Professional Documents
Culture Documents
L’EPISODIO
DI PONTE DEL RICCI:
17 GIUGNO 1944,
UNA STRAGE DA RISCOPRIRE
1
In collaborazione con il Comitato Provinciale per il
60° Anniversario della Resistenza e della Liberazione
In copertina:
2
Premessa
????????????????
Il Sindaco
Leonardo Marras
3
4
Introduzione
Viviamo in un mondo di perfida regressione, in cui un
odio superstizioso e avido di persecuzione si accoppia
al terror panico…l’abbassamento del livello intellet-
tuale, la paralisi della cultura, la supina accettazione
dei misfatti di una giustizia politicizzata, il gerarchi-
smo, la cieca avidità di guadagno, la decadenza della
lealtà e della fede, prodotti, in ogni caso promossi da
due guerre mondiali, sono una cattiva garanzia contro
lo scoppio della terza, che significherebbe la fine del-
la civiltà.
Thomas Mann, Lettere di condannati a morte della re-
sistenza europea, Prefazione.
«Su che cosa gli uomini avevano fondato il loro agire quando le
istituzioni nel cui quadro erano stati abituati ad operare scricchiolaro-
no o si dileguarono, per poi ricostruirsi e pretendere nuove e contrap-
poste fedeltà?»1
E’ anche partendo da domande come questa che una ricerca sto-
rica può prendere forma; non tanto al fine di rispondere in maniera
adeguata al quesito in senso strettamente politico, quanto per i sog-
getti della domanda stessa che vengono messi in campo: gli uomini.
E’ lo stesso Claudio Pavone ad insegnarci come sia necessario spo-
stare la nostra attenzione “dai programmi agli uomini”2 affinché si pos-
sano osservare le attitudini che effettivamente spingono un essere umano
ad agire: le convinzioni morali, le strutture culturali, le emotività, i dubbi,
le passioni sollecitate da un intenso susseguirsi di avvenimenti.
Questa chiave di lettura si inserisce in quel filone interpretativo
che intende sgombrare il campo da un equivoco storiografico che ha
caratterizzato gli studi sulla Resistenza per molti anni, ossia l’idea di
una Resistenza a dimensione unitaria, combattuta in maniera compat-
ta e uniforme per le medesime finalità politiche. Il tentativo è quello
di restituire il ruolo da protagonisti a quegli esseri umani che hanno
vissuto le difficoltà della assunzione di responsabilità rispetto ad una
precisa scelta prima e delle “conseguenze armate” di essa dopo.
A partire quindi dal tessuto storico generale, caratterizzato da
alcune costanti valide per l’interpretazione complessiva del fenomeno
resistenziale, è necessario tenere presente quegli aspetti che inerisco-
no al singolo e che producono peculiarità ineludibili del fenomeno
stesso.
5
E’ proprio con questa chiave di lettura che ha preso avvio il lavo-
ro che qui viene presentato, il quale, e lo dico senza indugi, non giun-
ge ad un esito completo a tutto tondo, all’interno del quale si riescano
a trovare le risposte ad ogni domanda; piuttosto apre a nuovi interro-
gativi e a successivi momenti di ricerca attraverso i quali proseguire
un percorso che conduca ad una ricostruzione puntuale e analitica di
questo cruciale momento della storia d’Italia e, nel nostro caso, della
Maremma, che è stato la Resistenza.
Ogni qualvolta l’individuo è reso protagonista della complessità
del reale, partiremo sempre da una interrogazione per giungere di
nuovo ad un’altra, senza che questo debba essere considerato un se-
gno di incompletezza, ma piuttosto un segnale di adeguata aderenza
ad un punto di vista in divenire che non si può permettere di fissare
dei confini determinati all’interno dei quali costringere l’indetermina-
tezza del farsi dell’essere umano.
La peculiarità di questo lavoro sta, infatti, nel suo esito: esso ri-
costruisce, collocandolo, un episodio della Resistenza della Provincia
di Grosseto e in particolare del Comune di Roccastrada, avvenuto il
17 giugno 1944 in località Ponte del Ricci, ma non fornisce una lettura
dell’accaduto in termini di causa-effetto intesi come legame oggettivo
di relazione tra una ragione di tipo politico-militare e la sua conse-
guenza.
Vedremo cioè l’episodio ricostruito in maniera abbastanza parti-
colareggiata, ma rimarremo in assenza di una motivazione oggettiva
che possa essere individuata come spiegazione dell’accaduto.
L’intervento del Prof. Luca Alessandrini viene perfettamente in-
contro a questa singolare condizione della ricerca che riserva volonta-
riamente uno spazio di ombre ad un momento storico su cui si inten-
de far luce. Due sono le parole chiave che Alessandrini mette in cam-
po nella sua analisi, entusiasmo e violenza; ebbene esse si innestano
perfettamente in questa interpretazione secondo la quale l’agire indi-
viduale appartiene, parafrasando ancora Pavone, non ai programmi
ma agli uomini. Va da sé il fatto che se da un lato quella interpretazio-
ne unitaria e globale della Resistenza che intendeva inquadrare la com-
plessità del fenomeno resistenziale in una griglia storiografica in cui
ben poco erano tenuti in considerazione gli aspetti più incontrollati
dell’agire umano, dall’altro non si deve incorrere nell’errore contra-
rio, riducendo lo studio delle singolarità a descrizione di episodi e
all’agire di individui. Ciò che è necessario è la consapevolezza della
compresenza di molte componenti di una complessità che richiede,
per essere compresa, una contestualizzazione: nel nostro caso, il clima
6
di tensione, la durezza della lotta, la condizione estenuante di povertà,
la volontà di riscatto, tutti quegli elementi cioè che sono in campo,
come ovunque in Italia, nella Provincia di Grosseto nella primavera
del ‘44.
Le fonti
7
fonti orali.
Fra le maggiori difficoltà sicuramente quella della reperibilità di
materiali d’archivio in quanto nella maggior parte dei casi non riordi-
nati e quindi non agevolmente fruibili.
Il caso particolare dell’Archivio comunale di Roccastrada richie-
de una specifica a sé dati i suoi precorsi storici. A seguito di un bom-
bardamento alleato infatti, l’intero giacimento è bruciato, inceneren-
do la stragrande maggioranza dei documenti riguardanti gli anni in
questione. Un incendio durante la ritirata tedesca ha ovviamente si-
gnificato la perdita di tutto ciò che fino a quel momento era stato
prodotto dal comune stesso. Lavorare su di esso, quindi, oggi significa
andare alla ricerca di qualcosa che si potrebbe essere salvato, con la
consapevolezza che ciò che è avvenuto prima del 1945 nel territorio di
Roccastrada difficilmente sarà rintracciabile per mezzo delle carte d’ar-
chivio.
Anche per quanto riguarda lo stato dell’archivio dell’Associazio-
ne Nazionale Partigiani Italiani e dell’archivio del Comitato di Libera-
zione Nazionale, sono presenti molte difficoltà, perché nonostante la
loro consistenza sia integra, purtroppo sono ancora in fase di riordi-
no, pertanto gli ostacoli al reperimento del materiale risultano note-
voli, non avendo a disposizione un inventario che ci possa indirizzare
nella ricerca.
Tra i documenti che si possono rintracciare in archivio una rifles-
sione necessaria rispetto alle Relazioni dei Comandanti delle Brigate3.
Attraverso esse infatti è possibile reperire tutta una serie di informa-
zioni che altrimenti risulterebbe molto difficile ricostruire per altre
vie. In esse, infatti, vi troviamo cronologicamente ordinate le princi-
pali azioni, militari e non, svolte dalla Brigata stessa, che ci permetto-
no di interpretare e comprendere quali fossero le peculiarità di quella
Brigata specifica, rispetto al complesso delle formazioni partigiane.
Stando ciò è comunque necessario procedere con cautela nel conside-
rare l’origine di tali relazioni, ossia il momento storico in cui sono
state stilate. Il Comandante della Brigata stila i documenti in questio-
ne soltanto a Resistenza compiuta. Quindi se da un lato si tratta di una
fonte insostituibile per le informazioni che ci fornisce, dall’altro si rende
necessario l’utilizzo di un filtro che metta in evidenza la possibilità
della presenza di taluni “vizi” nel contenuto.
Quindi, se da un lato risultano essere uno degli strumenti più
importanti per ricostruire quegli anni data la loro unicità, dall’altro
necessitano di un lavoro di controllo attraverso una correlazione con
altre fonti. Non bisogna cioè dimenticare né il clima e il momento
8
storico in cui gli episodi che vi sono riportati si sono realmente svolti,
né d’altro canto il contesto e il motivo per cui sono stati ricostruiti a
posteriori dai protagonisti stessi. E infine, è necessario che ciò che vi
si legge sia verificato e supportato da ciò che le altre fonti a nostra
disposizione documentano. Solo così si può ovviare a grossolani erro-
ri di ricostruzione storica.
Altrettanta cautela è necessaria nel reperimento e nell’utilizzo delle
fonti orali. Di fondamentale importanza esse sono portatrici di una
forte carica di umanità pressoché assente nelle fonti indirette, rivela-
trici di una testimonianza diretta rispetto al singolo evento indagato, e
quindi testimoni di un’immagine della realtà a noi preclusa.
Nonostante questo però devono comunque essere sempre lette –
è lo stesso Contini ad insegnarcelo – come soggette alle difficoltà di
una memoria che si dispiega fra il vissuto e il rielaborato4.
Per quanto riguarda infine le fonti a stampa locali, è innanzitutto
necessario ricordare che ad oggi uno tra gli strumenti più importanti,
tra le numerose produzioni monografiche, rimane la Cartografia di Nicla
Capitini Maccabruni5, realizzata dall’autrice a partire dalle carte del
CLN provinciale e all’interno della quale possiamo trovare elencati
pressoché tutti gli episodi che hanno caratterizzato la resistenza nella
Provincia di Grosseto, suddivisi cronologicamente. Nonostante l’indi-
scutibile importanza di una tale ricostruzione, ciò che la rende proble-
matica è la sua fonte di partenza: l’archivio del CLN. Quest’ultimo,
come dicevamo poco sopra, non è ancora riordinato nella sua totalità6
e ciò può evidentemente aver comportato il sopraggiungere di inesat-
tezze di non poco conto se consideriamo la possibilità della presenza
di documenti rilevanti ma non ancora resi disponibili. Inoltre si tratta
di una ricostruzione che l’autrice fa prendendo in considerazione ogni
singolo giorno del periodo in questione, e ogni singolo evento, ripor-
tandone nomi, date, luoghi. Questo particolare non è affatto poco rile-
vante, perché porta con sé la necessità di considerare la Cartografia
uno strumento da cui partire, ma sul quale è necessario costruire una
riflessione fatta ancora di incrocio delle fonti e di verifiche.
L’intreccio critico delle fonti è stato quindi l’ingrediente fonda-
mentale affinché la ricerca si sia potuta snodare in tutti i suoi risvolti,
nel tentativo di interpretare condizioni e conseguenze della strage, e
di tenere sempre presente la peculiarità del momento storico e quindi
la criticità dell’ultima fase della resistenza in maremma, caratterizzata
da un lato dalla precipitosa e violenta ritirata delle truppe tedesche, e
dall’altro dal clima di entusiasmo che attraversava i giorni della metà
del giugno del ’44.
9
10
Capitolo 1
Settembre 1943 - Giugno 1944:
la Provincia di Grosseto tra lo smarrimento e la scelta
11
dell’8 settembre 1943 e dallo sfascio che immediatamente seguì delle
strutture militari e civili del paese7.
«E’ caduto il fascismo!», «Mussolini è stato allontanato dal re
che ha incaricato Badoglio di formare il nuovo governo». Queste e
altre espressioni speranzose di pace correvano di bocca in bocca per
città e province toscane subito dopo il comunicato trasmesso dalla
radio alle ore 22.48 del 23 luglio 1943. La presenza di congiunti al
fronte, la lunghezza della guerra che aveva estenuato la popolazione
civile, l’aggravamento del problema alimentare a cui si aggiunse l’of-
fensiva aerea alleata portatrice anch’essa di vittime e distruzione, pro-
vocò il susseguirsi rapido di reazioni immediate corredate di volta in
volta di stupore, gioia, preoccupazione e smarrimento8.
Sensazione di smarrimento alimentata fortemente dalla successi-
va presa di coscienza del fatto che quell’annuncio non avrebbe affatto
significato la pace.
Conferma di questo si ebbe già il mattino successivo, quando in
Toscana, come in tutta Italia, si affiggeva il manifesto con l’appello di
Badoglio agli italiani per incitare alla continuazione della guerra. Nel
pomeriggio era la volta dei manifesti dei corpi d’Armata, che comuni-
cavano il passaggio dei poteri dalle autorità civili a quelle militari. Si
rende noto successivamente il passaggio della milizia fascista alle di-
pendenze dell’esercito. Il Comandante la Difesa Territoriale di Firen-
ze, Gen.Chiappino, dichiarava che da quel momento delegava i singo-
li comandanti dei Presidi militari Toscani ad assumere la direzione
dell’ordine pubblico da mantenersi ad ogni costo.
