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Curzio Malaparte

Dei toscani
e massimamente
dei pratesi

Selezione di brani tratti da


MALEDETTI TOSCANI
A cura di Lorenzo Fiaschi

1
Prefazione

Le pagine da cui sono stati tratti i brani presentati in questo libretto sono, senza dubbio,
una delle opere pi importanti del Malaparte scrittore. Infatti, Maledetti toscani insieme a
Tecnica del colpo di Stato, Kaputt, La pelle, Racconti e Io in Russia e in Cina (con lintervista
a Mao Tse-tung) hanno fatto di lui uno scrittore di fama mondiale. Di Maledetti toscani
Eugenio Montale scriveva: Con questo suo ultimo libro Malaparte riuscito a inserirsi con
caratteri tutti suoi in un gruppo di scrittori che formano un capitolo a se nella nostra recente
letteratura.
Nella selezione qui presentata sono riportati i brani pi significativi dellopera, non nel suo
complesso, ma con un riferimento particolare al pensiero di Malaparte sulla toscanit e sulla
pratesit.
Da questa sintesi quasi schematica di Maledetti toscani, attraverso la orgogliosa descrizione
che Malaparte fa dei toscani e dei pratesi, emergono con chiarezza due degli aspetti
fondamentali del pensiero dellautore: la libert e la verit.
E con la pi ampia delle accezioni che Malaparte utilizza il termine libert, che non si
limita, perci, solo al non essere sottomessi ad altri popoli e va oltre anche alla stessa libert
di pensiero, per arrivare ad abbracciare la libert di pensare e di esternare i propri pensieri. E
proprio questa, secondo lautore, la caratteristica principale e pi bella dei toscani ed in
particolare dei pratesi, che sono popoli liberi proprio perch non han paura di parlare come
pensano.
Con una logica quasi disarmante, il Malaparte ci fa capire che, se gli italiani vogliono
vivere meglio, devono seguire la via della verit, ma ci avverte anche che la verit non esiste
senza libert. La libert, a sua volta, la si conquista, non con le rivoluzioni e con le armi, ma
con lintelligenza, tanto vero che le tirannie non temono gli uomini forti, nerboruti,
muscolosi, e stupidi, ma gli uomini intelligenti, ed proprio grazie alla loro intelligenza che i
toscani sono sempre stati, e sempre saranno, un popolo libero, il pi vicino alla verit
malapartiana, in eterna lotta con la stupidit degli altri popoli.
I brani riportati in questo libretto possono sembrare una semplice autoesaltazione dei
toscani e massimamente dei pratesi, ma in realt hanno come scopo principale quello di far
capire ai toscani stessi e anche a chi toscano non , che lesser toscani, e pratesi in particolare,
un mestiere, e non tra i pi facili, e se Malaparte, in questo suo parlar dei toscani e dei
pratesi, pu sembrare che tenda ad esaltarli, non lo fa per fanatismo, o per lisciar la bazza ai
suoi concittadini, lo fa per amore della verit.
Lorenzo Fiaschi
Prato, febbraio 1998

2
Dei toscani...

E maggior fortuna sarebbe, se in Italia ci fossero pi toscani e meno italiani.

