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LA BATTAGLIA DI CIVITATE: UNA RILETTURA*

CRISTIAN GUZZO

Premessa

Il presente saggio si propone il compito di riesaminare non solo le circostanze politiche che
culminarono, alla metà del secolo XI, nel conflitto fra i Normanni stanziati nel meridione d’Italia ed
il Papato, ma di ricostruire, sulla base di un’accurata indagine condotta sul campo, le fasi salienti
della battaglia di Civitate. Rilievi effettuati su ciò che oggi residua dell’antico teatro dello scontro,
hanno consentito di integrare e talora rettificare le informazioni tramandateci dagli storici coevi, le
cui narrazioni sono state analizzate e confrontate, per dare un quadro più vicino possibile alla verità
storica. Le fonti tradizionali sono state affiancate allo studio della per altro scarsa letteratura
secondaria, producendo una rilettura delle tecniche militari impiegate dai Normanni, in particolare
quelle di cavalleria, che nella prima metà del secolo XI erano ancora in fase di sperimentazione e
non avevano ancora assunto il carattere di irresistibilità che avrebbero contraddistinto il ‘warfare’’
degli homines Boreales.

______________________

La battaglia di Civitate fu un evento bellico di estrema rilevanza per la storia del


Mezzogiorno d’Italia. Esso non fu infatti solo alla base della edificazione di uno Stato che, tra
alterne vicende, sarebbe durato fino alla unità della Penisola del 1861, ma rappresentò altresì un
significativo argine alle pretese dei pontefici romani i quali reputavano quelle terre parte integrante
del Patrimonium Sancti Petri, sulla scorta della apocrifa Donazione di Costantino . 231

Nell’Italia meridionale della prima metà dell’XI secolo i condottieri normanni perseguivano
una strategia fortemente espansionistica, che alla forza delle armi coniugò la politica delle unioni
matrimoniali contratte con esponenti del dominante ceto longobardo. Fu questo il caso di Drogone
di Altavilla (Cotentin, prime del 1010 – Orsara di Puglia, 10 agosto 1051) il quale, con il placet dei
propri compagni d’arme nonché conterranei, divenne conte di Puglia e conseguentemente capo
riconosciuto dei Normanni. Ciò ebbe a verificarsi soprattutto in virtù dei favori accordati al


* Ho un debito di gratitudine verso alcuni amici che hanno, a diverso titolo, fornito il loro aiuto alla realizzazione del
presente saggio: al Dr. Giuseppe Di Perna, Presidente del Centro Studi per il Medioevo di Capitanata e Mezzogiorno
d’Italia ed al Dr. Giuseppe Rollo, della Società di Storia Patria per la Puglia per avere effettuato, in compagnia dello
scrivente, i sopralluoghi necessari a circoscrivere i luoghi interessati dalla Battaglia di Civitate; a Luigi Russo
dell’Università Europea di Roma, per i suggerimenti preziosi e la revisione del testo; al Prof. David Nicolle, per l’aiuto
nell’esegesi degli elementi di storia militare estrapolati dalla cronaca di Guglielmo di Puglia; al Dr. Giuseppe Tafuri per
la realizzazione grafica della mappa allegata alla fine del presente testo; alla Maître de conférences Marie-Agnès Lucas-
Avenel dell’Università di Caen, per le integrazioni bibliografiche relative a Goffredo Malaterra, estratte dalla sua tesi di
dottorato attualmente in corso di stampa per le Presses universitaires de Caen. A tutti loro vada il mio affetto e la mia
riconoscenza.
231
Su tale tema, Donation of Constantine and Constitutum Constantini. The Misinterpretation of a Fiction and its
Original Meaning, ed. J. Fried, Berlin-New York 2007, pp. 11-15; A. CADILI, Il veleno di Costantino. La Donazione di
Costantino tra spunti riformatori ed ecclesiologia ereticale (secoli XII-XVI), in Costantino I. Enciclopedia
Costantiniana sulla figura e l’immagine dell’imperatore del Cosiddetto Editto Di Milano 313-2013, cur. P. Brown - J.
Helmrath et al., Roma 2013, II pp. 621-643; D.G. ANGELOV, The Donation of Constantine and the Church in Late
Byzantium, in Church and Society in Late Byzantium, ed. D. Angelov, Kalamazoo 2009, pp. 91-157.

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condottiero transalpino dal potente principe longobardo Guaimaro IV di Salerno, il quale, dal canto
suo, abbracciò una politica dichiaratamente favorevole ai cavalieri del Nord . 232

Drogone ottenne dal succitato principe la mano della figlia , elevando, per altro, la sua
233

dignità ai medesimi livelli di quella dei più blasonati potentes longobardi, proprio nel momento in
cui l’imperatore germanico Enrico III il Nero - giunto in Italia meridionale nel 1047 - accettò il 3
febbraio di quell’anno, il di lui omaggio come conte di Puglia, investendolo di tutte le terre che
costui già occupava . 234

Tale riconoscimento, in virtù del quale Drogone ebbe a fregiarsi del titolo di dux et magister
totius Italiae comesque Normannorum totius Apuliae et Calabriae , donò un nuovo impulso 235

all'espansione normanna dal momento che, già nel maggio del 1046, l’Altavilla si recò a
guerreggiare in Puglia, sbaragliando nei pressi di Taranto, l’esercito del catepano Eustachio
Palatino.
Egli riuscì poi a raggiungere Lecce, che tuttavia non fu un grado di tenere ed obbligò i baresi
a siglare un trattato con suo fratello Umfredo . Nonostante il riconoscimento imperiale, Drogone
236

dovette rendersi ben presto conto del fatto che le proprie azioni in terra italica avrebbero necessitato
di un imprimatur riveniente da un’autorità maggiormente vicina alla realtà geografica, fra i cui
confini aveva intrapreso il processo di elevazione politico-giuridica del proprio status di signore
territoriale. Fu per tale ragione che egli accettò di prestare, insieme al suocero Guaimario,
giuramento di fedeltà al pontefice Leone IX, assumendo l’impegno di rispettare e difendere la città
di Benevento sottomessasi al successore di Pietro dopo che la popolazione aveva scacciato gli
imbelli suoi principi, incapaci di difenderla dalle scorrerie di briganti normanni . 237

Nell’impossibilità di arginare nel breve periodo la corrosiva bellicosità dei guerrieri transalpini,
Leone riuscì così ad assicurarsi l’appoggio di Drogone, il quale avrebbe dovuto paradossalmente
preservare i beneventani dalle incursioni dei suoi stessi compatrioti . Garante della conseguita
238

intesa sarebbe stato Guaimario. In virtù della propria influenza politica e dei vincoli parentali con il
condottiero Altavilla, egli avrebbe impedito nuove incursioni da parte dei Normanni i quali, dal
1047, consideravano la città campana parte integrante di quelle terre di conquista loro assegnate
dall’imperatore salico . Drogone non riuscì tuttavia a beneficiare dei propri successi diplomatici dal
239

momento che, il 9 agosto del 1051, fu assassinato presso Montellari (a NNO di Bovino) da
Longobardi verosimilmente fomentati da Argiro, duca d'Italia, di Calabria, di Sicilia e di Paflagonia

«Et fu fait conte de Puille de li vaillant chevalier normant, et estoit apprové de Guaymere. Cestui Drogo estoit sage
232

chevalier, singule; et timoit et avoit paour de Dieu». AIMÉ DU MONT-CASSIN, Ystoire de li Normant. Édition du
manuscrit BnF fr. 688, ed. M. Guéret-Laferté, Genéve 2011, 2.34, pp. 298-299. V. D’ALESSANDRO, Fidelitas
Normannorum. Note sulla fondazione dello stato normanno e sui rapporti col papato, Palermo 1969, p. 15; H. TAVIANI-
CAROZZI, La Principauté lombarde de Salerne (IXe-XIe siècle): pouvoir et société en Italie lombarde méridionale,
Roma 1991, p. 931.
«Et Guaymere lui donna sa fille pour moillier, a cestui Drogo. Et la dota moult grandement». AIMÉ DU MONT-CASSIN,
233

2.34, p. 299; G. DE BLASIIS, La insurrezione pugliese e la conquista normanna, Napoli 1864, I p. 189.
«Et adont la paour de l'empereour estoit en lo cuer de li princes, dont ceux qui sentoient que avoient fait mal avoient
234

paour de venir a la cort de lo impereour ; et avec li conte et li baron soe vint [Guaymere] molt honorablement et
gloriousement. Et ensi come fu receu lo pere fu receu lo filz. Guaymere se glorifia en la compaingnie de li Normant, et
li Normant se magnificoient en li don de lor Prince. Drogo et Ranulfe furent glorifiez de l'empereour et mis en
possession de lor contés». AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.2, pp. 311-312. F. CHALANDON, Histoire de la domination
normande en Italie et en Sicilie, Paris 1907, I p. 113.
D’ALESSANDRO, Fidelitas Normannorum, p. 17; CHALANDON, Histoire de la domination normande, I p. 110.
235

236
CHALANDON, Histoire de la domination normande, I p. 111; G. POCHETTINO, I langobardi nell’Italia meridionale
(570-1080), Napoli s.d. ma 1930, p. 444; DE BLASIIS, La insurrezione pugliese, I pp. 186-187.
G. DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, Foggia 2000, pp. 173-175.
237

238
«Gaymere et li Normant qui furent clamés vindrent a Bonivent et servirent fidelement a lo Pape. Et proia lo pape
Guaymere et Drogo qu'il doient desfendre la cité et les enforma qu'il doient ordener que cil de la cité non soient gravé
né afflit. Drogo promet de faire ce que li pape a commandé, et a ce qu'il aie remission de ses pechiez, promet a comba
re pour la desfension de la cité de Bonivent». AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.17, p. 320.
239
DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 175; M. STROLL, Popes and Antipopes: The Politics of
Eleventh Century Church Reform, Leiden 2012, pp. 36-37.

