You are on page 1of 3

VITTORIO ALFIERI

Poeta in parte legato al Romanticismo, in parte al Neoclassicismo, e all’illuminismo. Nasce nel


1749 ad Asti, in Piemonte, una terra che non era stata direttamente toccata dal pensiero
illuminista perché i Savoia che reggevano questa terra non erano stati sovrani illuminati,
quindi non avevano accettato di produrre riforme, quindi il piemonte dal punto di vista
giuridico-economico era rimasto arretrato, però per motivi di vicinanza geografica con la
Francia e poiché la nobiltà sabauda, a cui apparteneva il padre di Alfieri, era sempre stata
legata culturalmente alla Francia, arriva anche in piemonte la cultura illuministica, che sarà
propria dell’autore. Era esponente della ricca aristocrazia terriera piemontese, ebbe
un’infanzia non proprio felice perché tra l’altro il padre morì lo stesso anno della sua nascita,
quindi non lo conobbe mai. Fu un’infanzia di solitudine che ci racconta Alfieri stesso nella sua
autobiografia, che va sotto il titolo di ‘Vita narrata da me medesimo’, un testo che tuttavia
cominciò a comporre nell’ultima parte della sua vita a partire dal 1790, quindi
un’autobiografia in prosa. Ci parla in maniera molto dettagliata della sua infanzia ce la
descrive come un’infanzia dolorosa e infelice, si definisce come un uomo di indole triste,
tuttavia dotato di grandissima determinazione e forza di volontà, quindi riconosce in se pregi
e difetti. All’età di 9 anni venne mandato a studiare a Torino presso la reale Accademia regia
di Torino, era il luogo in cui studiava la nobiltà piemontese dell’epoca. Era di fatto
un’accademia militare, ma non amò questi studi, che terminarono all’età di 17 anni. Definirà
questi anni di ineducazione, perché lo studio che egli faceva di autori classici era uno studio
mnemonico, quindi sono proprie di Alfieri le critiche al sistema scolastico, fatte già da Parini
nel Giorno, soprattutto per i metodi punitivi soprattutto corporali, usati per punire gli allievi
di questa accademia.

Com’era tipico della nobiltà dell’epoca, una volta terminata l’accademia comincia una serie di
viaggi all’interno dell’Europa stessa, quindi viaggerà dall’età di 18 anni, in una serie di almeno
4 viaggi che lo portano a conoscere tutta l’Europa. Diciamo che fino al 72 viaggerà attraverso
l’Europa, e questi viaggi ci vengono narrati nella sua autobiografia:
-un primo viaggio lo porta a conoscere le varie città d’Italia, scendendo progressivamente
verso sud da Torino e visitando le principali città italiane, quindi si impossessa anche della
conoscenza culturale della penisola italiana.
-in un secondo viaggio conoscerà invece la Francia, l’Olanda, i Paesi Bassi e l’Inghilterra,
viaggio che definì proficui dal punto di vista sociale e politico perché apprezzò tantissimo le
libertà costituzionali dell’Inghilterra, quindi dal punto di vista politico il suo ideale era
rappresentato dalla politica inglese, come per tanti illuministi dell’epoca.
-in occasione di un terzo viaggio si spingerà verso nord-est visitò l’Austria, la Prussia, la
Germania dell’epoca, poi la Danimarca e la Scandinavia. Quest’ultima è per Alfieri un luogo
caro, dell’anima, visitando Svezia e Norvegia trova i paesaggi più amati, che sente più consoni
al suo spirito, una natura solitaria ed affine alla sua anima, paesaggi sublimi, silenziosi, le alte
vette innevate, sono i paesaggi da lui amati in modo preromantico, perché in essi proietta la
sua sensibilità, si riconosce nella natura malinconica di questi sconfinati paesaggi.