Se cosa difficile essere italiano, difficilissima cosa lesser toscano (1). E non gi perch
noi toscani siamo migliori o peggiori degli altri, italiani o stranieri, ma perch, grazie a Dio,
siamo diversi da ogni altra nazione (2).
Nessuno ci vuole bene (e a dirla fra noi non ce ne importa nulla). E se vero che nessuno ci
disprezza (non essendo ancora nato, e forse non nascer mai, luomo che possa disprezzare i
toscani), pur vero che tutti ci hanno in sospetto. Forse perch non si sentono compagni a noi
(compagno, in lingua toscana, vuol dire eguale) (3).
Il sospetto e linimicizia degli altri popoli, italiani e stranieri, ci fanno senza dubbio onore,
essendo segni manifesti di rispetto e di stima (4).
In se stesso il toscano ha fiducia, pur senza orgoglio, ma negli uomini, nella pianta uomo,
no (5). E non per la loro cattiveria [...], ma per la loro stupidit. Degli stupidi il toscano ha
ribrezzo, perch non si sa mai cosa possa venir fuori da uno stupido (6).
Che tutti gli italiani siano intelligenti, ma che i toscani siano di gran lunga pi intelligenti di
tutti gli altri italiani, cosa che tutti sanno, ma che pochi vogliono ammettere. Non so se per
gelosia, o per ignoranza di quel che sia veramente lintelligenza: la quale non furbizia, come
si crede comunemente in Italia, ma un modo di abbracciar con la mente le cose, di
comprenderle, cio, e di penetrarle, mentre la furbizia soltanto quello che il batter delle
ciglia in confronto con lo sguardo (7).
La libert un fatto dellintelligenza: ed quella che dipende da questa, non lintelligenza
dalla libert. Dir che, nel concetto dei toscani, chi non un uomo libero un uomo grullo
(8).
Pu darsi che i toscani abbiano torto, ma la schiavit sempre, ai loro occhi, una forma
dimbecillit: intelligenza e libert essendo, in Toscana, sinonimi (9). Non pu essere, infatti,
per un puro caso che i toscani siano sempre stati un popolo libero, il solo, in Italia, che non
abbia mai sofferto schiavit straniera, e si sia sempre governato da s, con la propria testa o
con le proprie palle (10).
E se qualche volta capitata a noi pure la disgrazia desser governati da tiranni, bisogna
riconoscere che una tal disgrazia sempre durata poco, e che i tiranni ce li siamo sempre
scelti in famiglia, eran di casa (11).
Talch quei popoli che non son liberi paiono, agli occhi dei toscani, popoli stupidi.
Naturalmente i popoli stupidi non ne vogliono saper di quei sinonimi, intelligenza e libert, e
pretendono di essere schiavi non per mancanza d'intelligenza, ma per forza maggiore. Il che
una riprova della loro stupidit, perch non c forza che resista allacido e alla lima
dellintelligenza: tanto vero che le tirannie non temono gli uomini forti, nerboruti,
muscolosi, e stupidi, ma gli uomini intelligenti, sian pur magri, deboli, e di poche spalle (12).
Dovevan proprio venire i piemontesi di Cavour, liberali e codini, i milanesi del Caff, e i
bacchettoni, i barbogi, i parrucconi, gli ipocriti di tutta Italia, a torcere il naso davanti alla
sboccata insolenza dei toscani. A sentir quegli italiani, lItalia vera non era quella sana,
schietta, popolare che dice ioboia, ma quella a quella a modino, di boccuccia stretta, di
manine bianche, di nasino a ricciolo, di voce scivolosa, che dice permio, lItalia, insomma,
manzoniana. E chi sa che cosa sarebbe diventata lItalia in mano a quei signori, se i toscani
non avessero salvato lantica e nobile tradizione di unItalia popolare, sfrontata e sboccata,
allegra e insolente, che poi la sola Italia degna di rispetto, almeno agli occhi dei toscani, che
di certe cose sintendono pi di tutti gli altri italiani (13).

3
Gran fortuna per tutti, in Italia, che i toscani siano uomini intelligenti, e perci liberi. E
maggior fortuna sarebbe, se in Italia ci fossero pi toscani e meno italiani (14).
A esser italiani tutti son boni: ci son riusciti perfino i piemontesi e i siciliani! Ma provati a
esser toscano, e pratese, se ti riesce (15).

4
...e massimamente dei pratesi

Io son di Prato vo esser rispettato e posa il sasso, sai. (antico detto del popolo pratese)

