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FULVIO DELLE DONNE

Tra retorica e poetica:


una lettera amatoria in prosa e versi attribuita a
Pier della Vigna

All’inizio del libro III del suo Candelabrum, uno dei trattati retorici
che, negli anni Venti del XIII secolo, definisce i caratteri e le regole
dell’ars dictaminis in maniera più completa e dettagliata, Bene da Firen-
ze così descrive i tria dictaminum genera1:
illud in primis dicere nos oportet quod tria dictandi genera distinguntur,
scilicet prosaicum, metricum et rithmicum vel etiam aliquod ex his
mixtum.

La definizione, assai ricorrente nella trattatistica sul genere2, mo-


stra in modo chiaro ed evidente che, nella coscienza retorica e letteraria
dell’epoca, l’ars dictaminis non era finalizzata esclusivamente alla com-
posizione di epistolae, sebbene fosse effettivamente quello il campo di
applicazione predominante, ma alla composizione letteraria in generale,
compresa quella metrica. Dunque, nella formazione del retore e del let-
terato dovevano essere previste competenze che coprissero l’ambito sia
prosastico che poetico.
Un esempio evidente delle «interferenze» tra prosa e poesia è dato
dal testo di cui, in appendice, si fornisce per la prima volta l’edizione
critica. Esso era stato già pubblicato da Jean Louis Alphonse Huillard-
Bréholles nel 18653 e, con qualche piccola modifica, da Ernesto Monaci

1
Bene Florentini Candelabrum, ed. G. C. Alessio, Padova 1983, p. 88.
2
Si vedano le approfondite note di commento di Alessio, ivi, pp. 331-334. Sull’ars
dictaminis in generale si veda soprattutto J. J. Murphy, La retorica nel Medioevo, Napoli
1983 (ed. orig. Berkeley 1974), e M. Camargo, Ars dictaminis. Ars dictandi, Turnhout 1991.
Ma si anticipa che a un nuovo e più aggiornato manuale sta lavorando il Netzwerk europeo
«Die lateinische ars dictaminis im Mittelalter», coordinato da Florian Hartmann, che
prevede anche la collaborazione di chi scrive.
3
J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, ministre de
l’empereur Frédéric II, Paris 1865, pp. 417-421 (doc. 104).
370 Fulvio Delle Donne

nel 18964, ma entrambi avevano usato testimoni risalenti a una tipologia


di trasmissione del tutto particolare, su cui torneremo in seguito, che
non permette una ricostruzione corretta del testo.
Si tratta di un’epistola amorosa che ben rivela l’influenza delle
commedie elegiache sulla formazione dei dictatores, ovvero dei retori
e letterati attivi presso la corte di Federico II di Svevia (1194-1250),
che dal 1221 assommò in sé il titolo di re di Sicilia e imperatore5. In
quell’ambiente, che fu uno dei più vivi dell’epoca, dal punto di vista
culturale, tanto che vide la nascita della prima scuola poetica in volgare
italiano6, nonché della prima università «statale» della storia7, la produ-
zione legata all’ars dictaminis assunse un ruolo predominante, tanto che
possiamo pensare che fosse considerata dagli uomini di cultura del tem-
po come la produzione letteraria più rilevante o più illustre ed elegante.
La produzione epistolografica può risultare, forse, poco interessante per
chi cerca nella letteratura l’espressione più alta della fantasia creatrice
dell’artista, ma in essa si estrinsecò la cultura più alta che, nel corso
del XIII secolo, si andò diffondendo in Italia. Ad essa si dedicarono i
notai della cancelleria papale e di quella imperiale, ovvero i prosatori
più preparati dell’epoca, che influenzarono con il loro stile e con il loro
gusto retorico tutta la produzione letteraria di quell’età; anche quella de-
gli indiscussi padri della letteratura che, come Dante8, si confrontarono,
e non solo nel periodo della formazione, con i trattati di ars dictaminis