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e figlio di Melo da Bari . Argiro era stato inviato nel sud Italia dall’imperatore di Bisanzio
240

Costantino Monomaco con ingenti ricchezze che avrebbe dovuto impiegare per corrompere i
Normanni, al fine di convincerli a rinunciare alle loro conquiste nel meridione d’Italia. I
combattenti d’oltralpe avrebbero inoltre avuto l’opportunità di arruolarsi in qualità di mercenari
nell’esercito greco, trovando un impiego remunerativo in grado di indennizzare congruamente
l’abbandono dei territori del Mezzogiorno. Nell’eventualità in cui i suddetti avessero invece
declinato le offerte del Βασιλεύς, Argiro sarebbe stato autorizzato ad usare l’oro imperiale per
annientarli . 241

Costantino era consapevole del valore militare dei propri avversari del quale aveva, per
altro, avuto prova in occasione della ribellione di Leone Tornicio, soffocata solo grazie
all’intervento di Argiro e dei contingenti normanni di stanza a Costantinopoli . Ciononostante, il
242

sovrano greco doveva conservare un certo ottimismo circa la possibilità di riprendere, in un modo o
nell’altro, i territori del sud Italia che i Normanni avevano conquistato approfittando, in buona
parte, della debolezza di un impero costretto ad impegnare notevoli risorse contro il generale ribelle
Leone Tornicio, nonchè contro i Russi, Turchi selgiuchidi e Peceneghi . Il Βασιλεύς sembrava
243

tuttavia sottovalutare il fatto che i suoi soldati, oltre ad essere stati infiacchiti dalle frequenti
campagne belliche, avevano progressivamente ridimensionato il loro ruolo militare effettivo dal
momento che, per suo stesso volere, erano stati trasformati in semplici esattori delle tasse . 244

Argiro doveva essere perfettamente a conoscenza di tale situazione, così come lo era
dell’indole bellicosa e scarsamente incline a compromessi dei propri avversari, un tempo suoi
alleati nella lotta contro i Greci in Italia . 245

È perciò altamente probabile che costui non provò nemmeno a cercare un accordo
diplomatico con costoro impegnandosi, di contro, ad organizzare, con il sostegno dei Longobardi e
degli abitanti della Puglia, una congiura che, il 10 agosto del 1051, avrebbe condotto all’assassinio
di numerosi capi normanni in quella regione . Il condottiero greco alimentò così una sorta di
246

strategia del terrore che avrebbe dovuto, negli intenti, generare un vuoto di potere tale da indebolire
ed isolare le enclavi franco-settentrionali del Sud Italia. La scomparsa di Drogone e l’eccidio degli
altri condottieri ebbero invece l’effetto di provocare un’ondata di furore che i Normanni non
esitarono a riversare, così come lo stesso pontefice Leone IX ebbe a scrivere a Costantino
Monomaco, sui possedimenti ecclesiastici . Numerosi furono coloro che si recarono dalla Puglia
247


«Hoc anno (1051, n. d. A.) Drogo occisus est monte Ilari a suo compatre Concilio, et frater eius Umfreda factus est
240

comes». Annales Barenses, ed. G.H. Pertz, Hannoverae 1844 (MGH SS V), p. 59. V. VON FALKENHAUSEN, La
dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo, trad. ital., Bari 1978, pp. 62-63. Per la
identificazione di Monte Ilari riportato nei sopracitati Annales Barenses con Montellari: Chronicon Sanctae Sophiae
(cod. Vat. Latin. 4939), ed. J.-M. Martin, Roma 2000, p. 240.
«Traditur Argiro portanda pecunia multa, Argenti multum pretiosaque vestis et aurum, Ut sic Normanni fallantur, et
241

egredientes Finibus Hesperiae, propere mare transgrediantur, Magna sub imperii famulamine promerituri. Imperat hic
etiam, quod si transire negarent, Haec aliis, illis quae danda fuere, darentur, Opprimeret quorum gravis infestatio
Gallos». GUILLAUME DE POUILLE, La geste de Robert Guiscard, ed. M. Mathieu, Palermo 1961, II p. 134. Vedi anche
DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 177.
DE BLASIIS, La insurrezione pugliese, I p. 204.
242

DE BLASIIS, La insurrezione pugliese, p. 208. J.-C. CHEYNET, L’espansione bizantina durante la dinastia macedone
243

(867-1057), in Il mondo bizantino II. L’Impero bizantino (641-1204), cur. J.-C. Cheynet, trad. ital., Torino 2008, pp.
29-46, qui pp. 48-49.
244
C. OZANALP, Constantine Monomachos' Role in the Eleventh Century Crisis of the Byzantine Empire, Thesis
University of Manitoba, Winnipeg 2008, p. 71.
G. GAY, L'Italie méridionale et l'Empire byzantin depuis l'avènement de Basile 1 jusqu'à la prise de Bari par les
245 er

Normands (867-1071), Paris 1904, pp. 450-453.


DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 179.
246

«Videns indisciplinatam et alienam gentem incredibili et inaudita rabie, et plusquam pagana impietate adversus
247

Ecclesias Dei insurgere, passim Christianos trucidare, et nonnullus novis horribilibusque tormentis usque ad
defectionem animae affiligere, nec infanti, aut seni, seu foeminae fragilitati aliquo humanitatis respectu parcere, nec
inter sanctum et profanum aliquam distantiam habere». La vie du Pape Léon IX (Brunon, évêque de Toul), ed. M.
Parisse - M. Goullet, Paris 2009, p. 136. V. SIBILIO, I Normanni e il Papato. Strategie politiche della Santa Sede verso

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alla corte del pontefice, per denunciare le atrocità consumate dagli uomini del Nord a danno delle 248

popolazioni autoctone. La strategia del terrore inaugurata da Argiro sembrava avere funzionato ma,
anziché svilire i guerrieri franco-settentrionali, ebbe l’effetto di renderli ancora più spietati. I
Normanni erano atterriti all’idea di dovere subire prima o poi la tragica sorte toccata ai loro
condottieri. Essi cominciarono verosimilmente a vedere nemici dappertutto e la ferocia che
riversarono sugli abitanti della Puglia rimase l’unica arma di ‘dissuasione di massa’ a loro
disposizione.
Come era prevedibile, la di loro condotta suscitò le ire del pontefice il quale, istigato da
Argiro , stigmatizzò la condotta dei Normanni, colpevoli di non avere rispettato il patto di
249

difendere Benevento e di avere usurpato le terre ed i diritti della Chiesa in Puglia e nel Meridione
d’Italia . Dopo averli perciò chiamati invano per ben tre volte a restituire il maltolto, Leone scagliò
250

contro di loro il suo anatema, decretando di cacciarli con la forza delle armi . 251

I Normanni si trovarono così in una posizione critica, che ebbe ulteriormente ad aggravarsi a
seguito dell’assassinio del loro più importante protettore e sostenitore: Guaimario di Salerno.
Quando il 2 giugno del 1052 questi accorse per fare cessare i saccheggi perpetrati dai ribelli
amalfitani nell’hinterland salernitano, i suoi uomini si rifiutarono di combattere contro gli
aggressori . 252

Secondo la vivida descrizione di Amato di Montecassino, Adenolfo, il più giovane dei


quattro cognati di Guaimario, lo atterò con un colpo di lancia mentre gli altri lo finirono ferendolo
ripetutamente fino a cagionarne la morte . Non sarebbe improbabile che tale azione fosse stata in
253

qualche modo favorita da Argiro. Lo sfortunato principe longobardo era del resto intervenuto, nel
maggio di quell’anno, per impedire la formazione di una lega antinormanna che aveva già raccolto
l’adesione dei signori di Gaeta, di Valva, della Marca Fermana, dei Marsi e forse anche quella del 254

duca di Napoli, dal momento che, dopo il fallimento di una preliminare offensiva militare contro i


gli uomini del Nord, in La Capitanata e l’Italia Meridionale nel secolo XI da Bisanzio ai Normanni, cur. P. Corsi - G.
De Venuto, Bari 2011, pp. 29-43 qui pp. 33-34.
«Multi ex Apuliae finibus veniebant oculis effossis, naribus abscissis, manibus pedibusque truncatis, de
248

Normannorum crudelitate miserabiliter conquerentes». Brunonis Episcopi Signini libellus de symoniacis, ed. E. Sackur,
Hannoverae 1892, MGH LL II, p. 550. DE BLASIIS, La insurrezione pugliese, I pp. 236-237.
DE BLASIIS, La insurrezione pugliese, I p. 237.
249

Le devastazioni perpetrate nei confronti dei beni della Chiesa continuarono tuttavia anche dopo che i guerrieri franco-
250

settentrionali ebbero consolidato, a seguito della vittoriosa battaglia di Civitate, il loro dominio nell’Italia meridionale.
Basti pensare che, nel 1061, lo spatharokandidatos Giovanni, proprietario terriero in Lucania, donò un monastero
diroccato all’abate Ilario di Carbone, lamentandone la distruzione perpetrata da banditi normanni. J. DEAS - D. J.
MORTON, Tam Grecos quam Latinos. A Reinterpretation of Structural Change in Eastern-Rite Monasticism in Medieval
Southern Italy, 11th-12th Centuries, Thesis Queen’s University Kingston, Ontario, Canada, 2011, pp. 45-46. A
proposito delle complesse relazioni intrecciate dal pontefice con i Normanni nel meridione d’ Italia e per un analisi
comparativa delle fonti, H. TAVIANI-CAROZZI, Léon IX et les Normands d'Italie du Sud, in Léon IX et son temps, cur. B.
Bischoff – B. Tock, Turnhout 2006, pp. 299-329.
DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, pp.184-185.
251