Egli precisa in questa sua autobiografia le condizioni del suo viaggiare, mentre per gli altri
nobili europei che coltivano questi numerosi viaggi, viaggiare significava conoscere lo spirito
di altri popoli, ampliare le conoscenze culturali-antropologiche delle popolazioni visitate, per
Alfieri vi era una grande scontentezza di se che lo induceva a viaggiare, un bisogno di fuggire
da se stesso e dalla propria malinconia, egli si definisce afflitto dalla noia, dal tedio, come un
giovin signore pariniano, infatti Alfieri era un esponente della ricca nobiltà settecentesca. Egli
parla di vuoto interiore e voleva dare un senso alla vita che lo appagasse.

-in un quarto viaggio toccherà la Russia, e poi ritorna in Olanda e in Inghilterra, nelle terre a
lui più care. Aveva viaggiato attraverso l’Europa dell’assolutismo, pre-rivoluzionaria, erano gli
anni precedenti alla rivoluzione francese, sui troni d’Europa vi erano i sovrani assoluti, che
egli non apprezza per nulla, quindi comincia ad odiare la prigione dell’assolutismo
monarchico la dove la incontra, come quella francese.
A Parigi parla del ‘Contegno Giovesco’ del re di Francia, che si comporta come Giove
sull’Olimpo. Quando arriva in Prussia non approva nemmeno l’assolutismo prussiano
definendo la Prussia un’universale caserma. Arriva in Austria e rimane sconvolto nel vedere
che un grande poeta, Pietro Metastasio, che viveva all’epoca alla corte di Maria Teresa
d’Asburgo a Vienna, si genuflettesse davanti alla sovrana, egli dice che un poeta non può
inchinarsi davanti a un sovrano, la poesia non si china al potere, per questo si rifiuta di
incontrare Maria Teresa.

Dopo viaggi e vagabondaggi torna a Torino e comincia una relazione con una marchesa, che si
chiamava la marchesa Turinetti, di cui era cavalier servente secondo le usanze della nobiltà
dell’epoca. Non è soddisfatto di questa relazione Alfieri, che trova egli stesso degradante e
ridicola, non amava questa donna era una relazione ipocrita, falsa. Fonda una società
letteraria a Torino in cui comincia Alfieri il suo apprendistato poetico, componendo delle
poesie in francese satiriche, sul modello di Volterre, quindi i suoi primi maestri di poesia sono
gli illuministi francesi. Si esprime in francese perché la sua prima lingua era il francese, perché
la nobiltà sabauda parlava francese per lo stretto legame con la Francia. Egli dice sempre di
aver conosciuto malamente nell’infanzia e parlato poco la lingua italiana. Tuttavia di li a poco
vorrà scrivere in italiano, sentirà questa esigenza.

La svolta della vita di Alfieri arriva nel 1775, quando egli scopre la sua vocazione teatrale,
comincia a scrivere per il teatro ed esordisce con una tragedia dal titolo ‘Antonio e Cleopatra’,
la scrive, ne è insoddisfatto, ma poi le da alle stampe e viene fatta una rappresentazione di
questa tragedia proprio in quell’anno, al grande teatro Carignano di Torino, ed è un successo
strepitoso. Egli dice che adesso ha trovato il senso della sua vita, è finita l’inquietudine,
l’angoscia, il senso di vuoto, di noia, dice che da questo momento vive per la sua arte e
creazione poetica, vive per il teatro, avrà un obiettivo. Scrive di se, a proposito di questa
tragedia, Alfieri, che egli si rese conto che aveva parlato, dipingendo le figure di Antonio e
Cleopatra, di se e della marchesa Turinetti, perché egli si sentiva asservito alla marchesa
proprio come Antonio nella storia romana fu asservito a Cleopatra. Dunque egli si rende conto
che nel teatro ha bisogno di parlare anche di se, e che il teatro è per lui una forma di catarsi,
cioè di purificazione, un bisogno di uscire da se stesso e raccontarsi, quasi confessandosi
autobiograficamente. Poi nello stesso anno scrive ‘Il Filippo’.

