli abitanti del suo territorio.
A ventanni dal collasso dellUnione Sovietica e della Jugoslavia
con la riscossa delle etnie, risultato della grande destabilizzazione del
1991, le difficolt delle UE rischiano di rendere ancora pi caotico
uno scenario di irriducibile complessit.
La trama per predisporre, con lapporto scientifico delle nostre
discipline, un ordito che consenta la libert di crescere, nellambito
della cultura di origine, in un contesto democratico globalizzato la
sfida che responsabilmente va colta.
Tutti i cosiddetti corpi intermedi oggi hanno la grande occasione di ridisegnare il profilo della vecchia Europa, ricostruendo
una ecumene mediterranea, la stessa che ha informato leccellenza
dellhumanitas occidentale: nellattuale contingenza chiaro come,
lintegrazione economica, non certo potr sostituirsi alla strategia
politica giacch i mercati non saranno mai strumenti idonei a produrre una solidariet politicamente resistente, laddove si voglia ancora
intendere per solidariet il senso autentico di comunit civile.

405

Cristina Dalla Villa


Per un approfondimento
Itinerari culturali del diritto canonico del novecento, a cura di C. Fantappi, Giappichelli, Torino, 2003.
F. DAgostino, P.A. Amodio, Le libert di religione e di culto, Giappichelli, Torino,
2003.
P. Lillo, Globalizzazione del diritto e fenomeno religioso, Giappichelli, Torino,
2007.
N. Fiorita, D. Loprieno, La libert di manifestazione del pensiero e la libert religiosa nelle societ multiculturali, Firenze University Press, Firenze, 2009.
M. Ventura, A. Talamanca, Scritti in onore di Giovanni Barberini, Giappichelli,
Torino, 2009.
P. Bellini, Metamorfosi del cattolicesimo reale. Sulla dinamica ideologica del
movimento cristiano principale, Rubettino, Soveria Mannelli, 2010; Id., Tra due
Italie, Claudiana, Roma, 2010.
Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilit della differenza, a cura di S. Ferlito, il Mulino, Bologna, 2011.
L. Mai, Per una rilettura del concetto di tolleranza, Pellegrini, Cosenza, 2011.
Diritto e religione in Italia. Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libert
religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale, a cura di S. Domianello, il Mulino, Bologna, 2012.

406

Associazionismo confessionale e dialogo interreligioso

Associazionismo confessionale e dialogo interreligioso


di Maria Luisa Lo Giacco

Dialogo interreligioso e associazioni confessionali costituiscono realt che sono state plasmate dal Concilio Vaticano II. Esso ha infatti
modificato la dinamica delle relazioni interne alla Chiesa Cattolica,
aprendo uno spazio di fiducia e collaborazione per le realt associative in generale e per le associazioni di fedeli laici in particolare. Cos
a partire dal Concilio nella Chiesa vi stato un fiorire di associazioni, pubbliche o private, di carattere diocesano, nazionale o internazionale. Come noto, il canone 215 del codice di diritto canonico
ha stabilito il diritto dei fedeli di fondare e di dirigere liberamente
associazioni che si propongano un fine di carit o di piet, oppure
associazioni che si propongano lincremento della vocazione cristiana nel mondo. La disciplina delle associazioni poi contenuta nei
canoni 298-329; senza entrare nel merito di tale disciplina sottolineo
soltanto, perch legato alla questione del dialogo interreligioso, il
canone 298 1 che individua le finalit alle quali devono tendere le
associazioni di fedeli: incremento di una vita pi perfetta, promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, altre opere
di apostolato, quali sono iniziative di evangelizzazione, esercizio di
opere di piet o di carit, animazione dellordine temporale mediante
lo spirito cristiano. La prima questione da porsi allora se il dialogo
interreligioso rientra o meno in una di queste finalit, ma lascer per
il momento in sospeso la domanda.
Sulle radici conciliari del dialogo interreligioso, almeno per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, non c bisogno di soffermarsi.
interessante per notare che di questa nuova visione dei rapporti con
le altre religioni non c traccia nel codice di diritto canonico, dove
anzi i fedeli delle altre religioni sono definiti come non cattolici
o non credenti in Cristo. Cos il can. 256 1 che riguarda la for407

Maria Luisa Lo Giacco

mazione dei seminaristi, raccomanda che essi vengano istruiti nel


dialogo con le persone, anche non cattoliche o non credenti, mentre
al 2 che vengano sensibilizzati ai problemi missionari, ecumenici e
di carattere sociale. Il canone 771 2 ricorda invece ai vescovi e ai
parroci di preoccuparsi che lannuncio evangelico raggiunga anche
i non credenti che vivono nel territorio. Ritengo che il legislatore,
quando richiama i non credenti tout court intenda riferirsi a chi non
ha alcuna fede religiosa, mentre gli appartenenti alle altre religioni
sono definiti con la formula negativa di non cattolici o non credenti
in Cristo. quanto avviene ad esempio nel canone 787 sullattivit
missionaria, nel quale e questo mi sembra lunico esempio di dialogo interreligioso previsto dal codice si chiede ai missionari che
con la testimonianza della vita e della parola, istituiscano un dialogo sincero con i non credenti in Cristo, anche se il codice individua
come obiettivo del dialogo la conoscenza dellannuncio evangelico,
dunque la conversione.
Se perci il codice ha recepito il dettato conciliare in tema di associazioni, non altrettanto si pu dire per il dialogo interreligioso.
Eppure, proprio negli anni successivi alla promulgazione del nuovo
codice il dialogo ha visto una fioritura grazie soprattutto allimpulso creativo proveniente dal magistero pontificio e dalla visione di
Giovanni Paolo II. Lincontro di Assisi dellottobre 1986, che era
stato voluto anche per sostenere la decisione dellONU di dichiarare
il 1986 come anno della pace, fu un evento di portata storica, per diversi motivi, non ultimo il fatto che per la prima volta, come lo stesso
Giovanni Paolo II ebbe in seguito modo di sottolineare, i rappresentanti e i leader di tutte le grandi religioni mondiali si ritrovavano
insieme, nello stesso luogo, intorno al papa della Chiesa Cattolica
che li aveva convocati1, ma anche perch modificava il ruolo e la perMessaggio di Giovanni Paolo II al Card. E.I Cassidy in occasione dellVIII
incontro Uomini e Religioni, Assisi 11-13 settembre 2004, in J.D. Durand, Lo
Spirito di Assisi. Discorsi e messaggi di Giovanni Paolo II alla Comunit di
SantEgidio: un contributo alla storia della pace, Leonardo International, Milano,
2004, p. 111.
1

408

Associazionismo confessionale e dialogo interreligioso

cezione del papato tra le grandi religioni: Sembrava che allinterno


della Chiesa stesse maturando come un carisma di servizio allunit
e alla fraternit tra i popoli della terra, e questo proprio attraverso il
dialogo tra le genti di differenti religioni2. Andrea Riccardi insiste sul nuovo ruolo assunto dal papa proprio grazie alle giornate di
preghiera per la pace: appoggiato da cristiani, ebrei, musulmani e
religioni asiatiche, Wojtya ribadisce il rifiuto della logica dello scontro. Egli grandeggiava, tra i leader religiosi, con un non codificato n
proclamato, ma reale primato. un fatto mai avvenuto nella storia
del pontificato romano3.
Giovanni Paolo II era convinto della necessit del dialogo tra le
religioni per rafforzare e difendere la pace. Lo si vide quando convoc nuovamente ad Assisi cristiani, ebrei e musulmani durante il
conflitto nella ex-Jugoslavia, e poi nellaltro incontro interreligioso
voluto, nuovamente ad Assisi, il 24 gennaio del 2002, come risposta delle religioni agli attentati terroristici dell11 settembre4. Il
mese prima, il 14 dicembre 2001, aveva chiesto ai cattolici di unirsi
ai musulmani in una giornata di digiuno che coincideva con la fine
del Ramadam. Andrea Riccardi sottolinea la novit e limportanza
del gesto: la prima volta che questo avviene nella storia del cattolicesimo. Attraverso la coincidenza di un giorno di digiuno, il papa
afferma il valore del legame religioso tra cristiani e musulmani5.
Al discorso del primato pontificio e del ruolo particolare rivestito
da Giovanni Paolo II (ma anche da Benedetto XVI) nel promuovere il dialogo interreligioso si collega lattivismo delle associazioni
confessionali cattoliche in questambito. Se si osservano infatti quali
siano gli attori del dialogo interreligioso allinterno della Chiesa Cattolica, oltre agli organismi istituzionali di diretta emanazione della
gerarchia come il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso,
2
Comunit di SantEgidio, Lo spirito di Assisi. Dalle religioni una speranza di
pace, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2011, p. 28.
3
A. Riccardi, Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo, Cinisello Balsamo,
2011, p. 445.
4
Ivi, pp. 421-31.
5
Ivi, p. 444.

409

Maria Luisa Lo Giacco

particolare impegno viene dimostrato da alcune associazioni e movimenti laicali. Nel discorso conclusivo della giornata di Assisi, Giovanni Paolo II aveva detto, tra laltro: la pace attende i suoi artefici
[]. La pace un cantiere aperto a tutti e non solamente agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi6. Era un chiaro invito a continuare
nel lavoro per la pace attraverso il dialogo interreligioso. Eppure G.
Weigel, nella sua biografia ricorda le resistenze allinterno della Curia romana, e lostilit incontrata dalla Comunit di SantEgidio che
aveva deciso di continuare il dialogo iniziato ad Assisi: Un anno
dopo lincontro di Assisi scrive Weigel la comunit di SantEgidio voleva continuare sulla strada intrapresa promuovendo in futuro
altri incontri simili. Perfino i cardinali pi aperti erano contrari, ma
Giovanni Paolo II chiam il cappellano della comunit, monsignor
Vincenzo Paglia, e gli disse: Don Vincenzo, oggi ho combattuto per
lei e abbiamo vinto7. Questo episodio si colloca nel particolare
legame esistente tra il papa e le associazioni laicali e sul ruolo delle
associazioni e dei movimenti allinterno della Chiesa Cattolica, ben
descritto dallallora cardinale Ratzinger nellintervento di apertura del Convegno mondiale I movimenti ecclesiali, speranza per la
Chiesa e per gli uomini, tenutosi in Vaticano nel maggio del 19988.
Limpegno profuso dai Pontefici nel dialogo interreligioso consente di considerarlo come uno degli aspetti della missione della
Chiesa nel mondo. Questultima considerazione ci autorizza a rispondere positivamente al quesito se esso rientri fra le finalit del6
Cit. in Comunit di SantEgidio, Lo spirito di Assisi. Dalle religioni una speranza di pace cit., p. 59.
7
G. Weigel, Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, protagonista del secolo, Mondadori, Milano, 1999, p. 652.
8
Cfr. J. Ratzinger, Intervento di apertura, 27 maggio 1998, reperibile sul sito internet http://focolare.org. Il giorno successivo, a piazza San Pietro, Giovanni Paolo
II aveva detto: Laspetto istituzionale e quello carismatico sono quasi co-essenziali
alla costituzione della Chiesa e concorrono, anche se in modo diverso, alla sua vita,
al suo rinnovamento ed alla santificazione del popolo di Dio (Discorso del Santo
Padre Giovanni Paolo II ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunit, 30 maggio
1998, in www.vatican.va.

