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PAPYROLOGICA FLORENTINA

a cura di Rosario Pintaudi

Volume XLIV

NEL SEGNO DEL TESTO


Edizioni, materiali e studi per
ORONZO PECERE

a cura di

Lucio Del Corso - Franco De Vivo - Antonio Stramaglia

EDIZIONI GONNELLI
Firenze 2015
Proprietà letteraria riservata.

ISBN 978-88-7468-045-0

Volume stampato con fondi PRIN 2010


“Edizione e informatizzazione dei papiri di Firenze, Praga e Alessandria d’Egitto” (Unità di Cassino),
PRIN 2012 “Letteratura e strutture sociali nella città imperiale” (Unità di Cassino),
FAR Stramaglia 2013 e 2014 (Università di Cassino), FIRB “Codices Graeci Antiquiores.
A Palaeographical Guide to Greek Manuscripts to the Year 850”, e con un contributo
dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e del Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e
della Salute dell’Ateneo cassinate.

Tipografia MA.GI.CA Celere s.r.l.s. Messina - Finito di stampare nel novembre 2015
SOMMARIO

Premessa................................................................................................................................ IX

EDIZIONI E MATERIALI

L. DEL CORSO - R. PINTAUDI


Papiri letterari dal Museo Egizio del Cairo e una copertina di codice da
Antinoupolis ................................................................................................................... 3
J.A. FERNÁNDEZ DELGADO - F. PORDOMINGO
P.Berol. 9774: contaminación inversa de Homero y Hesíodo ....................................... 31
A.M. MORELLI
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino ..................................... 41
L. HÅKANSON† - M. WINTERBOTTOM
Tribunus Marianus ......................................................................................................... 61
M. BASSETTI
Un nuovo testimone biblico carolingio in un manoscritto mantovano .......................... 91
F. ACERBI - I. PÉREZ MARTÍN
Gli scolii autografi di Manuele Briennio nel Par. gr. 2390 ........................................... 103

STUDI

A. STRAMAGLIA
Temi ‘sommersi’ e trasmissione dei testi nella declamazione antica (con un regesto
di papiri declamatorî) .................................................................................................... 147
P. FIORETTI
Sul paratesto nel libro manoscritto (con qualche riflessione sui ‘titoli’ in età antica) ..... 179
F. RONCONI
Il Moveable Feast del Patriarca. Note e ipotesi sulla genesi della Bibliotheca di Fozio . 203
D. BIANCONI
Restauri, integrazioni, implementazioni tra storia di libri e storia di testi greci .......... 239
R. TINABURRI
La versione anglosassone della preghiera agostiniana Deus, universitatis conditor
(Aug., Sol. 1, 1, 2-6) ....................................................................................................... 293
A. FUKSAS
Hierarchical Segmentation of Chrétien’s Chevalier au Lion in ms. Montpellier, Bi-
bliothèque Interuniversitaire, Section médecine, H 252 (ff. 1r-12v) ............................. 307
VI Sommario

F. SANTI
Una teologia per illetterati. Forme delle lettere e teologia dell’emozione nel
secolo XIII ...................................................................................................................... 317
A.M. GUERRIERI
Per uno studio dell’arte retorica germanica: esempi di prosopopea ............................ 327
F. STELLA
Il problema della codifica nelle edizioni filologiche digitali ......................................... 347

I. Indice dei materiali ........................................................................................................... 361


II. Indice delle fonti greche e latine (fino al IX sec.) ............................................................ 367
III. Indice delle tavole .......................................................................................................... 371

Tavole
ALFREDO MARIO MORELLI

IL PAPIRO DI NICARCO (P.Oxy. LXVI 4502) E L’EPIGRAMMA LATINO

1. P.OXY. LXVI 4502 (IL ‘NUOVO NICARCO’)

   ] να µὴ {} πύγιζε   πεµµ [


   ]µεεὐρε[.]αN ἀµφιβεβ [
   ]τεµ    Nιπιθα    ε[
   ]ον ὡ [ρ]αῖον κόλλοπαν[
   ]ν ὕπνον πύγ ιζε µεN [ 5
   ]ουδανπειNθηNορ   λε [
µὴ] κ{ε}ίνει Καµάριναν· ὁ γὰρ τόπο[N ¯ ˘ ˘ ¯ 
  ]οN εἰN ἥ{ι}βην πικρὸν ἵηNι βέ[λοN.

ἐπὶ γέροντοN παρθένο[ν ἀγοµένου

παρ]θένον ὡραίαν µὴ λάµ[β]αν[ε ¯ ˘ ˘ ¯  10


µηδ]ὲ λέγε ‘πλούτου ΚύπριN ἀµε[ινότερον’.
µηδ’] ὠνοῦ ζήλουN καὶ δάκρυ[α ¯ ˘ ˘ ¯  
  ]υN καὶ χυλὸν καὶ πτιNάν[ην ˘˘ 
µη]δ’ ἔχ’ ἐπ’εὐζώµοιN τὰN ἐλπ[ίδαN ¯ ˘ ˘ ¯ 
   ]ψειN ποιήNει δ’ ἄλλοN οµη [˘˘  15
   ]αι κοτυλαιN καὶ ὁ πλατυ[¯ ˘ ˘ ¯ 
   ]NNωπατρη〚υ〛N ἤγαγον εἰς πενίη[ν.

(AP 11, 328)

Τὴν] µίαν ἙρµογένηN κἀγώ ποτε καὶ ∆ιδύ[µαρχοN


ἤγοµ]εν εἰς κοινὴν Κύπριν ἈριNτοδίκην,
ἧN ἔλ]αχον µὲν ἐγὼ πολιὴν ἅλα ναιέµεν [αὐτόN, 20
εἷN γ]ὰρ ἕν, οὐ πάντεN ταῦτα, διειλάµεθα.
Ἑρµ]ογένηN δ’ ἔλαχε Nτυγερὸν δόµον εὐρώεντ[α,
ὕNτ]ατον, εἰN ἀφανῆ{ι} χῶρον ὑπερχόµενοN,
ἔνθ’] ἀκταὶ νεκύων καὶ ἐρινεοὶ ἠνεµόεντεN
διν]εῦνται πνο<ι>ᾶιN δυNκελάδων ἀνέµων. 25
Ζῆν]α δὲ θὲN ∆ιδύµαρχον, ὃN οὐρανὸν εἰNανεβαιν[
τὸ ψο]λό[εν] κατ έ χ  ων ἐν χερὶ π      
γῆ δ’ ἔµ]ενεν ξυνὴ{ι} πάντων· ψίαθον γὰρ ἐν αὐτῆι
Nτρώ]NαντεN τὴν γραῦν ὧδε διειλόµ[ε]θα.

τὴν] ἀρχὴν τί δίπουν τετράπουν τε τρ[ί]πουν τ’ ἐπὶ γαίηι 30


οὐ]θεὶN εἶχε λέγειν. ἔNτι δ’ α[   ]παθικόN.
οὗ]τοN ἕωN ἕNτη{ι}κε, δίπουN· ἀπερειN[ά]µενοN δὲ
   ]χεραN ἀµφοτέρουN κύβδα χαµαὶ τετ[ρ]άπουN.
τῶι] φαλλῶι δαυτωιδε τρίπουN το εφικιοναυτ  
42 Alfredo Mario Morelli

ὃν τ]ρόπον ἐν Θή{ι}βαιN πληNίον ἐNτὶ λέπαN. 35


οὐ]κ ἄν τιN διέλοιτο Nοφώτερον· εἰ τόθ’ ὑπῆρχον,
ἄν]δρεN, ἐγώ {ι}, ΘήβαN ἔNχον ἂν ἑπταπύλου[N].
ἐπὶ µοιχοῦ

πιN]τεύειN µυῒ τυρόν, ὄνωι χόρτον, µέλι µην[.] [


χηιNὶ Nέριν, κυNὶν ὗν, παιδαρίοιN ὑφίδα, 40
(ε)ἱµ]άτιον ῥιγοῦντι, θεατρώ{ι}νηι τὸ λόγευµα,
ἀθ]λεύ<ου>Nι κρέαN, ὀψοφάγωι λοπάδα,
ὃN] µετὰ τοῦ µοιχοῦ δ<ε>ιπνῶν ∆άµωνοN, Ἄλεξι,
ἐγ]γ ὺN ἄγειN αὐτοῦ καὶ τὸ γύναιον ἅµα.
   ] ἀνεNτάµενοN κακυνεῖ, διὰ ταῦτα δ’ οµο [ 45
   ]οι τὴν µοµφὴν τῶι πατρὶ τῶι δὲ πατρί

* (…) non avere rapporti anali (…) / (…) della larga (…) / (…) / (…) il giovane amasio (…)
/ (…) sonno abbi rapporti anali (…) [r. 5] / (…) / (…) non smuovere Camarina: quel luogo, in-
fatti (…) / (…) lancia verso la tua possanza un crudo dardo.
* Su un vecchio che sposava una giovane. / Non prenderti una giovane vergine (…) [r.
10] / e non dire ‘Afrodite è meglio di Pluto’. / Non comprarti affanni e lacrime (…) / (…) ma bro-
dini e tisane (…) / e neppure riponi le speranze nell’erica (afrodisiaco) (…) / (…) farà un altro
(…) [r. 15] / * (?) (…) con i boccali e il largo (…) / (…) condussero alla povertà.
* [AP 11, 328] Aristodice, lei sola, io, Ermogene e Didimarco / l’abbiamo portata ad amori
comuni. / E di lei a me toccò in sorte il grigio mare: [r. 20] / ognuno prese un regno solo, non tut-
ti. / A Ermogene toccò in sorte l’orrenda, ampia dimora / estrema, e andò lì sotto dove non c’è
luce: / lì le rive dei morti e i fichi pieni d’aria / sono sbattuti da soffi di terribili venti [r. 25]. / Di-
dimarco mettilo come Zeus, a cui toccò di andare in cielo, / con in mano il fuoco fiammeggiante
(?). / La terra rimase comune a tutti: stesaci sopra / una stuoia, la vecchia ce la dividemmo così.
* In principio che cosa sia bipede, quadrupede e a tre piedi [r. 30] / nessuno riusciva a dire
sulla terra. È l’uomo (?) che fa il pathicus. / Finché sta in piedi, è bipede; quando si puntella / (…)
con tutte e due le mani carponi, per terra, è quadrupede. / Con il fallo (…) è a tre piedi, il Fichio
(?) (…), / dato che è una cima rocciosa nei pressi di Tebe [r. 35]. / Nessuno potrebbe dare un’in-
terpretazione più raffinata: fossi vissuto allora, / signori, avrei avuto Tebe dalle sette porte.
* Su un adultero. / Affidi il formaggio al topo, il foraggio all’asino, il miele allo sciame, / la
cicoria alle oche, il cinghiale ai cani, le vesti ai servi, [r. 40] / il mantello a chi trema di freddo, l’in-
casso all’impresario, / la carne agli atleti, un piatto prelibato a un ghiottone, / tu che, a cena con l’a-
dultero Damone, o Alessi, / gli metti lì proprio accanto la tua mogliettina. / Appena si alza dal tavo-
lo, la disonora, e per questo hai [r. 45] / nell’aspetto un figlio uguale (?) al padre, anzi, al padre1.
Il papiro, edito da Peter J. Parsons già nel 19992, ha suscitato un ampio dibattito tra i greci-
sti e minori riflessioni, forse, nell’ambito degli studi sull’epigramma latino. Il mio intervento mira

1
La traduzione proposta riguarda le parti integre o integrate con ragionevole margine di sicurezza.
Legenda: (...) = parti mancanti sul papiro o troppo lacunose, di cui è impossibile fornire qualsiasi interpretazione;
sottolineato, seguito da ‘(?)’ = parti di lettura incerta, di cui viene proposta una traduzione sulla base del-
l’integrazione più probabile a giudizio dell’autore;
[r. 5] = numero di riga sul papiro;
/ = passaggio di riga sul papiro;
* = inizio sicuro di un nuovo epigramma (che sia o meno testimoniato il titolo, tradotto sempre in grassetto);
* (?) = inizio non sicuro di epigramma alla r. 16;
[AP 11, 328] = r. 18, indicazione dell’inizio di Nicarch. AP 11, 328 (assenti segni o titoli sul papiro).
2
PARSONS 1999, qui riprodotto. Recentemente, il papiro è stato di nuovo edito e commentato da SCHATZMANN
2012, pp. 270-271, 327-338 e 351-378.
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino 43

ad una nuova analisi dell’importante reperto e ad un esame degli elementi che possono portare luce
sulla complessa vicenda storica che interessò il sottogenere epigrammatico dello scomma nelle
aree culturali greca e latina.