Se Pistoia ed Empoli, per tacer di Firenze, parlan male di Prato, giuro che non colpa del
popolo pratese, e non vien dal fatto che sia un popolo peggiore degli altri toscani, poich
umanamente impossibile, anche per un toscano, esser peggiore di un altro toscano, ma dal
fatto che il pi toscano dei toscani, se per toscani sintende tutti quelli che son meno toscani
dei pratesi (16).
Io son di Prato, maccontento desser di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non esser
venuto al mondo (17). E dico questo non perch son pratese, e voglia lisciar la bazza ai miei
pratesi, ma perch penso che il solo difetto dei toscani sia quello di non esser tutti pratesi (18).
Simmagini quello che sarebbero stati un Dante, un Petrarca, un Boccaccio, un Donatello,
un Arnolfo, un Brunelleschi, un Michelangelo, se invece di nascere qua e l, sparsi
tuttintorno a Prato, fossero nati a Prato: e quel che sarebbero Firenze, Pistoia, Pisa, Lucca,
Siena, Arezzo, Livorno, se invece di crescere sparpagliate, come sobborghi tuttin giro alle
mura di Prato, fossero state costruite proprio dentro Prato! Sarebbe stato certo un bel
guadagno per tutti: perch la storia di Prato sarebbe stata la storia dItalia, mentre ora la storia
dItalia la storia di Prato (19).
Non mi par giusto, perci, che fiorentini e pistoiesi, non so se per gelosia o per prudenza,
fingano di non conoscerci, e a chi domanda loro notizie dei pratesi fan le finte di non saperne
nulla, di non averci mai sentiti nominare: Prato? la mi riesce nova, e intanto si dan
nellocchio, e cercano di sviare il discorso, parlando di quanto bella Firenze, e di quanto
grande Pistoia: quando Firenze, per noi pratesi, non altro che una Prato di fuor di Porta
Fiorentina e Pistoia nemmeno esisterebbe se a Prato non ci fosse la Porta Pistoiese (20).
E mi fan ridere, quanti credono di offendere i pratesi dicendo che sono il popolo pi becero
che sia in Toscana, anzi in Italia. Come se becero fosse un ingiuria. Un becero un becero:
cio un toscano allo stato di grazia. E i pratesi son beceri, quando son beceri, non per il fatto
che lavoran gli stracci, [...], bens per il fatto che dicono a voce alta in piazza quel che gli altri
italiani tacciono o sussurrano fra quattro mura, in famiglia, e che non han paura di parlare
come pensano, mentre gli altri italiani pensano come parlano, cio biascicando i pensieri
come biascicano le parole, e che non temono di bociare anche quando hanno torto, mentre
gli altri italiani temono di vociare anche quando han ragione, e che, finalmente, son beceri ma
pratesi, mentre gli altri italiani son beceri senza neppure il beneficio desser toscani, e pratesi
(21).
Che lesser pratese sia un gran beneficio, e pi un merito che una fortuna, si vede
dallaccanimento dei pratesi nel mantenersi pratesi, quando sarebbe loro cos facile farsi
passar per fiorentini. (E ce ne sono, per fortuna, che vanno a star di casa a Firenze, e si fan
passare per fiorentini: ma son come i fagioli che vengono a galla nel bollore: son bacati, e il
bollore li butta fuor di Prato come fuor di una pentola, e fuor di Prato c Firenze. Peccato,
per, che Firenze stia fuor di Prato: mi fa leffetto di un cane fuor delluscio (22).
Siccome i pistoiesi sono un popolo cortese, lento, quieto, e han laria, senza volerli
offendere, un po addormentata [...], si direbbe che tengano, anche oggi che non c pi, dalla
parte del Granduca, tanto vero che parlano con la lisca [...] (23). Gran peccato, che i
pistoiesi abbiano la lisca, e parlino con la zeta! Perch, a parte il resto, che qui non conta, si
pu dire in tutta coscienza che i pistoiesi abbian tutto dei toscani, tranne il lato cattivo, che il
meglio dei toscani, massimamente dei pratesi (24).
I quali son lavoratori, traffichini, inventamestieri, e hanno il cuore pi largo della mano:
spendono tutto quel che guadagnano, e tanto son brava gente finch rimangono poveri operai,

