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2016/2017
I.
Come quella di Orfeo anche la figura di Arione e il suo miracoloso salvataggio ad
opera di un delfino si collocano a metà strada tra leggenda e realtà. La fonte più
antica, risalente al V secolo a.C., a tramandarci la vicenda del leggendario cantore
è Erodoto (Storie, 1,23 s.) che attinge a sua volta da un patrimonio di leggende
lesbie e corinzie. Stando a Erodoto, Arione, vissuto nella prima metà del VI secolo
a.C., oltre a essere il più grande citaredo dell’epoca e il prediletto di Periandro, il
tiranno di Corinto, fu anche l’inventore del ditirambo, il canto in onore di Dioniso.
Arione convinse l’illustre protettore a lasciarlo andare per intraprendere un
avventuroso viaggio in Sicilia dove si arricchì grazie alle sue eccezionali doti di
cantore. Durante il suo viaggio di ritorno da Taranto, i marinai complottarono per
ucciderlo e impadronirsi delle sue ricchezze; ad Arione fu data la possibilità di
scegliere tra un suicidio con una degna sepoltura a terra o di essere gettato in mare.
Il cantore espresse dunque il desiderio di poter cantare per un’ultima volta
accompagnato dalla cetra prima di suicidarsi e, durante la sua esibizione, un branco
di delfini venne attirato intorno alla nave. Al termine del suo canto Arione si gettò
in mare dove uno dei delfini lo caricò in groppa e lo portò in salvo presso il
santuario di Poseidone a Capo Tenaro. Una volta tornato a Corinto raccontò
l’incredibile vicenda a Periandro che ordinò che il cantore fosse tenuto sotto
sorveglianza. Poco tempo dopo giunse a Corinto la nave sulla quale Arione si era
imbarcato a Taranto, il tiranno ordinò che i marinai fossero condotti al suo cospetto
e quando chiese loro notizie sul cantore essi risposero che si trovava vivo e vegeto
in Italia. A questo punto Arione si presentò davanti a loro vestito come quando era
saltato dalla nave e questi, sbigottiti e ormai scoperti non poterono più negare e
vennero puniti.
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La danza dei delfini: Il mito di Arione tra realtà e leggenda
relativi alla città di Corinto e al suo sovrano, nei Fasti (2, 79 ss.), composti in piena
età augustea, Ovidio coglie la costellazione del delfino come pretesto per
raccontare il mito. La versione di Ovidio è sicuramente quella più raffinata e
cesellata dal punto di vista letterario e, pur contenendo qualche piccolo particolare
divergente, copre la narrazione erodotea fino al salvataggio del cantore da parte
del cetaceo che viene trasfigurato in costellazione, inoltre, non troviamo alcun
accenno né a Corinto né a Periandro. Nel I d.C. sostanziali novità sono introdotte
da Igino in sue due opere: il de astronomia, di attribuzione incerta, e le Fabulae.
Nel de astronomia (2, 17), il racconto ha un punto fondamentale di accordo con la
versione di Ovidio: il catasterismo del delfino. Anche in questo caso la narrazione
è incentrata sul solo Arione il quale non è minacciato dai marinai ma dai suoi stessi
servi. Il motivo della liberazione dalla schiavitù, estraneo a ogni altra versione, può
far pensare a un autore o a una fonte sensibile a quel tema, qualcuno che aveva un
rapporto con la schiavitù o aveva provato lui stesso la sorte dello schiavo e perciò
era portato a meditarvi sopra. Nelle Fabulae (194) invece, accanto ad Arione si
ripresenta Periandro, il cui nome è però storpiato in Pyranthus. Grosse novità
rispetto alle versioni precedenti sono la comparsa in sogno di Apollo che avverte
Arione dell’imminente pericolo, l’arrivo in groppa al delfino direttamente a
Corinto e non a capo Tenaro, la morte dell’animale a causa della negligenza del
cantore che non riesce da solo a riguadagnare il largo e la costruzione di un
monumento al delfino da parte di Periandro/Pyranthus. Anche la sezione dello
smascheramento e della punizione dei colpevoli si rinnova: la nave non era diretta
a Corinto ma vi è sospinta accidentalmente da una tempesta, i marinai interrogati
dal sovrano affermano che il cantore è morto e che loro stessi lo hanno sepolto e
la messinscena dell’apparizione di Arione ai colpevoli si svolge presso il sepolcro
del delfino. Estremamente particolare e degna di nota è anche la versione di
Plutarco, risalente alla seconda metà del I d.C., contenuta nel Simposio dei sette
sapienti (160E ss.) dove il racconto è condotto in forma dialogica da Gorgo, uno
dei commensali del simposio, che si dichiara testimone diretto della vicenda. Il
resoconto prende origine dall’apparizione notturna sul mare del gruppo di delfini,
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La danza dei delfini: Il mito di Arione tra realtà e leggenda
uno dei quali trasporta Arione, che, raggiunta la terraferma, dà inizio a un racconto
nel racconto ricco di dettagli e che presenta alcune novità rispetto alle versioni
precedenti: il cantore scopre la congiura che si tramava contro di lui attraverso le
rivelazioni del timoniere e l’apparizione in sogno di Apollo è sostituita da
un’ispirazione divina. Inoltre, quando Arione si tuffa in mare, non afferma di
essere stato caricato sul dorso da un delfino ma di esser stato sostenuto e portato
via. L’assenza dell’intervento diretto di Apollo e dell’atto del delfino che prende
sul dorso il cantore definiscono una qualità essenziale del racconto di Plutarco: la
reticenza verso il miracoloso. Originale è pure l’interpretazione del II d.C. di
Luciano nei Dialoghi Marini (8 [5]) che, come Plutarco, introduce la storia in un
dialogo, quello tra Poseidone e i Delfini. La narrazione è condotta dal punto di
vista di uno dei cetacei e in questo caso il viaggio di Arione non è, come negli altri
casi, dall’Italia a Corinto, ma dalla città di Periandro, dove si era arricchito, alla
sua patria Metimna. È interessante notare che nel dialogo vengono citati altri due
miti riguardanti i delfini: quello di Melicerte, figlio di Ino, e quello della
trasformazione in delfini per mano di Dioniso, dei pirati che lo avevano rapito per
chiederne il riscatto. Ciò prova l’esistenza di un vasto corpus di leggende
riguardante questi animali e la loro benevolenza nei confronti dell’uomo, tuttavia
la narrazione di Luciano sortisce un effetto del tutto diverso nei confronti del mito:
tramite il racconto dal punto di vista del delfino infatti si attua una vera e propria
parodia, la vicenda diventa poco credibile e paradossale come tipicamente accade
in tutta l’opera lucianea.
