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Il mistero di Kogaionon, il sacro monte dei daci

Guido Ravasi, Lettura e commento di un’opera paradigmatica*

Dott. Guido Ravasi

1.

Per motivi legati al mio lavoro, tempo fa mi è capitato di dover leggere, analizzare e poi redigere una
sintesi di un libro decisamente curioso. Si tratta di un’opera pubblicata in Romania alcuni anni fa dal
titolo di Taina Kogaiononului Muntele Sacru al dacilor [“Il mistero di Kogaionon, il sacro monte dei daci”].
L’autrice è Cristina Panculescu ed è pubblicata dalla Editura Stefan di Bucarest nel 2008.

Quando mi fu affidato questo compito, mi limitai a scrivere una sintesi del libro, evidenziandone i
concetti principali. Non aggiunsi alcun commento in quanto, in quel caso, non era richiesto e previsto.
Ho poi praticamente dimenticato questo volume per diverso tempo. Oggi invece l’ho rispolverato e, in
seguito anche a numerose sollecitazioni esterne, ho deciso di aggiungere un mio commento, del tutto
personale, all’opera e di pubblicarlo. Ciò che mi ha spinto a farlo non è il volume in sé o il suo contenuto
quanto la proliferazione, ormai abnorme e incontrollata, di opere di questo genere e tenore. Pertanto mi
sono deciso a commentare quest’opera non tanto o soltanto in se stessa, ma in quanto rappresentante
di un genere di pubblicazioni ormai ampiamente diffuso e che vedo spesso inondare le librerie e
suscitare ampio interesse in tanti lettori.

1
Cristina Panculescu, Taina Kogaiononului – Muntele sacru al dacilor

Il volume ha la pretesa di chiarire un presunto mistero mai sinora svelato, attraverso l’uso che
personalmente ritengo, sempre nel rispetto dell’Autrice, piuttosto disinvolto di diverse discipline
scientifiche (dalla archeologia all’astrofisica) e l’accesso a sapienze esoteriche, in un incredibile pot-
pourri di dati e informazioni. Questi dati sono tra i più diversi ed eterogeni, non solo per l’appartenenza
disciplinare, ma anche per il valore scientifico o pseudoscientifico. Tutto questo è possibile per il fatto
che accanto a citazioni strumentali di studiosi che sono punti di riferimento nel loro campo, si accostano
altre citazioni di autori che non hanno alcun spessore accademico. Vi è così un affastellamento di
argomentazioni e ragionamenti tra i più diversi che sono funzionali a sostenere tesi tra le più stravaganti
presentate come rivelazioni di misteri arcani.

Ho deciso di parlarne non perché io abbia un interesse oppure un’avversione nei confronti di queste
tesi, ma perché la loro proliferazione e diffusione è così estesa e imperante che si sentono e si leggono
le concezioni più incredibili presentate come la nuova frontiera della scienza e della sapienza (che
convergerebbero in una sintesi superiore di origine trascendente).

Il libro che qui commento è solo un esempio di un fenomeno largamente diffuso ed il segno di una
grave crisi sociale che si accompagna, in pari tempo, ad una decadenza di carattere culturale. L’opera
è paradigmatica di questa crisi e decadenza e cercherò di illustrane i motivi.

2.

Vediamo ora più da vicino cosa contiene quest’opera. L’introduzione al volume prende le mosse citando
un’autorità nel campo degli studi di storia della religione: Mircea Eliade (Bucarest 1907 – Chicago
1986). Questo studioso, di origine romena ma che ha passato gli ultimi decenni della sua vita ad
insegnare nella prestigiosa università di Chicago, è considerato uno dei più importanti conoscitori di
religioni al mondo del secolo scorso.

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Cristina Panculescu utilizza anzitutto uno degli scritti giovanili del grande studioso, Cosmologia e
alchimia babilonese, pubblicato per la prima volta a Bucarest nel 1937 e, abbastanza recentemente,
tradotto anche in lingua italiana.

In questo volumetto, dedicato agli antichi riti e miti legati alla cosmologia e all’alchimia babilonese,
Eliade si prende agio, nella prefazione, anche di scrivere incidentalmente del folklore romeno a cui
dedicherà altre pagine più significative (soprattutto ne Il folklore come strumento di conoscenza). Eliade
in questo libretto si limita a sottolineare, con qualche enfasi, che la Romania ha una preistoria e una
protostoria di grande valore e un folclore di importanza incontestabilmente superiore a tutte le altre
nazioni europee. La scienza romena – aggiunge Eliade – ha ora l’opportunità e il privilegio unico di
valorizzare la spiritualità e la storia segreta del popolo romeno.

È quello che hanno cercato di far in molti, prima e dopo Eliade, ma con scarso successo o addirittura
con esiti controproducenti. Vorrei ribadire che Eliade è certamente diventato uno dei più importanti
studiosi nel suo campo e i suoi libri sono tuttora oggetto di studio nelle università, ma egli è riuscito ad
affermarsi, al di là del suo genio e del suo impegno, anche perché era consapevole di appartenere,
secondo le sue stesse affermazioni, ad una cultura minore o provinciale e ha voluto porvi rimedio. In
altri termini era conscio che per produrre qualcosa di importante nel campo di studi da lui intrapreso
avrebbe dovuto anzitutto innalzarsi al di sopra del proprio ambito culturale di partenza, apprendendo
tutta la migliore letteratura scientifica esistente nelle altre lingue (e non certo solo quella pubblicata
nella sua lingua madre) per poter così eventualmente pervenire a dei risultati degni di nota in ambito
accademico, cosa che fece egregiamente.