2. IL PAPIRO

Non ho effettuato un’autopsia del reperto; le mie considerazioni si basano su un’analisi delle
fotografie pubblicate nell’editio princeps e sulla loro elaborazione digitale [Fig. 1]. Sul frustulo pa-
piraceo sono leggibili 46 righe, vergate sul verso (mentre sul recto sono riportate note di contabi-
lità) in un’unica colonna di scrittura, che restituiscono (almeno) cinque epigrammi in distici elegiaci
(perduta è la parte lungo i due margini, soprattutto a sinistra, e lacunoso il resto, ciò che crea pro-
blemi di restauro particolarmente gravi nei primi 16 versi della serie, ove anche il margine destro
risulta molto compromesso). Sono presenti due titoli di singoli carmi (rr. 9 e 38), in forte inden-
tation, mentre la perdita del margine sinistro ci impedisce di comprendere se in corrispondenza
dell’incipit di epigrammi privi di titolo vi fossero paragraphoi. Non si riscontrano segni diacritici
e di lettura. La scrittura (probabilmente della stessa mano di P.Oxy. LXVI 4501, vd. infra) è quasi
sicuramente di I sec. d.C., dato ‘alto’ di estremo interesse3.
Solo uno degli epigrammi è conosciuto da altre fonti: si tratta di Nicarch. AP 11, 328. Il testo
di P.Oxy. LXVI 4502 (rr. 18-29) presenta alcune interessanti varianti rispetto a quello tramandato
dalla Palatina, come meglio vedremo in seguito: il problema ha suscitato l’interesse della critica
e, di fatto, in buona parte le analisi sul nuovo reperto si sono accentrate proprio su questo compo-
nimento4. Altri studi, invece, sono stati dedicati al restauro dei primi due (o tre?) epigrammi (rr. 1-
17), con esiti ancora incerti5. Come che sia, già Parsons sosteneva in modo molto ragionevole che
l’omogeneità di genere, temi e (soprattutto) lingua e stile raccomanda l’attribuzione anche degli
altri epigrammi a Nicarco6.
Solo exempli gratia si potranno tentare restauri nei primi 8 versi (corrispondenti al primo
epigramma), ma il contesto generale appare abbastanza chiaro: sembra trattarsi di un epigramma
unitario che inanella una serie di ‘precetti’ per l’aspirante pederasta, intesi, a quanto pare, soprat-
tutto a evitare i tanti fastidi e possibili inconvenienti legati a questa passione7. Dopo Parsons, Wolf-
gang Luppe ha provato a dare un’interpretazione complessiva del componimento, spingendosi
fino a proporne un restauro completo8: io credo che sia più produttivo un ragionamento sui pochi
dati ragionevolmente sicuri e, nondimeno, di notevole interesse. Non ci sono dubbi, a mio modo
di vedere, sul fatto che l’epigramma riguardi il tema dei rapporti tra l’amante maturo e giovanis-
simi catamiti (r. 4 ὡ ραῖον κόλλοπα non potrà significare altro che ‘giovane amasio’): sul termine
κόλλοψ si è creato forse un equivoco. Parsons nota, sulla scia di Richard Hunter, che il vocabolo
nella commedia nuova si riferisce, in genere, ai pathici maturi, come mostrerebbe anche la relati-
va nota di Esichio (τοὺN NκληροὺN καὶ παρηβηκόταN παῖδαN)9; la nozione di base (ma vd. infra)

3
Cfr. PARSONS 1999, pp. 43-44.
4
Cfr. soprattutto MAGNELLI 2005; VERGADOS 2010.
5
Cfr. LUPPE 2000a; LUPPE 2000b; LUPPE 2000c.
6
Cfr. PARSONS 1999, p. 45.
7
Sono, in sostanza, quelli descritti in termini più o meno velatamente scatologici in diversi epigrammi di I-II sec.
d.C., a cominciare da Strato AP 12, 225, 4 = 68 Floridi (cfr. il commento di FLORIDI 2007, pp. 328-332, soprattutto p.
329, con riferimento a P.Oxy. LXVI 4502, r. 8) e Priap. 68, 8. Il motivo è però più antico, e potrebbe essere attestato
già in Macho Chr. 327-332 (per quanto in contesto eterosessuale, cfr. GOW 1965, pp. 117-118): cfr. PARSONS 1999, p.
51, FLORIDI 2007, pp. 328-329, SCHATZMANN 2012, pp. 357-358 (in alternativa, entrambi gli studiosi pensano, con mino-
re verosimiglianza, al motivo della πορδή).
8
LUPPE 2000a.
9
PARSONS 1999, p. 50, seguito in buona sostanza da SCHATZMANN 2012, pp. 358-364; più cauto, in realtà, HUN-
TER 1983, pp. 100-101 (ad Eub. fr. 10, 3 K.-A.; vd. infra).
44 Alfredo Mario Morelli

sarebbe quella di ‘pelle dura, incallita’, cf. anche Suet. De blasph. 3 κόλλοψ· <ὁ NκληρόN, ὑπὲρ τὴν
ἀκµὴν πάNχων· καὶ κολλοποδιῶκται οἱ ἄγριοι περὶ τὰ τοιαῦτα>· ἀπὸ τοῦ ἐπαυχενίου τοῦ ταύρου
δέρµατοN ἐξ οὗ καὶ <οἱ τῶν ὀργάνων πάλαι ποτὲ> κόλλαβοι.
In realtà, la parola appare nella commedia di IV-III sec. e poi, in ambito epigrammatico, in
un carme di Dioscoride (AP 12, 42 = XIII G.-P.) che val la pena di riportare per intero, in quanto
molto istruttivo:

Βλέψον ἐN Ἑρµογένην πλήρει χερί, καὶ τάχα πρήξειN,


παιδοκόραξ ὧν Nοι θυµὸN ὀνειροπολεῖ,
καὶ Nτυγνὴν ὀφρύων λύNειN τάNιν· ἢν δ’ ἁλιεύῃ
ὀρφανὸν ἀγκίNτρου κύµατι δοὺς κάλαµον,
ἕλξειN ἐκ λιµένοN πολλὴν δρόNον· οὐδὲ γὰρ αἰδώN 5
οὐδ’ ἔλεοN δαπάνῳ κόλλοπι Nυντρέφεται.

Κόλλοψ al v. 6, visto il contesto, difficilmente potrà avere il senso stretto di ‘maturo cinae-
dus’, attestato da lessicografi e scoliasti, come notavano A.S.F. Gow e D.L. Page ad loc., che giu-
stamente osservavano come il significato non possa assolutamente darsi per scontato neppure in
Diph. fr. 42, 22 K.-A. o anche Eub. fr. 10, 3 K.-A.10: quest’ultimo frammento viene tramandato,
attraverso Eust. in Od. p. 1915, 16, da Aristofane di Bisanzio (Aristoph. Gramm. fr. 19 Nauck =
Slater), che della parola dà autorevolmente una spiegazione un po’ diversa, rispetto alle più tarde
testimonianze di Svetonio ed Esichio, e non insiste affatto sull’età ‘adulta’ dei pathici, bensì sul
fatto che essi siano prostituti11. Già da Aristofane di Bisanzio κόλλοψ viene considerato equivalente
di παχὺ δέρµα, ma con questa espressione (che del resto nulla ha a che vedere con i presumibili si-
gnificati originali della parola) Aristofane non intendeva certo suggerire che la parola avesse il
senso di σκληρόN = ‘pathicus adulto’ (come hanno, invece, equivocato più tardi interpreti quale
ad es. Esichio, certo anche suggestionati dalla contrapposizione in ambito erotico tra mollis / µα-
λακόN e durus / σκληρόN), bensì quello di ‘prostituto insensibile, rotto a tutte le esperienze, estre-
mamente smaliziato’12. Il significato calza benissimo nel contesto dell’epigramma di Dioscoride:
Ermogene (con ogni evidenza un παῖN giovane e attraente, capace di far sospirare il παιδοκόραξ
... θυµόN degli amanti, v. 2) è senza cuore, la sua superbia (v. 3) cede solo al vile denaro. L’aspetto
più interessante è che Dioscoride sta usando sicuramente un termine osceno, ma che è ormai un

10
GOW - PAGE 1965, II, p. 244.
11
Ἐν δὲ τοῖN τοῦ γραµµατικοῦ ἈριNτοφάνουN φέρεται ταῦτα· <Κόλλοπα> τὸ παχὺ δέρµα φαNὶ λέγεNθαι καὶ τὸν
τῶν ὀργάνων κόλλαβον, παρατιθέµενοι Ὅµηρον καὶ ἄλλουN τινάN. ἕτεροι δὲ οὕτω καλοῦNι τὸν περιτρέχοντα καὶ
ἑταιροῦντα, ὡN καὶ ΕὔβουλοN ἐν τῷ·
ΚαλλίNτρατοN † ἔNτι τιN· οὗτοN οὖν
µεγάλην πυγὴν εἶχ’, ὦ Χαριάδη, καὶ καλήν.
τοῦτον καταλεκτέ’ ἐNτιν ἐN τοὺN κόλλοπαN,
τοὺN ἐκδροµάδαN.
Riporto il frammento di Eubulo con le opportune correzioni di Kassel-Austin.
12
Questa la giusta conclusione cui arrivano (in uno studio molto accurato sul termine, le sue origini e i suoi usi)
PÖHLMANN - TICHY 1982, soprattutto pp. 294 e 297; cfr. poi SLATER 1999, pp. 506-508; MORELLI 2000, p. 293 e nn. 176
e 177; GALÁN VIOQUE 2001, pp. 206-207. Nell’interpretazione di Pöhlmann e Tichy, κόλλοψ nel senso di ‘κόλλαβοN, pi-
rolo per strumenti a corda’ trarrebbe origine da una radice ie. *kol(i)o-, che ha significato base di ‘piolo, paletto, zeppa,
zaffo’ (tant’è che la parola greca è usata in tale significato già da Hom. Od. 21, 407); per quanto riguarda il significato
osceno, esso deriverebbe, in buona sostanza, dal sovrapporsi di un’altra radice, quella da cui proviene κολεόν, ‘guaina,
fodero della spada’ e il verbo κολεάζω ‘rinfoderare’, usato anche nel significato metaforico di pedicare (documentazione
in PÖHLMANN - TICHY 1982, p. 303): nella pronuncia attica, κολεόν può divenire *κολλόν, che unito al suffisso -ops da-
rebbe il termine burlesco κόλλοψ (‘colui che ha l’aspetto di un deretano, che usa molto il πρωκτόN’: cfr. BUCK - PETERSEN
1944, p. 382, «even in Homeric times the form -οψ show scarcely a trace of its original meaning, but is used like many
a suffix merely to denote similarity»). Κόλλοψ nel senso di ‘catamito’ sarebbe quindi omografo e omofono rispetto
alla parola che significa ‘piolo, pirolo’, ma avrebbe origine e contesti d’uso molto diversi.
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino 45

vero e proprio fossile, in disuso nella lingua viva e anche in quella letteraria, terreno di dotte in-
terpretazioni filologiche per gli interpreti della commedia antica. Si tratta di un ripescaggio culto,
più che di adesione a movenze del parlato, che ora riscontriamo anche nell’epigramma di Nicarco
(almeno due secoli e mezzo dopo Dioscoride) in un contesto molto simile a quello dioscorideo, pa-
rimenti erotodidascalico, insieme salace e libresco (impressiona vedere come al v. 5 si menzioni
il sonno, ὕπνον, probabilmente popolato di sogni proibiti su dolci fanciulli, come è anche in Dio-
scoride, v. 2 παιδοκόραξ ὧν Nοι θυµὸN ὀνειροπολεῖ, e come poi sarà nell’epigramma meleagreo,
AP 12, 127 = LXXIX G.-P.)13. Si può forse azzardare l’ipotesi di un’allusione diretta di Nicarco al-
l’epigramma dioscorideo, ma il dato che rimane incontrovertibile è che si rafforza la convinzione
per cui i toni più scurrili, i registri dell’oscenità diretta vengono spesso filtrati in Nicarco attraverso
una civettuola componente ‘dotta’ ora omerizzante, ora antiquaria e filologica a più largo spettro.
Segue, dalla r. 9, un epigramma dedicato ad un classico tema retorico, da progymnasma sco-
lastico14: l’uomo anziano non deve prendere in moglie una ragazza giovane, se non vuole votarsi
ad una vita di miserie (r. 11), perché piuttosto che lacrime e gelosia (r. 1215) a quell’età è meglio
procacciarsi minestrine e tisane (r. 13), senza affannarsi inutilmente a soddisfare i desideri della
fanciulla con degli afrodisiaci (r. 14), con il sicuro risultato di far felice, invece, un giovane amante
di lei (r. 15, se va così interpretata)16. Il restauro delle rr. 16-17 pone davvero problemi delicati per
l’interpretazione d’insieme del reperto. Non è chiaro se i due versi costituiscano la porzione finale
dell’epigramma che comincia alla r. 10 (dopo il titolo alla r. 9) oppure se siamo in presenza di un
monodistico autonomo da ciò che precede e segue. Parsons propendeva per la prima ipotesi, ma
con molte esitazioni e incertezze riguardo all’assetto testuale dei due versi: se proponeva alla r. 16,