A Grosseto il mattino del 26 luglio ’43 il prefetto Palmardita te-
legrafava al ministero dell’Interno:« Assicurarsi aver provveduto ac-
cordo con l’autorità militare applicazione piano ordine pubblico […]»;
a Pitigliano i carabinieri intervenivano per sciogliere una manifesta-
zione in corso e a Massa Marittima, alle 8.00 del mattino, un gruppo
di carabinieri e lo stesso comandante del 38 Rgt.Ftr intervenivano con-
tro gli operai della Miniera di Niccioleta che manifestavano inneg-
giando “all’esercito e all’Italia!”9.
Si attraversò in questo clima l’estate del ’43 fino a quando l’8
settembre il generale Eisenhower annunziò per radio la capitolazione
dell’Italia.
Un dispaccio radio trasmesso dallo Stato Maggiore Generale nelle
prime ore del 9 settembre prescriveva di “reagire immediatamente ed
energicamente et senza speciali ordini at ogni violenza armata germa-
nica” ma anche che non dovesse “essere presa iniziativa di atti ostili
contro germanici”10.
12
E’ ancora il sentimento di smarrimento a dominare. Le truppe
tedesche in Italia procedettero a disarmare con violenza le truppe ita-
liane e a evocare per sé il potere locale. In pochi giorni le armate italia-
ne si disgregarono completamente, a causa soprattutto del comporta-
mento dei capi militari i quali lasciarono all’oscuro della situazione i
loro subordinati non trasmettendo ordini precisi sul comportamento
da tenere. L’accelerazione a tale stato di cose fu data dalla fuga del re,
della corte e dei capi militari nella notte del 9 settembre.
Questi brevi cenni agli eventi che si susseguirono non sono certo
sufficienti a definire o a connotare adeguatamente il momento cui stia-
mo facendo riferimento. Sono però utili a dare almeno l’idea del con-
testo all’interno del quale i giovani grossetani dell’Italia del ’43 si tro-
varono a scegliere. Da un lato una condizione non definita, fatta di
alternative contrapposte rispetto alle quali non si poteva avere una
posizione razionale e ben ponderata sul da farsi; l’assenza di una gui-
da militare o politica sulla quale fare affidamento; e non ultima una
condizione economica, psicologica, fisica che risentiva delle sofferen-
ze patite durante una guerra che nella pratica era ancora in corso – se
pure con un nemico diverso -. Dall’altro lato era forte però la voglia, il
desiderio, l’entusiasmo per un riscatto storico-sociale attraverso il quale
mettere fine all’occupazione e rendere possibile la rinascita di un’Ita-
lia fatta a pezzi dal conflitto e desiderosa di libertà.
Si comprende ancor meglio quanto questo senso di smarrimento
che ha caratterizzato l’azione nei giorni successivi all’armistizio, abbia
condizionato i protagonisti, se si tiene in considerazione la presenza
nella Provincia di Grosseto e in particolare nella zona di Roccastrada,
di un antifascismo storico che era nato, si era alimentato ed era vissuto
durante tutto il ventennio, in clandestinità.
Esempio eccezionale di questa presenza forte sono i fatti descrit-
ti nelle pagine seguenti, testimonianza di un legame profondo tra la
violenza perpetrata negli anni della “ritirata” e la situazione politica
degli anni dell’ascesa al potere del fascismo.
13
2.1. Le radici della scelta a Roccastrada: i fatti del ‘21
14
Per ricostruire gli eventi due testimonianze dirette dei protago-
nisti di quei fatti di sangue rintracciate nell’archivio del CLN grosse-
tano e riprodotte di seguito nella loro forma originale12.
Addì 6 agosto 1944 dietro invito del Comitato di Liberazione Nazionale Sezio-
ne di Campagnatico, si è presentato dinanzi ad alcuni membri del Comitato stesso il
Sig. Stefani Vito, fu Pietro e fu Senesi Giuseppina, nato e domiciliato a Campagnatico
il 12.2.1893, agricoltore salariato che prese parte alle devastazioni.
Se non sbaglio l’eccidio di Roccastrada avvenne il 23/7/1921. Siamo partiti da
Campagnatico nella notte fra il 22 e il 23 luglio verso le 23.30 circa. Ci dissero, (anzi ci
disse il segretario politico del tempo Bacciarelli Egisto) che si doveva andare a fare un
giro a Campagnatico per quello che doveva essere un giro di propaganda.
Non ero armato, penso però che qualcuno lo fosse.
Sono montato sul camion per ultimo, all’altezza del garage del Sig. Amilcare
Rossi. I partecipanti di Campagnatico erano i seguenti: Landi Iader, Budelli Luigi,
Ricciardi Garibaldi, Tegardi Ottorino, Benvenuti Giovan Battista, Gragnoli Adone,
Giovannelli Domenico, Sestigiani Gino, Caporali Adelando ed il sottoscritto. La spe-
dizione era stata ordinata da Bacciarelli Egisto, segretario politico di allora, che però
non vi partecipò. Ci siamo portati a Grosseto e quindi a Roccastrada con un camion-
cino di proprietà del Sig. Rossi Amilcare di Campagnatico, guidato dal Budelli Luigi.
A Grosseto abbiamo trovato, nei pressi del Cimitero della Misericordia, un camion di
fascisti comandati dal sedicente capitano Castellani Dino fiorentino, assieme con loro
ci siamo portati a Roccastrada. Siamo giunti a Roccastrada all’alba, verso le 6.15 circa.
Ci siamo fermati nei pressi del caffè Fornaciari gestito da un fascista denominato “Gian-
naccia”. Dopo mezz’ora di canti, esposizioni di bandiere ed altre manifestazioni siamo
ripartiti da Roccastrada verso Sassofortino e Roccatederighi. Camminando sulla detta
strada, dopo circa un chilometro di corsa, in prossimità di una curva, ho udito una
scarica di arma da fuoco e quindi ho visto fermare il camion che ci precedeva, i fascisti
gridavano “Hanno ammazzato Ivo Saletti”. Prontamente il camioncino su cui ero im-
barcato fece dietro front. Era domenica e molti si stavano recando in campagna per
tornare in paese in tarda mattinata. I fascisti bastonarono tutti quelli che incontraro-
no, devastarono le case dei “rossi”, invasero un caffè e saldarono il conto devastando-
lo, la casa di Tagliaferro, la bottega dell’orologeria dello stesso; fu devastata anche la
casa di Luigi Vannuccini. Anche la casa di Dante Nativi fu completamente devastata.
Un certo Giaggioli fu fatto uscire nudo dalla casa e bastonato a sangue. Ho sentito
sparare in direzione del punto dell’imboscata, diversi colpi di arma da fuoco. Sono
rimasto presso il camion fino all’ora di partenza. Sul posto ho consumato una frugale
colazione. Siamo ripartiti da Roccastrada verso le 15.30 dietro ordini del capitano
Castellani. Con lo stesso mezzo ci siamo portati a Grosseto, dove giungemmo verso le
17.00.
In piazza del Duomo il capitano Castellani ci fece prestare giuramento colletti-
15
vo, secondo il quale, Roccastrada doveva essere rasa al suolo. Il morto che aveva viag-
giato sul camion con noi, venne lasciato a Grosseto e noi ritornammo a Campagnatico.
16
camion vi era un morto. Dopo di ciò sono tornato di corsa a Roccastrada, dove mi
sono nascosto dietro il palazzo della Pretura e vidi tornare anche gli altri fascisti con i
camions.
Il Saletti era nato a Grosseto. Personalmente non lo conoscevo.
I fascisti tornati a Roccastrada hanno rimesso i camions al punto dove ci erava-
mo fermati la mattina. Io col Butelli Luigi ci siamo rifugiati nei locali dell’Agenzia del
Banco di Roma da dove non ci siamo mossi fino alle ore 12 circa, ora in cui l’Agenzia
doveva chiudere e gli impiegati ci dissero di andar via. Siamo quindi entrati in una
casa poco distante di cui non sono in grado di precisare il cognome del padrone. Era
un amico di Butelli. Da entrambi i locali, di tanto in tanto, udivo colpi di arma da
fuoco. Dichiaro di essere ancora disarmato e conseguentemente di non aver sparato.
Successivamente, verso le ore 15.30 circa, dietro ordine del comandante Castellani, ci
siamo rimessi nel camion diretti a Grosseto, dove giungemmo verso le 17.00. Sul no-
stro camion ha viaggiato il cadavere di Ivo Saletti. A Grosseto ci siamo portati in
piazza del Duomo dove il Castellani ci fece prestare un giuramento collettivo, secondo
il quale, Roccastrada doveva essere rasa al suolo. Il morto venne lasciato a Grosseto e
noi tornammo a Campagnatico.
Dichiaro infine che sono stato fascista per solo 1 anno. Poi non ne ho voluto più
sapere. Non sono stato riconosciuto squadrista né ho avuto a percepire premi di sorta.
Non sono stato ultimamente fascista repubblicano.
17
Il 6 aprile 1921 il sindaco Natale Bastioni aveva ricevuto la se-
guente lettera:
Dato che l’Italia deve essere degli italiani e non può, quindi essere
amministrata da individui come voi, facendomi interprete dei vostri
amministrati e dei cittadini di qua, vi consiglio a dare, entro domeni-
ca 17 aprile, le dimissioni da Sindaco, assumendovi voi, in caso con-
trario, ogni responsabilità di cose e di persone. E se ricorrerete alle
autorità per questo mio pio, gentile e umano consiglio, il termine sud-
detto sarà ridotto a mercoledì 13, cifra che porta fortuna.
18
appiccato alle 17 case di roccastradini.17
L’esito giudiziario di questa dura vicenda di sangue fu l’arresto di
soli due squadristi, mentre a Roccastrada si arrestarono sette persone
accusate dell’imboscata e quindi della morte di Ivo Saletti. Si dovette
aspettare il processo del ’45-‘46 per sentir dire apertamente che non ci
fu alcuna imboscata contro i fascisti .
Questo episodio ha una doppia valenza, generale e locale insie-
me. Da un lato si tratta di un evento accaduto in un piccolo comune
della Maremma grossetana, seguendo una sorta di “metodo” messo in
pratica sistematicamente dalle squadre fasciste in tutta Italia, special-
mente laddove si rintracciavano situazioni particolarmente ostili al re-
gime; dall’altro lo troviamo citato, tra altri, dallo stesso Salvemini nel
suo Le origini del fascismo, come episodio emblematico; ciò fa com-
prendere chiaramente la forte e decisa posizione antifascista del co-
mune e del territorio roccastradino, tale da esser presa in considera-
zione dallo stesso Salvemini come condizione politica eccezionale che
ha richiesto un intervento fascista così diretto e violento.
Se da un lato quindi il massacro del ’21 testimonia il carattere
politico del comune di Roccastrada all’epoca dei fatti, dall’altro ci aiu-
ta nella lettura dei risvolti di agguerrita e dura lotta partigiana che di
quei fatti sono figli.
A consolidare la tesi secondo la quale i cosiddetti “fatti del ‘21”
influenzarono e indirizzarono irreversibilmente quello che fu il carat-
tere e la forza della resistenza nel comune di Roccastrada ancora le
parole di Florido Rosati18:
«La forza dei comunisti di Roccastrada è basata molto sul legame con
questi fatti. Nativo Nativi, che gli ammazzarono il babbo nel ’21, è
stato uno dei maggiori esponenti della lotta partigiana. Tra l’altro bi-
sogna ricordare che quel giorno i fascisti si ammazzarono da sè, per-
ché la revolverata che ammazzò il Saletti partì dal camion dei fascisti
[…], invece loro, appena videro un contadino che portava i balzi al-
l’aia si avvicinarono e ammazzarono lui e due figlioli […]; poi venne-
ro a Roccastrada e ammazzarono altre undici persone. Erano dei fa-
cinorosi».
19
Provincia di Grosseto in generale, che, di conseguenza, uno dei fattori
esplicativo dell’episodio che intendiamo indagare.
In altre parole, come la ricostruzione del clima di smarrimento,
abbandono, sfiducia, che si respira dopo l’armistizio, ci serve per ave-
re un’idea della condizione di sconforto e disperazione in cui si trova-
vano i nostri giovani grossetani in quel momento; d’altro canto la rico-
struzione di un episodio come quello appena narrato, in cui si può
facilmente leggere tutta la violenza esercitata da parte fascista e tutta
la rabbia che doveva aver suscitato nella popolazione civile, in parti-
colare in quella che fascista non era, ci può servire a leggere la scelta.
