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LA FELICITA’

IN TASCA
LA VIA DEL BENESSERE
TRA MEDICINA CINESE,
LINGUAGGIO DEL CORPO
E BUON SENSO

Di
Paolo Borzacchiello
NOTA DELL’AUTORE, 05 NOVEMBRE 2015

Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quando questo libro ha visto la Luce


e ha cambiato per sempre la mia vita.
Nel frattempo, ho iniziato a studiare la PNL e ho integrato l’approccio qui
descritto con nuove idee e nuovi metodi di lavoro sulla persona. Poi, ho
scritto altri libri, che ora puoi trovare in qualsiasi libreria e ovunque, on line.
Non questo, ormai fuori catalogo dopo due edizioni a causa di problemi
della casa editrice.
A questo libro devo tantissimo e a questo libro devono tantissimo tutte le
persone, migliaia, che lo hanno acquistato e letto.
Così, eccomi qui: mi sono liberato dei diritti di autore che avevo concesso
alla casa editrice e mi sono ri-appropriato del mio scritto, di cui voglio fare
dono a chiunque desideri leggerlo.
Avrei potuto metterlo in commercio sotto forma di eBook, ma è troppo il
senso di riconoscenza all’Universo, che mi ha beneficiato di così tanta sorte
propizia, che l’unico modo che mi viene in mente per esprimere la mia
gratitudine è questo: un regalo per chi lo vuole.

Sono passati anni, dal premio letterario che aveva sancito il successo di
questo lavoro. E ho maturato nel frattempo moltissime e diverse
esperienze: con il senno di ora, non so se riscriverei tutto allo stesso modo.
E di alcune idee, voglio dirlo a gran voce, non sono poi più così sicuro.
Poiché, comunque, ogni cosa è buona e ogni idea in più può essere utile, ho
scelto di divulgare questo testo esattamente così come è stato divulgato la
prima volta. La copia che hai tra le mani, dunque, è la stessa che è stata
stampata. Ho resistito alla tentazione di correggere e modificare, perché
avrebbe significato cancellare un pezzo di passato che, giusto o sbagliato,
ha contribuito a portarmi sin qui, adesso.

Così, ecco qui.


Buona lettura e buona vita!

Paolo

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PARTE PRIMA:
UN NUOVO PUNTO DI VISTA

“Io credo che il compito dell’uomo non sia quello di


dominare la Natura, ma precisamente quello di
coltivare: coltivare se stesso così come coltivare la
Natura, proprio perché non sono separabili. Io non
faccio separazione fra coltivazione del corpo,
coltivazione dell’anima e coltivazione della Natura”.
Raimon Panikkar

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INTRODUZIONE

“Non sono riuscito a capire quale relazione ci sia fra le


azioni degli uomini e la felicità che per mezzo delle
azioni cercano di conquistare. Vedo gente correre
affannata verso quello che credono felicità, e così
velocemente li vedo come se temessero di non
raggiungere la meta. Eppure, ciò che tutti costoro
chiamano felicità, a me non sembra tale. E dubito forte
che la Felicità sia di questo mondo”.
Lao-tzu

Forse ha ragione Lao-tzu, quando dice che la Felicità, probabilmente, non è


di questo mondo. Ed è quanto meno curioso che un libro intitolato “La
Felicità in tasca” inizi con una asserzione del genere. Come dirò anche
dopo, non credo che ci siano regole da studiare, per diventare “felici”. Se
stavate cercando un manuale di istruzioni… beh, spero che abbiate
conservato lo scontrino per cambiare libro. Oppure, andate avanti e leggete
lo stesso. Forse, questo viaggio che ho fatto, e del quale le pagine che
seguono sono una sorta di diario, farà bene anche a voi.

Non credo che la Felicità sia una meta da raggiungere alla fine del viaggio
chiamato Vita. Credo che sia, piuttosto, una scoperta da fare, giorno dopo
giorno, esperienza dopo esperienza.
Grazie al lavoro che svolgo, e del quale parleremo in seguito, ho la
possibilità di incontrare tutte le settimane decine di persone diverse. Da
anni, vengono da me per stare meglio, per far passare un fastidioso
disturbo fisico o, semplicemente, per “scacciare” un po’ di stress e di
tensione. Soprattutto, credo io, vengono da me per aprirsi e per parlare. Mi
confidano di tutto, dai loro problemi con la moglie o con il marito ai conflitti
che sopportano quotidianamente sul posto di lavoro; dai grattacapi

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economici alle pene per i figli; dai sogni infranti a quelli ancora chiusi nel
cassetto, in attesa di essere tirati fuori e spolverati.
Chi ha paura di questo, chi non ha il coraggio di fare quello. Storie di vita
ordinaria, insomma.

Io, dal canto mio, non faccio nulla di speciale. Provo a fare del mio meglio
per farli star bene, i miei clienti: esercito al massimo delle mie possibilità
l’arte che ho avuto la fortuna di conoscere e che persone eccezionali, in
primo luogo mia moglie Monica, mi hanno trasmesso con dedizione ed
amore.
Soprattutto, però, ascolto. Non solo sento quello che le persone mi dicono,
ma ascolto. E mi interesso a loro, senza fingere, senza altri scopi se non
quello di partecipare ad una favolosa esperienza di interscambio di
esperienze umane.

Loro, i miei clienti, le mie persone, si aprono e mi mettono a disposizione il


Cuore. Io, di riflesso, mi apro e lo accolgo, per poi mettere a loro
disposizione il mio. Molto semplice.

Quando un volto nuovo fa capolino all’uscio del mio studio,


immancabilmente è un volto dall’aria triste, afflitta, preoccupata,
corrucciata o, semplicemente, spenta. Si tratta sempre di un volto che parla
di esperienze vissute, di conflitti, di dubbi, di paure, di troppi fardelli portati
sulle spalle, in un modo o nell’altro.
Ogni volta, io mi sorprendo a pensare, con un po’ di tristezza e un po’ di
compassione (non nel senso di pena, ma nel senso di compartecipazione
alla miseria altrui, un concetto molto caro al Buddismo tibetano), quanta
gente c’è al mondo che non vive bene, che consuma i suoi giorni in abiti
non adatti, che altri le hanno messo addosso. Quanti uomini e quante
donne sono infelici e si sacrificano in inutili ed assurde maratone di
sofferenze e negazione del sé, solo perché non riescono a trovare in se
stessi la forza di dire basta. O, forse, perché mai nessuno ha detto loro che
possono farlo, che, se vogliono, possono rifiutarsi di andare avanti in un
cammino che non è il loro, calzando scarpe scomode e sopportando fardelli
che non meritano.

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Quanti uomini e quante donne rincorrono la felicità sulla più lontana isola
tropicale o a bordo dell’auto più costosa e credono di trovare la felicità
nella casa più grande, nella barca o nelle scarpe di marca… e non si rendono
conto che la felicità ce l’hanno in tasca. Basta solo infilare la mano e
prenderla.

Questa non è di certo un’orazione contro il benessere materiale o contro i


beni di lusso, ci mancherebbe altro. Le cose belle piacciono a tutti, anche a
me, e non nascondo che i miei obiettivi e le mie ambizioni contemplano
anche una casa più comoda, un’auto più bella, una vacanza più lunga. Sono
un essere umano come tutti gli altri e, come tanti altri, mi gratifico anche
con suppellettili e articoli superflui dei quali potrei tranquillamente fare a
meno e dei quali, tuttavia, non ho alcuna intenzione di fare a meno. Non
sono un asceta, né conduco un’esistenza ascetica, anzi. Cerco di godermi i
piaceri della vita più che posso.

Ma la felicità non è lì, per quanto la si possa cercare. Basta saperlo, basta
essere coscienti di questa importantissima verità.

Basta sapere che una macchina, per quanto bella e accessoriata, resta una
macchina e che alla fine della giornata, quando ci si guarda un’ultima volta
nello specchio prima di andare a letto, non ha importanza che bolide hai
parcheggiato in garage, perché quando ci si guarda allo specchio siamo soli
con noi stessi, e c’è poco da prendersi per i fondelli.

Basta sapere che non contano le dimensioni della tua casa o la marca del
tuo letto, perché quello che importa è con chi ti infilerai sotto le coperte. È
proprio la persona con la quale vorresti essere? Le hai detto tutto, prima di
augurarle la buona notte? Il tuo corpo giace lì, ma la tua mente è in un’altra
stanza, di un’altra casa?

Potresti anche scoprire che nemmeno il più costoso piumino d’oca è


sufficiente per scaldare due persone fredde e con i cuori aridi, privi di
palpiti e di emozioni.

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Così, ecco questo libro. Non so nemmeno io come definirlo. Chiamiamolo
racconto, chiamiamolo resoconto di vita vissuta, chiamiamolo il frutto di
tanti incontri e di tante conversazioni. Una sorta di “diario di viaggio”, un
viaggio cominciato un bel po’ di anni fa e che dura ancora, un viaggio che
mi ha visto accompagnato da tante e tante persone, alcune delle quali
ancora condividono con me il sentiero, mentre altre si sono perse per la
strada, oppure hanno preso direzioni diverse. Così è la vita, del resto.

Quello che avete per le mani non è un manuale di istruzioni, è sicuro. Non
esiste, credo io, un solo libro al mondo che possa darvi le istruzioni per
essere felici e, se ne trovaste uno che promettesse una cosa simile, ciò
significherebbe che, molto probabilmente, l’autore si sta approfittando di
voi. Del resto, quale preda migliore di una persona infelice, piena di
problemi? State attenti alle soluzioni facili, ai rimedi usa e getta. Nessuno
può darci la pillola della felicità, perché non esiste. La Felicità è un premio. Il
nostro premio per le nostre fatiche durante questo meraviglioso e difficile
viaggio alla riscoperta di noi stessi, di quel che siamo, di quel che valiamo,
di quanto ci vogliamo bene.

Così come sono sicuro che questo non è un manuale, sono altrettanto
sicuro che non si tratta di un prontuario ricco di regole per essere felici,
perché non ce ne sono. E quei consigli che, di tanto in tanto, ho chiamato
“regole” o “consigli” o “tasselli”, non sono altro che piccole dritte, banali
suggerimenti da leggere e su cui riflettere, se ne avete voglia.
Sfogliando le pagine che seguono, non troverete nemmeno la ricetta
perfetta per il benessere, perché non c’è.

A questo punto, prima di procedere oltre, vorrei spendere due parole sul
“pensiero positivo”, visto che questo libro si colloca idealmente in un
settore pieno zeppo di tante cose diverse e, soprattutto, di tanta
confusione. Onde evitare che ciò che ho scritto sia accostato a pensieri o
teorie che non condivido (ma che mi guardo bene dal giudicare: esprimo
solo la mia idea), chiarisco ora, una volta per tutte, il mio punto di vista in
proposito.

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Credo che il “pensiero positivo”, del quale si fa un gran parlare e un gran
commercio oggi, sia in realtà, come disse il ragionier Ugo Fantozzi a
proposito del film “La Corazzata Potiomnki” (o come diavolo si scrive), una
“cagata pazzesca”. Scusate il linguaggio poco forbito, ma non trovo
metafore migliori di questa.
Il fatto è che, oggi, guru improvvisati, pseudo maestri spirituali, libri e
videocassette in quantità, vogliono insegnare alle persone stressate o piene
di problemi a pensare positivo, sempre e comunque.
Sei stressato sul lavoro? Fai un bel respiro e pensa ad un prato verde.
Il tuo capo ti maltratta? Sorridi, perché il tuo ottimismo combatterà la sua
arroganza.
Tua moglie ti confessa di averti tradito con una squadra di imbianchini?
Respira a fondo e visualizza te stesso mentre dipingi un cielo azzurro.
Ragazzi, siamo seri! L’ottimismo è un ingrediente fondamentale della nostra
vita, fa parte dell’energia del Cuore (come vedremo più avanti), ma non
dobbiamo farne mercimonio. È importantissimo, anzi vitale, riuscire a
sdrammatizzare gli eventi della vita di tutti i giorni, per poter continuare a
vivere serenamente. Sdrammatizzare, però, non vuol dire fuggire dalla
realtà o raccontarsi storie per evitare di affrontare gli ostacoli che si
parano davanti. Come scopriremo poi, qualsiasi cosa, se portata
all’eccesso, diventa dannosa e pericolosa per la salute, compreso proprio
l’ottimismo. Non si può essere ottimisti sempre, perché non è naturale. Se
passeggiate per la strada e pestata una enorme, gigantesca cacca di cane,
è inutile che vi mettiate a respirare e a immaginare il cielo azzurro: avete
pestato una enorme cacca di cane. È ben vero che, se avete un po’ di
ottimismo, non ve la prenderete più di tanto. L’importante è che non
veniate a dirmi che avete pestato un fiorellino profumato, perché non è
così. Non sarà un grande dramma, una tragedia irrimediabile ma, lo ripeto: è
cacca di cane e a nessuno, dico nessuno, piace la cacca di cane. A voi sì?
Se qualcuno vi manca di rispetto, non dovete pensare positivo, dovete
arrabbiarvi. È inutile ripetere una formula di rito od un mantra del tipo: “va
tutto bene, va tutto bene…”, perché questo non può farvi che male. Ho
frequentato anche io corsi di formazione per il pensiero positivo, quando
vivevo una vita che non era la mia e credevo che il Dio Denaro fosse l’unico

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scopo da perseguire in una esistenza degna di essere vissuta. Perciò, so di
che cosa parlo.
“Tutto bene!”, dicevano.
“Tutto bene un cavolo!”, risponderei ora.
Se avete troppi pesi sulle vostre spalle e tutti quelli che vi circondano
sembrano ignorare questo fatto, non dovete pensare positivo: dovete
cominciare a protestare e a chiedere aiuto a destra e a manca. Dovete
“rompere”, dovete “stressare”, dovete insistere.
Quindi, ottimismo sì, ma non ad oltranza: rischiate di costruirvi intorno un
bel castello fatto di illusioni e di sogni, ma al vostro risveglio potreste
trovarvi con qualche brutta sorpresa.
È vero il detto che afferma: più in alto si sale, più ci si fa male quando si
cade.
Ricordatevelo sempre quando qualcuno vi esorta ad essere positivi ad
oltranza. Ricordatevi che un po’ di sano realismo aiuta a prendere le cose
per il verso giusto e a non lasciare troppi conti in sospeso alle vostre spalle.

Tornando alla mia introduzione (che stava per trasformarsi in una filippica!),
ho scritto questo libro per i miei clienti e per me stesso, perché anch’io,
tutti i giorni, ho bisogno di ricordarmi alcune cose, di richiamarmi
all’attenzione, per non smarrire la strada e per non dimenticare quel che si
deve fare. È faticoso, perché è molto più facile lasciarsi andare che
combattere, è molto più facile trovare le scuse pronte e precotte per
giustificarsi e per giustificare gli altri, piuttosto che guardare in faccia la
realtà. Non ci sono strade facili, nulla ci viene dato gratis. È vero che, come
scoprirete andando avanti nella lettura, le soluzioni ai nostri problemi sono
spesso di una semplicità disarmante e sono davvero alla portata di tutti,
tanto che spesso vi verrà da dire: “Troppo bello per essere vero”. Ma per
riuscire ad applicare queste soluzioni semplici bisognerà liberarsi di una
montagna imponente di condizionamenti sociali ed educativi, bisognerà
tirar fuori una forza che neanche si pensava di avere. Bisognerà lottare.

Questo libro, dicevo, l’ho scritto per i miei clienti, ai quali devo tutto, e per
me stesso. Ma non solo. L’ho scritto anche perché sentivo dentro l’urgenza
e l’impellenza di comunicare a quanta più gente possibile le mie emozioni, i

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miei pensieri, i miei sentimenti. È un po’ come quando si scopre un
ristorante dove si spende poco e si mangia bene e si vuole raccontarlo a
tutti gli amici, per farli partecipi delle scoperta. Mangiare bene e spendere
poco, il sogno di tutti!

Ebbene, io ho fatto la mia personale scoperta, cioè che per star bene non è
necessario correre in capo al mondo o fare un mutuo in banca, e questa
scoperta mi ha entusiasmato e, giorno dopo giorno, non smette di
entusiasmarmi.

Ho scoperto che, davvero, la felicità ce l’abbiamo in tasca.

Venite con me?

Paolo

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LA LEGGE DELLE EMOZIONI

Ciò che chiamiamo malattia è la fase terminale di un


disturbo molto più profondo e perché un trattamento
possa avere davvero successo è evidente che non
basterà curare la sola conseguenza senza risalire alla
causa fondamentale che andrà eliminata.
(Dott. Edward Bach)

Prima di proseguire, è indispensabile fare almeno un accenno alla teoria


della Legge dei cinque elementi dell’Agopuntura Tradizionale Cinese.

Per farla breve e molto semplice (del resto, spesso le cose semplici sono le
migliori), possiamo dire che, secondo la dottrina cinese, l’Uomo è costituito
da cinque organi e da cinque visceri. O meglio, questa non è una teoria
della medicina cinese, ma un dato di fatto.

Quello che sostengono le teorie cinesi, piuttosto, è che ad ogni organo e ad


ogni viscere sono abbinati un sentimento, un modo per “scaricarlo” (che
viene chiamato “emozione”), un colore, un odore, un sapore, una stagione,
un orario energetico, un sistema corporeo, un organo di senso e così via.

Quando una persona non “scarica” un determinato sentimento, ecco che si


altera il funzionamento energetico dell’organo o del viscere corrispondente
e questa “alterazione” energetica è causa di malessere e di disarmonia in
tutti i “settori” collegati all’organo o al viscere in questione. Il tutto si
concretizza, alla fine, in un problema fisico, che potrebbe essere una
“semplice” debolezza di Stomaco, un “banale” dolore articolare o anche

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qualche cosa di più complicato, come un’ernia, una forma di epatite, una
insufficienza respiratoria e così via dicendo.

Facciamo un esempio.

Al Fegato1 è collegato il sentimento chiamato Rabbia, nella sua accezione


più estesa che analizzeremo meglio in seguito. Ora, se una persona
continua a vivere situazioni di Rabbia senza poterla mai scaricare, ecco che
un po’ alla volta la funzionalità energetica del Fegato sarà indebolita e
questo indebolimento porterà a situazioni di disagio emotivo o psicologico
o anche a situazioni di vero e proprio disturbo fisico, soprattutto in quegli
“ambienti” fisici o fisiologici che sono collegati al Fegato o agli “organi della
rete”, così come vengono definiti quei sistemi che sono collegati ad un
organo principale, come appunto, in questo caso il Fegato. Nel nostro
esempio, molteplici situazioni di Rabbia non vissute potrebbero creare
disarmonie a livello muscolare (sistema corporeo collegato al Fegato) o a
livello visivo (organo di senso collegato al Fegato), oltre che a livello di
Fegato e cistifellea in via diretta (ad esempio: calcoli biliari, epatite, valori
alti di colesterolo e così via).
Forse, tutto questo vi sembrerà molto strano: del resto, anch’io ero
convinto che il colesterolo fosse collegato al tipo di alimentazione o che
l’epatite potesse venire solo a persone un po’ troppo di facili costumi nel
mangiare e nel bere!

Spero che la spiegazione sommaria che ho dato vi sia abbastanza chiara. In


ogni caso, vi chiedo solo un attimo di pazienza: su questo discorso
torneremo dopo in maniera più approfondita.

Per il momento, limitiamoci a vedere un po’ più da vicino le relazioni che la


Medicina Tradizionali Cinese ha evidenziato tra le varie parti del nostro
corpo (microcosmo) ed il mondo che ci circonda (macrocosmo).

1I cosiddetti “organi rete”, cioè gli organi che si utilizzano per sottointendere un sistema più ampio che
comprende anche visceri e ghiandole, per convenzione, vengono sempre scritti con la iniziale maiuscola.

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FEGATO E VESCICA BILIARE (O CISTIFELLEA)

Sono associati all’elemento LEGNO.

Il colore che corrisponde è il VERDE. Così, ad esempio, se una persona si


circonda di verde o si veste in prevalenza con il colore verde o, viceversa,
detesta questo colore, ciò potrebbe indicare una disarmonia che concerne
proprio il Fegato e la vescica biliare.

La stagione collegata a Fegato e vescica biliare è la PRIMAVERA. Alcune


persone potranno confermarvi che in primavera si sentono meglio che in
altri periodi dell’anno oppure che in primavera tutti i loro malanni diventano
più forti: è il loro Fegato che sta mandando un messaggio.

Il gusto collegato è l’ASPRO. Perciò, quando una persona eccede con


questo gusto, è già possibile dire che sta alimentando uno squilibrio nel suo
elemento legno o che, viceversa, il suo corpo sta cercando di correggerlo,
proprio tramite la richiesta di questo gusto.

L’organo di senso che corrisponde a Fegato e vescica biliare sono gli


OCCHI, intesi come VISTA.

Il sistema corporeo alimentato da Fegato e vescica biliare è quello dei


MUSCOLI e dei TENDINI. Così, una debolezza particolare in questo sistema
(frequenti strappi, crampi o altro), potrebbero indicare una disarmonia
nell’elemento Legno.

Per concludere, il sentimento collegato al Fegato e alla vescica biliare è la


RABBIA, nell’accezione che vedremo meglio in seguito. La Rabbia si scarica
tramite il suono (o l’emozione, a seconda dei modi di dire) del GRIDO
oppure tramite l’emozione del PUGNO, inteso come gesto.2

2C’è una precisa differenza fra l’emozione collegata all’organo e quella collegata al suo viscere di rete.
Tuttavia, per non rendere ostica la lettura, non sottolineerò la differenza. Si vedano comunque le note
bibliografie per riferimenti a testi che potranno fare, a quelli interessati, maggior chiarezza.

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CUORE E INTESTINO TENUE

Il colore di Cuore e intestino tenue è il ROSSO. Una persona sulla quale è


eccessivo il rosso (per esempio, carnagione pallida e guance rosse) o che
ama questo colore o che, invece, non lo sopporta, vive di certo una
disarmonia in questo elemento, che è l’elemento FUOCO.

La stagione corrispondente è l’ESTATE, e vale lo stesso discorso fatto a


proposito della primavera. Conoscerete sicuramente persone che d’estate
stanno benissimo, anche se fa molto caldo o che d’estate soffrono molto o
che cercano l’estate tutto l’anno, passando da un’isola tropicale all’altra.

Una disarmonia nell’elemento fuoco può portare ad un eccessivo uso del


sapore AMARO o al suo completo rifiuto. Sapore amaro è quello del caffè o
del cioccolato fondente, oppure quello del nocciolo di qualsiasi frutto.

L’organo di senso è la LINGUA: i Cinesi dicono proprio che il Cuore governa


la lingua, e non è un caso che parte fondamentale di qualsiasi diagnosi
effettuata da un medico cinese sia proprio l’ispezione della lingua.

Il sistema corporeo collegato a Cuore e intestino tenue è quello dei VASI


SANGUIGNI. Così, rossori o pallori eccessivi, capillari, problemi di vene etc.
saranno da collegare ad una disarmonia nell’elemento Fuoco.

Il sentimento del Cuore è la GIOIA ed il suono (o emozione) corrispondente


è la RISATA. Un altro modo per vivere il sentimento della GIOIA è la
DISCUSSIONE. Poi vedremo meglio che cosa si intende.

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STOMACO, MILZA E PANCREAS

Come avrete intuito dal titolo, il colore che corrisponde a Stomaco, Milza e
Pancreas è il GIALLO, mentre l’elemento che corrisponde è la TERRA.

Anche in questo caso, per colore giallo possiamo intendere sia il colorito
generale della persona, sia il suo gusto per quanto riguarda vestiti ed
oggetti. Anche in questo caso, ricordiamo che il giallo può essere presente
in eccesso o mancare completamente: è la stessa cosa.3

La stagione collegata è la TARDA ESTATE, che non è una stagione vera e


propria, ma una sorta di periodo di transizione fra la fine dell’estate
comunemente intesa e l’inizio dell’autunno, caratterizzata dal clima Umido.

Il sapore corrispondente è il DOLCE: disgusto per questo sapore o amore


eccessivo possono indicare uno squilibrio. Anche secondo la medicina
occidentale, la Milza e il Pancreas hanno correlazioni con malattie come il
diabete o le alterazioni della glicemia, tutte situazioni che hanno a che
vedere con la quantità di zucchero contenuta nel corpo.
L’organo di senso è la BOCCA, intesa come cavo orale ed escludendo i
denti.

Il sistema collegato è quello LINFATICO.

Il sentimento è la RIFLESSIONE, o SIMPATIA o COMPASSIONE, a seconda


delle definizioni ed il suono corrispondente è il CANTO, oppure la
RICHIESTA D’AIUTO, oppure la RICHIESTA DI SIMPATIA

3 O meglio, non è proprio la stessa cosa, nel senso che un eccesso significa qualcosa ed una carenza significa
qualcosa d’altro, ma ai fini di questo discorso diciamo semplicemente che un eccesso o una mancanza di un
colore denotano una disarmonia in un determinato elemento. Come al solito, per ulteriori approfondimenti, si
vedano le indicazioni bibliografiche.

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POLMONI E INTESTINO CRASSO

L’elemento associato è il METALLO ed il colore corrispondente è il BIANCO


(anche se io ho usato l’azzurro chiaro: il bianco non si nota… su una pagina
bianca).

Scommetto che vi sarà già venuto in mente qualcuno che si veste sempre
di bianco… o che il bianco proprio non lo usa mai. Pensate che io, che ho
una disarmonia in questo elemento, non riesco nemmeno a stare in mezzo a
paesaggi innevati, perché vedere tutto quel bianco mi crea uno stato
d’ansia.

La stagione collegata è l’AUTUNNO. Non è forse, l’autunno, la stagione


delle foglie che cadono, dei cieli grigi, della malinconia e della tristezza?

Il sapore che corrisponde è il PICCANTE, sia come spezia, sia come cibo
saporito. Anche in questo caso, le persone che hanno uno squilibrio in
questo elemento faranno uso eccessivo o non sopporteranno il sapore
piccante.

L’organo di senso collegato ai Polmoni e all’intestino crasso è il NASO,


mentre le parti del corpo governate dall’elemento metallo sono PELLE E
PELI. Così, la prossima volta che sarete delusi perché nemmeno la crema
più costosa riesce a risolvere il vostro problema di pelle secca, pensateci.
Il sentimento collegato a Polmoni e intestino crasso è la PENA ed il suono
(o emozione) che le corrisponde è il PIANTO. Non è necessario che ci siano
anche le lacrime (che sono piuttosto collegate al Fegato e che servono a
pulire la vista), è sufficiente che ci sia il suono del PIANTO, ovvero che ci sia
il LAMENTO.

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RENI E VESCICA

L’elemento è l’ACQUA, come molti di voi avranno già indovinato.

Il colore, invece, è il NERO o il BLU SCURO.

Avete presente quelle persone che si vestono sempre di nero, anche


d’estate? Ebbene, potete essere sicuri che hanno una forte disarmonia
nell’elemento Acqua e cioè a livello di Reni e di vescica.

La stagione è l’INVERNO. Ci sono persone, infatti, che d’inverno stanno


bene e sono piene di energia e altre che, invece, d’inverno vanno
letteralmente in letargo.

Il sapore corrispondente è il SALATO e questo sapore, come tutti gli altri,


serve ad esercitare una funzione di controllo su un sistema che soffre.
Avete mai pensato che il sale è sempre collegato a problemi che hanno a
che vedere con i Reni, come i problemi di pressione? O che il sale, se
assunto in eccesso, suscita forte desiderio di acqua, vale a dire proprio
l’elemento dei Reni e della Vescica? Come vedete, la Medicina Cinese la
conoscevate anche prima di comprare questo libro!

L’organo di senso collegato sono le ORECCHIE, mentre il sistema collegato


è quello OSSEO. Tutti i problemi collegati all’udito, all’equilibrio, alle ossa e
alle articolazioni sono pertanto rapportabili ad una disarmonia di Reni e
vescica.

Il sentimento associato è la PAURA ed il suono corrispondente è il GEMITO.


Comprenderete meglio quel che significa non appena vi dirò che la facoltà
garantita dai Reni e dalla vescica è la CAPACITA’ DI TREMARE.