Nel frattempo sente il bisogno di impadronirsi bene della lingua e letteratura italiana, volendo
essere un grande autore tragico della letteratura italiana, la quale non aveva grandi figure di
autori tragici fino a quel momento, al contrario della letteratura francese. E dunque se si
voleva imparare bene la lingua italiana bisognava andare a Firenze, quello che farà Alessandro
Manzoni, quando nel 1800 scenderà a Firenze ‘per sciacquare i panni in Arno’. Quindi nel
1780 si reca a Firenze e vi resterà per circa 5 anni e li conosce il grande amore della sua vita:
contessa Luis Stolberg, contessa inglese, il cui marito era un pretendente Stuart alla corona
d’Inghilterra, la quale lascerà il marito e vivrà negli ultimi anni della sua vita affianco ad
Alfieri, diventando la sua musa ispiratrice. Egli dice dunque di aver trovato attraverso la
vocazione letteraria, il senso della vita e il suo grande amore, compagna fino alla morte.

Ad un certo punto nel 1785 i due si recano a Parigi, prima della rivoluzione. Vittorio ha fatto
sue le idee illuministiche e quindi è a favore degli ideali che animano la rivoluzione francese:
libertè, egalitè, fraternitè. Ma nell’89 questa rivoluzione francese scoppia, dopo pochi anni
lascia delusi e scontenti la maggior parte degli intellettuali europei, tra cui Alfieri, che avevano
appoggiato le idee della rivoluzione. Compone anche delle opere ‘Ode a Parigi sbastigliata’ in
occasione della rivoluzione francese, Vittorio Alfieri, un inno alla presa della Bastiglia, come
gesto simbolico che da avvio alla rivoluzione, anche perché la Bastiglia era la prigione dei
debitori del re, quindi era un atto importante. Quando però la rivoluzione naufragò nel terrore
di Roberspierre, Alfieri rimase deluso dagli orrori, dalle violenze a cui aveva portato la
rivoluzione e quindi nel 1792 fuggì da Parigi, in una fuga avventurosa, che ci viene narrata da
lui medesimo, quando i due in una carrozza nella Parigi assediata dai rivoluzionari, che erano
a caccia di nobili da ghigliottinare, fugge avventurosamente perché anche lui era un conte e
quindi era stato minacciato. E torna nell’amata Firenze, dove passerà il resto della sua vita.
Nel frattempo però dal 1778, aveva compiuto un atto simbolico importante, si era
‘spiemontizzato’, quindi aveva abbandonato per sempre il Piemonte con una scelta chiara e
decisa. Aveva rinunciato a tutti i suoi possedimenti in Piemonte, quindi a tutte le terre paterne
che gli spettavano in eredità perché erano possedimenti feudali, che facevano di lui un suddito
dei Savoia. Dunque per essere un uomo libero e suddito di nessuno, rinunciò all’eredità
paterna quasi ridotto in povertà, fece dono di tutte le sue terre e feudi alla sorella, la quale
passava in cambio a lui una piccolissima rendita che garantisse ad Alfieri una sopravvivenza.

Nel 1777 aveva composto un saggio dal titolo ‘Della tirannide’.


Nel 1778 scrive un altro trattato in prosa, saggio politico dal titolo ‘Del Principe e delle lettere’
Nel 1782 compone la tragedia ‘il Saul’, degli anni fiorentini, il suo capolavoro.
Nel 1786 compone ‘La Mirra’, altra tragedia di ambito mitologico.

Si chiude in solitudine negli ultimi anni fiorentini, e morirà a Firenze nel 1803. Il grande
scultore Antonio Canova, eresse per incarico di Luis Stolberg, nella chiesa di Santa croce a
Firenze, ancora oggi visibile nell’arcata sinistra, il monumento funebre a Vittorio Alfieri con
dedica ‘a Luis Stolberg, per Vittorio Alfieri’, qui giace il grande poeta nel monumento del 1810,
con iscrizione scritta da Luis medesima.

You might also like