Ossia, a comprendere l’impulso che molti giovani hanno avuto nel
“darsi alla macchia” per mettere in atto una ribellione, al principio
anche poco consapevole, che aveva ragione di essere solo per il fatto
di sussistere come disobbedienza. Di fronte all’assenza di alternative
che non fossero quelle affini al regime fasciste, pur in mancanza di
una chiara consapevolezza politica, nascono i primi gruppi di ribelli,
che saranno nel giro di pochi mesi, protagonisti della liberazione del-
l’intera provincia.
20
Ministero della difesa nazionale e il comando delle forze armate in
ricostruzione, incitava gli italiani a riprendere le armi per l’onore del-
l’Italia per cancellare il tradimento dell’alleato.
Nel frattempo all’interno del Partito Fascista Repubblicano era
stato nominato un commissario straordinario nella persona di un uffi-
ciale SPE, Alceo Ercolani, proveniente da Viterbo. Quello stesso Er-
colani, il 22 ottobre, veniva nominato capo della Provincia di Grosse-
to al posto di Palmardita, mentre nel PFR (Partito Fascista Repubbli-
cano) veniva sostituito da un triumvirato composto da Pucci, Cambi e
Monti19.
Questo clima di tensione e di incertezza che aveva caratterizzato
il periodo in questione aveva di fatto incrementato l’attività clandesti-
na dei militanti antifascisti grossetani dando nuovi impulsi alla forma-
zione delle bande.
Forte e decisa fu, infatti, l’influenza dei quarantacinque giorni e
dei successivi sviluppi dell’organizzazione fascista nella scelta dei gio-
vani maremmani.
L’incertezza e la mancanza di guida che li investì in quel periodo
è ben riassunta in queste poche parole di Aristeo Banchi: “[…] Dalla
fine di luglio all’armistizio a Grosseto i giorni passarono in sterili di-
scussioni, senza una seria preparazione a quella lotta che incombeva
[…]”.20
Ma per capire chi erano quei giovani che di lì a poco avrebbero
occupato le macchie della Provincia di Grosseto per sfuggire alla leva
obbligatoria o chi fossero coloro che si trovarono “sbandati” dopo il
cosiddetto sfascio dell’esercito, è significativo leggere le parole di uno
dei protagonisti di questa lotta partigiana, Florido Rosati21:
21
gli risposi. “Eh io ce lo manderei ma è la mi’ moglie che non vuole”.
“Neanche la mi’ mamma voleva”. Insomma, diventai così perseguitato
politico: che cosa dovevo fare? O vai alla macchia o ti fucilano […]. Io
non sapevo niente di politica, sapevo solo che non volevo più fare la
guerra, ma ribellandomi alla guerra non mi rimaneva che la macchia
[…] e così feci, anche perché l’alternativa era diventare ragazzi di Salò
[…]”».
22
importante sottolineare che la Provincia di Grosseto, la terza in Italia
per estensione, contava nell’ultimo periodo bellico circa 200.000 abi-
tanti che svolgevano un’attività prevalentemente agricola. Ricca di
boschi e della tipica macchia mediterranea, dopo l’8 settembre, poche
altre province offrivano anche ai giovani più inesperti in ambito mili-
tare, condizioni ambientali migliori per “darsi alla macchia”. In altre
parole, si dispiegava davanti ai giovani maremmani del settembre del
’43 un territorio che oltre a nascondere gravi rischi e difficoltà al suo
interno, avrebbe potuto nascondere anche chi, nell’inconsapevolezza
politico-militare di ciò che andava a fare, aveva la consapevolezza e la
volontà di non aderire alla neonata Repubblica Sociale di Benito Mus-
solini.
Una delle caratteristiche principali, data l’ampiezza della provin-
cia, su cui si fondò la formazione delle bande in maremma fu senza
dubbio quella della suddivisione del territorio stesso in zone, con i
rispettivi comandi militari, in modo che ciascuna formazione fosse
diretta in modo efficace e disciplinato. Le unità partigiane si articola-
rono in nuclei, squadre e distaccamenti, in modo da potersi organiz-
zare con ampia libertà di iniziativa militare. Per questo servivano capi
nuclei, comandanti di squadra e di distaccamento.
23
Ma vediamo nello schema seguente quali erano e come si sono
organizzate le formazioni principali della provincia e in particolare
quelle che operavano nella zona nord, limitrofe a Roccastrada.
24
ello e Albo Bellocci, Gastone Barbini e Antonio Mocci a ciclostilare
dei volantini per diffondere fra la popolazione la parola d’ordine della
lotta senza quartiere ai nazifascismi. Eravamo ancora nello stabile quan-
do gli alleati scatenarono sulla città un grande bombardamento che
imperversò per tutta la notte […].”26
Un incontro successivo vide la nascita di uno degli organismi più
rappresentativi per la lotta resistenziale grossetana: il Comitato Mili-
tare. “[…] A Campo Spillo si formò il primo comitato che lavorò nella
provincia per promuovere la lotta partigiana: la vita di questo organi-
smo fu difficile e la sua composizione variò nei mesi seguenti, a causa
degli arresti di alcuni dei suoi membri […]. A Campo Spillo, per la
verità, a parte il ciclostile, quel 15 settembre non c’erano la stazione
radio collegata agli alleati […] né l’arsenale di armi […]. In quella
prima riunione, cui eravamo presenti, oltre a chi scrive, Tullio Maz-
zoncini, Raffaello Bellocci, suo fratello Albo, Giuseppe Scopetani e
Antonio Mocci, stampammo due volantini: nel primo consigliavamo
ai giovani di non rispondere alla chiamata alle armi dei repubblichini,
di organizzarsi in piccoli gruppo di non più di dieci elementi ciascu-
no, di stare molto vigili, e ricordavamo che si dovevano colpire i fasci-
sti, responsabili di tanti anni di oppressione, di una guerra sanguinosa
e dell’odierna alleanza coi nazisti. Nell’altro manifesto si chiedeva ai
contadini e a chi abitava nelle frazioni e nei piccoli paesi di aiutare in
tutte le forme possibili i giovani renitenti e i partigiani […].”27
Da settembre a novembre 1943 gli incontri nella fattoria di Cam-
po Spillo furono numerosi e tesi a costituire una sorta di programma
indicativo di lotta, destinato ai primi gruppi partigiani che si erano
formati in quei mesi, o che si stavano formando.
Dai documenti si deduce infatti con ragionevole sicurezza che la
prima formazione maremmana possa considerarsi quella sorta il 22
settembre 1943 con il capitano Mario Chirici e una ventina di giovani
che si armarono a spese di alcune caserme di carabinieri formando il
nucleo originario della III Brigata Garibaldi «Camicia Rossa» a Massa
Marittima.
Chirici era stato un ex ufficiale degli arditi nella guerra ’15-’18 e
già ex comandante dell’avanguardia repubblicana di Massa Maritti-
ma. In seguito aveva conosciuto le carceri fasciste, internato nell’isola
di Lipari, poi costretto ad esiliare nella zona d’Istria, vivendo là con la
famiglia fino alla caduta del fascismo. Il CLN di Massa Marittima,
conoscendo i suoi spostamenti riuscì a rintracciarlo a Siena per pro-
porgli il comando della banda del massetano.
Luigi Tartagli28 ricorda le regole del campo imposte immediata-
25
mente da Chirici il quale ordinò al gruppo un lungo periodo di isola-
mento, evitando di uscire dall’accampamento e osservando il massi-
mo silenzio. “Stavamo in una capanna costruita con zolle con pelliccia
d’erba; all’interno c’erano, per dormine e riparasi dal freddo e dall’ac-
qua due «rapazzole», giacigli costruiti con stecche di rami, con sopra
foglie secche”29.
Nel corso dell’autunno, le bande si moltiplicarono, fino ad arri-
vare a ventisette formazioni per un totale di 1200 partigiani combat-
tenti, coadiuvati da circa 1800 patrioti.
Questi gruppi solitamente sorsero intorno alla figura del coman-
dante, come abbiamo evidenziato nel caso di Chirici, puntando con
forza nell’estrema mobilità e capacità di comunicazione degli uomini.
Un fortissimo spirito di adattamento permetteva a uomini e donne di
resistere accampati nell’attesa di compiere un’azione o nell’attesa di
una staffetta che apportasse notizie dagli altri discattamenti o dal pae-
se. Tra tutti i servizi utili infatti, quello cosiddetto d’intendenza, era
quello più importante. Il suo primo compito consisteva nella raccolta
di indumenti e di viveri. Compito veramente arduo in una condizione
di povertà che attanagliava l’intera popolazione circostante. L’inten-
dente doveva comunque porsi nella condizione di trovare qualcosa,
per questo si ricorreva spesso a colpi contro i beni del nemico, contro
ammassi, depositi e caserme.
Per capire come fosse struttura una Brigata teniamo presente che
ogni formazione militare doveva essere estesa in un raggio di macchia
di 10 km e doveva avere un raggio di azione di almeno 30 km. Inoltre
per ognuna di esse vigevano regole ben precise che stabilivano i rap-
porti reciproci. Le formazioni ogniqualvolta dovevano operare al di
fuori del perimetro spaziale di propria competenza, dovevano pren-
dere accordi con il comando della formazione interessata, onde evita-
re qualsiasi conflitto o interferenza interna. Questo per dire che, in
generale, i movimenti di ogni Brigata non dovevano essere regolati dal
caso, ma piuttosto da un preciso standard di comportamento. Allo
stesso modo direttive ben precise stabilivano i criteri con cui la briga-
ta stessa veniva a costituirsi. Quattro o più squadre di almeno dieci
uomini andavano a formare un distaccamento; successivamente quat-
tro o più distaccamenti davano vita ad una formazione. Più formazio-
ni determinavano la costituzione di una brigata.
Così si era formata anche la III Brigata Garibaldi “Antonio Gram-
sci” operante a Roccastrada.
Il primo nucleo fu costituito nell’ottobre del ’43 distaccandosi
da quella Formazione del Frassine comandata appunto da Chirici. Nel
26
gennaio-febbraio ’44 venne affidato l’incarico ad Aristeo Banchi di
provvedere alla costruzione di un’unica Brigata con una parte di par-
tigiani e di renitenti alla leva, in quel momento comandati da Rino di
Renato, e con l’ingrossamento del 5° distaccamento della Spartaco
Lavagnini. Si costituì così la III Brigata Garibaldi “Antonio Gram-
sci”, comandata da Sady Basi e avente come commissario politico
Amedeo Pecci.
Due figure, quest’ultime, di fondamentale importanza sia per la
formazione nel momento in cui ne tenevano le redini nei loro specifici
e distinti ambiti di competenza, sia per la ricostruzione da parte no-
stra del carattere militare e politico di essa, e quindi delle azioni che
mise in atto durante la Resistenza.
Se Sady Basi ci viene restituito dai documenti e soprattutto dalle
testimonianze dei protagonisti30, come un partigiano dedito alla sua
formazione e morto per la conquista e per la difesa della libertà del
suo comune, “una brava persona, un bravissimo militare […]”31, Ame-
deo Pecci risulta essere una figura più complessa da delineare. Origi-
nario di Grosseto, entra a far parte del Partito Comunista già dal gen-
naio 1922, subendo, durante la sua attività di antifascista, molti arre-
sti, dopo il primo dei quali fu portato a Portolongone con una con-
danna a ventuno anni di carcere. Evaso, venne nuovamente catturato
il 31 luglio 1943 e inviato nelle carceri di Firenze, fin quando, a dicem-
bre viene trasferito nelle carceri di Arcidosso e quindi internato nel
campo di concentramento di Bagno a Ripoli dove rimase per quattro
mesi.
Non appena riuscì a rientrare a Roccastrada si unì ai partigiani
che proprio sotto il comando di Sady Basi si erano organizzati in for-
mazione. Pecci divenne subito commissario politico e, come lui stesso
afferma, seguì tutte le azioni della banda. Dopo la liberazione fu no-
minato dagli alleati Sindaco di Roccastrada32.
La sua biografia mette in evidenza una vita vissuta all’insegna
della lotta per la libertà. Allo stesso tempo in molti documenti, così
come nelle parole degli intervistati, non mancano le occasioni in cui
prende forma una figura di Pecci un po’ diversa. Spesso si parla di lui
come di un uomo dal “carattere molto difficile” (Ganna), di uno con
il quale non è facile contrattare o scendere a compromessi. Basti pen-
sare, per esempio, che la Gramsci non ebbe molti contatti con la Spar-
taco Lavagnini proprio a causa, si dice, del “caratteraccio” del Pecci33.
A conferma della durezza del carattere di Amedeo Pecci, cito una let-
tera pubblicata da “La Gazzetta” l’11.7.1946, scritta di suo pugno, in
cui egli prende posizione in maniera netta contro la proposta togliat-
27
tiana di amnistia: Pecci è assolutamente contrario. Ho voluto sottoli-
neare questo fatto, anche se si tratta di un piccolo episodio successivo,
perché restituisce bene l’immagine di un uomo molto complesso, che
sembra aver avuto un ruolo fondamentale sia nella Resistenza della
Brigata Antonio Gramsci, sia nelle influenze e contatti che essa ha
avuto con i partigiani di tutta la Provincia di Grosseto.