Cristina Panculescu, dopo aver utilizzato alcune citazioni ben scelte di Eliade, sviluppa le sue
argomentazioni in modo quanto meno curioso. Per sostenere il mistero che riguarda l’antica Dacia
l’Autrice ricorre anche ad altre citazioni, come quelle di Busuioceanu che scrive che “nel mondo antico
la Dacia era circondata da mistero e su questo si è poi venuto a creare un vero mito”. Del resto,
prosegue Panculescu, i daco-geti erano considerati “ermetici” per gli antichi. Il concetto di ermetici si
ricollega a Hermes Trismegisto e all’alchimia come vedremo. Ma Panculescu crede di mostrare le sue
credenziali dichiarando che il suo studio “utilizza i risultati di una ricerca condotta per anni sui monti
Bucegi” e che si avvale della documentazione messa a disposizione dalla mitologia comparata, dalla
storia antica, dal folclore e dall’arte antica romena, dalla storia delle religioni, dall’ermeneutica e dalla
scienza tradizionale. In effetti, una documentazione proveniente da queste aree disciplinari viene
utilizzata: dovremmo aggiungere con fin troppa disinvoltura.

Del resto il fatto che abbia passato degli anni, come dichiara, a studiare sui monti Bucegi, centro della
sua indagine, di per sé non dovrebbe significare che abbia svelato un presunto mistero inerente a
questi monti. Piuttosto ci sembra ormai chiara, dopo solo alcune pagine, la mancanza di un basilare
criterio e scrupolo epistemologico.

Sfinxul din Bucegi, aflat pe platoul Munților Bucegi, la 2216 metri altitudine, măsoară 8 metri în înălțime
și 12 metri în lățime.

3
la Sfinge di Bucegi

3.

Il tema centrale del libro è il seguente: secondo l’Autrice “è stato dimostrato senza equivoci” nel
gennaio del 1986, con studi sul luogo, in concomitanza con la riapparizione della cometa di Halley, che
sui monti Bucegi, (quindi in Romania), e nello specifico nell’area della vetta Omu (l’antica montagna che
i daci chiamavano “Kogaionon”), “si trova il più importante Centro Energetico Informazionale Naturale
del mondo” (corsivi nostri). E Panculescu sottolinea più volte l’aggettivo “naturale”, ossia non artificiale
o costruito dall’uomo e dalla tecnica.

Chiedere cosa sia poi esattamente un Centro Energetico Informazionale Naturale (che dovrebbe
essere una domanda più che legittima e spontanea) costituisce invero un quesito superfluo, soprattutto
perché è una “realtà segnalata da tutte le tradizioni con il nome o, più esattamente, con il concetto di
Centro”. È vero che di un Centro (e di Centro del Labirinto) parlano molte mitologie e tradizioni.

Il Centro è un Axis Mundi (Asse del Mondo), ossia la porta che collega la Terra al Cielo, la porta che
collega l’uomo all’eternità secondo le mitologie. Tale Centro del Labirinto nella mitologia e nella storia
delle religioni non è una pura fantasia ma solo nel senso che corrisponde ad una realtà simbolica, ha
una valenza simbolico-iniziatica, come ha ben documentato Eliade nel volume La prova del labirinto. E
potemmo aggiungere una dimensione psicologica.

Sostenere che invece questo Centro sia una realtà materiale e identificarla con un monte preciso che
avrebbe una particolare “Energia” o “Energia-Informazionale” è un passo ulteriore.

Questa realtà materiale viene individuata dall’Autrice nel centro del santuario principale di Kogaionon.
Non è tutto: l’antica montagna sacra dei daci non può che essere individuata per Panculescu che sui
Monti Bucegi. Inoltre essa è strutturata in tre livelli: il primo livello è l’antica grotta di Zalmoxis (che viene
identificata con la grotta Ialomitei), il secondo livello è il Platoul Babelor (dove si trova la roccia a forma
di Sfinge), il terzo livello l’area della vetta Omu che costituisce il Santuario principale. Secondo l’Autrice,
gli antenati dei romeni – gli antichi daci – conoscevano questo Centro attraverso le leggi che ne
governavano il funzionamento. Panculescu, a testimonianza di ciò, fa ricorso anche ad Erodoto che nel

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IV libro delle sue Storie afferma che i geti-daci sono “i più valorosi e giusti tra i traci”, così che diventano
“immortali”.

4.

La montagna sacra Kogaionon non avrebbe mai cessato la sua attività di centro Energetico-
Informazionale, tanto che l’Autrice lo definisce “la più grande Accademia del pianeta”. Peccato che noi
non ce ne siamo accorti prima, altrimenti avremmo dato una ben altra impronta alla nostra formazione.
Ma anche qui c’è una spiegazione: la coscienza diretta di questa realtà è stata interrotta.
Personalmente non ne ho capito bene il motivo. In ogni caso è indubbio che Kogaionon – scrive
l’Autrice romena – è stato “il più grande tesoro dei nostri antenati, un grande tesoro nascosto sotto il
sigillo del segreto”. Bene: se è segreto non possiamo capire tutto! Del resto si tratta di realtà più grandi
di noi perché “le età dell’umanità sono determinate dalle variazioni energetiche-informazionali di questo
Centro e tale attività è soggetta alla leggi del ciclo universale. Le leggi che governano questo Centro
planetario riguardano le connessioni, il funzionamento e le attività cosmiche e in generale portano alla
chiave dei problemi fondamentali rimasti senza risposta della cosmogonia e della cosmologia.”

Moltissime mitologie parlano di un Centro del Mondo che rappresenta il punto di contatto tra Cielo e la
Terra, attraverso il quale gli uomini possono salire al Cielo e riconquistare l’immortalità. Il Centro del
Mondo, nelle diverse tradizioni può assumere la forma del Monte Cosmico, della Piramide Cosmica,
dell’Albero della Vita, Albero Cosmico, Asse del Mondo o Cardini del Mondo. Panculescu si attarda su
questa simbologia dell’Axis Mundi ma solo per indentificare un reale Centro del Mondo nella montagna
Kogaionon.

Cosmologia e cosmogonia, a questi livelli di conoscenza, naturalmente non possono che pervenire a
collegarsi con i saperi antichi. Qui vi è il superamento della divisioni tra scienza e altre forme di sapere.