13
Per una analisi dei registri stilistici del carme dioscorideo, cfr. DI CASTRI 1997, pp. 60-63; GALÁN VIOQUE 2001,
pp. 202-207. SLATER 1999 insiste sul carattere erotodidascalico del carme e sul tono ‘oracolare’ dell’ego, ritenendo (p.
511) che l’amante sfortunato sia rappresentato nell’atto di adorare il giovane Ermogene, e che anche l’allusione al sogno
sia da vedere su questo sfondo («this unfortunate is being told to petition the divinity as a result of his dreams, a com-
mon phenomenon, dramatized for example by Aeschylus’ Clytemestra in the Choephori»).
14
Sui temi matrimoniali nell’epigramma greco-latino, in rapporto alla tradizione retorica, cfr. ora lo studio di
NOCCHI 2012.
15
La iunctura ζήλουN καὶ δάκρυα è tipica dell’epigramma erotico ‘culto’ fin da Philod. AP 5, 24, 2 = Sider 13, 2,
in un contesto tematicamente simile: cfr. SCHATZMANN 2012, p. 361.
16
Grande impegno al restauro delle rr. 10-15, considerate un epigramma a sé e perfettamente concluso, dedi-
cano prima LUPPE 2000b, e poi SCHATZMANN 2012, pp. 359-364: di seguito riporto i risultati dei loro tentativi.
Luppe:
παρ]θένον ὡραίαν µὴ λάµ[β]αν[ε, νήπιε + nome proprio di prosodia trocaica
µηδὲ λέγε ‘πλούτου ΚύπριN ἀµε[ινότερον’.
µηδ’] ὠνοῦ ζήλουN καὶ δάκρυ[α. Nοὶ δ’ ἀγαπητόν,
ζωµ]οὺN καὶ χυλὸν καὶ πτιNάν[ην ῥοφέειν.
µη]δ’ ἔχ’ ἐπὶ εὐζώµοιN τὰN ἐλπ[ίδαN· οὐ γὰρ ἐπαρκῶN
θάλ]ψειN, ποιήNει δ’ ἄλλοN ὃ µὴ δ[ύναNαι.
Schatzmann:
παρ]θένον ὡραίαν µὴ λάµ[β]αν[ε NυγκατακεῖNθαι,
µηδὲ λέγε ‘πλούτου ΚύπριN ἀµε[ινότερον’.
µηδ’] ὠνοῦ ζήλουN καὶ δάκρυ[α. Nοὶ δ’ ἀναµαρτέN
ζωµ]οὺN καὶ χυλὸν καὶ πτιNάν[ην ῥοφέειν.
µη]δ’ ἔχ’ ἐπὶ εὐζώµοιN τὰN ἐλπ[ίδαN, ἀλλ’ ἐρεβίνθουN
τρί]ψειN, ποιήNει δ’ ἄλλοN ὃ µή σ[ε πρέπει.
Schatzmann, come si vede, oltre a proporre un diverso costrutto retto da µὴ λάµ[β]αν[ε al v. 1, ipotizza soprat-
tutto un differente Witz finale: non è chiaro il senso che lo studioso attribuirebbe all’espressione, non altrimenti attestata,
ἐρεβίνθουN τρίψειN (il vecchio dovrà masturbarsi? Dovrà avere rapporti omosessuali, o meglio, di reciproca masturba-
zione, come avviene in Strato AP 12, 13, 2 = 12, 2 Floridi? Schatzmann ipotizza anche una fellatio, ma il contesto, anche
ammessa l’equivalenza ἐρεβίνθουN = mentulas, non è perspicuo), anche se non va affatto scartata l’ipotesi secondo la
quale (magari in termini metaforici che si integrino nel contesto del carme) qui si darebbe all’anziano malcapitato il
‘consiglio’ di dedicarsi a pratiche sessuali alternative (ciò conferirebbe al verso una vivacità maggiore rispetto a quanto
si avrebbe con l’ipotesi di Luppe: si parla, ovviamente, di ipotesi al momento difficilmente verificabili).
46 Alfredo Mario Morelli

con lieve correzione del testo, αἱ πολ]λαὶ κοτύλαι{N} καὶ ὁ πλατύ[νωτοN ἐραNτήN, rimaneva poi
in imbarazzo alla riga successiva per dare un senso compiuto al verso e al distico17. Diversa strada
sceglie Luppe, secondo il quale uno spazio interlineare più ampio del consueto separerebbe le rr.
16-17 dalle precedenti, così come succede subito dopo, tra le rr. 17 e 18 (alla r. 18, senza titolo iden-
tificativo, comincia il testo di un nuovo epigramma, esattamente AP 11, 328); ciò indicherebbe che
il distico è da interpretare come carme a se stante, un breve epigramma incentrato sul tema delle
nefaste conseguenze del vino e dell’amore, che Luppe restituisce come segue:

Εὔδη]µ’, αἱ κοτύλαι N<ε> καὶ ὁ πλατύ[πυγοN ˘¯  


καὶ πρ]ὸN Oωπάτρη N’ ἤγαγον εἰN πενίη[ν18.

‘Eudemo’ sarebbe stato ridotto in povertà a seguito dei bagordi, dell’amore per un cinaedus
dai larghi fianchi e, per sovrammercato, della relazione con una donna di nome Sopatre (antropo-
nimo che sarebbe attestato solo qui in letteratura greca, mentre è abbastanza diffuso in ambito epi-
grafico e nella documentazione papiracea19). Le integrazioni suscitano in più punti perplessità (la
ripetizione in due versi contigui del pronome Nε, pur se non impossibile, non appare certo elegan-
te; καὶ πρ]όN all’inizio del pentametro sembra poco più che una zeppa e linguisticamente la iunc-
tura andrebbe forse piuttosto espressa nella forma, impossibile in questo contesto metrico, καὶ
πρόN γε o simili) ma l’argomentazione, in generale, di Luppe non può essere respinta a cuor leg-
gero: il distico potrebbe davvero essere un carme a se stante (per una ipotesi di restauro exempli
gratia, si può arrischiare anche αἰ πολ]λαὶ κοτύλαι N<ε> καὶ ὁ πλατύ[νωτοN, + nome proprio ma-
schile al vocativo e a prosodia bacchica / µοιχ]ὸN ΣωπάτρηN ἤγαγον εἰN πενίη[ν: riguardo al voca-
tivo a fine esametro collocato a interrompere una iunctura articolo + aggettivo + nome a ponte tra
esametro e pentametro, cf. ad es. AP 12, 69, 1-2)20. Se uno degli elementi che fanno parte del topos
è sempre quello delle eccessive spese cui una moglie avida e frivola costringe il marito (soprat-
tutto se questi è anziano e la donna è giovane) e se un vizio spesso citato nella caratterizzazione
negativa della consorte è quello dell’ubriachezza, davvero risulta difficile integrare i due versi in
modo coerente con i sei precedenti. Incerto è anche l’antroponimo Oωπάτρη (se la lettura delle
quattro lettere immediatamente prima di dieresi dovesse essere effettivamente ΤΡΗΣ, tale sequenza
sul papiro potrebbe far supporre, ad es., anche πρ]όNNω πάτρηN, ‘lontano dalla patria’21, con dictio
poetica elevata che certamente non guasta in un autore come Nicarco, che indulge a tali usi paro-
dici22): e ad una analisi delle fotografie sembra non potersi escludere neppure che ‘ΤΡΗΣ’ sul pa-
piro sia stato corretto in ‘ΤΡΟΥO’ (più che in ‘ΤΡΟΥ’), e non il contrario23, il che imporrebbe altre
soluzioni24. Infine, le rr. 14-15 paiono presentare un Witz di chiusura analogo a quello che si ri-

17
PARSONS 1999, p. 52: «if there is a direct reference to the name of the husband or the wife, I do not see how to
fit it in without substantial violence (say, if the old husband is called Sopater, κἄλλουN OωπάτρουN ἤγαγον εἰN πενίην
‘…have brought other Sopaters too to poverty’)».
18
LUPPE 2000c. L’omicron all’inizio della r. 17 è molto incerto, cfr. sopra il testo critico e PARSONS 1999, p. 52.
19
FRASER - MATTHEWS 1987, p. 419; OSBORNE - BYRNE 1994, p. 414; FRASER - MATTHEWS 1997, p. 411; 2000, p.
391; 2005, p. 323. Cfr. ex. gr. IG II/III2 3,2, 8298, 8986 etc. (Attica); P.Tebt. III 1, 817 etc. È attestata la forma della
koiné Oωπάτρα.
20
Va detto, comunque, che l’osservazione dello studioso riguardo allo spazio interlineare tra i vv. 15/16 e 17/18,
che sarebbe maggiore della media riscontrata sul papiro, non trova riscontro ad un esame delle immagini: la differenza,
se c’è, è trascurabile e oltretutto si trova in un punto interessato da cambio o almeno da taglio della punta del calamo.
21
Cfr. Anth. Gr. App. Sepulcr. 385, 2 πόρρω πατρίδοN, in ambito funerario.
22
Su questo aspetto, sono molto eloquenti non solo AP 11, 328, ma anche, si può dire, l’intera serie degli epigram-
mi riportati sul papiro: e un luogo di particolare addensamento della parodia epica sembra essere proprio il distico fina-
le degli epigrammi (cfr. r. 8 e le considerazioni infra, nel testo; in generale, cfr. NISBET 2003, pp. 82-84; MAGNELLI 2005,
pp. 156-159; VERGADOS 2010).
23
Come invece afferma PARSONS 1999, p. 52.
24
Ho discusso di questa e di altre particolarità del papiro con Lucio Del Corso. Nell’ipotesi che vada letto
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino 47

scontra nell’ultimo epigramma della serie (rr. 39-46, ἐπὶ µοιχοῦ: vd. infra): insomma, dobbiamo
rassegnarci ragionevolmente ad un non liquet, mantenendo aperte tutte e due le ipotesi di assetto
delle rr. 9-1725.
Alle rr. 18-29 segue (senza titolo o indicazioni di sorta) la trascrizione di AP 11, 328, l’epi-
gramma meglio conservato, una parodia dell’episodio omerico della ‘divisione dei regni’ tra Zeus,
Ade e Poseidone: il testo presenta interessanti varianti rispetto a quello finora noto26. Alla r. 30 co-
mincia un nuovo carme, una burlesca nuova interpretazione dell’enigma della Sfinge. È il pathi-
cus la soluzione migliore per l’indovinello, è lui che è sia quadrupede che bipede che a tre piedi.
La miglior integrazione al v. 31 (che meglio dà conto anche delle lacune e delle tracce sul papiro)
è sicuramente ἔNτι δ’ ἀ[νὴ]ρ παθικόN (la iunctura ἔNτι δ’ ἀνήρ anche in [Lucian.] AP 10, 26, 3)27,
perché ricorda già la risposta ‘classica’ all’enigma, ἄνθρωποN, e la ‘interpreta’ scherzosamente gra-
zie allo straniante παθικόN che segue (si crea così anche un piccante ossimoro). Alle rr. 34-35 è im-
possibile ricostruire un testo davvero soddisfacente sulla base dei resti: il sospetto che ci si trovi
di fronte anche a qualche corruttela testuale è abbastanza consistente. Il senso generale dovrebbe
essere che grazie al fallo il pathicus è anche ‘animale a tre piedi’ ed è connesso in qualche modo
al Fichio, la montagna presso Tebe nella quale è ambientato l’incontro tra Edipo e la Sfinge28. L’ul-
timo epigramma (dotato di titolo, r. 38) riprende toni scherzosamente sapienziali e torna sulle te-
matiche ‘matrimoniali’, rampognando un interlocutore che è poco attento nel preservare la virtù
della moglie, nel momento in cui le pone accanto, nel convivio, un incallito adultero. Io credo che
una ricostruzione plausibile per la r. 46 potrebbe giocare sul motivo del ‘figlio uguale al padre’
(quindi con una lieve correzione e integrazione del tipo διὰ ταῦτα δ’ ὁµo[ῖοN / παῖN] Nοι τὴν µορφὴν
τῷ πατρί, τῷ δὲ πατρί ‘per questo hai un figlio uguale nell’aspetto al padre, anzi, al padre’)29, ma