4
E. Monaci, Aneddoti per la storia della scuola poetica siciliana, «Rendiconti della
reale accademia dei lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche», s. V, 5 (1896),
pp. 49-50.
5
Sul personaggio cfr. da ultimo W. Stürner, Federico II e l’apogeo dell’Impero,
Roma 2009 (ed. orig. Darmstadt 1992-2000). Ma si vedano le numerose voci più specifiche
contenute in Federico II. Enciclopedia fridericiana, Roma 2005.
6
Cfr. C. Calenda, Scuola poetica siciliana, s.v., in Federico II. Enciclopedia cit., II,
pp. 658-672. Ma si veda anche l’edizione coordinata da R. Antonelli – C. Di Girolamo – R.
Coluccia, I poeti della Scuola siciliana, Milano 2008.
7
Sull’Università di Napoli, fondata nel 1224, si consenta il rimando a F. Delle Donne,
“Per scientiarum haustum et seminarium doctrinarum”. Storia dello “Studium” di Napoli
in età sveva, Bari 2010, che aggiorna l’articolo “Per scientiarum haustum et seminarium
doctrinarum”: edizione e studio dei documenti relativi allo “Studium” di Napoli in età sveva,
«Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medioevo», 111 (2009), pp. 101-225.
8
Cfr. G. Nencioni, Tra grammatica e retorica, Torino 1983, pp. 108-131; M. Pazzaglia,
Ars dictaminis, s.v., in Enciclopedia Dantesca, Roma 1970, I, p. 394-396; F. Baethgen,
Dante und Petrus de Vinea, «Sitzungsberichte der Bayer. Akad. der Wiss. Phil.-hist. Kl.», 3
(1955), pp. 36-37; E. Parodi, Lingua e letteratura, cur. G. Folena, Venezia 1957, II, p. 350;
E. Paratore, Pier della Vigna nel canto XIII dell’“Inferno”, in Atti del convegno di studi su
Dante e la Magna Curia, Palermo 1967, pp. 250-263; l’Introduzione a Nicola da Rocca,
Epistolae, ed. F. Delle Donne, Firenze 2003, p. XI.
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e con i preziosi dictamina contenuti nelle numerose e diffuse raccolte


epistolari, come quella attribuita a Pier della Vigna, su cui torneremo in
seguito in maniera più specifica.
L’influenza della commedia elegiaca nell’ambiente svevo dell’Ita-
lia meridionale, testimoniata in particolar modo dalla composizione del
De Paulino et Polla, opera del giudice Riccardo da Venosa dedicata
all’imperatore nel 12289, e del De uxore cerdonis, del giudice Iacopo
da Benevento10, è stata già messa in rilievo in più di un’occasione, a
partire da Ernesto Monaci11, alla fine del XIX secolo, e Giulio Bertoni12,
all’inizio del XX, per arrivare a Charles Omer Haskins13, Ettore Parato-
re14, Ferruccio Bertini15 e Stefano Pittaluga16. In maniera specifica, poi,
ultimamente vi si sono soffermati Klementyna Glińska e Benoît Grévin,
che, analizzando anche l’epistola di cui stiamo parlando, ne lamentavano
l’assenza di una edizione affidabile17: assenza a cui, appunto, abbiamo
proviamo qui a rimediare.
L’epistola, con cui l’autore dichiara i suoi sentimenti alla donna
amata, della quale decanta la bellezza, è stata ricondotta da Giulio Ber-
toni al tipo dei saluts provenzali18; tuttavia, essa, come evidenziato so-
prattutto da Paratore e da Glińska e Grévin19, sembra piuttosto configu-
rarsi come il prodotto di una più ampia cultura retorica e poetica, in cui

9
Riccardo da Venosa, De Paulino et Polla, ed. S. Pittaluga, in Commedie latine del
XII et XIII secolo, a cura di F. Bertini, Genova 1986, V, pp. 81-227. Sul personaggio, oltre
alla dettagliata e approfondita introduzione di Pittaluga, si consenta anche il rimando a F.
Delle Donne, Riccardo da Venosa, s.v., in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2017,
LXXXVII, pp. 205-207.
10
Iacopo da Benevento, De uxore cerdonis, ed. F. Bertini, in Commedie latine del XII
et XIII secolo, Genova 1998, VI, pp. 456-503.
11 Monaci, Aneddoti cit., pp. 49-50.
12
G. Bertoni, Una lettera amatoria di Pier della Vigna, «Giornale storico della
letteratura italiana», 57 (1911), pp. 33-46 (in partic. p. 37).
13
C. O. Haskins, Latin Literature under Frederick II, «Speculum», 3 (1928), pp.
134-147.
14
E. Paratore, Alcuni caratteri dello stile della cancelleria federiciana, in Id., Antico
e nuovo, Caltanissetta-Roma 1965, p. 141.
15
F. Bertini, Commedia elegiaca, s.v., in Federico II. Enciclopedia cit., I, pp. 352-354.
16
Pamphilus, ed. S. Pittaluga, in Commedie latine del XII e XIII secolo, Genova
1980, III, p. 41; Riccardo da Venosa, De Paulino e Polla ed. Pittaluga cit., p. 86 n. 10.
17
K. Glińska – B. Grévin, Circulation, interprétations et exploitation des “comédies
élégiaques” dans le royaume de Sicile. De Pierre de la Vigne à Boccace (XIIIe-XIVe s.),
«ArNoS. Archivio normanno-svevo. Testi e studi sul mondo euromediterraneo dei secoli XI-
XIII», 4 (2013-2014), pp. 45-74; lamentano la mancanza di un’edizione a p. 57, nota 50.
18
Bertoni, Una lettera amatoria cit.
19
Paratore, Alcuni caratteri cit., p. 124; Glińska – Grévin, Circulation cit., p. 57.
372 Fulvio Delle Donne