L’Autrice ha buon gioco (nel Cap. 1 intitolato “Tradizione, simboli e simbolismo tradizionale”) a
rispolverare un maestro della Tradizione (rigorosamente in maiuscolo!) come Guenon per applicarlo al
suo oggetto. Tutto fa brodo. Del resto Guenon, i cui libri si continuano a ristampare e vendere ancor
oggi, ha mostrato (cioè ha parlato, ma spesso in questo ambito parlare significa mostrare e dimostrare,
soprattutto se aggiungiamo un po’ di citazioni colte: questo è un criterio da tener presente in questo tipo
di letture) dell’esistenza di una Tradizione Universale Primordiale (Conoscenza Sacra, o Scienza per
eccellenza) la quale si manifesta attraverso varie rivelazioni o in diverse forme tradizionali. Per Guenon
le diverse forme di tradizione sono gli adattamenti della Tradizione Primordiale, che è unica ma si
manifesta in seguito in forme diverse. Vi è quindi una Dottrina unica contenuta nella Tradizione
Primordiale, che si manifesta in luoghi e tempi differenti e in diverse varianti. Secondo Guenon, i
“simboli” sono le manifestazioni di questa Scienza Sacra o Tradizione Primordiale. Pertanto non sono
invenzioni, ma manifestazioni di tale Tradizione e come tali esistono in natura, non sono creazioni degli
uomini.

L’Autrice poi riprende tutta una serie di concetti correlati: vi sono simboli che hanno forma di immagini
(allegorici e geometrici), simboli del suono, simboli dei colori, simboli numerici. Il mistero dei simboli sta
nel denominatore comune che è la “vibrazione”.

Il simbolo è una “chiave”, un codice naturale di accesso ad una fonte energetico-informazionale


cosmica specifica che ha generato quel simbolo. La comprensione dei simboli può avvenire attraverso
la tecniche particolari, come la meditazione, lo yoga ecc.

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5.

Per avallare la sua tesi, Cristina Panculescu ricorre all’astronomia e, nella fattispecie, alle comparse
della cometa di Halley nel sistema solare. Questa cometa ha infatti un ciclo di movimento di 76 anni e
ha avuto i suoi ultimi due passaggi nel sistema solare e vicino alla terra rispettivamente nel 1910 e
1986. Queste due date per la nostra Autrice sono fondamentali: non solo vi è la comparsa della cometa
di Halley nel nostro sistema solare, ma nel 1910 e nel 1986 si verificano due episodi da lei ritenuti
importantissimi che danno validità alla sua tesi.

Il primo episodio è costituito dalla pubblicazione del volume di Nicolae Densusianu, Dacia Preistorica.
Secondo Panculescu, l’erudito Densusianu dimostrerebbe in quest’opera che la Colonna del Cielo (il
Centro o Axis Mundi) si trova nei Carpazi. Inoltre, 76 anni dopo, nel 1986, durante l’ultimo passaggio
della Cometa Halley nel nostro sistema solare, sarebbe stato definitivamente e scientificamente
identificato questo Axis Mundi più precisamente sui monti Bucegi (che fanno parte dei Carpazi), proprio
nel monte Kogaionon.

A parte il fatto che l’enciclopedico volume di Densuşianu è stato pubblicato nel 1913 (non nel 1910),
tale opera, secondo il nostro modesto e fallibilissimo parere, non dimostra proprio nulla di scientifico, se
non una estrema erudizione e accozzaglia sterminata di dati, fonti e di citazioni che vengono
acriticamente assemblati per sostenere tesi precostituite.

Non è il caso qui di svolgere un’analisi anche di questa, mi spiace dirlo, ingloriosa Dacia Preistorica che
costituisce un monumento ad un pregiudizio culturale di tipo sciovinistico: basti dire che Nicolae
Denşusianu cita praticamente pressoché tutti gli autori antichi e utilizza dati dell’archeologia, del
folklore, della mitologia ecc. per valorizzare l’antica civiltà dei Daci, quasi fosse la civiltà originaria.

Chi ha avuto la ventura di dover leggere le oltre 1150 pagine di Dacia Preistorica nell’edizione originaria
del 1913 (chi scrive era stato coinvolto negli anni Novanta nella supervisione e cura di un’edizione
italiana

poi opportunamente mai pubblicata) senza la presunzione o il pregiudizio che il libro debba di per sé
costituire la prova della originarietà (quindi originalità-superiorità) della civiltà geto-daca, si rende conto
facilmente che il profluvio dei dati riportati e la sovrabbondanza oceanica delle citazioni è direttamente
proporzionale all’insostenibilità delle tesi presentate.

Per un commento spassionato di Dacia Preistorica, non disponibile in edizione italiana, rimando alla
seguente recensione (http://www.observatorcultural.ro/Daciatot-mai-preistorica*articleID_1314-
articles_details.html) di uno studioso molto serio e promettente come Eugen Ciurtin. Costui ha parlato
di “lavoro anche onirico” di Densuşianu e di “trattato fantasmatico” che dà corpo ad una “filosofia della
storia azzardata, combinando una preistoria coraggiosa (ma di fatto falsa) con il folklore”.

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Nicolae Densuşianu

6.

Seguendo un po’ il metodo di Densuşianu anche se su scala minore (accozzaglia di dati e riferimenti tra
i più disparati senza alcun criterio o metodo critico), la nostra Autrice riprende elementi dall’opera di
Eliade. Tra questi i suoi studi sul simbolismo alchemico, al mito del Labirinto, sul già citato Axis Mundi o
Centro. Sull’alchimia si rieccheggiano tesi eliadiane secondo cui scopo dell’alchimia è la trasmutazione
dei metalli per ottenere la “Pietra filosofale”, ma anche questo va inteso in modo simbolico. La
formulazione “Solve et coagula” contiene in modo segreto il processo della manifestazione universale,
sintetizza il segreto della trasmutazione alchemica. Questa è legata alla trasformazione del mondo, alla
rigenerazione legata alla Tradizione mitica Primordiale (per questo l’alchimia è una Scienza sacra che
non ha nulla a che vedere con la chimica moderna).