‘ΤΡΟΥO’, Oωπάτρου N’ potrebbe essere la soluzione più probabile, più che OωπάτρουN (se si pensa che -N sia stato tra-
scritto per errore, si avrebbe Σωπάτρου, ma ciò comporterebbe iato sul successivo ἤγαγον, cfr. anche PARSONS 1999,
p. 52). SCHATZMANN 2012, p. 271, dal canto suo, ipotizza vada letto OωπάτρηN, che egli interpreta come nominativo
maschile (la ricostruzione complessiva del distico lascia più di un dubbio, soprattutto nel secondo verso: Εὔδη]µ’, αἱ
κοτύλαι N<ε> καὶ ὁ πλατύ[πυγοN + nome proprio di prosodia giambica + καὶ / ὁ + parte iniziale di aggettivo mono-
sillabico ]ὸN OωπάτρηN ἤγαγον εἰN πενίη[ν): tale nome, però, non è mai attestato in greco, e il suffisso ipotizzato lascia
parecchi dubbi sulla liceità della neocostruzione.
25
Un piccolo spunto di riflessione è dato dal fatto che, mentre nel distico alle rr. 16-17 si preferiscono coerente-
mente le forme ioniche πενίη[ν e forse ΣωπάτρηN, alla r. 10 abbiamo ὡραίαν (il nominativo πενίη e l’accusativo πενίην
sono ovviamente limitati, in letteratura greca, all’ambito ionico, soprattutto poetico, ed anzi, da Theogn. 155 e passim
entrano nella lingua poetica greca come ionismi, mentre la prosa attica e della koiné hanno sempre πενία / πενίαν; di-
scorso, però, del tutto analogo va fatto per ὡραία(ν) / ὡραίη(ν), a cominciare da Theogn. 1289, in cui è proprio questione
di una fanciulla in età da marito, e cfr. poi almeno Apoll. Rh. 3, 1390): ora, tali incongruenze sono comuni e potrebbe-
ro nei diversi casi essere attribuite allo scriba così come ad esigenze stilistiche dell’autore (la scelta ‘ionizzante’ alla r.
20 = AP 11, 328, 3 πολιήν si deve all’influsso, ovviamente, di Hom. Il. 15, 190, cfr. MAGNELLI 2005, p. 157), ma certa-
mente danno un ulteriore, ancorché esile elemento per, almeno, prendere in considerazione l’ipotesi di una indipenden-
za di rr. 16-17 da quanto precede.
26
Vd. supra, p. 43 e n. 4. MAGNELLI 2005, pp. 161-164, conduce un’analisi serrata delle varianti sul papiro ri-
spetto alla tradizione della Palatina (ed è nel giusto nel considerare che l’antroponimo ∆ιδύµαρχοN, con i suoi piccanti
sottintesi, è ben superiore all’anodino ΚλεόβουλοN tramandato dalla Palatina) e conclude giustamente (p. 164) che
«della produzione di Nicarco, o almeno di una parte di essa comprendente AP 11. 328, dovettero circolare due ‘edizioni’
dalla sorte non troppo effimera, a dimostrazione del fatto che il successo dei suoi epigrammi non era circoscritto all’oc-
casionale performance simpotica»
27
Discute questa ipotesi già PARSONS 1999, p. 54, con osservazioni anche di J.R. Rea e D. Obbink. Cfr. poi SCHATZ-
MANN 2012, p. 367.
28
Plut. Brut. anim. 988a; [Apollod.] Bibl. 3, 52; Palaeph. Incr. 4. Il nome del monte Fichio giocherebbe con quello
delle ‘natiche’, φίκιδεN (con φί- breve, però, contrariamente alla sillaba iniziale del nome del monte), cfr. P.Oxy. XLII
3070, 5 e BAIN 1983. Simili giochi osceni, anche con scambi di quantità vocalica, sono comuni nella commedia e si ri-
verberano poi sulla poesia epigrammatica: cfr. CASSIO 1975 e il materiale ora raccolto da FLORIDI 2014a ad Lucill. AP
11, 394, 1-2 = 127, 1-2 Floridi. Merita di essere segnalata la recente proposta di una connessione etimologica tra Oφίγξ
e φίκιN, cfr. KATZ 2006.
29
Come mi suggerisce Lucia Floridi per litteras, «ὁµοῖοN è termine ‘tecnico’ per veicolare il concetto della somi-
48 Alfredo Mario Morelli

non va sottovalutata neppure la possibilità che la lezione µοµφήν del papiro sia sana, sicché si po-
trebbe integrare διὰ ταῦτα δ’ ὁµὸ[N παῖN / οἴ]Nοι τὴν µοµφὴν τῷ πατρί, τῷ δὲ πατρί («per questo
uno stesso bambino potrebbe portare la vergogna sul padre e pure sul padre»), intendendo che il
neonato porterebbe l’onta di becco al marito dell’adultera e quella di moechus al padre naturale
(anche se nella concezione antica e popolare quest’ultima è decisamente µοµφή meno grave...)30.

3. LA DISPOSIZIONE DEI CARMI

Abbiamo notato che P.Oxy. LXVI 4502, come del resto P.Oxy. LIV 3725 (che contiene Ni-
carch. AP 5, 40 e 11, 24131) e P.Oxy. LXVI 4501 (che contiene un epigramma altrimenti non co-
nosciuto, attribuibile a Nicarco; il testo è vergato probabilmente dalla stessa mano di P.Oxy. LXVI
450232), è scritto sul verso di un testo documentario, da una mano informale del I o, al massimo,
degli inizi del II sec. d.C. Non si tratta, quindi, di un frammento di libro vero e proprio, ma piut-
tosto della copia per uso personale di un gruppo di componimenti, selezionati secondo criteri che,
in positivo, non sono definiti in alcun modo da titolature o apparati paratestuali. Nella classica de-
finizione proposta ormai alcuni anni fa da Lorenzo Argentieri (per le raccolte epigrammatiche pre-
meleagree, ma le categorie possono essere applicate anche al nostro caso), siamo in presenza di un
frammento di ‘silloge’ epigrammatica informale costituita da componimenti di un unico poeta,
non, in teoria, di un libellus letterario d’autore33. Eppure, se si analizza la ‘sintassi’ secondo la quale
i carmi sono accostati, si riscontra sicuramente un disegno che, se non potrà essere attribuito sic
et simpliciter all’autore stesso, comporta, insieme, principi di variatio e di connessione tematico/
verbale analoghi a quelli che presiedono alla costruzione di libri epigrammatici artistici.
rr. 1-8 (8 versi): epigramma burlesco ‘erotodidascalico’, in cui l’ego, investito di autorità
‘sapienziale’, dà istruzioni riguardo ad amori paidici e prestazioni sessuali (a pagamento? Vd. r. 4)
da evitare in determinate condizioni (r. 1 µὴ πύγιζε, con la negazione ripresa probabilmente al-
meno al v. 7): l’interlocutore cui l’ego si rivolge è un maturo pederasta alle prese con giovani
amasi (vd. r. 4 ὡ ραῖον κόλλοπα); almeno negli ultimi due versi sono presenti scherzose metafore,
con linguaggio omerizzante, legate a pratiche sessuali e parti del corpo interessate;
rr. 9-15 (o 9-17?) (8 vv., oppure 6 + 2): l’ego ‘sapienziale’ rivolge ora i suoi insegnamenti ‘in
negativo’ (r. 10 µὴ λάµ[β]αν[ε34) ad un senex che vuol prendere una moglie giovane (r. 10 παρ]θένον
ὡραίαν, con ripresa del medesimo aggettivo del r. 4)35; si passa quindi agli amori eterosessuali e
ai temi matrimoniali, ed emerge ancora il tema ‘economico’, legato all’antitesi ‘Afrodite/Pluto’
(r. 11); con ogni probabilità almeno al v. 15 si affaccia anche il motivo dell’adulter, cui la moglie
giovane dell’anziano (facoltoso?) è destinata. L’interpretazione dei rr. 16-17 è dubbia (vd. supra):
se fosse la porzione finale dell’epigramma che comincia alla r. 9, ci sarebbe ripresa ‘ad anello’ del

glianza del figlio al padre, ‘prova’ della castità della madre – e viceversa – nella letteratura satirica e nella riflessione
gnomica, da Focilide a Marziale e oltre». Cfr. la documentazione raccolta in FLORIDI 2014a, ad Lucill. AP 11, 215, 2 =
88, 2 Floridi.
30
L’uso di δέ, certamente, nella prima delle due ipotesi sarebbe più calzante: quel che comunque mi sento di esclu-
dere è che sia assolutamente necessario integrare una congiunzione o comunque un’espressione negativa al v. 46 (al
proposito cfr. PARSONS 1999, p. 56). Nella prima delle due ipotesi, il distico finale alluderebbe in modo scanzonato al ce-
leberrimo Hes. Op. 182 οὐδὲ πατὴρ παίδεNNιν ὁµοίιοN.
31
Cfr. PARSONS 1987; SCHATZMANN 2012, pp. 287-294 e 345-346.
32
Vd. supra e cfr. PARSONS 1999, p. 38; SCHATZMANN 2012, pp. 209-214.
33
ARGENTIERI 1998, pp. 2-4. Cfr. ora la revisione operata da PORDOMINGO 2013, p. 3-7.
34
L’ammonimento dell’ego-didaskalos, espresso con µή seguito da imperativo, nel primo verso dell’epigramma,
sembra essere vezzo di Nicarco: oltre ai due casi in P.Oxy. LXVI 4502, cfr. AP 5, 40, 1 (trascritto, a sua volta, in P.Oxy.
LIV 3725) con SCHATZMANN 2012, pp. 286-292 e 380.
35
Su queste corrispondenze tematico-verbali tra il primo e il secondo epigramma, cfr. FLORIDI 2010, p. 36: Flo-
ridi parla di ‘coppia epigrammatica’, cui fa da pendant quella formata dagli epigrammi alle rr. 18-29 e 30-37 (vd. infra).
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino 49