il dictamen prosastico si unisce alla istruzione poetica. Forse, però, in


maniera più specifica, sembra il frutto di una meditata esercitazione let-
teraria, in cui l’autore fa sfoggio di competenza tecnica e fantasia elabo-
rativa, in maniera non dissimile da quei certamina retorici ai quali i dic-
tatores di quel medesimo ambiente si andavano dedicando nei momenti
di svago, nei quali erano assillati da minori impegni professionali20.
Definita da Paratore una sorta di «elegia in prosa»21, l’epistola è in
effetti una specie di componimento prosimetrico22, nel quale, ogni frase
in prosa è seguita, o, per meglio dire, è esemplarmente chiosata da un
verso metrico, per un totale di 18 pentametri e 5 esametri: verrebbe
quasi da dire, con un vago richiamo allo schema della canzone romanza,
che si tratti quasi di lasse prosastiche con una chiusa in versi23. Come
si avrà modo di verificare anche leggendo l’apparato dei fontes, alcuni
versi risultano citazioni da testi noti: quelli dei parr. 2, 11 e 15 ripren-
dono alla lettera versi ovidiani; i primi due versi, invece, contenuti nel
par. 1, sono invece ripresi dal Pamphilus, commedia elegiaca anonima
del XII secolo.
Seguendo l’ordine del componimento, il primo paragrafo, contraria-
mente alla prassi riscontrabile in tutti i successivi paragrafi, invece di
essere chiuso da un solo verso, è concluso da due, entrambi ripresi dal
Pamphilus (506 e 549); la cosa notevole è che si tratta di un pentametro
e un esametro, che, però, non vengono messi nell’ordine che corretta-
mente servirebbe a comporre un distico, in quanto il pentametro precede
l’esametro, e i due versi sono uniti da un et24. Il paragrafo successivo

20
Su tali questioni si consenta il rimando a F. Delle Donne, “Amicus amico”: l’amicizia
nella pratica epistolare del XIII secolo, in Parole e realtà dell’amicizia medievale. Atti del
Convegno di studi svoltosi in occasione della XXII edizione del Premio Internazionale
Ascoli Piceno (Ascoli, 2-4 dicembre 2010), cur. I. Lori Sanfilippo – A. Rigon, Roma 2012,
pp. 107-126. Ma cfr. anche B. Grévin, Regole ed implicazioni di un gioco di chierici: le
giostre retoriche (“certamina”) del personale delle cancellerie imperiale e papale nel secondo
terzo del tredicesimo secolo (circa 1235-circa 1280), «Ludica. Annali di storia e civiltà del
gioco», 13-14 (2007-2008), pp. 145-158.
21
Paratore, Alcuni caratteri cit., p. 124.
22
Sui caratteri del prosimetro, tuttavia, cfr. P. Pabst, “Prosimetrum”. Tradition und
Wandel einer Literaturform zwischen Spätantike und Spätmittelalter, Köln-Weimar-Wien
1994.
23
Su versi non ascrivibili a fonti precise cfr., in ordine, H. Walther, Initia carminum
ac versuum medii aevi posterioris Latinorum, Göttingen 1959, nn. 32281, 21759, 16969,
25660, 2650, 33613, 16842, 17296, 2949, 24473.
24
Va segnalato che, nella nuova edizione che proponiamo, l’esametro risulta essere
una citazione esatta dal Pamphilus, mentre nelle precedenti edizioni maximus era sostituito
dal meno perspicuo proximus. La cosa induceva Paratore, Alcuni caratteri cit., pp. 124-125,
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(2) è chiuso da un esametro ovidiano (met. IV, 64). I successivi nove


paragrafi (3-11) sono tutti chiusi da pentametri: l’ultimo è una citazione
ovidiana (ars I, 442). Poi seguono due esametri (parr. 12 e 13), il primo
dei quali sembra una rielaborazione del v. 461 del Pamphilus (causa
mee mortis quondam, nunc causa salutis invece dell’originale causa mee
mortis hec est et causa salutis); un pentametro (par. 14); e nuovamente un
esametro (par. 15) ripreso da Ovidio (ars II, 437)25. La sequenza di pen-
tametri riprende, poi, ininterrotta sino alla fine per 7 paragrafi (16-21).
Tali circostanze, ovvero l’indifferenza nell’ordine dei versi, che si
susseguono senza un criterio preciso, e sicuramente senza obbedire alla
disciplina del distico, ci fa forse comprendere che l’attenzione per la
struttura metrica non è altissima, e che la citazione dei versi procede in
maniera «decostruita», ovvero seguendo gli echi di una indistinta me-
moria sonora più che strutturale, tale da risultare di tipo sentenzioso.
Ovvero, i versi svolgono la funzione di motti esemplari, di sentenze gno-
miche, come se fossero sciolti dal contesto dell’opera in cui erano in-
seriti. Questo, forse, permette di comprendere anche perché su 23 versi
solo 5 siano tratti integralmente da opere note: forse i restanti erano, per
l’appunto, motti sentenziosi, proverbi che non trovavano riscontro preciso
in alcuna opera e che magari erano raccolti in florilegi di tipo scolastico,
approntati per gli studenti delle scuole di più bassa formazione.
D’altra parte, la forma di molti dei versi non «autoriali» contenuti
nell’epistola sembra rispondere a strutture diverse, perché, nonostante
una certa frequenza di chiusa giambica del pentametro26, in alcuni casi
essi mostrano rime interne (parr. 3, 6, 10, 12, 19), così come rimata e
ritmata appare talvolta anche la parte in prosa27, che sicuramente rivela
equilibrate strutture retoriche nella costruzione sintattica; in altri casi, i
versi sembrano costruiti con emistichi ricorrenti nella tradizione, come