252
«Guaymarius princeps a suis occisus est .II. die intrante mense Iunio». Gli Annales Beneventani, «Bullettino
dell’Istituto Storico Italiano e Archivio Muratoriano», ed. O. Bertolini, 42 (1923), p. 138; M. SCHIPA, Il Mezzogiorno
d’Italia anteriormente alla Monarchia; Ducato di Napoli e Principato di Salerno, Bari 1923, pp. 166-167; C. STANTON,
The Battle of Civitate: A Plausible Account, «The Journal of Medieval Military History», 11, 2013, pp. 25-55, qui p. 33.
«Et li Amalfitain o vaissel armez vont par mer aprés la ripe de Salerne, et commencerent la bataille. Et li chevalier de
253

Salerne vont contre lo navie à la rippe. Et li principe commanda que li chevalier qui lo devoient occirre desfendissent la
rippe, et ceuz virent Guaymere o cellui qui lui portoient l'arme: estoit sol entre eaux. Et demanda li pour quoi avoient
juré de occidere lo, et ceuz lo negarent. Et lo prince manechia, Li chevalier prioient et prometent a lo principe de cercier
lo en cellui jor et crierent: «Soit occis cil qui ci veut ce[r]care!». Et [de] li quatre freres de la moillier, Landulfe, plus
jovene de touz, premerement estendi la main et lo feri de la lance. Et puiz tuit cil qui la estoient, en celle ligue, lo
ferirent, et si qu'il rechut trente et sex feruez». AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.28, pp. 327-328. Vedi anche DE BLASIIS, La
insurrezione pugliese, I p. 233.
«Et adont corurent a l'arme et as lances, et assemblerent de Gaiete, de Valbine et de la Marche. I sont ajoint homes de
254

Marsi, et de autres contrees». AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.24, p. 324.

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franco-settentrionali, il pontefice trovo rifugio in quella città . Guaimario sosteneva apertamente i


255

Normanni tanto che, dopo l’assassinio di Drogone, si era portato rapidamente in Puglia per assistere
alla elevazione comitale del di lui fratello Umfredo . Come se ciò non bastasse, il principe aveva
256

dato in sposa a Roberto Drengot, figlio del signore di Aversa, Riccardo, la propria nipote ovvero la
figlia dello stesso Drogone.
Dal canto loro, i Normanni di Umfredo e dello stesso Riccardo aiutarono il figlio di
Guaimario a ritornare sul trono di Salerno, dopo aver scacciato con la forza delle armi i ribelli dalla
città. L’intervento dei cavalieri transalpini non scaturì, tuttavia, dalla lealtà che essi nutrivano nei
riguardi del loro defunto sostenitore. Per i loro servigi il nuovo principe Gisulfo II dovette infatti
versare loro una lauta ricompensa che assunse, ben presto, il valore di un vero e proprio tributo.
Egli si impegnò inoltre a donare un castello a Guglielmo (altro fratello di Umfredo) ed a restituire, a
detrimento del fratello del padre, Guido, il ducato di Sorrento al suo antico signore spodestato da
Guaimario e divenuto nel frattempo cognato del nuovo conte di Puglia . 257

Frattanto il pontefice, più che mai deciso ad annientare la potenza normanna in Italia, si recò
in Germania per richiedere l’ausilio dell’Imperatore Enrico III. La figura di Leone è di cruciale
importanza dal momento che egli fu il primo papa a svolgere mansioni ordinate di reclutamento ed
organizzazione degli eserciti. Pur restando lontano dall’impiego personale delle armi, inaugurò una
nuova politica di stampo liturgico-militarista che Urbano II riprenderà e perfezionerà, scavalcando
il modello monastico-guerresco fornitogli da Gregorio VII il quale caldeggiò, di contro, almeno la
presenza, se non anche il combattimento in prima persona sul campo di battaglia. D’altro canto, la
vicinanza al mondo bellico di Leone risaliva ai tempi del suo diaconato a Toul, quando dovette
occuparsi degli affari militari della sua diocesi, conservando tale impegno anche quando acquisì la
dignità vescovile . Con il viaggio in Germania, il pontefice riuscì preliminarmente ad ottenere
258

dall’imperatore Enrico un grosso esercito che fu però rapidamente richiamato in patria, su consiglio
del cancelliere Gebhard di Eichstätt (destinato a succedere al papa con il nome di Vittore II) . 259

Quest’ultimo evidenziò la necessità di garantire la sicurezza dell’impero in Bavera e fu così che


Enrico lasciò a Leone un relativamente esiguo contingente militare, composto da alcune centinaia di
cavalieri (fra le 300 e le 700 unità) dalla reputazione non esattamente adamantina . Il pontefice si
260 261

ritrovò perciò a sostenere il viaggio di ritorno verso l’Italia, accompagnato da contingenti messi a


«Més li Pape fu leissié de sa gent et s'en torna a Naple»: AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.25, p. 325. SCHIPA, Il Mezzogiorno
255

d’Italia anteriormente alla Monarchia, p. 166; DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p.186.
SCHIPA, Il Mezzogiorno d’Italia anteriormente alla Monarchia, p. 166.
256

SCHIPA, Il Mezzogiorno d’Italia anteriormente alla Monarchia, p. 168.


257

Su tutto, V. SIBILIO, La battaglia di Civitate e la formazione dell’idea di crociata, in Archeoclub d'italia Sede di San
258

severo, Atti del 24° Convegno Nazionale sulla preistoria - protostoria – storia della Daunia, cur. A. Gravina, San
Severo 2004, pp. 115-124, qui pp. 117-118.
W. HUSCHNER, Vittore II, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, pp. 162-166.
259

260
Amato riferisce che il contingente germanico era composto da 300 uomini: «et quant lo Pape vit que lo prince
Guaymere estoit mort, loquel estoit en l'ayde de li Normant, se appareilla de destruire li Normant. Il asembla plus de
gent qu'il n'avoit avant, et avoit o lui CCC Todesque, et comensa a venir contre li Normant»: AIMÉ DU MONT-CASSIN,
3.37, p. 332. Leone da Ostia scrive invece che i tedeschi erano 500: «plus quingentos secum Lotheringos, bellicosos
valde viros adduxit». Die Chronik von Montecassino, ed. H. Hoffmann, Hannover 1980, (MGH, SS 32), 2.84, nota a.
Guglielmo di Puglia che sembrerebbe essere quello maggiormente informato sui fatti, parrebbe inizialmente confermare
l’esigua consistenza numerica di tali truppe, salvo poi attestare che queste contassero 700 unità, accompagnate da
numerosi ausiliari: «Gens Alemannorum stipata satellite multo […]. Guarnerus Teutonicorum Albertusque duces non
adduxere Suevos plus septingentos». GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 140; M. FUIANO, La battaglia di Civitate (1053),
«Archivio Storico Pugliese», 2, 1949, pp. 124-133, qui p. 126.
«Secuti sunt autem eum plurimi Theutonicorum, partim iussu dominorum, partim spe quaestus adducti; multi etiam
261

scelerati et protervi, diversasque ob noxas patria pulsi. Quos ille omnes, tum consuetae misericordiae nimia
compassione, tum etiam quia opera eorum ad imminens videbatur bellum indigere, clementer et gratanter»: HERMANNI
CONTRACTI, Chronicon, ed. P.A. Ussermann, in PL, CXLIII, col. 259; DI PERNA, La conquista normanna della
Capitanata, p. 192; SIBILIO, La battaglia di Civitate, p. 120.

73
74

sua disposizione da parenti ed amici, da combattenti degni e da una accozzaglia di fuorilegge che
avevano abbandonato la Germania per sottrarsi alla giustizia imperiale . 262

Tornato nella Penisola, il papa trascorse la pasqua del 1053 a Roma celebrando un sinodo
contra Normannos ed in maggio guadagnò prima Montecassino e successivamente Benevento,
263

incassando, in itinere, il sostegno di nobili longobardi alla propria causa . E l’esercito 264

clavesignato continuò ad infoltire le proprie fila grazie all’apporto di contingenti provenienti da


Fermo, Ancona, Spoleto, Roma, dal principato di Capua e dalla stessa Benevento . Tra i potentes 265

longobardi che risposero all’appello del pontefice vi furono il duca Atenolfo di Gaeta, i conti
Lando d’Aquino e Landolfo di Teano, Roffredo di Guardia, Roffredo di Lusensa, Malfrido di
Campomarino (località a 6 km da Termoli), accompagnato dai fratelli Trasmundo ed Atto, oltre alla
famiglia Borrello, che governava la valle abruzzese di Sangro . La più che significativa presenza di
266

Longobardi nella coalizione pontificia dimostrava come i Normanni fossero oramai invisi agli occhi
dei loro passati sostenitori i quali, dal canto loro, dovevano nutrire legittime preoccupazioni circa il
pericolo di vedere, prima o poi, le loro terre fagocitate da quei predoni. Aderendo alla coalizione
creata da Leone, i principi longobardi speravano allora di sbarazzarsi definitivamente dei
transalpini, ricostituendo quella sorta di ancien régime, che era stato scompaginato dalla di loro
violenza.
Le truppe radunate dal papa erano, del resto, di gran lunga più numerose di quelle di
Umfredo e la loro entità sarebbe stata ulteriormente accresciuta dai contingenti greci che si
trovavano a Siponto agli ordini di Argiro . L’esperienza di quest’ultimo, che aveva una perfetta
267

conoscenza delle tattiche di guerra adottate dai Normanni, sarebbe stata sicuramente determinante
per l’esito finale dello scontro. Tuttavia, se dobbiamo credere alla testimonianza dell’Anonimo
Barese, Argiro fu rapidamente neutralizzato dai Normanni che lo sconfissero nei pressi di Siponto.
Nel frattempo, le truppe pontificie si concentrarono a Sala (nel salernitano) e da tale località si
268

diressero verso il Fortore, accampandosi non lontano dal torrente Staina . Il 10 e l’11giugno del
269

1053, ebbe così inizio l’invasione della Puglia da parte dell’esercito di Leone . Umfredo, dal canto
270

suo, non desiderava affatto uno scontro in campo aperto per diverse ragioni.
Egli era consapevole che avrebbe dovuto affrontare un esercito di gran lunga più numeroso
del proprio. L’Altavilla aveva perduto per sempre la protezione degli ex alleati longobardi i quali
non solo sostenevano apertamente il pontefice, ma erano pronti ad accettare compromessi con i loro
antichi nemici, ovvero con i Bizantini, pur di sbarazzarsi una volta per tutte della ingombrante
presenza normanna. Inoltre, Umfredo ben sapeva che se fosse stato sconfitto in battaglia, la gens
Normanorum sarebbe stata costretta ad abbandonare definitivamente l’Italia e forzata a ritornare in
patria o a cercare a Bisanzio un ingaggio mercenario nell’esercito imperiale.