Naturalmente, queste poche indicazioni non sono sufficienti né
a delineare in maniera completa una personalità, né tanto meno a trar-
re conclusioni frettolose sul ruolo di un personaggio nelle vicende che
segnarono la Resistenza roccastradina. Certamente però la brigata fu
profondamente connotata dalla personalità del suo Commissario po-
litico come da quella del suo comandante; tanto che a mio avviso, una
ricerca ulteriore e specifica tesa a ricostruire queste due figure, per-
metterebbe di far luce anche su molti degli aspetti tutt’oggi bui della
Resistenza grossetana.
A fianco della Brigata, altri erano gli organismi operativi che si
andavano costituendo nell’inverno del ’43; ognuno con caratteristi-
che, compiti e scopi ben precisi. Uno fra questi il Comitato Militare.
Organo di grande importanza, la cui analisi della funzione è fonda-
mentale per questo lavoro, data la sua vicinanza e quindi la sua in-
fluenza sulla Gramsci.
Il Comitato Militare prese forma il 15 ottobre del ’43 come ab-
biamo visto. Fu stabilito che questo organismo avrebbe dato direttive
per la formazione di gruppi armati, delle squadre di assistenza ai par-
tigiani e per la promozione della costituzione dei Comitati militari
comunali che avrebbero affiancato l’attività dei locali CLN.
Aristeo Banchi ebbe così l’incarico di operare nei territori com-
presi fra l’Ombrone e la provincia di Siena, Angelo Rossi (detto il
Trueba) in quella oltre l’Ombrone fino al mancianese e Ugo Pacini in
città, dove il CLN si trovava in grande difficoltà a svolgere le sue fun-
zioni di organismo provinciale sia a causa dello sfollamento quasi to-
tale della popolazione sull’Amiata, sia per l’esiguità dei suoi compo-
nenti.
Il Comando Militare aveva quindi un’alta funzione di controllo e
coordinamento per gran parte delle bande che operavano nella pro-
vincia di Grosseto e rappresentò l’unico vero ente clandestino della
Maremma. I suoi contatti più stretti furono appunto con la Gramsci,
con la Brigata di Massa Marittima, con il gruppo di Montauto, con
quello di Grosseto e con le bande autonome.
La Gramsci nel marzo del ’44 fu suddivisa nei suoi Distaccamen-
ti, proprio per far fronte a quella necessità di mobilità di cui abbia
28
parlato sopra:
29
glianza e tagliare il telefono che comunicava con la caserma dei carabi-
nieri. Una squadra giunse alle porte del carcere e bussò con decisione:
“Aprite la porta, siamo partigiani, vogliamo liberare i nostri, non com-
mettete imprudenze”, intimarono. Dall’interno si udirono alcune voci:
“ Non aprite…vi ammazzeranno!”. Certamente l’indugio da parte dei
carcerieri era stato previsto e così corsero ai ripari. I partigiani fecero
brillare una mina che divelse la porta del carcere: entrarono, vi furono
degli spari con i militi di guardia, si impossessarono delle chiavi e apri-
rono le celle dove erano rinchiusi i compagni, liberandoli. L’azione
provocò alcuni morti e feriti nelle file fasciste.
Se si prosegue nella lettura della relazione un’altra data partico-
larmente significativa per la Gramsci fu il 2 giugno ’44 quando al di-
staccamento giunse la notizia di un imminente rastrellamento da par-
te tedesca.
Le memorie del Tantulli37, insieme a quelle di Aristeo Banchi ci
permettono una ricostruzione abbastanza puntuale dell’episodio.
Tantulli ricorda che il 2 di giugno sembrava inizialmente una gior-
nata come le altre. Ma ad un certo punto giunge la notizia, inviata da
Banchi, che la milizia stavano organizzando un rastrellamento alla for-
mazione. Banchi ricorda di essersi “ […] diretto alla casa del Bindi.
Appena informato, Ferruccio si precipitò fuori, senza neanche legarsi
le scarpe, e, tagliando per il cimitero e per altre scorciatoie, divorò la
strada che lo separava dai partigiani.”38 Intanto la colonna dei rastrel-
latori andava verso le Pescine, così Bindi tagliando dal cimitero di
Roccastrada, ebbe qualche ora di vantaggio per arrivare all’accampa-
mento della Brigata. I partigiani avvertiti seguivano l’ordine, se possi-
bile, di non ingaggiare battaglia e di sganciarsi dalla zona rastrellata
oltrepassando l’Anso. A quell’ora lo sganciamento era difficile, anche
perché si presumeva che le truppe di repubblichini fossero già in mar-
cia. Decisero di non muoversi ma di appostarsi sulle posizioni in cui si
trovavano. Gli altri distaccamenti erano stati messi al corrente dalle
staffette. Riordinarono le armi e l’equipaggiamento. Intanto stava per
spuntare il giorno. Sentirono ad un tratto, nella direzione del Belgaio,
rumore di motori. Erano camion dei fascisti che giungevano nella zona
provenienti da Tornella e altri ruomori da Civitella – Paganico. Quan-
do i fascisti arrivarono ad una decina di metri e scorsero due vecchie
capanne di boscaioli le incendiarono. Erano passate circa due ore e i
fascisti erano penetrati attraverso tre strade verso il bosco in direzione
di Fontaccia e Bagnolo. Ad un certo punto furono avvertite alcune
scariche di mitra e delle voci. Seppero dopo che due pattuglie di par-
tigiani, ignare di quanto stava accadendo, erano incappate nel rastrel-
30
lamento, ma attaccando e rispondendo al fuoco erano riusciti a svin-
colarsi. Rimasero così fino alla sera: i reparti fascisti non riuscirono ad
individuare gli accampamenti anche perché si mantennero nelle stra-
de più spaziose e non si addentrarono nel bosco. Verso le 17.00 furo-
no avvistate delle colonne di fumo: i fascisti avevano incendiato in più
parti la macchia. Sette partigiani rimasti isolati furono presi prigionie-
ri e conversero a Roccastrada. Il giorno successivo venne sparsa la
voce che sarebbero stati decapitati in piazza, ma i partigiani risposero
che sarebbero stati disposti ad attaccare tutti i reparti fascisti presenti
nella zona. I fascisti cambiarono idea ma i prigionieri ne uscirono
malconci, senza però aver detto una parola sui comandanti e sui parti-
giani della formazione.
Il rastrellamento fallì.
31
Il secondo periodo invece, a seguito dell’avvenuta formazione di
quasi tutte le bande, fu caratterizzato da azioni pressoché totalmente
rivolte all’approvvigionamento, sia di viveri che di armi. Gli assalti ai
camion nemici che percorrevano le strade limitrofe ai campi partigia-
ni, gli attacchi alle caserme dei carabinieri per recuperare quante più
armi possibile indispensabili alla battaglia, rappresentano la maggio-
ranza delle azioni.
Riguardo nello specifico alle azioni eseguite dalla resistenza gros-
setana, riportiamo alcuni esempi tratti dalla Cartografia di Nicla Ca-
pitini Maccabruni, utili per avvalorare questa suddivisione.
32
messa in atto dalle Formazioni. A testimonianza di questo l’ordine del
3 giugno di Kesserling rivolto a Burger affinché vengano distrutti i
gruppi partigiani che stavano raccogliendosi tra Siena e il Lago Trasi-
meno, sottolineando le continue azioni di sabotaggio subite nel gros-
setano e in particolare a Roccastrada.
Si attua in questo che abbiamo chiamato il terzo periodo della
lotta partigiana, una vera e propria radicalizzazione della lotta contro
la guerriglia: i partigiani, agli occhi dei tedeschi, rappresentano un
pericolo sempre più grande, tanto che in Toscana nei circa quattro
mesi compresi tra l’arrivo del fronte (primi giorni di giugno) e il suo
attestarsi sulla Linea Gotica (giugno-luglio) furono consumati oltre
240 eccidi con circa 3740 vittime civili.
Se l’apice della guerriglia può quindi a ragione essere considera-
to il mese di giugno del ’44, soprattutto per l’escalation di violenza
che rappresentò, possiamo costruire anche una riflessione che per-
metta di connotare in maniera adeguata le stragi che si attuarono da
parte tedesca in questo periodo e mettere in evidenza alcune differen-
ze che sussistettero fra esse e quelli episodi che si susseguirono dal
settembre ’43 al marzo ’44.
Osservando la cronologia degli eventi, infatti, salta agli occhi la
differente caratterizzazione: fino al marzo ’44 si registrano una note-
vole quantità di singoli episodi distribuiti indiscriminatamente su tut-
to il territorio. Numerosissimi sono in questo periodo i rastrellamenti
e gli arresti, legati in gran parte alla campagna della Repubblica Socia-
le Italiana per l’arruolamento dei richiamati e degli sbandati dell’eser-
cito italiano, a sua volta caratterizzata dall’asprezza e dalla durezza
delle minacce e dei fatti. Un esempio delle prime le parole di Alceo
Ercolani in una sua circolare: “L’addestramento deve avere una fisio-
nomia strettamente spregiudicata e all’ardita con lancio di bombe a
mano e sveglia fatta con i mortai. […] I renitenti alle armi hanno por-
tato alla più o meno palese simpatia dei paesani verso i ribelli […]
anche i fascisti, disarmati, attraversano un periodo di crisi perché non
si sentono in alcun modo protetti. Bisogna far presto a scatenare la
reazione totale con tutte le forze possibili e ben armate. Qualunque
indugio diventa colpa.”40
Rispetto ai fatti, emblematiche furono le manifestazioni di vio-
lenza rivolte addirittura alle madri dei renitenti alla leva; era, infatti,
previsto l’arresto per le famiglie dei renitenti41. Nel comune di Rocca-
strada “circa sessanta donne si raccolsero davanti alla caserma dei Ca-
rabinieri chiedendo il rilascio della madre di un renitente alla leva,
fermata come ostaggio. I Carabinieri dispersero le dimostranti, arre-
33
standone sei.”42
Ancor più peculiare di questo primo periodo resistenziale, rispetto
a quella suddivisone che abbiamo precedentemente istituito, fu senz’al-
tro uno degli eventi più tragici e più violenti della repressione nazifa-
scista nell’area grossetana: la strage dei “martiri d’Istria”. Undici gio-
vani renitenti , rifugiatisi nelle macchie della Maremma, furono bar-
baramente uccisi.43
In questa seconda fase siamo quindi di fronte ad un vero e pro-
prio stillicidio costruito ad hoc al fine di attuare l’esecuzione di un
disegno unico che riteneva tali avvenimenti come il deterrente princi-
pale per indurre il popolo italiano, toscano e della stessa provincia di
Grosseto, ad uniformarsi ai voleri dei dirigenti del governo fascista
repubblicano.
Ad un certo punto però si registra un cambiamento nella strate-
gia nazifascista: i tedeschi in ritirata sembrano mettere in campo una
vera e propria strategia politica e militare caratterizzata dalla violenza
indiscriminata.
Sono gli stessi Battini e Pezzino a chiedersi: « Esiste o meno una
‘razionalità’, sia pure ‘procedurale’ nelle stragi di popolazioni civili
che, a partire dal giugno del ’44 costellano la ritirata dell’esercito te-
desco in Toscana, oppure dobbiamo ragionare solo in termini di bar-
barie, di esplosione di pulsioni violente e irrazionali che rimandano
alla natura umana? […] E’ necessario superare l’interpretazione delle
stragi più diffusa nel passato. Tale interpretazione negava implicita-
mente la possibilità che i massacri potessero fare parte di una strategia
politica e militare della Wehrmacht, mentre noi siamo indotti a sup-
porre che i massacri possano essere ricondotti ad una logica […] non-
ché legittimati perché finalizzati da un lato a combattere un’illegalità
evidente [..] la violazione partigiana del diritto di guerra, e dall’altro
al controllo del territorio rispetto ai civili.44”
Nella strategia del comando tedesco rispetto a questo terzo mo-
mento, le azioni dovevano avere un doppio obiettivo: colpire i parti-
giani ma anche far comprendere ai civili quali conseguenze avrebbero
avuto anche per loro il comportamento dei ribelli. La popolazione
doveva considerare causa delle rappresaglie non gli occupanti bensì i
partigiani, e quindi non offrire più ai ribelli il proprio appoggio. Per-
ciò, nei confronti della popolazione civile la truppa doveva compor-
tarsi come segue:
“In caso di attacchi, bisogna immediatamente circondare la loca-
lità in cui sono avvenuti; tutti i civili, senza distinzione di stato e di
persona, che si trovano nelle vicinanze saranno arrestati. In caso di
34
attacchi particolarmente gravi, si può prendere in considerazione an-
che l’incendio immediato delle case da cui si è sparato. [..] La puni-
zione immediata è più importante di un rapporto immediato. Tutti i
comandi preposti devono usare la massima asprezza nel proseguimento
dell’azione […]. In generale i comandi di piazza locali dovranno ren-
dere noto che alla minima azione contro soldati tedeschi verranno prese
le più dure contromisure”45.