a ritenere che Pier della Vigna, ovvero l’autore dell’epistola, avesse corretto volontariamente
l’originale, o lo avesse citato a memoria sbagliando.
25
Si segnala qui che Paratore, Alcuni caratteri cit., p. 133, leggendo in maniera
errata il testo delle precedenti edizioni (ovvero leggendo minimumque invece del nimiumque
della stampa, laddove, invece, più correttamente, nella nostra edizione, abbiamo scritto
plerumque, che riproduce esattamente la fonte ovidiana), pensava che Pier della Vigna,
da lui ritenuto senza dubbio l’autore dell’epistola, avesse riprodotto una variante dell’ars
amatoria, dal momento che sarebbe risultato impossibile che il dictator capuano non si fosse
accorto dell’inintelligibilità del senso.
26
Paratore, Alcuni caratteri cit., p. 128.
27
Cfr. Glińska – Grévin, Circulation cit., p. 61, dove sono evidenziate in tale modo
alcune strutture prosastiche dell’epistola.
374 Fulvio Delle Donne

si potrà ricavare dettagliatamente dall’apparato dei fontes: qui si segnala


solo il verso del par. 4, il cui secondo emistichio risulta mutuato dal v.
562 del Pamphilus, ripreso anche dai vv. 38 e 714 del De Paulino et
Polla di Riccardo da Venosa.
Sulla base di tali considerazioni, Ettore Paratore, con molta finezza
interpretativa, avanzava alcune ipotesi sull’attribuzione dei versi di cui
non è stata rinvenuta la fonte: la libertà con cui il compilatore dell’epi-
stola attinge ai modelli spingerebbe a credere che quei versi siano stati
elaborati in maniera originale e che non siano stati trascritti da opere
altrui28. Tuttavia, per una più corretta valutazione di tale ipotesi va detto
che certamente alcuni emistichi sono parzialmente ripresi da versi di
autori precedenti, ma che, contrariamente a quanto pensava Paratore,
alcune varianti limitate a singole parole, che egli leggeva nelle edizioni
di Huillard-Bréholles e di Monaci, sono il frutto di guasti della tradi-
zione dell’epistola, sanati nell’edizione critica che qui si propone, e non
espressione della rielaborazione creativa dell’autore. Inoltre, proprio il
modo incoerente in cui – come abbiamo evidenziato – vengono inseriti,
senza un ordine preciso, pentametri ed esametri, lascerebbe pensare pro-
prio a riprese, ovvero a citazioni da altri testi che ora risultano ignoti: se,
infatti, fossero state creazioni «originali» di un autore dotato di sicure
competenze metriche, sarebbe strano pensare che egli non avesse voluto
o potuto seguire una sequenza ben precisa o una riconoscibile e ordinata
successione di esametri e pentametri. Dunque, è ipotizzabile, piuttosto,
che i versi siano stati scelti sulla base della memoria del compilatore,
o che magari egli li abbia selezionati da un florilegio organizzato tema-
ticamente, o da una antologia di tipo scolastico. La memoria di sequen-
ze metriche, invece, potrebbe spiegare la presenza di emistichi metrici
all’interno della prosa: ad es. Grévin segnala la presenza di rielaborazio-
ni prosastiche di sequenze esametriche29; e a questo si può aggiungere
che, nel par. 3, la parte conclusiva della frase eximie dilectionis laqueo
catenatus corrisponde a un esametro. Del resto, non era cosa insolita che

28
Paratore, Alcuni caratteri cit., p. 132.
29
Glińska – Grévin, Circulation cit., pp. 61-62 (lo specifico paragrafo dell’articolo,
nonostante non sia dichiarato esplicitamente è di Grévin, col quale ho avuto modo di
confrontarmi proficuamente su alcune questioni nella compilazione di questo contributo),
dove, però, l’esempio addotto recto lumine (par. 4), corrispondente a una rielaborazione della
sequenza metrica lumine recto, va corretto in recto sidere sulla base della nuova edizione:
la nuova lezione, tuttavia, non muta la sostanza della questione, perché la sequenza metrica
è identica.
Tra retorica e poetica 375