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Vediamo di riassumere un po’ quanto detto fino ad ora.

ELEME ORGAN COLO STAGI SAPO ORGA SIST SENTIM SUO


NTO I RE ONE RE NO EMA ENTO NO
DI
SENS
O
LEGNO FEGATO VERD PRIMAV ASPRO VISTA MUSCO RABBIA GRID
E VB E ERA LI O
FUOCO CUORE ROSS ESTATE AMARO LINGU VASI GIOIA RISA
E I.T. O A TA
TERRA STOMAC GIAL TARDA DOLCE BOCCA LINFA RIFLESS AIUT
O, LO ESTATE IONE O
MILZA
E
PANCRE
AS
METALL POLMON BIAN AUTUNN PICCA NASO PELLE PENA PIAN
O I E CO O NTE TO
COLON
ACQUA RENI E NERO INVERN SALAT ORECC OSSA PAURA GEMI
VESCIC O O HIE TO
A

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Questa è una sintesi brevissima, anzi di più.

È una semplificazione molto utile, tuttavia, perché permette di iniziare a


riflettere su noi stessi e su come siamo fatti, su come funzioniamo davvero
e sul perché di tante differenze che vediamo quotidianamente intorno a noi
e per le quali non avevamo risposte.

Perché a me piace più il dolce e a te più il salato?

Perché tu ti vesti sempre di nero e lui, invece, vuole sempre qualcosa di


rosso addosso?

Perché, ancora, la mia amica d’inverno sta benissimo e io invece sono uno
straccio?

Quando spiego ai miei clienti la Legge dei Cinque Elementi della Medicina
Cinese, di norma ottengo una reazione ben precisa. La persona alla quale
espongo quello che ho esposto a voi, di solito mi dice: “Caspita, ma allora
c’è solo un’emozione bella, la gioia, e tutte le altre sono brutte!”

Certo, a dirla così, il mio cliente sembrerebbe avere ragione. Se qualcuno


dovesse scegliere tra gioia, rabbia, preoccupazione, paura o tristezza, che
cosa sceglierebbe?

Credetemi, non ci sono sentimenti belli o sentimenti brutti, sentimenti più


importanti e sentimenti meno importanti.

Vi rivolgo due domande, provate a rispondere a bruciapelo. Primo: se


doveste scegliere fra la gioia, tristezza, rabbia, preoccupazione o paura, che
cosa scegliereste?
Secondo: se doveste scegliere quale organo farvi asportare, rinuncereste
più volentieri al Fegato, al Cuore, ai Reni, ai Polmoni o allo Stomaco?

La scelta, in questo secondo caso, diventa un po’ più difficile, non è vero?
Eppure, si tratta della stessa cosa. Non potete scegliere a quale organo

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rinunciare perché sono tutti importanti, nel quadro d’insieme, esattamente
come i sentimenti. Forse, fino ad ora, ne avete sottovalutato l’importanza
per la vostra vita e per la vostra salute. In tal caso, consolatevi: siamo qui
apposta!

Il fatto, dicevo, è che non ci sono sentimenti belli o sentimenti brutti, ma


sentimenti che vengono vissuti e altri che non vengono vissuti.

La Rabbia può essere bellissima, a poterla sfogare. E, dopo averla sfogata,


vi assicuro che la sensazione che si prova è di piacere assoluto e di
completo rilassamento, quasi uguale a quella che si prova dopo il sesso.

La Paura può essere bellissima, quando ci si può permettere di dire “basta,


sono stanco, mi fermo”, senza sentirsi in colpa, o giudicati, o in difetto.

Al contrario, di Gioia si può anche morire, quando non si riesce a viverla


mai.

Dentro di noi, quando veniamo al mondo, abbiamo tutti e cinque i


sentimenti e se li abbiamo è perché dovremmo usarli a nostro vantaggio,
per stare meglio e per vivere meglio. Nel prossimo capitolo parleremo più
diffusamente di questo concetto e vi parlerò del mio Maestro.
Prima di continuare, però, vi lascio con un decalogo che ho scritto e che ho
appeso in bella mostra nel mio studio, basato proprio sulla Legge dei
cinque elementi che abbiamo affrontato prima. Si tratta, come al solito, di
una esemplificazione, ma i miei clienti l’hanno molto gradito, così ho
pensato di scriverlo anche per voi.

!20 !20
LE DIECI REGOLE PER VIVERE MEGLIO

1. Rispetta il tuo Fegato… Se sei arrabbiato, grida!

2. Rispetta la tua Vescica biliare… Se non ascoltano le tue grida, batti i


pugni!

3. Rispetta il tuo Cuore… Parla, e sii sincero.

4. Rispetta il tuo Intestino tenue… Dì ciò che pensi, discuti.

5. Rispetta la tua Milza… Se hai dubbi, fai le tue domande.

6. Rispetta il tuo Stomaco… Quando hai bisogno, chiedi aiuto.

7. Rispetta i tuoi Polmoni… Se sei triste, piangi.

8. Rispetta il tuo Colon… Se ti senti solo, lamentati.

9. Rispetta i tuoi Reni… Se non ce la fai, fermati.

10. Rispetta la tua Vescica… Se hai voglia di scappare, fuggi.

Avete visto che la felicità ce l’abbiamo davvero in tasca? Basterebbe


seguire queste poche e semplici regole per star bene o, almeno, per stare
un po’ meglio. Non preoccupatevi, comunque: ve le ricorderò strada
facendo, molte volte, fino a farvele imparare bene bene a memoria. Chissà
che, un giorno, non possano tornarvi utili. A me hanno cambiato la vita.

Immagino già, adesso, la vostra prima obiezione. Me la fanno tutti,


immancabilmente.

Quando io esorto le persone a vivere le emozioni attraverso un grido, una


parola, un pianto, una richiesta di aiuto o un gemito di paura, la risposta che
ricevo è questa: “Tanto non serve a niente”.

!21 !21
“TANTO NON SERVE A NIENTE”.

“TANTO E’ INUTILE”.

“TANTO NON CAPIREBBE”.

“TANTO LE COSE RESTANO SEMPRE QUELLE”.

Sbagliato. Queste frasi sono il presagio triste della resa e, ai fini dello star
bene, sono quanto di più deleterio si possa immaginare.
Quante volte l’avete detto anche voi?

Che cosa grido a fare? Tanto, le cose non cambiano. Tanto, lui (o lei) non
capirà.

Che chiedo aiuto a fare? Tanto, alla fine dovrò comunque far tutto da solo
(o da sola).

Allora, cari miei, vi esorto ad andare a rileggere il decalogo che avete letto
prima forse di sfuggita, senza vedere bene quello che c’era scritto. Senza
offesa, ma forse siete stati un po’ superficiali.

Lo avete riletto? Bene.

C’è scritto, per caso, che per rispettare il Fegato è necessario che il
destinatario delle nostra urla (il capo, il marito, la moglie, il figlio) ci capisca,
ci comprenda, ci chieda scusa?

C’è scritto, per caso, che per far star bene lo Stomaco è indispensabile che
le persone ci aiutino o si facciano in quattro per noi, quando lo chiediamo?

No. C’è scritto “grida”, “parla”, “chiedi” e così via.

!22 !22
Il fatto è che il nostro cervello ha il compito di farci sopravvivere e, a volte,
esegue fin troppo bene questo suo compito. Il cervello, nella sua memoria
emozionale, registra gli eventi e le emozioni ad essi associati. Il cervello,
quindi, di fronte a situazioni che hanno generato emozioni o reazioni in
qualche modo negative, reagisce facendovele evitare il più possibile. Se, ad
esempio, avete toccato un oggetto che vi ha scottato, ecco che un
meccanismo autonomo del vostro cervello limbico vi impedirà di toccarlo di
nuovo, perché collegherà sempre la sensazione “dolore” a quel particolare
oggetto. Per assurdo, se vi appoggiaste su un braccio, in stato di ipnosi o
semi-coscienza, quello stesso oggetto, anche se freddo, sul vostro corpo,
poco dopo comparirebbe il segno della scottatura. Esperimenti di
laboratorio confermano questa tesi. Lo stesso vale per i sentimenti sopra
descritti. Se avete urlato e siete stati puniti in maniera dura, allora il vostro
cervello, a lungo andare, vi eviterà di gridare, per evitarvi la punizione,
perché non potrà fare a meno di elaborare l’equazione urlo/ribellione =
punizione/dolore = esperienza da evitare.

Come dice l’eccellente Claudia Rainville nel suo libro: “Il ruolo principale del
cervello limbico è quello di provvedere alla nostra sopravvivenza, evitando
di farci rivivere esperienze giudicate sgradevoli e facendoci ripetere quelle
che invece sono state considerate ripetibili. Il problema fondamentale del
cervello limbico è che non riflette, non possiede il discernimento necessario
per operare la distinzione fra le esperienze “da evitare” che invece ci
sarebbero favorevoli e le esperienze ripetibili che tuttavia potrebbero avere
ripercussioni dannose sulla nostra salute.”4

Vedete, al nostro Fegato non interessa assolutamente quel che otterrà con
il suo grido. Al Fegato interessa urlare. Punto e basta. E se la persona alla
quale gridiamo non vuol proprio saperne di darci retta, beh, vuol dire che
dovremo gridare più forte, o anche tutti i giorni, nessuno escluso.
L’importante è non stancarsi!

Al nostro Stomaco non interessa quel che ci verrà dato in cambio della
nostra richiesta. A lui interessa solo che voi chiediate, che vi togliate il

4 Rainville Claudia, Metamedicina, ed. Amrita

!23 !23
peso… dallo Stomaco. Niente di più. Se, poi, riceverete l’aiuto richiesto,
tanto meglio. Altrimenti, farete comunque le cose da soli, ma almeno avrete
chiesto e il vostro Stomaco sarà soddisfatto.

Quel che decideranno di fare gli altri, sarà un problema loro.

Voi pensate per voi stessi, iniziate a rispettarvi un po’ di più.

Sarà già un passo da giganti in avanti.

!24 !24
IL MIO MAESTRO

“Il lattante strilla tutto il giorno senza che la sua gola


diventi rauca: in lui l’armonia naturale è assoluta. Stringe
il pugno tutto il giorno senza che la sua mano serri
qualcosa: la sua forza vitale non ha preferenze. Guarda
tutto il giorno senza sbattere le palpebre: è imparziale
verso ogni cosa intorno a lui. Cammina senza sapere
dove va, si riposa senza sapere quello che fa. Si dà con
gioia ad ogni cosa e segue la corrente. Ecco la regola
fondamentale per la conservazione della vita.”
Chuang-tzu

Ho passato anni a studiare le dottrine della Medicina Tradizionale Cinese, le


teorie sul linguaggio del corpo, sull’interpretazione psicosomatica dei
malesseri della persona e tutto ciò che ha a che fare con i concetti di
emozione, malattia, salute. Anzi, ad essere sinceri, sto studiando anche
adesso e credo proprio che ce ne vorrà ancora, di tempo, prima di capirci
veramente qualcosa.

Ricordo ancora lo stupore provato quando, durante lo svolgimento di uno


dei primi corsi cui ho partecipato, ho sentito dire per la prima volta che, nel
momento in cui una persona è arrabbiata, dovrebbe gridare o pestare i
piedi.

Che, quando una persona prova gioia, dovrebbe parlare e ridere.

Che, quando una persona è preoccupata, dovrebbe chiedere aiuto.

Che, quando una persona è triste, dovrebbe lamentarsi o piangere.

!25 !25
Che, quando una persona è stanca o impaurita, dovrebbe dire “basta” e
fermarsi.

Ricordo benissimo che è stata una vera e propria rivelazione. Mi sono


sentito “illuminato”, colpito dalla verità schiacciante delle parole udite dal
mio insegnante, ed ho capito di essere venuto a conoscenza di qualche
cosa di unico, di rivoluzionario, di importante. Ricordo bene di essermi
sentito “toccato dentro”, nel profondo.

Infervorato dalle nuove rivelazioni di cui ero venuto a conoscenza, mi sono


buttato a capofitto nel mio percorso formativo e mi sono messo a
frequentare corsi su corsi. Non pago, perché la sete di sapere è una sete
assai difficile da estinguere, mi sono tuffato anche nei libri. Montagne di
libri, senza distinzione. E più leggevo, più mi sentivo illuminato e fortunato,
per aver scoperto un così importante segreto del quale, ero certo, assai
pochi erano a conoscenza.
La stessa reazione, del resto, posso osservarla nei miei clienti, quando parlo
loro per la prima volta di queste stesse cose. Le persone si stupiscono e,
inevitabilmente, vogliono saperne di più, anche loro convinte di aver
trovato, finalmente, la Rivelazione che aspettavano da tanto tempo.

Insomma, credevo davvero di aver scoperto l’America.

Poi, è nata mia figlia Aurora, la mia piccola principessa.

Osservando lei, vivendo con lei giorno dopo giorno tutte le fasi della sua
minuscola esistenza, poco a poco mi sono reso conto di una verità
importante, la quale, da un lato, mi ha rafforzato nel mio intento di studiare
e comprendere ma, d’altro lato, mi ha fatto capire quanto noi adulti siamo
ciechi, a volte, anche di fronte alle realtà più eclatanti. Osservando la mia
bambina in tutte le sue espressioni di vita, ho capito che da lei avrei potuto
imparare più che da mille libri, che era inutile che andassi a cercare in Cina,
in Tibet o chissà dove, un Guru o un Maestro, perché il mio Maestro ce
l’avevo in casa, tutti i giorni a disposizione, da guardare e osservare per
tutto il tempo che avrei desiderato. No, la mia bambina non è la

!26 !26
reincarnazione del Buddha, come nel film di Bertolucci, né ha segni
distintivi particolari che fanno di lei una Eletta, una creatura dagli strani e
mistici poteri. No, è solo, nella sua stupenda ed immensa semplicità, una
bambina.

Pensate ad un bambino piccolo, non ancora condizionato dai nostri “non si


deve”, “non sta bene”, “non si fa”. Non ancora educato, insomma, e, per
questo, molto più sano e libero di noi, un bambino che ancora agisce
secondo gli istinti atavici insiti nella sua Natura più profonda. Pensate ad un
bambino piccolo.
Il bambino piccolo applica e vive alla perfezione, senza che nessuno gliene
abbia mai parlato, la Legge dei Cinque Elementi della Medicina Tradizionale
Cinese che sopra è stata descritta, conosce a meraviglia il decalogo che
avete appena letto, senza che nessuno glielo abbia mai spiegato e conosce
ancor meglio tutto quello che ho scritto in questo libro e che voi ancora
dovete leggere. Eppure, è appena nato. Non può aver fatto corsi di
formazione a nostra insaputa!

Il bambino piccolo sa. Sa tutte quelle cose che un adulto come me ha


dovuto studiare e sulle quali ancora suda e si affatica. Sa tutto: ciò che è
bene e ciò che è male, ciò che è utile per la sopravvivenza e ciò che non
serve. Madre Natura lo ha fornito di un egoismo senza limiti, proprio per
permettergli di sopravvivere nel miglior modo possibile. Lui se ne frega se
gli altri hanno voglia o meno di ascoltarlo, se sono stanchi per le troppe
notti in bianco, se hanno esaurito le energie: lui se ne frega e va avanti per
la sua strada, senza timori e senza pudori, perché conosce bene le regole
della sopravvivenza.

Quando un bambino è arrabbiato, magari perché non riesce a fare una cosa
come vorrebbe o magari perché non è guardato e ha bisogno
dell’attenzione di un genitore, non fa altro che gridare e pestare i piedi
come un ossesso finché qualcuno non si avvicina e gli dedica le cure di cui
ha bisogno, fosse anche solo una parola; oppure prende qualche oggetto, il
primo che gli capita sotto mano e lo scaglia con forza contro il muro o per

!27 !27
terra, incurante del valore dell’oggetto o del buco sul pavimento che
potrebbe creare con il suo gesto inconsulto.
Grida, il bambino, e vi posso assicurare che sa farlo alla perfezione: senza
limiti, senza paura di disturbare, senza ritegno. Urla con tutta la forza che
ha nei Polmoni, a volte stringendo anche i pugni in un supremo gesto di
stizza, fino a che il genitore interviene con una sgridata (“smettila!”, “non
sta bene gridare!”, “grida piano (!) che disturbi i vicini!”) o, che è anche
peggio, con una punizione o un ceffone.
Di questa meravigliosa cosa che è l’educazione parleremo dopo, quando
vedremo come agisce il nostro cervello limbico dopo aver subito stimoli del
genere. Avrete tempo a sufficienza, dopo, per rabbrividire e farvi venire un
po’ di sani sensi di colpa. Ritorniamo al mio, anzi al nostro Maestro.

Quando il bambino è felice, non fa altro che ridere come un matto, anche
per le cose più stupide. Ride di Cuore, emettendo un suono che un adulto
non è in grado di riprodurre, ridendo in un modo che nessun adulto, per sua
sfortuna, sarebbe mai in grado di emulare.
Non ditegli mai di smettere, ve ne prego. Non ditegli mai che sembra uno
stupido a ridere per così poco. Non è importante il motivo per cui si ride: se
il Cuore è pieno di gioia, il Cuore ha solo voglia di ridere. Ancora, quando il
bambino ha voglia di parlare, non si fa certo riguardo e comincia a
blaterare, buttando fuori tutto quello che ha dentro. E non ha paura di
stufarvi, perché potrebbe andare tranquillamente avanti per ore. Parlotta
tra sé oppure pretende la vostra completa attenzione perché ascoltiate
tutto ciò che deve raccontare. In ogni caso, ascoltatelo e lasciatelo dire,
anche se siete stanchi, avete mal di testa o avete altre preoccupazioni a cui
pensare. Al piccolo non interessano, né sono affari suoi. Non mortificate la
sua Gioia, non zittite il suo Cuore.
Magari vorrà raccontare quello che ha fatto all’asilo, magari parlerà fra sé e
sé, perso nel suo mondo di streghe, draghi e orsetti golosi di miele. Non ha
importanza. Ha voglia di parlare e parla.
La speranza è che ci siano sempre genitori che abbiano tempo di ascoltarlo
e che non smorzino il suo entusiasmo, il suo bisogno impellente di buttar
fuori parole, con la solita frase: “Adesso non ho tempo, dimmelo dopo”,
oppure “stai zitto che non sento la televisione”.

!28 !28
Cominciano a tornarvi i conti? Cominciate a capire perché, a volte, vi sentite
un vulcano dentro e vorreste dire chissà che cosa e, invece, non esce nulla?

I bambini sani, cioè quelli ancora non educati, non hanno vergogna a
chiedere. Fin dai primi mesi di vita, attraverso il pianto che reclama la
pappa, o una coccola, o un cambio di pannolini, i bambini chiedono.
Sempre e senza vergogna. Chiedono anche dieci volte di fila, chiedono
anche cento cose diverse nello spazio di cinque minuti. Chiedono aiuto se
non riescono a fare qualcosa, chiedono che gli venga dato quello di cui
hanno necessità, chiedono attenzione, chiedono coccole, chiedono tutto.
“Mamma mamma mamma mamma mamma… MAMMMMMA!!!”.
Una volta, dieci volte, cento volte.
È così bello, chiedere quando si ha bisogno.
Il problema è che spesso non gli si risponde. Se il bambino chiede di notte,
allora non si va per non viziarlo, per il suo bene? Credete davvero che
correre da un piccolo che piange nel cuore della notte sia un vizio?
Oppure, se il bambino chiede troppo e voi avete le vostre legittime gatte da
pelare, l’unica cosa che sapete rispondere è “dopo”. Solo che il “dopo” non
c’è, ve ne dimenticate. Non se ne scorda lui, però e, un po’ alla volta,
smetterà di farvi domande, deluso dai troppi “dopo” ricevuti. Vi sentite
stringere un po’ lo stomaco, a questo punto? Non preoccupatevi, va bene
così. Del resto, se qualche volta non avessero deluso le vostre aspettative,
non avreste nemmeno in mano un libro del genere.

Quando un bambino è triste, piange. Non si vergogna, anche se è un


maschietto (perché solo in seguito, purtroppo, gli verrà insegnato che i veri
uomini non piangono mai); non vive di certo il suo pianto come un sintomo
di debolezza, perché il pianto non è debolezza, ma forza. E lui lo sa, ce l’ha
dentro. Il pianto è la forza di dire che ci siamo anche noi; che ci manca
qualche cosa, un qualcosa che può venirci dato solo da qualcuno che non
siamo noi; che ci sentiamo soli; che vogliamo una carezza, uno sguardo,
un’attenzione. Si piange perché ci si sente soli ed un bambino si sente solo
mille volte più di un adulto, perché non è autosufficiente; perché ha bisogno
di un contatto fisico con la mamma e con il papà, la prima femmina e il

!29 !29
primo maschio che incontra nella sua vita, per riconoscere la sua identità e
la sua natura; perché i suoi genitori sono il suo unico universo e se mancano
loro, allora non c’è più niente.

Siateci e, quando sentite qualcuno piangere, che sia un bambino di tre anni
o un bambino che di anni ne ha cinquanta, avvicinatevi ed offritevi a
braccia aperte. Con una carezza, una parola, un sorriso. Il pianto avrà
esercitato il suo scopo e la persona si sentirà meno sola.
Non si vergognano nemmeno di dire che hanno paura, i piccoli. Quando
qualche cosa li fa spaventare, corrono tra le gambe di papà (o della
mamma, se il papà non c’è) e dicono: “Ho paura”. Quando è sera e, nel buio
della camera da letto, vedono lupi e streghe, chiamano finché qualcuno non
va a scacciare i loro mostri immaginari (immaginari per noi, assai reali per
loro!). Del resto, di cosa ci si deve vergognare ad aver paura di un lupo o di
una strega? Vorrei vedere voi! Io, al solo pensiero di incontrare un lupo in
corridoi, me la faccio sotto!
I bambini, poi, quando non riescono a fare qualche cosa o quando sono
stanchi, non hanno timore di apparire inetti o deboli, se si fermano e dicono
“basta”. Si buttano a terra e non c’è verso di farli alzare. Se in un posto non
ci vogliono andare, non c’è speranza che riusciate a convincerli. Se non
hanno voglia di camminare, o li prendete in braccio o li infilate nel
passeggino, ma non contate sulla loro “forza di volontà”, una invenzione dei
grandi fatta apposta per contraddire l’istinto e per esaurire le nostre
energie di riserva. A differenza di molti adulti, conoscono i loro limiti, i
bambini.

Siamo noi “grandi” che insegniamo loro a non tenerne conto, che le paure
bisogna vincerle, che se si è stanchi bisogna andare avanti lo stesso.
Ho avuto una piccola discussione, a tal proposito, con una mia cliente. Il
mio studio si trova al sesto piano, in un condominio con ascensore. Una
signora, venuta da me con il piccolo, dopo aver finito il trattamento, è
uscita dallo studio. Io ho chiuso la porta, salvo riaprirla poco dopo, spinto
dalle urla che sentivo giungere dal pianerottolo. Era arrivato l’ascensore e la
signora faceva di tutto per spingere dentro il suo bambino, che strillava e
recalcitrava.

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“Potete prendere le scale”, ho consigliato io.
“NO!”, mi ha risposto lei inviperita.
“Ormai è grande e deve imparare a vincere questa sciocca paura! In fin dei
conti, non gli capita mica niente! E poi è grande (nota: avrà avuto al
massimo tre anni)”, ha continuato la signora.
Io le ho spiegato che non bisognerebbe mai forzare i bambini a vincere le
loro paure e che ciò che spaventa un bambino non necessariamente è
realmente pericoloso o pauroso, ma a noi non deve interessare. Se il
bambino ha paura, a noi deve bastare solo quello. Altrimenti, rischiamo di
fare una vera e propria violenza, di abusare del nostro ruolo di adulti per
inculcare insegnamenti che non necessariamente sono corretti.
Conoscendo la storia personale di quella signora, comprendo le motivazioni
del suo atteggiamento: un marito disattento, tutte le responsabilità e i
doveri sulle sue spalle, una figura paterna inesistente. Eppure, quel giorno,
non ho potuto fare a meno di insistere che era proprio il caso che quei due
prendessero le scale e lasciassero perdere l’ascensore. Quel bambino con
gli occhi gonfi di pianto e lo sguardo terrorizzato mi aveva toccato il cuore.
Tuttavia, mi è stato risposto di farmi gli affari miei e, quel giorno, ho perso
una cliente. Ancora oggi, se ritorno con i ricordi a quella scena, penso:
povero bambino e poveri tutti i bambini come lui, quelli che devono
sforzarsi di dormire al buio perché i loro genitori non si piegano a lasciar
loro una lucina accesa, quelli che devono andare fino in fondo al corridoio,
da soli, perché tanto in corridoio non ci sono né mostri né streghe, quelli
che devono farsi forza, coraggio e chissà cos’altro.
Dice Rika Zarai, consulente di salute olistica nel campo delle malattie
psicosomatiche, nel suo bel libro “Libera le tue emozioni”: Siamo arrivati ad
un tale grado di dissimulazione emozionale che di una persona addolorata
che trattiene il pianto e le urla di dolore diciamo “che persona dignitosa!”,
come se la dignità impedisse di manifestare il dolore.
Se un bambino sfoga la sua collera, provoca la disapprovazione tra le
persona vicine […]. Viviamo in una società che valorizza al massimo la parte
sinistra del cervello, intellettuale ed analitica, a discapito della parte destra,
quella delle emozioni. […]. Ci si rallegra di avere un figlio studioso, serio e

!31 !31
calmo. Se invece è esuberante ed allegro, eccolo “turbolento”, “difficile”, se
non addirittura “insopportabile”. 5

I bambini piccoli, attraverso la loro innocenza e la loro istintualità, ci


insegnano come si dovrebbe fare. Quando si ha paura, ci si dovrebbe
fermare. Quando qualche cosa non ci piace (che sia la strega di
Biancaneve… o il datore di lavoro), bisognerebbe allontanarsi, punto e
basta. Ascoltare l’istinto. La mia bambina fa così: quando arriva la strega
cattiva, salta in braccio e mi dice che ha paura. Sapete che cosa le dico, per
darle sicurezza? Di certo non la esorto a vincere la sua paura o non ostento
sicurezza spavalda, perché la farei sentire ancora più piccola e sola. Le dico
semplicemente che ho paura anch’io e che insieme possiamo farcela, alla
faccia della strega cattiva o del brutto lupaccio cattivo, che se lo vedo gli
tiro le orecchie e lo faccio scappare!

Quando avete qualche dubbio sul modo di comportarvi, su quale dovrebbe


essere la vostra reazione di fronte ad una determinata emozione, pensate
ad un bambino piccolo e immaginatevi la sua, di reazione. Pensate al vostro
Maestro, al vostro Guru personale.

In questo modo non dovrete girare il mondo alla ricerca di maestri che non
ci sono, ma troverete in voi stessi la risposta che cercate per il vostro
quesito.
Seguite l’istinto, tornate bambini, fidatevi di voi stessi. Il vostro corpo non vi
tradirà mai.

Per concludere questo breve capitolo dedicato ai nostri bambini e ai


bambini che siamo e che siamo stati, vi lascio con una citazione che
riguarda proprio loro, i bambini. Si tratta di un pensiero diffuso molto
attuale, una cosa che si sente dire praticamente tutti i giorni e sulla quale,
non v’è dubbio, tutti sono d’accordo.
Non vi dico subito chi lo ha scritto, così non vi lasciate condizionare. Sono
certo, tuttavia, che sarete d’accordo con il nostro autore e che converrete
con lui che la società, (ah! Questa benedetta società!) è di certo la

5 Zarai Rika, “Libera le tue emozioni”, ed. Essere Felici.

!32 !32
principale responsabile dei comportamenti che vedrete descritti con così
mirabile precisione. Sapete: i vizi, troppa televisione, i videogiochi, il troppo
benessere, il telefonino, insomma, le solite cose.
Vi scriverò il nome dell’autore del pensiero che vado ad esporvi alla fine del
prossimo capitolo.