La ritirata attuata da Kesserling è violenta e aggressiva, e può
essere suddivisa in due grandi fasi46:
- la prima con la quale si porta fino all’altezza del Lago Trasimeno
per il versante Tirrenico e a Jesi per quello adriatico
- la seconda è caratterizzata da un irrigidimento sulla linea suddetta
e da una serie di combattimenti di retroguardia che contrastano il
terreno palmo a palmo alle avanguardie alleate fino al definitivo
attestamento sulla linea Gotica.
Queste due fasi, oltre ad essere distinte per i diversi spostamenti
dell’armata tedesca, sono contraddistinte anche dalle conseguenti di-
verse reazioni a cui sono costretti i partigiani a seconda che si trovino
a sud o a nord della linea del Trasimeno; e il passaggio dall’una all’al-
tra è profondamente segnato dalla terrificante striscia di massacri che
spezza in due la penisola.
La Toscana non rimane esente dall’esecuzione alla lettera del ban-
do emanato il 7 aprile dall’autore delle stragi nell’Italia meridionale e
del massacro delle Ardeatine, maresciallo Kesserling:
“Contro le bande si agirà con azioni pianificate. Bisogna inoltre
garantire la continua sicurezza della truppa contro gli attentati e attac-
chi […] Durante la marcia nelle zone ove vi sia pericolo di partigiani
tutte le armi dovranno essere costantemente pronte a sparare. In caso
di attacco aprire immediatamente il fuoco, senza curarsi di eventuali
passanti […]. Il primo comandamento è l’azione vigorosa decisa e ra-
pida. Chiamerò a rendere conto tutti i comandanti deboli e indecisi.
Data la situazione un intervento troppo deciso non sarà mai causa di
punizione”.
Il crescente pericolo che i partigiani rappresentavano per i tede-
schi è dimostrato dal fatto che venne abbandonato ogni tentativo di
evitare l’escalation47 e l’estensione delle misure antiguerriglia alla po-
polazione civile.
Ai primi di giugno uno dei comandanti territoriali delle SS e del-
la polizia, Oberfhurer SS Burger diede alle sue formazioni le seguenti
regole di comportamento:
“Al minimo segno di attività e atteggiamenti di ribellione contro
35
i tedeschi, sia pure sottoforma di gesti (saluto bolscevico e simili), o di
grida ingiuriose, mi aspetto da tutte le unità tedesche e italiane delle
SS e della polizia l’intervento più duro e spiegato. Nel caso, sosterrò
ogni comandante che nell’esecuzione di questi ordini oltrepassi, nella
scelta e nella durezza dei mezzi, la moderazione che ci è solita. Ogni
intervento energico, ogni misura di punizione e di dissuasione, è ap-
propriato per soffocare sul nascere trasgressione di maggiore entità.”
E’ chiaro che a questo punto l’appartenenza al “partigianato”
non era più stabilita sulla base di elementi militari (il possesso di armi,
l’essere vestito con una uniforme, il trovarsi in accampamenti mobili),
bensì di supposizioni e anche la popolazione civile ne fu considerata
parte.
E’ in questo clima che si vivono i giorni della primavera del ’44
anche in Provincia di Grosseto. Significativa per un ulteriore tentati-
vo di comprensione della realtà della zona è la lettera documento con
cui Pavolini, inviato dal duce a controllare la situazione in Toscana a
metà giugno, afferma:
“Qui la situazione politica è stata nel primo momento decisa-
mente pessima a Grosseto e Siena; cattiva a Firenze, Pistoia ed Arez-
zo, mentre a Livorno e Pisa abbiamo retto meglio. A Grosseto, pro-
vincia estenuata dal mitragliamento, pervasa di ribellismo bene arma-
to dal nemico e favorito dal terreno, con forze fasciste e repubblicane
esigue, le uccisioni dei fasciti e dei militi, hanno progressivamente ri-
dotto la zona di nostro effettivo dominio, imponendo il ripiegamento
e la concentrazione delle forze. Ad un dato momento, sotto la spinta
dei ribelli, in vista del congiungimento con gli angloamericani avan-
zanti, la provincia è caduta in mano agli avversari e l’esodo dei fascisti
e delle autorità è avvenuto tra aggressioni e inseguimenti”.
In un documento del Militarkommandanturen del 16 giugno si
afferma che il punto più caldo della Provincia di Grosseto è Rocca-
strada e in particolare la strada che collega il paese a Siena. Il controllo
di questo comune sembra agli occupanti di fondamentale importanza
perché costituiva un collegamento con la zona di Pomarance e Volter-
ra dove erano dislocate le altre divisioni tedesche del XIV corpo co-
razzato e con Siena da dove provenivano i rifornimenti.
Proprio su queste due direttive erano presenti la formazione
Guido Boscaglia, la Spartaco Lavagnini e la Antonio Gramsci.
Ulteriori notizie su Roccastrada erano comunicate negli stessi gior-
ni dalla Terza Panzer Divisione: «il servizio informazioni delle bande
è ben organizzato; la loro forza si aggira sui trecento-quattrocento
uomini dei quali gran parte civili di Roccastrada; l’approvvigionamen-
36
to è ricco e buono e proviene dalle campagne da parte di donne e
bambini. Le armi portano il simbolo della falce e martello. A Rocca-
strada vi sono solo donne e bambini, il resto è alla macchia».
Per ricostruire il clima di tensione e violenza che si era venuto a
creare in quei giorni intorno al paese di Roccastrada è importante ri-
cordare che tra il 13 e il 15 giugno il minor impegno dell’aviazione
americana dovuto all’apertura del secondo fronte in Francia, aveva
permesso ai tedeschi di programmare e controllare la propria ritirata.
L’avanzata diventa più lenta e una manovra diversiva nella tattica del
XIV corpo corazzato tedesco, al cui comando furono sottoposte in
quei giorni anche la Terza Divisione Granatieri Corazzata, la 26° Co-
razzata e la 90° Divisione Granatieri Corazzata, permise di concentra-
re la pressione di queste proprio su Roccastrada.
La Brigata Gramsci aveva quindi una siffatta situazione bellica
da fronteggiare. Inoltre operava in una zona che non era affatto una
zona di confine, tutt’altro. Roccastrada e il suo territorio erano diret-
tamente presi in considerazione dal nemico che, evidentemente, la ri-
teneva un punto focale della lotta. Così come negli anni dell’ascesa del
fascismo, si ritenne opportuno operare nel comune di Roccastrada
con la violenza sopra descritta, allo stesso modo il periodo resistenzia-
le continuò a vedere quel territorio al centro dell’attenzione del nemi-
co. Bandi, lettere, azioni violente testimoniano della presenza di una
situazione politico-militare forte e ben connotata.
Sappiamo infatti che la Gramsci è stata una delle bande più poli-
ticizzate della provincia con un forte legame con il Partito Comunista:
Amedeo Pecci apparteneva a questo partito, lo stesso vale per Aristeo
Banchi; l’intero Comitato Militare, di cui abbiamo parlato ricordando
il particolare legame con questa formazione, era di orientamento co-
munista, tanto da dover fingere di avere al suo interno dei non appar-
tenenti al partito per dare agli alleati una parvenza di pluralità politi-
ca.
Ma contrariamente a quanto si può pensare la formazione rocca-
stradina fu una delle bande più scarsamente militarizzate del territo-
rio e questo la rendeva altrettanto scarsamente preparata dal punto di
vista organizzativo.
Siamo cioè di fronte ad una brigata fortemente ideologizzata, ma
costituita per lo più da antifascisti civili che lottavano per la libertà.
Si legge, lungo l’intero percorso resistenziale, la costante dell’as-
senza di una organizzazione militare ben strutturata, a causa, ovvia-
mente, dell’assenza nelle sue file di esperti di tattiche belliche o di
militari professionisti.
37
A maggior ragione questo era il carattere anche di un piccolo
distaccamento come quello di Montemassi, i cui uomini, riunitisi sol-
tanto quindici giorni prima della strage di cui furono protagonisti,
risentivano ancor più di una tale scarsa organizzazione militare che da
sempre aveva caratterizzato la brigata e che negli ultimi giorni di giu-
gno era divenuta peculiarità di pressochè tutte le formazioni del terri-
torio.
38
Capitolo 2
L’episodio
1. Le fonti
Inaugurazione del monumento ai caduti della strage di Ponte del Ricci, 6 maggio 1973.
39
La prima riflessione di fronte a questi interrogativi, che hanno
poi influenzato l’intero svolgersi della ricerca, nonché i suoi esiti, ha
richiesto uno sguardo un po’ più allargato sul carattere delle ricostru-
zioni che fino ad ora sono state fatte della Resistenza nel comune di
Roccastrada, e ciò che è emerso è la presenza di amplissime zone d’om-
bra, per non dire, in taluni casi, della totale oscurità.
Rispetto a questo ribadiamo un dato: il comune di Roccastrada
ha visto bruciare il proprio archivio durante un violento bombarda-
mento. Le implicazioni e le ripercussioni di un fatto come questo sulla
ricostruzione della storia del periodo in questione sono gravissime tanto
da metterne gravemente a rischio la possibilità. I documenti prece-
denti il 1945 sono quasi totalmente assenti. Si rintracciano qua e là
alcune carte che da sole non bastano certo a mettere insieme i pezzi di
un passato di per sè molto complicato da comprendere.
E’ dunque fin troppo ovvia la difficoltà incontrata fino ad oggi –
e che gli storici continueranno ad incontrare ogniqualvolta si intra-
prenda un indagine sulla Resistenza roccastradina – e di conseguenza
è scontata l’assenza di una ricostruzione sistematica di questo conte-
sto, all’interno del quale è collocato l’episodio in questione.
Contemporaneamente a ciò, una caratteristica che potremmo
definire “antropologica”: viene fuori una peculiarità della popolazio-
ne stessa di Roccastrada che si scontra con il tentativo di scrivere la
storia di questo paese. Aleggia fra alcuni dei roccastradini una sorta di
“resistenza” al racconto, allo sforzo della memoria. Tale difficoltà non
la si riscontra soltanto nel caso specifico della strage di Ponte del Ric-
ci, ma anche intorno ad altri luoghi oscuri di questa storia. Basti pen-
sare, soltanto per fare un esempio, alla vicenda del cosiddetto “pozzo
sprofondatoio” – del quale si sono rintracciati alcuni elementi minimi
proprio nell’archivio comunale – rispetto al quale laddove non c’è as-
senza totale di testimonianze, è presente un variegato ventaglio di in-
terpretazioni tale da mettere in dubbio la stessa realtà dell’accaduto.
Allora se, come abbiamo detto sopra, per ricostruire e ben collo-
care l’episodio oggetto della ricerca, è stato necessario ricostruire i lon-
tani antefatti della storia dell’antifascismo nel comune – i fatti del ’21 –
altrettanto importante è mettere bene in evidenza il legame che esso ha
con gli anni della lotta partigiana di cui cronologicamente fa parte.
Il tentativo di far luce su questa strage si è necessariamente inca-
gliato in queste difficoltà, producendo una ricostruzione ancora ca-
ratterizzata da numerosi punti oscuri.
Ma se dal lato della rintracciabilità delle fonti documentarie ci
sono state tali difficoltà oggettive, ciò che rimane ancora senza una
40
risposta è il perché la memoria, e quindi le fonti orali, non si siano
dispiegate in una ricostruzione meno riluttante e imprecisa, per quan-
to da sottoporre a tutte le attenzioni del caso.
Nel tentativo di rintracciare i motivi di ciò, si rileva anche l’as-
senza di motivazioni politiche. In questa strage, infatti, non furono
coinvolti fascisti locali sul cui operato dover tacere e, d’altro canto, il
comune ebbe fin dai giorni seguenti alla liberazione una maggioranza
amministrativa comunista, guidata da sindaci dello stesso partito. Dove
stava l’ostacolo alla memoria?
Fino a quando non si è avviata questa ricerca, fino a quando non
si sono poste domande specifiche, da un lato la storiografia, dall’altro
il senso comune, hanno tramandato una versione falsificata dell’acca-
duto.
Questo è ciò che si è provato a dimostrare.
41
ha indotto a indagare per verificare quali fossero state le fonti sulle
quali l’indagine di Jona si era basata per una tale ricostruzione. Ciò
che risulta è un’indagine condotta in qualche modo a distanza, at-
traverso contatti presso i vari comuni della provincia rispetto ai
quali si intendeva ricostruire il quadro delle principali azioni parti-
giane della primavere del ’44 in Toscana.