nelle epistole della scuola retorica legata a Pier della Vigna si inserisse-
ro versi tratti dalla tradizione antica e medievale30.
Un’ultima notazione riguarda l’attribuzione dell’epistola. Essa, in
assenza di più approfondite considerazioni filologiche, è stata sempre
generalmente e sicuramente attribuita a Pier della Vigna31, e, in effetti,
essa è contenuta in una redazione del cosiddetto epistolario di Pier della
Vigna. Tuttavia, va detto che tale attribuzione è assolutamente incerta.
Il nome di Pier della Vigna, l’illustre dictator immortalato da Dante nel
XIII canto dell’Inferno, che fu logoteta e protonotario della cancelleria
di Federico II di Svevia, venne usato come sinonimo e garanzia di per-
fezione formale e pregio retorico32. In effetti, le lettere di quell’epistola-
rio, trasmesso da circa 250 testimoni, raggruppabili in quattro principali
forme redazionali sistematicamente organizzate (due in 5 libri e due in
6 libri) oltre che in molte decine di codici stravaganti33, contiene circa
550 dictamina tra manifesti, mandati, epistole e documenti di vario ge-
nere risalenti al periodo che va dal 1198 al 1264 e oltre: molti di essi,
dunque, sicuramente non potettero essere scritti dal dictator capuano,
che dovette entrare a far parte della cancelleria federiciana intorno al

30
Cfr. ivi, pp. 53-54, dove si rammentano alcune epistole con versi.
31
Da ultimo, cfr. E. D’Angelo, La produzione poetica in latino di Pier della Vigna:
repertorio e testi, in “Quei maledetti Normanni”. Sudi offerti a Errico Cuozzo per i suoi
settant’anni da colleghi, allievi, amici, cur. J. M. Martin – R. Alaggio, Ariano Irpinio-Napoli
2016, pp. 287-312 (in partic. p. 292).
32
Su tali questioni si consenta il rimando a F. Delle Donne, “Auctor” e “auctoritas”
nelle raccolte epistolari del XIII secolo, in “Auctor et Auctoritas in Latinis medii aevi litteris”.
Author and Authorship in Medieval Latin Literature, cur. E. D’Angelo – J. Ziolkowski,
Firenze 2014, pp. 291-301.
33
Per un quadro complessivo della tradizione testuale cfr. H. M. Schaller, Zur
Entstehung der sogenannten Briefsammlung des Petrus de Vinea, «Deutsches Archiv
für Erforschung des Mittelalters», 12 (1956), pp. 114-159 (ristampato in Id., Stauferzeit.
Ausgewählte Aufsätze, Hannover 1993, pp. 225-270); Id., L’epistolario di Pier della Vigna,
in Politica e cultura nell’Italia di Federico II, cur. S. Gensini, Pisa 1986, pp. 95-111
(ristampato in tedesco in Id., Stauferzeit cit., pp. 463-478). Id., Handschriftenverzeichnis zur
Briefsammlung des Petrus de Vinea, Hannover 2002, descrive, in totale, 246 manoscritti.
Cfr. anche F. Delle Donne, Autori, redazioni, trasmissioni, ricezione. I problemi editoriali
delle raccolte di “dictamina” di epoca sveva e dell’epistolario di Pier della Vigna, «ArNos.
Archivio normanno-svevo. Testi e studi sul mondo euromediterraneo dei secoli XI-XIII», 2
(2009), pp. 7-28. Sulla grande diffusione dell’epistolario e dei suoi modelli retorici cfr. B.
Grévin, Rhétorique du pouvoir médiéval. Les “Lettres” de Pierre de la Vigne et la formation
du langage politique européen XIIIe-XIVe siècle, Rome 2008, che costituisce oramai un
punto di riferimento ineludibile. Un’edizione della forma redazionale in 6 libri piccola è
stata pubblicata ad Ariano Irpino-Soveria Mannelli nel 2014, per le cure di A. Boccia, E.
D’Angelo, T. De Angelis, F. Delle Donne, R. Gamberini.
376 Fulvio Delle Donne

1220 e morì all’inizio del 124934. Dunque, sono molti i dubbi che ri-
guardano l’attribuzione dell’epistola, e incerta è, di conseguenza, anche
la datazione, che non necessariamente coincide con gli anni di attività
di Pier della Vigna: i dubbi attributivi sono, del resto, accresciuti dalla
circostanza che l’epistola è trasmessa solo da una parte della tradizione,
che certamente non è quella in assoluto più antica, e che, forse, potreb-
be risalire all’ultimo quarto del XIII secolo35.
Queste ultime riflessioni ci consentono di passare più facilmente
al chiarimento dei criteri che abbiamo seguito nella definizione dell’edi-
zione del testo offerto in appendice. L’epistola è contenuta solo in una
delle quattro principali forme redazionali del cosiddetto epistolario di
Pier della Vigna, quella «grande in 6 libri» (M6)36. Di questa forma re-
dazionale, sulla base degli studi condotti da Alessandro Boccia, che han-
no delineato i rapporti «stemmatici» che legano gli 11 manoscritti che
la trasmettono37, sono stati presi in considerazione i seguenti testimoni:
D - Paris, BNF, Lat. 13059, ff. 41v-42r;
K - Kassel, Landesbibliothek, Hist. 4° 5, f. 67r-v;
M - München, Monumenta Germaniae Historica, Hs. A 1, f. 41r e 44r-v.
La concordanza di questi 3 testimoni è stata siglata M6.
Oltre che nella collezione sistematicamente organizzata in 6 libri,
l’epistola è trasmessa anche da due codici che raccolgono le lettere in
maniera extravagante, ovvero non sistematicamente organizzata38:

34
Sulla sua vita cfr. soprattutto Huillard-Bréholles, Pierre de la Vigne cit.; H. M.
Schaller, Della Vigna, Pietro, s.v., in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1989,
XXXVII, pp. 776-784; F. Delle Donne, Nobiltà minore e amministrazione nel Regno di
Federico II. Sulle origini e sui genitori di Pier della Vigna, «Archivio storico per le Province
Napoletane», 116 (1998), pp. 1-9.
35
Su quali siano i manoscritti più vicini all’originale, e dunque la tipologia
redazionale più antica (quella piccola in 5 libri), si consenta il rimando a F. Delle Donne, Die
Briefsammlung des Petrus des Vinea und die Probleme der Überlieferung von “Dictamina”
in der Zeit Friedrichs II., in Kuriale Briefkultur im späteren Mittelalter. Gestaltung -
Überlieferung - Rezeption, cur. T. Broser – A. Fischer – M. Thumser, Köln-Weimar-Wien
2015, pp. 223-233 (in partic. pp. 225 ss.); Id., Tommaso di Capua e la cancelleria papale:
tra normativa retorica e comunicazione politica, in Dall’“Ars dictaminis” al Preumanesimo?
Per un profilo letterario del XIII secolo, cur. F. Delle Donne – F. Santi, Firenze 2013, pp.
43-61 (in partic. pp. 53 ss.).
36
Per l’elenco completo dei testimoni si rimanda agli indici di Schaller,
Handschriftenverzeichnis cit.
37
A. Boccia, La redazione maggiore dell’epistolario di Pier della Vigna. Rapporti tra
i testimoni e prospettive editoriali, «ArNos. Archivio normanno-svevo. Testi e studi sul mondo
euromediterraneo dei secoli XI-XIII», 1 (2008), pp. 151-160.
38
Schaller, Handschriftenverzeichnis cit., segnala anche i mss. Lübeck, Bibliothek
der Hansestadt, Var. 152, che risulta perduto; München, Bayerische Staatsbibliothek,
Tra retorica e poetica 377

P - Pommersfelden, Gräflich Schönbornsche Bibliothek, 189, f. 10r;


R - Reims, Bibliotheque Municipale, Cod. 1275, f. 35r-v.
La concordanza di questi due testimoni è stata siglata E.
Il testo è stato per la prima volta paragrafato e per la prima volta
sono stati individuati in maniera esplicita i fontes, indicati nella prima
fascia di apparato. Nella seconda fascia di apparato, filologica, sono state
segnalate, invece, le lezioni non accolte a testo, con l’esclusione di quel-
le singulares. Di norma, si è data la preferenza alla concordanza delle
lezioni dei codici extravaganti, dal momento che già in altre occasioni
si è avuto modo di constatare che questo tipo di tradizione offre solu-
zioni più corrette: anche in questa occasione, del resto, si potrà notare
che in tale tradizione i versi ripresi dai classici sono più corretti. Per
agevolare il confronto con la principale versione a stampa precedente, in
apparato sono state segnalate anche le lezioni non accolte dell’edizione
di Huillard-Bréholles (siglato HB)39.

Clm 23862; Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 476. Questi ultimi due codici sono
strettamente imparentati, ma si tratta di rielaborazioni tarde, risalenti al XV secolo.
39
Huillard-Bréholles, Pierre de la Vigne cit., pp. 417-421 (doc. 104). La sua edizione
è basata sui mss. Paris, BNF, Lat. 4042, f. 128r, e Paris, BNF, Lat. 13059, ff. 41v-42r,
che trasmettono entrambi la redazione grande in 6 libri del cosiddetto epistolario di Pier
della Vigna. Si è ritenuto inutile appesantire l’apparato menzionando anche le lezioni di
Monaci, Aneddoti cit., pp. 49-50, che, di fatto, si serviva dell’edizione di Huillard-Bréholles,
collazionata col ms. Roma, Biblioteca Vallicelliana, ms. I. 29, che pure trasmette la redazione
grande in 6 libri del cosiddetto epistolario di Pier della Vigna.
378 Fulvio Delle Donne