410

Associazionismo confessionale e dialogo interreligioso

le associazioni laicali, poich in questo modo esse collaborano alla


missione del Papa e della Chiesa nel mondo.
Meno rilevante il ruolo svolto fino ad ora da organizzazioni
confessionali di altre religioni, mentre da segnalare lesistenza di
qualche associazione interconfessionale che si interessa ai temi del
dialogo, come lAmicizia ebraico-cristiana o la comunit di dialogo interreligioso Vangelo e zen. Fuori dai confini italiani si pu
citare la Tanenbaum organization, associazione ebraica con sede a
New York che ha come fine statutario il dialogo interreligioso, o lElijah interfaith institute, con sedi in Israele, USA, Inghilterra, Canada, India e Taiwan.
Pur senza condividere del tutto laffermazione di Oliver Clment,
secondo il quale le altre religioni non si interessano molto al dialogo, o se ne interessano per trarne qualche profitto e dispongono
per questo di specialisti9, innegabile che il maggiore impulso al
dialogo interreligioso provenga da associazioni e gruppi di matrice
cattolica. Nel sito web ufficiale del Movimento dei Focolari si legge
che la fondatrice, Chiara Lubich, gi nel 197710 inizi un percorso di
dialogo con esponenti delle grandi religioni, a ci sollecitata anche
dalla diffusione mondiale che il movimento stava avendo. In effetti, unaltra caratteristica delle associazioni impegnate nel dialogo
quella di essere realt non limitate ai confini di uno Stato, ma diffuse
in tanti paesi, spesso a maggioranza non cristiana, situazione che in
un certo senso forza i loro membri al dialogo. Anche limpegno della Comunit di SantEgidio nel dialogo interreligioso coincide cronologicamente con la sua espansione al di fuori dei confini italiani.
Allinterno del Movimento dei Focolari un organismo denominato
Centro per il dialogo interreligioso si occupa di promuovere incontri, conferenze, simposi e collaborazione con esponenti delle diverse religioni mondiali, con un occhio particolare allebraismo e alle
O. Clment, Dio simpatia. Bussola spirituale in un tempo complicato, Leonardo International, Milano, 2003, p. 65.
10
In quellanno Chiara Lubich fu insignita del Premio Templeton per il progresso della religione.
9

411

Maria Luisa Lo Giacco

grandi religioni dellestremo oriente. La Comunit di SantEgidio,


oltre a organizzare ogni anno, attraverso lassociazione Uomini e
Religioni, gli incontri internazionali di preghiera per la pace nello spirito di Assisi, promuove frequentemente conferenze, dibattiti
e azioni umanitarie nel segno del dialogo, con una particolare attenzione verso il Medioriente e lislam. Da ultimo, sul loro sito internet
segnalata la pubblicazione di un volume dal titolo Il vento di Tahir
scritto da autori cristiani e musulmani, con contributi su temi quali la
cittadinanza, lidentit religiosa, la cultura del convivere, la solidariet sociale. Limportanza che questi due movimenti attribuiscono
al dialogo interreligioso verificabile anche da un semplice esame
dei loro siti internet, che gi nella home page gli riservano una parte
ben in evidenza.
Di particolare rilevanza, e degno di essere segnalato, laccordo
di collaborazione che la Comunit di SantEgidio ha firmato nellaprile del 2012 con la pi numerosa e importante associazione islamica indonesiana, la Muhammadiyah. Laccordo, come si legge nel
sito della Comunit, prevede una collaborazione tra le due associazioni nel campo della solidariet, del dialogo interreligioso, della
promozione di una cultura della tolleranza e della convivenza, nella
soluzione dei conflitti e la ricerca della pace e in aiuti umanitari in
caso di catastrofi naturali.
Sono da segnalare altre associazioni cattoliche che pure si interessano ai temi del dialogo: tra questi il Centro francescano internazionale per il dialogo, il Centro mondialit dei missionari e laici
saveriani, lassociazione Piero Rossano. Si tratta per di organizzazioni pi piccole e con un impegno pi locale rispetto ai focolarini o
a SantEgidio.
Se si guarda ai contenuti del dialogo interreligioso portato avanti
dalle associazioni e dai movimenti ecclesiali, si nota una grande attenzione ai problemi concreti della pace, della giustizia sociale, dei
diritti umani. Ritornano alla mente le parole di Silvio Ferrari che, per
spiegare il ruolo che i giuristi possono avere nel dialogo interreligioso, ha scritto: un dialogo sulle cose prima ancora che sulle idee
[]. Esistono cio principi e valori che ogni uomo ebreo, cristiano,
412

Associazionismo confessionale e dialogo interreligioso

musulmano, ateo e via dicendo non pu non riconoscere e per la cui


attuazione non pu non collaborare con gli altri uomini. Questo il
contributo che il diritto pu dare al dialogo interreligioso11.
Dialogo che, a noi studiosi del diritto ecclesiastico, chiede di ripensare anche alcune categorie giuridiche, prima fra tutte quella della laicit. Il gi citato Clment, francese convertito al cristianesimo
ortodosso, afferma lesigenza di una nuova idea di laicit:
Una laicit originale scriveva metterebbe laccento sia sui diritti di
Dio che su quelli delluomo, ritrovando il carattere aperto delle grandi
epoche, che furono altamente creatrici nellarte, nel pensiero, nella scienza.
Sogno che lEuropa si apra di nuovo sul Mediterraneo e che da qui possa nascere la contaminazione di questa laicit originale che aiuti a ritrovare le proprie radici religiose e spirituali nel bisogno dellaltro e non pi nel sogno di
vivere senza laltro, in una pulizia etnica spirituale che distruttiva per tutti12.

11
S. Ferrari, Introduzione al diritto comparato delle religioni. Ebraismo, islam
e induismo, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 17-8.
12
O. Clment, Dio simpatia cit., pp. 48-9.

413

Diritto e secolarizzazione

Diritto e secolarizzazione
di Grazia Petrulli

1. Premessa - 2. Profilo storico e giuridico: significato originario del termine. Secolarizzazione nel diritto canonico: can. 638 CJC del 1917 - 3.
Emancipazione di un concetto e suo impiego come categoria scientifica e
filosofica: scuole di societ secolari - 4. Utilizzo del termine come categoria
descrittiva di un processo sociologico e politico: secolarizzazione, separazione, laicizzazione

1. Negli ultimi decenni lEuropa stata crocevia di mutamenti socio-culturali che hanno comportato una profonda trasformazione del
modo di concepire la famiglia. indubbio, tuttavia, che il modello
familiare oggi vigente nellEuropa occidentale trova la sua origine
nella tradizione cristiana, essendo il risultato di molteplici vicende
storico-culturali, sulla quale hanno influito diversi fattori e in primo
luogo il diritto canonico. Si assiste oggi, in tale ambito, a una politica
sociale che si apre alla diversit culturale, volta a promuovere forme
di tutela della famiglia, indipendentemente dal fatto che trovi fondamento nellatto di matrimonio o siano altrimenti costituite.
Una spinta in questo senso stata data dalla Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea1 che riconosce come libert fondamentali tutelate il diritto di sposarsi e il diritto di fondare una famiglia (art. 9), attuando una sostanziale modifica allart. 12 della
Convenzione europea dei diritti delluomo e delle libert fondamentali del 1950 che, nellinterpretazione data dalla Corte europea di
Strasburgo, sanciva quale modello di famiglia tutelato quello tradizionale, ossia fondato sul matrimonio. La comparsa di una pluralit
1
Approvata dal Parlamento europeo il 14 novembre 2000, proclamata formalmente a Nizza.

415

Grazia Petrulli

di modelli familiari (partnership in Danimarca, patti di solidariet


in Francia, unioni registrate in Olanda, matrimoni tra omosessuali in
Spagna, Olanda e Belgio) ha fatto in modo che ci si allontanasse dal
modello di famiglia cosiddetta tradizionale o legittima, ossia dalla
famiglia fondata sul matrimonio e in particolare dal modello familiare cristiano che, di fatto, ha costituito il punto di riferimento per tutta
lesperienza giuridica europea.
Quanto fin qui accennato ci ha spinto ad occuparci della secolarizzazione per cercare di capire a che punto essa arrivata.
In particolare la problematica che ci si propone di affrontare se
la secolarizzazione del matrimonio canonico, con la creazione dei
diversi modelli familiari non fondati sul matrimonio, debba essere
visto sic et simpliciter come momento di rigetto degli aspetti religiosi
dellistituto familiare e quindi come unirriducibile contrapposizione
rispetto al modello tradizionale. Ovvero, secondo quanto proposto
da una parte della dottrina, la possibilit che la secolarizzazione, pur
essendo un processo ineluttabile, rimanga tuttavia ancorata con la
morale dispirazione cristiana. In tal caso si avrebbe a significare
che i modelli familiari oggi proposti non fondati sul matrimonio non
vanno a sostituirsi, ma si affiancano a quello tradizionale, rispondendo a finalit ed esigenze momentanee delluomo moderno non
avendo le caratteristiche di stabilit e certezza.
2. Il concetto di secolarizzazione, prima di essere un fenomeno giuridico, essenzialmente un fenomeno culturale. Identificarlo primariamente fatto culturale ci permette di capire come, nel rapporto tra
struttura e sovrastruttura, un fatto concreto, che rientra nellambito
privato e personale, riesca a riflettersi anche a livello di coscienza e
di valori. Ed in ci che il termine secolarizzazione evidenzia la
sua indubbia rilevanza.
La complessit linguistica legata al termine di secolarizzazione
fa oscillare linquadramento ora in unarea di significanza asettica,
ora in altra di valore per identificare una dinamica fenomenologica
storico-politico verificatesi nel nostro mondo. Ci porta, in ogni caso,
ad escludere ad una prima analisi un significato ben preciso ed univo416

Diritto e secolarizzazione

co. La secolarizzazione assume, infatti, una diversa valenza a seconda


del contesto storico, politico e sociologico in cui il termine viene utilizzato. In questo senso esso uno dei termini pi equivoci e ambigui
del lessico politico. Allo stesso tempo quello pi utilizzato, finanche
abusato, in quanto presupposto logico per tutti quei discorsi che mettono in relazione, in qualunque modo, laspetto religioso, spirituale,
divino, rientrandovi o come categoria esplicativa ovvero quale risultante. Daltra parte la delimitazione dellarea di significanza entro cui
pu definirsi un termine e/o un concetto dipende in generale dalla
storia delluso che di quel termine e/o concetto se ne fatto. Il fine teoretico dello studio della storia dei concetti quello di trovare, infatti,
una soluzione di continuit tra il significato attuale e impegnativo di
un concetto, la sua definizione normativa e la sua origine effettiva2.
Il significato etimologico del termine qualifica la secolarizzazione
come occupazione mondana (da saeculum; saecularizatio), dedita a
faccende terrene e non esclusivamente spirituali di persone o istituzioni anche se ecclesiali. Il termine sorge, in ambito giuridico, nel
XVI sec., ed il suo utilizzo indicava il passaggio di un religioso allo
stato secolare o di propriet e prerogative ecclesiastiche a istituzioni laiche, anche se, lorigine della secolarizzazione, quale dichiarazione di autonomia del potere civile rispetto i precetti religiosi e
lautorit ecclesiastiche, pu farsi risalire gi allXI secolo, nel corso
della Lotta per le Investiture (1057-1122)3.
H. Lbbe, in La secolarizzazione. Storia ed analisi di un concetto, il Mulino,
Bologna, 1970, p. 9, dove si rileva che solo in pochissimi casi eccezionali il significato attuale di un concetto frutto di una decisione arbitraria, di una libera convenzione o di una definizione autorevole che sia poi riuscita ad affermarsi. Generalmente
il linguaggio filosofico trae il suo significato attuale e normativo dalluso che se ne
fatto tradizionalmente.
3
Le complesse trasformazioni economiche e sociali dellXI secolo si tradussero
in istanze sociali e spirituali diversamente orientate. Da una parte laffermarsi della
borghesia, spinta ad organizzarsi sempre pi in associazioni e pi tardi alla costituzione dei Comuni. Dallaltra parte il fiorire di un nuovo sistema economico basato
principalmente sul commercio e che metteva in crisi il sistema di privilegi basato
sulla nobilt di nascita, sino ad allora esistenti. In tale contesto sociale le stesse
strutture di governo (Impero e Chiesa) venivano a trovarsi nella necessit di darsi un
2