Ma, conoscendo le difficoltà incontrate a Roccastrada, a causa di
quei problemi di reperibilità di cui abbiamo parlato, sia per quan-
to riguarda le fonti d’archivio che le fonti orali, risulta evidente
come sia stato facile incorrere in un errore. Lo stesso interlocutore
non sarà stato sicuramente in grado di fornire dati scientificamente
incontrovertibili da comunicare a proposito dell’episodio.
L’errore, così scaturito, ha comunque prodotto una forte eco di
interpretazioni falsificate che lo hanno riprodotto per anni presso
gli studi storici e non, condotti sull’argomento. Vedremo come sarà
dimostrata la falsità di questa esposizione.
2. Una ulteriore ipotesi è quella secondo la quale nella strada provin-
ciale Montemassi – Grosseto, la III brigata Garibaldi “Antonio
Gramsci”, distaccamento di Montemassi, attaccò un reparto tede-
sco mentre era in procinto di minare il Ponte del Ricci, considerato
di particolare interesse per il transito delle truppe alleate che stava-
no inseguendo i tedeschi.
Si specifica anche che nello scontro caddero quattro partigiani, tra
cui il comandante della formazione, e sei militari germanici. Alcuni
altri rimasero feriti. Si conclude dicendo che le salme non potero-
no essere rimosse fino al 23 giugno ’44.
Questa ricostruzione la si ricava in particolare dalla cartografia di
Nicla Capitini Maccabruni, la quale, come abbiamo detto nelle pri-
me pagine di questo lavoro, rimane uno degli strumenti fondamen-
tali da cui partire per intraprendere un indagine sulla resistenza
nella Provincia di Grosseto, con tutti i suoi problemi di fonti e di
struttura interna.
3. Infine, l’ultima ipotesi sottolinea l’azione dei “Lupi rossi” – nome
di battaglia degli uomini del distaccamento di Montemassi – i quali
sarebbero andati in località Ponte del Ricci per minare il ponte
stesso al fine di impedire ai tedeschi di proseguire l’avanzata pas-
sando per Roccastrada secondo l’ordine alleato.
Questi dati si possono rilevare dal lavoro di Tamara Gasparri48,
una ricerca molto importante nel quadro della storiografia locale,
che evidentemente riproduce un’interpretazione non corretta di
questo episodio che ormai lo connota da molto tempo.
42
Riassumendo quindi, intraprendere questa ricerca non solo ha
significato andare a ricercare gli elementi che ci permettessero di rico-
struire i fatti, ma ha anche significato sgombrare il campo da letture
errate dell’accaduto che erano ormai entrate a far parte del dibattito e
del sentire collettivo.
Vediamo come si è cercato di dimostrate che non si è trattato né
di strage di civili, né di un’azione eseguita da parte di un gruppo di
partigiani per impedire ai tedeschi di minare un ponte e permettere
così agli alleati di passare, né di un’azione compiuta dai partigiani stessi
per minare un ponte nel tentativo di bloccare la ritirata tedesca.
3. Le risposte
43
Diario di Diego Degli Esposti rinvenuto nelle sue tasche al momento della morte, da
parte del fratello Duilio, Archivio Comunale di Roccastrada.
44
Dichiarawione di Duilio Degli Esposti relativa al Distaccamento di Montemassi rila-
sciata al Comitato di Liberazione Nazionale, Archivio Comunale di Roccastrada.
45
46
Duilio, oltre a fornirci utili informazioni sull’attività partigiana
del distaccamento di Montemassi, ci comunica la presenza, nelle ta-
sche del fratello al momento del ritrovamento successivo all’uccisio-
ne, di una sorta di “diario di battaglia”, in cui Diego aveva annotato
alcune delle azioni da lui eseguite ancor prima della costituzione del
distaccamento “Lupi Rossi” di Montemassi. Si tratta di annotazioni
per noi molto importanti perché ci permettono di capire il particolare
carattere del comandante di un piccolo distaccamento come quello di
Montemassi, certamente non dedito a grandi ed eclatanti azioni o a
pericolosi e avventati combattimenti contro il nemico tedesco.
Quello che traspare da queste carte infatti, è piuttosto un giova-
ne che fino a quel momento non si era certo messo in mostra per una
particolare attività violenta o per la particolare intrepidezza.
Queste le date riportate nel foglio trovato in tasca a Diego degli
Esposti al momento della sua morte a Ponte del Ricci:
47
violente o protagonisti di eclatanti combattimenti contro il nemico
tedesco.
Ma vediamole nei dettagli:
48
Ma prima di trarre con certezza questa conclusione analizziamo
la terza ipotesi.
E’ fondamentale a questo punto procedere per piccole acquisi-
zioni di dettagli per ricostruire un mosaico fatto proprio di piccoli
pezzetti mancanti.
Ricordiamo innanzitutto un episodio strettamente collegato con
l’ordine arrivato da Firenze di cui abbiamo fatto menzione sopra; sia
nella Cartografia di Nicla Capitini Maccabruni, che nella relazione di
Amedeo Pecci è documentato che il giorno 14, i partigiani di Monte-
massi fecero saltare il Ponte del Fantozzi.
Un ulteriore tassello ce lo fornisce la testimonianza di Florido
Rosati con la quale si introduce uno dei maggiori elementi di novità e
si finisce per scardinare anche la terza ipotesi. Il sig. Rosati ci dice:
“Lo stesso giorno del Ponte del Fantozzi abbiamo fatto saltare anche il
Ponte del Ricci. Proprio il mi’ fratello ha costruito le bombe sia per far
saltare il ponte del Fantozzi che per far saltare quello del Ricci. E questo
avveniva una settimana prima della strage”
Appare evidente come queste parole risultino dirompenti rispet-
to ad una ricostruzione di cui adesso quasi più nulla di ciò che era
stato detto corrispondeva a verità.
In altre parole, al 14 giugno ‘44 e alla somiglianza di un episodio
con l’altro, sembrano essere connessi molti dei fraintendimenti di cui
è stata vittima la strage oggetto di indagine. In particolare ciò che pro-
babilmente ha creato le maggiori confusioni è stato innanzitutto la
vicinanza territoriale dei due ponti, in secondo luogo il fatto che in
entrambi i casi i protagonisti diretti siano stati i partigiani di Monte-
massi. La conclusione immediata a cui si è giunti è stata che nel caso di
Ponte del Ricci i Lupi Rossi, nel tentativo di minare un ponte, abbia-
no ingaggiato battaglia con i tedeschi riportando quattro morti, fra
cui il comandante di distaccamento. Ebbene non sembra che i fatti
siano andati esattamente così.
Un ultima annotazione prima di venire al vero e proprio reso-
conto dei fatti, riguarda una fonte specifica che ha menzionato la stra-
ge di Ponte del Ricci all’interno di un contesto di ricerca in cui si è
ricostruito un elenco delle principali stragi di civili.
In un’indagine condotta dall’Università di Pisa nel 2002 si espli-
ca il tentativo di disegnare il quadro degli eccidi nazisti cha hanno
interessato la Toscana. In un’accurata scheda si riporta il nome della
strage, la località in cui è avvenuta, la data, il numero e i nomi delle
vittime, nonché una descrizione particolareggiata dell’evento nel ten-
tativo di ricostruirne anche il contesto in cui era inserita.
49
Un momento della cerimonia di inaugurazione del monumento ai caduti di Ponte Ric-
ci. Da sinistra Luciano Giorgi Presidente della Provincia di Grosseto, sen. Torquato
Fusi, Masotti Mendes ex partigiano della Formazione di Montemassi, sen. Franco An-
tonicelli e Carlo Antonello Bellitto fratello di Francesco Bellitto.
50
4. I testimoni: Rosati e Falciani
«Il luogo dove avvenne la strage era tutto diverso rispetto ad ora: intor-
no all’attuale monumento c’erano quattro grossi alberi e due di questi,
successivamente, sono stati tagliati per ampliare la strada. Lì prima c’era
l’argine e la strada era di soli quattro metri. I tedeschi erano proprio
dietro all’argine. Il ponte prima era giù più basso rispetto alla strada.
Davanti al cancello della vigna nova si era appostato Alfiero Tafani con
il mitragliatore che la sera prima io stesso gli avevo sistemato, mi aveva
chiesto di smontargli l’otturatore, di pulirgli il fucile e caricarlo con
venticinque proiettili. Questo perché dopo cinque anni di guerra per
noi, oramai, le armi erano diventate dei giocattoli, capitava di passare il
tempo a tirarci bombe già esplose per scherzare fra noi, e anche quella
sera, fumando una sigaretta, passai la serata a sistemargli l’arma.
Quella mattina, ad un certo punto Alfiero, dai piedi di un ulivo, comi-
nicò a mitragliare un side-car con a bordo tre soldati tedeschi che stava-
no venendo avanti: li prese d’infilata e il side-car si rovesciò nella stra-
da. Alfiero si trovava in una buona posizione, a 150 metri dal luogo,
con un mitragliatore che poteva mandare le palle fino a 2 km di distan-
za, e fuori dal tiro delle armi leggere dei tedeschi. A questo punto i
tedeschi cominciarono a pullulare da tutte le parti, tanto che Tafani
sentiva sparare anche da sopra il poggio. Infatti sul luogo si trovarono
anche delle postazioni di mitraglia, precisamente dove ora c’è il monu-
mento (lì c’era un poggetto e un bivio a croce) che probabilmente erano
già lì al momento che questi cinque compagni andarono in avan scoper-
ta, mentre gli altri (una ventina in tutto) rimasero indietro. I rinforzi
per i tedeschi arrivarono facilmente perché a 500 m in linea d’aria si
trovava il Podere Nuovo, sede in quel momento di un comando SS, dal
quale fu facile raggiungere gli altri. A questo punto ci fu chiaramente
un combattimento impari fatto di 4 uomini male armati da una parte, e
una squadra di tedeschi con le mitraglie dall’altra. Dico male armati
perché mi ricordo che il parabello di Pinna addirittura non faceva la
raffica.
Il giorno dopo inviammo giù uno di noi, il Testi, vestito da contadino,
con la falce, facendo finta di andare a mietere e li trovammo in pessime
condizioni perché era un clima strano in cui faceva molto caldo per al-
cune ore e poi pioveva, i corpi erano messi male. Trovai il caricatore del
parabello di Diego vuoto, quindi aveva sparato, ma, poiché aveva una
pallottola anche nella clavicola, evidentemente era stato attaccato an-
che da terra. Il fucile di Lismo Piastri glielo avevano troncato nella
testa, perché aveva avvallamenti nella cassa cranica e inoltre lui fu tro-
51
vato un po’ più lontano, a 50-60 m dagli altri, vicino ad una quercia,
dove probabilmente aveva cercato riparo dopo essere stato ferito ad una
gamba, ma non ebbe scampo, gli spaccarono la testa con il moschetto.
Quando andammo giù prendemmo di tutti una ciocca di capelli e un
po’ di vestito, anche se, dato il clima, gli era cascato il cuoio capelluto.
Sono morti combattendo, questo è sicuro, non è stata un’imboscata du-
rante la quale loro non hanno potuto fare niente, perché avevano tutti i
caricatori scarichi.»
52
se con le mani in mano… Per lui era un orgoglio. E questo non glielo
diede. Quando poi successe che fu attaccato i tedeschi io scappai, perché
quando la sera decisero di riattaccà i tedeschi, io scappai dalla formazio-
ne, gli dissi: ragazzi ma noi, con le nostre armi andà a parà i tedeschi in
ritirata è da stupidi…ci s’ha questo accordo… Allora, c’era questo biondo
e un altro che lo chiamavano il Tenente, uno grosso, Marcucci lo faceva
il cognome, quello che disse “daglielo il mitra”, era uno del Comitato di
Liberazione. Quando dissero di attaccà i tedeschi io scappai, c’avevo
due o tre compagni, gli dissi: ragazzi io scappo, perché io a attaccà i
tedeschi non ci vò…è da bischeri, s’ha due o tre fucili. S’aveva una
mitragliatrice che s’era presa a Paganico e che non si sapeva nemmeno
adoprà, nessuno, c’era uno che era mitragliere da soldato l’aveva in
mano lui, ma i tedeschi c’avevano i carri armati, tutto…[…]. Perché
loro erano in ritirata, fargli l’imboscate, fargli….ma era un errore…già
che andavano via, lasciali stare tanto passavano…ci si poteva levà la
soddisfazione di ammazzarne qualcheduno ma poi passavano….prima
andavano…erano tutti stufi della guerra, anche loro eh. Insomma, dissi
se volete venì venite ma a me non mi cercate più…s’era proprio quattro
o cinque affiatati… dissero no, no, si scappa anche noi. Allora prima di
prende questa decisione, c’era questo Tenente, che non s’era mai visto
in formazione, mai…c’avevano un cavallo preso a Paganico e lui era a
cavallo, pareva Mussolini…dice: «ragazzi bisogna anda!». Bell’appun-
to s’era tornati da presidia Roccatederighi e Sassofortino, noi, un’altra
squadra era andata a Sticciano, e dopo mezzo giorno, pioviscolava, si
tornò molli…E questo da questo cavallo dice: bisogna ritirarsi tutti la
per Bagnolo per organizzarsi perché bisogna attaccà i tedeschi. Io gli
dissi che a attaccà i tedeschi s’era stupidi perché….poi a quel punto lì
s’era rimasti nemmeno tanti…chi era potuto scappà scappò…Io non ci
vengo. Allora lui a cavallo mi diede dell’incosciente, dello stupido. E io
sai presi la decisione più svelta perché questo….io non lo
conoscevo…glielo avevo detto, io non ci vengo in Bagnolo con voi, per-
ché noi non vi s’è visto mai, non vi si conosce per niente e tutto il tempo
che siamo stati in formazione voi non vi s’è mai visto. Ci s’aveva il
Pecci che era capo, era già in Comune, s’era belle insediato al posto del
Sindaco….si deve andà alla macchia per organizzarsi per attaccà i
tedeschi..io non so d’accordo. E insomma mi trattò poco bene, ma ci si
capì a guardarsi. Io gli dissi a questi ragazzi, molli come s’era: io vo.