“ OGGI I BAMBINI AMANO IL LUSSO, SI COMPORTANO MALE,


DISPREZZANO L’AUTORITA’, NON RISPETTANO GLI ANZIANI…
OGGI I BAMBINI SONO DEI TIRANNI, NON SONO I SERVITORI DELLA
CASA…
CONTRADDICONO I GENITORI E TIRANNEGGIANO GLI INSEGNANTI…”

!33 !33
EMOZIONI… FISICHE

Dovunque vi siano un cuore ed un intelletto, le malattie


del corpo che li ospita riflettono le loro peculiarità.
(Hawthorne, La lettera scarlatta)

Molti di voi, a questo punto, staranno scuotendo la testa con aria scettica e
incredula. Sembra tutto molto strano, se paragonato a quello che crediamo
di sapere, a quello che ci insegnano fin da piccoli, a quello che diamo per
scontato. Il nostro più grande problema è che non ci fermiamo mai a
riflettere su ciò che accade intorno a noi perché, se solo riflettessimo un
po’, ecco che le contraddizioni e le incongruenze di tutta la mole di sapere
con la quale siamo stati indottrinati, balzerebbero subito agli occhi. Di
questo, tuttavia, parleremo meglio in seguito. Per il momento,
concentriamoci su voi, cari lettori, che state scuotendo la testa con aria
incredula.

Per prima cosa, (penserete voi) sarebbe davvero troppo facile (e troppo
bello!) se fosse sufficiente “rispettare” i propri organi e i propri visceri, per
star bene.

Ma come (direte voi)?! Un semplice decalogo per toglierci di dosso i nostri


acciacchi ed i nostri malanni? Impossibile! E il mio collo bloccato? E la mia

!34 !34
pressione alta? E la mia spalla che fa sempre male? Non possono bastare
quelle poche regole, no davvero!

Poi (continuerete a pensare voi), questa storia che le emozioni sono


collegate ad un organo o ad un viscere e che, non vivendo l’emozione
medesima, si possa alterare il funzionamento del corpo… insomma, sembra
proprio una cosa molto strana.

Ho indovinato i vostri pensieri?

È proprio così difficile pensare che un’emozione non vissuta possa


provocare un disagio fisico o un’alterazione dal punto di vista metabolico?
Vi capisco, non crediate che il mio discorso voglia farvi sentire stupidi. Io
stesso, all’inizio della mia carriera, sono rimasto perplesso di fronte a
questo approccio così rivoluzionario (che poi non è rivoluzionario, perché si
tratta, in fondo, del modo di pensare che avevano persone vissute migliaia
di anni fa, molto prima che noi inventassimo medici, ospedali e medicine).
Vi capisco, dicevo. Quello che vi ho detto sfugge alla vostra immediata
comprensione, perché siete abituati a ragionare secondo una visione
meccanicistica degli eventi e, soprattutto, perché siete stati educati a
credere che la testa sia una cosa, un mondo a sé, ed il corpo sia un’altra
cosa, ben distinta ed autonoma dalla prima. Tanto è vero che, se vi
capitasse di avere male ad una spalla, andreste da un medico specializzato
in quel tipo di problemi mentre, se soffriste “solo” di un po’ di stress, legato
magari a un carico eccessivo di preoccupazioni, andreste dal “dottore della
testa”, cioè dallo psicologo. Ma in segreto, perché ancora oggi dire che si va
dallo psicologo è come dire di essere un po’ matti e si prova, pertanto, un
senso istintivo di vergogna ed imbarazzo. Dire, invece, che si va da un
ortopedico per la spalla non crea nessun disagio. Eppure, spesso si tratta
della stessa cosa.
Detto questo, voglio provare ad aprirvi un po’ gli occhi, o meglio a farvi
riflettere su alcune cose che sapete già, ma che vi sfuggono o delle quali vi
sfugge la reale, immensa portata.

Immaginate questa scena.

!35 !35
Un ragazzo è in una grande aula universitaria, seduto al suo posto, i libri e
gli appunti sistemati davanti a sé. Sta aspettando il suo turno per essere
interrogato dall’insegnante, un tizio molto severo dall’aria burbera e poco
condiscendente. È un esame molto difficile ed importante: il ragazzo si è
preparato a lungo prima di provare a sostenerlo. Ha studiato moltissimo, ma
ora è letteralmente in preda al panico, gli sembra di non sapere niente, di
non ricordare nemmeno una parola di quel che ha letto. È quasi giunto il
suo turno: non appena lo studente che in questo momento è interrogato
avrà terminato il suo colloquio, ecco che sarà il momento del nostro povero
ragazzo in preda all’ansia.
I secondi passano, il momento si avvicina.

Il ragazzo, secondo dopo secondo, sente una fastidiosa morsa che gli
chiude lo Stomaco, sempre di più. Il suo Cuore batte forte nel petto, lo
sente persino nelle orecchie! TUM! TUM! TUM!

Le mani sono bagnate di sudore e la bocca è stranamente arsa. Continua a


deglutire, ma non ha saliva e questo riflesso spontaneo è solo un fastidio in
più. Vorrebbe scappare lontano mille miglia, pur di non farsi interrogare,
pur di evitare quella terribile ansia, ma deve restare lì.

Lasciamo il nostro ragazzo al suo esame (e speriamo che gli vada bene!) e
dedichiamoci a qualche riflessione.
Quanti di voi ci saranno passati, o alla scuola superiore o all’università. Chi
non ha mai provato il terrore che precede un’interrogazione? Chi non ha
mai provato il senso di ansia che si prova nell’aria silenziosa, mentre il
professore decide chi sarà la sua vittima sacrificale?
Se non avete provato queste esperienze a scuola, pensate al vostro primo
colloquio di lavoro, oppure al vostro primo appuntamento con la ragazza
dei vostri sogni, oppure al vostro primo bacio.
Ebbene, ora riflettete.

Il ragazzo è seduto al suo banco. Nell’aula, le condizioni climatiche sono


stabili, nel senso che nessuno alza o abbassa il riscaldamento, nessuno apre

!36 !36
o chiude le finestre. Non c’è aria corrente, non ci sono spifferi. Il ragazzo
non mangia nulla né beve nulla. È immobile, non svolge nessun tipo di
attività fisica. Nessuno gli si avvicina, nessuno gli parla.

Eppure, ecco che un po’ alla volta, mentre le lancette dell’orologio corrono
ed il fatidico momento si avvicina, qualche cosa in lui, spontaneamente,
cambia, si modifica, si altera.

Il suo Cuore aumenta la velocità dei battiti.

Le sue mani si ricoprono di sudore.

La sua bocca si secca in modo anomalo.

Il suo Stomaco è tanto chiuso che il ragazzo non riuscirebbe a deglutire


nemmeno una briciola di pane.

La sua vescica segnale che avrebbe bisogno di essere vuotata, sebbene il


ragazzo sia andato in bagno almeno già altre tre volte, durante la mattinata.

Allora, che cosa è successo?

Dal punto di vista delle condizioni ambientali, assolutamente nulla.

Il ragazzo è semplicemente preoccupato, o ha una gran paura, direte voi


senza pensare. Ed avete ragione. Avete appena confermato quello che vi ho
appena detto fino ad ora.

Preoccupazione e paura non sono forse emozioni?

Dal punto di vista materiale, queste emozioni (così come tutte le altre), non
sono nulla. Non sono tangibili, non sono misurabili, non sono
schematizzabili. Non possono essere rilevate dalle apparecchiature
mediche, non si possono fotografare con la macchina per le radiografie.
Sono aria fritta. Eppure, è evidente che qualche cosa hanno fatto, qualche

!37 !37
reazione l’hanno provocata. E non sto parlando di reazioni emotive, ma di
vere e proprie reazioni fisiche.

Un Cuore che batte più forte è una reazione fisica e sta ad indicare che il
sistema circolatorio ha subito un’alterazione, che la pressione sistolica è
aumentata.

Le mani sudate sono una reazione fisica. Il sudore è fisico, è materia, ed


indica che un metabolismo si è messo a lavorare in maniera diversa.

Lo Stomaco chiuso o la bocca secca sono una reazione fisica, concreta,


tangibile, dimostrabile. Non si tratta di suggestione. Provate a mangiare
qualcosa, con lo stomaco in quelle condizioni! Vedrete se si tratta di
suggestione!

La vescica che si riempie alla velocità della luce, almeno tre volte più dei
soliti ritmi, è una reazione fisica che coinvolge più di un metabolismo.

Stiamo parlando, signori e signore, di muscoli che si contraggono, di


sangue che gira più velocemente, di liquidi che si muovono, di interi sistemi
metabolici che subiscono, in qualche maniera, una “scossa”.
Il tutto… a causa di un po’ di preoccupazione e di un po’ di paura.

“Si sono studiati i livelli ormonali di pazienti in attesa di intervento


chirurgico, di studenti prima di un esame, […], di chi si è separato dal
coniuge. Dall’insieme di questi lavori, i ricercatori hanno visto che situazioni
in grado di suscitare uno stress puramente emozionale determinano
un’attivazione dei principali sistemi endocrini, misurabile da un aumento dei
livelli circolanti nel sangue di ACTH (ormone adrenocorticotropo, ormone
dell’ipofisi che stimola la corteccia surrenale), di cortisolo, di catecolamine,
di ormone della crescita e, in molti casi, di prolattina”.6

Queste reazioni “fisiche” sono il retaggio del nostro istinto primordiale ed


atavico, sono una parte di noi stessi alla quale non potremmo rinunciare

6 Bottaccioli Francesco, Psiconeuroimmunologia, ed. Red

!38 !38
nemmeno volendo. Si tratta di un puro e semplice meccanismo di
sopravvivenza che, una volta, ai tempi dei cavernicoli, serviva per scappare
dai pericoli e tornare a casa, pardon alla caverna, sani e salvi e che oggi
dovrebbe servire per preservarci in salute il più a lungo possibile. Gli
psicologi hanno canonizzato questo concetto affermando che le reazioni
istintive che l’uomo moderno ha conservato, quale patrimonio del suo
vissuto, sono sempre e solo due: combattimento o fuga. O l’uomo affronta
il pericolo, o scappa. Il nostro fisico, la nostra memoria genetica, non è
capace di altro.
Tutt’oggi, se noi ci trovassimo in una situazione di estremo pericolo, ecco
quel che ci succederebbe, grazie al nostro ancestrale istinto di
sopravvivenza: anzitutto, aumenterebbe il battito cardiaco. Questo evento
provocherebbe una contrazione dei vasi sanguigni ed un aumento della
pressione arteriosa. Le pupille si dilaterebbero ed aumenterebbe l’acutezza
del campo visivo. Per permettere al corpo di fronteggiare l’emergenza con
tutte le risorse disponibili, ecco che le ghiandole salivari interromperebbero
la loro secrezione e ci sarebbe una contestuale interruzione dei processi
digestivi. Ancora, il sangue affluirebbe ai muscoli e al cervello, lasciando
poco irrorate le estremità del corpo e la superficie della pelle (ecco perché
quando si ha paura si avverte la pelle d’oca o si sentono mani e piedi
freddi). Per finire, anche la respirazione subirebbe una forte accelerazione,
per mantenere l’organismo con una buona riserva di ossigeno. Senza
contare la produzione di tutti quegli ormoni, che sono chiamati “ormoni
dello stress”, come l’adrenalina e i corticoidi, i quali possono essere smaltiti
dall’organismo solo attraverso l’azione per la quale sono stati prodotti. Cioè,
se noi produciamo adrenalina per poter scappare (da un dinosauro… o dal
datore di lavoro), l’unico modo per “bruciarla” e non rimanerne intossicati è
“scappare”. Non c’è altra via. Se il corpo è sottoposto a stress continui,
nell’accezione che abbiamo già dato, si avrà una secrezione continua ed
abbondante di questi benedetti ormoni stressanti, tra i quali ricordiamo
ancora l’adrenalina, il cortisolo e l’ACTH. È inevitabile, a lungo andare, una
vera e propria intossicazione. Senza voler scendere in dettagli noiosi,
diciamo solo che un costante accumulo di adrenalina, ad esempio, fa salire
la tensione arteriosa e se questo diventa uno status permanente, le
implicazioni sono evidenti. Altrettanto evidenti sono le implicazioni dovute

!39 !39
ad una continua ed eccessiva secrezione di acidi gastrici: l’ulcerazione delle
pareti dello Stomaco è inevitabile. Ancora: una quantità eccessiva costante
di corticoidi può favorire una demineralizzazione del nostro organismo e un
indebolimento del nostro sistema immunitario.
Capite bene, perciò, che la palestra a fine settimana serve davvero a poco,
in questi casi.
Naturalmente, questo discorso vale anche a proposito degli “ormoni del
benessere”, che mantengono l’organismo ad un costante livello di serenità
ed efficienza. Quando siete pervasi da un forte sentimento di amore, ad
esempio perché siete con la vostra famiglia e non avete altri pensieri per la
testa, ecco che nel vostro corpo circoleranno ormoni come le endorfine, le
catecolamine e gli anandamidi che, guarda caso, sono proprio quegli
ormoni che devono essere somministrati alle persone con problemi di
depressione e che si trovano sintetizzati nei farmaci prodotti in laboratorio.
Così, ora sapete anche che avete una vera e propria “farmacia…in tasca”,
per parafrasare il titolo di questo libro. Vivere meglio, privilegiando le scelte
che ci portano serenità, significa andare a fare la spesa in questa farmacia e
comprare solo farmaci che ci fanno bene. Non è facile, ma non
scoraggiatevi: siamo solo agli inizi. Da qui alla fine, forse vi sentirete più
ottimisti sulle vostre possibilità di successo.

Siete un po’ meno scettici, adesso? Vi ho dato qualche spunto interessante


su cui riflettere? La vostra testolina (non in senso offensivo, s’intende) si è
già messa a lavorare?

E allora pensate a quando il vostro capo vi chiama nel suo ufficio per
comunicarvi qualche cosa di importante e voi non sapete se sarà un
licenziamento o una promozione.

Pensate a quando un ragazzo o una ragazza che vi piacciono molto vi


sorridono e voi diventate rossi come un peperone.
Pensate a quando il direttore della banca vi telefona per dirvi che il vostro
conto corrente ha bisogno di un po’ di ossigeno, oppure a quando vi
telefona una persona cara della quale sentivate tanto la mancanza.

!40 !40
Pensate a quando siete nel letto, a notte inoltrata, e vostro figlio è in giro
con il motorino e non è ancora tornato.

Sono tutte situazioni nelle quali è evidente che le emozioni provocano


importanti reazioni fisiche.

Voi siete fermi, immobili, non state mangiando o bevendo niente, ed ecco
che una telefonata sgradita è capace di bloccarvi la digestione, oppure
ecco che una telefonata romantica è capace di farvi passare un mal di testa.
Voi siete nel vostro letto a rigirarvi e non ci sarebbe un motivo al mondo
per il quale non dovreste dormire: il letto è morbido, le coperte ci sono, il
cuscino è in lattice… eppure state lì con gli occhi sbarrati, perché il pensiero
di vostro figlio non vuole saperne di lasciarvi in pace.

Questi sono solo alcuni banali e macroscopici esempi che servono a


dimostrare il rapporto causa/effetto tra un’emozione non vissuta ed una
reazione fisica. Pensate a quante volte, durante una sola giornata, voi siete
sottoposti a piccoli stress dei quali nemmeno vi rendete conto.

Quante volte avreste l’istinto di dire qualche cosa e poi state zitti, magari
perché non riuscite proprio a parlare in pubblico o magari perché in ufficio
sono tutti seri e non interessa a nessuno se il vostro bambino ieri ha fatto il
suo primo gol.
Quante volte avreste l’istinto di mandare qualcuno a quel paese perché non
lo sopportate e invece mandate giù, o perché avete paura di essere puniti o
perché l’urlo vi sale fino alla gola e poi muore lì, incapace di uscire?

Quante volte vi sentite stanchi o stanche e vorreste chiedere una mano, ma


non lo fate per non disturbare o perché vi hanno insegnato che i problemi
bisogna risolverseli da soli?

Quante volte avreste voglia di un po’ di coccole e non osate chiederle,


oppure quante volte avreste voglia di gridare al vostro compagno tutta la
vostra solitudine, tutto quello che vi manca e che lui non vi dà, ma state
zitti, perché tanto lui è così e non capirebbe?

!41 !41
Quante volte, infine, avreste bisogno di riposo, ma andate avanti lo stesso,
seguite gli altri anche se non ne avreste voglia, solo per paura di essere
giudicati deboli, strani, diversi?

Queste cose capitano a tutti, tutti i giorni. A qualcuno di più, a qualcun altro
di meno. Qualcuno avrà più guai sul lavoro, qualcun altro con il partner,
qualcun altro semplicemente con se stesso.

Certo, nessuno si ammala solo perché un giorno avrebbe voluto dare un


pugno a qualcuno e non l’ha fatto.

Nessuno si ammala solo perché, per una sola volta, non ha potuto dire
quello che pensava.

Qui stiamo parlando di emozioni trattenute giorno dopo giorno, per anni,
fin da quando si è piccoli, piccolissimi, così piccoli che se ne è perso persino
il ricordo.
Credetemi, nessuno è esente da questo tipo di tensioni, da questi milioni di
piccoli istinti che vengono tacitati o repressi, anche senza saperlo, anche
senza volerlo, per la forza dell’abitudine.

È ancora così difficile pensare che le emozioni sono le responsabili dei


nostri malesseri fisici e dei nostri disagi fisici o psicologici?

Certo, e le scarpe strette, dove le mettiamo? E l’aria condizionata? Vi


avevano detto che era quella a farvi venire il male al collo! E il materasso
duro? Vi avevano assicurato che era colpa sua se avete sempre mal di
schiena (però a vostro marito, che dorme nello stesso letto, non viene.
Strano…)! E la posizione alla scrivania? E il burro con troppo colesterolo?
Dove le mettiamo tutte queste cose? Loro sono le vere responsabili di tutti i
nostri mali, altro che le emozioni!

Il nostro grande problema (per nostro intendo, fondamentalmente, di noi


occidentali) è che siamo abituati ad utilizzare una dicotomia che, in realtà,
non avrebbe ragione d’esistere, e cioè quella tra mente e corpo. Pensate

!42 !42
che nei testi medici o filosofici cinesi si trova scritto corpomente, tutto
attaccato. Si parla sempre del corpomente come di un unico soggetto. Non
c’è, come qui da noi, il dottore del corpo ed il dottore della testa.

Noi pensiamo che mente e corpo siano due entità separate e diverse,
ognuna delle quali autonoma rispetto all’altra, con una vita propria e
problemi propri.

Non è così.

Vi racconto una storia. La mia.


Quando ero piccolo, avevo circa otto o nove anni, soffrivo di frequenti e
fortissimi attacchi di labirintite. In pratica, avevo dei capogiri talmente forti
che non riuscivo nemmeno a stare in piedi e, anche quando ero a letto, la
testa girava così forte da provocarmi nausee e vomito. Inoltre, quando non
soffrivo di questi attacchi, ero spesso costretto a letto da attacchi di
emicrania insopportabili.

I miei genitori, naturalmente, hanno cominciato il solito e tradizionale


pellegrinaggio presso i vari specialisti del settore. Nessuno di loro era in
grado di fornire una spiegazione convincente ai miei disturbi. Ognuno
azzardava la sua ipotesi ma, di fatto, la labirintite restava e le emicranie
pure.

Nell’ultima tappa di quella interminabile via crucis, sono stato ricoverato per
ben dieci giorni in ospedale, nel reparto di neuropsichiatria infantile. Un
reparto nel quale, tanto per capirci, ci sono i muri imbottiti e le sbarre alle
finestre. Non vi dico come mi sentivo e i pianti che mi facevo nel letto, di
notte, in attesa che tornasse il giorno e la mamma ed il papà venissero a
trovarmi.

Mi hanno fatto di tutto, in quel dannato reparto, dai tradizionali esami del
sangue a prove allucinanti fra le quali, ricordo fin troppo bene, una specie di
test durante il quale mi introducevano acqua nelle orecchie per farmi girare
la testa e poi monitoravano le reazioni del mio cervello tramite elettrodi che

!43 !43
avevo attaccati al corpo e alla testa medesima. Hanno provato poi con
l’elettroencefalogramma, ancora con l’acqua nelle orecchie, con il solo
risultato che dopo ogni test io stavo peggio di prima.
Dopo questo iter angosciante, la diagnosi con la quale sono stato dimesso
era… che non avevo niente. Probabilmente, dissero, si trattava di un
disturbo psicosomatico.
Grazie al cavolo!

La verità è che, in base alle considerazioni che abbiamo fatto prima, ogni
malessere è psicosomatico, nel senso che, come abbiamo visto, origina da
una emozione, anche piccolissima, che non è stata scaricata come avrebbe
dovuto (o meglio, come avrebbe voluto!)

Noi siamo abituati a relegare alla categoria dello “psicosomatico” tutti


quei disturbi e quei malesseri per i quali la scienza medica “tradizionale”
non ha una risposta convincente.

Aperta parentesi: ma il termine “tradizionale” non vuol dire “della


tradizione” e cioè più vecchio, più antico? Secondo questa definizione,
dovremmo rivedere un po’ delle nostre categorie e pensare che la vera
medicina tradizionale è quella che per primi gli egizi e poi i cinesi hanno
cominciato ad applicare ben prima che la farmacopea moderna prendesse
il sopravvento. Ricordiamo che, in fin dei conti, questo concetto per il quale
la testa, intesa come spirito o anima, richiede un trattamento differente dal
corpo, inteso come materia, è tutto sommato piuttosto recente. Fino a non
molto tempo fa (ed in alcuni paesi, a dire il vero, la situazione perdura
tutt’oggi), la figura del guaritore assommava in sé la conoscenza dei rimedi
per lenire il corpo in quanto tale e dei rimedi per lenire l’anima della
persona che presentava il malessere. Chiusa parentesi.

Torniamo al nostro concetto di “psicosomatico”. Come dicevo, questo


termine serve oggi per descrivere l’origine di tutti quei sintomi per i quali la
scienza medica ufficiale non ha una risposta concreta ed oggettiva. Per la
scienza medica, purtroppo, è vero solo quello che risulta dalle lastre o dagli
esami del sangue o dalla TAC. Non vorrei fare di tutta l’erba un fascio,

!44 !44
perché so benissimo che non tutti i medici ragionano in questi termini. Il
mio medico personale, per esempio, prima di prescrivermi una medicina,
prova in tutti i modi a sondare il terreno, cioè a scoprire quale malessere
emotivo può aver provocato il sintomo che accuso. Ma è un’eccezione. La
maggior parte dei miei clienti mi conferma che, di norma, vale quanto ho
detto sopra e cioè che o una cosa risulta da un esame, oppure non esiste.

Da me, invece, vengono spesso persone che hanno un problema di questo


tipo: stanno molto male, a volte così male che la vita stessa diventa
insopportabile, e che, purtroppo, sono clinicamente sanissime. Dico
purtroppo perché persone di questo tipo vengono un po’ lasciate a loro
stesse: gli esami del sangue dicono che tutto va bene, quindi le persone
sono sane. Avranno qualcosa di psicosomatico. Quindi, affari loro. Che
vadano da qualche stregone a farsi curare, in ospedale non c’è posto per
malati di secondo livello come loro. Tutt’al più, una buona dose di
tranquillante e via a casa.
Già, è proprio così. Si usa il termine psicosomatico per indicare sintomi o
persone di “secondo livello”, rispetto a quei sintomi o a quelle persone per
le quali, invece, la medicina trova valori sballati o problemi che si vedono
con le lastre.

Altre volte, invece, capita il contrario: si rivolgono a me persone che vanno


in crisi perché stanno benissimo ma alle quali i dottori, magari per caso,
hanno trovato valori non ottimali, per i quali cominciano subito a
prescrivere farmaci in abbondanza. Queste persone, legittimamente, si e mi
chiedono: ma che cosa la prendo a fare una medicina se sto bene?

Da questi esempi che ho fatto, è abbastanza evidente che la medicina


tradizionale non sempre ha la risposta per tutto e non sempre ha la risposta
giusta. Le sue diagnosi, affidate a semplici valori scritti su carta o a
fotografie in bianco e nero, non sempre sono la risposta esaustiva della
quale la persona, l’ammalato, ha bisogno. Spero che questa affermazione
non venga contestata. Sono certo che tutti voi, almeno una volta nella
vostra vita, abbiate avuto qualcosa, qualche “acciacco”, per il quale non vi è

!45 !45
stato diagnosticato nulla, se non un po’ di “stress”. Comoda, la via dello
“stress”. È un po’ come la via dello “psicosomatismo”.

Quando non sanno che pesci pigliare, vi dicono che è stress o che è
psicosomatico.

La cosa buffa è che hanno ragione, anche se non lo sanno. Hanno ragione
non nel senso che intendono loro, e cioè che il sintomo in questione è solo
frutto della vostra mente malata o stressata, ma nel senso globale di cui si
diceva prima.
Perciò, in ultima analisi, possiamo ribadire che ogni disturbo ha origini
psicosomatiche, persino un ginocchio che deve essere operato o una cuffia
della spalla che è andata a farsi benedire.

Magari non immediate, magari da ricercare indietro negli anni, magari frutto
di molteplici e reiterate esperienze di tensioni caricate e mai scaricate, ma
pur sempre psicosomatiche, nel senso che derivano da un conflitto tra ciò
che il vostro istinto vi avrebbe suggerito di fare e quello che, in realtà, avete
fatto.

Riassumendo, possiamo dire che si ha una carica di tipo “psicosomatico”


ogni qualvolta si crea un conflitto tra il vostro istinto, che vi suggerisce
quello che è meglio per voi e per la vostra salute, ed il vostro cervello, che
invece vi suggerisce quello che è socialmente più conveniente.

Detta in soldoni, è la “ragione”, la “mente razionale”, che ci frega, che ci fa


star male, che ci provoca quelle tensioni che, un po’ alla volta, si
concretizzeranno in malesseri di tipo fisico o psicologico.

Facciamo due esempi.

Luisa è arrabbiata con suo marito perché lui la trascura e, pur pretendendo
da lei che la casa sia sempre in ordine e che la cena sia sempre ben
cucinata, non mostra il minimo rispetto per il suo lavoro di casalinga.
Mangia sempre tutto senza nemmeno fare un complimento, poi lascia tutto

!46 !46
in tavola e va al bar. Eppure, anche Luisa lavora ed è stanca. Avrebbe solo
bisogno di un po’ di considerazione e di un poco di aiuto.
Ci ha provato, a protestare. Dall’altra parte, però, ha sempre trovato un
muro impenetrabile. Il marito di Luisa ha sempre fatto orecchie da
mercante e nella vita coniugale le cose non sono mai cambiate.
Adesso, Luisa ha smesso di protestare e, rassegnata, fa quel che deve fare
senza nemmeno più provare quella rabbia che un tempo provava e che
tentava di uscire in tutti i modi.

Paolo (che poi sono io) ha un cliente che proprio non sopporta. È odioso,
antipatico, arriva sempre in ritardo e si lamenta sempre di qualche cosa che
non va. Paolo lo butterebbe volentieri dalla finestra e ogni volta che lo vede
sente dentro di sé l’istinto di spaccargli qualche cosa in testa. Una vocina
dentro di lui, però, lo invita alla calma: in fin dei conti è un cliente che paga
sempre in anticipo e che non salta mai un appuntamento. Perciò, forse è
meglio far buon viso alla sorte e fare comunque il proprio lavoro: ci sono
l’affitto e le bollette da pagare!

Quel che accomuna Paolo e Luisa è che entrambi non possono sfogare la
propria frustrazione. Entrambi avrebbero l’istinto di reagire con violenza
alle mancanze di rispetto che ricevono ed entrambi non lo fanno.

La differenza fondamentale, però, sta nel fatto che Luisa si è rassegnata e


non prova più la rabbia. Ha smesso di buttarla fuori perché, si è detta, tanto
sarebbe inutile. Il suo cervello razionale, in pratica, le ha fatto operare una
scelta di comodo, nel senso che le ha evitato, con questa presa di
posizione, di litigare tutte le sere. La verità è che l’unico a trarne vantaggio
è il marito di Luisa, che continua imperterrito a fare quello che vuole e che,
in più, non ha nemmeno la scocciatura di sentire sua moglie che si lamenta.