417

Grazia Petrulli

Leffetto prodottosi dalla Lotta per le Investiture, che vide la sua


conclusione nel 1122 con il concordato di Worms, fu quello di inserire quale elemento nuovo nella cultura del tempo la motivazione
intellettuale della separazione tra spirituale e mondano4. Un concetto
questo, elaborato dalla stessa dottrina teologica al fine di legittimare
la pretesa della Chiesa allesercizio esclusivo del potere spirituale
rispetto allimpero che viene dalla stessa de-sacralizzato e relegato
ad un ruolo esclusivamente mondano.
Ci si avvia in tal modo alla secolarizzazione della politica, o per
meglio di dire al lento dissolvimento dellunit della res pubblica
cristiana, dove lordinamento politico riconosceva in s, nella sua
sostanza, e quale suo fondamento, la sacralit e la religiosit e dove
Imperatore e Papa si trovavano entrambi in un unico governo, il cui
fine era quello di realizzare il Regnum Dei sulla terra5.
Anche se la sovrapposizione tra potere mondano e quello spirituale dur di fatto ancora per molti secoli, si realizza una prima
fase della secolarizzazione che non implica limmediata liberazione
dal fondamento religioso in assoluto6.
Unaltra fase fondamentale del processo di secolarizzazione si
realizza con la Riforma protestante, vasto movimento religioso ponuovo equilibrio, pi adeguato alle condizioni ed alle attese di sudditi e fedeli. Cfr.
sul punto A. Prosperi, Storia moderna e contemporanea. Dalla rivoluzione inglese
alla rivoluzione francese, Einaudi, Torino, 2000.
4
Nel 1059 il papa Nicol II nel Concilio lateranense, condannando la simonia
e il concubinato, cerc di porre fine alle cause della corruzione del clero, originata
dalla dipendenza dellorganizzazione della Chiesa dalla struttura imperiale. A tale
fine fu redatto un decreto con il quale si sanciva la sottomissione del Papa solo a Dio
e la sua elezione non pi decisa dallimperatore ma da un collegio di cardinali riuniti
e ispirati da Dio. Lopera di Nicol II fu portata avanti da Gregorio VII conferendo
alla Chiesa uno strumento ideologico fondamentale nel Dictatus papae.
5
E. Bockenforde, Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno allEuropa
unita, a cura di G. Preterossi, trad. di M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 2007,
pp. 39-41.
6
Le signorie territoriali e i regni, dopo la Lotta per le Investiture, seppur avviate
ad una politica secolare, mantennero sempre come proprio fondamento la religione
cristiana. Cfr. A Prosperi, Storia moderna e contemporanea cit., p. 58.
418

Diritto e secolarizzazione

litico e morale, iniziata da Martin Lutero nel 1517 che porta ad una
rottura dellunit del cristianesimo ed alla affermazione di una nuova
coscienza etica e religiosa. La religione riformata con le teorizzazioni di Lutero giunge ad una scissione del mondo tra regno terrestre e
regno spirituale. questa nuova visione dei due regni che pone i presupposti culturali per le teorizzazioni filosofiche della moderna politica e il diffondersi di un radicale individualismo. A ci va aggiunto
un lento ma inevitabile affermarsi della concezione dello Stato moderno7, ora svincolato dalla tutela delle gerarchie ecclesiastiche ed
ancorato su basi territoriali nazionali. Ma la questione pi rilevante
che gli Stati allindomani della Riforma dovettero affrontare fu quella di risolvere la convivenza tra diverse religioni allinterno di un
unico ordinamento giuridico. Leffetto pi importante delle guerre di
religione che attraversarono il XVI secolo, infatti, viene identificata
con laffermazione delle tesi della tolleranza e della convivenza di
dottrine diverse, in uno stesso Stato laico8.
Laggettivo saecularis era, perci, gi insito quale elemento culturale e quindi in uso da molti decenni quando il legato francese Longueville lo introdusse nel corso delle trattative di Westfalia9, perch
E. Bockenforde, Diritto e secolarizzazione cit., p. 50.
Un evento in questo senso rappresentato dallEditto di Nantes, emanato nel
1598 da Enrico IV di Navarra con cui venne garantito al cittadino del regno di godere di tutti i diritti civili anche senza appartenere alla vera religione. Confronta sul
punto G. Cotta, La nascita dellindividualismo politico. Lutero e la politica della
modernit, il Mulino, Bologna, 2002, pp. 130 ss.
9
Le prime trattative, che misero fine alla Guerra dei Trentanni (1618-1648),
sono iniziate per la prima volta nellagosto del 1645 e solo il 24 marzo del 1648
fu raggiunto laccordo sulle materie di religione. Venne fissata una data normativa,
c.d. annus normalis, al 1624: tutti i culti che potevano provare di essere esistiti a
quella data dovevano essere tollerati. Di contro si stabil che tutti i beni ecclesiastici
secolarizzati a quella data non dovevano essere pi restituiti tranne quelli che
erano appartenuti alla Chiesa cattolica, per i quali se ne stabiliva la restituzione. Per
gli altri aspetti religiosi le decisioni della pace di Augusta, 1555, vengono riconfermate ed estese ai territori riformati dellimpero; abolito il principio del cuius regio et
religio, si riconobbe a tutti i sudditi la libert di professare una fede diversa da quella
del rispettivo monarca, almeno formalmente. Cfr. sul punto Storia delle religioni. Il
7
8

419

Grazia Petrulli

ritenuto il pi adatto ad esprimere una situazione di apparente innocenza della procedura di espropriazione di territori ecclesiastici al fine
di indennizzare i territori di Brandburgo per quelli concessi e ceduti
alla Svezia10. In tal senso il termine sculariser serviva perfettamente
alluso cui fu destinato, cio ad indicare la modificazione di una situazione esistente senza polarizzare ulteriormente lattenzione sul nuovo
stato secolare di tali territori un tempo di potest ecclesiastica. Il concetto originario del termine non contiene, in realt, un giudizio sulla
legittimit o meno delloperazione. Non tutte le secolarizzazioni compiute, infatti, vennero considerate un danno per la Chiesa: alcune di
queste furono anche compiute su iniziativa e per volont della stessa11.
Il valore essenzialmente neutro del concetto di secolarizzazione
comprovato dalluso che di esso ne viene fatto dallo stesso diritto canonico. Nella seconda met del XVI secolo il termine venne usato in
ambito giuridico per qualificare il transito di un religioso dal clero
regolare al clero secolare, e dallo stesso Codex Juris Canonici del
1917, Can. 638, codificato per designare quella forma di ritorno dalla
comunit monastica a quella mondana12.
Gli avvenimenti storici sin qui sintetizzati, costituiscono i presupposti per quello che viene considerato come lo spartiacque di
Cristianesimo, La Repubblica, Roma, 2005; a. Prosperi, Storia moderna e contemporanea. Dalla Peste nera alla Guerra dei trentanni, Einaudi, Torino, 2000, p. 68.
10
Le trattative di pace erano nello stadio in cui un accordo sembrava possibile
solo se si fossero annessi a Brandeburgo una parte di territori ecclesiastici. Sul punto
A.J. Nijk, Secolarizzazione, trad. di E. Ten Kortenaar, Queriniana, Brescia, 1971.
In particolare lA. afferma che i territori in questione erano in parte cattolici ed in
parte protestanti, ma che per avevano conservato il carattere di territori ecclesiastici. Se questi territori fossero stati aggiunti al Brandeburgo, ci avrebbe significato
la liquidazione definitiva del loro stato di principati ecclesiastici e come tale una
seria infrazione dellordine tuttora vigente nellImpero Germanico (p. 34).
11
Un esempio ne luniversit di Mster, finanziata con la secolarizzazione del convento nobile delle Benedettine di Ueberwasser e di alcune propriet
dellordine dei Gesuiti. H. Lbbe, op. cit., p. 22.
12
V. Del Giudice, Istituzioni di Diritto Canonico, Giuffr, Milano, 19363, p. 151.
L. Chiappetta, Diritto Canonico, in Commento giuridico-pastorale, vol. I, Edizioni
Dehoniane, Roma, 19962, p. 831.
420

Diritto e secolarizzazione

unintera epoca13: la Rivoluzione francese (1789), considerata anche come lultima fase del processo di secolarizzazione, visto ancora
come fatto preminentemente culturale.
Da un punto di vista storico il processo di secolarizzazione si rinnova grazie a quelle forze rivoluzionarie di pensiero che cambiarono
lassetto politico-istituzionale dellEuropa tra il XVIII ed il XIX sec.:
con la fine dellancien rgime ad opera dei princpi liberali della
rivoluzione francese che inizi tale processo.
In realt, i primi provvedimenti dellAssemblea costituente francese non mirarono ad una contrapposizione violenta con la Chiesa
ma ad un adeguamento delle istituzioni ecclesiastiche alle istanze di
rinnovamento della societ in forza dei princpi di uguaglianza e libert. La Francia del 1789 rimase sostanzialmente un paese cattolico.
Infatti, la gran parte dei contadini e degli artigiani francesi rimaneva
profondamente legata alle tradizioni religiose ed alla fede dei padri.
La volont dellAssemblea nazionale era diretta a promuovere una
razionalizzazione di quegli intrecci tra istituzione ecclesiastica e
vita civile che apparivano ormai non pi adeguati alla nuova coscienza indotta dalla cultura illuministica14.
In questa logica di razionalizzazione delle istituzioni ecclesiastiche sinseriscono i provvedimenti presi dal nuovo Stato15. Tra i
S. Petrucciani, Modelli di filosofia politica, Einaudi, Torino, 2002, p. 125.
Cfr. Storia del Cristianesimo, LEt contemporanea, a cura di G. Filoramo, D.
Menozzi, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 133.
15
Tali provvedimenti erano ritenuti necessari per la costruzione del nuovo stato:
proclamazione della libert religiosa col limite del rispetto dellordine pubblico, riconoscimento dei diritti politici e civili ad ebrei e protestanti, soppressione delle
decime ecclesiastiche e lincameramento dei beni della Chiesa da parte dello stato
che come contropartita si incaricava del sostentamento del clero. Anche la Dichiarazione dei diritti delluomo e del cittadino approvata dallAssemblea costituente il 12
luglio del 1790, ed in particolare lart. 10 (Nessuno pu essere molestato per le sue
opinioni, anche religiose) da inserirsi in tale contesto. anche quando si tratta di
celebrare la realizzazione della grande opera di rinnovamento di tutte le istituzioni
[] non si concepisce che la cerimonia possa iniziare in altro modo che con una
messa celebrata da un vescovo deputato dellAssemblea costituente). Cfr. Storia
del Cristianesimo. LEt contemporanea cit., p. 57.
13
14