Sull’Axis Mundi o Centro si riportano riferimenti presentati dal Eliade e altri nelle tradizioni cristiana,
islamica, ebraica, egizia, greco-romana, induista. Non manca al proposito anche un po’ di numerologia
per cui, ad esempio, il numero 17 è il simbolo numerico del funzionamento del Centro in quanto simbolo
alfanumerico derivato da “i7” che sarebbe la chiave per decodificare la parola “io”. Il 17 è composto da
“i” e da “7” e 7 sono le parti in cui si è divisa la “Tradizione Primordiale” (sempre rigorosamente in
maiuscolo). Così “I7” simbolizza la sintesi delle parti in cui si è divisa la Tradizione Primordiale, sintesi
che si può realizzare con l’intermediazione del Centro.

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Constantin Brâncuşi – Colonna dell’Infinito

In questa accozzaglia di riferimenti e citazioni sul Centro non poteva evitare di richiamare, oltre ad
Eliade, un altro grande nome della cultura romena ben noto a livello internazionale: lo scultore
Constantin Brancusi. Come non citare la sua Colonna dell’Infinito che rappresenta un Axis Mundi ed è,
secondo la Panculescu, “una continuità di Kogaionon”.

In effetti, per questa Autrice, Brancusi avrebbe concepito la sua opera dopo aver “sentito parlare della
Colonna del Cielo nei Carpazi dai pastori” e pertanto si sarebbe ispirato alla realtà concreta del
Kogaionon, rappresentato anche come Colonna infinita che sostiene il Cielo secondo una credenza
arcaica che si collega, sempre secondo Panculescu, una verità inoppugnabile (anche se non sempre
chiara, ma piuttosto misteriosa): la realtà secondo cui il Centro Energetico-Informazionale Naturale più
importante del pianeta si trova sui Monti Bucegi.

La nostra Autrice, sempre citando gli studi di storia delle religioni di Mircea Elaide, recupera il tema
della analogia tra Microcosmo e Macrocosmo che sottende a concezioni presenti nell’alchimia e nello
yoga. Ad esempio fa riferimento alla corrispondenza tra i due piani contenuta nella Tabula Smaragdina,
un testo classico dell’alchimia.

La legge della corrispondenza tra Macrocosmo e Microcosmo è attribuita, secondo la leggenda, a


Hermes Trismegisto e stabilisce che l’uomo è un piccolo universo e, viceversa, l’universo è assimilabile
ad un grande uomo. Viene, in altri termini, sancita la corrispondenza tra Uomo e Cosmo. Da qui è facile
per Panculescu sostenere che questa corrispondenza non è solo una concezione astratta, una teoria
appartenente alla storia delle idee, ma è una realtà concreta che come tale ha applicazioni pratiche: per
esempio l’energia cosmica si trova latente nei chakra presenti nel corpo umano e di qui avvalla tutto un
filone di medicina alternativa corrispondente.

Gli studi di Eliade sullo yoga mostrano – secondo la interpretazione di Panculescu – come nel corpo,
che va inteso come corpo fisico ma anche come corpo più sottile, l’energia cosmica si trova latente nei
chakra e l’energia vitale sotto forma di “spiriti” circola attraverso i canali. Di qui la Panculescu si spinge
a sostenere che, proprio seguendo l’analogia tra Microcosmo e Macrocosmo, la Terra – che è un

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organismo macrocosmico – ha una struttura energetica analoga alla struttura energetica dell’essere
umano e quindi i canali sottili e i centri energetici-informazionali (chakra) hanno una corrispondenza con
la struttura energetica della Terra. Tutto questo ha costituito l’oggetto proprio di una Scienza
Tradizionale in parte oggi perduta: la Geografia Sacra.

I Centri di cui si è parlato come Axis Mundi sono “porte” che danno accesso all’umanità verso l’oceano
infinito dell’energia e dell’informazione cosmica. Come nell’alchimia la trasmutazione non si può attuare
senza un aiuto divino – dice l’Autrice – così queste porte non possono essere valicate senza lo spirito
della Conoscenza Tradizionale, in primo luogo l’amore e la conoscenza di Dio e l’assimilazione delle
“Leggi”. Conformemente alla Tradizione, la funzione principale di Hermes Trismegisto è quella di
mediatore tra Cielo e Terra. Lo scettro di Hermes rappresenta l’Axis Mundi. In questo vi sarebbe
senz’altro una convergenza – sostiene Panculescu – tra la tradizione induista ed ermetica.

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La nostra Autrice arriva ad affermare che i Carpazi sono la regione del mondo dove è situato il Centro
europeo della più antica cultura sinora conosciuta. Le testimonianze della storia e letteratura antica
(riorganizzate e reinterpretate da Nicolae Densusianu) confermerebbero, per Panculescu, questa tesi.
Densusianu è il campione della raccolta, interpretazione e organizzazione in una tesi coerente quanto
fragile di questa teoria in Dacia Preistorica.

Uno dei punti salienti di questa teoria di Densusianu risiede nel fatto che attribuisce ad Apollodoro di
Damasco la collocazione del monte Atlas (Atlante) che sostiene il polo nord del cielo non in Africa, ma
nella terra degli “iperborei”, una popolazione di stirpe pelasgica del nord della Tracia o del Danubio
meridionale. Gli “iperborei” non sarebbero altro che i daci ovviamente. Densusianu identifica la terra
degli iperborei con la terra dei geto-daci, attribuendo peraltro l’intera mitologia degli iperborei al popolo
geto-daco.

Secondo la Panculescu, in particolare Densuşianu avrebbe dimostrato che il monumento di pietra della
vetta Omu dei monti Bucegi è parte della leggendaria Colonna del Cielo di cui parla la tradizione pre
omerica. Questa Colonna è stata considerata il più sacro simbolo religioso del mondo pelasgico.

In questa ricostruzione-invenzione di Geografia Sacra non ci si pone più limiti alle identificazioni. Per cui
si può anche “riscontrare l’identificazione assoluta tra il simbolo egiziano (trinità tra Cielo, Aria e Terra) e
la Colonna dei Carpazi”. Identità assoluta vi è anche tra la Colonna del Cielo dell’Omu nei Bucegi e la
figura il titano Atlas (o Atlante). In altri termini la vetta del monte Omu è il punto culminante del
leggendario monte Atlas. Il monte (e titano) Atlas testimonia, come l’Autrice non si stanca di ripetere, il
più importante Centro Energetico-Informazionale Naturale del pianeta.