Allora dice: “allora si scappa anche noi”. Allora uno per volta…la sera
nel rabbuià chi prese in qua chi prese in la…e si venne a casa. E la
mattina dopo attaccarono i tedeschi. Ora io ho sentito dire che questo
che si chiamava noi il Maresciallo, questo biondo, pare che sia morto lì
(a Ponte Ricci)…ora io per quale motivo si siano spostati non lo
53
so…[…]. Questa di attaccare i tedeschi oramai era una volontà…ci
s’aveva parecchi polacchi a quei giorni lì…attaccarono i tedeschi e ci
morì il poro Pericci Corrado..che s’era compagni di scuola da ragazzi..ci
morì anche il poro Basi Sady…anche questi non si sa per chi sono mor-
ti. Dove l’hanno trovati morti non c’è stata battaglia […].l’hanno volu-
ti attaccà…un paio di volte ci si provarono, poi venne un carro armato
con un camioncino, e quando fu alla curva di dove sparavano li prese a
cannonate…e di lì poi almeno se s’erano messi in una posizione che
potevano scappà…invece gli toccò sortì dalla Civitella per scavalcà il
poggio…Non furono azioni bene guidate, e furono inutili. Fu un errore
grosso. Perché poi li presero a cannonate e passarono lo stesso e poi
attaccarono nella strada. E il poro Pericci e Sady li trovarono morti di
qua dal terzo…lontano. […].ma può darsi loro, con lo
sbandamento……perché ci fu lo sbandamento, quando entrarono in
paese con il carrarmato i tedeschi… cominciarono a devastà a minà…
può darsi anche che questi siano scappati e potrebbero anche essersi
scontrati con una pattuglia di tedeschi e… o l’abbiano trovati armati o
sia partito il colpo a qualcuno… i tedeschi non stavano mica a dormì…
a ammazza uno non ci mettevano niente, ormai era una cosa
normale…erano disperati. […].»
54
alcuni elementi che ci permettano di comprendere meglio chi fossero
quegli uomini.
5. I protagonisti: le biografie
55
operaio edile. Aveva ventisette anni al momento della strage. Non si
sono trovate notizie particolari sulla sua vita, ma ciò che colpisce è un
aneddoto riguardante l’etimologia del suo nome. I genitori, infatti,
ebbero due figli: una femmina – la maggiore – la chiamarono Socia, il
maschio Lismo. La madre di Lismo si trova anch’essa nel registro dei
bisognosi che chiedono la pensione al comune di Roccastrada.
56
di morte si afferma si trova scritto: “Io Poggioli Enrico, avendo ricevu-
to dal tribunale di Grosseto una sentenza di morte, do atto che il gior-
no 17 giugno ’44 in Montemassi, causa eventi bellici, Bellitto moriva”.
Il comune di Tortorici ha dedicato a Francesco Bellitto una lapi-
de presso un ponte già distrutto durante la ritirata tedesca, alla perife-
ria del paese in cui c’è scritto: “La giunta comunale di Tortorici/ha
deliberato/ che questo ponte già distrutto dalla guerra/ ricordi il nome/
del cittadino universitario/ Francesco Bellitto/ che difendendo la Pa-
tria/ contro il tedesco invasore/ il 17.giugno. 1944/ sul ponte del Ricci
in Montemassi – Grosseto/ trovò eroica morte”.
Il giovane Francesco Bellitto ha ricevuto dal comune la laurea
honoris causa dopo la morte.
57
di accordo fatto con i tedeschi per lasciarli andare via dal territorio di
Roccastrada senza scontri.
La sera precedente alla sua partenza Rosati ricorda di aver parte-
cipato ad una riunione, durante la quale non si erano affatto prese
decisioni in tal senso, né si era parlato di un’azione simile da fare nei
giorni seguenti. La situazione sembrava sottocontrollo, anche perché,
come abbiamo già evidenziato, gran parte della Provincia era stata già
liberata.
Altre testimonianze indirette ci vengo in soccorso per avvalorare
questa tesi. I partigiani di Ribolla, tra cui Finaù e Mendes Masotti, nei
giorni successivi alla strage, parlando con lo stesso Florido Rosati,
continuavano a manifestare incredulità rispetto all’accaduto. Nessu-
no si spiegava insomma chi e perché avesse ordinato quest’azione.
Inoltre, le stesse parole di Mendes Masotti riportate all’interno
del lavoro di Silvia Pertempi denunciano la stessa incertezza, la stessa
scarsa presa di coscienza di quello che un atto del genere avrebbe
potuto provocare. Egli ribadisce la possibilità che tale decisione sia
stata presa dall’esterno, da qualcuno non immediatamente legato al
Distaccamento di Montemassi. Mendes Masotti afferma infatti: “Ven-
ne giù il capo della polizia (ricordiamo che Bellitto era Commissario di
P.S., ndr) da Roccastrada. Allora ordinò insieme a Degli Esposti, che
anche lui era un graduato militare, di fare questa operazione e la fecero,
ingenuamente, all’insaputa, perché io me ne accorsi poi, la mattina. Fe-
cero questa azione senza accorgersi che i tedeschi non erano solo al Pian
del Bichi ma anche sul fiume Asina c’erano nascosti, come in trincea,
parecchi. Allora quando videro che si sparava a questi tedeschi vennero
fuori gli altri e li falciarono tutti e quattro. 55”
Ancora un’altra voce, quella di Vasco Galgani, rimarca l’assurdità
del gesto e afferma che i giovani che attaccarono i tedeschi andarono in
bocca al lupo inutilmente: “ […] eppoi se ne stavano andando i tedeschi,
partivano, sicchè non era logico nemmeno attaccarli […]56”. Considera-
zione che conferma le parole di Falciani sulla inutilità degli attacchi ai
tedeschi proprio in quei giorni in cui sembrava imminente la ritirata.
Infine la testimonianza indiretta di Fiorenzani che parlando con
Rosati il giorno successivo all’episodio afferma: “ Ad un certo punto
venne giù ‘sto ragazzo siciliano (Bellitto è siciliano, ndr) e disse di fare
un’azione almeno dimostrativa.”
Le memorie di cui abbiamo riferito, Masotti, Fiorenzani, Men-
des, sono le memorie di coloro che, la sera del 16 giugno ’44, sera
precedente all’azione, durante una riunione a cui partecipò lo stesso
Diego degli Esposti in qualità di comandante del Distaccamento di
58
Montemassi, erano concordi con le decisioni prese in sede di Comita-
to di Liberazione per non fare azioni contro i tedeschi.
Ricorda Falciani: “[…] quando si scappò dalla macchia, ci fu un
accordo con i tedeschi e con il Comitato di Liberazione, che se non gli si
dava noia e si lasciavano andà, noi si poteva entrà in paese […]”.
Siamo dunque di fronte a quattro partigiani facenti parte del Di-
staccamento di Montemassi, della III Brigata Garibaldi “Antonio
Gramsci”, armati, morti in combattimento contro i tedeschi, durante
un’azione avvenuta nei pressi di Ponte del Ricci. In tale contesto, l’in-
feriorità numerica e di armamento ha causato una grave sconfitta sul
campo lasciandovi senza vita Degli Esposti Diego, Pinna Isio Piastri
Lismo e Bellitto Francesco.
Le parole dei testimoni diretti, alcune memorie indirette, la rico-
struzione del clima che aleggiava in quei giorni successivi al passaggio
del fronte e contemporanei all’arrivo degli americani, sembrano avva-
lorare quella che ho definito la quarta ipotesi: la strage di Ponte del
Ricci potrebbe essere il disastroso esito di una decisione presa in ma-
niera precipitosa da parte di qualcuno che probabilmente intendeva
dimostrare per l’ultima volta la forza, la capacità, la volontà degli uo-
mini della macchia, quelli cioè che erano stati i protagonisti della ri-
conquistata libertà dal nemico nazista.
Non è dato evidentemente riscontrare un perché di diversa natu-
ra, maggiormente legato a quelli che sono gli accadimenti classici del
contesto resistenziale; non troveremo cioè una risposta né all’interno
delle dinamiche delle cosiddette stragi di civili – anche perché abbia-
mo visto che questa non lo è -; né all’interno delle dinamiche delle più
frequenti rappresaglie; né in una ragione di tipo tattico – bellico (come
poteva essere la distruzione di un ponte) perché il 17 giugno del ’44 il
Ponte del Ricci era già stato fatto saltare; né in una semplice dinamica
di disturbo vista quella sorta di accordo che sembra fosse stato a quel
momento preso con gli stessi tedeschi – accordo plausibile anche per-
ché, ricordiamo, che al 17 giugno pressoché tutta la Provincia era già
stata liberata e quindi i vettori della forza erano a quel punto invertiti,
e un attacco contro i tedeschi sembrava proprio non avere motivo di
essere.
Ciò che allora ci è consentito fare è, a mio avviso, fornire una
chiave di lettura particolare, o quanto meno insolita, rispetto al modo
in cui sono, a ragione, letti molti degli episodi di violenza che costella-
rono la Toscana dal ’43 al ’45.
59
Smarrimento e scelta, entusiasmo e violenza, sono le parole d’or-
dine che hanno fatto da filo conduttore per l’intero dispiegarsi di que-
sto lavoro che, nella sua complessità, si è articolato in due fasi fonda-
mentali: prima la verifica e la confutazione delle varie versioni che
fino a questo momento erano state date rispetto all’episodio; poi il
tentativo di ricostruzione dello stesso a partire dalla consapevolezza
che si è trattato di un momento molto particolare della resistenza roc-
castradina.
L’esito della ricerca è un’ulteriore conferma della complessità che
caratterizza il fenomeno resistenziale in Italia, come nella Provincia di
Grosseto, e quindi della necessità di prenderne coscienza, evitando
tentativi di letture onnicomprensivi, in quanto troppo spesso colpevo-
li di lasciare lungo il cammino la valutazione di episodi come questo
che seppur piccoli, comunque indicativi di un quadro più generale di
riferimento.
Nell’esplicitare quella che ho chiamato la prima fase della ricer-
ca, si è voluto semplicemente sgombrare il campo dagli equivoci, il
maggiore dei quali non aveva individuato nei protagonisti di questa
vicenda i partigiani del Distaccamento di Montemassi, ma piuttosto
annoverava l’episodio di Ponte del Ricci fra le stragi di civili. Credo
quindi, che sia questo uno dei maggiori risultati; ossia la restituita pa-
ternità di un episodio, che se pur disastroso per le file della formazio-
ne stessa, in ogni modo riconosciuto come uno degli ultimi combatti-
menti attraverso i quali si è voluto colpire l’oppressore e andare verso
la liberazione.
La seconda fase ha visto la ricostruzione dell’accaduto nei suoi
particolari, e lo ha fatto avendo come obiettivo quello di mettere in-
sieme tutta una serie di elementi che potessero giustificare un’azione
senza un apparente motivo d’ essere.
In quest’ottica abbiamo visto come Roccastrada abbia rappre-
sentato per i fascisti prima e per i nazisti poi, una sorta di “spina nel
fianco” sia da un punto di vista politico che militare. La forte rappre-
sentanza del Partito comunista e successivamente la repentina e ag-
guerrita formazione della Brigata partigiana “Antonio Gramsci”, fe-
cero di Roccastrada un caso eccezionale di lotta per la libertà.
Basta ricordare l’appellativo con cui si denominava questo pic-
colo comune “Roccaforte rossa” per avere l’idea della percezione che
di Roccastrada si aveva da parte nemica. Molti sono i telegrammi, le
lettere che abbiamo riportato in questo testo, testimoni di una conti-
nua situazione di allerta nei confronti del territorio. Era una forte con-
sapevolezza quella per cui Roccastrada, pur nel suo essere un piccolo
60
comune, aveva in sé quelle peculiarità di carattere generale che desta-
vano molta preoccupazione in coloro che avrebbero dovuto conqui-
starla.