tema ‘economico’ (il vecchio, infelice marito rischia di ridursi in povertà), che sembrerebbe espres-
so in termini gnomici uguali e contrari a quelli della r. 11 (‘le gozzoviglie e gli amorazzi di una mo-
glie infedele hanno spesso condotto alla povertà altri come te’); se invece ci trovassimo di fronte
ad un distico indipendente da quanto precede, si tratterebbe di una ripresa tematica dell’incipit del
carme alle rr. 9-15;
rr. 18-29 (12 vv.): mettendo in atto un tipico meccanismo di rovesciamento e variazione, si
introduce un lungo epigramma ‘narrativo’ (e non ‘didascalico/sapienziale’), sempre di argomento
sessuale e tono scommatico, ma questa volta nei confronti di una γραῦN (r. 29) che intrattiene una
liaison con dei giovani, non di un vecchio che sposa una παρθένοN. Viene proposta una grottesca
parodia omerica, che riscrive in chiave sessuale la celeberrima scena dell’‘assegnazione dei regni’
(Hom. Il. 15, 189-193)36. Non siamo in grado, purtroppo, di stabilire se ci possa essere un richiamo
tematico, a proposito del motivo della εὐρυπρωκτία, tra la r. 16 πλατυ[ e la r. 22 εὐρώεντα (anche
se, linguisticamente, nel primo caso l’accento pare cadere sull’estensione, nel secondo sull’aper-
tura); sembra però chiaro almeno il richiamo tematico a r. 2 εὐρε[.]αN; continui sono i giochi di
parole riguardanti lessemi e iuncturae ‘colte’, omeriche, reinterpretate come allusive alle parti del
corpo interessate alla penetrazione37;
rr. 30-37 (8 vv.): ancora parodia, ma in questo caso rivolta al famoso ‘indovinello della sfin-
ge’38: si riprende il tema degli amori omosessuali, ma stavolta non si tratta di un giovane amasio,
ὡραῖοN κόλλοψ, come nel primo epigramma, bensì di un maturo pathicus, ἀ[νὴ]ρ παθικόN (r. 31);
c’è gioco di parole su un aspetto ‘culto’ del mito (il nome del monte della Sfinge, il Fichio, allude
alle parti del corpo interessate alla sodomia39). L’ego riguadagna le sue funzioni ‘sapienziali’ (di-
viene addirittura novello Edipo, scioglitore di enigmi) non di fronte a un ‘allievo’ che viene apo-
strofato alla seconda persona (destinatario interno cui si propina un messaggio didascalico), bensì,
in modo diretto, di fronte alla comunità degli ἄνδρεN / simposiasti (r. 37); egli assume funzioni di
personaggio immaginario del mito (vv. 7-8)40;
rr. 38-46 (8 vv.): ritornano i temi ‘matrimoniali’, e ritorna soprattutto quello del µοιχόN, del-
l’adultero interessato alla giovane moglie del destinatario (il γύναιον, la muliercula della r. 4441)
in un contesto conviviale (come avveniva al v. 15, sembrerebbe, se non dobbiamo supporre lo stes-
so tema ai vv. 16-17).
Possiamo schematizzare come segue:
1-8: amore paidico mercenario / ego erotodidascalico, destinatario interno tu, precetti in negativo,
giochi di parole su atti e parti del corpo connesse al sesso;
µὴ πύγιζε;
εὐρε[ ]αN;
ὡ ραῖον κόλλοπα;

36
Hanno ragione MAGNELLI 2005, soprattutto p. 164, e VERGADOS 2010, nel concludere che la complessità della
parodia presupponeva anche un lettore estremamente sofisticato, che non si è fermato ai primi livelli dell’istruzione sco-
lastica e ha familiarità non solo con Omero ma anche con la filologia omerica.
37
Su questo aspetto, cfr. MAGNELLI 2005, pp. 156-159.
38
È interessante notare come in P.Oxy. LIV 3725, anch’esso nicarcheo (vd. supra, p. 48 e n. 31), sia presente
un epigramma sulla sfinge, almeno a giudicare dal titolo superstite: i frammenti sono troppo esigui per farci una qua-
lunque idea sul carattere del carme, ma è significativo questo trattamento multiplo del tema in Nicarco (cfr. SCHATZMANN
2012, pp. 366 e 377-378).
39
Vd. supra, n. 28.
40
Secondo l’interpretazione di FLORIDI 2010, p. 36, gli epigrammi alle rr. 18-29 e 30-37 sul papiro formerebbero
anch’essi una coppia, tutti e due rivisitazioni di ‘miti’ (in un caso la suddivisione dell’universo tra i tre dèi, nell’altro
l’enigma della Sfinge) e tutti e due introdotti dall’articolo τὴν incipitario.
41
Il termine è, generalmente, unpoetisch, non ritorna mai in ambito epigrammatico, mentre non è alieno alla prosa
oratoria, filosofica, diatribica e biografica (Demosth. In Aristog. 57; Andoc. Myst. 130; Plut. Alcib. 39, 9 e passim; Diog.
L. 2, 52 e passim) e soprattutto a quella retorica di ambito erotico e al romanzo (Aristaen. 1, 1, 60; 1, 4, 4 e passim; Cha-
rit. 5, 3, 1; 6, 9, 7; Long. Soph. 3, 6, 2; 3, 15, 1; Heliod. 2, 25, 1; 5, 4, 2); in poesia, il termine è attestato quasi solo in
Aristoph. Vesp. 610 e Thesm. 792 e in qualche passo della successiva commedia nuova (Men. Epitr. 557).
50 Alfredo Mario Morelli

9-17 (9-15, 16-17?): amore eterosessuale, tema matrimoniale / ego erotodidascalico, destinatario
interno tu, precetti in negativo;
γέρων;
παρ]θένον ὡραίαν;
µὴ λάµ[β]αν[ε;
πλούτου ΚύπριN ἀµε[ινότερον;
ποιήNει δ’ ἄλλοN (scil. µοιχόN);
πλατυ[?;
ἤγαγον εἰN πενίη[ν;
18-29: parodia omerica (con giochi di parole su parti sessuali) / amore eterosessuale mercena-
rio / ego ‘narrante’ e personaggio della scena rappresentata / assenza di destinatario interno;
γραῦN;
εὐρώεντα;
30-37: parodia mitologica (con giochi di parole su parti sessuali) / soggetto omoerotico / ego ‘di-
dascalico’ e personaggio immaginario del mito evocato / destinatario interno vos (ἄνδρεN);
ἀ[νὴ]ρ παθικόN;
38-46: amore eterosessuale, tema matrimoniale / ego erotodidascalico, destinatario interno tu;
µετὰ τοῦ µοιχοῦ;
τὸ γύναιο ν.
Una trama sottile percorre questa sequenza di carmi: è giusto rilevare, con Lucia Floridi42,
che i primi due carmi da una parte e rr. 18-29 + 30-37 dall’altro siano coppie epigrammatiche, ma
quel che impressiona è il risultato d’insieme nell’intera sequenza. Sono forti, tra gli epigrammi
della serie, le analogie tematico/verbali, ed esse avvengono con sapienti riprese a distanza, con con-
tinue, più o meno accentuate variazioni (con uno spiccato gusto per l’antitesi nello svolgimento di
motivi etero- ed omosessuali, riguardanti l’età dei partners, l’amore mercenario, il rapporto ma-
trimoniale e i relativi aspetti economici), con continue escursioni nei registri stilistici e linguisti-
ci43, con notevoli spostamenti della posizione dell’ego nei confronti dei destinatari interni. Questa
constatazione ci impone di chiederci se un arrangement che appare così sofisticato possa essere at-
tribuito ad un lettore scaltrito, che ha selezionato da uno o più modelli (librari?) questi carmi e li
ha disposti per i suoi usi di lettura (e/o per riuso simposiale44), secondo un costume che sembre-
rebbe diffuso nell’Egitto d’età romana e nell’ambiente ossirinchita in particolare45, o se piuttosto
l’anonimo autore della silloge non abbia ricopiato pressoché di peso (ferma restando la possibilità
di un riutilizzo anche in ambito simposiale) una sequenza che apparteneva già ad un libro di Ni-
carco: non sembrano costituire ostacolo a questa ipotesi né la presenza di un ampio spazio bianco
(di circa 14 righe) tra i due blocchi di testo nel papiro ‘gemello’ P.Oxy. LXVI 4501, né l’irregola-
rità nell’uso dei titoli in P.Oxy. LXVI 4502 e già in LIV 372546. Se, come abbiamo visto, è chiaro

42
Vd. supra, nn. 35 e 40.
43
Si va dalla continua ripresa di solenni iuncturae omeriche all’utilizzo di parole unpoetisch (γύναιον), quando
non decisamente oscene (notevole è l’unica attestazione in letteratura greca del termine παθικόN, finora testimoniato,
a parte le riprese in latino, solo in un graffito di età imperiale: cfr. PARSONS 1999, p. 54; SCHATZMANN 2012, p. 367).
44
Lo pensa OBBINK 2007, p. 282; la tesi è poi discussa da SCHATZMANN 2012, pp. 76-77 e passim, che alle pp. 379-
380 sembra propendere per l’ipotesi di una silloge assemblata per usi personali (il criterio di assemblaggio, secondo lo
studioso, sarebbe da ricercare nei contenuti osceni e nell’aspro linguaggio diretto che caratterizzano tutti gli epigram-
mi raccolti in P.Oxy. LXVI 4502).
45
Oltre ai casi di P.Oxy. LIV 3725 e LXVI 4501-4502, SCHATZMANN 2012, pp. 63-64, fa l’esempio di un papiro
da Ossirinco ancora inedito, Inv. num. 103/125, di cui attendiamo con interesse la pubblicazione.
46
Sullo spazio lasciato bianco in P.Oxy. LXVI 4501, cfr. PARSONS 1999, p. 39: la supposizione che il copista
avesse almeno due modelli da cui traeva i suoi epigrammi e che abbia lasciato uno spazio bianco per trascrivere in un
secondo tempo un carme mancante nell’antigrafo che usava in quel momento (cfr. SCHATZMANN 2012, p. 378 e passim)
è poco più di un’illazione, che non riposa su alcun indizio ulteriore. La presenza irregolare di titoli in P.Oxy. LXVI 4502
è ampiamente discussa da SCHATZMANN 2012, pp. 60-70, che a pp. 61-62 affaccia l’ipotesi che il copista possa aver ri-
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino 51

che ciò che abbiamo di fronte non è, nei suoi aspetti materiali, un frammento di libro, proprio nulla
può essere detto sull’antigrafo (o sugli antigrafi) da cui il sillogista ha tratto i suoi testi e sui crite-
ri con i quali ha, eventualmente, selezionato i carmi: egli potrebbe essersi limitato, almeno in que-
sto punto della sua opera, a ricopiare una sequenza che, più o meno come tale, compariva in un
contenitore librario. Io credo che le somiglianze con quanto riscontriamo non solo in determinati
clusters epigrammatici dell’XI libro della Palatina47, ma soprattutto in determinate sequenze al-
l’interno di libri epigrammatici latini, debbano far riflettere: le corrispondenze fin qui rilevate pos-
sono essere meglio fruite in forma scritta e all’interno di un dispositivo librario che le metta in re-
lazione e le esalti nei loro effetti congiunti48.
Sono impressionanti alcune analogie che si riscontrano tra l’ordinamento di questi carmi e
alcune sequenze epigrammatiche in Marziale. Visti i temi e i sottogeneri trattati, tali analogie sono
particolarmente evidenti nell’XI libro, laddove il clima ‘saturnalizio’ favorisce la concentrazione
dei motivi legati al sesso49. Analizziamo il gruppo dei carmi 19-30: 19, monodistico scommatico
di argomento matrimoniale; 20, carme in distici di 10 versi, di argomento metaletterario, in cui è
citato integralmente un epigramma osceno di Augusto (di ambito matrimoniale e in generale ete-
rosessuale, ma con richiami anche all’eros omosessuale); 21, 12 versi, in distici, epigramma osceno
su Lidia iperbolicamente laxa; 22: 10 versi, in distici, carme ‘didascalico’ sulle partes del corpo
maschile assegnate ai due sessi per gli officia sessuali; 23, 16 versi, in distici, carme di argomento
‘matrimoniale’ (le dure condizioni, anche economiche, dettate a Sila perché l’ego la sposi); 24, 15
faleci, un ‘intermezzo’ (in cui scomma e tematica metaletteraria si coniugano) sul motivo del rap-
porto poeta-cliente / patronus; 25, monodistico scommatico, sul nesso tra impotenza e fellatio /
cunnilinctus; 26, in distici, 6 versi, ambito simposiale, amore paidico per Telesforo; 27, in distici,
14 versi, attacco a Flacco, la cui mentula è insensibile alle miserabili richieste di doni della puella;
28, monodistico, amore paidico e topos del medico inetto; 29, distici, 8 versi, scommatico, contro
la vecchia Fillide incapace di stimolare l’ego (non gli promette doni); 30, monodistico, attacco
contro il fellator Zoilo. Come si vede, si alternano pressoché i medesimi temi scommatici, con ri-
prese e antitesi a distanza (amore paidico ed eterosessuale, matrimonio e patrimonio, vecchiaia e
amore, pathici e fellatores, convito, dono), e si integrano (cosa non presente nella sequenza di
P.Oxy. LXVI 4502) anche spunti metaletterari (di grande interesse è la riflessione sull’oscenità ver-
bale nel c. 2050); anche ruoli e funzioni dell’ego (‘sapienziale’, narrante, personaggio della scena
rappresentata o meno) e del dedicatario si sovrappongono e si alternano con attenta variatio. Il me-
tro nettamente prevalente è il distico (ma in Marziale si tratta di un caso particolare) e, soprattutto,
c’è un attento dosaggio dei formati (2 vv. + 10 + 12 + 10 + 16 + 15 + 2 + 6 + 14 + 2 + 8 + 2), con
scansione mai regolare e, alla lunga, monotona: se vi è una nettissima prevalenza di formati medi
e lunghi nella prima parte (da notare la sequenza dei cc. 20-22, tutta sulla misura ‘media dei 10/12
vv., mentre i cc. 23-24 sono due longa in cui la variazione è data dal metro e dai temi), un’alter-