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Ieranò 1992: 45-46.
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La danza dei delfini: Il mito di Arione tra realtà e leggenda
delle Nereidi, si tuffò nei flutti con lei. In seguito giunsero alcuni delfini che li
caricarono sul loro dorso portandoli in salvo. La figura del fanciullo sul delfino era
familiare anche ai corinzi: era questa la raffigurazione usuale di Palemone,
venerato a Corinto come divinità marina ed eroe del delfino in stretto rapporto con
il culto di Poseidone. Egli è l’alter ego di una divinità beotica, Melicerte, citata
anche nel dialogo di Luciano, figlio di Ino e di Atamante, e protagonista di una
saga dionisiaca. Secondo il mito Ino e Atamante sarebbero stati resi folli da Era
per avere accolto l’infante Dioniso nella loro dimora. Ino si sarebbe lanciata in
mare con Melicerte che sarebbe stato portato in salvo da un delfino e poi
divinizzato con il nome di Palemone. Il mito di Melicerte presenta gli stessi
caratteri fondamentali del racconto erodoteo: salto in mare e viaggio sul dorso di
un delfino. Da citare è anche la figura di Taras, il fondatore della città di Taranto,
punto di partenza del viaggio di ritorno del cantore, raffigurato a cavallo di un
delfino sulle monete tarantine. Per quel che concerne l’attività poetica di Arione
secondo la Su(i)da egli fu l’inventore del genere tragico e introdusse satiri che
parlavano in versi; ancora Ieranò2 afferma che Arione non può essere considerato
l’inventore del ditirambo come attestato da Erodoto ma fu il primo a comporre
ditirambi caratterizzati da un racconto mitico autonomo: egli diede cioè al genere
poetico la sua forma caratteristica di canto epico-eroico. È molto probabile che i
corinzi dovettero riconoscere in Arione il poeta che aveva rinnovato la narrazione
del mito di Melicerte, la grande saga che in cui confluivano filoni essenziali della
tradizione locale: l’immagine del cantore avrebbe finito per sovrapporsi a quella
dell’eroe da lui stesso cantato; la leggenda si sarebbe diffusa rapidamente e
arricchita di nuovi particolari.
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Ieranò 1992: 39-
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La danza dei delfini: Il mito di Arione tra realtà e leggenda
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La danza dei delfini: Il mito di Arione tra realtà e leggenda
II.
Di seguito l’elenco delle fonti antiche che riportano il mito di Arione:
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La danza dei delfini: Il mito di Arione tra realtà e leggenda
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Perutelli 2003: 20.
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La danza dei delfini: Il mito di Arione tra realtà e leggenda
4
Ercoles 2009: 313.
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La danza dei delfini: Il mito di Arione tra realtà e leggenda
III.
Franco Cardini, “Mostri, belve, animali nell’immaginario medievale –
Il delfino”, Abstracta, No. 21 (1987), pp. 38-45.
L’articolo di Cardini mi è stato molto utile per approfondire i significati
simbolici legati all’evoluzione dell’iconografia del delfino dall’antichità
fino al Medioevo.
Giovanni Comotti, La musica nella cultura greca e romana (Torino:
EDT, 1991), pp.25-26.
Il libro di Comotti, facente parte della collana di Storia della Musica curato
dalla Società Italiana di Musicologia fornisce, in forma dettagliata e tecnica,
un ampio ma approfondito panorama della misteriosa realtà musicale del
mondo greco e romano.
Eric Moormann, Wilfried Uitterhoeve, Van Alexandros tot Zenobia
(Nijmegen: SUN, 1989), trad. it. Miti e personaggi del mondo classico -
Dizionario di storia, letteratura, arte e musica (Milano: Paravia Bruno
Mondadori Editori, 2004).
Il dizionario dei due studiosi olandesi è un utile, seppur non completo,
strumento per chiunque voglia approfondire l’influenza di un mito in campo
letterario, iconografico e musicale.
Giorgio Ieranò, “Arione e Corinto”, Quaderni Urbinati di Cultura
Classica, New Series, Vol. 41, No. 2 (1992), pp. 39-52.
L’articolo di Ieranò è una vera e propria indagine attorno all’ attribuzione
ad Arione dell’invenzione del ditirambo e sulla nascita del mito, originatosi,
probabilmente, da un bacino di leggende e racconti lesbi e corinzi relativi
alla figura del delfino.
Alessandro Perutelli, “Tante voci per Arione”, Materiali e discussioni
per l'analisi dei testi classici, No. 51 (2003), pp. 9-63.
In questo articolo Perutelli fa un’ampia panoramica dei maggiori scrittori
dell’antichità che hanno raccontato il mito di Arione. Lo studioso tuttavia
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