Paolo, invece, la rabbia continua a provarla, eccome. Però, sceglie di


trattenerla perché ha convenienza economica e ha bisogno di soldi per
pagare l’affitto. In pratica, il suo cervello razionale gli ha fatto prendere una
decisione che, però, in questo caso conviene soprattutto a lui. Certo, anche
il cliente sarà soddisfatto, ma questo a Paolo non interessa. L’unica cosa

!47 !47
che gli interessa è che il cliente lo paghi e che torni, settimana dopo
settimana.

Secondo voi, dopo dieci anni di vita in questa maniera, chi, fra Paolo e
Luisa, starà male? Chi dei due avrà sintomi e malesseri, magari non
altrimenti qualificabili se non come “psicosomatici”?

Vedete, quando faccio ai miei clienti questo discorso circa il contrasto fra
l’istinto e la ragione, spesso mi viene detto: “Ma allora usare la ragione è
sbagliato!”.

No, non è sbagliato, ve l’ho già detto.

L’importante è usare la ragione a nostro vantaggio, per nostra convenienza


e nostro comodo.

In questo modo, saremo certi di non “spegnerci”, di non “rassegnarci”, di


non diventare freddi come un blocco di ghiaccio. Continueremo a provare
le nostre emozioni e ad essere persone “vive”, pur vivendo in modo da
trarre la massima convenienza dalle situazioni e dai rapporti con gli altri.

Spero di aver fatto un po’ più di chiarezza, circa il rapporto che intercorre
tra le emozioni e i segnali che il nostro corpo ci manda e mi auguro di
avervi almeno fatto fermare a riflettere un po’ su quello che tutti i giorni ci
succede e che, un po’ per l’educazione, un po’ per abitudine, lasciamo
correre senza dare il giusto peso.

Vi sembra fantascienza? E se vi dicessi che non si tratta di teorie bizzarre,


ma di scienza vera e propria, così come la intendiamo noi? Certo, fa
sorridere che gli scienziati si vantino, oggi, di avere scoperto cose che gli
antichi taoisti, ad esempio, declamavano diecimila anni or sono, ma
lasciamo perdere.
Per “giustificare” il fatto che tutto il nostro corpo è pervaso dalle emozioni
e che queste emozioni, in qualche modo, condizionano e determinano il
funzionamento corretto del corpo medesimo, facciamo un passo indietro e

!48 !48
rifacciamoci alle prime teorie elaborate dall’uomo, migliaia di anni addietro,
relative al legame indissolubile che esiste fra mente e corpo fisico.
Addirittura, gli antichi studiosi della Medicina Cinese ponevano il cervello
(quello della testa, come lo intendiamo noi) in secondo ordine rispetto al
cervello “del corpo” che loro ritenevano (a ragione, come si vedrà in
seguito) collocato nella regione addominale. Voi stessi, con un briciolo di
concentrazione, potrete convenire che, quando provate un’emozione di
qualche tipo, ne percepite la risonanza fisica proprio nella zona della
pancia.
Nella Medicina Cinese, l'intestino tenue è chiamato, appunto, “il cervello
addominale”.
Secondo questa teoria, le contrazioni di questo intestino corrispondono
proprio ad emozioni “non digerite” che, da energia negativa, si trasformano
in vere e proprie scorie tossiche e, pertanto, in materia fisica. Quando
l'intestino, a causa di un reiterato cumulo di emozioni non digerite, secondo
le modalità di cui abbiamo appena parlato, diviene troppo “ricco” di queste
scorie, ecco allora che la velocità della digestione si riduce e la funzione di
assorbimento dell'intestino tenue viene pregiudicata, poiché nell’intestino
medesimo sono presenti altri materiali di scarto non eliminati altrimenti.
Come potete ben vedere, si parla di “reazioni fisiche” a stati emotivi non
espressi. Naturalmente, è bene ricordarlo, prima di arrivare ad un cumulo
consistente di queste scorie fisiche, è necessario del tempo: non è
sufficiente, per nostra fortuna, reprimere un solo ed unico urlo per
somatizzare una colica biliare. Certo è che se, però, questo urlo trattenuto
va ad inserirsi in un contesto più ampio di tante altre emozioni represse nel
tempo, allora diventerà come la classica goccia che fa traboccare il vaso e
scatenerà chissà quali reazioni macroscopiche.
Addirittura, gli antichi medici cinesi hanno elaborato una sorta di mappa, in
base alla quale sono riusciti a collocare ognuno dei cinque sentimenti di cui
abbiamo parlato prima in una precisa zona addominale. In particolare, la
Rabbia (legata all'organo Fegato) colpisce contraendo il lato destro
dell'intestino; la Tristezza (legata ai Polmoni) colpisce le parti laterali
inferiori dell'intestino tenue; la Paura (legata ai Reni) colpisce le zone
inferiori e più profonde; la Preoccupazione (in relazione con la Milza)

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colpisce il lato sinistro e, per finire, la mancanza di Gioia (collegata al
Cuore) contrae la parte superiore dell’addome sotto al diaframma.

Veniamo ora alle scoperte degli ultimi anni, apparse sulle principali riviste
scientifiche e, di recente, anche su un settimanale allegato ad un
importante quotidiano. È persino prevista, di qui a poco, l’uscita in libreria
del primo saggio scientifico dedicato all’argomento, che relazionerà,
attraverso dati inoppugnabili, quanto è stato fino ad ora espresso.
Gli scienziati, dopo aver studiato per anni, sono arrivati alla sorprendente
(ma non per noi!) conclusione che noi esseri umani abbiamo due cervelli:
uno è quello che conosciamo tutti, l’altro si trova invece nella pancia ed è
definito “cervello addominale”. Lo spunto che ha dato il via agli studi è
stata l’osservazione che il cervello e l’intestino hanno la stessa forma e,
all’apparenza, sembrano proprio la stessa cosa: un tubo che si arrotola su
se stesso, pieno di anse. Potete consultare un qualsiasi atlante del corpo
umano e vedrete con i vostri occhi quanto cervello e intestino si somiglino
dal punto di vista fisico. Tenendo conto di questa osservazione puramente
visiva e del fatto che, nella maggior parte delle culture, la pancia è proprio
la sede in cui albergano le emozioni, gli studiosi sono partiti con i loro lavori
e si sono messi a contare le fibre nervose dell’intestino. La scoperta è stata
che i modi di dire avevano, in realtà, un concreto riscontro scientifico. Io
stesso, incuriosito, ho svolto una piccola ricerca in tale direzione, non
credendo che tutti i modi di dire che utilizziamo quotidianamente siano
solo il frutto del caso: vi rimando comunque al capitolo “IL NONNO
CINESE” per dare un’occhiata a tutti quei modi di dire e quei proverbi che,
nel descrivere una situazione, sono “sorprendentemente” veri, proprio dal
punto di vista scientifico. Ma andiamo avanti.
La scoperta principale è che il cervello della pancia, per così dire, è
costruito in maniera simile al cervello della testa. Di più: si credeva che il
cervello della pancia assolvesse solo a funzioni digestive e di scarto ma, a
quanto pare, le funzioni predette non sono che una piccola parte di ciò che
questo secondo cervello è in grado di fare. Il cervello della pancia, così
come il cervello della testa, produce sostanze psicoattive che influenzano
gli stati d'animo, come la serotonina e la dopamina, ma anche oppiacei
antidolorifici e persino benzodiazepine, che sono sostanze calmanti molto

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potenti, come il conosciuto valium. Non solo: si è dimostrato che il cervello
della pancia soffre di stress e nevrosi e che, e questo è il dato più eclatante,
invia al cervello della testa molti più segnali di quanti non ne riceva. La
percentuale calcolata è di circa il 90% di segnali inviati contro il 10% di
segnali ricevuti. Ciò vuol dire che non è il cervello ad inviare segnali al resto
del corpo, ma è l’intestino. Per quanto ciò possa sembrare bizzarro, i
riscontri scientifici dimostrano in maniera inoppugnabile che, attraverso il
nervo vago, è il nostro intestino la nostra principale “centralina pensante”.
In pratica, si tratta di una scoperta talmente stupefacente e rivoluzionaria
da poter essere paragonata a quella che fece Galileo Galilei, quando asserì
che non era il sole a girare intorno alla terra, ma viceversa. L’accoglienza
che la comunità riserverà a questa scoperta, purtroppo, sarà
presumibilmente come quella che la Chiesa riservò alle intuizioni del buon
Galileo: temo proprio che si parlerà di eresia. Si credeva che fosse il cervello
a inviare i suoi messaggi dappertutto e invece si è scoperto che i segnali
che invia l’intestino sono di gran lunga superiori.
Il cervello della pancia è in grado di provare sensazioni, pensare e,
soprattutto, di fissare i ricordi collegati alle emozioni, esattamente come fa
il cervello della testa, anzi meglio.
A questo punto, lascio la parola alla giornalista Amelia Beltramini che, sulla
rivista Focus, numero di marzo 2001, ha affrontato in maniera esauriente
l’argomento.

“Durante la formazione dell'embrione, una parte delle cellule nervose viene


inglobata nella testa, un'altra va nell'addome: i collegamenti fra i due sono
tenuti dal midollo spinale e dal nervo vago. Al secondo cervello sono
affidate le "decisioni viscerali", cioè spontanee e inconsapevoli: ha quindi un
ruolo importante nella gioia e nel dolore. Per studiare questo secondo
cervello è nata una nuova scienza, la neurogastroenterologia. Le basi le ha
gettate, a metà dell'800, Leopold Auerbach, un neurologo tedesco, che,
osservando al microscopio l'intestino notò due strati sottilissimi di cellule
nervose tra due strati di muscolo. E scoprì che questa specie di calza a rete
avvolge tutto il tratto digerente, fino al retto. Stesse cellule, stessi principi
attivi e ricettori: sono quasi identici. In genere più si penetra nell'apparato
digerente, più debole diventa il controllo del cervello nella testa. La bocca,

!51 !51
parti dell'esofago e lo Stomaco si lasciano ancora dire qualcosa da lassù.
Dopo il piloro, la regia passa alla pancia. Gershon s'innamorò del cervello
addominale quando era studente, apprendendo che la serotonina, un
neuromediatore, influiva sugli stati d'animo. Scoprì poi che il 95% della
serotonina è prodotta dalle cellule nervose dell'intestino ed è responsabile
anche del riflesso peristaltico. Quando la pancia "si irrita" combina un sacco
di guai. Nessuno prese sul serio Gershon fino al 1981 quando uno dei suoi
oppositori, l'australiano Marcello Costa, dimostrò che le cellule nervose
dell'intestino producono serotonina, che nel frattempo si era rivelata uno
dei tanti neuromediatori del sistema nervoso. Ma non è l'unica sostanza
secreta dal cervello addominale, che è un'enorme fabbrica chimica perché
produce una quarantina di neuromediatori con i quali comunica attraverso il
cervello della testa. Le cellule di entrambi i cervelli infatti parlano la stessa
lingua chimica. E questo spiega perché spesso nei malati di Alzheimer e di
Parkinson si riscontra lo stesso tipo di lesioni in entrambi i cervelli. E perché
i farmaci psichiatrici agiscono anche sull'intestino e quelli gastroenterici
anche sul cervello. Un ormone gastrico, la secretina, viene sperimentato
nella terapia dell'autismo, una malattia psichiatrica. Un anti-emicrania seda
gli intestini iperattivi. Gli antidolorifici calmano alcune infiammazioni del
tratto digerente. E alcuni antidepressivi agiscono sull'umore cerebrale, ma
anche sul cervello addominale causando diarrea o stitichezza. L'ultima
terapia in sperimentazione contro il colon irritabile è frutto degli studi sul
cervello addominale. Gershon sostiene che il cervello addominale è
soggetto a nevrosi. La comunicazione tra i due cervelli è comunque
dominata da quello nella pancia. E' da qui che parte, diretto alla testa, il
90% dei messaggi. La maggior parte di questi messaggi sono inconsci, cioè
avviene senza che noi ne prendiamo coscienza. Li percepiamo solo quando
sono segnali di allarme, che scatenano reazioni di malessere. Se il cervello
della testa percepisce tensione e paura, chiama a raccolta le cellule
dell'intestino che producono sostanze irritanti come l'istamina. Questa
proteina a sua volta attiva le cellule nervose del tubo digerente che fanno
contrarre le cellule muscolari: ecco spiegati crampi o diarrea. Il segnale di
allarme va poi al cervello della testa che lo ritrasmette verso il basso e così
via. Se l'ansia non cala, il cerchio si chiude e i sintomi si cronicizzato. Gli
stress del passato restano impressi anche nella pancia. Il cervello

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addominale sarebbe addirittura dotato di memoria che per fissare i ricordi
usa le stesse molecole del cervello della testa: gli stress del passato si
stampigliano così nel cervello e nell'addome, dice Schemann, rendendo
l'asse cervello-addome ipersensibile per tutta la vita. E questo spiega
perché i bambini che soffrono di coliche nell'infanzia hanno in genere un
rischio maggiore di diventare adulti sofferenti per il colon irritabile. Anche i
topi esposti da neonati a situazioni stressanti sono adulti ipersensibili, con
sintomi intestinali simili a quelli da colon irritabile. E il 40% dei pazienti con
colon irritabile soffre in genere anche d'ansia e depressione. Che malinconia
e paura nascano allora nell'intestino? "I nostri risultati dicono che, così come
la fame e la sazietà influiscono sull'umore, nel cervello addominale si può
celare l'origine di altri stati d'animo, e tra questi anche la classica
depressione" sostiene Mayer. Queste ricerche sono però ancora agli inizi.
Ogni volta che l'intestino si contrae ed emette serotonina o altri
neuromediatori le informazioni viaggiano lungo il nervo vago fino al cervello
della testa. Dove vengono tradotte in malessere o allegria, stanchezza o
vitalità, umore buono o cattivo. Anche la pancia sogna durante la fase rem
del sonno. "Possiamo perfino dire che il cervello addominale pensa" dice
Schemann. " E' organizzato in modo funzionale, lavora con una serie di
circuiti, è in grado di registrare stati diversi e reagire autonomamente:
insomma possiede tutto ciò che serve a un sistema nervoso integrativo".
Quello che è certo è che l'addome crea l'atmosfera per la testa: La testa è la
"banca delle emozioni" che raccoglie tutte le reazioni e i dati, soprattutto
nella corteccia anteriore, dietro la fronte, particolarmente legata all'addome.
Il cervello dell'addome insomma racconta la sua versione al cervello della
testa, crea il suo "profilo emotivo" e prepara un "letto di sensazioni", anche
per la notte. E infatti, durante la fase rem del sonno, quando produce onde
dolci e si popola di sogni, anche le viscere iniziano a ondeggiare grazie alla
serotonina. "E dopo un pasto pesante non si fanno forse brutti sogni?" si
domanda Mayer. Con queste onde il cervello della testa fissa i ricordi con il
loro carico di emozioni. Più saranno fissate le emozioni, migliori saranno le
decisioni della volta successiva”.
(Rivista FOCUS, marzo 2001, articolo di Anna Beltramini)

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Avete letto bene? Sorridete ancora? Gli scettici, ora, sono disposti ad
ascoltare per un altro po’ di pagine quel che ho da dire?

Adesso che abbiamo le idee più chiare e che la scienza ufficiale ci ha dato il
suo benestare, siamo pronti per approfondire un po’ il discorso che prima
abbiamo solo accennato e che riguarda le cinque emozioni descritte nella
Legge dei cinque elementi dell’Agopuntura Tradizionale cinese. Siamo
pronti, adesso, per parlare di emozioni senza sorridere, senza relegarle alla
sfera del mistico, dell’esoterico, del magico.

Lo faremo attraverso storie vere, di persone in carne ed ossa che ho


conosciuto grazie al mio lavoro di tutti i giorni.

Le storie sono vere, i nomi naturalmente no. Quelli li ho inventati per


salvaguardare la privacy di persone che si rivolgono a me per confidarmi
tutti i loro problemi e per trovare un po’ di sollievo da tutti quegli acciacchi
e malanni che si trascinano dietro da anni, giorno dopo giorno, senza
saperne la ragione.

Alcune di queste persone ora hanno raggiunto i traguardi che si erano


prefissate e non vengono più a trovarmi. Molte altre, però (e devo dire che
sono la maggioranza), continuano a frequentare il mio studio, avendo
compreso che bisogna aver cura del proprio giardino prima che venga il
temporale: aspettare che la tempesta spazzi via tutto per mettersi a
sistemare le cose è faticoso, inutile e difficile.

Non sono più malate, queste persone che vengono da me nonostante gli
acciacchi o i malesseri siano scomparsi.
In loro, tuttavia, è forte la volontà di mantenersi sani. Hanno capito che da
soli è difficile andare avanti e che, almeno una volta ogni tanto, è
importante chiedere un piccolo aiuto a qualcuno che è disposto ad
ascoltare e a dartelo (vi ricordate che abbiamo lo stomaco, proprio per
chiedere quando abbiamo bisogno?).

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Mi auguro che, anche per voi, questa del “mantenersi sani” diventi una
prassi salutare: fermarsi, di tanto in tanto, per prendere un po’ di fiato e,
soprattutto, almeno una volta ogni tanto, chiedere aiuto per sopportare i
fardelli che, volenti o nolenti, abbiamo caricati sulle nostre spalle.

Prima di cominciare il racconto di tutte le piccole storie che seguiranno, è


doveroso fare una piccola precisazione, soprattutto per coloro i quali,
leggendo questo libro, si approcciano per la prima volta alla meravigliosa
Teoria dei Cinque Elementi dell’agopuntura tradizionale cinese. Nei brevi
racconti che seguono sono descritti alcuni comportamenti che possono
definirsi “tipici” rispetto ad un determinato “disequilibrio” di un determinato
organo, in merito alla corrispondente emozione. I racconti che seguono li
ho scelti fra centinaia di altri racconti che avrei potuto porre alla vostra
attenzione, perché centinaia sono i modi attraverso i quali un’emozione
può essere repressa e centinaia sono i modi attraverso i quali
un’emozione repressa può trovare sfogo, come “sintomo”, sul nostro
corpo.
Per esempio, trattenere la Rabbia può essere un atteggiamento relativo
all’ambiente lavorativo o a quello familiare. Il bisogno di gridare può essere
relativo ad una mancanza di rispetto fatta da un genitore, da un partner, da
un amico e così via.
Insomma, vi prego di non considerare gli episodi che seguono come
esaustivi dell’argomento, perché non lo sono. Li ho scelti a caso, ma ce ne
sono molti altri.

Poi, vi prego di considerare anche che, secondo la legge dal Dao (il Tao),
non esiste una vera divisione fra i due opposti, per lo meno non esiste così
come la concepiamo noi occidentali, che vediamo le cose o bianche o nere.
Se osservate attentamente il simbolo del Tao (vedi l’immagine alla fine del
capitolo), noterete che un po’ del bianco è dentro il nero e un po’ del nero è
dentro il bianco, nel senso che nessuna cosa può esistere senza il suo
opposto e che ogni cosa contiene in sé una piccola parte del suo opposto.
Non solo.
Secondo la legge dello Yin-Yang (scusate la brevità e l’assoluta mancanza
di precisione, ma per spiegare con compiutezza la legge dello Yin-Yang non

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basterebbe un libro intero), ogni cosa è Yin e Yang al tempo stesso. Per
esempio, secondo la teoria dello Yin-Yang, il “pieno” è un aspetto Yin,
mentre il “vuoto” è un aspetto Yang. In riferimento al corpo umano,
pertanto, potremmo dire che il Cuore, organo pieno, è Yin, mentre la
Vescica Biliare, organo cavo, è Yang.
Un’altra classificazione prevede che tutto ciò che è fermo e stagnante sia
Yin, mentre tutto ciò che è movimento e azione è Yang.
Detto questo, potete comprendere come ogni cosa sia Yin e Yang al tempo
stesso: il Cuore è Yin, poiché è pieno, ma il suo pulsare, il suo pompare il
sangue all’interno del corpo è Yang, perché è movimento e azione. Non
voglio tediarvi oltre, ma è importante cominciare ad acquisire un po’ di
dimestichezza con questi concetti, perché le pagine che seguono, le storie
che vi proporrò, andranno valutate con un punto di vista diverso da quello
cui siamo abituati per cultura e tradizione. Tornando a quanto dicevo prima
e concludendo, ricordatevi che nessuna cosa può esistere senza il suo
opposto e che ogni cosa ha in sé anche un po’ del suo opposto. Per dirla in
parole molto povere, non ci potrebbe essere la luce, senza il buio, non ci
potrebbe essere il sole senza la luna.

“Nel mondo tutti sanno ravvisare il bello


e perciò riconoscono il brutto.
Tutti sanno che cosa è bene
e, di conseguenza, riconoscono il male.
Difatti, l’Essere e il Non-essere
Si generano l’un l’altro di continuo.
Il difficile ed il facile si completano a vicenda,
lungo e corto si formano in reciproco scambio,
alto e basso capovolgono l’uno nell’altro.”
Lao-tzu

Ora vi proporrò alcune storie. Spero riusciate a coglierne il senso generale,


astraendo i protagonisti dal contesto e cogliendo solo il messaggio che la
storia vuole trasmettere.

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Se, tuttavia, non doveste riconoscervi in alcuno dei comportamenti che
descriverò tra poco, ricordatevi ancora una volta il simbolo del Tao e quello
che significa, cioè che gli estremi sono sempre collegati da un filo sottile e,
perciò, di norma, l’avere un determinato comportamento equivale, dal
punto di vista della Medicina Cinese, al non averlo affatto. Fare sempre una
certa cosa oppure non farla mai, indicano lo stesso problema. In due
“versioni” diverse, è vero, ma si tratta pur sempre dello stesso problema.
Lo stesso vale per le emozioni e per i modi attraverso i quali si vivono; per i
colori; per i sapori, etc.
Urlare sempre (anche senza motivo) o non urlare mai, sono due
comportamenti che ci parlano dello stesso problema e cioè di una persona
che non vive bene il sentimento della Rabbia.
Una persona che si veste sempre con qualche cosa di rosso e una persona
che, invece, nel suo guardaroba, di rosso non ha nemmeno un fazzoletto,
hanno lo stesso problema relativamente alla Gioia. Chi beve dieci caffè al
giorno e chi non sopporta nemmeno l’odore del caffè, hanno lo stesso
problema in merito al vivere il sentimento della Gioia.
In sintesi, allora, ricordatevi che due comportamenti opposti vogliono dire
la stessa cosa7.
Perciò, se non vi riconoscete in alcuno dei comportamenti che saranno
descritti fra poco, provate a pensare se, per caso, voi non fate esattamente
l’opposto.
Detto questo, possiamo andare avanti. Prima, però, vi devo svelare l’autore
della riflessione che avete trovato nel capitolo precedente: è Socrate, e l’ha
scritta nel 390 a.C.
Meditate gente, meditate.

7 O meglio: indicano l’area di pertinenza di un problema, “l’ambiente” nel quale la persona non vive in maniera
armoniosa. L’avere il “troppo” o il “troppo poco” sono situazioni diverse che riguardano l’energia dell’organo
che, appunto, di questa energia, può averne troppa o troppo poca. Non è comunque questa la sede per trattare
tale argomento. Nella bibliografia troverete indicazioni per approfondire anche questo tema.

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PARTE SECONDA:
CENTO STORIE, CINQUE COLORI

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REGOLE ED ESERCIZI

Abbiamo già fatto parecchi passi in avanti, da quando siamo partiti, circa
settanta pagine fa.
Ora, però, è il momento di iniziare a tirare le fila del discorso e di vedere se
davvero li abbiamo in tasca, i tasselli che ci servono a comporre quel
mosaico che chiamiamo Felicità.
Dopo tutte le doverose premesse che si sono rese necessarie, passiamo ora
ad affrontare più da vicino tutte le tematiche e le situazioni che, giorno
dopo giorno, ci allontanano da quell’armonia e da quella serenità che tanto
desideriamo e che, tuttavia, sentiamo troppo spesso così distante e
lontana.

Alla fine di ogni capitolo, d’ora in avanti, troverete un “tassello”, cioè un


piccolo pezzo di un puzzle più complesso, quel puzzle che stiamo
cercando, insieme, di ricomporre. Si tratta di una riflessione relativa
all’argomento considerato nel capitolo, una sorta di summa conclusiva di
quanto esposto. Non voglio chiamarla “regola”, perché di regole vere e
proprie, come ho già detto più volte, non ce ne sono. Se fosse così
semplice, basterebbe imparare dieci o venti “trucchetti” ed ecco che tutti
saremmo felici e senza problemi. Non è così, purtroppo. La vita di tutti i
giorni ci dimostra che non ci sono quasi mai situazioni chiare e ben
delineate e che, spesso e volentieri, ci troviamo a doverci barcamenare in
zone d’ombra che non consentono l’utilizzo di prontuari o istruzioni per
l’uso. Inoltre, la vita di tutti i giorni ci insegna che non tutto dipende da noi:
anche imparando a memoria le istruzioni, se mai ce ne fossero, ecco che
alla fine ci ritroveremmo frustrati, poiché alla nostra preparazione tecnica,
per così dire, non corrisponderebbe quella altrui. Tuttavia, il fatto stesso di
prendere coscienza un po’ alla volta di quello che non va in noi (non nel
senso di sbagliato, ma nel senso di disarmonico rispetto ad un ideale stato
di equilibrio) e di cominciare a fare qualcosa di concreto per cambiarlo, sarà
già una importante conquista. E chissà che alla fine di questo viaggio,
tassello dopo tassello, la nostra situazione globale, il nostro personale
puzzle, non sia migliorata, almeno un po’.

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Alla fine di ogni capitolo, dopo l’enunciazione del “tassello”, da imparare e
da mettere in tasca, in attesa di trovarne altri, ci saranno dei piccoli esercizi
da svolgere. Non si tratta di certo di esercizi per imparare ad essere felici,
perché non credo ce ne siano ed anzi, personalmente, diffido molto di tutti
coloro i quali vendono le regole per la felicità a poco prezzo, urlando ai
quattro venti di avere finalmente scoperto il trucco arcano, il segreto mai
svelato, la formula magica per rendere la nostra vita uno splendore.
Gli esercizi che seguono, ci tengo molto a precisarlo, non sono esercizi
per imparare ad essere felici. Sono esercizi che possono semplicemente
aiutarvi nel vostro personale percorso verso una maggior consapevolezza
della vostra vita e di voi stessi.
Alcuni fra voi non ne avranno bisogno o riterranno di non averne bisogno:
esorto anche loro, comunque, a stare al gioco. A tutti gli altri, invece, chiedo
solo di fermarsi, dopo ogni capitolo, e di riflettere sulle pagine lette. Questo
libro è stato scritto solo ed esclusivamente per esortare il lettore a fermarsi
un poco, a pensare, ad aprire gli occhi, ad aprire la propria mente verso
direzioni e percorsi mai sperimentati prima. Chi conosce le teorie del
“pensiero laterale” sa bene che si tratta di argomenti da non prendere alla
leggera, date le loro importanti implicazioni.
L’utilità degli esercizi proposti va proprio letta in questo senso. Lo ripeto:
gli esercizi che seguono non sono esercizi per imparare ad essere felici.
Sono esercizi che servono a visualizzare meglio problemi, persone e
situazioni, a focalizzare la vostra attenzione sul nocciolo della questione, a
riconsiderare alcuni aspetti della vostra vita che, magari, date per scontati e
che, invece, così scontati non sono.

Perché questi esercizi? Che utilità possono avere?


