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Disciplina musicologica che ha come proprio oggetto di studio la musica di tradizione orale,
cioè tutta la musica che risulta prodotta in aree o culture poste al di fuori della tradizione
musicale europea scritta e di tipo colto; l'indagine etnomusicologica si rivolge dunque verso
la musica delle popolazioni cosiddette ''primitive'', la musica orientale e il folklore musicale
delle popolazioni ''euro-bianche'' dell'Occidente.
Questa disciplina ebbe origine in Inghilterra e in Germania sul finire del secolo 19°, quando
si sviluppò, a opera di storici della musica, di fisici acustici e di psicologi, la cosiddetta
''musicologia comparata'' (vergleichende Musikwissenschaft) che, nel più vasto ambito del
contemporaneo sviluppo delle scienze storiche, si proponeva lo studio delle musiche
extraeuropee e la loro comparazione con le musiche europee colte e popolari.
L'interesse verso la musica di continenti e civiltà extraeuropei si era del resto già sviluppato
intorno alla metà del Settecento, per effetto combinato del mito illuminista del ''buon
selvaggio'' e dell'interesse per una forma generica di archeologia musicale (cfr. J.-J.
Rousseau, Dictionnaire de la musique, Parigi 1768). Per quasi tutto l'Ottocento, tuttavia,
persistette tra gli studiosi una visione del tutto approssimativa delle musiche primitive ed
extraeuropee, viziata, peraltro, da un giudizio estetico negativo. Visione gradualmente
sostituita sul finire del secolo da un approccio sempre più oggettivo e scientifico da parte
degli storici della musica, direttamente influenzati dalle teorie evoluzionistiche e
comparativistiche (da essi applicate alle tradizioni musicali delle antiche civiltà mediterranee
e alle musiche primitive ed extraeuropee) del pensiero di Darwin e Spencer (Stumpf 1885).
L'assetto attuale assunto dalla disciplina è frutto del decisivo lavoro di due importanti
generazioni di studiosi: i pionieri della ''musicologia comparata'' tedesca, riuniti nella
cosiddetta ''Scuola di Berlino'' (1900-33), quali C. Sachs, C. Stumpf, E.M. von Hornbostel, O.
Abraham, R. Wallascheck, cui va il merito di aver creato nella capitale tedesca i famosi
Phonogramm Archiv (1901), le prime fonoteche di etnografia musicale (a queste ne
seguiranno molte altre in Europa e negli Stati Uniti), e la successiva generazione, formatasi
alla scuola berlinese ma in gran parte costretta a trasferirsi negli Stati Uniti, per ragioni
razziali, dopo l'avvento del nazismo nel 1933, di R. Lachmann, J. Kunst, G. Herzog, M.
Kolinsky, M. Schneider e altri, che diedero vita negli Stati Uniti a un nuovo capitolo dell'e.,
che appare caratterizzato da un maggior legame con l'antropologia sociale e da
un'impostazione della ricerca fortemente interdisciplinare (Kunst 1959).
Per quanto riguarda l'Italia è solo nella seconda metà dell'Ottocento che s'incontrano, in un
clima di positivismo comparativistico, i primi musicistietnografi e trascrittori di musica
popolare che operino un'indagine diretta ''sul campo'' per la raccolta dei documenti. Prima di
essi vi era stata solo una generica tradizione di interessi amatoriali, che risultavano per lo
più viziati da una visione ''eurocentrica'' nella raccolta delle musiche, per altro spesso
notevolmente deformate dalla matrice colta degli arrangiamenti e delle armonizzazioni
operate dai trascrittori.
Tra i ricercatori del periodo positivistico, che operarono sulla scia degli studi di ''tradizioni
popolari'' iniziati nel 1871 dal folklorista siciliano G. Pitrè, vanno ricordati A. Favarra e M.
Ferrara, ambedue attivi in Sicilia a cavallo tra il 19° e 20° secolo, mentre è solo negli anni
Trenta che appare la cosiddetta ''generazione di mezzo'', legata ai nomi di F. B. Pratella, G.
Nataletti, L. Colacicchi, la cui principale preoccupazione, oltre che la raccolta del materiale,
sarà quella di recuperare il ritardo dell'e. italiana attraverso un'opera di aggiornamento alla
luce degli studi sviluppatisi fuori d'Italia.
Nel 1948 venne creato, presso l'Accademia di Santa Cecilia in Roma, il Centro nazionale
studi di musica popolare; con questo prese avvio un progressivo processo di raccolta sul
campo e di documentazione, compiuto soprattutto in Italia centro-meridionale da un gruppo
di ricercatori la cui prospettiva etnico-meridionalistica e la cui impostazione interdisciplinare
derivavano dalla collaborazione con l'etnologo e storico delle religioni E. de Martino, che ha
avuto, e ha tuttora, una profondissima influenza nel complesso delle discipline
demoantropologiche italiane; tra questi ricercatori citiamo D. Carpitella, il cui apporto alla
nascente e. italiana è a tutt'oggi insuperato.
Inoltre lo studio della musica considerata di per se stessa fa dell'e. una disciplina
specialistica, dato il grado di competenza musicale specifica richiesto, mentre rispetto alla
musicologia essa differisce notevolmente non solo per l'area di ricerca e d'indagine, ma
anche per la metodologia, rivolgendosi l'e. verso il ''campo di suoni'' al di fuori
dell'esperienza euro-colta occidentale e assumendo pertanto un carattere largamente
interdisciplinare e polispecialistico.
Rispetto a questo secondo stadio della notazione e della trascrizione l'e. ha infatti stabilito
dei criteri precisi e definitivi di lavoro, che si sono andati formando nel corso del tempo come
veri e propri principi metodologici (cfr. Hornbostel, Bartók, Brăiloiu): le trascrizioni manuali,
pur necessitando dal punto di vista grafico dell'uso di indispensabili segni diacritici che
consentano la notazione di eventi musicali di tradizione orale, estranei alle convenzioni
musicali del sistema colto occidentale, debbono considerarsi di per se stesse insufficienti, e
vanno pertanto verificate con le relative registrazioni sonore, da considerarsi assolutamente
necessarie per una corretta valutazione del documento etnografico-musicale. Ciò è
indicativo dell'importanza che l'''oralità'' riveste nell'e., non solo al momento dell'esecuzione e
della trasmissione del brano, ma anche al momento dell'interpretazione e dell'analisi di esso.