«Tunc autem imperator misit cum illo viros fortissimos et honoratos, qui cum beatissimo Leone Beneventum
262

pergerent et populum fidelem ab oppressione liberarent. Reversus est autem sanctissimus apostolicus et Apulia partibus
pergens cum magno exercitu»: A. PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon IX, «Analecta Bollandiana», 25, 1906,
pp. 284-285.
«Dominus papa, habita post Pascha synodo contra Normannos, ut proposuerat, exercitum movit» : HERMANNI
263

CONTRACTI, Chronicon, col. 260.


STANTON, The Battle of Civitate, p. 34.
264

«Huc quoque Romani, Samnites et Capuani Auxilium mittunt, nec opes Ancona negavit. Huc Spoletini, simul
265

accessere Sabini, Huc quoque Firmani»: GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 141.


«Italiae populo, qui se sociaverat illis, Germani comites praesunt Trasmundus et Atto, Et Burrellina generosa
266

propagine proles. Hi simul ad bellum properant, Campique Marini Accola Malfredus, Molinensisque Rodulfi Rofredus
socer huius castrum Gardia nomen Et plures alii, quorum non novi». GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 141. Vedi altresì
STANTON, The Battle of Civitate, p. 35; GAY, L'Italie méridionale et l'Empire byzantin, p. 487.
STANTON, The Battle of Civitate, p. 36.
267

DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 195; STANTON, The Battle of Civitate, p. 36; FUIANO, La
268

battaglia di Civitate (1053), p. 126.


DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 195.
269

DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 196.


270

74
75

A queste ed a tante altre riflessioni dovette forse abbandonarsi il condottiero normanno, il


quale non perse tempo a richiamare dalla Calabria il fratello Roberto il Guiscardo . Quest’ultimo 271

disponeva di 200 cavalieri forniti da Gerardo di Buonalbergo, nipote di sua moglie Alberada e di 272

combattenti slavi, probabilmente bulgari disertori dell’esercito greco provenienti dall’Epiro che gli
erano fedelissimi come fratelli . Al fianco di Umfredo si schierò anche Riccardo di Aversa il quale,
273

pur appartenendo a quella famiglia - i Drengot Quarrel - che si contendeva con gli Altavilla il
dominio del meridione d’Italia, non esitò ad accorrere in Puglia in aiuto del conte per la difesa della
comune, adquisita patria . La Normannitas finì così per prevalere ed unire coloro che erano
274

divisi . Doveva tuttavia esservi un relativo ottimismo circa l’esito dello scontro, almeno da parte di
275

Riccardo di Aversa. Egli acconsentì infatti a combattere, anche perché nutriva mire espansionistiche
nei confronti di Siponto e del Gargano, terre che riteneva gli spettassero di diritto dal momento che
erano, già dal 1042, appannaggio di suo zio Rainulfo . 276

Le sue truppe dovevano essere inoltre le più preparate poiché Aversa era stata, già da lungo
tempo, tramutata in una sorta di piazzaforte capace di dare ricetto a quanti, agli albori del secolo XI,
erano emigrati dalla Francia alla volta dell’Italia . Nondimeno, anche Umfredo poteva contare su
277

alcuni illustri veterani come i fratelli Gualtiero e Petrone Amico, rispettivamente signori di Lesina e
di Trani, i quali avevano guerreggiato al suo fianco fin dal 1041, quando i Normanni avevano
occupato Melfi, trasformandola nella loro base operativa e di manovra . Gualtiero era stato l’eroe
278

della battaglia di Montepeloso (3 settembre 1041) e tenne Lesina in nome dell’imperatore Errico,
fino a quando quest’ultimo non decise di schierarsi apertamente con Leone IX . Il summenzionato 279

signore normanno era interessato ad espugnare Civitate (assegnatagli dieci anni prima sulla carta da
Guaimario di Salerno) e riteneva che l’alleanza con Umfredo gli avrebbe consentito di realizzare i
280

propri disegni. Tuttavia egli non intendeva solo ampliare le proprie conquiste, dovendo altresì


C. HERVÉ-COMMEREUC, La Calabre dans l'État normand d'Italie du Sud (XIe-XIIe siècles), «Annales de Normandie»,
271

45, 1995, pp. 3-25.


STANTON, The Battle of Civitate, p. 37.
272

«Guiscardus, usque ad sexaginta, quos Sclavos appellant, totius Calabriae gnaros, secum habens, quos quasi fratres
273

fidelissimos sibi benefactis et maioribus promissis effecerat, sciscitatus est ab eis utrum locum adibilem scirent, quo
praedam tuto posset capi»: GEOFFROI MALATERRA, Histoire du Grand Comte Roger et de son frère Robert Guiscard,
livres I-II, ed. M.-A. Lucas-Avenel, Caen 2016. G. AMATUCCIO, Fino alle mura di Babilonia. Aspetti militari della
conquista normanna del Sud, «Rassegna Storica Salernitana», 15, 1998, pp. 7-49, qui p. 38. A proposito della
provenienza epirota degli Slavi al servizio del Guiscardo: G.A. LOUD, The Latin Church in Norman Italy, Cambridge
2007, p. 17.
«En 1053, ceux qui s'étaient déjà installés à Aversa, en Campanie, depuis 1030, ceux de Pouille alors commandés par
274

Onfroi de Hauteville, et ceux de Calabre regroupés derrière le Guiscard faisaient front commun pour conserver leur
adquisita patria – expression du chroniqueur Hermann de Reichenau». TAVIANI-CAROZZI, Léon IX et les Normands
d'Italie du Sud, p. 299.
A proposito del concetto di Normannitas quale elemento identificativo del profilo identitario dei cavalieri del Nord,
275

N. WEBBER, The Evolution of Norman Identity, 911-1154, Woodbridge 2005, pp. 19-22; C. POTTS, ‘Atque unum ex
diversis gentibus populum effecit: Historical Tradition and the Norman Identity, in Anglo-Norman Studies. XVIII,
Woodbridge 1996, pp. 139-152; G.A. LOUD, ‘The Gens Normannorum – myth or reality?, in Anglo-Norman Studies.
IV, Woodbridge 1982, pp. 104-16.
«Et anchoiz que venissent a la division, quar non avoient oblié lo benefice de lo conte Raynolfe, si regarderent de lo
276

glorifier de celle cose qu'il avoient conquesté, et li proierent qu'il deust recevoir la cité de Syponte - qui maintenant est
clamée Manfredone -, et Mont de Gargane, liquel lui est après, - en loquel mont, en haut, est l'eglize de Saint Michiel
archange; laquelle non fu consacree de main de evesque, mes li archangele la consecra en son nom, comme lit et tient
la sainte Ecclize de Dieu -, et deuïsse recevoir cestui mont et toz li chastel d'en||tor. Et lo conte rechut ce que de li fidel
normant de bone volenté lui fu donné». AIMÉ DU MONT-CASSIN, 2.29, p. 293. STANTON, The Battle of Civitate, p. 38.
F. PORSIA, I segni sul territorio. Città e fortificazioni, in I caratteri originari della conquista normanna, in I caratteri
277

originari della conquista normanna. Diversità e identità nel Mezzogiorno (1030- 1130), cur. R. Licinio - F. Violante,
Bari 2006, pp. 217-249, qui p. 229. DE BLASIIS, La insurrezione pugliese, I p. 120.
G. DI PERNA, Gli Amico e le rivolte dei conti Normanni di Puglia contro gli Altavilla, Apricena 2010, pp. 24-38 e p.
278

49.
G. DI PERNA, I conti Normanni di Lesina e Civitate. Origini, famiglie, testimonianze, Apricena 2013, p. 39.
279

DI PERNA, Gli Amico e le rivolte dei conti Normanni, p. 34-35.