Il perché di questi esercizi è presto detto: il vostro cervello è stupido,
esattamente come il PC sul quale sto scrivendo ora.
Io inserisco i dati, battendo i tasti, e lui mi risponde nell’unica maniera che
conosce. È talmente stupido che se io, adesso, volessi scrivere che il sole
splende di notte e che i miei vicini di casa sono dei marziani che vogliono
succhiarmi il cervello, lui lo scriverebbe senza battere ciglio. Anzi, vedete?
Lo ha fatto. Ha eseguito i miei ordini, impulsi elettrici che io invio battendo

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sui tasti. Il vostro cervello (quello della testa, non quello della pancia) è
molto simile al vostro computer, da questo punto di vista.
Numerosi scienziati e studiosi sono dediti allo studio dei meccanismi che
regolano il funzionamento del cervello. Apro una piccolissima parentesi
tecnica non per annoiarvi, ma solo per spiegarvi l’importanza di quel che vi
accingete a fare, per farvi comprendere che la mente ed il corpo lavorano in
base a regole ben precise. Orbene, come in qualsiasi disciplina sportiva, è
ovvio che, conoscendo le regole del gioco, ci siano più probabilità, se non
di vincere il match, almeno di giocarselo ad armi pari. Pertanto, esorto alla
lettura delle poche pagine che seguono anche chi pensa di non essere
interessato a questa parentesi “tecnica”.

La Neuropsicoimmunologia (o psiconeuroimmunologia), in particolare, è


una disciplina scientifica, una branca della moderna biologia, che studia le
risposte che il cervello fornisce a stimoli di tipo emotivo, con le conseguenti
conseguenze fisiche, soprattutto dal punto di vista del sistema immunitario.
Inoltre, e questo è l’aspetto più interessante della faccenda, studia il sistema
di “ingannare” il cervello per poter procedere alla riparazione del corpo
malato.
Questo non è un trattato “tecnico”, ma un’opera divulgativa, quindi, come
ho detto, ve la farò molto, ma molto, breve. 8
In pratica, la Neuropsicoimmunologia parte dal presupposto che ogni tipo
di sintomo o malattia sia conseguente ad un trauma di tipo emotivo, ad una
situazione che il cervello ha elaborato in base ai dati forniti dai vostri sensi e
che ha tradotto, appunto, in alterazione di un sistema, di un metabolismo. In
particolare, il cervello produce una serie di ormoni e aminoacidi che
trasmettono le informazioni a tutto il corpo, specialmente alle cellule di
determinati organi e visceri che sono in grado di “leggere” le informazioni
contenute in queste sostanze chimiche.

Scrive Anna Zanardi, esperta in questo campo e attenta studiosa:


Quando si ha un pensiero, una sensazione o un’idea, il cervello produce una
serie di sostanze chimiche conosciute come neuropeptidi. […] E’ il pensiero

8 Per chi volesse approfondire l’argomento, consiglio il bel (e breve!) saggio di Francisco Varala, biologo,
intitolato “L’identità del corpo”, pubblicato nel libro “Conversazioni con il Dalai Lama, Le emozioni che fanno
guarire”, a cura di Daniel Goleman, edizioni Mondadori.

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che origina il neuropeptide e spesso i nostri pensieri sono del tutto inconsci.
Il nostro sistema immunitario è costituito da cellule chiamate monoliti. In
esse hanno sede i recettori dei neuropeptidi.
Sapete che cosa significa tutto ciò? Significa che il vostro sistema
immunitario intercetta i vostri pensieri, il vostro dialogo interno! […] Ciò
significa che il nostro sistema immunitario è pensante! […] Ma queste cellule
recettori sono state trovate anche in numerosi organi come il Fegato, i Reni,
l’intestino, etc. Anche loro producono neuropeptidi. Tutto il nostro corpo è
un corpo pensante. […] La mente non è limitata al cervello; essa si trova
dappertutto ed è in tutto il corpo. 9

Avrete già notato che questa scienza moderna sta dimostrando quello che i
medici cinesi avevano già intuito diecimila anni fa, ma andiamo avanti.
Con un banale esempio, forse, quello che ho detto vi sembrerà più chiaro. Si
tratta, naturalmente, di un esempio estremo: voi cercate di adattarlo alla
vostra personale esperienza di vita vissuta.

Poniamo il caso che vostro padre, quando eravate piccoli, vi abbia sgridato
ingiustamente e duramente per una cosa che voi non avevate fatto. Pensate
ad un comportamento del genere ripetuto a lungo nel tempo: un padre
severo ed eccessivamente autoritario che punisce il figlio per “crimini” che
non ha commesso, solo per scaricare le proprie tensioni e frustrazioni. Le
prime volte, vi sarete di certo ribellati con forza, salvo ottenere ulteriori
punizioni e reprimende. Dopo un certo lasso di tempo, ecco che questa
volontà di ribellarsi se ne va, sparisce nel nulla, senza che voi ve ne rendiate
nemmeno conto. Il vostro cervello, a furia di subire trattamenti del genere,
avrà registrato la tensione derivante dalla rabbia di aver subito
un’ingiustizia senza potersi “esprimere” con le armi adeguate (urla o pugni)
e avrà di conseguenza “caricato” un determinato sistema metabolico,
nell’esempio quello del Fegato. Questo sistema, così “caricato”, nel corso
degli anni vi darà qualche fastidio, a livello di sintomi fisici e/o emotivi.
Secondo le scoperte di questi nuovi scienziati, il cervello, come vi dicevo, è
molto stupido e lavora solo sui dati che riceve, cioè su immagini. Come se si
trattasse di fotografie.

9 Il linguaggio degli organi, Anna Zanardi, ed. Tecniche Nuove

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Il cervello, di fatto, non è in grado di riconoscere ciò che è reale da ciò
che non lo è. Se il cervello “vede” una certa immagine, quella immagine
diventa vera, a prescindere dal fatto che lo sia realmente.
Vi sarà capitato di sicuro di fare qualche brutto sogno, intenso come se
fosse vero. Al risveglio, avrete notato alterazioni fisiche sul vostro
organismo: il battito del Cuore più veloce, le mani sudate, un senso di ansia
o angoscia. Eppure, era un sogno. Per il cervello, invece, è come se fosse
successo davvero e, difatti, ha innescato reazioni chimiche concrete e
tangibili. Se sognate abbastanza intensamente di essere inseguiti da un
assassino che vuole uccidervi, vi sveglierete con il Cuore che batte
all’impazzata, come se voi aveste davvero corso. Non solo: per diverse ore
della giornata, vi sentirete con il fiato sul collo, agitati, inquieti e sbircerete
dietro ogni angolo, come se foste convinti di trovarvi a tu per tu con un
pericoloso assassino. Eppure, non è successo nulla del genere!
Questo ci porta al passo successivo: se noi, avendo individuato il trauma
che è all’origine di un nostro malessere, ripensiamo la situazione a nostro
uso e consumo, la riviviamo scrivendo noi la sceneggiatura, dandole uno
svolgimento ed un finale diversi da quelli reali, uno svolgimento ed un finale
nel quale noi usciamo vincitori e non vinti, proprio come se fossimo registi
di un film, a poco a poco il cervello finirà per credere alle immagini che noi
gli inviamo e, di conseguenza, annullerà all’istante tutte le tensioni caricate
sulla base delle precedenti informazioni. Immaginare molte volte, con
realismo e grande concentrazione, visualizzando ogni immagine, il figlio che
si ribella al padre e il padre che chiede perdono per aver sbagliato,
potrebbe addirittura far credere al cervello che questo si sia verificato
davvero e ciò porterebbe all’annullamento istantaneo di tutte le tensioni
derivanti dall’episodio originale.
So che si tratta di un concetto difficile da comprendere e che lascia
piuttosto perplessi e sbigottiti, ma sappiate che tale concetto è alla base,
fra l’altro, delle più innovative e strabilianti scoperte di illustri medici e
scienziati in campi come la cura del cancro.

Detto questo, ecco spiegata l’utilità degli esercizi che vi proporrò: si tratta
solo di cominciare a visualizzare la causa dei vostri problemi. Non dico
“pensare”, perché molti di voi sapranno già da soli quali sono i problemi che

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li affliggono. Ho detto “visualizzare”, perché il cervello ha bisogno di
vedere, per credere. A volte, immaginare con intensità di urlare contro
qualcuno che ci manca di rispetto, produce i medesimi effetti di un urlo
reale. Certo non possiamo rifugiarci nel mondo della fantasia e delegare alla
nostra immaginazione quello che spetta a noi, in prima persona, fare. Ci
possono essere situazioni passate, però, che non siamo più in grado di
riparare: per esempio, il padre che sgrida ingiustamente il figlio può essere
morto e ciò precluderebbe ogni eventuale scarico dell’emozione della
Rabbia. Quello che può salvarci, allora, è proprio la conoscenza dei
meccanismi che sono alla base del funzionamento del nostro cervello.
Inoltre, tra il momento in cui si prende consapevolezza di una particolare
situazione ed il momento in cui si trova l’energia per affrontarla di petto,
può essere necessario un periodo di “riscaldamento”, di transizione dal
pensiero al fatto.
Per tutti questi motivi, quindi, consiglio di non saltare la pagina degli
esercizi, ma di dedicarle un po’ della vostra attenzione e del vostro tempo.
Potrebbe tornarvi utile.

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IL VERDE, LA RABBIA

Diana è stata sposata, un tempo. Ora vive da sola, con due figli che vanno a
scuola. Lei lavora, il marito è sparito e chissà dove se ne è andato. Quel che
è certo, è che non ci si può contare. Diana lavora in un importante studio di
architetti ed è professionalmente molto valida, ma deve competere tutti i
giorni con colleghi maschi i quali, checché se ne dica in giro, hanno di
sicuro qualche privilegio in più rispetto ad una collega donna. Per di più,
ogni volta che parla lei, riceve minori attenzioni di un collega maschio,
anche se il collega maschio è meno valido o propone argomentazioni meno
convincenti. Diana vorrebbe avere più tempo da dedicare ai figli e alla casa,
ma ci sono troppe spese, troppe cose da fare e, così, non può permettersi
di lavorare part-time. A casa, poi, deve accudire i figli e preoccuparsi anche
di dar loro una certa disciplina, visto che il padre, che sarebbe preposto a
questo compito, non c’è. Pertanto, Diana non riesce nemmeno ad essere
dolce come vorrebbe, ma deve fare la voce grossa, deve rivestire un ruolo
autoritario che le va stretto e, per questo, si sente anche terribilmente in
colpa. Quando è venuta da me la prima volta, la sua Rabbia per non poter
essere, semplicemente, una mamma normale, era immensa.

Alberto è un impiegato diligente, forse troppo. Il suo lavoro non gli


dispiace, ma deve continuamente subire le angherie di un superiore
frustrato che sfoga su di lui tutta la sua rabbia repressa. Qualsiasi cosa
Alberto faccia non va mai abbastanza bene. Non solo: quando il suo
superiore gli deve comunicare qualcosa in merito al suo operato, lo fa con
toni scortesi e villani. Alberto vorrebbe prenderlo per il collo e spaccargli la
testa contro il muro. Di notte, sogna di aggredirlo verbalmente e di
umiliarlo davanti a tutti i colleghi, per poi andarsene sbattendo la porta. Per
il momento, questo resta un sogno ad occhi aperti. Alberto mi dice che
molte volte, quando se lo trova davanti, sente montargli in petto una vera e
propria ondata di collera bruciante, addirittura sente che il suo stomaco si
arroventa, eppure le parole non riescono ad uscire. Arrivano alla bocca, ma
non vanno oltre. Così Alberto, oltre a sopportare di essere bistrattato senza
motivo, si arrabbia anche con se stesso per quella che lui definisce
inettitudine e “imbecillità”. Alberto, per sfogarsi, va quasi tutte le sere in

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palestra a correre e a sollevare pesi, ma la sensazione di rilassatezza che
consegue all’allenamento è sempre, purtroppo per lui, di breve durata.

Mariangela sopporta e sopporta, da trent’anni e più. Anche se questa può


sembrare una storia inventata di sana pianta, vi assicuro che, purtroppo, è
vera. Lei assiste un parente di suo marito, infermo da trent’anni e a
quest’uomo ha dedicato gli anni migliori della sua vita. Suo marito la lascia
sempre sola e non le ha mai dato una mano. Di più, non le ha mai dato
nemmeno sostegno morale, non le ha mai nemmeno detto grazie, neppure
una sola volta. Lui, nella sua vita, non ha fatto nessuna rinuncia, fa sempre
quello che gli va di fare. La sua principale occupazione è come trascorrere il
tempo libero con gli amici, i compagni di cene e di caccia. Di recente, la
suocera di Mariangela si è ammalata. Suo marito, quando parte per i suoi
week-end di relax, le raccomanda sempre di assistere anche lei. La cosa che
giudico davvero triste e incredibile è che Mariangela non si è mai lamentata,
non ha mai gridato nemmeno una volta. Fa sempre tutto quello che le viene
detto di fare. Addirittura, è convinta che le cose vadano bene così, che il
suo ruolo sia quello, che niente cambierà mai perché quello è il suo destino.
Così, sotto il peso schiacciante di questo fardello, va avanti per la sua
strada e non si lamenta.

La Rabbia come la intendono i cinesi, quando parlano di questo sentimento,


non è esattamente, o meglio, non è la stessa cosa che, un po’
semplicisticamente, intendiamo noi.
La Rabbia ha a che fare con il rispetto, sia quello che gli altri ci portano, sia
quello che noi, da parte nostra, abbiamo di noi stessi. Il concetto di Rabbia
è collegato a quello di Aggressività, anche questo da intendere non nel
senso di violenza, di arroganza o di irruenza, ma nel suo significato più
ampio, che è quello di “affrontare”. Il termine aggressività, infatti, deriva dal
latino adgredior, che significa, appunto, “andare verso”, affrontare.
Esprimere il sentimento della Rabbia attraverso l’emozione del grido o del
pugno, allora, non vuol dire altro che gridare se qualcuno ci manca di
rispetto, battere i pugni (anche metaforicamente) quando nessuno ci
ascolta, ribellarsi a qualsiasi persona o situazione che non ci piacciono,
affrontare di petto le cose che sono da cambiare, le cose da fare, i problemi

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da risolvere. Senza pensare a situazioni complicate, pensate solo a quei
momenti della vostra vita in cui avete in mente di fare qualche cosa (per
esempio, fare il cambio degli armadi o tagliare il prato) e continuate a
rimandare, giorno dopo giorno, pur sapendo che si tratta di una cosa che
dovete proprio fare. Già una situazione del genere può essere indicativa di
una piccola disarmonia nella rete Fegato. Viceversa, un uomo che si rende
conto di dover tagliare il prato (o una donna che si rende conto di dover
fare il cambio degli armadi) e, immediatamente, si mette all’opera, dimostra
di avere un buon equilibrio nella sua rete Fegato.
Tutto questo, ripeto, non è assolutamente da confondere con la violenza,
che è una degenerazione della Rabbia non vissuta quando sarebbe stato il
momento e che non porta mai a nulla di buono, né per chi la mette in
pratica, né per chi la subisce, suo malgrado.
Il cosiddetto tifoso che la domenica si reca allo stadio armato di bastoni e
passamontagna, alla ricerca solo di un pretesto qualsiasi per poter menar le
mani e che poi si macchia di quelle azioni riprovevoli alle quali, purtroppo,
siamo abituati, non esprime né ribellione né rabbia. Semplicemente, scarica
la sua frustrazione della settimana in un contesto nel quale si sente più
libero di sfogarsi, nel quale riesce a ripulirsi di tutti i rospi inghiottiti in altre
sedi.
Parimenti, il marito e padre di famiglia che tutto il giorno sopporta un
lavoro ed un superiore che lo affliggono e che, tornato a casa la sera, urla
con i figli solo perché, magari, fanno un po’ di rumore, non esprime rabbia,
ma una frustrazione che danneggia lui e, soprattutto, chi gli sta intorno.
Ancora, molti clienti ai quali parlo della loro Rabbia trattenuta, mi
rispondono che, in effetti, si arrabbiano poco, ma che quando si arrabbiano
c’è da stare attenti, perché fanno tremare i muri!

Non è così che si fa. L’ho già accennato prima e lo ripeterò a proposito di
tutte le cinque emozioni delle quali parleremo: l’emozione deve essere
sempre vissuta, espressa, scaricata, verso la persona che la suscita e nel
momento in cui la si prova.
A tutti i miei clienti, per questo, sottolineo sempre due concetti molto
importanti.

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1. Le tensioni che derivano dal trattenere un sentimento non sono
“biodegradabili”, non hanno nemmeno una data di scadenza, non
cadono in prescrizione. Se trattenete un urlo oggi, fra vent’anni il
vostro corpomente ne conserverà ancora le tracce. Anzi, è probabile
che il piccolo seme che avete nascosto dentro di voi abbia anche
dato i frutti. In parole povere, fra vent’anni vi ritroverete con il vostro
urlo trattenuto e con gli interessi.
2. Vivere le emozioni è come avere un buono sconto da spendere al
supermercato: non è cumulabile con altri. Mi spiego meglio. Se una
persona trattiene un urlo al giorno dal lunedì al sabato e poi si sfoga
con una bella gridata la domenica, per quanto questa persona possa
gridare forte, non riuscirà mai a liberarsi delle tensioni accumulate
dal lunedì al sabato. Scaricherà, al massimo, la tensione della
domenica, ma in maniera sproporzionata e, quindi, dannosa per sé e
per il malcapitato che si troverà a dover subire anche quel che non
gli spetta.

Per questo, vi ricordo che

LE EMOZIONI VANNO VISSUTE QUANDO SI PROVANO.

Rimandare in attesa di un momento migliore, non serve a niente, anzi vi


danneggia.
Del resto, provate ad immaginarvi in una stanza molto calda, con tutte le
finestre chiuse, seduti ad un tavolo con una bella bottiglia di acqua fresca
davanti a voi. Avete sete, una sete del diavolo, perché fa molto caldo. Il
vostro istinto di sopravvivenza, un istinto che ognuno di noi si trova in dono
fin dalla sua nascita, vi suggerisce di bere. Voi, invece, decidete di non bere,
perché avete stabilito che vi disseterete solo il giorno dopo, ad un’ora
precisa. Che ne pensate? Come definireste una persona capace di un simile,
assurdo ragionamento? Pazza? Fuori di testa? Irragionevole? Che senso
avrebbe non bere subito, quando il corpo richiede acqua, ed aspettare un
giorno ed un’ora precisi? Sono d’accordo con voi, quella persona sarebbe
da definire senza rotelle, ad essere generosi.

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Eppure, quante persone conoscete che, per scaricare la rabbia che provano
in ufficio o in azienda o in negozio, aspettano il martedì e il giovedì, dalle 19
alle 20 (dico per dire…), perché hanno la lezione di step o di kick boxing? E
queste persone, adesso, come le definite? E non ci siete anche voi, fra
queste persone?
Torniamo ai nostri amici.

Diana è una donna come tante altre. Purtroppo, oggi la società abbonda di
storie come la sua. Diana è una donna che deve lottare quotidianamente
contro quello che Madre Natura avrebbe previsto per lei. Lungi da me ogni
considerazione maschilista o femminista, ma la realtà è questa: l’Uomo ha
alcune caratteristiche e la Donna ne ha altre. Pertanto, l’Uomo dovrebbe
ricoprire determinati ruoli e la Donna dovrebbe ricoprirne altri. Secondo la
legge del Dao o della Via (il famoso Tao, del quale tutti parlano molto, ma
del quale assai poco si conosce e si mette in pratica), l’Uomo è la parte
Yang, è la luce, il sole, è il lato soleggiato della montagna. La Donna, invece,
è la parte Yin, è il buio, la luna, la parte in ombra della montagna. L’Uomo è
attivo, la Donna è passiva. Non è questione di meglio o di peggio, non è
questione di essere forti o deboli: sono solo caratteristiche che andrebbero
prese in considerazione per poter vivere un po’ più in armonia con quel che
si è. Se qualche scettico adesso storce il naso, vi rammento solo che le
stesse considerazioni che trovate espresse nella Legge del Dao sono
confermate dalla Medicina Ufficiale, nel momento in cui conferma che
l’Uomo e la Donna sono composti da una serie di ormoni diversi, in
particolare gli estrogeni e gli androgini, deputati a funzioni diverse e
presenti in quantità e percentuali diverse nell’Uomo e nella Donna. La
Donna non ha, di norma, le stesse quantità di testosterone che ha un Uomo
e che permettono all’Uomo di comportarsi in un certo modo e di svolgere
determinate mansioni. Non sono un medico e non ho intenzione di scrivere
un trattato di medicina. Per farla semplice e breve (molto semplice e molto
breve, in effetti) diciamo che l’Uomo è composto da una percentuale alta di
ormoni maschili (quelli che gli fanno guidare la macchina con facilità,
trasportare pesi, appendere un quadro, cambiare una lampadina, avvicinarsi
ad una donna per sedurla, etc.) e da una percentuale bassa di ormoni
femminili (quelli che gli fanno apprezzare un bel tramonto o che gli fanno

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scrivere un romantico biglietto il giorno del vostro anniversario). La Donna,
al contrario, è composta da una percentuale alta di ormoni femminili (quelli
che le fanno scegliere abiti in tinta con la borsetta, che le fanno abbellire la
casa con un mazzo di fiori, che la fanno piangere sul lieto fine di un film
d’amore, etc.) e da una percentuale più bassa di ormoni maschili (quelli che
la fanno guidare, che la fanno lavorare, che le fanno portare le borse della
spesa, etc.).
Queste percentuali possono variare, naturalmente. Così, avremo uomini più
o meno dolci e donne più o meno aggressive, ma un certo equilibrio
andrebbe comunque rispettato. La dico in parole povere e spero di non
essere frainteso ma, insomma, ci sono cose da uomini e cose da donne. Vi
consiglio di leggere due libri molto belli, divertenti e al tempo stesso
altamente istruttivi, scritti sul tema da due psicologi di fama mondiale, i
coniugi Allan e Barbara Pease: “Perché le donne non sanno leggere le
cartine e gli uomini non si fermano mai a chiedere?” e “Perché gli uomini
lasciano sempre alzata l’asse del water e le donne occupano il bagno per
ore?”.
I due autori, con ironia, analizzano tutte le differenze comportamentali che
caratterizzano uomini e donne, fornendo con linguaggio semplice la
spiegazione biologica di queste indiscutibili, innegabili e non modificabili
differenze. Forse le femministe storceranno un po’ il naso, ma quello che i
due psicologi sottolineano è ciò che anch’io sto cercando di farvi
comprendere:

Uomini e donne dovrebbero essere uguali in termini di diritti e di


opportunità di esprimere appieno le proprie potenzialità, ma non sono
identici dal punto di vista delle capacità innate. Ciò significa che
l’UGUAGLIANZA è una questione politica o morale, ma l’IDENTICITA’ è una
questione scientifica.10

Andare contro questo principio, che è il medesimo espresso dalla legge


dello YIN-YANG, significa costringere un uomo od una donna ad andare

10Perché le donne non sanno leggere le cartine e gli uomini non si fermano mai a chiedere?, Allan e Barbara
Pease, ed. Sonzogno

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contro natura e a patire tutte le conseguenze che, da questo fatto, possono
derivare, che piaccia o meno.

Prendete la nostra amica Diana, invece. Sulle sue spalle si assommano: il


ruolo di mamma, che deve essere dolce, comprensiva, attenta, premurosa e
via discorrendo; il ruolo di donna di casa, che deve pulire l’abitazione,
organizzare il lavare e lo stirare, fare la spesa e cucinare per i figli; il ruolo di
uomo di casa, che deve tenere la contabilità, ricordarsi di pagare le bollette,
portare la macchina dal meccanico se sente qualche rumore strano, fare in
modo che i figli siano ubbidienti e rispettosi delle regole domestiche; il
ruolo di professionista, che tutti i giorni deve, per così dire, “tirare fuori le
palle” e farsi valere come tutti i suoi colleghi uomini i quali hanno il
vantaggio di dover fare solo quello e di avere a disposizione una riserva di
ormoni maschili (testosterone in primis) decisamente maggiore.
Comprendete meglio quel che intendo quando parlo di Rabbia? Diana,
magari, ha persino smesso di pensarci, perché deve andare avanti per forza
e non ha alcuna possibilità di scelta, ma potete star certi che, in qualche
maniera, purtroppo per lei, pagherà prima o poi il prezzo di questo modo di
vivere. Non voglio fare il corvo, l’uccello del malaugurio, ma è così. Del
resto, è una mia cliente ed è venuta da me con una serie di problemi,
guarda caso, riconducibili al Fegato: colesterolo alto, una cisti sull’utero e
altre sciocchezze varie che non starò ad elencarvi (vi ricordo che Diana è
un nome fittizio, non sto violando nessun segreto professionale!). A Diana,
così come a voi, non offro nessuna soluzione pratica per risolvere i
problemi, anche perché alcune situazioni vanno prese per quello che sono.
Ribadisco tuttavia che la consapevolezza di quel che si sta facendo e del
prezzo che si paga è già il primo passo verso una futura armonia.

E Alberto? Trascorre le sue giornate sopportando le angherie di un capo


che lo tormenta senza pretesto. Almeno una volta al giorno prova l’istinto
di rispondergli male, di urlargli in faccia una scarica di insulti, di prenderlo a
parolacce. Invece, deve inghiottire il rospo. Gli è stato insegnato che sul
lavoro bisogna essere diligenti e che bisogna sopportare, perché il lavoro è
sacro. È vero. Il lavoro, soprattutto per un uomo, è sacro. Sono ancora in
ballo gli istinti atavici, i ruoli per i quali siamo stati programmati fin dalla

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notte dei tempi. L’uomo è cacciatore: che si tratti di un dinosauro o di uno
stipendio, deve comunque portare a casa il nutrimento per la sua tribù.
Proprio perché è sacro, tuttavia, il lavoro dovrebbe essere una grossa fonte
di soddisfazione. Non importa il tipo di lavoro che si svolge o lo stipendio
che si percepisce. Quel che importa è che l’uomo si senta gratificato e
realizzato in quel che fa, che non si manchi di rispetto facendosi mancare di
rispetto. Per scaricare la propria Rabbia, per farsi rispettare, non è
necessario esplodere come una pentola a pressione, non è necessario
gridare come pazzi o distruggere a bastonate quel che si ha sottomano. No,
è sufficiente, a volte, rispondere un bel “No, grazie”, con fermezza e
cortesia. È sufficiente avere la forza di andare nell’ufficio del capo e
spiegargli che le cose così non vanno, che devono cambiare.
Lo so, non è facile. Il lavoro serve, lo stipendio pure. Ma siete sicuri che non
ci sia nessun altro lavoro che aspetta Alberto? Nessun’altra possibilità, per
lui? Per Alberto, vivere la sua aggressività potrebbe semplicemente
significare cambiare contesto professionale, avere il coraggio di dare un
calcio al passato e di affrontare un nuovo futuro. Molti uomini vorrebbero
proprio fare così, ma si nascondono dietro le scuse del lavoro sicuro, della
famiglia, dei figli… ebbene, 99 volte su cento si tratta di scuse, di pretesti.
Ho il terrore che voi pensiate che io sia un tizio che la fa troppo facile, che
“vorreste vedere me al suo posto!”.
Non voglio dare lezioni morali, non voglio fare il grande con i problemi degli
altri. Vi spiego solo quello di cui il vostro corpo ha bisogno. Certo, ci
saranno momenti durante i quali sarà necessario sopportare, perché altro
non si può fare e si deve andare avanti comunque. E allora sopporteremo,
ma almeno avremo la consapevolezza di quel che staremo facendo e
lotteremo per guadagnarci un pezzo di mondo migliore di quel che
abbiamo o che ci vogliono costringere ad accettare.