421

Grazia Petrulli

pi rilevanti interventi di riforma si segnala la Costitution civil du


clerg (1790), con la quale lo Stato decise unilateralmente come
dovesse essere organizzata la Chiesa, operando una nuova sistemazione delle diocesi e delle parrocchie e imponendo a tutto il clero
un giuramento di fedelt alla costituzione civile. Gli effetti che tali
provvedimenti ebbero sui rapporti fra religione e societ sono facilmente comprensibili.
Alla Costitution civil du clerg Pio VI rispose con la breve Quod
aliquantum con cui, oltre ad una ferma condanna della costituzione
civile del clero, dichiarava anche che i valori di libert, uguaglianza,
sovranit popolare, princpi che avevano ispirato lattivit legislativa
dellAssemblea costituente, erano contrari al dettato biblico ed insensati sul piano naturale16.
La seconda fase della rivoluzione francese caratterizzata, invece, da una forte ostilit religiosa, tanto che si auspicano forme di
scristianizzazione della societ17: la c.d. fase del Terrore.
Vengono a tal fine introdotti i registri dello stato civile sottraendo
al clero una funzione sociale che le apparteneva da sempre: non
pi il battesimo che segna lingresso delluomo alla comunit, ma la
registrazione della nascita presso i registri dello stato civile. Lo stesso accade per il matrimonio, con linstaurazione di un matrimonio
civile e lobbligo di far precedere questo a quello canonico. Viene
dichiarata la nullit dei voti religiosi, ordinato lo scioglimento delle
congregazioni, ed infine abolito il celibato dei preti18, sino ad arrivare ad una vera lacerazione tra legge civile e diritto divino con
lintroduzione del divorzio19. in questo contesto che si and svilupStoria delle Religioni. Il Cristianesimo cit., p. 586.
C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, il Mulino, Bologna, 1996, p. 128.
18
R. Rmond, La secolarizzazione. Religione e societ nellEuropa contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 65.
19
Le vicende storiche che hanno caratterizzato il sec. XVIII sono state le risultanze di una pi ampia rivoluzione culturale e di pensiero: lilluminismo. Vedi sul
punto L. Goldmann, Illuminismo e societ moderna, Einaudi, Torino, 1967, p. 38; F.
Ruffini, Libert religiosa e separazione tra Stato e Chiesa, in Scritti giuridici minori,
Giuffr, Milano, 1936; Id., Relazioni tra Stato e Chiesa, il Mulino, Bologna, 1974.
16
17

422

Diritto e secolarizzazione

pando londata di scristianizzazione dove la fedelt alla repubblica


ormai vista come incompatibile con lappartenenza alla Chiesa20.
Con il Concordato stipulato a Parigi nel 1801 tra la Santa Sede e
Napoleone Bonaparte si chiude il ciclo delle persecuzioni, permettendo al cattolicesimo di ritrovare una sua posizione sociale. Il ritrovato equilibrio si basava sulla concessione alla Chiesa di una serie di
privilegi: restaurazione del culto pubblico, una dotazione economica
agli enti religiosi, il ritorno al papato dellistituzione canonica dei
vescovi21.
Gli avvenimenti che nel corso del XVIII secolo caratterizzarono
la Francia rivoluzionaria non fecero altro che concludere la formazione di uno Stato moderno, qualera sorto dalle guerre di religione.
Alla base del nuovo Stato si pone la Dichiarazione delluomo e del
cittadino del 1789, che sancisce la libert di pensiero e di opinione, e
qualche anno pi tardi, con la Costituzione del 1791 anche la libert
di fede e di religione.
In base a quanto esposto si evidenzia un dato oggettivo molto
importante. Sebbene di fatto la religione non viene completamente espunta dalla vita politica e civile, la secolarizzazione permise di
concepire come possibile la creazione di uno Stato emancipato dalla
Il progetto di scristianizzazione fu attuato attraverso una serie di misure coercitive, come lobbligo per i preti di abdicare o di sposarsi, la chiusura delle chiese
e la loro utilizzazione per scopi civili, vi rientra anche il progetto di sostituire un
nuovo culto a quello cristiano, da quello della Dea Ragione ai santi martiri della
Rivoluzione. Da una parte si intendeva portare a termine il processo di secolarizzazione dello Stato, che proclamava quale suo compito quello di garantire la libert
religiosa, dallaltro venivano sostenute le c.d. religioni civili.
21
Ad integrazione del Concordato del 1801 furono firmati da Pio VII e Napoleone Bonaparte gli Articoli organici del clero. Essi stabilivano che le nomine
dei vescovi spettavano al capo dello Stato, mentre al Papa competeva linvestitura
canonica. Allo Stato il potere di legiferare in materia di ordine pubblico e al papato
di rinunciare ai beni divenuti statali durante la Rivoluzione in cambio di una retribuzione statale per gli ecclesiastici. Laccordo stabiliva inoltre, che nessun mandato della Chiesa di Roma poteva essere messo in esecuzione senza il consenso del
governo. Cfr. H. Belloc, La rivoluzione francese, Longanesi, Milano, 1951, p. 92;
C. Bonanno, Let moderna nella storia critica, Liviana, Padova, 1991, pp. 232-40.
20

423

Grazia Petrulli

religione, neutrale rispetto le istanze trascendentali dei cittadini e che


mantiene inalterata la sua posizione giuridica.
3. La secolarizzazione viene in considerazione non solo nella dinamica storica ma emerge anche come categoria concettuale che in certi ambiti del pensiero aspira ad una autonoma valenza scientifica. In
ci si evidenziano gli sforzi delle Scuole etiche di societ secolari
che, a partire dalla met del 700, teorizzarono una concezione di
Stato etico non pi basato su precetti religiosi. In breve tempo il termine secolarizzazione viene ad associarsi alle nuove concezioni illuministiche. Le societ secolari propagarono in tutta lEuropa lidea
di lotta della cultura (che in Germania indica la corrente filosofica e
politica della Kulturkampf) sino ad acquistare una valenza politica e
culturale che influenz tutti gli aspetti della societ con caratteristiche pi o meno ostili alla religione.
La saecularizatio (ingl. secularization, franc. scularisation, ted.
Skularisierung) segna, in realt, il nascere di un nuovo modo di
concepire i rapporti tra Stato e Chiesa, ed in particolare tra religione
e potere, tanto che acquista, specie dopo gli avvenimenti storici della
fine del secolo XVIII, un significato politico ben preciso divenendo
sinonimo di usurpazione di diritti e di beni religiosi e di illegittima
cura e controllo della Chiesa da parte dello Stato. Tuttavia, linteresse maggiore, nel tentativo di definire il termine secolarizzazione,
si manifestato in ambito filosofico, conoscendo il suo sviluppo concettuale tra il XIX e il XX secolo.
Nel secolo dei Lumi la secolarizzazione diventa in misura crescente la parola dordine degli spiriti illuminati che mettono in
discussione il potere secolare e i possedimenti terreni della Chiesa.
Si delinea, in tale contrasto, un significato pi chiaro del termine,
considerato ora come passaggio di diritti di sovranit e di propriet
della chiesa allo stato od a altra istituzione secolare, passaggio la
cui valenza politica oscilla tra operazione legittima ovvero come violazione delle tradizioni pi sacre22. In tale accezione lidea del trasfeA.J. Nijk, Secolarizzazione cit., p. 36.

22

424

Diritto e secolarizzazione

rimento viene ben presto traslata ed utilizzata anche per riferirsi ad


altri campi del pensiero, filosofico, concettuale, giuridico ed ideale.
La secolarizzazione diviene in tal modo sinonimo di un processo di emancipazione culturale della societ dalla religione. Il programma ideale e politico sviluppatosi nel corso del XIX secolo pu
riassumersi nel pensiero di Victor Cousin il quale auspicava un enseignement libre, un ensignement sculier de la philosophie, spar
de toute thologie et de toute influence ecclsiastique e ci come
consquence de la scularisation delltat23.
I concetti elaborati da Victor Cousin furono posti quali principi ispiratori della Deutsche Gesellschaft fr Ethische Kultur
(D.G.E.K.)24, associazione di base del positivismo tedesco, fondata
nel 1892. Lobiettivo politico e culturale della D.G.E.K. quello di
diffondere una visione tecnocratica delle problematiche della nuova
societ, assumendo positivamente la secolarizzazione nel senso di
emancipazione culturale dallinfluenza della Chiesa sullorganizzazione della vita politica e sociale e sullistruzione in particolare.
Per i teorici della nuova societ la civilt etica quella contraddistinta da una morale che regge e rende possibile un ordinamento
civile indipendente da presupposti religiosi, cio profana. Con tale
presupposto la realizzazione di una civilt etica possibile solo con
una separazione di Stato e Chiesa. Il modello di societ cui si orientava la D.G.E.K. era fortemente ispirata, anche se non ufficialmente,
ad una ideologia irreligiosa e addirittura atea.
Lesperienza tedesca di una civilt etica non nuova nel panorama del pensiero liberale25. Anche a Londra viene fondata la Secular Society nel 1846, il cui maggiore esponente fu George Holyoake,
grazie al quale il concetto di secolarizzazione assunse una funzione
programmatica. La morale cristiana divenne il presupposto teorico
per la nuova societ etica poich, scrive Holyoake, morality resting
La citazione tratta da H. Lbbe, La secolarizzazione cit., p. 36.
Societ tedesca per una societ etica (ibidem).
25
Le associazioni di promozione della cultura etica furono fondate in quasi tutti
gli Stati, anche gli Stati Uniti. Ibidem.
23
24

425

Grazia Petrulli

on theology was not universally accepted, accettando che i principi etici della Cristianit potessero ispirare la stessa societ senza
per questo condizionarne le scelte e la politica sociale26. La novit
dellazione di Holyoake sta nel fatto che ha saputo esprimere tale
idea come secularism, caratterizzato da una nuova prospettiva e un
programma concreto per una politica di emancipazione.
I propositi di Holyoake di riuscire a presentare un programma
politico in senso cristiano, tuttavia, furono sconfessati dal nuovo indirizzo della National Secular Society, che proponeva, invece, una
liberazione radicale delluomo dalla religione.
Lutilizzo del concetto di secolarizzazione come concetto filosofico diviene nel pensiero di filosofi e teologi del XX secolo (Max
Weber, Ernst Troeltsch agli inizi del 900, Karl Lwith nel 1950)
una categoria centrale per la comprensione della societ industriale
e dello Stato moderno27. Ed anzi la secolarizzazione stessa, come
processo storico ed emancipazione culturale, diviene sinonimo di
modernit e progresso.
Nel paragrafo 11 dei Prolegomena al De iure belli ac pacis, Huig
van Groot (nella forma italianizzata Ugo Grozio), riconosciuto come
progenitore del razionalismo giuridico moderno, afferma, nel 1625,
che determinati principi del diritto naturale conoscibili attraverso la
ragione avrebbero validit anche se Dio non esistesse28. Gli sforzi
di Grozio sono diretti a dimostrare che esistono dei princpi la cui
universalit pu essere riconosciuta perch espressioni autentiche
della natura umana. Non possibile qui soffermarsi sulle radici del
razionalismo giuridico di Grozio, tuttavia il riferimento ad esso
necessario per meglio comprendere le affermazioni di chi sostiene
che il processo di secolarizzazione, meglio definito come emancipaIvi, p. 42.
N. Abbagnano, voce Secolarizzazione, in Dizionario di filosofia, Utet, Torino,

26
27

2007.