280

75
76

difendere l’integrità territoriale della contea di Lesina dai confinanti conti di Larino, Manfrido di
Campomarino, Roffredo de Guardia e Rodolfo di Molise, militanti nella coalizione papale . 281

Gualtiero si trovò perciò al fianco di Umfredo e con questo vi fu con buona probabilità anche il
figlio Petrone, omonimo dello zio, al quale sarebbe in seguito passata l’eredità paterna . Secondo 282

Guglielmo di Puglia, l’esercito del conte di Puglia poteva contare complessivamente su tremila
cavalieri ed un esiguo numero di fanti . 283

Il numero dei combattenti a cavallo è probabilmente esagerato, mentre il ridimensionamento


della fanteria sembra decisamente sospetto. Sarebbe invece maggiormente verosimile che
Guglielmo, avendo composto il proprio poema fra il 1095 ed il 1099 , possa essere stato 284

influenzato dai progressivi mutamenti militari che, anche a seguito della epopea crociata, avevano
dato maggiore risalto alle gesta dei combattenti a cavallo, quale espressione dei ceti dominanti del
tempo. Senza volere naturalmente minimizzare l’apporto delle truppe montate, nel 1053 il ruolo
delle fanterie in Europa era ancora determinante. Ciò sembrerebbe dimostrato dall’abitudine degli
uomini d’arme di origine germanica di pervenire nelle zone di guerra a cavallo, per poi ingaggiare i
combattimenti appiedati, consuetudine, per altro, seguita dagli Inglesi in occasione della celebre
battaglia di Hastings del 1066 . Qualunque fosse la reale consistenza dell’esercito franco-
285

settentrionale, le truppe normanne provenienti da Aversa e dalla Calabria si congiunsero ad


Umfredo fra Siponto ed Ascoli Satriano . Il conte aveva già sbaragliato con l’ausilio di Petrone da
286

Trani, Argiro il quale, ferito nel corso dei combattimenti, era stato costretto a ripiegare da Siponto
verso Vieste, ovvero a più di 100 km di distanza dal luogo presso il quale il pontefice intendeva
incontrare in battaglia i Normanni: Civitate . 287

L’anonimo barese evidenzia che lo scontro fra Umfredo ed Argiro si verificò nel 1052 ma è
opinione dello scrivente che tale datazione debba essere riveduta e postdatata alla primavera,
probabilmente inoltrata, del 1053. Era infatti quella la stagione nella quale, per costume
consolidato, i signori muovevano i loro eserciti per le operazioni militari. Sembrerebbe perciò più
che probabile che, a quel tempo, Umfredo si trovasse in Capitanata in attesa dell’invasione della
regione da parte delle truppe papaline. Non è infatti improbabile che egli temesse uno
sconfinamento da parte dei contingenti dei signori di Larino che avrebbero potuto minacciare
Lesina, città, questa, nei pressi della quale esistevano numerosi torrenti, utili ad assicurare
approvvigionamenti di acqua dolce per uomini ed animali. Umfredo doveva forse credere che la
penetrazione in Puglia del grosso dell’esercito di Leone, sarebbe avvenuta partendo dall’attuale
Campania. Sbarrando ai signori longobardi provenienti dal Molise l’accesso al nord della Puglia e
cercando lo scontro campale con Argiro, costretto a ripiegare verso Vieste, l’Altavilla si liberò così
del pericolo di un prevedibile accerchiamento. La sconfitta ed il conseguenziale ritiro verso Vieste,
fanno presupporre che Argiro, ferito ed al comando di un esercito stremato, avesse il solo interesse
a mantenere le posizioni, dal momento che non risulta che l’Imperatore Costantino Monomaco
avesse in animo di inviare ulteriori rinforzi. Ciò sarebbe attestato dalla testimonianza di Guglielmo
di Puglia il quale riferisce che le forze a disposizione del figlio di Melo non erano sufficientemente
numerose per scacciare i Normanni . Non sarebbe quindi inverosimile credere che egli non avesse
288

alcuna intenzione di accorrere in aiuto del papa, ritenendo che l’esercito guidato da quest’ultimo,

DI PERNA, Gli Amico e le rivolte dei conti Normanni, p. 49.
281

DI PERNA, I Conti Normanni di Lesina e Civitate, p. 40 e pp. 46-47.


282

«Vix proceres istos equites ter mille sequuntur, et pauci pedites». GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 139.
283

284
G.A. LOUD, Southern Italy in the Eleventh Century, in The New Cambridge Medieval History c. 1024, c. 1198, cur.
D. E. Luscombe - J. Riley-Smith, IV, Cambridge 2004, II pp. 94-119, qui p. 98.
«Omnes descendunt et equos post terga relinquunt»: The Carmen de Hastingae Proelio of Guy bishop of Amiens, ed.
285

F. Barlow, Oxford 1999, p. 22, v. 377.


FUIANO, La battaglia di Civitate (1053), p. 127.
286

«Et Argiro ibit in Siponto per mare. Deinde Umfreda & Petrone cum exercitu Normannorum super eum & fecerunt
287

bellum & ceciderunt de Longobardi ibidem. Ipse Argiro semivivus exiliit pagatus, & ivit in civitate Vesti». ANONYMUS
BARENSIS, Chronicon, p. 152, Anno 1052.
288
«Copia tanta quidem, quibus hi non marte repugnent». GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 146.

76
77

numericamente soverchiante rispetto a quello di Umfredo, avrebbe potuto in un modo o nell’altro


sconfiggere i Normanni indipendentemente dal suo ausilio. Solo a cose fatte, Argiro sarebbe
intervenuto per assorbire quanto restava dei guerrieri del Nord nell’esercito imperiale, riuscendo a
compiere la missione che gli era stata assegnata dal suo signore con il minimo sforzo e, soprattutto,
senza rischiare l’incolumità sua e dei propri soldati. E fu così che, dopo la battaglia di Civitate e
dunque dopo la sconfitta delle armate pontificie, Argiro abbandonò Vieste e fece ritorno a Bari, non
prima di avere preso atto dell’impossibilità di sconfiggere i Normanni o di corromperli . 289

Ignaro delle manovre dei Greci, il papa giunse nel frattempo in Puglia con il suo esercito che
si accampò nei pressi del Fortore , non lontano dalla odierna masseria Tre Fontane (poco fuori
290

l’attuale San Paolo a Civitate). I Normanni disposero invece i loro attendamenti a qualche
chilometro di distanza, in posizione frontale rispetto a questi, essendo i due eserciti separati solo da
due colline, la più importante delle quali è oggi nota come collina di Laso . Rilievi personalmente
291

fatti dallo scrivente hanno consentito di individuare con una certa precisione i luoghi della battaglia.
Partendo dal comune di San Paolo in Civitate in direzione nord-ovest, si segue la strada statale 16
che, all’incirca dopo 3 chilometri, si interseca in direzione ovest con la strada provinciale 9,
conosciuta anche come strada vicinale Tre Fontane. Nel corso del tragitto è possibile scorgere a
nord (sulla destra) l’altura sulla quale sorgeva la bizantina Civitate , mentre la strada provinciale 9
292

ed il proseguimento della statale 16 attraversano ciò che resta del campo di battaglia, ripartendolo
in due tronconi parallelamente al corso del torrente Staina.
A est, in direzione di San Paolo a Civitate, è possibile scorgere due colline fra le quali quella
cosiddetta di "Laso" sulla quale sorge la moderna Torre Venditti e dietro la quale i Normanni
posero i loro attendamenti. Le due alture degradano dolcemente a valle verso la piana di Ischia-
Staina , sulla quale le due armate si sarebbero scontrate. In direzione ovest, tale distesa
293

pianeggiante è attraversata dallo Staina, affluente del Fortore, che scorre a Nord. Odiernamente, il
corso di tale fiume è stato considerevolmente ristretto dalla presenza della diga di Occhito, che ha
generato l’omonimo lago artificiale. Nel Medioevo il letto del Fortore aveva invece maggiore
estensione e le sue acque, unitamente a quelle dello Staina, furono quelle che approvvigionarono di
acqua l’esercito di Leone IX. La zona si presenta oggi spoglia e ricoperta, in prossimità del Fortore,
da ampia vegetazione, pallido simulacro dei boschi che un tempo dominavano la regione . 294

L’insistenza in loco di ampie aree forestali fu molto probabilmente di grande utilità per le armate
papali, che ebbero la possibilità di trovare riparo alla calura dell’incipiente estate fra le ombre ed il
fresco degli alberi.
L’Anonimo beneventano riferisce che il pontefice inviò ambasciatori con profferte di pace per i
Normanni , mentre Amato di Montecassino e Guglielmo di Puglia sostengono che furono invece
295

gli stessi Normanni a ricercare, in extremis, un’intesa con Leone . La prima fonte citata risulta
296


«Nec erat Argiro, nec eos promissa movere Ut fines alios peterent, vel dona valebant. Hoc meditans Bari dimissa
289

transfretat urbe». GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 146.


«Ad ripam fluminis omnes Nomine Fertorii tentoria fixca locarant». GUILLAUME DE POUILLE, II, pp. 141-142.
290

DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 197. Per una descrizione approfondita delle zone limitrofe al
291

luogo dello scontro, V. RUSSI, Da Teano Apulum a Civitate. Ricerche topografiche e archeologiche, «Archivio Storico
Pugliese», 42, 1989, pp. 153-168.
292
E. ANTONACCI SANPAOLO - L. QUILICI, Tiati-Teanum Apulum-Civitate: topografia storica del territorio, in 15°
Convegno Nazionale sulla Preistoria-Protostoria-Storia della Daunia, cur. G. Piccaluga, San Severo 1995, pp. 81-92,
qui pp. 89-90.
DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 203.
293

294
P. FAVIA, Dalla frontiera del Catepanato alla Magna Capitana: evoluzione dei poteri e modellazione dei quadri
insediativi e rurali nel paesaggio della Puglia settentrionale fra X e XIII sec., «Archeologia Medievale», 37, 2010, pp.
197-214: S. PATITUCCI UGGERI, La viabilità di terra e d’acqua nell’Italia medievale, in La viabilità medievale in Italia.
Contributo alla carta archeologica medievale, cur. S. Patitucci Uggeri, Firenze 2002, pp. 1-72.
ANONIMO BENEVENTANO, In vita et obitus S. Leonis Noni Pape, in S. BORGIA, Memorie istoriche della pontificia cittá
295

di Benevento dal secolo VIII. al secolo XVIII, Roma MDCCLXIV, p. 318.


296
AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.39, p. 333 ; GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 136.

77
78

esplicitamente filo-papale, atteso l’impiego di espressioni anti-normanne , mentre le restanti, come


297

è noto, sono favorevoli ai franco-settentrionali.