Mariangela, poveretta! Lei nemmeno lo sa, di essere arrabbiata. Non la


conosce, la Rabbia, perché nessuno gliela ha mai insegnata. Sapeste quante
persone che si rivolgono a me non conoscono più questo sentimento…
Mariangela, a furia di non provare mai nulla, sopporta passivamente tutto
quello che le viene proposto. Vive in una situazione che qualsiasi persona
normale definirebbe semplicemente allucinante, eppure lei va avanti per la

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sua strada. Certo, non sta bene, altrimenti non sarebbe neppure venuta a
farsi trattare da me, ma non riesce a rendersi conto neppure lontanamente
delle mancanze di rispetto cui è sottoposta giorno dopo giorno. Questo
esempio ci dovrebbe far riflettere, perché non sempre dobbiamo fidarci
delle apparenze, non sempre quello che crediamo essere la normalità, in
effetti, lo è davvero. Ricordo ancora la prima cosa che il mio insegnante mi
disse, durante il primo corso da me sostenuto in questo lungo cammino di
conoscenze ed esperienze che ancora sto percorrendo.
Disse: “per prima cosa, non credete mai a quello che vi dicono le persone,
quando si rivolgono a voi, fidatevi di quel che vi dice il loro corpo, perché il
corpo non mente”.
Quanto aveva ragione! Mi rendo conto che, in prima battuta, può sembrare
impossibile che una persona sia arrabbiata e non se ne renda conto, ma
credetemi, accade molto più spesso di quel che possiate pensare.
Magari anche voi vivete in una situazione che vi va stretta e vi siete
talmente abituati ad essa da non provare nessuna emozione al riguardo.
Magari anche voi, a furia di sopportare un determinato comportamento di
una determinata persona, finite per non farci più caso e iniziate a non
reagire più, a non provare più nulla nei confronti di una situazione che,
prima, vi provocava emozioni e reazioni. Questo discorso vale, è chiaro, a
proposito di tutte le emozioni, ma inizio ad introdurlo qui, per darvi il
tempo di cominciare a riflettere su voi stessi, la vostra vita, le persone che
vi circondano.

A quante cose vi siete abituati?


Quante cose, quante persone, con il tempo, hanno smesso di darvi fastidio?
Quante situazioni, in nome del famoso quieto vivere, avete lasciato correre
e ora date per scontate e per normali?

Non abbiate fretta, per carità. Non sono quesiti, quelli che vi ho proposto, ai
quali si può rispondere in due minuti. Quello di prima non era un test, era
solo un modo per mettervi una pulce nell’orecchio, per cominciare a
scuotere quel castello di certezze, quella cosa che noi chiamiamo normalità,
con il quale convivete.

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Per il momento, pensateci e basta. Del resto, cari miei, se siete arrivati fino a
questo punto, significa che qualche cosa da chiarire, qualche cosa che vi
brucia o che vi confonde, qualche conto che non torna, dentro di voi, c’è.
Altrimenti, sareste alle prese con un bel romanzo d’avventura e il titolo di
questo opuscolo non vi sarebbe nemmeno saltato agli occhi. Non è così?
Prima di proseguire, ripassiamo insieme le prime due di quelle semplici
regole che abbiamo visto prima e che è bene non dimenticare, perché
rappresentano davvero il modo più semplice ed efficace per essere seReni
e per stare bene. Poi, passeremo al primo tassello del nostro puzzle e ai
primi esercizi.

RISPETTA IL TUO FEGATO: SE SEI IN COLLERA, URLA.


RISPETTA LA TUA VESCICA BILIARE: SE NON ASCOLTANO LE
TUE GRIDA, BATTI I PUGNI.

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PRIMO TASSELLO

FATTI RISPETTARE,
RISCOPRI IL PIACERE DI DIRE “NO”,
OSA.
ALZA LA VOCE E, SE L’ALTRO NON ASCOLTA,
ALZA LA TUA VOCE ANCORA DI PIU’.
NON VERGOGNARTI A GRIDARE,
NON AVERE TIMORE DI BATTERE I PUGNI,
NON DISTURBERAI NESSUNO.
AGGREDISCI LA VITA,
AFFRONTA GLI OSTACOLI,
ERGITI CON FORZA
A DIFESA DI TE STESSO,
CHE E’ LA COSA PIU’ IMPORTANTE CHE HAI.
SII COME IL VENTO
CHE PORTA SCOMPIGLIO
E DISORDINE,
CHE SCUOTE GLI ALBERI,
CHE VA DOVE VUOLE,
A CUI NESSUNO PUO’ DIRE
DOVE E QUANDO FERMARSI.

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ESERCIZI

ELENCA ALMENO DIECI PERSONE NEI CONFRONTI DELLE QUALI CREDI


DI PROVARE RABBIA.

SE TI SEMBRA DI NON PROVARE RABBIA PER NESSUNO, ALLORA PENSA


A QUELLI A CUI VORRESTI DIRE QUALCOSA, MA NON HAI MAI IL
CORAGGIO DI FARLO.

PENSA A QUELLI CHE TI SEMBRANO PREPOTENTI E CHE DANNO


L’IMPRESSIONE DI VOLER PREVARICARE SU DI TE.

PENSA AL TUO POSTO DI LAVORO, ALLE SITUAZIONI CHE SOPPORTI


ANCHE SE NON NE AVRESTI VOGLIA E IDENTIFICA I PROTAGONISTI DI
QUESTE SITUAZIONI.

PENSA A TUTTI QUELLI AI QUALI VORRESTI GRIDARE IN FACCIA


QUALCOSA E NON RIESCI A FARLO O NON PUOI FARLO PERCHE’ SONO
IN CONDIZIONE DI POTERTI NUOCERE.

PENSA A QUELLI CHE RITIENI TI MANCHINO O TI ABBIANO MANCATO DI


RISPETTO, CHE TI OFFENDONO O TI HANNO OFFESO, ANCHE IN
PASSATO.

SCRIVI I LORO NOMI E, SE SCOPRI CHE SONO PIU’ DI DIECI, SCRIVINE


ALTRI. POI, PENSA INTENSAMENTE A LORO E, IN UN MOMENTO DI
TRANQUILLITA’, PROVA A CONCENTRARTI E A IMMAGINARTI MENTRE
URLI LORO IN FACCIA TUTTA LA TUA RABBIA E DICI LORO TUTTO
QUELLO CHE VORRESTI DIRGLI.
FALLO PIU’VOLTE, TUTTE LE VOLTE CHE PUOI.

!76 !76
ELENCO:

1. _________________________________________

2. _________________________________________

3. _________________________________________

4. _________________________________________

5. _________________________________________

6. _________________________________________

7. _________________________________________

8. _________________________________________

9. _________________________________________

10. ________________________________________

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IL ROSSO, LA GIOIA

Luca non sta bene. Da anni, ormai, ha smesso di parlare agli altri dei suoi
problemi, dei suoi pensieri. È un lavoratore infaticabile, tutti quelli che lo
conoscono credono che sia una persona eccezionalmente solare, perché
dice di star sempre bene, perché, nonostante non prenda mai nemmeno un
piccolo spazio per se stesso, non si lamenta mai, perché qualsiasi cosa gli
venga chiesta, lui risponde di sì. Parla parecchio, Luca, ma a ben guardare,
se si sta proprio attenti, ci si può accorgere che, nonostante tutte le parole
che gli escono di bocca, in effetti non dice mai nulla di sé. Le persone che
lo circondano gli vogliono molto bene, perché lui non rifiuta mai una
cortesia ed è sempre molto disponibile. La sua risposta più frequente,
quella che elargisce rispetto a qualsiasi domanda che gli venga posta è:
“Tutto bene, grazie”.

Marco è sempre stato, fin da piccolo, un ragazzo solare, espansivo,


desideroso di instaurare rapporti con le persone. Marco, adesso, è un uomo
di mezza età, sposato con una donna che è esattamente l’opposto di lui. Se
Marco ama parlare, confidarsi, emozionarsi, vivere i sentimenti e le passioni
con impeto, provare il calore di un abbraccio e l’ebbrezza di una risata, sua
moglie, invece, tutte queste cose non le considera nemmeno. È una donna
molto buona ed intelligente e vuole sinceramente bene a suo marito, ma è
irrimediabilmente diversa da lui. È fredda, chiusa, introversa, assolutamente
poco incline a manifestare le proprie emozioni, assolutamente incapace di
un qualsiasi gesto di tenerezza, di moti di dolcezza. Per Marco, fare l’amore
con sua moglie è il modo attraverso il quale riuscirebbe ad esprimere tutto
il suo ardore, tutta la sua passione e tutto il suo amore per lei. Per sua
moglie, invece, fare l’amore è poco più di una perdita di tempo, un’attività
fisica che non le procura nemmeno un po’ di piacere e che, pertanto, vive
come una seccatura. Anche su questo, Marco e sua moglie vivono proprio
in due universi distanti.
Marco, nel corso degli anni, un poco alla volta si è chiuso in se stesso, come
se si fosse rassegnato alla triste realtà dei fatti. Parla sempre di meno, ha
smesso di avvicinarsi a sua moglie per cercare un po’ di calore, ha imparato
a trattenere i suoi impulsi emozionali, fino a non provarli quasi nemmeno

!78 !78
più. Del resto, ogni volta che si è lasciato andare alla vivace espressione dei
suoi sentimenti, ha ricevuto in cambio solo occhiate curiose e quasi di
commiserazione. Il suo corpo, tuttavia, parla per lui. Basta guardarlo con
attenzione per avere una precisa descrizione di quel che è diventato Marco:
è freddo come un ghiacciolo, anche d’estate, ma rosso come un peperone,
proprio come se dentro di lui divampasse un fuoco ardente, incapace però
di trovare la strada per venire in superficie.

Marisa continua ad illudersi che, prima o poi, suo marito le dedicherà un po’
di attenzioni.
Il giorno del suo ultimo compleanno si è svegliata con il Cuore in
fibrillazione, in trepidante attesa di quello che sarebbe successo. Forse lui le
avrebbe fatto quel regalo che desiderava da tanto tempo, forse l’avrebbe
portata a cena in quel ristorantino intimo di cui avevano sentito parlare.
Marisa ha atteso tutto il giorno che in ufficio le venisse recapitato un mazzo
di fiori da parte di suo marito. Ogni volta che si apriva la porta, il Cuore le
balzava nel petto, convinta che, infine, il fattorino con i fiori fosse arrivato.
Ogni volta che squillava il telefono, il Cuore cominciava a martellarle come
un tamburo, per l’eccitazione di udire, all’altro capo dell’apparecchio, la
voce di suo marito. Invece, il fattorino con i fiori non è mai arrivato, né il
telefono ha squillato.
Tornata a casa, ha sperato con tutto il Cuore di trovare sul tavolo almeno
una rosa, magari accompagnata da un biglietto: forse suo marito aveva
preferito non disturbarla in ufficio e le aveva lasciato a casa il suo pensiero
per lei. Non c’era. Ha sperato fino all’ultimo in una sorpresa, magari una
cena romantica in qualche grazioso ristorante, e anche se non era proprio
quello di cui avevano sentito parlare, pazienza.
Quando, verso le otto di sera, suo marito l’ha chiamata per dirle che aveva
fatto tardi in palestra e che, già che c’era, si sarebbe fermato a mangiare
una pizza con i ragazzi, lei si è messa in pigiama (era rimasta vestita e
truccata per essere pronta, nel caso lui avesse deciso di portarla fuori
all’ultimo minuto) e si è vista una videocassetta, mangiandosi una vaschetta
di gelato. Non ha versato una lacrima, ma, cucchiaio dopo cucchiaio, è
sprofondata nel dormiveglia e, infine, nel sonno. Quando suo marito è

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rincasato, ore dopo, l’ha svegliata con una pacca sulla spalla per dirle che
lui andava a letto, di raggiungerlo.
E questo è niente. La cosa grave, la cosa più terribile, è che il giorno dopo,
mentre, seduta sul mio lettino, Marisa mi raccontava questo episodio, nella
sua voce non c’erano tracce di rabbia o di rancore. Addirittura, ad un certo
punto, si è messa a giustificare suo marito perché, poverino, lavora troppo,
ha troppe responsabilità in ufficio e, con tutto quello che ha da fare, si
capisce che si sia potuto dimenticare del compleanno. In fin dei conti, non è
un giorno come un altro?
No, le ho risposto io. Non è un giorno come un altro. Lei, tuttavia, non ha
reagito. Io, allora, ho semplicemente continuato a massaggiarle il piede e mi
sono messo a parlare del tempo, che un giorno piove e il giorno dopo c’è il
sole.

Tenevo dei corsi per “non addetti ai lavori”, una volta, dedicati ai miei clienti
che avevano piacere ad approfondire le tematiche affrontate con me in
studio e ad altre persone curiose, attratte da quello che viene definito
“alternativo”. Ho dovuto sospenderli, per il momento, a causa della
cattiveria e dell’invidia di alcune piccole persone (come ben vedete, capita
a tutti, anche a chi scrive un libro come questo, di avere a che fare con
persone frustrate per le proprie infelicità e delusioni, incapaci di rendersi
conto della propria pochezza d’animo e pertanto proiettate a scaricare
sugli altri il malessere che deriva loro da questa limitatezza intellettuale e
spirituale…), ma questa è un’altra storia: riguarda il Fegato e del Fegato
abbiamo già parlato. Mi sono solo levato un sassolino dalla scarpa, e chi ha
orecchie per intendere intenda.
Durante questi corsi, ogni serata era dedicata all’approfondimento di un
determinato organo e del sentimento corrispondente. Un po’ come
abbiamo visto nella prima parte del libro. Fegato/Rabbia, Cuore/Gioia, e
così via.
Comunque, nel corso della serata dedicata al sentimento collegato al
Cuore, era mia abitudine chiedere ai partecipanti che cosa intendessero per
“Gioia”.
Le risposte erano, com’è ovvio, molto diverse fra loro.
“Gioia vuol dire star bene”.

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“Gioia vuol dire essere sereni con quello che si ha”.
“Gioia vuol dire avere l’animo appagato”.
“Gioia vuol dire essere realizzati”.
“Gioia vuol dire poter fare quello che si vuole”.
Tutte definizioni giuste. Naturalmente, non c’è una definizione che sia
migliore delle altre. Io, dal canto mio, interpretando anche la Teoria dei
cinque elementi, proponevo poi la mia personale interpretazione.

Gioia è il piacere di essere se stessi, nei gesti, nella parola, nello spirito.

Che ve ne pare?
“Il piacere di essere se stessi” vuol dire, semplicemente, poter dire sì o no,
secondo i propri desideri; poter parlare quando se ne ha voglia e poter dire
quello che si vuole; potersi permettere di assecondare le proprie
inclinazioni esattamente nel modo in cui le inclinazioni medesime sono
percepite.

Luca, il signore di cui parlavo prima, la Gioia non sa nemmeno che cosa sia.
Il concetto di “se stesso” sfugge alla sua comprensione. Fa sempre tutto
quello che deve fare, tutto quello che gli altri si aspettano che lui faccia. Le
persone chiedono, e lui esegue. Il lavoro lo chiama, e lui corre. Per gli altri,
tutto. Per se stesso, nulla. Luca ha annullato se stesso per essere quello che
gli altri si sono convinti che lui sia. Porta una maschera che sorride sempre,
che non tradisce mai stanchezza, che non si lamenta mai. Quello che c’è
sotto la maschera, nessuno lo vede e nessuno lo sa. Anzi, se ne è
dimenticato pure lui. Non fa più finta, Luca: è davvero convinto, in Cuor suo,
che tutto vada bene e che non ci sia nulla che potrebbe essere migliorato.
Quanti di noi, la mattina, appena alzati, indossano la maschera di tutti i
giorni, prima di cominciare la giornata? Quanti vanno al lavoro e sorridono
a tutti, mentre avrebbero solo voglia di pensare agli affari loro, di potersi
estraniare da tutto e da tutti, senza dover parlare o essere per forza di buon
umore?
Viviamo in una società che non tollera chi non è felice, produttivo, chi è
malato, problematico, chi ha gli sbalzi di umore o chi dice quello che pensa

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quando lo pensa. Va di moda essere gentili, accondiscendere sempre al
superiore, sorridere per ogni evenienza.
Non voglio fare facile demagogia, ma la verità è questa: chi si lamenta, chi
non è sempre sorridente, chi si permette, insomma, di essere se stesso, con
i momenti buoni e quelli meno buoni, è messo al bando o, comunque, non è
visto di buon occhio. La gente non ha tempo di preoccuparsi di queste
sciocchezze, la gente vuole solo che l’aspetto esteriore sia gradevole,
semplice, non problematico. Così, per essere accettati, si sorride e si fa finta
di nulla.

Ho lavorato per anni in una famosa azienda che conta punti vendita in tutto
il mondo e che imposta la sua attività soprattutto sul rapporto dei
dipendenti con la clientela. Le regole sono ferree: ti perdonano se hai un
ammanco di cassa, se sbagli a fare i conti, se perdi qualche pezzo, ma ti
licenziano in tronco se ti dimentichi di sorridere ad un cliente, anche se il
cliente ti prende a parolacce. Non è una metafora, questa, è la realtà. E non
c’è da storcere il naso, perché anche noi ci comportiamo alla stessa
maniera. Facciamoci un piccolo esame di coscienza e chiediamoci se non ci
è mai capitato di rifuggire la compagnia di qualcuno perché “è pesante”,
perché “parla solo di problemi” o perché “a volte sorride e a volte è di
malumore”. Così, ecco che anche noi ci adeguiamo e sfoderiamo il nostro
miglior sorriso. Abbiamo bisogno degli altri e, in questa società così
affollata e così piena di solitudine, indossiamo la nostra maschera per
piacere agli altri, dimenticando che le uniche persone alle quali dovremmo
piacere siamo noi stessi.

Le uniche persone alle quali dobbiamo piacere siamo noi stessi.

Pensiamo anche ai modelli culturali che ci vengono proposti giorni dopo


giorno. Se vi guardate intorno, e sono certo che siete persone che si
guardano intorno, visto che avete comprato un libro come questo, noterete
che proliferano corsi di autostima, corsi che insegnano ad essere felici, corsi
nei quali si impara ad ignorare i problemi e a sfoderare sempre il nostro
favoloso ottimismo. Lasciamo perdere i corsi di marketing: lì si impara a
sorridere per portare a casa la pagnotta e, sebbene sia mostruoso pensare

!82 !82
che per guadagnare soldi si debba per forza sorridere anche se ti prendono
a merda in faccia, si può ancora capire. Ma chi partecipa a questi corsi per
piacere agli altri?
E che ne dite dei libri? Imparare a sorridere, essere felici, essere sempre
ottimisti, essere sempre di buon umore, ecco i principali argomenti trattati
dalla bibliografia del settore.
Ma come si fa a essere felici sempre? Ma come si fa ad essere sempre
ottimisti? Ma come si fa a non avere mai un minimo cedimento, un
momento di sconforto o di rassegnazione, una giornata nera in cui non si ha
voglia di parlare o di ridere? Io, i libri che dicono come fare per essere
sempre di buon umore e per non pensare ai problemi, li odio. I libri che
insegnano le migliori strategie per pensare sempre positivo e per non
vedere mai il lato brutto delle cose, li tirerei in testa a chi li scrive. Non li
sopporto, anzitutto perché esortano le persone a diventare false e
bugiarde. La verità, infatti, è che nella vita non ci sono solo cose belle, ma
anche brutte. Non ci sono solo momenti buoni, ma anche momenti meno
buoni. Non ci sono solo fiori senza spine, ma anche ortiche. Ripeto
parzialmente quel che ho detto all’inizio, è vero, ma il tema mi tocca troppo
da vicino per non tornarci sopra. Vedo troppe persone, tutti i giorni, che si
dannano l’anima perché non riescono ad essere ottimisti e felici come gli
altri consigliano loro di essere. Sono persone tristi e frustrate perché, per
quanto si sforzino, proprio non ci riescono. E, quando dico loro che non
sono obbligate né ad essere ottimiste ad oltranza, né ad essere felici, tirano
un sospiro di sollievo e si rilassano.

La felicità e l’ottimismo non sono obblighi.

L’ottimismo va bene, la sdrammatizzazione va bene: aiutano a superare i


momenti difficili. Ma i momenti difficili vanno riconosciuti ed accettati per
quello che sono, cioè, esattamente, momenti difficili, punto e basta.
Ragazzi, scusate la volgarità, ma se vi trovate nel piatto un bel pezzo di
cacca fumante, potete leggere quanti libri volete, potete visualizzare,
astrarre, traslare, immaginare, fare tutto il training autogeno che volete, ma
credetemi: vi ritroverete sempre nel piatto lo stesso pezzo di cacca, non
fois gras o marmellata ai mirtilli. Cacca. Tanto vale saperlo, perché quel che

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vi dicono quei libri è che voi dovete mangiarla, sorridere ed essere positivi,
immaginando che sappia di confettura di albicocche. Vi sembra
ragionevole? Per come la vedo io, se proprio devo mangiarla, almeno non
voglio prendermi in giro, raccontandomi che sto mangiano un piatto di
salmone alla brace. Io voglio la verità, anche se puzza e fa schifo.
Quei libri, poi, non li sopporto perché sono una incitazione allo star male, al
cancellare noi stessi per far contenti gli altri. Altrimenti, che ragione ci
sarebbe per essere sempre sorridenti, se non quella di far contenti gli altri
che ci guardano? A casa nostra, da soli con noi stessi, non ci verrebbe mai
in mente di sorridere come idioti ogni secondo. Allora, perché farlo in
pubblico? Non sarebbe meglio pensare solo a noi stessi, a come ci sentiamo
davvero, a come siamo davvero, invece che preoccuparci di apparire
gradevoli agli altri?
L’ottimismo ad oltranza fa ammalare, credetemi sulla parola. Gioia è essere
se stessi, nel bene e nel male, a prescindere da quel che fa piacere agli altri.
E se gli altri non lo accettano, beh, che vadano a quel paese.
Del resto, circondarsi di amici che ti vogliono bene solo se sei felice e che,
nel momento in cui diventi vero, ti lasciano o ti emarginano, non porta a
nulla di vantaggioso. Non ha senso, almeno io non ne vedo alcuno. Per quel
che mi riguarda, preferisco avere solo un paio di amici, ma sinceri. Amici
con i quali so di poter essere me stesso in ogni momento, di poter
esprimere i miei stati d’animo senza essere giudicato o, che è ancora
peggio, esortato a cambiare umore.
Se non ho voglia di ridere, caspita, vuol dire che non ho voglia! Lasciatemi
in pace, fatemi gustare tutto il mio malumore!
Provate a fare un esperimento, ad essere voi stessi per un buon periodo di
tempo: provate a dire quello che vi viene da dire, a fare solo quello che vi
va di fare, senza seguire il branco, ad esprimere le vostre emozioni
liberamente. Dopo qualche tempo, resterete soli o quasi. Tuttavia, gli amici
che resteranno accanto a voi dopo il vostro cambiamento, saranno gli amici
veri, quelli che vale la pena continuare a frequentare.

Marco ha smesso di esprimere la voce del suo Cuore, quella voce calda che
ricorda un bel fuoco scoppiettante. Giorno dopo giorno, ha ricacciato
indietro l’afflato ad esprimere tutta la sua gioia, fatta di parole, discussioni,

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abbracci, risate, emozioni. Si è trovato una compagna che, fin da subito, lo
ha fatto sentire in imbarazzo per quel che lui era. Se Marco provava ad
abbracciarla, lei restava immobile e si irrigidiva. Se Marco si emozionava e
lasciava uscire dal Cuore il fiume in piena dei suoi pensieri, lei si limitava a
fissarlo con aria fredda, provocando in lui imbarazzo e la sensazione di
essere fuori luogo. Se Marco parlava a voce alta, magari durante una cena
in compagnia o se, dopo un paio di bicchieri di vino, si lasciava andare a
canzoni e battiti di mano, lei lo richiamava all’ordine con uno sguardo
severo. Così, Marco ha semplicemente smesso. Di fare cosa? Di provare
emozioni. Si è ricordato di tutto, di tutti quei piccoli episodi che ho
descritto sopra, solo dopo molti trattamenti nel mio studio, dopo molte
analisi sui suoi bisogni emotivi e sul suo reale modo di essere. La sua
situazione, ora, è la stessa di prima. Sua moglie è quella che è, né più né
meno. Lui, però, ha imparato a fregarsene, ad essere comunque quello che
è. Ha capito che, in una coppia, non c’è il partner giusto ed il partner
sbagliato, quello buono e quello cattivo, quello intelligente e quello stupido.
Una coppia è fatta da due persone, né giuste né sbagliate, solo diverse. Ed
ognuno ha il diritto di essere quello che è, senza dover cambiare né, tanto
meno, senza avere la pretesa di cambiare l’altro. Ha accettato sua moglie
per quello che lei è e, un po’ alla volta, sta imparando di nuovo a sorridere
di Cuore. Essere se stessi non significa pretendere di essere nel giusto, non
significa pensare che agli altri vada bene il nostro punto di vista.

Essere se stessi significa solo vivere con la maggior armonia possibile la


propria natura, a prescindere da ciò che gli altri si aspettano da noi o
pretendono che noi facciamo.

E Marisa? Vive di illusioni, poverina. Si racconta storie e frottole da anni,


ormai, tanto che ha cominciato a crederci. Marisa è sposata con un uomo
che, di fatto, non la considera e la tratta come se non esistesse neppure.
Lei, per non ribellarsi, ha accettato questa situazione e si è convinta che
tutto vada bene, che tutto sia giusto così.
Lui le risponde male? Poverino, è tanto stanco…
Lui si dimentica di tornare a casa per cena? Poverino, è così impegnato sul
lavoro…

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Lui trascorre sei sere su sette in giro con gli amici? Poverino, il lavoro è così
stressante che gli ci vuole proprio un po’ di svago…
Quante volte avete ascoltato discorsi simili? Parecchie, immagino. Forse
anche voi, qualche volta, ne avete fatti. Che cosa si ottiene così facendo? Il
vantaggio, lo ripeto, è solo per gli altri, non certo per noi stessi. E allora vi
chiedo: ne vale la pena? Vale la pena prendersi in giro a questo modo pur di
non guardare in faccia la realtà?
Mi rendo conto che essere se stessi e vedere con precisione le cose come
stanno non è semplice e a volte è anche molto doloroso, ma si tratta di un
momento imprescindibile del volerci bene, del rispettarci un po’ di più e,
pertanto, dello star meglio. Il marito di Marisa non cambierà
comportamento, se sua moglie diventa un po’ più consapevole. Marisa,
tuttavia, starà meglio, perché avrà smesso di prendersi in giro e di farla
sempre passare liscia al suo compagno. Litigherà di più, discuterà di più,
soffrirà di più, ma almeno potrà guardarsi in faccia, davanti ad uno
specchio, e dirsi che è fiera di se stessa, perché non si lascia prendere in
giro e combatte.

Per tutti questi motivi, vi ricordo allora i due consigli che dovrete sempre
tenere bene a mente, a proposito della Gioia, del vostro Cuore e del vostro
Intestino Tenue. Sono regole (regole per modo di dire, s’intende) che
riguardano la parte più intima di voi stessi, quella che fate tanta fatica a
sopprimere o a reprimere per piacere di più agli altri. Per questo motivo e
per tutti i motivi che abbiamo già visto (ne servono altri?):

RISPETTA IL TUO CUORE: PARLA, E SII SINCERO.


RISPETTA IL TUO INTESTINO TENUE: DI’ CIO’ CHE PENSI,
DISCUTI.

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SECONDO TASSELLO

RISCOPRI TE STESSO.
CHIEDITI CHE COSA TI PIACE
E CHE COSA NON TI PIACE.
CHIEDITI CHE COSA TI VA BENE
E CHE COSA TI FAI ANDARE BENE
PER IL PIACERE DEGLI ALTRI.
NON TRATTENERE LE PAROLE
NON TRATTENERE I SORRISI
NON TRATTENERE LE EMOZIONI.
GIOIA E’ PARLARE QUANDO LO SI DESIDERA
E’ TACERE QUANDO NON SI HA NULLA DA DIRE.
GIOIA E’ FARE QUELLO CHE PIACE
QUANDO SI VUOLE
CON CHI SI VUOLE.
GIOIA E’ NON CREARSI ILLUSIONI
PER SOPPORTARE GLI ALTRI.
SII TE STESSO,
COME UN FUOCO SCOPPIENTANTE
CHE NON STA FERMO
E CHE CON IL SUO CALORE
SCALDA GLI ANIMI
D’INVERNO.

!87 !87
ESERCIZI

FAI UN ELENCO DI DIECI PERSONE ALLE QUALI VORRESTI PARLARE


CON SINCERITA’.