F. Todescan, Il problema della secolarizzazione nel pensiero di Ugo Grozio,


in Le radici teologiche del giusnaturalismo laico, vol. I, Giuffr, Milano, 1983, pp.
86 ss.; G.E. Rusconi, Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici, la democrazia,
Einaudi, Torino, 2000.
28

426

Diritto e secolarizzazione

zione culturale non una diretta conseguenza di quelle rivoluzioni


politico-sociali che hanno caratterizzato il XVIII e il XIX secolo, ma
si tratta di una evoluzione naturale del pensiero di una societ in cui
il progresso si sostituisce alle istanze di spiritualit e religiosit
delluomo moderno. In questo senso gli avvenimenti che nella storia
si sono succeduti negli ultimi due secoli non sono pi presupposti
del processo di secolarizzazione ma divengono semplici acceleratori. in questo senso che lesperienza primaria [delluomo] non
pi costituita ormai dallaspettativa di salvezza a tinte religiose, ma
risiede piuttosto nel successo tecnico, che integra ed innalza la rete
comunicativa umana e la produttivit entro intervalli temporali sempre pi ridotti. Le antiche aspettative cristiane di salvazione possono ormai cristallizzarsi attorno al progresso tecnico e venir relegate
cos a fenomeno secondario29.
4. La conseguenza diretta della Rivoluzione francese, e con essa anche delle forze riformatrici che si sono sviluppate nel resto degli Stati
europei, tra cui anche lItalia, la visione di una societ politica basata sui principi di libert e uguaglianza30.
Frutto di una ideologia illuminista libertaria anche in materia religiosa la libert de coscience che si concretizza nel riconoscimento
del pluralismo confessionale e delluguaglianza fra i culti riconosciuti. Il rinnovato e delicato rapporto tra potere civile e potere religioso
viene definito tra il 1788 e il 1791 nella Costituzione americana. Lart.
VI recita: nessuna professione di fede sar mai imposta come necessaria per ricoprire un ufficio o una carica pubblica negli Stati Uniti31.
R. Koselleck, Accelerazione e secolarizzazione, Istituto Suor Orsola Benincasa, Napoli, 1989, p. 14; L. Lombardi Vallauri, Cristianesimo, secolarizzazione e
diritto moderno, a cura di G. Dilcher, Giuffr, Milano, 1981, pp. 54 ss.
30
Con lo scioglimento del Sacro Romano Impero germanico proclamato da Napoleone Bonaparte nel 1803, e lespansione dellImpero francese, le idee liberali
della rivoluzione influenzarono inevitabilmente anche la politica e la legislazione
religiosa degli Stati sottoposti al suo dominio.
31
C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico. Tradizione europea e legislazione
italiana, Giappichelli, Torino, 2005, p. 77.
29

427

Grazia Petrulli

il separatismo, ovvero quel sistema di rapporti tra potere civile e potere spirituale che si realizz con diverse caratteristiche, ma
tendente comunque a relegare la questione religiosa ad un affare
privato di cui lo Stato non pu e non deve occuparsene e, quindi,
essa non deve lambire n la sfera pubblica dello Stato e delle sue
istituzioni, n le aggregazioni sociali fondamentali32. In tale sistema
di rapporti nessuna confessione religiosa pu ottenere una posizione
dominante o comunque privilegiata rispetto alle altre.
La maggiore concretizzazione del nuovo assetto Stato-Chiesa si
ebbe con la Loi de sparation del 1905 in Francia. Le idee separatiste
elaborate da ideologie liberali del XIX secolo propongono, tuttavia,
un nuovo assetto di rapporti tra Stato e Chiese, con la diffusione di
unidea di laicizzazione della societ33. Si delinea in tal modo il
concetto di Stato laico quale modello di contrapposizione a quello
legato alla derivazione teocratica della sovranit34.
di uso comune lutilizzo del termine secolarizzazione e/o Stato
secolarizzato come sinonimo, ma anche come rappresentazione di
uno Stato c.d. laico. Esempio ne la circostanza che negli ordinamenti di tradizione anglosassone il concetto di laicit come attributo
dello Stato sconosciuto mentre ricorre il termine secular o secularity per definire il ruolo del magistrato e del funzionario civile di
32
F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa, il Mulino, Bologna, 1974, pp. 148 ss.;
C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico cit., p. 82.
33
I grandi processi di secolarizzazione delle societ europee se da una parte hanno avuto conseguenze negative per la religione dallaltra parte hanno portato ad una
indipendenza delle stesse istituzioni religiose, che hanno potuto godere di una certa
autonomia. Il controllo da parte dello Stato sulle Chiese, infatti, che rappresenta la
prima fase della secolarizzazione, si allent gradatamente sino ad accordare, forse
involontariamente, una autonomia ed indipendenza alla Chiese mai conosciuta sino
ad allora. Lo stesso Concilio Vaticano II con la Costituzione conciliare Gaudium et
spes 76 lett. a) e b) e c), sancisce la necessit in una societ pluralistica, che si abbia
una giusta visione dei rapporti tra la comunit politica e la Chiesaindipendenti
ed autonome luna dallaltra nel proprio campo [ ma entrambe] anche se a titolo
diverso a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane.
34
P. Stefan, La laicit nellesperienza giuridica dello Stato, Cacucci, Bari,
2007, p. 44.

428

Diritto e secolarizzazione

tutelare e promuovere i beni civili e temporali. La laicit diviene, sia


nel linguaggio comune che in quello specializzato, una conseguenza
della secolarizzazione, considerata ora come un processo sociale pi o
meno spontaneo di allontanamento della religione dalla vita pubblica.
Siffatta ricostruzione del concetto di secolarizzazione la sintesi
dellodierno dibattito sulla distinzione tra laicizzazione e secolarizzazione, dove la prima si concretizza essenzialmente in una attivit politica che espelle la religione dallo spazio pubblico; la seconda
rappresenta invece il concretizzarsi di una coscienza nella societ e
che produce la progressiva perdita di ruolo pubblico della religione e
ci senza conflitti e contrapposizioni politiche.
Come per la secolarizzazione anche per il concetto di laicit si
parla di una laicit militante (in senso negativo), intesa come separazione tra lo Stato e la Chiesa, questultima relegata a puro fatto privato, e di una laicit cd. positiva, intesa come neutralit dello Stato
rispetto alle fede o alla mancanza di fede, nei cui confronti lo Stato
si pone come terzo garante delle istanze religiose della comunit35.
Anche per il concetto di laicit si riscontra una vasta letteratura
filosofica e giuridica rivolta ora ad aspetti ideologici alla ricerca dei
presupposti filosofici del concetto ovvero ad aspetti puramente formali rivolti a giustificare la laicit dello Stato come criterio di interpretazione dei diversi assetti istituzionali36.
35
In tal senso si orientata la Corte Costituzionale nella sentenza n. 203 del 1989
in cui stato affermato che la laicit [non definita ma delineata dalla Carta costituzionale] implica non indifferenza dello Stato dinnanzi alle religioni, ma garanzia
dello Stato per la salvaguardia della libert di religione in un regime di pluralismo
culturale e professionale.
36
C. Cardia, in Enciclopedia del diritto, voce Stato laico cit., evidenzia in particolare la difficolt di delineare una nozione univoca di Stato Laico cos come
risulterebbe difficile elaborare il concetto di laicit dello Stato. Non meno difficoltoso risulta lassimilazione tra laicit e separatismo, perch questultimo, continua lA., un concetto non univocamente precisabile dato che esso si concretizza
essenzialmente nella problematica delle fonti di produzione. Lo Stato laico invece
presuppone delle scelte di valore. Pi precisamente lo stato separatista presuppone
una precisa qualificazione di un determinato ordinamento in ordine al proprio sistema delle fonti, lo Stato laico presuppone scelte di valore che investono diversi profili

429

Grazia Petrulli

La separazione dei rapporti tra Stato e Chiesa, per effetto della


quale si avuta la cd. laicizzazione del diritto, d avvio alla separazione tra sfera civile e sfera religiosa anche in ambito matrimoniale.
Listituto del matrimonio/sacramento la cui disciplina era totalmente affidata allautorit della Chiesa, diviene, nella legislazione degli
Stati rivoluzionari, un contratto sociale, definizione che porta in s
da un lato la natura contrattualistica e dallaltra la funzione pubblicistica dello stesso.
Questo diviene nellottica del legislatore rivoluzionario un un
contrat fondamental pour la formation de la Rpublique, sancendo
con la legge del 20 settembre del 1792 ses bases tiennet uniquement au droit civil et naturel et il faut bien se garder de confondre le
contrat et le sacrament. Le mariage nest donc quun contrat civil, et,
ci cest contrat, cest la puissance sculir den rgler les formes.
La riconosciuta natura contrattuale del matrimonio segna dunque
lintroduzione del matrimonio civile come unica forma di connubio
riconosciuto dallo Stato per tutti i cittadini e ci indipendentemente
dallappartenenza ad una confessione religiosa.
In meno di un secolo si consumata lirreversibile divaricazione
tra il modello familiare proposto dal diritto canonico e quello proposto dal diritto secolare. La depenalizzazione del reato di adulterio,
operata dalla Corte Costituzionale negli anni 60, lintroduzione del
divorzio con la legge 898 del 1970, la prevalenza, in un bilanciamento degli interessi, dei diritti personalistici dellindividuo rispetto
e momenti di quello stesso ordinamento. anche vero, come stato da pi parti osservato, che le diverse concezioni della laicit non sarebbero in realt neutre rispetto
al fenomeno religioso al contrario sarebbe rilevante anche per la considerazione dei
punti critici delle relative costruzioni logiche, in quanto la formula dello Stato laico
come Stato neutrale pone il problema della adesione sostantiva dellordinamento
alla relativa concezione dellindividuo, problema che si risolve, invece, presupponendosi una visione fondata appunto sul postulato individualistico-liberale; mentre,
dallaltro lato, la tesi della laicit come riconoscimento attivo del pluralismo religioso pone in ombra il problema della inconciliabilit delle visioni del mondo che
dalle diverse fedi possano discendere, problema che si risolve, invece, presupponendosi che il confronto non possa che condurre al riconoscimento dellesistenza di una
verit data sulluomo, che, in quanto tale, deve valere per tutti.
430

Diritto e secolarizzazione

quello della unit familiare, hanno eroso lentamente quei principi di


unit e indissolubilit del matrimonio volto, come finalit primaria,
alla procreatio et educatio prolis che pure lordinamento secolare,
nonostante la deconfessionalizzazione dellistituto matrimoniale con
lintroduzione del matrimonio civile, aveva elevato a princpi ed essenza del proprio istituto.