Fingendo di ignorare che fosse stato il successore di Pietro a dichiarare guerra ad Umfredo,
l’Anonimo beneventano sostenne che il pontefice tentò, fino all’ultimo, di evitare lo scontro
militare. L’apertura di trattative di pace con i Normanni si sarebbe infatti rivelata utile, dal
momento che queste avrebbero avuto lo scopo di guadagnare tempo in modo da consentire ad
Argiro che, secondo la testimonianza dell’Anonimo beneventano si trovava a Siponto , di 298

raggiungere Civitate prima dell’inizio delle ostilità. Leone non aveva in realtà alcuna intenzione di
raggiungere soluzioni diplomatiche al conflitto, dal momento che i Normanni non solo avevano
osato sfidare la sua autorità attaccando Benevento, ma si erano comportati con pagana impietate,
nei confronti dei beni ecclesiastici. Era invece Umfredo a desiderare la pace, temendo, più di tutti,
la fama di valenti guerrieri dei mercenari germanici. Egli ignorava l’esatta consistenza numerica di
tali combattenti e quando inviò messaggeri al papa alla ricerca di un accordo, dovette essere
alquanto sollevato nell’apprendere che costoro erano molto meno di quanto egli immaginasse . 299

Il conte di Puglia accettò così lo scontro armato, dal momento che non tardò a comprendere che il
papa era intenzionato a farla finita, una volta per sempre, con i Normanni in Italia . Leone si 300

preparò alla battaglia, designando quale suo gonfaloniere Rodolfo di Altenburg ; impartì allora una301

indulgenza plenaria alle truppe, facendo in modo che tutti potessero comunicarsi prima di
combattere . Da questo momento in poi, i suoi uomini non furono più dei semplici combattenti ma,
302

come sottolineato da Bruno da Segni, assunsero lo status di soldati di Cristo, affiliati ad un sacro
esercito . Il pontefice aveva d’altronde rimesso loro i peccati e ciò gli avrebbe dato ‘licenza di
303

uccidere’, con la certezza di guadagnare il paradiso sia nel caso in cui fossero risultati vincitori, che
nell’eventualità in cui fossero caduti perché, in tale caso, sarebbero stati ricordati come una sorta di
martiri e santi della chiesa . 304

Leone era convinto di avere Dio dalla propria parte, dal momento che era stato costretto alla
mobilitazione armata per umiliare la superbia dei Normanni, resisi responsabili di ogni genere di
atrocità a danno delle popolazioni civili . La bontà delle ragioni vantate, non sopravanzava tuttavia
305

la capacità di giudizio circa il reale valore delle proprie truppe che doveva essere, fatta eccezione
per i contingenti germanici, mediamente scarso. La superiorità numerica e verosimilmente anche la
fede nell’aiuto celeste lo resero comunque ottimista, tanto da lasciarsi convincere ad accettare lo
scontro, senza attendere oltre il sopraggiungere di Argiro. Il papa non poteva tuttavia immaginare
che il tradimento serpeggiasse già nel proprio campo e che qualcuno tramasse nell’ombra, per
volgere le sorti della battaglia a favore di Umfredo. Come sostenuto dal Di Perna, i negoziati di

297
A tal proposito, vedi A. VUOLO, Agiografia Beneventana, in Longobardia e longobardi nell'Italia meridionale: le
istituzioni ecclesiastiche, cur. G. Andenna - G. Picasso, Milano 1996, pp. 199-238, qui pp. 235-236.
ANONIMO BENEVENTANO, pp. 318-319: «erat enim tunc temporis, Argirus quidam Siponti; quem costantinopolitanus
298

imperator principem constituerat Apulie cujus venerabilis leo auxiauxilium tam in armisquam in militibus habere
cupiebat».
«Teutonici populi non copia magna videtur»: GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 138; FUIANO, La battaglia di Civitate
299

(1053), p. 129.
DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 199.
300

301
Ovvero il Roberto di Octomarset, ricordato da AMATO DI MONECASSINO, 3.39, p. 152. Per l’identificazione con
Rodolfo di Altemburg, P. NUSS, Les regestes des comtes de Habsbourg en Alsace avant 1273, Altkirch 2005, p. 89.
«Et li pape avec li evesque sallirent sur lo mur de la cité ; et regarda à la multitude de ses cavaliers pour les absolvere
302

de lor pechiez, et pardonna [et ordonna ?] la penance que pour lor pechié devoient faire, et lor fait la croiz et lo[r]
commanda de boche qu'il alent combatre»: AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.40, p. 334.
303
«Ecce subito fama volat, repletur terra narrat ubique praelium esse factum, Christi milites et sanctorum exercitum
superatum»: Brunonis Episcopi Signini libellus de symoniacis, p. 550.
304
«Galli vero nimis preliantes et multos occiderunt, et ipsi propter fidem Christi ibidem omnes interierunt et per
martyrium anima Domino reddiderunt» : PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon IX, pp. 286-287; «Tunc similiter
ambulaverunt per agrum illum ubi corpora sanctorum occisorum iacebant». Ibid., pp. 287-288: WILBERTI
ARCHIDIACONI, Vita B. Leonis IX papae, cap. XI, col. 195.
305
«Unde factum est, ut vir mitissimus, pietate et misericordia plenus, illi tam immensae miserorum afflictioni
compatiens, illius gentis superbiam conaretur humiliare»: Brunonis Episcopi Signini libellus de symoniacis, p. 550.

78
79

pace si protrassero per circa una settimana, prima che i contendenti decidessero di dare la parola
alle armi . 306

Stando all’unica testimonianza in tal senso, riportata nella Vie et miracles du Pape S. Léon IX,
Umfredo avrebbe ricercato un accordo con il Longobardi e, nello specifico, con Madelfrit, che il
Poncelet ritenne di potere identificare con il quaranteseienne Malfrido, signore di Campomarino.
307

In cambio dell’argento normanno, il suddetto Malfrido avrebbe dovuto ritirarsi al primo assalto
della cavalleria normanna, consentendo a quest’ultima di aprire e scompaginare i ranghi avversari . 308

Tale testimonianza pone non pochi problemi esegetici, dal momento che la notizia di un accordo fra
il condottiero Altavilla ed il signore di Campomarino non troverebbe riscontri in altri cronisti del
tempo. Per quanto sub judice, quanto estrapolato dalla lettura della fonte esaminata dal Poncelet,
potrebbe tuttavia non essere lontano dalla verità storica, dal momento che spiegherebbe come un
esercito inferiore di numero, per quanto tecnicamente preparato, abbia potuto avere la meglio sulle
armate messe in campo da Leone. D’altra parte non è difficile credere che se accordo vi fu, dovette
essere con buona probabilità il frutto di un’azione diplomatica che non venne di certo intrapresa in
prossimità dello scontro. Ciò potrebbe pertanto spiegare il moderato ottimismo con il quale alcuni
condottieri normanni ebbero ad approcciarsi alla battaglia. Sulla base delle premesse poc’anzi
esposte, la vittoria sembrava possibile, soprattutto dopo che Umfredo constatò la reale consistenza
del contingente germanico, unico vero baluardo papale, nei confronti dei quali decise di concentrare
i maggiori sforzi delle proprie truppe. Pur essendo ben disciplinati ed inquadrati, i tedeschi non
avevano dimestichezza con il combattimento a cavallo armati di lancia , poiché i destrieri erano
309

impiegati esclusivamente per la locomozione. Giunti sul campo di battaglia, non lontano dalla città
di Civitate, essi smontarono dalle loro cavalcature e si schierarono come fanteria, impugnando
quelle che, a detta di Guglielmo di Puglia, erano delle spade insolitamente lunghe, capaci di
tranciare in due ogni avversario . Reputo tale affermazione poco credibile per diversi ordini di
310

ragioni, che vengo ad esporre. Essendo un cronista filo-normanno, Guglielmo aveva tutto l’interesse
ad evidenziare che il combattimento fra i tedeschi e le truppe di Umfredo ebbe a svolgersi quasi ad
armi pari.
Sarebbe stato, del resto, sminuente evidenziare il divario militare fra i due schieramenti, fra i
quali emergevano naturalmente i Normanni, abili a combattere a cavallo con una lunga lancia, che
impediva ai tedeschi di guadagnare misura nei confronti dei loro avversari. Sottolineando l’impiego
di spade più lunghe rispetto agli standard del tempo, il cronista medievale avrebbe così riconosciuto
maggiore valore ai guerrieri germanici pur evidenziando che, alla fine, i cavalieri del Nord vinsero
la battaglia, grazie all’apporto della cavalleria. Non è infine da sottovalutare il fatto che i tedeschi
fossero fisicamente prestanti e mediamente di alta statura . Sarebbe perciò verosimile credere che
311


DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 202.
306

Se dobbiamo prestare fede a Ferrante della Marra, Manfrido era nato nel 1007 e nel 1053 doveva perciò avere
307

quarantasei anni. F. DELLA MARRA, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non comprese ne' seggi di Napoli
imparentate colla casa Della Marra, Napoli MDCXLI, pp. 224-225.
308
«Plures vero Langobardorum erat exercitus. Inter quos erat maledictus traditor comes Madelfrit, qui dicitur Roffreda,
Benventane urbis honoratus. Hic accessit ad Normannos et pacti sunt pecuniam ill dare, si totus exercitus in terrore
convertisset et prelium ad normannos cum triunpho fecisset. Tunc ille iniquus emulando semper inter Alemannos vadit
er rediens et sciscitans cunctos, quomodo eos perderet. Tunc simulatum ets ad comparationem Iudae proditoris qui
pretium triginta denariorum vendidit redemptor omnium saeculorum»: PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon IX,
p. 285. Per l’identificazione con Malfrido di Campomarino: STANTON, The Battle of Civitate, p. 48.
309
«Nam nec equus docte manibus giratur eorum, nec validos ictus dat lancea, praeminet ensis»: GUILLAUME DE
POUILLE, II, p. 140.
«Sunt etenim longi specialiter et peracuti Illorum gladii; percussum a vertice corpus Scindere saepe solent, et firmo
310

stant pede, postquam Deponuntur equis … Tunc Alamanni videntes haec omnes commendaverunt se meritis et
orationibus beatissimi Leoni papae et ascendentes equi coeperunt preliare»: PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon
IX, p. 285.
A tale proposito è interessante notare che, stando alla testimonianza di Guglielmo di Puglia, i Tedeschi derisero i
311