copiato i titoli laddove li trovava già nell’antigrafo; è comunque improbabile che essi fossero all’inizio di ‘sezioni’ te-
matiche da cui poi il copista selezionava, secondo i suoi scopi, solo il materiale che gli serviva: tale ipotesi non spie-
gherebbe nulla, poiché i cinque (o sei) epigrammi hanno tutti un tema particolare e non si capisce allora secondo quali
criteri alcuni titoli di ‘sezione’ siano stati selezionati e altri no (eloquente la mancanza del titolo per l’epigramma sul fa-
moso enigma della sfinge, laddove invece P.Oxy. LIV 3725 esibisce un titolo ἐπὶ Nφιγγ[όN per un altro carme!). Poco
probabile l’ipotesi di due modelli librari ad ordinamento alfabetico, con i due epigrammi inizianti per ‘π’ dotati di titolo
e i due inizianti per ‘τ’ che non lo hanno (il frammento è troppo breve per verificare l’ipotesi, e l’usus dei titoli nei pa-
piri librari troppo incerto; l’iniziale ‘τ’, tipica dell’articolo greco, è inoltre troppo diffusa per essere significativa).
47
FLORIDI 2010, pp. 34-37.
48
Cfr. ora anche i criteri ordinativi nel cosiddetto ‘nuovo Pallada’, che è certamente libellus monoautoriale (anche
se non si può essere sicuri dell’attribuzione): WILKINSON 2012, soprattutto pp. 24-28, con la recensione di FLORIDI 2014b.
49
In generale, sull’ordinamento dei carmi nell’XI libro, cfr. KAY 1985, pp. 5-6, poi, almeno, SCHERF 2001, pp.
56-58.
50
Oggetto, adesso, di una interessante conferenza bolognese di Silvia Mattiacci (23 aprile 2014), di cui si attende
la pubblicazione: cfr. ora anche MATTIACCI 2014, pp. 69-92.
52 Alfredo Mario Morelli

nanza tra monodistici e carmi di taglio maggiore caratterizza il segmento dei cc. 25-30. La trama
si organizza intorno alla ricorrenza e alla variazione di lessemi, a continui richiami tematico/ver-
bali a distanza, in contesti cangianti: mi riferisco non solo gli onnipresenti mentula e futuere51, non
solo ai basia52, ma anche alla lingua e all’os53, alla manus e ai digiti che ‘sollecitano’54, all’oppo-
sizione ducere / nubere55, agli aggettivi e sostantivi che denotano ‘vecchiaia’56, ai verbi che indi-
cano l’atto del donare, dell’offrire prestazioni o portare in dote, dare, donare57, e a quelli che indi-
cano lo ‘sfregamento’, sollicitare, tractare, (per)fricare58, agli attributi ‘manifesto’ lascivus, lepi-
dus, salax59, persino all’associazione causidicus / poeta60.
È notevole constatare come sia in P.Oxy. LXVI 4502, sia nella sequenza marzialiana appena
analizzata si organizzi in un discorso ‘ideologicamente’ continuo e coerente un insieme di motivi
scommatici: c’è un’idea sottesa di pubblico (maschile), per il quale si crea un impianto ricorsivo
che mette in costellazione misoginia, caratterizzazione grottesca del matrimonio, amori paidici e
ridicolizzazione della sessualità maschile adulta ‘deviante’ (pathici, fellatores), attenzione rivolta
alle parti del corpo e alle pratiche connesse al sesso (in particolare, alla penetrazione), all’età dei
partners, alle modalità del convivio. Le riprese a distanza, le variazioni tematiche e verbali, in en-
trambi i contesti, hanno questo significato profondo, qualunque sia l’indubbia funzione di ‘intrat-
tenimento’ che ad esse vogliamo conferire61. Le modalità in cui tutto questo si realizza sono di
grande rilievo anche perché, prima della pubblicazione di P.Oxy. LXVI 4502, pressoché scono-

51
Mentula: 19, 2; 20, 8; 22, 5; 25, 2; 27, 1 (cfr. inguina 22, 3; virilia 29, 1: la mentula di Lino stare ... desit, 25,
2, quella di Flacco stare potest, 27, 1...); futuere e derivati: 20, 3, 4, 5 e 7; 21, 11 e 12; 22, 4; 23, 5. Particolarmente im-
portante è la corrispondenza tra l’uso del verbo negli epigrammi 20 e 21, rafforzato dalla ricorrenza dell’ironico puto
in 20, 6 e 21, 12, poiché con tali accorgimenti si pone una contiguità tra la figura di Lidia, etera sgradevole e agée del
c. 21, e Fulvia oscena virago, tutt’altro che matronale, nel c. 20: debbo questa bella osservazione a Silvia Mattiacci.
52
Basia: 22, 2; 23, 10; 26, 3 (cfr. oscula, 23, 13 e os, 30, 1).
53
Lingua: 25, 2 (del cunnilingus / fellator: cfr. KAY 1985, p. 126); os: 30, 1 (del fellator); cfr. di contro labris: 26,
4 (le labbra del puer amato Telesforo) e persino il turpe ... guttur del pellicano, paragonato alla vagina, in 21, 10.
54
Inguina ... / ... fututrici sollicitare manu, 22, 3-4; vetula tractare virilia dextra, 29, 1; pollice, 29, 2; digiti, 22,
6 e 29, 8 (vd. infra, n. 58).
55
Ducere: 19, 1 (nolim te ducere); 23, 2 (nulla ducere lege volo); 23, 16 (qui te ducere ... velit); nubere: 23, 1 (nu-
bere Sila mihi nulla non lege parata est, verso incipitario: per un’analisi delle caratteristiche strutturali e dei modelli
di 11, 23, nel contesto dell’XI libro, cfr. MORELLI 2008c, pp. 119-124).
56
Anus: 23, 14 (la mater anus e i suoi baci non erotici, al cui modello si dovrà attenere Sila); vetula ... dextra: 29,
1 (la ‘vecchia’ mano dell’amante Fillide che tractat inutilmente il membro dell’ego), ma anche i basia vetulo, puer, uda
Falerno (i baci umidi di vecchio Falerno) in 26, 3! Nella caratterizzazione dell’oscena laxitas di Lidia nel c. 21, larga
parte hanno le similitudini con ciò che è vecchio e sfondato (vetus ... calceus, v. 4, veteres bracae Brittonis pauperis,
v. 9), con ciò adombrando l’idea di una senilità della stessa Lidia, quantomeno precoce (su questo aspetto, cfr. anche
KAY 1985, p. 114).
57
Deciens mihi dotis... / sponsa dabis, 23, 3-4 (la dote, parte essenziale delle ‘condizioni’ dettate a Sila perché
l’ego la sposi); oscula rara dabis, 23, 13 (i ‘rari baci’ che Sila darà all’ego); basia da nobis, 26, 3 (i baci graditi di Te-
lesforo); pocula da, 26, 4 (i bicchieri che Telesforo mesce); velle putas haec me donare puellae?, 27, 13 (i doni onerosi
che l’ego deve fare alla amica, cfr. i corrispettivi orat, v. 2, rogat, v. 3, poscat, v. 9, velit, v. 11, l’atto di richiesta delle
due puellae); ‘dabo’dic ‘tibi milia centum / et dabo etc., 29, 5-6 (la vecchia Fillide deve promettere mari e monti all’ego
per poterlo ‘stimolare’ adeguatamente: cfr. 23, 3-4 ‘deciens ... dabis’ dixi, per il medesimo gioco allitterante do / dico).
58
Parce fututrici sollicitare manu, 22, 4 (l’uomo che non dovrà abusare del membro del puer); languida cum vetu-
la tractare virilia dextra, 29, 1 (la mano di Fillide che ‘tratta’ inutilmente il pene dell’ego); sic mihi, Phylli, frica, 29, 8
(la maniera giusta di ‘strofinare’ è quella di promettere doni...): ma cfr. anche, poco sopra, aut cum perfricuit frontem po-
suitque pudorem, 27, 7 (la puella che si ‘strofina’ la fronte, per farsi ‘sfrontata’ e chiedere doni...: cfr. KAY 1985, p. 132)!
59
Lascivos ... versus, 20, 1 (i versi di Augusto: cfr. v. 9, alla fine del carme, lepidos ... libellos, i libri dell’ego);
lasciva ... basia, 23, 9-10 (quelli del puer all’ego, sposo di Sila); salax ... mentula (25, 1-2, quella di Lino, ‘defunta’).
60
Laudat causidicus, poeta carpit, 24, 8 (i versi dell’ego sono apprezzati da poeti e avvocati); ma os male causi-
dicis et dicis olere poetis, 30, 1 (poeti e avvocati avranno pure alito fetido, come dice Zoilo, ma mai quanto un fellator)!
61
Sugli aspetti legati alla ricezione dell’epigramma scoptico, all’identità e alle attese culturali del lettore e alla re-
lativa costruzione di un discorso fortemente improntato a sessismo e a pregiudizi culturali, cfr. NISBET 2003, pp. 10-19
e passim.
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino 53

sciute in ambito greco. Un elemento di grande interesse è costituito dal formato dei carmi: una
sequenza di cinque o forse sei componimenti, in cui sono esclusivi o perlomeno prevalgono net-
tamente epigrammi di lunghezza ben superiore alla media dei carmi scommatici incorporati nel-
l’XI libro (8 vv. + 8 [o 6 + 2] vv. + 12 vv. + 8 vv. + 8 vv.). Si rafforza l’idea di un posto particolare
da assegnare a Nicarco proprio riguardo al problema della brevitas del carme epigrammatico62: lo
standard seguito anche in prodotti librari di avanguardia nel I sec. d.C. (la Corona di Filippo, in
primo luogo) vuole una accentuazione di quella tendenza, già viva all’epoca di Meleagro, che fa-
vorisce l’epigramma breve (in particolare, il tetrastico e l’esastico) ancor più che il brevissimo (il
monodistico)63. La morfologia dei carmi nicarchei, laddove sia perspicua, rivela interessanti ana-
logie con alcune di quelle più praticate in ambito latino64. Alla struttura ‘prescrittiva’ dei primi due
epigrammi, che si intelaia sulla ripresa degli imperativi per lo più al negativo, fa seguito un Erzähl-
epigramm come AP 11, 32865; dopo l’epigramma alle rr. 30-37 (su cui tornerò), il carme alle rr. 38-
46 è realizzato davvero secondo modalità che trovano amplissimi riscontri in Marziale. Si rileva
la tecnica della cumulatio priamelica ‘ritardante’, per cui i primi versi di un epigramma (che si svi-
luppi in quattro/cinque distici) contengono una lunga serie di similitudini o di metafore o di ca-
ratteristiche relative a un soggetto che viene specificato solo nel prosieguo, alla metà o alla fine
del carme: cfr. casi come Mart. 3, 65 (in quel caso le similitudini relative alla ‘fragranza’ dei basia
di Diadumeno proseguono fino al v. 8 e solo nell’ultimo distico si scopre il soggetto del carme e
il nome del dedicatario al vocativo66) o 11, 32 (ove la lunga, incalzante serie di persone e oggetti
che mancano al sedicente pauper Nestore prosegue fino al v. 4, con una distribuzione sapientemente
variata dei sintagmi in parallelo all’interno dei singoli versi, come avviene nell’epigramma nicar-
cheo; altra analogia è che il nome del personaggio apostrofato arriva solo al v. 5). Una tecnica si-
mile riscontriamo anche in Lucill. AP 11, 239 = 93 Floridi:

Οὔτε Χίµαιρα τοιοῦτον ἔπνει κακὸν ἡ καθ’ Ὅµηρον,


οὐκ ἀγέλη ταύρων, ὡN ὁ λόγοN, πυρίπνουN,
οὐ ΛῆµνοN NύµπαNα καὶ Ἁρπυιῶν τὰ περιNNά,
οὐδ’ ὁ Φιλοκτήτου ποὺN ἀποNηπόµενοN,
ὥNτε Nε παµψηφεὶ νικᾶν, ΤελέNιλλα, ΧιµαίραN,
NηπεδόναN, ταύρουN, ὄρνεα, ΛηµνιάδαN.