431

Kafalah islamica e uguaglianza religiosa

Kafalah islamica e uguaglianza religiosa:


laicit e societ multiculturale
di Paolo Stefan

1. Ha scritto Zygmunt Bauman in uno saggio dedicato al rapporto


tra modernit e ambivalenza che possiamo pensare alla modernit
come a un tempo in cui si riflette sullordine [] possiamo concordare con Stephen L. Collins, che in un suo studio recente ha individuato nellintuizione di Hobbes il marchio di nascita della coscienza
dellordine, ossia [] della coscienza moderna, ovvero della modernit []. Possiamo dire che lesistenza umana moderna nella
misura in cui si biforca in ordine a caos1.
Si scelto di iniziare questo contributo sul rapporto tra eguaglianza e laicit nellattuale contesto socio-politico, caratterizzato dalla
multireligiosit e dalla sempre pi accentuata multiculturalit2, dalle
parole di Bauman perch il diritto ecclesiastico come sistema di norme civili, secolari, che si contrappongono alle pretese di dominio
dellautorit religiosa nel governo della societ umana, sono derivazione immediata della modernit politica e giuridica3. In particolare, la laicit costituisce il frutto pi maturo del pensiero politico
e giuridico moderno4: principio di ordine politico e giuridico della
Z. Bauman, Modernit e ambivalenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2010, pp. 13-5.
Sul rapporto tra multireligiosit e multiculturalismo, in rapporto ai principi di
laicit, libert religiosa e eguaglianza religiosa, cfr. Multireligiosit e reazione giuridica, a cura di A. Fuccillo, Giappichelli, Torino, 2008, p. 441.
3
Su questi aspetti e in particolare sul contributo della dottrina hobbesiana alla
elaborazione del concetto di Stato laico come emanazione diretta della dottrina
dellordine, sia consentito il richiamo a P. Stefan, La laicit nellesperienza giuridica dello Stato, Cacucci, Bari, 2007, p. 158.
4
Con la modernit infatti lordine, in quanto valore diventa giustizia []. Sembra dunque che la nozione stessa di ordine, alla quale si ricorre quasi spontaneamen1
2

433

Paolo Stefan

struttura sociale e politica della modernit, che al suo sorgere si era


caratterizzata con lavvento dellambivalente e caotico pluralismo
religioso conseguenza immediata della Riforma Protestante e della
fine dellunit religiosa interna al cristianesimo medievale.
Ordine e caos, caos generato dallambivalenza consustanziale alla
stessa dottrina dellordine, sono dunque i caratteri della modernit,
ai quali non pu sfuggire la scienza giuridica5. Ogni ordine genera
caos, che deve essere nuovamente ri-ordinato e questo per Bauman
il destino stesso della modernit, il suo essere perennemente e dinamicamente in crisi, intendendo per crisi una situazione di passaggio
da un gi a un non ancora6.
C dunque qualcosa di insito nellordine costruito dalla modernit che genera sempre crisi dello stesso ordine, precisamente ci che
accade al giorno doggi alle nostre societ: la struttura di ordine politico e giuridico, costruita intorno al paradigma dello Stato moderno e
sovrano, di cui la laicit uno dei caratteri fondanti, entrata in crisi.
Una crisi che si articola proprio a partire dalla struttura economica
della societ moderna, ancorata al paradigma delleconomia di mercato. infatti proprio leconomia di mercato, fondata sulle esigenze
te nella ricerca di una qualificazione dello Stato, costringe a mutare integralmente
la chiave del discorso politico [] a compiere il salto dalla descrizione alla prescrizione (A. Passerin DEntreves, La dottrina dello Stato. Elementi di analisi e di
interpretazione, Giappichelli, Torino, 1962, p. 277).
5
Lordine giuridico, il quale cos indispensabile per la conservazione stessa
della societ umana e dei suoi valori di fondo, non pu mai essere concluso e autolegittimante, ma destinato a convivere e a interagire con un disordine di fondo che
lo percorre tutto e, in definitiva, ne apre lorizzonte, impedendo che realizzi quel
potenziale assolutismo formalistico che pure inscritto nel suo progetto originario
[] il diritto ordine formale, ma, al tempo stesso, anche disordine sociale (P. Sirena, Prefazione a Oltre il positivismo giuridico. In onore di Angelo Falzea, ESI,
Napoli-Roma, 2011, p. VII).
6
Sulla crisi del diritto e del diritto ecclesiastico, ma nello stesso tempo sulla
capacit dei principi fondanti la disciplina di governare la crisi come fenomeno di
transito verso nuovi approdi scientifici, cfr. E. Dieni, Diritto & Religione vs. Nuovi
Paradigmi. Sondaggi per una teoria post classica del diritto ecclesiastico civile,
Giuffr, Milano, 2008, p. 126.
434

Kafalah islamica e uguaglianza religiosa

della continua e costante crescita, che genera la necessit di globalizzare i mercati e aprire le frontiere degli Stati. Unitamente alla circolazione delle merci e del denaro, iniziano gradatamente a circolare
le persone dai vari sud del mondo. Leffetto indotto dallapertura e
dalla ricerca dei mercati limmigrazione e con essa il radicale mutamento della struttura antropologica della societ, che da pluralista
diviene multietnica, multireligiosa, multiculturale7.
Globalizzazione e multiculturalit divengono dunque gli aspetti
multivalenti della struttura dellordine moderno e della sua crisi.
Entra in crisi il modello dello Stato nazionale8, caratterizzato dalla
laicit/sovranit.
2. La crisi dello Stato moderno e sovrano rappresenta come si accennato anche la crisi della laicit ad esso legata sul piano teorico e
pratico. Quello che occorre verificare se la crisi della laicit moderna debba o possa essere intesa come inutilit del concetto di laicit a governare lattuale struttura multiculturale della societ e quindi ipotizzare con il sociologo Diotallevi una alternativa alla laicit9.
A parere di chi scrive, la laicit rappresenta un principio politico
e giuridico utile e necessario al governo della societ multi religiosa e multiculturale, oltre che pluralista. Pur avendo una diversificata
attuazione sul piano dei singoli ordinamenti giuridici, tanto da far
parlare di relativit del concetto di laicit sul piano giuridico10, caratteristica questa della differente storia che segna alcune specificit
peculiari ai diversi paesi occidentali e europei in particolare, la laicit
7
Sul rapporto tra laicit e multiculturalismo, cfr. C. Cardia, La sfida della laicit. Etica, multiculturalismo, islam, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007, p. 195.
8
Sulle dinamiche della crisi dello Stato moderno resta insuperabile il volume di
P. Barcellona, Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Dedalo, Bari, 1998, p. 354.
9
L. Diotallevi, Una alternativa alla laicit, Rubbettino, Soveria Mannelli,
2010, p. 230. Cfr., inoltre, la bella recensione al volume di S. Angeletti, in Diritto e
religioni, vol. 10 (2/2010), pp. 627 ss.
10
Cfr. R. Coppola, Laicit relativa, in Religione, cultura e diritto tra globale e
locale, a cura di P. Picozza, G. Rivetti, Giuffr, Milano, 2007, pp. 103 ss.

435

Paolo Stefan

possiede alcuni caratteri ideali che sono lesito di un processo storico, politico, filosofico, in uno culturale dellOccidente cristiano e
che rappresentano il frutto pi maturo del sorgere e affermarsi dello
Stato moderno. Sono questi caratteri fondanti della laicit che possono essere utilizzati per governare il passaggio dalla societ pluralista
alla societ multiculturale, che possono essere il viatico del rapporto
tra laicit e dialogo interreligioso e interculturale.
Prima di passare allesame del rapporto tra laicit e multiculturalismo, pare opportuno tornare alla prospettiva offerta dal sociologo
Diotallevi, sulla costruzione di un necessario paradigma alternativo
alla laicit nellattuale contesto socio politico. La tesi del sociologo
romano costruita essenzialmente intorno a due postulati, entrambi
discutibili. Partendo dallassunto, che ormai comune alla scienza
sociologica delle relazioni tra religione e societ, del ritorno della religione nella sfera pubblica e del consequenziale superamento
della distinzione liberale tra ambito pubblico e ambito privato nella
regolazione del rapporto tra politica e religione, Diotallevi giunge
ad affermare lidea della necessit che venga superato il paradigma
della neutralit religiosa dello spazio pubblico e della separazione tra
ambito politico e ambito religioso, contrapponendo ad esso il paradigma del religious freedom11. Una visione che se da un lato appare
non condivisibile sul piano giuridico, poich tenderebbe a operare
unindebita distinzione tra laicit e libert religiosa, da un altro lato
pare essere eccessivamente dipendente da due concezioni del rapporto tra politica, diritto e religione che a parere di chi scrive sono
entrambe difettive rispetto al governo della societ mutilculturale,
peraltro tra loro opposte: la visione cattolica e quella della laicit
della Francia repubblicana, la quale se da un lato sul piano storico
rappresenta forse lattuazione pi matura dellidea di laicit, dallaltro non crediamo possa essere identificata come il modello ideale di
laicit dello Stato.
Ma quali sono le dimensioni ideali della laicit? Quali le caratteristiche universali del principio, che ha saputo essere nella storia fattoL. Diotallevi, op. cit., pp. 125 ss.

11

436

Kafalah islamica e uguaglianza religiosa

re di pacificazione sociale, emancipando la politica dalla conflittualit insita nel pluralismo religioso, nella diversit religiosa tout court?
Tracciare i contenuti e le dimensioni ideali del principio di laicit
come facile intuire operazione che richiederebbe uno spazio superiore a quello consentito al presente contributo, ma sia pur avvertendo il lettore dei pericoli insiti in ogni processo di semplificazione,
pu ben dirsi che le dimensioni ideali della laicit sono: la separazione della politica dalla religione, dimensioni distinte dellesperienza
umana, speculare peraltro alla distinzione tra ambito dellautorit e
ambito della libert; la neutralit della politica e del diritto rispetto
alla religione, tesa a evitare che si ingenerino nel cittadino-fedele
conflitti di coscienza tra rispetto della legge civile e osservanza delle
norme derivanti dalla propria appartenenza religiosa. Da ultimo, il rigoroso rispetto dei principi giuridici di libert e uguaglianza religiosa. Questi dunque i caratteri fondanti, ideali, del principio giuridico
di laicit dello Stato, che subiscono come vedremo una vera e propria
metamorfosi con lirrompere della multireligiosit e multiculturalit
e lavvento delle dinamiche interne al dialogo interreligioso e interculturale, il quale in qualche modo rappresenta un mutamento nella
struttura e nella dinamicit del diritto.
3. Il diritto deve, a nostro sommesso avviso, confrontarsi con il dialogo, con il concetto di dialogo e anzi deve farsi esso stesso in qualche
modo strumento di dialogo interculturale e interreligioso, in una societ caratterizzata da una diversit che investe la dimensione antropologica della diversit religiosa e culturale12.
Perch dialogare attraverso il diritto? Per rispondere a questo interrogativo di fondo, preme innanzitutto stabilire il significato della
parola dialogo e soprattutto il significato che lo stesso termine acquista nel linguaggio politico: un colloquio o una serie di colloqui
Sullimportanza del dialogo interreligioso come fattore di possibili soluzioni ai
conflitti nelle societ multiculturali, cfr. G. Dammacco, Il partenariato euro mediterraneo tra giustizia e dialogo, in Diritti umani, dialogo interculturale e interreligioso.
Dei delitti e delle pene, a cura di S. Giusti, Demograf, Roma, 2008, pp. 25 ss.
12

437

Paolo Stefan

tra parti politicamente distanti finalizzati alla ricerca di un accordo.