Appendice
[1]  Cum plurima tempora sint transcursa, quibus nemini fuerunt nostri cordis
intima revelata, non potest a nobis ulterius celebrari silentium, quod doloris et
tristicie parit et peperit incrementum.
vix celare potest intima cordis amor
et
occultare nequit sua lumina maximus ignis.
[2]  Ignis etenim vestre dilectionis est in meo pectore diutius occultatus. Nam
lesionis incendio suaderet infundi. Nam quanto magis tegitur, tanto vehementius
contegentis animus cruciatur:
quoque magis tegitur, tectus magis extuat ignis.
[3]  Cum enim oculi mei vestros quondam respexerint ocellos et vestram faciem
ad solis similitudinem rutilantem, confestim intuentis captus est animus et exi-
mie dilectionis laqueo catenatus:
visibus et verbis illaqueatur amans.
[4]  O dies dulcissima, dies celebris et iocunda, cum auribus nostris angelice
vocis sonus intonuit, cum mire claritatis oculus recto sidere nos respexit:
res optata satis gratior esse solet.
[5] O verbis dulcissima, coloribus rhetoricis adornata, quorum sonitu mens
audientis reficitur et corpus suavitate melliflua recreatur:
plus recreant animum dulcia verba cibo.
[6]  Decorant vos supercilia modico discrimine rationabiliter arcuata, nec minus
ornat frons inclita, candoris et ruboris admixtione conspersa:
nix candore placet et rosa rubra nitet.
[7]  Statura pulcherrima corporis pellit a se quodlibet vitium pravitatis, in
quo nichil est usquequaque positum quod sibi non competat ad ornatum:
floribus ex variis nexa corona nitet.

1. vix-amor: Pamphil. 506 occultare-ignis: Pamphil. 549  2. quoque-ignis: Ov.


met. IV, 64   4. gratior-solet: Pamphil. 562; Ricc. Venos. Paulin. 38 et 714   5.
plus-cibo: cfr. Ven. Fort. carm. XI, 16, 10 («Replessent animum dulcia verba meum»)
6. rosa-nitet: cfr. Lidia 238 («rosa flore nitet»)  7. floribus-nitet: cfr. Ov. fast. IV, 945
(«mille venit variis florum dea nexa coronis»); Anth. Lat. 493a, 4 («Floribus ex variis ceu
fulget nexa corona»); Alex. Neck. laud. VII, 357 («Floribus ex variis...»); Gaufr. Vin. poetr.
1227 («Floribus ex variis...»)

1. ulterius] om. M6, HB maximus] proximus M6, HB  2. etenim-est] etenim


(om. D; enim HB) vestre (tue A, P; om. HB) dilectionis (vestre add. HB) M6, HB Nam
lesionis] lesionis M6, HB contegentis] contingentis D, R; diligentis HB  3. respexerint
ocellos] ocellos conspexerint M6, HB intuentis-animus] captus est animus intuentis M6,
HB; in meatus captus est oculus P eximie] eximio E laqueo] vinculo M6 visibus] usibus
M6, HB  4. dulcissima] letissima M6, HB sidere] lumine M6, HB 5.  verbis]
verba HB rhetoricis adornata] adornata rhetoricis (rhetorices HB) M6 sonitu] om. M6, HB
6. arcuata] arguta HB inclita] ardua causa (tanti HB) M6 nitet] micat M6, HB
Tra retorica e poetica 379

[8]  Si quis illam nudis capillis inspiceret, omnium pulcherrimam approbaret,


que licet videatur in forma hominis ymago tamen ascribitur deitatis:
Nam splendore micans cernitur esse dea.
[9]  Vester oculus videntes illaqueat, vestra facies singulos depredatur, quia
sibi tot reddit obnoxios quot eam fuerint intuentes:
predatur facie virgo decora sua.
[10] Noli tamen, cunctarum dulcissima et pulchritudinis gloria, loquentis
despicere blandimenta, cum humilem esse conveniat quem maior cumulus
probitatis exaltat:
quo melior fueris, mitior esse velis.
[11]  Pro te dulcissima morior, clavo tue dilectionis affigor. Respice me
miserum tui quidem amoris desiderio morientem:
flectitur iratus voce rogante Deus.
[12]  Pro vobis diu passus sum vulnera, quorum a vobis per vos cupio sentire
fomenta. Manus que dedit exitium, vulneris debet afferre levamen:
causa mee mortis quondam, nunc causa salutis.
[13] Vera utinam essent suspiria pro sompnia de vobis singulis noctibus
iterata, cum ymago vestra maneat in lectulo et pectori meo gaudia multiplicat
osculando:
cernitur in sompnis quod mens vigilando requirit.
[14] Pectus constringitur brachiis, os nostrum vestris alligatur ocellis, et,
dum reddit oris ad osculum, cinnamomi et balsami est protinus suavitate re-
pletum:
virgineum guttur balsama mella gerit.