Qui, però (a parte il carattere davvero eccezionale del carme all’interno della produzione lu-
cilliana67), siamo all’elenco di mitemi esemplari, non all’enumerazione di Realien, figure, ogget-
ti, aspetti della vita quotidiana che caratterizzano gli elenchi che abbiano questa funzione struttura-
le in Marziale, secondo un gusto per la concretezza e un’organizzazione retorica che parte spesso
da espressioni idiomatiche o proverbiali e poi si sviluppa in immagini, metafore, soluzioni sem-
pre più fantasiose e stranianti (eloquente è la ripresa del motivo, con accentuata cumulatio, anche
se strutturalmente differente, in Mart. 4, 4 e 6, 9368). Si potrà osservare che nell’ultimo epigramma

62
Su questo punto, cfr. le riflessioni prima di NISBET 2003, p. 83 n. 3, poi di SCHATZMANN 2012, pp. 37-41.
63
Su questi aspetti, cfr. GOW - PAGE 1968, I, p. 35; LAUSBERG 1982, p. 448; LUQUE MORENO 2004, soprattutto pp.
78-84; MORELLI 2008b, soprattutto pp. 18-20; MORELLI 2013, pp. 80-81. Interessante, comunque, che la lunghezza media
degli epigrammi nei libelli ‘monoautoriali’ a noi noti (Posidippo, ora forse Nicarco e il nuovo ‘Pallada’) sia maggiore
rispetto ai canoni stabiliti da Meleagro e, sicuramente, da Filippo: WILKINSON 2012, pp. 32-34.
64
Riguardo alle differenze tra le tradizioni culturali greca e latina, per quel che concerne i meccanismi strutturali
caratteristici dell’epigramma, oltre alla letteratura citata nelle note precedenti, cfr. FAIN 2008, con ulteriore bibliografia.
65
Su questo tipo epigrammatico in Marziale, cfr. SZELEST 1976.
66
Il carme è ripreso e variato da Marziale in 11, 8: cfr. i commenti di FUSI 2006, pp. 416-422, e KAY 1985, pp.
81-86.
67
Cfr. BECKBY 1966, III, pp. 662-663 e commento p. 841; LAURENS 1965, p. 334; NISBET 2003, pp. 80-81; so-
prattutto, ora, FLORIDI 2014a, ad loc.; l’autrice mi segnala altresì un altro interessante confronto con la Priamel in Strato
AP 12, 204, 3-4 = 45, 3-4 Floridi.
68
In generale, sull’oggetto ‘moltiplicatore delle immagini’ in Marziale, cfr. lo studio fondamentale di LA PENNA
54 Alfredo Mario Morelli

di P.Oxy. LXVI 4502 l’elenco ai vv. 1-4 (= rr. 39-42) parte dall’enumerazione nel primo distico di
metafore tratte dal mondo animale, per poi allontanarsi via via dall’ambito delle immagini più con-
suete e diffuse nella lingua d’uso, giungendo infine ai vv. 3-4 (e già alla fine del v. 2) ad una se-
quenza incentrata sul mondo umano, più sapida e arguta (da notare che l’ultimo elemento, ὀψοφάγῳ
λοπάδα, prepara il passaggio alla narrazione dell’ambito conviviale in cui si svolge la seduzione
della donna da parte dell’adulter) ed organizzata metricamente in modo da raggruppare gli ele-
menti sul verso a due a due (non più a tre a tre, come ai vv. 1-2), a occupare ciascuno dei due emi-
stichi. Un piccolo tour de force che, da un lato, ci fa sicuri (nel caso ce ne fosse bisogno) che non
abbiamo di fronte un dilettante, mentre dall’altra parte rafforza quell’impressione di vicinanza a
meccanismi a noi familiari nell’epigramma marzialiano; e non manca neppure, alla fine del car-
me, quel che dà tutta l’impressione di essere un fulmen, un Witz giocato proprio sull’ultima parola,
πατρί (ripresa a brevissima distanza), e sulla sua ambiguità di referenti.

4. CONCLUSIONI

Come interpretare queste indubbie somiglianze che si riscontrano sia nella selezione dei temi,
sia nell’arrangement dei carmi, sia in importanti elementi strutturali (lunghezza dei carmi, tecnica
della cumulatio di realia etc.)? Dobbiamo pensare, come dice Gideon Nisbet, che Marziale «merely
copied what others, Greeks on the margins of his society, were already doing»69? Credo che la que-
stione vada posta in termini più complessi. Da tempo si è compreso che solo nel I sec. d.C. il carme
breve satirico greco conobbe un impulso particolare e definì i propri caratteri eidetici di sottoge-
nere epigrammatico70. Il che non significa dire che esso nacque su un vacuum. L’ellenismo praticò
l’epigramma scommatico, sia pure a latere dei sottogeneri che conobbero la loro ‘canonizzazio-
ne’ nello Stephanos meleagreo71; e a Roma, nel primo secolo, le particolari condizioni politiche
e culturali dell’età sillana e cesariana favorirono la fioritura dello scomma latino esemplificata
dalla poesia neoterica e da Catullo. Si è più volte sostenuto che l’epigramma scoptico ellenistico
e poi di età imperiale ebbe origine e destinazione all’interno del simposio postclassico72: e si tratta
di posizione ragionevole, da molti punti di vista, in quanto non solo il libro XI della Palatina col-
loca insieme carmi simposiali e scommatici, ma molti epigrammi scoptici ‘letterari’ intendono al-
meno evocare per il lettore (anche all’interno di nuove condizioni di fruizione, nel contesto del
libro) proprio quello scenario conviviale, nella loro forma, nella mise en scène, nei caratteri tema-
tici. Ne sono un bell’esempio, all’interno di P.Oxy. LXVI 4502, non solo l’ultimo epigramma alle
rr. 38-45, ma anche il carme alle rr. 30-37, il burlesco ‘enigma della sfinge’, che svolge l’antico tema
dell’indovinello secondo modalità che vogliono ‘mettere in scena’, rappresentare per il lettore una
cornice simposiale, quella tipica fin dalla commedia arcaica per griphoi e simili giochi, anche scher-
zosi. Il vocativo ἄν]δρεN all’ultimo verso si riferirà al gruppo dei simposiasti, ennesima ipostasi
della comunità che viene rappresentata in P.Berol. inv. 13270 = BKT V 2, pp. 56-63 (III sec. a.C.),
vv. 1-4 χρὴ δ’, ὅταν εἰN τοιοῦτο Nυνέλθωµεν φίλοι ἄνδρεN / πρᾶγµα, γελᾶν παίζειν χρηNαµένουN

1992. Sulla tecnica della cumulatio nella struttura dell’epigramma marzialiano, a parte le considerazioni dei commen-
tatori (KAY 1985, p. 114, ad 11, 21, e GREWING 1997, pp. 579-580), cfr. SIEDSCHLAG 1977, pp. 39-55, BURNIKEL 1980,
pp. 32-36, e la fine analisi di LAURENS 1989, pp. 341-345.
69
NISBET 2003, p. XIV.
70
Cfr. BRECHT 1930, p. 2; LONGO 1967, pp. 92-93; BLOMQVIST 1997, p. 45, con le giuste precisazioni a pp. 56-59;
ora FLORIDI 2010, p. 9, e FLORIDI 2012, p. 632.
71
Oltre alla bibliografia citata alla nota precedente, mi permetto di rimandare a quanto scrivevo in MORELLI 2000,
pp. 290-298; cfr. anche SCHATZMANN 2012, pp. 89-94.
72
NISBET 2003, soprattutto pp. 28-33, con le precisazioni di MAGNELLI 2005, pp. 161-162 e di FLORIDI 2010, p.
34. Su pratiche e convenzioni del simposio in età ellenistica, in rapporto alla scomma, cfr. SONNINO 2003; poi SCHATZ-
MANN 2012, pp. 75-88.
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino 55

ἀρετῇ, / ἥδεNθαί τε NυνόνταN, ἐN ἀλλήλουN τε φ[λ]υαρεῖν, / καὶ Nκώπτειν τοιαῦθ’ οἷα γέλωτα φέρει73.
Il ‘meta-enigma’ proposto dall’ego ricorda decisamente frizzi simposiali, come quello in Aristoph.
Vesp. 15-23 (XA. ἐδόκουν αἰετὸν / καταπτάµενον εἰN τὴν ἀγορὰν µέγαν πάνυ / ἀναρπάNαντα τοῖN
ὄνυξιν ἀNπίδα / φέρειν ἐπίχαλκον ἀνεκὰN εἰN τὸν οὐρανόν, / κἄπειτα ταύτην ἀποβαλεῖν Κλεώνυ-
µον. / SO. οὐδὲν ἄρα γρίφου διαφέρει ΚλεώνυµοN. / XA. πῶN δή / SO. προερεῖ τιN τοῖNι NυµπόταιN,
λέγων / ὅτι ‘ταὐτὸν ἐν γῇ τ’ ἀπέβαλεν κἀν οὐρανῷ / κἀν τῇ θαλάττῃ θηρίον τὴν ἀNπίδα’.)74, ove
si noterà che, esattamente come nel P.Oxy. LXVI 4502, viene proposto un griphos talmente noto
al pubblico che non ne viene data (contrariamente a quanto avviene comunemente in commedia)
la soluzione più nota, ma solo una scherzosa e satirica, contro Cleonimo (e d’altra parte, della nuo-
va interpretazione dell’indovinello viene fornita dettagliata ‘esegesi’, come avviene in un caso
molto simile dello Sphingokarion ancora di Eubulo, fr. 106 K.-A.75). Non interessa il gioco intel-
lettuale che si svolge intorno alla soluzione dell’enigma, bensì il Witz buffonesco sulla nuova inter-
pretazione oscena, con relative, ampie e comiche ‘chiose’ esplicative. Le origini simposiali del sot-
togenere sono spesso ‘esibite’ anche nel nuovo contesto della lettura e del libro (poiché si conti-
nua a giocare sull’‘orizzonte d’attesa’, sui pregiudizi di un pubblico maschile che mantiene salde
determinate caratteristiche ‘identitarie’, misogine e sessiste, che si tratti di stare a simposio o di leg-
gere un libro): se ne può dedurre che la scaltrita disposizione artistica di P.Oxy. LXVI 4502 voglia
evocare, per riorganizzarle in nuove forme di fruizione letteraria, caratteristiche della performance
simposiale, nei temi trattati e nella loro ricorsività. Un’operazione, del resto, parallela a quella che
compie Marziale nell’XI libro, ove è il clima saturnalizio (e parimenti conviviale) a organizzare il
liber, nei suoi motivi conduttori, nel gusto per il lazzo salace e piccante76.
In generale, la pratica dello scherzo conviviale riposa su un vastissimo retroterra culturale, pa-
trimonio largamente condiviso tra ambito greco e romano, che solo negli ultimi anni comincia ad
essere indagato in profondità nei suoi rapporti con l’epigramma scoptico77. C’è un mondo di face-
tiae, storielle, motti salaci, freddure su tipi fissi che per noi è rappresentato da frammenti come
P.Heid. I 190 (III sec. a.C.: probabilmente il prontuario di una scurra professionale come quelli te-
stimoniati in Plaut. Pers. 392-395 e Stich. 400) o da opere come il più tardo Philogelos e che è co-
mune alla cultura ‘popolare’ e a quella d’élite, greca e romana78. Nella tradizione di lingua greca,
tali ‘scherzi’ si riverberano anche nella commedia antica, da quella arcaica in poi, come esempli-
ficano gli ampi brani comici estrapolati dagli antiquari o dai retori che si dedicano alla trattazione
del ridiculum (una sezione che è parte essenziale della trattatistica): certi filoni dell’epigramma
scoptico (penso ad esempio al tema del ‘podere troppo piccolo’79) hanno origini nell’insegnamento