Normanni per la loro statura piuttosto bassa: «fecerat egregie proceri corporis illos, Corpora derident Normanica, quae
breviora Esse videbantur, nec eorum nuntia curant, Utpote nec numero populi nec viribus aequi»: GUILLAUME DE

79
80

fu il loro aspetto imponente a spingere Guglielmo a modificare la verità storica. Tuttavia David
Nicolle mi ha suggerito che nonostante la persistenza, in generale, dei medesimi standards di
lunghezza per le lame dei Normanni e dei Tedeschi, non è improbabile che questi ultimi si
servirono a Civitate di spade più lunghe del normale, portato, questo, di una evoluzione ‘alla moda’
dell’arte metallurgica germanica . 312

Completava l’equipaggiamento dei suddetti mercenari lo scudo , arma con la quale ebbero a 313

costruire un solido baluardo umano da opporre alla cavalleria normanna . Guglielmo, che fra tutti i 314

cronisti appare il meglio informato, riferisce che, il 18 giugno, i Normanni discesero dalla collina
(di Laso) e schierarono Riccardo di Aversa sul lato destro, a contrastare i Longobardi, fra i cui
ranghi si trovava il conte Malfrido di Campomarino. Umfredo si pose al centro fronteggiando i
Tedeschi, mentre suo fratello Roberto, al comando dei contingenti calabresi, ricevette l’ordine di
occupare l’ala sinistra e di intervenire come rinforzo, qualora le circostanze lo avessero richiesto . 315

Il comando delle truppe papali venne affidato a Rodolfo di Benevento che guidava gli italici
schierati a destra insieme alla truppe longobarde, mentre i Tedeschi, agli ordini del duca svevo


POUILLE, II, p. 136. Tale affermazione appare assai sospetta, dal momento che sembrerebbe più un topos letterario
influenzato dall’episodio biblico del duello fra il pastorello David ed il gigante Golia, capo dei Filistei:
«dall'accampamento dei Filistei pervenne un campione chiamato Goliat, di Gat, dell’altezza di sei cubiti ed un palmo.
(5). Costui recava il capo cinto da un elmo bronzeo; calzava una corazza di bronzo a squame del peso di cinquemila
sicli, (6) portava dei cosciali di bronzo e un giavellotto di bronzo dietro le spalle. 7 L'asta della sua lancia appariva
robusta come un subbio da tessitore, la punta della lancia pesava seicento sicli di ferro e colui che reggeva il suo scudo
lo precedeva»: I Sam 17.4-7. In tale occasione, David colpi il colosso filisteo in fronte con una pietra lanciata da una
fionda, uccidendolo sul colpo. I Sam 17.48-51.
In una e-mail del 15 gennaio 2015, per la quale lo ringrazio, il prof. Nicolle ha così replicato ad un mio quesito circa il
312

controverso passo di Guglielmo di Puglia: «Generally speaking north-west Europeans used the same swords, and the
best of these were made in the Rhineland. On the other hand Byzantine and Arab swords tended to be somewhat
shorter, so I suppose there may have been a local tradition of such shorter swords in southern Italy. Nevertheless, the
Norman elite of southern Italy would, I believe, have used the same weaponry as their cousins in France or England,
and that would have been essentially the same as that of the Germans. Furthermore, there is no evidence of cavalry
swords being shorter than those used on foot. If anything, I think the opposite would have been true. Meanwhile, there
is another possible explanation. The sword makers of the German Rhineland not only made the best blades at that time,
but were also leaders in fashion. And the fashion at this time was for sword blades to get gradually longer - so it seems
likely that the elite troops in the German army at Civitate had the most "modern", and thus the longest, swords of that
period».
«Et li Thodeschi se metent l'escu en bras et crollent l'espee». AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.40, p. 334.
313

314
«Ast alia parte inter gallos & teutonicos ferro discernitur; res utrimque durius agitur. Isti gladiis copulotenus findunt;
illi lanceis horribiliter suunt»: ANONIMO BENEVENTANO, In vita et obitus S. Leonis Noni Pape, p. 320.
315
«Collem conscendunt, ut castra hostilia spectent. Spectatis castris armantur, et agmine dextroAversauorum comitem
statuere Ricardum, Qui Longobardos adeat. Prior hunc comitatur Clara cohors equitum, mediaeque cohortis agendae
Unfredus contra fortes ad bella Suevos Eligitur ductor. Cornu servare sinistram Robertus frater Calabra cum gente
iubetur, Ut Auxilio properet sociis, viresque reformet»: GUILLAUME DE POUILLE, II, pp. 142. «Et li Normant font troiz
compaingniez, desquelles une en est regie et governee par la main del conte Unfroy, et l'autre par lo conte Ricchart, et
la tierce par Robert Viscart»: AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.40, p. 334. Charles Stanton ha recentemente sostenuto che
Roberto il Guiscardo non sarebbe stato schierato immediatamente sul campo di battaglia. Umfredo lo avrebbe infatti
tenuto come riserva, ordinandogli di occultare le proprie truppe dietro le collina di Coppa Mengoni (in realtà Collina di
Laso). Lo storico statunitense porterebbe a sostegno di tale ipotesi, il fatto che i Normanni fossero adusi a tale tipo di
tattica: «William of Apulia testifies that Humphrey placed Robert and his Calabrians on his left, but, perhaps, not
immediately to his left. Humphrey may have tried to hold them in reserve by hiding them from view behind the
southern slopes of the hill. According to Jim Bradbury, a cavalry detachment held in reserve for a decisive charge was a
common element in Norman battle plans. Bünemann, for one, believes this was the case at Civitate». STANTON, The
Battle of Civitate, pp. 45-46. Tuttavia lo Stanton sembra non tenere conto che l’orografia del luogo non avrebbe
consentito in alcun modo di effettuare una manovra di tal genere dal momento che, per accorrere in aiuto di Umfredo,
Roberto avrebbe dovuto compiere un ampio giro, perdendo così istanti preziosi che avrebbero favorito gli avversari.
L’affermazione dello storico americano sembra inoltre sottovalutare il fatto che i Normanni fossero inferiori di numero.
Dividere le forze avrebbe provocato pertanto un’ulteriore, drastica riduzione delle unità combattenti, oltre a lasciare
completamente sguarnito il fronte sinistro dello schieramento di Umfredo.

80
81

Guarniero, occuparono l’ala sinistra . Non è però credibile che lo schieramento papale fosse
316

asimmetrico e che i contingenti germanici fossero stati lasciati completamente da soli a reggere
l’urto dei cavalieri del conte di Puglia. Essi dovettero infatti combattere in posizione maggiormente
centrale, con l’aiuto di diversi ausiliari e forse anche delle truppe franco-longobarde reclutate da
Leone IX nel Nord Italia , incaricate plausibilmente di coprire l’estrema ala sinistra. Fra queste
317

dovevano esserci combattenti a cavallo e fanti armati di lance, in grado di tenere testa alla cavalleria
di Umfredo. Il primo a caricare fu Riccardo di Aversa che scompaginò rapidamente le fila
avversarie, dal momento che Malfrido di Campomarino dovette impartire l’ordine ai propri uomini
di ripiegare al di lui primo assalto . La rotta dei Longobardi trascinò anche gli Italici , i quali si
318 319

dispersero in più direzioni, inseguiti dai Normanni . Mentre ciò avveniva, Umfredo aprì le ostilità
320

contro la linea centrale avversaria con lanci di frecce, prontamente ricambiati dai Tedeschi . Al 321

termine di tale fase, i combattimenti infuriarono con particolare violenza ed il conte di Puglia si
trovò ben presto in difficoltà, tanto da venire respinto al primo assalto . Il fratello Roberto fu
322

chiamato allora ad intervenire rapidamente, con i contingenti guidati da Gerardo di Buonalbergo e


le truppe calabre . La carica da parte del Guiscardo dovette credibilmente avvenire sul fianco destro
323

dello schieramento avversario e, stando alla narrazione di Guglielmo di Puglia, il giovane Altavilla
si distinse ben presto per il coraggio dimostrato nel corso della battaglia . 324

Il vero artefice della vittoria non fu però Roberto, bensì Riccardo di Aversa il quale, dopo
avere fatto strage degli Italici, ritornò sul campo di battaglia e caricò molto probabilmente alle
325

spalle e sul fianco sinistro l’esercito papale. A questo punto, i combattenti germanici non ebbero più
scampo e la carneficina consumatasi davanti allo sguardo di Leone IX che si trovava a Civitate , fu 326


GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 136. «Raynolfe et Raynier furent eslit principe de ceste part, liquel leverent en haut li
316

gofanon et vont devant o molt grant multitude de gent, mes petit de Toudeschi solement les secuta»: AIMÉ DU MONT-
CASSIN, 3.40, p. 334. Vedi altresì DI PERNA, La conquista normanna della Capitanata, p. 204.
«Gens Alemannorum stipata satellite multo»: GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 140; DI PERNA, La conquista normanna
317

della Capitanata, p. 205.