Si è cercato di ricostruire le principali azioni della Brigata Gram-
sci, parallelamente a quelle del Distaccamento di Montemassi protago-
nista dell’azione a Ponte del Ricci, e ciò a messo in evidenza il carattere
di questa formazione. Come abbiamo detto nelle pagine precedenti la
Gramsci è stata una Brigata con una forte connotazione politica da un
lato e con una scarsa organizzazione militare dall’altro. Questo parti-
colare può essere un altro elemento da ricondurre in quel quadro ge-
nerale che abbiamo cercato di disegnare per ricostruire il clima che
aleggiava in particolare negli ultimi giorni del giugno del ’44.
In altre parole, è ragionevole pensare che una formazione forte-
mente influenzata dall’ideologia politica, ma scarsamente dotata di una
guida militare strutturata che placasse facili entusiasmi di fronte ad
azioni palesemente rischiose come quella in questione, si sia adopera-
ta in un combattimento che di tattico aveva ben poco, ma che di certo
dava fiato a quell’entusiasmo che in quel momento storico necessitava
di venire fuori, indipendentemente dalle conseguenze che avrebbe por-
tato con sé.
Di un tale clima alcuni dei protagonisti, o addirittura i coman-
danti, ne stavano evidentemente subendo una forte influenza, che
potrebbe essere stata la causa semplice e complessa insieme che ha
portato alla realizzazione di un tale accadimento.
Non bisogna dimenticare infine, che la forza di quei partigiani
che inizialmente “si dettero alla macchia” scegliendo quasi per istinto
più che per una meditata riflessione politica e che poi si distinsero per
vigore e “resistenza” duranti i combattimenti con il nemico, fu co-
stantemente supportata da una popolazione civile che appoggiò la lot-
ta partigiana rendendone possibile la stessa realizzazione. Un connu-
bio quindi ideale per raggiungere l’obiettivo della liberazione, che, tra
l’altro, avvenne nei giorni successivi alla strage di Ponte del Ricci du-
rante i quali molte furono le vittime e lo stesso paese fu messo a ferro
e fuoco. La III Brigata “Antonio Gramsci” ebbe nel complesso 28
caduti su 350 che la componevano57.
61
62
NOTE
1
C.Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati
Boringhieri, Torino, 1991, p. 79.
2
Ivi, p. XVI.
3
Rispetto ad esse la Provincia di Grosseto è dotata di uno strumento bibliografico
prezioso e fondamentale rappresentato dal testo, La provincia di Grosseto alla Mac-
chia 1943-’44, Atti del primo convegno di Storia della Resistenza in Toscana tenuto
nel XX anniversario della costituzione dei C.L.N., Firenze, 1964, all’interno del
quale si trovano, ordinate e ben assemblate, le Relazioni dei Comandanti delle prin-
cipali Brigate che hanno operato nel territorio provinciale.
4
G. Contini, La memoria divisa, Milano, Rizzoli, 1997.
5
N. Capitini Maccabruni, Cartografia sulla Resistenza nella Provincia di Grosseto,
manoscritto.
6
Il riordino completo dell’archivio del Comitato Provinciale di Liberazione Nazio-
nale di Grosseto depositato presso l’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e
dell’Età Contemporanea è tutt’oggi in atto da parte del Dott. Leonardo Mineo.
7
Nell’impossibilità di ripercorre qui i tratti salienti di questo particolare momento
storico, mi limiterò a riportare soltanto alcuni riferimenti bibliografici che rappre-
sentano tutt’oggi utili strumenti di approfondimento per indagini più dettagliate
sull’argomento. Nello specifico si veda: M. Isnenghi, La polemica sull’8 settembre e
le origini della Repubblica, in E. Collotti, (a cura di), Fascismo e antifascismo. Rimo-
zioni, revisioni, negazioni, Laterza, Bari, 2000; E. Aga Rossi, Una nazione allo sban-
do, Il Mulino, Bologna, 1993; M.Toscano, Dal 25 luglio all’8 settembre. Nuove rive-
lazioni sugli armistizi tra l’Italia e le Nazioni Unite, Le Monnier, Firenze, 1966;
N.Gallerano, L.Ganapini, M.Legnani, (a cura di), L’Italia dei quarantacinque giorni
(25 luglio – 8 settembre 1943), Insmli, Milano, 1969.
8
N.Capitini Maccabruni, Grosseto dal 25 luglio 1943 al 15 giugno 1944, Cinquantesi-
mo Anniversario della Resistenza e della liberazione in Toscana, Comune di Grosse-
to, 1994.
9
Cfr., L.Guerrini, La Toscana dal 25 luglio all’8 settembre, in IRST, La Resistenza in
Toscana, Firenze, La Nuova Italia, 1974.
10
M. Toscano, Op.cit, p. 76.
11
E.Collotti, R.Sandri, F. Sessi, (a cura di), Dizionario della resistenza, Torino, Einau-
di, 2000-2001.
12
AISGREC, FONDO CPLN, b.11.
13
AISGREC, FONDO CPLN, b.11.
14
Secondo l’ispettore di P.S. Paolella i fascisti erano 46; dagli atti del processo risulta
invece che siano stati 50-60 circa.
15
H.Corsi, Le origini del fascismo nel grossetano: 1991-1922, Roma, CinqueLune, 1973.
16
Processo contro Dino Castellani ed altri, 1946, carte 70, 71, 72, fasc. IIIb
17
«Il Secolo», 26 luglio 1921, G.Salvemini, Scritti sul fascismo, Milano, 1963, p. 56
18
Intervista al Sig. Florido Rosati raccolta da Cinzia Pieraccini il 10 maggio 2004.
19
Per una bibliografia aggiornata sulla resistenza in provincia di Grosseto e in parti-
colare nel territorio di Roccastrada cfr. I. Cansella, Le carte sulla epurazione nel
Fondo del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale di Grosseto, tesi di laurea
A.A. 2003-2004, rel. prof. Caretti, pp. 72-73. Per l’argomento specifico cfr. G.Frullini,
La Maremma nella seconda Guerra Mondiale, Giampiero Pagnini Editore, Firenze,
1995.
20
A.Banchi, Si va pel mondo. Storie di fornai e ciclisti, di disertori e navigatori improv-
63
visati, di poeti e volontari in Spagna, di badilanti e partigiani. Il Partito comunista a
Grosseto dalle origini al 1944, F.Bucci, R.Bugiani, (a cura di) ARCI, Grosseto.
21
Intervista al sig. Florido Rosati raccolta da Cinzia Pieraccini il 10.05.2004.
22
C.Pavone, Op. cit., p. 137.
23
M.Isnenghi, Op. cit., p. 59.
24
Cfr., L.Klinkhammer, Op.Cit.
25
Basti pensare che gli undici giovani uccisi l’11 marzo ’44 a Maiano Lavacchio erano
quasi tutti renitenti alla leva.
26
A.Banchi, Op. cit., p.82.
27
Ivi, p. 83.
28
L.Tartagli, Alla macchia! Memorie di vita partigiana, Livorno, TraccEdizioni, 1996.
29
Ivi, p. 35.
30
Sia il Sig. Ottavio Falciani che il Sig. Florido Rosati nelle loro rispettive interviste
sottolineano le diverse personalità delle due figure centrali per la III Brigata “Anto-
nio Gramsci” di Roccastrada.
31
Intervista al Sig. Falciani del 6 dicembre 2004 raccolta da Cinzia Pieraccini.
32
A.Pecci, Da porto Longone a Sindaco di Roccastrada, in AISGREC.
33
Intervista al Sig. Rosati del 10 maggio 2004 raccolta da Cinzia Pieraccini.
34
Relazione del comandante partigiano Amedeo Pecci, in La Provincia di Grosseto
alla macchia, op.cit.
35
Cfr., La Provincia di Grosseto alla macchia, op. cit.
36
Accanto alla relazione del Pecci, fondamentali per ricostruire l’episodio sono state
le testimonianze di Elio Tantulli e di Falciani. La prima è presente nell’Archivio
dell’ANPI di Grosseto depositato presso l’Isgrec, la seconda è stata raccolta in un
primo momento da Barbara Solari e Mirko Bonari e successivamente da Cinzia Pie-
raccini per il fine specifico della presente ricerca (6 dicembre 2004).
37
AISGREC, fondo CPLN, b.12.
38
A.Banchi, op. cit., p. 93.
39
Scansione resa possibile in principal modo grazie alla lettura della cartografia di
Nicla Capitini Maccabruni, nonché delle relazioni dei comandanti delle Brigate pre-
senti in La provincia di Grosseto alla macchia, op.cit.
40
ASG, fondo Regia Prefettura, b.779. Si tratta di un documento mancante del primo
foglio e dell’intestazione, per questo senza data. Il contesto archivistico ci dice che
dovrebbe essere una circolare del periodo marzo/aprile ’44.
41
Cfr., L.Rocchi, S.Ulivieri, Voci, Silenzi, Immagini. Memoria e storia di donne grosse-
tane (1940-1980), Roma, Carocci, 2004.
42
Notiziario GNR, 25 gennaio 1944, Fondo RSI, b.5, in AISRT.
43
Cfr., C.Barontini, F.Bucci, A Monte Bottigli contro la guerra: dieci ragazzi, un decora-
tore mazziniano un disertore viennese, Edizioni ANPI, Grosseto, 1995.
44
M.Battini, P.Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro.
Toscana 1944, Venezia, 1977, p. 34.
45
L.Klinkhammer, Op. cit., p.160.
46
R. Battaglia, Op.cit., pp.351-361.
47
L.Klinkhammer, Op. cit.
48
T.Gasparri, La resistenza in Provincia di Siena: 8 settembre 1943 – 3 luglio 1944,
Firenze, Olschki, 1976.
49
Si ringrazia per la collaborazione il Sig. Mauro Pizzetti del Comune di Roccastrada,
appassionato di archivi attraverso il quale è stato possibile sia il ritrovamento del
documento in questione sia la ricerca all’interno di un archivio da riordinare e quin-
di difficilissimo da leggere.
64
50
AISGREC, FONDO ANPI. In attesa del riordino del fondo non è possibile indica-
re una collocazione precisa delle carte.
51
Ricerca del MIUR, Università degli studi di Pisa, coordinata dal Prof. Pezzino.
52
Queste biografie si sono potute ricostruire grazie all’intreccio di più fonti: registri
dell’anagrafe del Comune di Roccastrada - Registro per gli atti di morte 1945 - ;
bollettini partigiani rinvenuti presso gli archivi del CPLN, ANPI e Comune di Roc-
castrada; registri di richiesta pensioni al Comune di Roccastrada che si trovano al-
l’interno dell’archivio del comune stesso , in CAT: VIII LEVA E TRUPPA, Classe 1,
oggetto: leva di terra e di mare, ANNO: 1944-1951; testimonianza di Florido Rosa-
ti; e per quanto riguarda il caso di Francesco Bellitto, fondamentale è stato l’aiuto
della Prof. ssa Caterina Albana, la quale ha condotto una breve indagine nel luglio
del 2004 a Tortorici, (Messina) paese d’origine del Bellitto, indagine durante la qua-
le ha potuto ricavare notizie utili soprattutto grazie al Dott. Carmine Franchina.
53
Conferma di questo ci è data anche da un documento rintracciato nell’archivio del
comune di Roccastrada. Una cartolina che il Prof. Timpanaro invia al Sindaco di
Roccastrada proprio per avere notizie del Bellitto poco dopo la strage di Ponte del
Ricci. Si trova con essa la risposta del Sindaco in cui si da la triste notizia della
scomparsa del giovane proprio nello scontro in questione.
54
Intervista al Sig. Falciani del 6.12.2004.
55
S. Pertempi, Montemassi: Terra e miniera in una comunità della Maremma, Torino,
Rosemberg & Sellier, 1986.
56
Ivi, p.74.
57
Dati ricavati da un documento rinvenuto nell’archivio dell’ANPI in cui Masotti
Mendes nella giornata di inaugurazione del cippo in onore dei caduti a Ponte del
Ricci, ricorda le cifre delle perdite della Gramsci.
65
66
E voi, imparate
Che occorre vedere
E non guardare in aria
Occorre agire
E non parlare
Questo mostro stava
Una volta
Per governare il mondo
I popoli lo spensero
Ma ora non cantiamo vittoria
Troppo presto.
Il grembo da cui nacque
… ancora fecondo
Bertold Brecht
67
68
Luca Alessandrini
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
Abbreviazioni
91
92
Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 000
Le fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 000
1. Le fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 000
3. Le risposte. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 000
93
94
95
Finito di stampare dalle
Grafiche Vieri, editrice “il mio Amico”
Roccastrada
nel mese di Aprile 2005
96