8. Nam-dea: cfr. Paul. Diac. carm. VIII, 16 («Virgineo splendore micans...»), Ven.
Fort. Mart. IV, 591 («Qui splendore nitens...»), Flod. Antioch. II, 619, Ital. V, 2, 8 («Quo
splendore nitens...»), Quilich. Alex. 2494 («...dicitur esse dea»), Ioh. Garl. integ. 268
(«...fingitur esse dea»)  10. mitior-velis: cfr. Ov. am. II, 2, 17 («conscius esse velis»), III,
14, 40 («mortuus esse velim»), her. XIII, 96 («strenuus esse velis»), etc.  11. flectitur-
Deus: Ov. ars I, 442   12. causa-salutis: Pamphil. 461 («causa mee mortis hec est et
causa salutis»)  13. cernitur-reliquit: Ven. Fort. carm. XI, 7, 3 («Quas locus excludit
mens anxia voce requirit»)

8. que] cum HB ymago] bis scr. HB ascribitur] describitur P; transcribitur R micans]


nitens M6, HB  9. sibi tot] tot sibi M6, HB quot eam] quotquot M6, HB  10. exaltat]
adornat M6, HB  11. me] om. M6, HB  12. Pro vobis] per vos HB quorum a vobis]
pro vobis M6, per vos HB  13. suspiria pro] sompnia de M6, HB vestra] nobiscum
add. M6, HB meo gaudia multiplicat] nostro multipliciter M6, HB requirit] reliquit M6,
HB  14. brachiis] meis add. HB reddit oris] redditur nobis HB ad] in M6; om. HB
balsama] balsami HB
380 Fulvio Delle Donne

[15]  Tunc meus animus in tanta constitutus dulcedine plurima vobis agit et
patitur, dilectionis sue vobis pandendo originem. Post adeptionem vestram se
credit et iudicat inspirantem:
luxuriant animi rebus plerumque secundis.
[16]  Metitur vobiscum et ordinat quot et quibus temporibus ad vos gratissimus
accedat, precavens ne alicui forsan sit cognitum beneficium, quod non suis
meritis, sed divina miseratione se credit adeptum:
nil sine cautela doctior egit homo.
[17]  Sed cum ab oculis sompnus excutitur, an hoc sit verum solacium
experitur, dum non invenit manum quam tenuerat, genas confestim dilaniat et
deturpat:
non nisi cum lacrimis grata relinquit homo.
[18]  Recedit momentaneum gaudium perhennis tristitie deserens incrementum,
cum dolor ex novitate sit arduus et ex rei desiderio sit nocivus:
non bene leta venit res peritura cito.
[19]  Quapropter, pulchrarum pulcherrima, vobis meas litteras nunc transmitto,
ut me licet immeritum vestre dilectionis munere dignemini facere gloriosum:
colligit et flores rustica sepe manus.
[20] Si enim pociar vestra dulcedine, nullo videbor postmodum indigere,
cum expellat vester solus intuitus quicquid solet homini afferre iacturam:
continuo tenebras sol radiando fugat.
[21] Quare mihi magnum erit exitium, si res ulterius dilata fuerit per
momentum. Noli dilectionis sponsionem protrahere, si me decreveris adiuvare:
quo magis affectat, plus cruciatur homo.
[22]  Res enim que desideratur ab aliquo non poterit ab eius oculo separari,
et diurnum tempus reputat annum, si donum quod cupit non fuerit adimpletum:
qui peramat paciens non valet esse memor.

15. luxuriant-secundis: Ov. ars II, 437   17. non-homo: cfr. Ov. met. VI, 523
(«et iam cum lacrimis»)  22. qui-memor: Nig. mirac. 444 («sub brevitate stili non valet
esse memor»)

15. vobis agit] vobiscum agit HB dilectionis] et dilectionis M6, HB pandendo]


pandit M6, HB inspirantem] imperantem M6, HB plerumque] nimiumque M6, HB
16. gratissimus accedat] accedat gratissimus M6, HB  17. sit-experitur] fuerit sepius per
lectum queritur et M6, HB manum] manus M6, HB dilaniat] laniat M6, HB nisi] enim M6,
sine HB relinquit] reliquit M6 homo] amor HB  18. rei] ea E desiderio] potius add. M6,
HB  19. meas-transmitto] est nostra littera nunc directa M6, HB dignemini] debeatis
M6, HB  20. vester solus] solus vester M6, HB afferre] lesionis ferre P; ferre R radiando]
retudendo P, nitendo R fugat] fugit M6, HB  21. exitium] excidium HB Noli-adiuvare]
ante Quare-momentum scr. M6, HB  22. Res-que] Cum enim M6, HB si donum] donec
M6, HB non] om. M6, HB memor] more M6, HB
Tra retorica e poetica 381

Abstract
This paper offers the first critical edition of a prosimetric letter attributed
to Petrus de Vinea (inc.: Cum plurima tempora sint transcursa). This text is
an evident example of the Mezzogiorno Latin culture in the thirteenth century.
Traces of reuses of the poems by Ovid, of the elegiac comedy Pamphilus and of
other unknown poetries demonstrate that the cultural training in ars dictaminis
was oriented not only to letter writing, but also to poetic literature.

Key Words
Petrus de Vinea – Ars dictaminis – Medieval Letter Collections – Medie-
val Poetry - Prosimetron

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