RACCONTARE BUGIE NON VUOL DIRE NECESSARIAMENTE MENTIRE SU


COSE IMPORTANTI: SONO LE PICCOLE BUGIE CHE CI RACCONTIAMO
GIORNO DOPO GIORNO, A FARCI MALE.

PENSA A PERSONE CON LE QUALI NON RIESCI A ESSERE TE STESSO,


CON LE QUALI DEVI STARE ATTENTO A COME PARLI, CON LE QUALI
NON PUOI PERMETTERTI DI DIRE DAVVERO QUELLO CHE PENSI.

PENSA A TUTTE LE COSE CHE ACCETTI MENTENDO A TE STESSO,


DICENDOTI SEMPRE LA STESSA COSA, CHE “VA BENE COSI’”: PENSA
ALLE PERSONE CON LE QUALI USI QUESTO ATTEGGIAMENTO.

PENSA A TUTTE LE COSE CHE AVRESTI VOGLIA DI FARE MA CHE NON


FAI PERCHE’ NON PIACCIONO AD ALTRE PERSONE: SONO PROPRIO I
NOMI DI QUESTE PERSONE CHE DEVI SCRIVERE NELL’ELENCO.

PENSA A TUTTE QUESTE PERSONE ED IMMAGINALE UNA AD UNA. POI


PENSA A TE STESSO, CON LORO, MENTRE PARLI E SEI TE STESSO,
LIBERO DI DIRE E FARE QUELLO CHE SENTI DENTRO.
IMMAGINATI MENTRE LA SMETTI DI RACCONTARTI FAVOLE E SPUTI IN
FACCIA TUTTA LA VERITA’ A CHI TI INGANNA.

!88 !88
ELENCO:

1. _________________________________________

2. _________________________________________

3. _________________________________________

4. _________________________________________

5. _________________________________________

6. _________________________________________

7. _________________________________________

8. _________________________________________

9. _________________________________________

10. ________________________________________

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IL GIALLO, LA RIFLESSIONE

Paolo (a scanso di equivoci, non sono io!) non chiede aiuto quasi mai. È
sempre stato abituato a cavarsela da solo, gli hanno insegnato fin da
piccolo che nella vita bisogna arrangiarsi con le proprie forze. Per questo,
Paolo sa sempre quello che deve fare e non ha mai nemmeno un piccolo
dubbio in merito alle sue scelte. Chiedere una mano a qualcuno è un’idea
che, semplicemente, nemmeno gli passa per la testa. Se una cosa riesce a
farla da solo, allora la fa. Se, invece, si rende conto di non riuscirci, allora la
lascia perdere. In ogni caso, non conta sulla collaborazione di altri, mai.
Considera il chiedere aiuto una debolezza e, fin da piccolo, si è imposto di
non cedervi. Comprende bene il peso di tutte le responsabilità che gravano
sulle sue spalle, tuttavia stringe i denti e va avanti, cerca di fare tutto quello
che deve fare, di assolvere tutti i suoi compiti. Deve pensare ad un sacco di
cose: il lavoro, la famiglia, la mamma malata. Ma lui è bravo e accontenta
tutti, nessuno escluso. Chiunque chieda aiuto a Paolo può star certo che
riceverà una mano, a prescindere dai salti mortali che quest’uomo dovrà
fare per tenere fede agli impegni presi.

Lucia, invece, è piena di dubbi e di conflitti. Vive in un perenne stato di


ansia, perché se fosse per lei, chiederebbe a tutti ogni minima conferma per
quello che fa. Mi dice spesso che non è fisicamente in grado (il corsivo
indica parole sue) di prendere una decisione, di qualsiasi decisione si tratti.
È più forte di lei, non ce la fa. Si sforza, si impegna, prova tutte le volte a
darsi una scossa, a lanciarsi, e immancabilmente, volta dopo volta, deve
fare marcia indietro ed ammettere che quel che ha deciso non la convince
appieno, che la scelta presa la mette in ansia, che la sua angoscia è quella
di aver intrapreso la strada sbagliata, anche se si tratta solo di scegliere fra
ristorante o pizzeria.
“Vado bene così?”, “E’ giusto fare così?”, “Sto facendo bene se faccio
così?”, e via discorrendo. Tuttavia, nonostante questo bisogno irrinunciabile
a chiedere conferme e conforto, Lucia si trattiene molto, perché si rende
conto che le sue troppe domande potrebbero disturbare gli altri. Perciò,
nove volte su dieci, tiene per sé i suoi dubbi e si logora lo Stomaco, dubbio
dopo dubbio, incertezza dopo incertezza, conflitto dopo conflitto. Tacere e

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fare quello che ha deciso, con il cervello che continua a rimuginare sulle
scelte non fatte, con il tarlo del dubbio che non smette mai di rosicchiare, le
costa una fatica immensa, la sfinisce, ma è più forte la paura di apparire
debole e di risultare sgradita e fastidiosa. Le hanno sempre insegnato, con
le parole e con i comportamenti, che le sue richieste sono noiose e danno
fastidio.
Non le servirebbe molto, per stare bene: solo qualche rassicurazione sulle
scelte che fa, sulle decisioni che prende. Ma le persone che la circondano
non sono telepatiche, non intuiscono il bisogno urgente di queste richieste.
Perciò, alla fine, lei non chiede e gli altri, ovviamente, non rispondono.

Mariangela ha una sola figlia, eppure fa la mamma a tutti. Fa la mamma a


sua figlia, e questo è ovvio.
Poi, e questo è meno ovvio, oltre che poco naturale, fa la mamma alla sua
mamma (e la sua mamma, va da sé, è ben contenta di lasciarglielo fare: “se
non ci fossi tu…”, le dice): si prende cura di lei in ogni modo, si preoccupa di
prenotarle gli appuntamenti (ha fatto così anche quando l’ha portata da
me), è costantemente in ansia per la sua salute, prende ogni decisione
anche in considerazione di quel che dirà o farà la sua mamma. Ogni
decisione che prende Mariangela è sempre e comunque condizionata da un
pensiero fisso, una sorta di spada di Damocle pronta a calare il suo
fendente: la mamma.
Non basta. Mariangela fa da mamma anche a suo marito: trascorre le sue
giornate a cucinare, lavare, stirare, mettere in ordine la casa, organizzare il
lavoro e gli appuntamenti di tutti. Pianifica gli appuntamenti, ricorda le
visite dal dentista, sforna manicaretti a tutto spiano, fa in modo che suo
marito non debba mai alzare un dito, nemmeno per farsi un caffè. Anche
suo marito, ovviamente, la lascia fare e si gode la cuccagna. Dopo il lavoro,
il suo unico compito è quello di sedersi sul divano e di lasciarsi portare le
pantofole.
Insomma, Mariangela corre sempre per tutti, anche per chi le chiede un
aiuto, sapendo che può sempre contare su di lei. Mariangela è disponibile,
sempre. Ci sono sere in cui non riesce a prendere sonno, rosa da una rabbia
sconfinata, dovuta alla sua incapacità, della quale si rende perfettamente
conto, di non essere mai in grado di negarsi. Se lo ripete mille volte (e lo

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ripete mille volta anche a me), ma alla fine, se qualcuno chiede, lei corre. È
stanca ed esaurita, il suo Stomaco le dà problemi praticamente ogni giorno,
eppure non riesce a smettere di correre, è più forte di lei. Vive con ansia
tutte le sue preoccupazioni, ma questo sarebbe il meno. Il guaio è che vive
con ansia anche tutte le preoccupazioni e i problemi degli altri e se ne fa
carico, come se quel fardello enorme fosse suo, anche se non è così. Non
passa giorno che non si chieda fino a quando potrà resistere, fino a quando
avrà la forza per fare tutto quello che sta facendo. Vorrebbe urlare a tutti,
nessuno escluso, “ARRANGIATEVI!”, ma non lo fa. Abbassa la testa e va
avanti. E tutti, intorno a lei, come sanguisughe, a chiedere, sempre di più,
senza ritegno.

Siamo tutti vittime della cattiva educazione e di una serie di preconcetti


molto sbagliati, eppure talmente radicati nella nostra cultura, nel nostro
modo di pensare che solo l’idea di scardinarli, di andare controcorrente, fa
rabbrividire. Anche voi che leggete ne siete stati o ne siete vittime, ne sono
sicuro. Ne sono stato vittima anch’io e solo grazie agli anni di studio e di
esperienza sul campo (io ho la fortuna e la sfortuna di toccare con mano, su
corpi sofferenti di persone infelici, gli effetti deleteri della cattiva
educazione di cui parlavo prima), sono riuscito con fatica a liberarmi di
alcuni pesanti fardelli. Non di tutti, ma non dispero: la strada è ancora
lunga.
Parlavo della cattiva educazione e non intendevo certo riferirmi alle buone
maniere che devono tenersi a tavola o al linguaggio da usare durante una
cerimonia.
No, mi riferivo a quei luoghi comuni che ci vengono insegnati e che
diventano parte del nostro modo di vivere e di ragionare. Parlerò, in questa
sede, di quel che riguarda la Stomaco, ma vi assicuro che esempi di questa
cattiva educazione si possono trovare praticamente ovunque: al Fegato si
insegna a non gridare, perché è di disturbo ed è cattiva educazione. Al
Cuore si insegna a ridere piano e sottovoce, per non dare fastidio, oppure a
non parlare, perché non si capisce quel che dicono in televisione. E così via,
purtroppo.

!92 !92
L’energia dello Stomaco, il suo funzionamento armonioso, dicevamo, è
legato al sentimento della Riflessione, che viene espressa (o meglio:
dovrebbe venir espressa), dalla Richiesta di aiuto. Ebbene, considerate che
si comincia a chiedere appena si nasce, attraverso il pianto. Il piccolo, nella
sua culla, piange per chiedere la pappa, oppure per chiedere un cambio di
pannolino, oppure per chiedere acqua, oppure per chiedere conforto se
soffre, o compagnia se ha paura. Un meraviglioso istinto atavico di
sopravvivenza permette al piccolo di chiedere, tutte le volte che ha bisogno
di qualche cosa, anche cento o mille volte di seguito, finché il bisogno non
è stato soddisfatto. Non come facciamo noi grandi, che alla seconda volta
ci rassegniamo, ci rimbocchiamo le maniche e ci diamo da fare per conto
nostro.
Se il piccolo non avesse questo istinto e fosse vittima dell’educazione della
quale noi stessi siamo vittime (non chiedere con insistenza per non
disturbare troppo), morirebbe nel giro di poche ore. Per fortuna non è così.
Eppure, quante persone non accorrono alla culla, quando il bambino
piange, solo perché credono che, così facendo, il neonato venga viziato?
Non si può correre ogni volta che piange, si dice.
E perché no?
Se si corre sempre, si rischia di viziarlo, dicono.
Primo, non è possibile viziare un neonato che non ha capacità di raziocinio,
ma solo istinto di sopravvivenza. Secondo, se anche fosse?

Detto questo, ricordatevi che un adulto avrà capacità ed energia per


chiedere aiuto in misura proporzionale alla quantità di richieste fatte ed
esaudite.
Se non siete capaci di chiedere, è perché quando avete chiesto non vi è
stata data risposta. E se siete fra quelli che, in buona fede, si sono
comportati proprio così, non temete: per rimediare c’è sempre tempo ma,
soprattutto, quando si fanno le cose in buona fede, con la convinzione di
agire per il meglio, non c’è colpa. Perciò, state tranquilli e andate avanti a
leggere: c’è sempre un rimedio per tutto.

Paolo, il ragazzo citato nell’esempio, ha smesso di chiedere a furia di sentire


i suoi genitori sbuffare ad ogni sua richiesta. Ha smesso di chiedere per

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compiacere un padre che lo ha sempre esortato, fin da piccolo, a cavarsela
da solo, come aveva fatto anche lui, del resto. Ha smesso di chiedere a sua
madre per la paura di provare l’ennesima delusione, l’ennesimo senso di
vuoto allo Stomaco. Ricordatevi che una mamma dovrebbe dare al figlio
prima ancora che questi chieda e, credetemi sulla parola, non c’è nessun
vizio, in tutto questo. Non è diseducativo. I figli, al momento opportuno,
sapranno camminare con le loro gambe, ma nel loro Stomaco resterà
sempre la certezza di poter contare su qualcuno, cioè sull’unica persona al
mondo che sa che cosa vuol dire la parola “bene”: la loro mamma.
I vizi si danno quando si ricoprono i figli di beni materiali per compensare i
propri sensi di colpa e le proprie mancanze e le proprie inettitudini: si
ricorre alla forma per mascherare un terribile vuoto di sostanza. Allora sì
che il figlio non smetterà mai di chiedere e vorrà sempre di più, non si
staccherà mai dal cordone ombelicale e continuerà ad essere dipendente
ed incapace di muoversi in maniera autonoma, nemmeno da adulto, magari
sposato e con figli, ma questa è una situazione che con la precedente non
ha nulla a che vedere.
La mamma vera sa sempre quello che piace al figlio e glielo fa trovare
pronto, non aspetta che sia il figlio a chiederlo. E quando un figlio chiede
qualcosa, la mamma non fa altro che aprire la borsa o il frigorifero, perché
la richiesta di suo figlio non la coglie impreparata: conosce i suoi gusti,
previene le sue richieste.
La mia insegnante usa raccontare una storiella, per spiegare il concetto che
vi ho espresso poco prima. Lei fa l’esempio di un bambino che adora lo
yogurt alla fragola, solo quello. La mamma di quel bambino va al
supermercato e non lo trova: c’è di tutti i gusti, ma non alla fragola. Allora
esce dal supermercato e gira tutte le botteghe del quartiere, fino a che
trova un’unica confezione di yogurt alla fragola, l’ultima rimasta. La acquista
e la mette in frigorifero, in attesa che il figlio ritorni da scuola. Magari avrà
voglia di una pizza, ma non importa. Se gli venisse voglia di uno yogurt alla
fragola, lo troverà.
Un altro bambino ha, lui pure, questa grande passione per lo yogurt alla
fragola. Sua madre (e state attenti, quando utilizzo i termini mamma o
madre, c’è una bella differenza) va allo stesso supermercato di prima e,

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naturalmente, non trova lo yogurt alla fragola. Allora acquista una grossa
quantità di yogurt, una confezione per ogni gusto e ci riempie il frigorifero.
Il primo bambino, con un solo yogurt, sarà sazio e non avrà bisogno di altro.
Il secondo bambino ne mangerà almeno tre, di yogurt, ma non riuscirà a
colmare il vuoto del suo Stomaco, perché non avrà trovato l’unico gusto
che desiderava davvero.
Ora, molti di voi, a questo punto, staranno scuotendo la testa e nel loro
cervello saranno già pronte mille giustificazioni: il lavoro, le corse, il tempo e
chissà cos’altro. Altri di voi saranno infastiditi.
Non fa una gran differenza, per me. Vi ho detto quel che c’era da dire e se
la verità non vi piace, beh, mi auguro che abbiate la bontà di andare avanti
comunque.
Conoscere le cose non è sempre piacevole e la verità, a volte, brucia più di
un tizzone ardente, lo so bene perché ci sono passato anch’io prima di voi.
Ma la ricompensa è alta, credetemi. Perciò vi prego: non lasciatemi adesso.

Ora parliamo di Mariangela e della sua incredibile predisposizione ad


assumersi tutte le responsabilità e ad avere un atteggiamento materno nei
confronti di tutti. Non è una questione di carattere, se è quello che stavate
pensando. Piuttosto, è sempre una questione di cattiva educazione. Se voi
sapeste quante volte carichiamo i bambini di responsabilità che non sono in
grado di sopportare! Pensate che i bambini dovrebbero avere, come sole
preoccupazioni, quella di giocare e quella di mangiare.
Invece, fin da piccoli, sono bombardati di messaggi educativi deleteri, che
minano la loro serenità e, soprattutto, la loro energia dello Stomaco.

Devi andare bene a scuola, perché io e papà facciamo tanti sacrifici per farti
studiare!

Tu che sei la sorella più grande, bada ai tuoi fratelli, perché io devo lavorare!
Sono sotto la tua responsabilità!

Devi collaborare, in casa, perché ormai sei grande!

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Ti facciamo partecipe delle nostre preoccupazioni, perché fai parte della
famiglia ed è giusto che anche tu sappia!
Tutto questo fardello ad un bambino piccolo? Fate uno sforzo di fantasia e
provate ad immaginare le cose da un altro punto di vista, non il vostro di
adulti, ma quello di un bambino piccolo.

Con che peso sulle spalle crediate che affronti la scuola, sapendo che i suoi
genitori si sacrificano per lui? E se dovesse deluderli? Avete idea della fatica
che si fa a fare le cose sapendo di non poter sbagliare, perché dai propri
sbagli dipende la felicità o la delusione delle uniche due persone al mondo
ai cui occhi vogliamo apparire bravi e degni? Avete idea?
Certo, era solo un modo per stimolarlo a studiare, mica lo dicevate sul serio.
Può anche essere, ma questo lo sapete voi, non lui. Per lui, la faccenda è
terribilmente seria. Lui non sa che stavate scherzando, diavolo.

E che dire della responsabilità di badare ad uno o due fratelli più piccoli,
sapendo che mamma e papà hanno riposto la loro fiducia in lui? E se
qualcuno si fa male? E se qualcosa va storto? Avete idea del peso che si
avverte sulle spalle, del carico di responsabilità che ci si sente addosso?

E le vostre preoccupazioni economiche, dovete proprio raccontarle anche a


lui? Ci sarà tempo per farlo partecipe, per parlare anche di quelle cose. Ci
sarà tempo e, anzi, sarà opportuno farlo, perché nessuno vi chiede di far
crescere vostro figlio con le fette di salame sugli occhi o di raccontar bugie.
Solo, c’è un’età in cui questo è possibile farlo e un’età nella quale, invece,
sarebbe meglio non farlo. Tutto qui. È solo questione di equilibrio ed
intelligenza.
Perciò, se siete fra quelle persone che non chiedono mai, provate a fare un
piccolo sforzo e affidatevi all’aiuto di qualcun altro: scoprirete che la vita
può essere molto più leggera di quel che pensavate. Vi sembrerà proprio di
esservi levati un peso… dallo stomaco.
Se, invece, siete fra quelle persone che pensano sempre anche ai guai degli
altri, lasciate che “gli altri” se la sbrighino un po’ da soli: voi avete già tante
cose a cui pensare.

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E se vostro marito dovesse protestare per il cambiamento di regime, potete
sempre ricordargli che, se gli manca tanto la mamma, può sempre andare a
cercarne una da qualche altra parte, che voi siete la moglie e avete ben altri
doveri (e ben altri diritti… fra i quali una certa cosa che con la mamma
proprio non si fa!).
E poi non lo dicono anche i proverbi, che di mamma ce n’è una sola?

Spero che tutto quello che abbiamo detto fino ad ora vi sia chiaro. Spero di
essere riuscito a spiegarmi nella maniera più lineare e comprensiva
possibile. Spero di non essere stato frainteso, soprattutto spero di non aver
suscitato in voi eccessivo risentimento verso altre persone che vi hanno
voluto bene e che, se hanno sbagliato, lo hanno fatto in buona fede, con
tutto il bene di questo mondo.
Vedete, ho scritto questo capitolo sullo Stomaco, sulle incertezze, sui dubbi,
sui conflitti ed io stesso, ora, sono tormentato da dilemmi e da controversie
interiori.
Ho scritto bene? Ho esagerato? Ho fatto bene a parlare di tutte queste
cose? Ho dimenticato nulla? Ho mancato in qualche modo?
Nello spiegare a voi che mi state leggendo l’energia dello Stomaco, ho
messo in moto la mia e ora mi ritrovo con un fastidioso senso di nausea.
Per questo, le due regole che seguono sono un ripasso per voi Gentili
Lettori, ma anche per me.
Quindi, leggiamole insieme.

RISPETTA LA TUA MILZA: SE HAI DUBBI, FAI LE TUE


DOMANDE.
RISPETTA IL TUO STOMACO: SE HAI BISOGNO, CHIEDI AIUTO.

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TERZO TASSELLO

RILASSATI
E APRI LA PORTA CHE CHIUDE
DENTRO DI TE
I CONFLITTI I DUBBI LE PREOCCUPAZIONI.
PENSA A QUEL MACIGNO CHE SENTI DENTRO
E BUTTALO FUORI.
ALLEGGERISCI IL TUO FARDELLO,
SCARICA UN PO’ DEI PESI CHE PORTI
SULLE TUE SPALLE STANCHE
E POCO IMPORTA SE ALTRI VORRANNO AIUTARTI
A PORTARLI.
TU COMINCIA A SCARICARLI.
SE SEI NEL DUBBIO,
NON AVER PAURA DI CHIEDERE LA STESSA COSA
ANCHE MILLE VOLTE,
SE CIO’ SERVIRA’ A FARTI
SENTIRE PIU’ SICURO E PIU’LEGGERO.
SII COME LA TERRA,
CHE ACCOGLIE I SEMI DENTRO DI SE’
E LI FA MATURARE,
PER POI LASCIARE USCIRE I GERMOGLI.

!98 !98
ESERCIZI

FAI UN ELENCO DI DIECI PERSONE ALLE QUALI VORRESTI CHIEDERE


AIUTO.

NON DEVI ESSERE IN PERICOLO DI VITA, PER CHIEDERE AIUTO.

PENSA ALLE TROPPE RESPONSABILITA’ CHE TI SENTI ADDOSSO, PENSA


ALLE COSE CHE TI PIACEREBBE CHE FACESSERO GLI ALTRI.

PENSA ANCHE ALLE PERSONE ALLE QUALI VORRESTI CHIEDERE AIUTO


PER CHIARIRE I TUOI DUBBI, PENSA A TUTTE LE PREOCCUPAZIONI CHE
TI ACCOLLI E CHE TI PIACEREBBE CONDIVIDERE CON CHI TI STA VICINO.

PENSA A TUTTE LE COSE CHE CHIEDI E CHE PENSI, INVECE, TI


DOVREBBERO ESSERE DATE SENZA CHIEDERE.

PENSA A TUTTE LE VOLTE CHE DA SOLO O DA SOLA NON CE LA FAI,


MA TI FAI RIGUARDO A CHIEDERE UNA MANO, PERCHE’SAI CHE NON
OTTERRAI NULLA, SE NON UN MUGUGNO O UNA SCROLLATA DI
SPALLE.

PENSA A TUTTE LE VOLTE CHE TI SI STRINGE LO STOMACO PER I


TROPPI PENSIERI E PENSA A CHI VORRESTI APPOGGIARTI, PER STARE
MEGLIO.

PENSA A TUTTE QUESTE PERSONE, SCRIVI I LORO NOMI E IMMAGINA


CON INTENSITA’ UNA SCENA DI UN FILM. IN QUESTA SCENA, CHI TI
DEVE AIUTARE SI AVVICINA E TI ALLEVIA UN PO’ DEL TUO FARDELLO,
SENZA NEMMENO CHE TU GLIELO ABBIA CHIESTO.

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ELENCO:

1. _________________________________________

2. _________________________________________

3. _________________________________________

4. _________________________________________

5. _________________________________________

6. _________________________________________

7. _________________________________________

8. _________________________________________

9. _________________________________________

10. ________________________________________

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IL BIANCO, LA TRISTEZZA

Giovanni è venuto da me per problemi respiratori. Ha sempre avuto l’asma


bronchiale, fin da piccolo. All’inizio, era allergico solo a determinati pollini,
poi il numero di pollini è aumentato. Poi, è diventato allergico agli acari
della polvere. Poi, è diventato allergico alle muffe dell’aria. Ora, non respira
bene praticamente mai, d’estate perché fa caldo, d’inverno perché fa
freddo, d’autunno perché c’è umido e in primavera perché fioriscono i fiori.
Abbiamo scoperto (e dico abbiamo perché il percorso di comprensione dei
propri disagi si fa sempre in due) che il problema di Giovanni è che non
piange. Non è capace, non riesce. Addirittura, non riesce a ricordarsi
dell’ultima volta in cui ha pianto. Non piange nemmeno ai funerali, Giovanni.
Si commuove, però, anche perché lui è una persona particolarmente
sensibile. Il fatto che non riesca ad esprimere la sua tristezza attraverso il
pianto non significa che egli non la provi, non la viva, non conosca questo
sentimento. Giovanni, quando è triste, si sente gonfiare il petto di emozione,
sente pizzicare il naso e bruciare gli occhi, ma le lacrime no, quelle proprio
non vogliono scendere. Mi dice che si vergogna, che è più forte di lui.
Anche con sua moglie, con la quale ha di certo più confidenza che con
qualsiasi altra persona, non riesce a lasciarsi andare. A volte arriva proprio
al punto in cui è in procinto di esplodere in un pianto liberatorio, ma subito
interviene qualche meccanismo che lo frena, che lo inibisce. Si tratta di un
meccanismo incontrollabile, che esercita un’azione coercitiva sul suo
bisogno di lasciarsi andare e che gli impedisce, immancabilmente, di
esprimere ciò che prova, ciò che avrebbe bisogno assoluto di buttar fuori.
Ogni volta che Giovanni ha una crisi del genere, ovvero una forte “carica”
emotiva non accompagnata dalla giusta “scarica”, immancabilmente, gli
viene un bel raffreddore, per tutta la tristezza che non è riuscito ad
esprimere.

Lucia è triste perché si sente sola. È sposata e ha un figlio. Suo marito


rientra ogni sera e non se ne va mai in giro a giocare a carte o a biliardo con
gli amici; suo figlio è sempre con lei. Eppure, si sente sola. Suo marito torna
dal lavoro e la prima cosa che fa è quella di accendere il televisore per
ascoltare il telegiornale. Non le chiede nulla, nemmeno come è andata la

!101 !101
giornata. A volte, Lucia si dice che se anche lui, per ipotesi, la trovasse in
casa, a letto con l’idraulico, probabilmente non se ne accorgerebbe
nemmeno, tutto preso dalle ultime notizie.
Lei, ogni sera, gli fa trovare una cena diversa, frutto di passione ed
impegno, eppure lui non le fa mai un complimento, non dà nemmeno
mostra di accorgersi che sta mangiando un arrosto invece di una bistecca,
un piatto di lasagne invece di un piatto di spaghetti. Ore e ore passate sui
fornelli, sfogliando libri di cucina alla ricerca della ricetta più originale, e
nemmeno un cenno. Le piacerebbe anche che, di tanto in tanto, lui le
dicesse “che schifo!”. Almeno, saprebbe che si è accorto di quel che ha
mangiato.
Lucia cambia colore di capelli ogni mese: una volta è bionda, una volta è
castana, una volta è rossa, una volta è nera. Continua a cambiare perché
non si piace mai e, tutte le volte che esce dal parrucchiere, non è mai
contenta. C’è sempre qualcosa che non va, o nella piega, o nella tinta, o nel
taglio. È magra, Lucia, ed il suo fisico testimonia le ore trascorse in palestra
con il personal trainer, eppure lei fa fatica a guardarsi allo specchio, perché
vede ciccia e cellulite dappertutto.
Si è rifatta le sopracciglia, il naso, si è fatta ritoccare le palpebre, si è fatta
sgonfiare i fianchi e riempire il seno, in un disperato tentativo inconscio di
attirare l’attenzione dell’uomo che le vive accanto, ma senza risultato.
L’atteggiamento del marito non è cambiato. Lui torna a casa la sera e, in
silenzio, consuma il suo pasto guardando la televisione. Poi, altra televisione
ed infine il letto, senza una parola. Una volta la settimana, se va bene, la
cerca per un po’ di sesso, cinque minuti cinque, carezze e doccia comprese,
e poi via con il solito ritmo.