73
Su quest’ultima elegia, cfr. NISBET 2003, pp. 25-26 e n. 16, e soprattutto LULLI 2009, pp. 137-139, con oppor-
tune precisazioni sulla natura di libellus simposiale del papiro (che contiene anche tre skolia) e bibliografia precedente.
Bene su questo punto SCHATZMANN 2012, p. 84. Nell’epigramma di Stratone simili appelli non mancano, cfr. AP 12,
11, 3 = 11, 3 Floridi o AP 12, 254, 2 = 96, 2 Floridi.
74
Sull’indovinello nella commedia antica, le sue caratteristiche e le sue funzioni, cfr. il bel lavoro di MONDA
2012b (pp. 106-107 a proposito di Aristoph. Vesp. 15-23); nel medesimo volume, cfr. lo studio di BETA 2012 (p. 73 sul
passo aristofaneo).
75
A. ἜNτι λαλῶν ἄγλωNNοN, ὁµώνυµοN ἄρρενι θῆλυN, / οἰκείων ἀνέµων ταµίαN, δαNύN, ἄλλοτε λεῖοN, / ἀξύνετα
ξυνετοῖNι λέγων, νόµον ἐκ νόµου ἕλκων. / ἓν δ’ ἐNτὶν καὶ πολλά, καὶ ἂν τρώNῃ τιN ἄτρωτοN. / Β. τί ἐNτὶ τοῦτο Α. τί
ἀπορεῖN Β. ΚαλλίNτρατοN. / Α. πρωκτὸN µὲν οὖν οὗτοN. Β. Nὺ δὴ ληρεῖN ἔχων. / Α. οὗτοN γὰρ αὑτόN ἐNτιν ἄγλωττοN,
λάλοN, / ἓν ὄνοµα πολλοῖN, τρωτόN, ἄτρωτοN, δαNύN, / λεῖοN· τί βούλει πνευµάτων πολλῶν φύλαξ. / ἈττελεβόφθαλµοN,
µὴ πρόNτοµοN, ἀµφικέφαλλοN, / αἰχµητήN, παίδων ἀγόνων γόνον ἐξαφανίζων. Cfr. HUNTER 1983, pp. 199-208; MONDA
2012b, pp. 109-112.
76
Sul valore ‘strutturante’ dei temi saturnalizi nell’XI libro di Marziale, cfr. CITRONI 1988, pp. 29-31; MERLI
1993, pp. 252-253; MERLI 1998, p. 154; SCHERF 2001, pp. 56-58; LORENZ 2002, pp. 210-219.
77
Fondamentale, al proposito, FLORIDI 2012.
78
Cfr. BALDWIN 1983, pp. X-XI; BREMMER 1997, soprattutto p. 15; ANDREASSI 2004, soprattutto pp. 22-24; BRAC-
CINI 2008, pp. 33-37; SCHATZMANN 2012, pp. 108-114.
79
Cfr. MORELLI 2003. In ambito retorico, il tema è evocato nella trattazione dell’‘iperbole’, con relativa esem-
56 Alfredo Mario Morelli

retorico, che svolge spesso l’importantissima funzione di trasmettere al mondo ellenistico e, nello
specifico, alla nuova poesia epigrammatica frammenti, lessemi, spunti tematici caratteristici della
commedia classica; e tale funzione della formazione e della letteratura retorica vale anche per il
mondo latino80. In generale, se molti dei processi fin qui analizzati trovano il loro pendant in am-
bito culturale romano, la complessità degli elementi che storicamente portarono al definirsi del-
l’epigramma scommatico comportò sviluppi non convergenti, assetti continuamente cangianti,
forme diverse di osmosi a seconda dei periodi e dei contesti storici, culturali e linguistici. L’epi-
gramma scommatico di Marziale è esperienza letteraria inscindibile dal carme nugatorio d’età neo-
terica, in cui rifluirono spunti, temi, linguaggio, metri, formati, elementi strutturali caratteristici
non solo dell’epigramma ellenistico contemporaneo (quello ‘meleagreo’) o della commedia greca
e latina, ma anche della lirica arcaica greca e della tradizione satirica latina. L’orgoglio con cui
Marziale, a più riprese, ribadisce la ‘romanità’ del suo epigramma e la sua aemulatio di Catullo, di
Marso, di Pedone, va preso con estrema serietà81: la polimetria (che non conosce, nella misura in
cui è praticata dai poeti romani, alcun parallelo negli epigrammisti greci), l’alternanza di sottoge-
neri e di registri rende evidente il fatto che, dall’età tardorepubblicana, scrittori ‘professionisti’ ri-
presero e canonizzarono una forma di poesia nugatoria praticata in forma amatoriale, come segno
di status, di otium letterario, anche dalla più alta aristocrazia romana82. Ciò non significa che Mar-
ziale non abbia mutuato spunti importanti anche dall’epigramma lucilliano o nicarcheo, ma solo
che le geometrie variabili attraverso cui si canonizzò nella letteratura latina e in quella greca il
carme breve satirico conobbero tempi, modalità, miscelazioni differenti di elementi costitutivi lar-
gamente comuni, nella cultura ‘popolare’ così come in quella letteraria e retorica. Sulla base della
coincidenza tematica tra le coppie Catull. 69/71 e 97/98 (carmi dedicati ai fetori corporali) e Lu-
cill. AP 11, 239 = 93 Floridi (precedentemente analizzato) e 11, 240 = 94 Floridi, insieme a Nicarch.
AP 11, 241 e 242, è del tutto arbitrario supporre che Catullo abbia avuto modelli letterari nell’epi-
gramma ellenistico ‘culto’, presunti Vorbilder anche delle riprese in Lucillio e Nicarco83. La fio-
ritura dell’epigramma scommatico latino di età neoterica e l’affermarsi dell’epigramma greco ‘lu-
cilliano’ più di un secolo dopo non devono essere ricondotti ‘geneticamente’ ad un perduto filone
dell’epigramma scoptico letterario greco, con precisi caratteri di genre, ma si nutrono degli stessi
elementi di base (freddure e facetiae, spesso anche tratte dalla tradizione dei generi scenici, apo-
loghi, apoftegmi, esercitazioni d’ambito retorico) che favorirono certamente, dall’età ellenistica in
poi, una larga produzione paraletteraria, greca e latina, di carmina scherzosi o aggressivi, anche in
promptu. Tale filone sotterraneo si incrociò in vario modo con l’epigramma ‘culto’ ellenistico che,
dal canto suo, spesso reinterpretò in chiave scherzosa o satirica i sottogeneri epigrammatici ‘ca-
nonizzati’ (erotico, votivo, sepolcrale, epidittico etc.)84.
D’altro canto, le corrispondenze nell’arrangement dei carmi tra Marziale e il ‘nuovo Nicar-
co’ ci dicono una cosa interessante: nel momento in cui il carme breve scoptico greco in distici fu
‘canonizzato’ nel corso del I sec. d.C. come sottogenere epigrammatico (e continuò la ‘reinterpre-

plificazione comica o epigrammatica in [Longin.] Subl. 38,5-6 o Strabo 1, 2, 30, così come, in ambito latino, da Quint.
8, 6, 73 o Charis. p. 363 Barwick.
80
Dopo MONACO 1967, cfr. almeno la messa a punto di CELENTANO 2007.
81
Cfr. Mart. 1, pr.; 2, 77; 5, 5. Significativo che Marziale si riallacci a questa tradizione, spesso, proprio per ‘giu-
stificare’ di fronte ai detrattori caratteristiche come la lunghezza dei suoi epigrammi (2, 77, 5) o la salacità di temi e lin-
guaggio (1, pr.; 5, 5, 6: cfr. ora una messa a punto dei problemi in CANOBBIO 2011, ad loc.): a quest’ultimo proposito va
osservato che, anche nella sequenza epigrammatica dell’XI libro analizzata supra, Marziale riporta di peso, in 11, 20,
un epigramma di Augusto imperatore proprio a fini apologetici di fronte ai lividi, per affermare l’idea che l’oscenità
diretta è espressione della simplicitas romana, non dell’humour greco (la strategia ‘difensiva’ di Marziale sembra al-
ternare il riferimento a poeti ‘laureati’ della tradizione epigrammatica romana e illustri notabili ‘dilettanti’ come Augu-
sto, in modi non troppo dissimili da Plin. Epist. 4, 14; 7, 4 etc.: cfr. CITRONI 2003).
82
Cfr. MORELLI 2000, pp. 142-145 e passim, per il periodo repubblicano, e in generale CITRONI 2003.
83
Sul problema, cfr. MORELLI 2012, p. 111, con bibliografia, e poi SCHATZMANN 2012, pp. 105-108.
84
Cfr. BLOMQVIST 1997, pp. 45-55; soprattutto FLORIDI 2010.
Il papiro di Nicarco (P.Oxy. LXVI 4502) e l’epigramma latino 57

tazione’ delle convenzioni presenti in altri tipi e filoni), esso conobbe forme di assemblaggio te-
matico in libri di autore simili a quelle dell’epigramma ellenistico85, il modello primo che aveva
presumibilmente già ispirato (con larghe variazioni e adattamenti) i libelli poetici nugatori romani
di I sec. a. C. Insomma, gli intrecci di genere, le influenze reciproche tra lo scomma epigramma-
tico greco e latino conobbero fasi alterne86, asimmetrie nell’elaborazione dei medesimi elementi e
nuove convergenze: una storia che aspetta ancora di essere studiata nei dettagli e alla quale que-
sto scritto vuole portare il suo, pur limitato, contributo*.

ALFREDO MARIO MORELLI


Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale
alfmorel@unicas.com

85
Opportunamente FLORIDI 2010, p. 36 n. 1, richiama le serie tematiche del papiro milanese di Posidippo, P.Mil.
Vogl. VIII 309 (edito da AUSTIN - BASTIANINI 2002).
86
Non credo, ovviamente, che il liber nugatorio romano abbia potuto avere influenza sulle opere epigrammati-
che di Lucillio, Nicarco o Stratone, e gli elementi che ritroviamo nel ‘nuovo Nicarco’ sono del tutto spiegabili all’inter-
no delle dinamiche culturali e della storia dell’epigramma greco: ma andrebbe forse nuovamente analizzata la questione
se la cultura letteraria dell’Urbe, uno dei centri più importanti, a partire del I sec. a.C., non solo della letteratura latina,
ma anche di quella greca, non abbia influito sulla scelta ‘scommatica’ di un poeta come Lucillio e dei suoi epigoni. Il
carme nugatorio leggero, mondano, anche in promptu, lo scomma breve e salace, in lingua sia latina che greca, prati-
cati da nobili dilettanti e da professionisti, costituiscono una caratteristica notevolissima della poesia di Roma a partire
dall’ultimo secolo della Repubblica (cfr. MORELLI 2000, pp. 146 e n. 90, 183 e passim): che questo retroterra possa aver
contribuito a definire le scelte di un poeta di corte come Lucillio sembra davvero ipotesi ragionevole (e alcuni temi e
interessi molto vivi nella società romana sono evidenti: ad es., cfr. ora FLORIDI 2014a, pp. 25-27, 473 e passim). Il genio
di Lucillio si sarebbe espresso nel ricondurre tale propensione culturale nell’alveo dell’epigramma greco ‘culto’, per-
fettamente in linea con le tendenze contemporanee quanto a metro, struttura, brevitas di formato, temi letterari.
* Degli argomenti trattati in questo articolo ho discusso con Gianfranco Agosti, Lucio Del Corso, Lucia Floridi,
Alessandro Fusi, Leopoldo Gamberale, Enrico Magnelli, Silvia Mattiacci, Luca Mondin, Francesca Nocchi, Maria Pace
Pieri e Antonio Stramaglia, che ringrazio di cuore. Mia è la responsabilità di errori e omissioni.
58 Alfredo Mario Morelli

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