318
«Dum haec vidisset iniquissimus Madelfrit comes, cum suo exercitu fugam commisit et omnis exercitus
Langobardorum, dum haec viderent, omnes fugam arripuerunt» : PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon IX, p.
285; Longobardi, territi, fuga seipsos tueri nituntur, Alamannis in proelio relictis»: GEOFFROI MALATERRA, p. 178.
«Italis citius terga vertentibus»: HERMANNI CONTRACTI, Chronicon, col. 260.
319

«Impetus ipse fugae; iaculis caeduntur et ense. Qualiter aerias; ubi convenere, palumbes, Dum petit accipiter, fugitivo
320

summa volatu Et scopulosa facit celsi iuga quaerere montis; Quas tamen ipse capit, non possunt amplius ullum
Quaerere confugium: sic dantes terga Ricardus»: GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 142. Quando Guglielmo di Puglia
scrive che i Longobardi e gli Italici tentarono di sfuggire alla carica di Riccardo di Aversa trovando rifugio sui monti,
dimostra di non conoscere affatto i luoghi della battaglia. Il terreno circostante si presenta infatti prevalentemente
pianeggiante. Sarebbe perciò più probabile ritenere che i fuggiaschi abbiano potuto cercare ricetto fra i boschi che a
quel tempo ricoprivano la zona. Solo in tal modo essi avrebbero avuto un riparo sicuro. La cavalleria si sarebbe, del
resto, difficilmente arrischiata a penetrare la fitta vegetazione, dal momento che correva il pericolo di perdere ogni
contatto con la piana di Ischia-Staina, ove, nel frattempo, infuriavano i combattimenti. L’episodio della carica di
Riccardo di Aversa è altresì riportato dall’anonimo compilatore della vita di Leone IX, pubblicata dal Poncelet. Il
cronista medievale confonde tuttavia Riccardo di Aversa con Umfredo, attribuendo la rotta dei reggimenti longobardi al
conte di Puglia: «Tunc fugientes, Onfridus comes Francorum cum suis cepit sequere eos et multos plures interfecerunt
et alios multos inter se necati sunt; Galli vero nimis preliantes et multos occiderunt, et ipsi propter fidem Christi ibidem
omnes interierunt et per martyrium animas Domino reddiderunt»: PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon IX, pp.
286-287. STANTON, The Battle of Civitate, p. 50.
«Telis prior eminus illo Appetit Unfredus, telis hostilibus ipse Rursus et appetitur»: GUILLAUME DE POUILLE, II, p.
321

143.
322
«Sicque XIV Kalend. Iulii valida pugna confligentes prima acie a Theutonicis pene victi sunt»: HERMANNI
CONTRACTI, Chronicon, col. 260.
«Postquam Robertus fratri tam conspicit hostes Acriter instantes, et ei nullatenus ullo Cedere velle modo, comitis
323

comitante Girardi Praeditus auxilio, Calabrisque sequentibus illum, Quos conducendi fuerat sibi tradita cura, Irruit
audacter medios animosus in hostes». GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 144.
GUILLAUME DE POUILLE, II, pp. 144-146.
324

FUIANO, La battaglia di Civitate (1053), p. 131.


325

AIMÉ DU MONT-CASSIN, 3.40, p. 334. «Apostolicus, fuga vitae asylum expetens, intra urbem provinciae Capitinatae
326

quae Civitata dicitur sese profugus recepit»: GEOFFROI MALATERRA, p. 175.

81
82

spaventosa. Secondo gli Annales Beneventani, le perdite fra l’esercito papale furono di 300
uomini , senza contare i feriti, i mutilati e coloro che erano stati presi prigionieri . La spedizione
327 328

di Leone finalizzata a castigare la pagana impietate dei Normanni si era in poche ore tramutata in
una orribile disfatta. Temendo rappresaglie, gli abitanti di Civitate forzarono il papa ad abbandonare
la città ed a consegnarsi ai Normanni i quali, dal canto loro, non avevano perso tempo ad allestire
macchine d’assedio per espugnare la città . Il pontefice si consegnò così ai suoi nemici, i quali, per
329

convenienza politica e forse temendo i tormenti dell’inferno per avere osato levare le armi contro il
Vicario di Cristo, gli resero omaggio baciandogli i piedi e prestandogli giuramenti di obbedienza e
fedeltà . La pace fu ristabilita e solo in quel momento, camminando tra i tanti cadaveri che
330

giacevano sul campo di battaglia, Leone realizzò tutto l’orrore di quella giornata. Con il cuore
rivolto ai caduti che erano divenuti martiri per servire Dio , il papa tolse la scomunica che pendeva
331

sul capo dei Normanni . Il 22 giugno questi entrarono in Civitate , mentre Umfredo accompagnò
332 333

Leone ed il suo seguito a Benevento , giungendovi giorno 23. Prima di partire si provvide però a
334

dare degna sepoltura ai caduti in battaglia che furono tumulati nei pressi di una chiesa in rovina,
non lontano da Civitate . La vita del papa era salva ma egli restava, de facto, un prigioniero dei
335

Normanni, i quali, dal canto loro, avevano definitivamente conquistato il diritto a restare in Italia;
un diritto che non sarebbe stato mai più messo in discussione, dal momento che anche lo stesso
pontefice avrebbe, ben presto e suo malgrado, dovuto riconoscere e ratificare le di loro conquiste. I
cavalieri del Nord, avevano dimostrato di essere qualcosa di più di uno dei tanti ingredienti etnici
che alimentavano il multiforme calderone italico.
Quasi completamente isolati ed inferiori di numero, avevano incrociato le spade col Vicario
di Cristo ed avevano sconfitto le sue armate, portando all’apice la loro fama di invincibili
combattenti. Il vero o presunto tradimento di Malfrido di Campomarino non sminuisce in alcun
modo il valore del loro successo, dal momento che Umfredo ed i suo compatrioti avevano
combattuto e vinto una vera e propria ‘battaglia identitaria’. Essi erano infatti riusciti ad affermarsi
come una gens, in grado di sopravanzare le ‘morenti etnie’ longobarde e bizantine, imponendo


«Sed normanni inruentes insperate super milites eius, interfecerunt ex eis et nostratibus ferme .CCC. milites in loco
327

qui dicitur Astagnum»: Gli Annales Beneventani, p. 138.


328
«Captivi hostibus preda efficiuntur»: ANONIMO BENEVENTANO, In vita et obitus S. Leonis Noni Pape, p. 320; DI
PERNA, La conquista normanna della Capitanata, pp. 208-209.
329
«Aggeres portant, machinamenta ad urbem capiendam parant, incolas minis terrent, ut apostolicum reddant».
GEOFFROI MALATERRA, p. 175.
«Quem hostes suscipientes, ob reverentiam Sanctae Romanae Sedis, cum magna devotione eius provolvuntur pedibus,
330

veniam et benedictionem eius postulantes. Sed et usque ad loca, quibus exercitus castra et tentoria fixerat, cum omni
humilitate illi servire executi sunt. Quorum legitimam benevolentiam vir apostolicus, gratanter suscipiens, de offensis
indulgentiam et benedictionem contulit, et omnem terram, quam pervaserant et quam ulterius versus Calabriam et
Siciliam lucrari possent, de sancti Petri haereditali feudo sibi et haeredibus suis possidendam concessit circa annos
MLII[I]. Idem; Hunc genibus flexis Normannica gens veneratur Deposcens veniam. Curvatos papa benigne Suscipit,
oscula dant pedibus communiter omnes»: GUILLAUME DE POUILLE, II, p. 146; «Omnes vero de equis suis descenderunt
et humiliter suis pedibus provoluti veniam et indulgentiam postulantes»: PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon IX,
p. 287.
PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon IX; «et quoniam pro fide Christi afflictaeque gentis liberatione devotam
331

mortem voluerunt subire, multiplicibus revelationibus omnstravit eos divina gratia in coelesti regno perenniter
gaudere»: La vie du Pape Léon IX (Brunon, évêque de Toul), p. 114.
332
«Ergo tam admirandam perpendentes confidentiam, mutatis animis, in ejus sunt conversi obsequelam, cujus
osculantes vestigia, sibi immeritam deposcebant indulgentiam». La vie du Pape Léon IX (Brunon, évêque de Toul), p.
114.
«Itaque pessima gens Normannorum peracta caede familiae mitissimi Papae, non sine magno detrimento suorum,
333

aggreditur oppidum Civitatulam cognominatum, ubi idem beatus ignarus eorum quae acta erant tardantem suum
expectabat comitatum». La vie du Pape Léon IX (Brunon, évêque de Toul), p. 114; DI PERNA, La conquista normanna
della Capitanata, p. 213.
PONCELET, Vie et miracles du Pape S. Léon IX, p. 288.
334

«Quibus vir sanctus pauca loquutus pro tempore, ipsis deservientibus studuit funera caelorum honorifice procurare,
335

tumulans ea in vicina Ecclesia ab antiquo diruta tempore»: La vie du Pape Léon IX (Brunon, évêque de Toul), p. 114.

82
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nuove modalità di combattimento, basate sull’imprescindibile apporto di quella cavalleria, che


sarebbe progressivamente divenuta la vera e propria quintessenza della guerra medievale . 336

Abstract
The Battle of Civitate was a very important event in the history of Southern Italy, since it
represented the moment from which the Normans finally managed to establish themselves as gens,
ready to overtake the Lombard and Byzantine 'dying ethnicities', launching new ways of fighting
based on the key role of chivalry. This paper tries to review the political circumstances culminated
during XI century, in the conflict between the Normans settled in southern Italy and the Papacy,
reconstructing, on the basis of a detailed study of the battlefield, the main phases of the Battle of
Civitate. Surveys on what it’s today remaining of the old battlefield, give us the possibility to
integrate and sometimes correct the informations of the contemporary historians, whose chronicles
were analyzed and compared, to give a picture close to the historical truth. Direct analysis of the
places interested from the struggle has allowed us to contradict the statements of chroniclers as
William of Apulia who gave an extremely apologetic picture of the events, exalting the fighting
chivalry style of the Normans that was not yet fully.

cristian.guzzo@libero.it


336
A tal proposito rimando in generale a J. FLORI, Chevaliers et chevalerie au Moyen Age, Paris 1998.

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