Laccordo come posizione terza rispetto alle due posizioni originarie, caratterizzate da un distanziamento che appare incolmabile solo
prima facie. Lutilit del dialogo quindi quella di costruire una posizione terza, che contenga in se le due posizioni originarie ma nello stesso tempo le superi, le inveri superandole, facendole apparire
entrambe nuove rispetto alla situazione di apparente inconciliabilit,
alla situazione di partenza. Se applicassimo al dialogo giuridico tra
le diversit religiose e culturali la definizione di dialogo che abbiamo
test richiamata dovremmo muovere dalla distanza che separa sul
piano normativo-culturale le due posizioni di partenza, listanza che
proviene dal sistema normativo religioso e culturale, dal sistema normativo delle diversit, e analizzare la stessa alla luce del distanziamento rispetto al nostro sistema giuridico, il sistema che subisce
la diversit.
Dialogare implica cos innanzitutto la conoscenza dellaltro, ma
allo stesso tempo una rinnovata conoscenza di noi stessi proprio attraverso ci che caratterizza sul piano culturale il nostro sistema giuridico, le categorie giuridiche implicate nel processo dialogico. Questa operazione diretta a trovare equivalenze di significati e di senso,
che siano in grado di dare riconoscimento alle istanze provenienti
dalla diversit religiosa e culturale. Per far ci, necessario che il
dialogo sia condotto sul piano della traduzione, con lobiettivo cio
di tradurre le diversit, in un processo che al termine avr prodotto
qualcosa di nuovo sul piano giuridico, nuovo rispetto alle originarie
posizioni di incompatibilit13.
Da queste brevi e sommarie considerazioni emerge la necessit che gli studi
condotti secondo un metodo di analisi e soluzione interculturale dei conflitti sociali
e giuridici interni alle dinamiche della convivenza multiculturale si arricchiscano di
contributi interdisciplinari, che si articolino intorno alle relazioni tra cultura e identit. Su questi temi, la cui bibliografia sarebbe sterminata, si segnalano i contributi di S.
Hall, Il soggetto e la differenza. Per unarcheologia degli studi post-coloniali, Meltemi, Roma, 2006, p. 327; A. Ponzio, Fuori luogo. Lesorbitante nella riproduzione
dellidentico, Meltemi, Roma, 2007, p. 314. Questultima opera rileva soprattutto
in riferimento alla categoria della traduzione semiotica e sul rapporto tra identit e
13

438

Kafalah islamica e uguaglianza religiosa

Al termine del lavoro, attraverso lesame delle sentenze sulla Kafalah della Cassazione crediamo si chiarir meglio il senso di queste
nostre posizioni.
4. Prima di giungere allanalisi delle decisioni giurisprudenziali sulla
Kafalah islamica, ci pare opportuno fare alcune sia pur brevi considerazioni sulla laicit dello Stato e il suo carattere di principio costituente, intendendo per tale un principio che stato il formante principale del processo di unit politica e giuridica dello Stato moderno.
noto che la laicit stata il frutto di un percorso filosofico, giuridico e
politico compiuto primariamente dal giusnaturalismo moderno. Protagonisti indiscussi di questo straordinario processo sono stati Ugo
Grozio e Thomas Hobbes, luno sul versante propriamente giuridico
e laltro su quello politico.
Grozio, nella sua monumentale opera sul diritto della guerra e
della pace14, compie quello che stato definito come uno dei pi
importanti processi di ingegneria giuridica mai compiuti nel corso
della storia delloccidente e del diritto europeo in modo particolare.
grazie allopera di Grozio se le verit teologiche del cristianesimo
furono inscritte, attraverso un processo che emancipava la ragione
dalla fede (etsi Deus non daretur), nella struttura culturale e poi politica e giuridica delloccidente europeo15. Quello stesso riferimento
alla ragione consent a Hobbes di razionalizzare completamente lo
Stato, costruito attorno al concetto di patto fondativo (il contratto
sociale) tra gli individui, che cedevano la loro sovranit al sovrano,
da quel momento unico e solo soggetto autorizzato a emanare norme
giuridiche vincolanti. Auctoritas non veritas facit legem, fu questo
il punto terminale del percorso che condusse alla razionalizzazione
alterit. Sulle implicazioni giuridiche della traduzione semiotica e interculturale, cfr.
M. Ricca, Oltre Babele. Codici per una democrazia interculturale, Dedalo, Bari,
2008, pp. 249 ss.
14
Cfr. U. Grozio, Il diritto della guerra e della pace. Prolegomeni e Libro primo,
a cura di F. Acri e F. Todescan, Cedam, Padova, 2010, p. 226.
15
Su questi aspetti, cfr. da ultimo, M. Ricca, Pantheon, Torri del Vento, Palermo,
2012, pp. 15 ss. e 49 ss.
439

Paolo Stefan

complessiva del sistema giuridico e politico16. La legge, quale comando del sovrano, era formalmente e sostanzialmente astratta e in
questo modo tutti potevano essere e sentirsi cittadini a prescindere
dalla propria appartenenza alle diverse confessioni religiose sorte a
seguito della rottura dellunit cristiana. Tutti erano cio uguali dinanzi alla legge a prescindere dalla rispettiva appartenenza di fede
religiosa. Lesito ultimo di questo straordinario processo fu il riconoscimento dei principi di uguaglianza e libert religiosa, che divennero anchessi principi costituenti, posti a presidio della sistematizzazione dei rapporti tra lo Stato e le Chiese, tra la politica, la religione
e il diritto. Divennero principi di pacificazione sociale e risolsero la
conflittualit insita nella diversit di religione. Ma fu una straordinaria finzione, che resse per lunghi secoli e resse sostanzialmente
sulla continuit culturale tra religione, cultura e sistema giuridico.
Il sistema giuridico parlava una lingua continua rispetto alla cultura religiosa, cultura e religione non erano elementi conflittuali, non
generavano conflitti di coscienza nei consociati, i quali si riconoscevano nei comandi normativi. Su queste basi funzion la separazione
tra politica e religione, funzion articolandosi dentro la separazione
tra dimensione pubblica e dimensione privata dellagire umano, che
rifletteva la separazione tra dimensione della religione, intesa nel suo
ambito fideistico e confessionale, e dimensione della religione come
fattore antropologico e di costruzione della cultura dei popoli.
Tutto ci oggi non funzione pi, entrato in crisi, perch la diversit religiosa appare sotto le sembianze della diversit culturale e antropologica. Il soggetto non si riconosce nei comandi normativi, non
riconosce in essi quella continuit con la sua cultura, che segnata in
modo indelebile dalla sua appartenenza religiosa. Lappartenenza religiosa, quindi, gli provoca esclusione, il sistema giuridico lo respinge, frapponendo alle sue istanze il crisma dellilliceit. Ci lo induce
a ripiegare sulla sua identit, dalla quale si sentir in qualche modo
protetto. Il sistema giuridico gli appare estraneo, se non addirittura
16
Cfr. M. Tedeschi, Potest civile e potest ecclesiastica nel pensiero di Thomas
Hobbes, in Il diritto ecclesiastico, 1989, I, pp. 109 ss.

440

Kafalah islamica e uguaglianza religiosa

nemico. Lestraneit sar percepita come elemento di imposizione


non soltanto di comandi normativi ma soprattutto di categorie culturali caratterizzate dalla matrice religiosa cristiana. Il sistema giuridico non gli apparir neutrale, ma lo avvertir come un elemento
di assimilazione culturale e religiosa. Lesito di questo processo il
potenziale conflitto delle identit, generato da una sovraesposizione
del fattore religioso in chiave politica. Inoltre, il diverso subir la
mancanza di attuazione dei principi di libert e uguaglianza religiosa
cos come difettivo apparir il sistema giuridico sul versante della
neutralit in ambito religioso/culturale. La religione torna cos pericolosamente ad essere fattore di conflitto sociale e politico, un conflitto reso ancora pi pericoloso da quello che Beck ha recentemente
definito il conflitto per la salvezza, articolato intorno allalternativa
tra il bene e il male17.
Accade cio che posto di fronte ad una laicit percepita come cristiana e cristianizzante laltro tende a reagire a quello che avverte come
un tentativo di assimilazione culturale a sfondo religioso. E la reazione
consiste appunto in un atteggiamento simmetrico ovvero nella prospettazione dei propri indici di identit culturale in termini religiosi [] il
risultato [] la sovraesposizione politica del fatto religioso. Anzich mimetizzarsi allinterno di un linguaggio pubblico interculturale,
neutralizzando cos il proprio dogmatismo e il connesso potenziale di
conflittualit, le componenti di matrice religiose dellidentit culturale
verranno allo scoperto, addirittura enfatizzando la propria presenza e
la capacit connotativa delle richiesta di riconoscimento18.
La laicit deve tornare a farsi principio costituente, cos come devono tornare a esserlo i correlati principi di libert e uguaglianza
religiosa, intesi nella loro funzione olistica di princpi/fini del diritto
costituzionale. Per far questo occorre ri-sistematizzare il rapporto tra
religione e diritto, attraverso la costruzione di un sistema di bilanU. Beck, Il Dio personale. La nascita della religiosit secolare, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp. 68 ss.
18
M. Ricca, Dike meticcia. Rotte di diritto interculturale, Rubbettino, Soveria
Mannelli, 2008, p. 37.
17

441

Paolo Stefan

ciamento delluguaglianza e diversit religiosa, esito di un processo


politico che deve poter offrire una sintesi creativa e transattiva fra
le differenze19.
Occorre, cio, costruire le condizioni di un lessico giuridico effettivamente laico, allora, questa pu essere la sfida, ci pu costituire un utile argine ai fondamentalismi e contribuire effettivamente
alla costruzione di unefficace convivenza interreligiosa come conseguente alla raggiunta pace sociale20. Un lessico giuridico interculturale, esito di un processo di dialogo attraverso il diritto21. Dialogare
per tradurre e negoziare le diversit, costruire consonanze e continuit culturali e normative che possano condurre al riconoscimento delle istanze che provengono dalla diversit religiosa e culturale, poich
la corrispondenza tra valori giuridici e valori culturali, tra diritto e
cultura garantisce la responsivit e la riflessivit dellordinamento
democratico rispetto alla base sociale22. Infatti, soltanto sulla
base della negoziazione di quelle differenze e quindi della loro transazione la lacit potr gestire la discontinuit o la continuit tra sfera
pubblica e sfera confessionale; tra eguaglianza e diversit; tra spinte
centripete e spinte centrifughe23.
5. Emerge, dunque, da quanto sin qui sostenuto, limportanza e lutilit del dialogo alla costruzione di un sistema autenticamente laico,
un sistema che serva allintegrazione di uguaglianza e differenza,
M. Ricca, Pantheon cit., p. 26.
A. Fuccillo, Pace interreligiosa, alcuni spunti di riflessione a margine della
World Interfith Harmony week ed il possibile ruolo del diritto, in Stato, Chiese e
pluralismo confessionale, in rivista telematica (www.statoechiese.it), febbraio, p. 5.
21
Su questi temi, cfr. G. Anello, Fratture culturali e terapie giuridiche. Un
percorso giurisprudenziale tra multiculturalit e soluzioni interculturali, in Stato,
Chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiese.it), novembre 2009; nella stessa rivista telematica, cfr. N. Fiorita, Alla ricerca di una nozione
giuridica di identit culturale; riflessioni di un ecclesiasticista, marzo 2009, e P.
Consorti, Nuovi razzismi e diritto interculturale. Dei principi generali e dei regolamenti condominiali nella societ multiculturale, ottobre 2009.
22
M. Ricca, Dike meticcia cit., p. 28.
23
Ivi, p. 105.
19
20

442

Kafalah islamica e uguaglianza religiosa

poich nellintegrare uguaglianza e differenza la laicit ha una funzione costituente []. La mimetizzazione culturale della religione
nella sfera pubblica rappresenta la mossa con la quale il potere costituente integra la religione nella sfera pubblica e preordina, simultaneamente, le condizioni per dislocare la dimensione confessionale
nellarea privata24. Il dialogo tra le culture e le religioni non pu
non intercettare anche la dimensione del diritto, non pu non trasformarsi anche in un dialogo attraverso il diritto, rivalutando da un
lato la centralit del diritto e dallaltro la capacit dello stesso diritto
di integrare la diversit, riconoscendo che la funzione del diritto
la costruzione di un lessico giuridico utile a strutturare il dialogo
politico25. Torna, cos, la dimensione del dialogo nel linguaggio politico, la capacit di creare una posizione terza rispetto alle posizioni
iniziali, apparentemente irriducibili luna allaltra.
Come si detto, la parte finale del nostro contributo dedicata
allanalisi della giurisprudenza sul riconoscimento degli effetti giuridici dellistituto della Kafalah islamica. Sulla questione si ormai
formata una copiosa giurisprudenza dei tribunali italiani sparsi su
tutto il territorio nazionale26. La nostra analisi si appunter su due
decisioni della Suprema Corte di Cassazione, le quali appaiono essere esempi emblematici di come si possa o non costruire sul piano
metodologico percorsi di riconoscimento giuridico della diversit
sul piano religioso e culturale, di integrazione in ottica interculturale
delluguaglianza e della diversit religiosa.
La prima decisione la numero 7472 del 20 marzo 2008. La
questione sottoposta allesame della Suprema Corte concerneva il
riconoscimento della Kafalah islamica come presupposto per il riIvi, p. 110. Sul rapporto tra eguaglianza e diversit religiosa, cfr. N. Colaianni,
Eguaglianza e diversit culturali e religiose. Un percorso costituzionale, il Mulino,
Bologna, 2006, p. 243.
25
M. Ricca, Oltre Babele cit., p. 23.
26
Una ragionata e commentata rassegna della giurisprudenza sulla Kafalh islamica si rinvine in A. Fuccillo, Giustizia e religione, vol. II. Matrimonio, famiglia e
minori tra identit religiosa e rilevanza civile, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 169
ss. Ivi, le dizioni oggetto della nostra analisi.
24