5
quanto sono avidi e pelosi non appena fanno, con le buone o con le cattive, un po di quattrini,
e da operai diventan padroni, da tessitori impannatori. (Il che, tuttavia, non proprio dei
pratesi, ma di tutti i popoli del mondo, e non c da meravigliarsene.) Ho detto che sono
inventamestieri: e infatti i mestieri che fanno i pratesi se li sono inventati loro, a cominciar da
quello desser pratesi, perch anche lesser pratese un mestiere, e non tra i pi facili:
pratese vuol dire uomo libero, e il mestiere delluomo libero, come tutti sanno, non certo tra
i pi facili, specie in Italia (25).
Dallessere un uomo libero ad aver pochissima stima di chi comanda, il passo corto, e non
perci da stupire se noi di Prato siamo un popolo, grazie a Dio, senza padroni, nemico
dogni autorit, spregiatore dogni titolo e dogni prosopopea (26).
Rabbiosi, rissosi, riottosi, i pratesi son tuttavia non soltanto buoni lavoratori, bench non
voglian sudare per gli altri, ma anche buoni soldati, bench vadano in guerra a occhi aperti e
non intendan morire per nessuna cosa in cui non ci sia, anche per loro, qualche speranza di
guadagno. Morire un conto, e rimetterci un altro conto. E non mi sembra che abbian torto.
Poich, come stimano una grossa coglioneria il lavorare per gli altri, e perci ognuno si
adopra a lavorar per s, cos stimano il morire in guerra una coglioneria ancora pi grossa: se
vero che anche il morire in guerra un lavorare per gli altri, anzi, peggio, un far guadagnare
milioni a chi rimane a casa a sfruttare chi lavora e chi muore (27).
Ma se in tutta la nostra storia noi di Prato non abbiamo mai vinto una battaglia (non poi
tanto difficile, solo questione di denaro: e non labbiamo vinta perch non eravamo cos
ingenui da pagare, come facevano le altre citt italiane, qualche masnada di mercenari
stranieri che la perdessero per conto nostro), abbiamo fatto tuttavia per la civilt e per lItalia
molto pi che vincere una battaglia [In realt, non solo Prato ha vinto qualche battaglia, ma
ha concluso vittoriosamente anche qualche guerra: per tutte cito quella vinta contro Pistoia
nel 1193. Si tenga presente che Prato l'unica in Toscana che sia riuscita a conquistare
territori del contado fiorentino - n.d.c.]. Tutti son buoni a far gli eroi con la pelle degli altri:
ma se non ceravamo noi pratesi a inventar la cambiale e lassegno bancario [...], il
commercio in Europa sarebbe morto sul nascere, e lItalia, per non dir Firenze, non sarebbe
diventata la prima potenza bancaria del mondo (28).
E qui mi par cosa onesta dire che, se fra i toscani , i quali son tutti degnissimi di rispetto, ce
ne sono alcuni pi rispettabili degli altri, quelli sono i pratesi [...]. Perch i pratesi son toscani
a modo loro, e non han nulla a che fare con Roma e coi romani (cui la toscana non perdoner
mai la brutale schiavit, le feroci persecuzioni, i crudelissimi eccidii, e la morte della lingua
etrusca [...]), ma sono scesi in tempi tardi [...] a vender vino e civaie ai Longobardi della
fortezza di Borgo al Cornio, che fu il nocciolo di Prato (29) [Le recenti scoperte
archeologiche, assommate a quelle dei decenni e secoli passati, hanno confermato l'esistenza,
nei luoghi dell'attuale citt, di abitati organizzati risalenti alla civilt villanoviana e di una
vera e propria citt etrusca, risalente al VI-V secolo a.C., che dominava la valle e la via per
l'Emilia. Queste scoperte spostano indietro di almeno 1.500 anni l'origine dei pratesi e di
Prato, e indirettamente confermano quanto detto dal Malaparte: i legami tra Prato e Roma
sono praticamente inesistenti, non perch i pratesi siano nati dopo, ma piuttosto perch
hanno origini ben pi antiche dei romani - n.d.c.].
Da quellincontro con i Longobardi son nati prima i pratesi, e poi Prato: che nulla debbono,
perci, al solito Mario, al solito Silla, e al solito Cesare, perch son nati quando Roma e i
romani eran gi morti, e si son fatti una storia per conto proprio, tutta pratese [...], senza dover
nulla a nessuno (30).
Poich di tutto i pratesi san far guadagno, a cominciar dagli stracci, che arrivano a Prato da
ogni parte del mondo, dallAsia, dallAfrica, dalle Americhe, dallAustralia, e pi sozzi, pi
pidocchiosi, pi cenci sono, e pi son materia preziosa per un popolo che sa far ricchezza dei
rifiuti di tutta la terra (31) [Ovviamente si deve considerare che Malaparte si riferisce ad una
attivit che, nel periodo a lui contemporaneo, ha fatto la fortuna di Prato, ma che ora non
costituisce certamente l'attivit principale del Distretto Industriale di Prato - n.d.c.].
[...] Tutta a Prato, e tutta in stracci, va a finire la storia dItalia [...] (32).