Per Densuşianu, nella tradizione popolare romena (comprensiva delle colinde) si è conservato sino ad
oggi sotto il nome di Omul o Omul Mare, i caratteri che aveva Saturno (o Zalmoxis) nella religione
antica, a cui si attribuisce il simbolo del potere sul mondo.

Hermes è originario, in realtà, della Tracia. L’Autrice stabilisce la genealogia di Atlas, rilevando la
discendenza da Atlas ad Hermes attraverso Maia (figlia di Atlas e madre di Hermes). Atlas e Hermes
sono considerati legislatori, intermediari tra gli uomini e gli dei. Hanno il potere delle chiavi per aprire e
chiudere (il passaggio dell’Axis Mundi, tra Terra e Cielo, tra uomini e divino), o il potere alchemico del
“Solve et coaugula”.

8.

La localizzazione di Kogaionon corrisponde alle informazioni provenienti dalla Grecia antica. Il Monte
Sacro dei daci si è rivelato un grandioso tempio naturale che si sviluppa su tre livelli: 1) il primo livello è
la grotta di Zalmoxis – oggi è conosciuta sotto il nome di Pestera Ialomitiei (a 1600 m altitudine); 2) il
secondo livello è il Platoul Babelor (altopiano di 2000-2200 m. di altitudine). Per Densuşianu il nome di
“Baba” si attribuisce alle divinità nazionale pelasgiche. Qui si trova la Sfinge dei Bucegi, (Sfinxul din
Bucegi); 3) il terzo e ultimo livello è l’area della vetta Omu. Kogaionon era la sede e il santuario di

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Zalmoxis, e il luogo sacro dei Daci. Naturalmente anche qui si cita la documentazione raccolta e
reinterpretata, da Densusianiu.

Tra le fonti principali viene usata la Geografia di Strabone, oltre ad altre fonti e alla tradizione orale. I tre
livelli del Kogaionon rimandano ad una struttura tradizionale e mitica di iniziazione. L’iniziazione è
strutturata dal simbolismo della morte e della rinascita. Secondo Eliade, la vita dell’uomo stesso può
essere definita come una prova iniziatica, una metamorfosi che prevede la morte e nuova nascita (con
regressus ad uterum, per es. nella grotta della montagna). Il simbolismo dell’alchimia è,
fondamentalmente, un simbolismo iniziatico per la trasformazione dell’umanità.

I geto-daci erano convinti di raggiungere l’immortalità seguendo l’insegnamento di Zalmoxis. Zalmoxis


era in grado di conferire l’immortalità. Inoltre, insegnava la presenza di uno “spirito” distinto dal corpo
che sopravviveva dopo la morte. A Zalmoxis Platone fa risalire la distinzione della medicina che cura
l’anima dalla medicina che cura solo il corpo. La religione di Zalmoxis implicava il concetto di Centro, di
Axis Mundi, della Colonna del Cielo. Implicava anche una iniziazione nei cosiddetti “Misteri di
Zalmoxis”. Un sacrificio sanguinoso collegato all’iniziazione religiosa che conferisce immortalità.

In questo contesto, Cristina Panculescu inserisce anche le riflessioni sul simbolismo del drago daco. Lo
stendardo nazionale dei daci, rappresentato in numerose scene della Colonna di Traiano, era proprio
un drago. Il drago daco aveva la testa di lupo e continuava con corpo di serpente.

Il simbolismo del drago è ambivalente. In ogni caso si può collegare il drago daco al simbolismo
fondamentale dell’Asse del Centro (tramite l’immagine “i”). Il drago è anzitutto il guardiano dei tesori
nascosti, in conformità al simbolismo tradizionale.

Tutti gli attributi simbolici del drago si identificano in funzione del simbolismo del Centro Supremo.
Tradizionalmente il drago ha la funzione di mantenere ordine del Mondo, il drago-soma procura
immortalità.

Il drago è l’immagine del Centro del Mondo, risolve le opposizioni e unisce i contrari (coincidentia
oppositorum). In definitiva il drago si manifesta nel Centro Supremo.

Nel volume vengono inoltre svolti temi relativi al simbolismo del bersaglio e della stella legati a momenti
della storia daca e romena (Sarmizegetusa, Stefan cel Mare, Voivodati, Vlad Tepes) quindi sviluppati
temi d’araldica romena nel rapporto con Kogaionon. Nell’Araldica in terra romena si manifestano forme
della ruota cosmica, stemmi che rimandano all’Asse Cosmico, Axis Mundi o al Centro (anche per
tramite del drago).

9.

Il sesto capitolo del volume è dedicato alla “attività energetico-informativa del Centro e le età degli
uomini”. Qui l’Autrice ribadisce concetti che ha presentato numerose volte nel corso del libro: Il Centro
del Mondo (Axis Mundi) è il punto di comunicazione tra la Terra e Cielo, esiste una corrispondenza tra il
simbolismo del ciclo cosmico e il simbolismo alchemico.

Come ha mostrato Eliade, il ciclo cosmico nelle religioni si connette a quattro fasi che nell’alchimia sono
collegato ai colori (nigredo, albedo, xiantosis e rubedo), processo che ottiene la Pietra filosofale, che va
interpretata in funzione soteriologica e cosmologica.

Ma le operazioni fondamentali sono due: sintetizzabili nella formula già evidenziata del “Solve et
coagula”. Compaiono però anche considerazioni intorno ai cicli cosmici temporali della dottrina induista:
durata del ciclo del Mahayuga e del Kaliyuga.