443

Paolo Stefan

lascio del visto ai fini del ricongiungimento familiare. Prima di passare allanalisi della sentenza, occorre sia pur brevemente accennare
allistituto islamico della Kafaklh. Secondo il diritto islamico i figli
concepiti fuori del matrimonio non possono essere considerati parti
della famiglia, non godono di diritti successori: in uno, non vi equiparazione tra figli legittimi e figli naturali.
Al fine di garantire assistenza morale e materiale ai bambini che
non godono delle garanzia della famiglia legittima, garantire cio
linteresse del minore allassistenza morale e materiale, nel diritto
islamico previsto listituto della Kafalah, secondo cui il minore in
stato di abbandono (makful) viene affidato, in via giurisdizionale o
negoziale, ad una persona (Kafil) che assume il compito di provvedere
al sostentamento dello stesso sino al compimento della maggiore et.
Il quesito in diritto formulato dal Ministero della Giustizia riguardava la rilevanza o meno dellistituto di diritto islamico ai fini
del ricongiungimento familiare del minore al soggetto che lo aveva assunto in custodia. Siamo quindi dentro luniverso giuridico e
culturale islamico, unistanza normativamente fondata e proveniente
dallappartenenza di un soggetto alla religione e alla cultura islamica
posta a fondamento dellistituto del ricongiungimento familiare.
Lamministrazione aveva fondato il diniego di riconoscimento della rilevanza della Kafalah islamica ai fini del ricongiungimento familiare del minore su parametri tratti in via esclusiva su unanalisi
meramente formalistica dellistituto del ricongiungimento familiare:
il carattere eccezionale dellistituto rispetto alle politiche del contenimento dellimmigrazione e la non riconducibilit dellistituto della
Kafalah ad alcuno degli istituti tassativamente previsti dalla legge a
garanzia delleccezionalit dellistituto stesso.
In realt, il non detto di tipo formale al quale si era fermata lanalisi del giudice di I grado poggiava anche su una dimensione tacita
dellesperienza giuridica, sulle parti mute sottese alle dinamiche di
attuazione del diritto27: il concetto di famiglia che nellordinamen27
Su questi aspetti, cfr. La dimensione tacita del diritto, a cura di R. Caterina,
ESI, Napoli, 2009, p. 157; dello stesso autore, cfr. inoltre, I fondamenti cognitivi del

444

Kafalah islamica e uguaglianza religiosa

to italiana caratterizzato in modo pregnante dalla cultura cristiana. Contro questa dimensione tacita dellesperienza giuridica si era
scontrata quindi, in un conflitto che andava assumendo le sembianze
del conflitto culturale, religioso e di civilt, la questione del riconoscimento dellistituto di diritto islamico della Kafalah.
Ci che rileva, in chiave interculturale, di costruzione e articolazione della fattispecie in ottica di attuazione della laicit interculturale
e di possibile legame tra laicit e dialogo interreligioso e interculturale
la soluzione data dalla Corte al quesito giuridico. Partendo dal dato
costituzionale, dai valori costituzionale, la Corte individua nella tutela
del minore un valore di tendenziale prevalenza rispetto a quello della
tutela del territorio e di contenimento dellimmigrazione. Su questa
base perviene ad una considerazione di rilevante importanza, secondi
cui una pregiudiziale esclusione [] del requisito per il ricongiungimento familiare per i minori affidati in Kafalah penalizzerebbe [anche
con vulnus al principio di eguaglianza] tutti i minori, di paesi arabi,
illegittimi, orfani o comunque in stato di abbandono, per i quali la Kafalah [] lunico istituto di protezione previsto dagli ordinamenti
islamici. Dopo aver posto a fondamento della decisione i principi/
fini costituzionali, la Suprema Corte opera un viaggio allinterno
delluniverso culturale e giuridico islamico, per cercare di cogliere dal
di dentro dello stesso sistema normativo religioso un valore di riferimento, che potesse essere utilizzato per costruire consonanze e conformit rispetto al valore di fondo posto a fondamento dellistituto del
ricongiungimento familiare. Lo rinviene nella necessit di garantire
al minore abbandonato la fratellanza e la solidariet, elementi posti a
base dellinteresse del minore anche nel sistema normativo islamico.
Su queste basi afferma che non si vede [] come possa quindi pregiudizialmente escludersi, agli effetti del ricongiungimento familiare,
lequiparabilit della Kafalah islamica allaffidamento []. Atteso
[] che [] tra la Kafalah islamica e il modello dellaffidamento
nazionale prevalgono sulle differenze i punti in comune.
diritto. Percezioni, rappresentazioni, comportamenti, Bruno Mondadori, Milano,
2008, p. 250.
445

Paolo Stefan

Partendo da una base di assoluta inconciliabilit e passando attraverso i valori costituzionali e il diritto islamico, anchesso riletto alla
luce di categorie valoriali di fondo, emergono consonanze a prima
vista non rilevate, sugli elementi di divergenza prevalgono quelli di
convergenza. La diversit religiosa e culturale appare meno radicale,
stata tradotta in modo tale che essa possa trovare cittadinanza nel
sistema giuridico. Ma a trovare cittadinanza sono i soggetti che appartengono alla cultura e alla religione islamica, inizialmente respinti
in ragione della loro diversit. In tal modo sia loro appariranno sotto
nuova luce sia il nostro sistema giuridico apparir loro meno estraneo. Le differenze sono entrate in un percorso di negoziazione che
ha reso possibile non isolare le persone in ragione della loro diversit religiosa e culturale. Come stato detto in modo assolutamente
condivisibile, nel dipanarsi della motivazione pu cogliersi la risonanza contestuale e interculturale che innesca il processo di auto
trasformazione del diritto positivo [] a subire una metamorfosi
sono lo spazio tanto dei principi in materia di tutela del minore enunciati dalla Costituzione [] quanto la cornice assiologia e sociologica della Kafalah coranica [] il dichiarato viatico della traduzione
interculturale, consistente nel principio della prevalenza di quanto
comune sulle differenze, dissimula invano un atto creativo28. La laicit diviene interculturale, poich riesce a farsi nuovamente principio
costituente, a sistematizzare sotto la rinnovata luce della neutralit
attiva, attiva perch dinamicamente indotta a mimetizzare i valori
religiosi dentro la sfera pubblica del diritto e della politica, a governare la nuova complessit del rapporto tra il diritto e la religione. I
soggetti possono transitare dalla dimensione dellidentit culturale e
religiosa a quella pi laica dellidentit personale, frutto di dialogo,
traduzione, transazione e negoziazione delle loro diversit.
A ben diverso risultato giunge la sentenza 1 marzo 2010, n. 4868,
della stessa Corte di Cassazione, che, muovendo dal criterio della
cittadinanza e obliterando totalmente e oseremmo dire grossolana28
M. Ricca, Lombra del diritto. Le parti mute dellagire sociale e la traduzione interculturale, in E/C, Rivista italiana di studi semiotici, 2011, pp. 32 ss.

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Kafalah islamica e uguaglianza religiosa

mente la rilevanza dellappartenenza confessionale dei soggetti29,


nega la rilevanza della Kafalah islamica ai fini del ricongiungimento
familiare, determinando cos un corto circuito giurisprudenziale e
giuridico interculturale, per cui il possesso della cittadinanza italiana [] neutralizzerebbe sia le conseguenze giuridiche della religione
professata dal kafil, e quindi della sua libert e della sua appartenenza
religiosa, sia il diritto della minore (makful) allassistenza genitoriale30. Lesito ulteriore della vicenda una palese discriminazione
tra il minore affidato a cittadini stranieri e il minore affidato a
cittadini italiani,
6. I fondamenti culturali delle relazioni tra diritto e religione, tra sistemi giuridici secolari e sistemi giuridici religiosi, posti nellottica
della migliore tradizione del diritto ecclesiastico, vengono in rilievo e quando sono obliterati le soluzioni approntate mostrano tutta
la loro ingiustizia e difettivit sul piano dellattuazione dei principi/
valori costituzionali di libert e uguaglianza dei soggetti.
Il diritto ecclesiastico ha rappresentato da sempre il baluardo pi
importante allo strapotere del formalismo normativista della scienza
giuridica ancorata al formalismo giuridico. Un baluardo eretto al fine
di consentire, nel solco dellattuazione della laicit della politica e
del diritto, la garanzia e la rilevanza dei principi dellappartenenza
religiosa dei soggetti, nel rispetto ulteriore della libert e uguaglianza
in materia religiosa.

Cfr. A. Fuccillo, Giustizia e religione cit., p. 220.


M. Ricca, Lombra del diritto art. cit., p. 35.

29
30

447

Gli Autori

Autori

Giancarlo Anello
Universit degli Studi di Parma
Pasquale Annicchino
European University Institute
Luigi Barbieri
Universit degli Studi di Teramo
Maria Gabriella Belgiorno De Stefano
Universit degli Studi di Perugia
Rinaldo Bertolino
Universit degli Studi di Torino
Germana Carobene
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Pierluigi Consorti
Universit degli Studi di Pisa
Cristina Dalla Villa
Universit degli Studi di Teramo
Fabiano Di Prima
Universit degli Studi di Palermo
Alberto Fabbri
Universit degli Studi di Urbino Carlo Bo

449

Gli Autori

Gabriele Fattori
Universit degli Studi di Siena
Mario Ferrante
Universit degli Studi di Palermo
Giuseppe Gullo
Universit degli Studi di Palermo
Chiara Lapi
Universit degli Studi di Pisa
Maria Luisa Lo Giacco
Universit degli Studi di Bari
Gianfranco Macr
Universit degli Studi di Salerno
Francesco Margiotta Broglio
Universit degli Studi di Firenze
Manlio Miele
Universit degli Studi di Padova
Luciano Musselli
Universit degli Studi di Pavia
Marco Parisi
Universit degli Studi del Molise
Grazia Petrulli
Universit degli Studi di Palermo
Paolo Picozza
Universit degli Studi di Macerata
450

Gli Autori

Mario Ricca
Universit degli Studi di Parma
Giuseppe Rivetti
Universit degli Studi di Macerata
Paolo Stefan
Universit degli Studi di Bari
Marta Tigano
Universit degli Studi di Messina
Valerio Tozzi
Universit degli Studi di Salerno
Giovanni B. Varnier
Universit degli Studi di Genova
Enrico Vitali
Universit degli Studi di Milano

451

Finito di stampare nel dicembre 2012


presso la Tipografia Gutenberg s.r.l.
Via Ponte Don Melillo, 55
Tel. e Fax 089.891385 - tip.gutenberg@tiscali.it

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