6
E non soltanto la storia dItalia, ma quella di tutta Europa finisce a Prato, fin dai tempi pi
remoti [...] (33). A Prato, dove tutto viene a finire: la gloria, lonore, la piet, la superbia, la
vanit del mondo (34).
E poi c ancora chi si meraviglia che i pratesi non credono in nulla di tutto ci in cui
credono gli altri (35)? Eppure non sono da meno degli altri, quando proprio non possono
tirarsi indietro, nel buttare la propria pelle al macero, bench meglio di chiunque sappiano che
anche della loro pelle c sempre al mondo chi fa commercio e guadagno (36).
O mirabile non curanza dei pratesi, che non si meravigliano n si arrabbiano n si
scandalizzano di nulla, e della grandezza umana, della superbia degli uomini, ridono, perch
sanno di che son fatte. O semplicit dei pratesi, che sanno dessere nati dal nulla, ma non
fanno come tanti altri, che anche quando vanno a piedi sembra che vadano in carrozza, e
quando camminano fan suonare i dindi nelle tasche, per far vedere che son gente per bene, e
che i soldi per pagarsi la reputazione ce li hanno. O lealt dei pratesi, che non si vergognano
desser nati poveri (e a dire il vero non si vergognano nemmeno desser diventati ricchi), e
non si danno le arie desser figli di nobili e di preti, com duso in certe parti dItalia, e
restano gente del popolo anche quando vanno in carrozza, che per loro soltanto un modo di
andare a piedi stando seduti, [...] e sono esempio di semplicit e di lealt in un mondo, dove
tutti cercano di nascondere quel che sono, e che erano, e si danno laria dessere, il contrario
di quel che sembrano (37).

7
Note

Nelle note che seguono vengono indicati i passi di Maledetti toscani da cui sono stati tratti i brani
presentati in questo libretto.
Di ogni brano vengono indicati, con un numero, il capitolo, il capoverso ed eventualmente, ove il
capoverso non sia riportato integralmente, i periodi. Inoltre, viene anche indicato il numero della
pagina da cui il brano stato estratto: ledizione di Maledetti toscani a cui lindicazione delle pagine si
riferisce quella edita da Leonardo nel 1994, la stessa a cui ha fatto riferimento il curatore di questo
libretto.

Nota Cap Cpv Prd Pag


1 1 1 1 7
2 1 1 3 7
3 1 2 1-2 7
4 1 4 1 8
5 1 7 1 9
6 1 7 3-4 9
7 1 8 1-3 9
8 1 16 3-4 13
9 1 17 1 13
10 1 17 3 13
11 1 18 1 13
12 1 19 14
13 1 25 16
14 1 26 1-2 16
15 7 19 7-9 76
16 5 7 5 54
17 5 8 1 54
18 5 8 2 54
19 5 9 54
20 5 10 1-3 54
21 5 11 55
22 5 12 1-4 55
23 5 13 1 56
24 5 13 5-6 56
25 5 14 56
26 5 15 1 56
27 5 16 1-5 57
28 5 17 3-6 57
29 5 21 1-2 59
30 5 22 1-2 59
31 5 25 60
32 6 16 1 66
33 6 17 1 66
34 6 17 18 67
35 6 18 1 67
36 6 18 7 67
37 6 19 67

8
Curzio Malaparte

Curzio Malaparte, pseudonimo di Kurt Erich Suckert, nato a Prato nel 1898, uno degli scrittori
pi discussi del nostro secolo. Dopo aver partecipato ad entrambe le guerre mondiali, il suo intenso
vitalismo lo sospinse di esperienza in esperienza, dal giovanile repubblicanesimo al fascismo,
dallantifascismo al filocomunismo e, in extremis, alla conversione al cattolicesimo.
Fond alcuni periodici politico-letterari (La conquista dello Stato, 1924; Prospettive, 1939); fu
condirettore della Fiera, poi Italia letteraria (1928-33), direttore della Stampa di Torino (1929-31),
collaboratore del Corriere della Sera, e corrispondente, durante la seconda guerra mondiale, da vari
fronti. Dal 1953 in poi redasse, per il settimanale Tempo, la rubrica Battibecco.
Lopera del M. accanto a ragionamenti politico-letterali (LEuropa vivente, 1923; Italia barbara,
1925; Intelligenza di Lenin, 1930; Technicque du cop dtat, 1931, ecc.), o di costume (Maledetti
toscani, 1956), comprende cantate (LArcitaliano, 1928) e racconti epico-popolareschi (Avventure di
un capitano di sventura, 1927). Accanto a prose di un idillismo evocativo e magico (Donna come me,
1940, ecc.), altre di un realismo (Kaputt, 1944), o di un cinismo (La pelle, 1950) spinti allestremo e
tuttavia mescolati a un sensuale malinconia. Scrisse anche per il teatro e diresse un film, Il Cristo
proibito (1950). Postume sono uscite parecchie raccolte di suoi scritti, per lo pi gi apparsi in
giornali, da Io in Russia e in Cina (1958, a cura di G. Vigorelli), a Mamma marcia (1959), Benedetti
italiani (1961), Diario di uno straniero a Parigi (1966), Battibecco, 1953-1957 (1967), a cura di E.
Falqui. Muore a Roma nel 1957.

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