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Vlad III di Valacchia, l’impalatore (Vlad Tepes)

Nella tradizione induista, le quattro parti di un ciclo completo Mahayuga sono in rapporto con il
simbolismo del numeri 4,3,2,1, che corrispondo a precise fasi. Da notare, sempre secondo Panculescu,
la corrispondenza della fine del Kaliyuga nell’anno 1986 con il contemporaneo inizio dell’altra fase,
Kritayuga, in corrispondenza all’intensificazione dell’attività del Centro: la pellicola fotografica delle
fotografie scattate allora mostrano una intensificazione della “Luce del Centro”, con “fiori di Loto da
mille petali”, e corrispondono al passaggio della Cometa di Halley. Vi è una corrispondenza tra la
comparsa della Cometa di Halley nella storia e nella stessa storia romena – come ricostruisce l’Autrice.
Ad esempio il primo anno di dominio di Vlad Tepes (1456) o la comparsa della Stella dei Re Magi
corrispondono al transito della Cometa di Halley.

Altre considerazioni che concludono il capitolo 6 sono sviluppate sull’Uroboros, simbolo della
manifestazione ciclica e del tempo ciclico, tipico tra l’altro dell’Alchimia.

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Il settimo e conclusivo capitolo è intitolato “Cosmologia e cosmogonia”. In questo capitolo la


commistione, confusione, assimilazione tra idee appartenenti alla storia delle religioni e della mitologia
e concetti scientifici è definitivamente compiuta. Qui Panculescu evidenzia che in tutte le religioni
tradizionali la cosmogonia e i miti delle origini costituiscono la “Scienza Sacra”. I miti cosmogonici
presenti nelle religioni arcaiche – come ha evidenziato Eliade –rappresentano un “modello esemplare”
di realizzazione di tutte le cose. In questo senso la cosmogonia mitica permette di dare origine alle
varie realtà (attività, istituzioni ecc.). Il simbolo del Centro è universalmente un buric, un “ombelico” e
tutte le strutture dell’universo, cosmiche e macrocosmiche pianeti, stelle, galassie, supergalassie,
presentano un Centro proprio, un ombelico da cui hanno origine.

Dal canto suo, Panculescu riprendendo questi dati, afferma che il Centro del Mondo è legato al Polo
Celeste attraverso l’Asse del Mondo che non è altro che un’asse della manifestazione universale. Tutte
le strutture macrocosmiche dell’Universo sono connesse con il Polo Celeste attraverso questo Asse
Cosmico, l’Asse della Manifestazione Universale. La struttura del sistema solare riproduce in scala
ridotta la struttura dell’intero cosmo. Questo schema è valido per tutte le stelle e per tutte le strutture
stellari che compongono la nostra galassia e ogni altra galassia.

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6524e-sfinxwinter

L’Asse del Mondo lega il polo della Terra con il Polo Celeste e collega, attraverso il Centro del Sole, il
Centro della galassia e attraverso questo Centro le altre strutture cosmiche.

Ulteriori riflessioni sono dedicate dall’Autrice al concetto di Albero, Scala, Croce. Un altro simbolo
tradizionale dell’Asse del Mondo è la Scala e la legge che governa l’universo è simbolizzata dall’Albero
Cosmico che è associato al Centro. L’Albero Cosmico, come ha evidenziato Eliade a cui la Panculescu
fa costante riferimento, esiste in molte culture. In realtà è un segreto dell’universo che è corrisponde al
segreto della condizione umana. In questo vi è una solidarietà tra la condizione umana e la condizione
cosmica. L’Albero e la Croce parlano proprio di questo mistero della morte e della rinascita. L’Albero
Cosmico va inteso come ierofania, come manifestazione del Sacro.

Solo recuperando questo senso del Sacro possiamo recuperare una dimensione originariamente
autentica. Perché, in effetti, da cosa nasce la nostra crisi profonda?

Conclude la Panculescu che la causa profonda della crisi moderna consiste nel fatto che si è perduto il
senso religioso. La crisi moderna è soprattutto una crisi religiosa, esistenziale – come aveva già
sostenuto Eliade – che fa vivere gli uomini contemporanei in una dimensione priva di senso. Per cui,
conclude l’Autrice, “la morte esiste perché gli uomini hanno perso il gusto dell’immortalità”.
Riaccostandoci nel giusto modo a realtà come quella da lei descritta nel corso dell’intero libro – il sacro
monte dei daci – ci si può riappropriare di questa apertura al Sacro. E quindi sconfiggere la “cultura
della morte” oggi imperante.

Fin qui la Panculescu. Peccato che per operare questa “apertura”, nelle modalità presentate, si
dovrebbe abdicare a qualsiasi senso critico e razionale in una “morte della cultura”. Sono consapevole
che la ragione umana sia uno strumento limitato e che l’apertura al senso del mistero vada mantenuta.
Ma qui si tratta di rinunciare non tanto e non soltanto alla ragione, con tutti i suoi limiti, ma a qualsiasi
buon senso. Per cosa? Per una presunta e dichiarata “Scienza del Sacro”, ossia una presunta
“conoscenza superiore” che è, in realtà, un assemblaggio maldestro di concetti tra i più eterogenei, di
diversa estrazione e provenienza e di livelli tra i più diversi.

Questa roba oggi abbonda nelle librerie. In tutti i Paesi. Qui io ho voluto fornirvi un esempio di una
versione … romena, arricchita dalle varianti locali.

*Pubblicato in Bulletin Européen, nn. 782-783, Luglio-Agosto 2015, pp. 13-23.

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Dacia preistorica a lui Nicolae Densusianu a aparut in 1913, la capatul unui travaliu, inclusiv
oniric, care a durat mai multi ani. Ea s-a vrut in mod clar acea prima sinteza cu privire la
teritoriul antic al Daciei care sa ilustreze nu numai o arhicontinuitate, ci si un viitor. N-a iesit
decit un sic cogito al arheologiei, in care mediumnitatea deseori invocata a pelasgilor avea sa
aduca deservicii precise ideii de stiinta istorica. E o carte in care autorul si-a citat tot:
aspiratiile si maniile, chestionarele folclorice, visele, banuielile si intreaga biblioteca.
Amestecul acesta care impinzeste sute de pagini – e drept, cu grafia adusa la zi – a fost
reeditat recent de Editura Mentor si distribuit de Editura Nemira, intr-un singur volum
cartonat, cu o prefata cel putin ambigua, care face din acest Densusianu un premergator
utilizabil, chiar daca marginal, in timp ce un minim contact cu bibliografia temei nu lasa nici o
speranta: nu il mai citeste nimeni. Exista un zel fatidic in atari intreprinderi si putini l-au
ilustrat la noi mai bine decit N. Densusianu. Forta cartii sale e medievala, si asta intr-un
context european pozitivist, filologic modern, expresionist chiar. Daca i-am uita data aparitiei
si curiozitatile […]

http://www.observatorcultural.ro/articol/dacia-tot-mai-preistorica/

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Taina Kogaiononului – Muntele Sacru al dacilor. Misterele Sfinxului din Bucegi

„Nu poţi cere cititorului nici să te creadă pe cuvânt, nici să te verifice într-un domeniu în care el nu e
competent. Îi poţi cere însă efortul minim de a lua în consideraţie argumentarea pe care o aduci, de a
urmări, adică, validitatea judecăţii tale. Nu e nevoie să fii un «specialist» în culturile arctice ca să judeci
concluziile unei cărţi despre Laponi, căci aceste concluzii sunt derivate dintr-un anumit număr de
documente, pe care autorul ţi le pune sub ochi, şi judecata pe care el o face o poţi verifica şi singur.
Evident, autorul îţi poate cita anumite documente care convin tezei sale şi poate trece cu vederea
altele, care îl infirmă. Nu ţi se cere, însă, când nu eşti competent, să-ţi dai părerea asupra problemei
generale, ci numai să gândeşti asupra soluţiei autorului a cărui carte ai citit-o. Este lesne pentru
un om cu mintea bine organizată să judece metoda şi stringenţa de care dă
dovadă un autor, chiar dacă acesta scrie asupra unui subiect nefamiliar. ..”
MIRCEA ELIADE, 1937
Cosmologie şi Alchimie Babiloniană,
Ed. Moldova, Iaşi, 1991, pag.4-5-8

Imagine panoramică: Sfinxul din Munţii Bucegi, aflat pe platoul Munților Bucegi, la 2216 metri
altitudine, măsoară 8 metri în înălțime și 12 metri în lățime.

Cartea Taina Kogaiononului – Muntele sacru al dacilor


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Misterele SFINXULUI ROMÂNESC
“În muntele cel ascuns, care va
rămânea necunoscut până la sfârşitul
timpurilor, bătrânul legii vechi privea
din gura peşterii lui lucirea nouă de
primăvară…’’

Se spune că ascunde mistere nebănuite şi că ar fi cel mai vechi dintre simbolurile noastre
sacre. Faptul că, în fiecare an, la data de 28 noiembrie, la apus, razele soarelui construiesc
o piramidă energetică în jurul lui a devenit de notorietate. “Povestea” este însă complexă.

Unii afirmă că Sfinxul nostru ar fi “polul energetic al planetei”, specialiştii precizează însă
că este “o formă ciudată, care a fost săpată în roca conglomerată, printr-o acţiune a
vântului care poarta numele de eroziune”…

Din rase diferite

Sfinxul din Bucegi, aflat pe platoul Munților Bucegi, la 2216 metri altitudine, măsoară 8 metri în
înălțime și 12 metri în lățime.
Între 1966 -1968, arhitectul peruan Daniel Ruzovenea în România pentru a cerceta
Sfinxul – denumire cu care nu era de acord, pe care îl văzuse pe o carte poştală. De altfel,
primise mai multelamuriri de la un coleg român. „Am cercetat munţii din cinci continente”,
scria el, „dar în Carpaţi am gasit monumente unice dovedind că în aceste locuri a existat o
civilizaţie măreaţă, constituind centrul celei mai vechi civilizaţii cunoscute astăzi”.
Ruzo constata că Sfinxul seamănă cu chipul principal dintr-un ansamblu sculptat într-o
stancă de pe platoul Marcahuasi din Peru. Ansamblu denumit de el Monumentul Omenirii…
Peruanul a ajuns la concluzia că de fapt, nici Sfinxul nu reprezintă doar un singur chip, fiind
înconjurat de alte chipuri umane, din rase diferite, precum şi capul unui câine. Iar acel

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câine are rolul de păzitor al unei comori şi că „trebuie să existe şi o Peşteră a Tezaurului“ în
apropiere.

Kogaion – muntele sacru al dacilor


Mesaje în piatră
Cine este acest peruan căruia îi aparţine uimitoarea teorie? Profesorul Daniel Ruzo (1900-
1991) – doctor, arhitect, filosof este cel care s-a străduit să descifreze mesajele încifrate în

piatră ale civilizaţiei de dinainte de Potop. Totul a pornit când


prietenul său Enrique Dammert i-a arătat o fotografie a unei stânci cu chip de om de pe
Platoul Marcahuasi, din Peru, aflat la o altitudine de 3.600 de metri şi acest lucru se
petrecea în 1952. Astfel a început o pasiune de o viaţă. Ruzo şi-a petrecut 9 ani în Anzi,
cartografiind o parte a “geografiei sacre”. „Capul unui Inca”, prima sculptură cercetată de
Ruzo, înfăţişeaza 14 tipuri umane, de aceea a şi denumit-o „ Monumentul umanităţii”.
Platoul peruan este străbatut de vaste galerii şi tuneluri, care alcătuiesc o misterioasă
reţea cu funcţionalitate religioasă.
Daniel Ruzo avea să descopere ruinele unui oraş preistoric fortificat, care se desfăşura pe
o suprafaţă de peste 2 kilometri pătraţi şi care cuprindea, în cele patru puncte cardinale,
vârfuri sculptate şi altare. Iar toate puteau fi observate în anumite condiţii de luminozitate,

care ţin de solstiţii. În urma descoperirilor publicate în


lucrarea sa „Pe urmele Zeilor Soarelui”, Ruzo a pornit o serie de cercetări în toate colţurile
lumii. Mulţi au contestat teoria lui, susţinând că sculpturile megalitice în stânci sunt
rezultatul intemperiilor.
Departamentul secret
Conform cercetătoarei Cristina Pănculescu, care a efectuat un amplu studiu asupra
masivului Bucegi, în apropierea Vârfului Omu, se află un centru energetic. „Chemaţi de
Sfinx, dacii ştiau a se face nemuritori“, concluziona studiul, finalizat în 1988 şi înaintat
către C.C. al P.C.R. Cercetătoarea demonstra, printre altele, că acest “Centru” reprezintă o
poartă de ieşire din universul terestru, cu o activitate energetică

măsurabilă, care se manifestă ciclic. Şi constata că din 1986,


intensitatea centrului s-a amplificat.

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Daniel Ruzo i-a îndemnat pe cercetătorii români, care l-au însoţit în peregrinările sale prin
Bucegi, să cartografieze anumite “zone”.
Se pare că unii dintre cei care l-au însoţit pe Ruzo în România erau “cercetători” ai
Securităţii, trimişi să vadă ce face „nebunul” şi să întocmească rapoarte pentru Cabinetul
2, respectiv Elena Ceauşescu. În plus, Nicolae Ceauşescu ar fi înfiinţat o unitate pentru
studierea fenomenelor paranormale. Cartea „Viitor cu cap de mort“ (2008), de Radu
Cinamar face referire la descoperiri ale Departamentului Zero (cu “însărcinări speciale”) al
Securităţii, care ar fi fost înfiinţat în 1968, din ordinul lui Ceauşescu, “pentru descoperirea,
educarea şi dezvoltarea unor subiecţi umani care aveau capacităţi neobişnuite”, după
exemplul SUA, URSS şi China.
Capul Magnificului
Revenind la Cristina Pănculescu, cartea “Taina Kogaiononului – Muntele Sacru al
dacilor“ (2008) prezintă concluziile şi argumentele rezultate în urma unei munci de
cercetare întreprinsă pe parcursul a patru ani în Bucegi. “Cercetare bazată pe studii de
mitologie comparată, istorie veche, folclor şi artă veche românească, istoria
religiilor,hermeneutică şi ştiinţe tradiţionale în general”, după cum sună prezentarea cărţii.
Geograful și istoricul Strabon (63 î.Ch. – 19 d.Ch.) vorbea despre muntele Kogaion: „Tot aşa
şi acest munte a fost recunoscut drept sacru si astfel îl numeau geţii; numele lui, Kogaion,
era la fel cu numele râului care curgea alături”. Kog-a-ion înseamnă „Capul Magnificului”,
fiind şi denumirea getică a Bucegilor, unde se afla marele cap sculptat, cunoscut sub
numele de „Sfinxul Românesc”.
În studiul „Dacia Hiperboreana“, publicat la Paris în 1936 şi republicat în Franţa şi Italia în
anii ’80, Vasile Lovinescu afirma că „muntele Om este traversat de o grotă imensă, care
este una dintre cele mai mari din lume, în sensul că nu i s-a dat de capăt, fiind exploatată
doar pe vreo 20 de kilometri“.
N. Densuşianu menţionează că „după ideile astronomice şi geografice ale Antichităţii
clasice, Polul Nordic, în jurul căruia se învârtea Universul, atingea Pământul lângă Dunăre,
pe teritoriul geţilor, în particular pe Munţii Rhipaei (Carpaţii Meridionali). Conform aceloraşi
idei, osia sau axa în jurul căreia se învârtea Cerul, trecea prin centrul Pământului, deci şi
Universul şi Terra aveau o axă comună – Axis Mundi sau Axa Lumii. Cei care susţin că
leagănul omenirii se află în spaţiul carpato-danubiano-pontic, localizează axa respectivă pe
muntele sfânt al dacilor, Kogaion.
Epilog
Mulţi istorici merg până la afirmaţia că Sfinxul de la Gizeh, Egipt, este o copie a celui de pe
platforma Bucegilor. Acest lucru se bazează pe asemănări care sunt mai mult sau mai
puţin întâmplătoare, cum ar fi faptul că Sfinxul din Bucegi are aceeaşi înălţime cu cel
egiptean, de la Gizeh.

La mult timp după ce Ruzo a studiat Monumentul Omenirii, cercetători peruani, dotaţi cu
aparatură modernă, au identificat pe Platoul Marcahuasi 22 de vortexuri energetice pe
care le-au numit „cruzes”, „cruci”, formate din trei tipuri diferite de energie…
În 1999, cercetătorul Vasile Rudan efectua un studiu asupra unei zone din Bucegi şi
observa accidental că pe o pantă cu o suprafaţă de un kilometru pătrat, în preajma Vârfului
Doamnei, organismul se încarcă energetic, toate funcţiile fiind revigorate. Măsurătorile
indicau “o anomalie magnetică atipică”, iar cercetătorii au denumit zona “Gura de Rai”,
conform unei legende populare , care spune că „la îngemănarea Cerului cu Pământul viaţa
trece prin moarte şi moartea devine viaţă”…

„Dacii sau geţii nemuritori şi ţara lor erau ermetici pentru antici. Grecii se apropiaseră
de ei numai pe ţărmurile Mării Pontice, fără să se aventureze mult în interior. Romanii îi
cunoşteau doar pe războinicii daci. Dunărea le inspira teamă. Era un Limex Hiperboreum,
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de unde începeau pământurile care dormitau sub leneşele stele ale Polului getic”.
Orice contact cu aceste locuri devenea subiect pentru literaţii vremii. Astfel, poetul latin
Marţial, contemporan împăratului Domiţian, într-una din epigramele sale, se adresează
prietenului său, soldatul Marcellinus, care se întorsese de curând din Dacia, cu cuvintele:
„Abia răbdaseşi, Marcelline, cele şapte stele de la miazănoapte şi constelaţiile leneşe ale
polului getic; iată acum cât de aproape va să vezi cu ochii steiurile lui Prometeu şi legenda
muntelui”.
Legenda Kogaiononului, muntele ascuns al strămoşilor noştri, Kogaiononul care
dintotdeauna a avut ca ţintă şi scop suprem OMUL, omul cu majuscule.

MIRCEA ELIADE, 1937


Cosmologie şi Alchimie Babiloniană,
Ed. Moldova, Iaşi, 1991, pag.4-5

Sursa: evz.ro

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