Nicola fuma come un turco. Si “fa fuori” senza batter ciglio quasi due
pacchetti di sigarette al giorno. Frequenta molte donne e fa sesso
abbastanza di frequente, nulla di serio, comunque. Cambia compagna alla
velocità della luce e dei suoi successi da vero conquistatore si fa vanto con
gli amici, che ascoltano i suoi resoconti con un po’ di invidia. Tutti pensano
di lui che sia un vero latin lover, uno “sciupafemmine”. Lui stesso, per la
verità, è sicuro che questa definizione gli calzi a pennello e ne va oltremodo
fiero. Però, continua a fumare come un turco e, nonostante la giovane età

!102 !102
(ha appena compiuto trentaquattro anni), i capelli sono sempre più radi.
Sulla testa gli si sta disegnando la famosa “piazza”. Non se ne da peso, al
limite si farà tagliare i capelli cortissimi, tanto va pure di moda. Nel
frattempo, donne e sigarette, donne e sigarette, donne e sigarette. Non si
sposerà mai perché, in fondo, non ha delle donne una gran considerazione.
Inoltre, questa sua ansia di essere sempre considerato un “super maschio”
non lo fa vedere di buon occhio alle rappresentanti del gentil sesso che,
non appena si rendono conto del personaggio con il quale hanno a che
fare, si defilano in silenzio.

Dobbiamo subito parlare, ancora una volta, dei danni che produce la cattiva
educazione. Ancora una volta, però, permettetemi di dire che non sono in
discussione il bene, l’amore, la buona volontà, la buona fede dei nostri
genitori o di chi ci ha educato, tramite insegnamenti verbali o
comportamentali (il padre di un uomo che non piange potrebbe aver
insegnato al proprio figlio a non piangere oppure, semplicemente, potrebbe
non essersi mai fatto vedere piangere e ciò non lo renderebbe un padre
peggiore o migliore di tanti altri). La cattiva educazione è solo un insieme
di comportamenti o insegnamenti che ci vengono tramandati da chi ci
vuole bene e che noi, a nostra volta, tramandiamo a chi amiamo. Tutto qui.
Nessuna colpa. Pensiamo a Giovanni. Suo padre, un uomo tutto d’un pezzo,
poco incline a manifestare la sua parte dolce (quella che potremmo definire
“parte femminile”), le sue emozioni, la sua sensibilità, lo ha sempre
rimproverato, ogni volta che, da bambino, scoppiava in pianto.
“I veri uomini non piangono”, diceva.
“Solo le femminucce piangono”, diceva ancora.
“Se piangi fai brutta figura, sii uomo”, concludeva.
Il piccolo Giovanni, ogni volta che le lacrime avevano la meglio, si sentiva
perciò rimproverare o, peggio ancora, notava sullo sguardo del padre
un’espressione di disapprovazione. Così, un po’ alla volta, spinto da quel
terribile istinto che accomuna tutti i bambini e che li porta a compiacere
sempre e comunque i genitori per essere accettati, ha smesso.
Si è fatto forza, da “vero uomo”, e ha smesso. Un po’ alla volta, sforzandosi
molto, controllandosi, dominandosi. Si è vergognato di se stesso, di quella

!103 !103
che credeva essere una debolezza che solo le “femminucce” possono
permettersi.
Già, perché se una bambina piange, è tutto normale. È una bambina, ergo
(secondo il comune sentire) debole, ergo le è consentito il pianto. Se
piange un bambino, invece, la cosa non va bene, perché il bambino non può
essere debole e non può, di conseguenza, lasciarsi andare al pianto. La cosa
è aberrante, se solo pensiamo a quanto abbiamo detto prima a proposito
dei Polmoni. Vi ricordate? Il sentimento collegato ai Polmoni è la tristezza e
l’emozione necessaria per esprimere questo sentimento è il pianto. Orbene,
non è forse vero che sia i maschi sia le femmine hanno i Polmoni, due a
testa? Non è forse vero che funzionano tutti alla stessa maniera? Non sono
composti dagli stessi tessuti, non hanno tutti le medesime funzioni? E
allora, perché i Polmoni di una donna possono sfogarsi con il pianto ed i
Polmoni di un uomo, invece, no?
La stessa cosa, del resto, accade alle donne per quanto riguarda
l’aggressività del Fegato. Se un uomo urla e si impone, nessuno batte ciglio.
Se una donna urla o sbatte una porta, ecco che tutti la guardano come se
fosse un alieno. Eppure, il suo Fegato non è forse uguale a quello di un
uomo? Non ha, forse, le stesse funzioni e gli stessi bisogni?
Tornando al nostro Giovanni, gli è stato insegnato (a lui come a chissà
quanti altri) che i veri uomini non piangono, che gli uomini devono essere
forti, darsi un contegno, non lasciarsi andare a debolezze tipicamente
femminili.
Io, invece, vado controcorrente e vi dico che un uomo che piange dimostra
molta più forza, molto più coraggio, molta più mascolinità di un uomo che
non piange e che si trattiene. Già, perché un uomo che piange, soprattutto
se lo fa davanti ad altre persone, dimostra di avere sufficiente stima di se
stesso, in quanto uomo, da potersi permettere quel tipo di sfogo. Non ha
bisogno di trattenersi per sentirsi un vero uomo e il pianto non lo fa di certo
sentire meno maschile, meno forte. Per questo, un uomo che piange
quando è triste è sessualmente (non genitalmente) più equilibrato di un
uomo che non piange, è più in armonia con la sua parte femminile, che fa
parte di lui (anche a livello biologico) e che sarebbe stupido e dannoso
fingere di non avere.
Non deve dimostrare di essere forte, perché lo è.

!104 !104
Non deve vergognarsi della sua dolcezza, perché riesce ad essere dolce pur
preservando intatta la sua parte maschile. Forse, avrà anche meno bisogno
di fumare, ma questo è un altro discorso.

Tristezza non è solo piangere, è anche sentirsi soli, poco amati, non
considerati, non compresi. Ricordiamo che noi siamo un po’ parte maschile
e un po’ parte femminile e che, per stare bene e vivere la nostra vita in
armonia, abbiamo necessariamente bisogno dell’altro, della componente
sessuale che ci manca e che ci serve per essere completi. Anche perché noi
ci conosciamo solo in relazione al rapporto con l’altro sesso. Lucia, per
questo, è triste. La sua parte femminile non trova nessun riscontro, nessuna
gratificazione, nessun parametro per valutare se “va bene” o se “non va
bene”.
Mi spiego meglio.
Come può fare Lucia a sapere di essere “bella” e a sentirsi “bella” e
desiderata (che è una condizione dell’anima che prescinde dall’essere
davvero “bella”) se suo marito non glielo dice? Come fa a sapere se il suo
nuovo taglio di capelli le dona, se l’uomo che le vive accanto non si accorge
nemmeno del cambiamento? Quello che le possono dire altre persone
conta assai poco: Lucia ha scelto un uomo come compagno e padre dei
suoi figli ed è da lui che avrebbe bisogno di sentire una parola dolce, un
complimento, un segno di approvazione. Suo marito, invece, non la gratifica
sessualmente, cioè non la fa sentire orgogliosa del fatto di essere una
donna, quel particolare tipo di donna che lei è, unica e diversa da tutte le
altre, nel male e nel bene. Certo, è pur vero che ogni persona dovrebbe
trovare in se stessa la propria stima e la propria gratificazione, ma vi ripeto
che il rapporto con l’altro è fondamentale. Del resto, l’Uomo è stato creato
per relazionarsi con i suoi simili e per avere completamento con i suoi simili
dell’altro sesso, altrimenti saremmo tutti senza occhi, senza naso, senza
orecchie, senza mani, senza pelle. Per di più, ricordiamoci che la stima in noi
stessi, dal punto di vista sessuale, ci deve essere insegnata e trasmessa fin
da piccoli, non la troviamo per la strada o in farmacia. Per questo, alcune
persone, nel leggere la storia di Lucia, scuoteranno la testa e penseranno
“io non lo farei mai, io non lo sopporterei mai, io non mi farei trattare così,
io lo manderei al diavolo etc. etc.”.

!105 !105
Non tutti siamo uguali. Ognuno di noi ha un proprio bagaglio di energia e di
esperienze educative che gli permette di affrontare situazioni simili in modi
molto diversi. Ne parleremo in maniera più approfondita nelle pagine che
seguono, perciò per il momento vi chiedo solo di astenervi dal giudizio
affrettato su un comportamento che voi siete sicuri che non sopportereste.
Buon per voi.
Così, ecco che Lucia rincorre tutti i giorni un ideale di donna che non potrà
mai raggiungere, perché il problema non è suo, ma di suo marito. Potrà
cambiare acconciatura anche una volta al giorno, potrà tingersi i capelli di
giallo, di verde o di blu e, comunque, non otterrà quello di cui ha bisogno,
vale a dire un segnale qualsiasi da parte dell’uomo che ama. Un segnale
anche brutto, anche una critica al nuovo look, purché lui si accorga di lei.
Invece, giorno dopo giorno, non cambia nulla e Lucia continua a vivere nella
sua tristezza, nella sua solitudine. Stiamo ancora lavorando, Lucia ed io, per
restituirle quell’orgoglio di essere donna che nessun uomo, a partire dal
primo di tutti i suoi uomini, suo padre, le ha mai fatto provare. Forse,
quando avremo finito con il lavoro che stiamo facendo insieme, non le
servirà rifarsi mille volte l’acconciatura o escogitare chissà quale ricetta
esotica per sentirsi valida come donna. Suo marito resterà quello che è, non
cambierà. Sarà lei a trovare il suo equilibrio e le sue sicurezze, così da avere
abbastanza forza ed energia per piacersi comunque.

Quanto deve correre, ancora, Nicola, per dimostrare a se stesso di essere un


uomo? Quante donne ancora dovranno attraversare la sua strada prima che
egli si renda conto che dietro tutto il suo apparire “maschio” si cela, invece,
una profonda crisi di identità e di ruoli, che gli impedisce di tranquillizzarsi,
di stabilizzarsi e di trovare serenità sul piano affettivo e sentimentale?
L’imperativo, per Nicola, è il dover dimostrare.
Dover dimostrare di essere un uomo vero, dover dimostrare di essere un
duro, di avere le donne in pugno, di essere un maschio così come
l’immaginario collettivo di certa parte della cultura occidentale prevede. Per
noi occidentali, infatti (e non voglio fare di tutta l’erba un fascio, per carità),
il ragazzo che, sprezzante della sensibilità femminile, fa strage di cuori e
miete vittime è visto, se non con occhi pieni di apprezzamento, se non altro
con un certo compiacimento.

!106 !106
Ricordo mio padre, quando gli raccontavo delle mie conquiste da
adolescente, che mi sorrideva e mi assestava una sonora pacca sulla spalla,
che esprimeva tutto il suo orgoglio e tutta la sua soddisfazione per le
“imprese” del figlio maschio. Come cambiava espressione, invece, se a
raccontare le sue conquiste era mia sorella!
Basta spostarsi un po’, per esempio andare in Giappone, per scoprire che
questo mito dell’uomo duro e insensibile, che non piange e che non si lascia
intenerire, non è assolutamente un mito universale. Anzi. L’uomo che
piange e che prova la commozione tipicamente “femminile”, per altre
culture, è degno di ammirazione, in quanto in lui convivono i due aspetti
inscindibili della sessualità, la parte Yin e la parte Yang, il maschile ed il
femminile, il chiaro e lo scuro, il duro ed il morbido. Un Uomo che vive in
armonia con la sua parte femminile troverà una compagna con la quale
completarsi. Un Uomo come Nicola, invece, che non vive questa armonia
con la sua parte femminile, avrà sempre un rapporto conflittuale con le
rappresentanti dell’altro sesso e difficilmente riuscirà ad accettare che una
donna entri in maniera stabile nella sua vita, proprio a causa del conflitto
tra la parte Yin e la parte Yang.
È solo una questione, come si vede, di educazione e di cultura.
Nicola, quindi, è il prototipo perfetto dell’uomo che “non deve chiedere
mai”, eppure quanta fatica gli costa, anche se lui non se accorge, portare
quella maschera, vestire quei panni. Il suo essere vive uno stato di
eccitazione costante e continua, perché non può mai permettersi di
rilassarsi e di abbassare la guardia. Per questo, fuma come un turco. Ha
bisogno in qualche modo di rilassarsi, di calmarsi. La sigaretta è
estremamente terapeutica, in questi casi. Da un lato, il movimento
respiratorio che si concretizza in una boccata di sigaretta serve a rilassare i
muscoli pelvici, zona del corpo entro la quale sono collocate le ghiandole
sessuali e le ghiandole surrenali, perennemente sollecitate per garantire un
livello costante di adrenalina in corpo, la quale impedisce, di fatto, il
rilassamento. D’altra parte, la nicotina viene metabolizzata dall’organismo
fino a divenire zucchero e non devo essere io a raccontarvi quanto sia
calmante e rilassante lo zucchero.
Non mi sto lanciando in una campagna promozionale a favore del fumo, per
carità. Ho fatto questa piccola digressione solo per ricordarvi, come ho

!107 !107
fatto già a proposito della storia di Lucia, che prima di giudicare un
qualsiasi comportamento di un’altra persona, bisogna fermarsi un istante a
valutare lo stato psico-fisico di questa persona, quali sono le sue
problematiche, quali i suoi bisogni.
Per Nicola, di certo, fumare non è un vizio. Forse lo è stato all’inizio, ma ora
non più. Fumare, per Nicola, è una valvola di sfogo, uno sfiato della sua
personale pentola a pressione, un sistema per allentare la tensione, la
morsa del “dover essere”, del “dover apparire”.
Ricordate che gli eccessi, sia nel “troppo” che nel “troppo poco”, sono
sempre indice di qualche cosa che non sta funzionando, di qualche energia
che non è in equilibrio, di qualche armonia che non trova la sua stabilità.

Ed ora, ecco le nostre regole.

RISPETTA IL TUO COLON: SE TI SENTI SOLO, LAMENTATI.


RISPETTA I TUOI POLMONI: SE SEI TRISTE, PIANGI.

!108 !108
QUARTO TASSELLO

CERCA IN TE STESSO
LA CONCILIAZIONE FRA
LA TUA PARTE MASCHILE E LA TUA PARTE FEMMINILE.
SII ORGOGLIOSO DEL TUO SESSO
RISPETTA IL SESSO OPPOSTO
NON VOLER ESSERE QUELLO CHE NON SEI
E CHE NON POTRAI MAI ESSERE.
SII CONSAPEVOLE DELLE TUE DOTI E DEI TUOI LIMITI
E NON INVIDIARE CHI HA ALTRE DOTI
NE’ MIGLIORI NE’PEGGIORI,
SOLO DIVERSE.
NON COSTRINGERTI AD ESSERE FORTE AD OGNI COSTO:
LA TRISTEZZA NON VA SCONFITTA,
VA SFOGATA CON UN PIANTO.
LAMENTATI DEI TUOI BISOGNI
E DELLE TUE DEBOLEZZE.
CHIEDI UNA CAREZZA SE NE SENTI L’URGENZA,
OFFRI UNA CAREZZA SE TI VIENE CHIESTA.
SII COME L’ARIA,
LIBERO DI RESPIRARE E RESPIRARTI,
SOFFIO A FIOR DI PELLE,
DIALOGO SENZA PAROLE
CON TUTTI GLI ABITANTI DEL MONDO.

!109 !109
ESERCIZI

SCRIVI IL NOME DI DIECI PERSONE CHE SENTI DISTANTI DA TE E CHE


VORRESTI PIU’ VICINE.

PENSA A PERSONE CHE NON TI CAPISCONO PER QUELLO CHE SEI O


CHE TI CHIEDONO COSE CHE TU NON PUOI DARE, CHE PRETENDONO
CHE TU ASSUMA CARATTERISTICHE CHE NON POSSIEDI.

PENSA A PERSONE CHE TI LASCIANO SOLO O SOLA, QUANDO AVRESTI


BISOGNO DI COMPAGNIA.

PENSA A PERSONE CHE NON TI FANNO SENTIRE ORGOGLIOSO O


ORGOGLIOSA PER QUELLO CHE SEI.

PENSA A PERSONE CHE DERIDONO LA TUA SENSIBILITA’ O CHE


MANCANO DI ATTENZIONE NEI TUOI CONFRONTI, SENZA MAI
APPREZZARE QUELLO CHE FAI O SENZA MAI ELOGIARE LA TUA
PERSONA.

VISUALIZZA I NOMI CHE HAI SEGNATO E IMMAGINA DI RICEVERE DA


QUESTE PERSONE QUELLO DI CUI HAI BISOGNO. IMMAGINA TE STESSO
MENTRE PIANGI E IMMAGINA TE STESSO CHE, MENTRE PIANGI, RICEVI
ATTENZIONE E COMPRENSIONE DALLA PERSONA CHE SENTI PIU’
LONTANA.

!110 !110
ELENCO:

1. _________________________________________

2. _________________________________________

3. _________________________________________

4. _________________________________________

5. _________________________________________

6. _________________________________________

7. _________________________________________

8. _________________________________________

9. _________________________________________

10. ________________________________________

!111 !111
PARENTESI

Più di una volta, fino ad ora, ho parlato di questo concetto della “giusta via
di mezzo” e del fatto che gli eccessi, sia come comportamenti (arrabbiarsi
troppo o non arrabbiarsi mai, per esempio), sia come gusti (mangiare solo
dolci o non mangiarne mai, per esempio), sia come predilezioni (vestirsi
sempre di nero o detestare quel colore, per esempio), sono sempre
sintomatici di qualche cosa che, dal punto di vista energetico, non sta
girando per il verso giusto. Niente di grave, si tratta solo di piccoli segnali,
ma è importante sapere e comprendere che sono segnali con un significato
ben preciso. Non capitano a caso, per farla breve. Per questi motivi, l’ideale
sarebbe, appunto, la giusta via di mezzo. Non un ideale assoluto, nel senso
di “cosa buona” o di “perfezione”: una persona che si veste solo di nero non
è meno perfetta di un’altra persona che si veste con tutti i colori
dell’arcobaleno, così come una persona che predilige il sapore dolce non è
né migliore né peggiore di una persona che mangia un po’ di tutto con
eguale gusto. Ideale nel senso di equilibrio armonico al quale tendere, non
tanto per quello che l’equilibrio vale in sé e per sé, ma per quello che
l’equilibrio sottintende, esprime, significa.
Cioè, tornando all’esempio della scelta dei colori, avere nel proprio
abbigliamento un’ampia gamma di colori piuttosto che vestiti solo neri non
è positivo in sé e per sé, ma è positivo per quello che rappresenta, vale a
dire un equilibrio in tutti i cinque elementi, in tutti gli aspetti della propria
personalità.

A proposito della giusta via di mezzo, si racconta che il giovane principe


Siddartha, dopo aver vissuto la sua infanzia in mezzo alle ricchezze del
palazzo reale del re suo padre, decise di dedicarsi ad una vita di privazioni
e di stenti, al limite della sopravvivenza, vivendo da solo in un bosco,
cibandosi solo di pochi semi e poche radici, per trovare la sua
“illuminazione” e chiarire così i dilemmi che gli straziavano l’anima ed il
Cuore.
Nonostante i suoi sforzi e la tenacia con la quale conduceva la sua vita
ascetica, tuttavia, il principe Siddartha non riusciva a trovare quello che
stava cercando. Si privava di tutto, eppure, nella sua estrema sofferenza,

!112 !112
non trovava la “via”. Allora, proseguiva nel suo viaggio di sofferenza,
togliendosi sempre di più, giorno dopo giorno, per vedere fino a che punto
sarebbe arrivato, prima di trovare quel che stava cercando.
Si racconta che un bel giorno, dopo anni trascorsi nel bosco a patire il
freddo, la fame, la febbre e le intemperie, il giovane Siddartha incontrò un
pescatore che, con la sua barca, transitava proprio sul fiume che
attraversava il bosco nel quale viveva il principe, cercando di catturare
qualche pesce.
Siddartha osservò il pescatore e vide che il suo bottino era davvero
consistente. Non faceva in tempo a gettare la lenza che subito un pesce
abboccava all’amo. Colpito dalla tecnica del pescatore, gli chiese
spiegazioni circa l’arte del pescare.
“E’ un’arte difficile”, gli disse quello.
“Se il filo che lega l’amo alla canna da pesca non è abbastanza teso”,
proseguì il pescatore, “i pesci mangeranno l’esca e scapperanno via”.
“Se, invece, il filo è troppo teso, i pesci lo romperanno ed io perderò tutto”,
aggiunse l’uomo.
“La soluzione migliore è avere un filo né troppo teso, né troppo morbido. La
soluzione migliore è la giusta via di mezzo”.
Siddartha, a quel punto, mangiò il riso che il pescatore gli aveva offerto e
solo in quel preciso momento comprese e trovò la sua illuminazione.
Questo aneddoto (che chiunque abbia letto “Siddartha” di Herman Hesse
avrà facilmente riconosciuto) l’ho scritto qui, in questo contesto, aprendo
una parentesi, solo perché mi è venuto in mente ora e perché ho sentito
l’esigenza di gettare ancora un po’ di luce su questo concetto del quale più
volte ho parlato.
Avrei potuto trascriverlo in qualsiasi altra parte del libro, all’interno di
qualsiasi altro capitolo, perché la verità in esso racchiusa vale sempre, per
tutti, per tutte le situazioni.
Vale per la Rabbia, per la Gioia, per la Riflessione, per la Tristezza e per la
Paura.
Vale per voi che vi recate tutti i giorni al lavoro e per voi che state a casa ad
accudire i figli.
Vale per il potente uomo d’affari e per il fornaio che, giorno dopo giorno, vi
assicura il pane sulla tavola.

!113 !113
È un aneddoto, una storiella, una fiaba. Non cercate fra le righe significati
nascosti o particolarmente profondi. Il significato è proprio davanti ai vostri
occhi, se avrete la bontà di fermarvi un istante a guardare.
Mi auguro che ne facciate tesoro, così come ne ho fatto tesoro io.

!114 !114
IL NERO, LA PAURA

Tutti pensano che Ernesto sia un uomo senza paura. In effetti, questa è
proprio l’impressione che lui dà di sé. Non teme il pericolo, si sfida di
continuo, pratica molti sport estremi e in ciascuna disciplina è alla perenne
ricerca di un miglioramento. Quando fa surf, vuole sempre l’onda più alta.
Quando fa bungee jumping, vuole salire sempre più in alto. Quando si
lancia con il deltaplano, non è ancora atterrato che già la sua mente è
proiettata al prossimo balzo, da una vetta più alta, in condizioni più difficili.
Persino quando fa della banalissima e semplice corsa, il suo obiettivo è
spingersi sempre più oltre, sempre più un passo avanti: migliorare il suo
tempo, abbassare la frequenza cardiaca, percorrere un chilometro in più. A
tutti quelli (me compreso!) che gli chiedono se non abbia mai paura,
quando compie le sue pericolose peripezie sul mare o nel cielo, lui risponde
di no, che la paura non solo non la prova, ma non si ricorda nemmeno di
averla mai provata. Ernesto è venuto da me per un brutto mal di schiena,
che lo tormenta e gli impedisce di svolgere al meglio tutte le sue attività. È
ansioso che io glielo faccia passare, per potersi ributtare a capofitto nel
turbinio delle sue avventure. Io credo che il suo corpo lo stia, per così dire,
rallentando, lo stia costringendo ad abbassare un po’ il ritmo, per sua
fortuna. Tuttavia, non credo che metterò Ernesto a parte di questo piccolo
segreto, non per il momento, almeno. Non credo che gli farebbe piacere
sentirsi dire che sta tirando un po’ troppo la corda e che gli farebbe bene
recuperare il perduto senso del limite. Fraintenderebbe le mie parole e
penserebbe che cerchi di incentivarlo ad essere pauroso e debole. Non è
così, naturalmente, ma lascerò che a questo pensiero arrivi da solo, quando
sarà il momento opportuno.

Nicoletta è il prototipo della lavoratrice perfetta, quella che qualsiasi datore


di lavoro farebbe carte false per avere alle proprie dipendenze. Arriva
sempre sul posto di lavoro in anticipo ed è sempre l’ultima ad andarsene a
casa. Se non ha terminato quello che sta facendo, non smette di lavorare, a
volte non trova nemmeno il tempo per un panino in pausa pranzo. Il suo
senso del dovere è smisurato. I capi la adorano, su di lei possono contare
sempre.

!115 !115
Nicoletta lavora nella stessa azienda da ormai dodici anni, e, in tutto questo
tempo, ha chiesto solo una volta un permesso per motivi personali, quando
è mancata sua madre. Per il resto, mai una richiesta, mai un’assenza
ingiustificata, mai una malattia. O meglio, è stata malata più di una volta,
Nicoletta, ma mai abbastanza per starsene a casa sotto le coperte senza far
nulla. Anzi, stare a letto a far nulla la rende nervosa e spesso le provoca
fastidiosi mal di testa. Nella sua vita non c’è un solo istante di riposo o di
ozio: persino nei suoi hobbies è maniacale. Non salta mai un appuntamento,
non si dimentica mai una lezione, è molto ligia nello svolgere tutte le sue
mansioni. La sola idea di saltare una lezione per dedicarsi a qualche svago
del tipo andare a fare shopping la fa inorridire.
Il suo principale, una volta, le ha detto che per fermarla bisognerebbe
spararle nelle ginocchia. Lei ha riso e ha detto che, probabilmente, è
proprio così.

Elisa, invece, vive nel terrore di sbagliare e di commettere qualche passo


falso. Ha sempre paura di fare una brutta figura, è angosciata
perennemente da quello che gli altri potrebbero pensare di lei. Ogni
qualvolta fa qualcosa, che si tratti di svolgere un compito sul lavoro
piuttosto che di preparare una cena per gli ospiti, è convinta di non averla
fatta abbastanza bene e che di certo avrebbe potuto farla meglio. Di se
stessa e del suo operato, Elisa vede solo gli aspetti negativi, anche quando
non ce ne sono. È inconcepibile, per lei, ammettere di essere stata brava a
fare qualche cosa. Non lo fa per finta modestia o perché le piace sentirsi
fare i complimenti, credetemi. È davvero convinta che tutto quello che fa
non lo faccia bene e che ogni suo gesto sia sbagliato o, almeno, sarebbe
potuto essere diverso, migliore.
Non si piace, Elisa, e per questo è certa di non piacere nemmeno agli altri.
Se c’è una discussione, lei per prima pensa di essere dalla parte del torto.
Se c’è un problema che coinvolge anche altre persone, la prima a mettersi
in discussione e a dubitare di quello che ha fatto è proprio lei.
Se qualcuno le da torto, lei si convince di avere effettivamente torto.
Se, per sbadataggine, Elisa urta lo spigolo di un tavolo, chiede scusa al
tavolo.

!116 !116
Come dico sempre ai miei clienti, e ad Ernesto in particolare, la Paura è di
certo un sentimento molto importante, perché ci dà (o ci dovrebbe dare) il
senso del limite, del nostro personalissimo limite.
Non intendiamo il termine “Paura” con le restrizioni tipiche del nostro
linguaggio e della nostra cultura, che si ferma ad un significato preciso e
determinato. Non stiamo parlando della paura del buio o dell’uomo nero,
ma di qualcosa di più complesso e profondo, che ha a che fare con il nostro
istinto atavico di sopravvivenza. Lo stesso istinto che, migliaia di anni fa,
faceva arretrare l’uomo primitivo di fronte ad un animale che, per istinto,
sapeva di non poter catturare o uccidere. La Paura, in questo senso più
ampio, è un po’ il nostro radar, una sorta di sensore che trascende la Realtà
evidente e che ci fa vibrare alcune corde primordiali, per permetterci di
schivare i pericoli o le situazioni che potrebbero nuocere alla nostra
incolumità.
La Paura, insomma, ci indica istintivamente (o dovrebbe indicarci) la linea di
confine oltre la quale non dovremmo spingerci, per non rischiare di
compromettere la nostra integrità psico-fisica, la nostra riserva energetica.
Questa linea di confine può essere relativa ad un limite di velocità che
sarebbe meglio non oltrepassare; ad uno sport che, per sicurezza, sarebbe
meglio non praticare; ad un carico di lavoro che sarebbe meglio non
svolgere, perché troppo pesante in relazione al nostro stato di salute fisica
e/o mentale. Anche perché questa linea di confine, se non vista o se
valutata senza la Paura, sarà sempre spostata un po’ più in avanti (un’onda
sempre più alta, un salto sempre più rischioso e così via), fino ad un punto
di non ritorno. Con Ernesto è così: raggiunto un traguardo, superato un
limite, riprende la sua corsa alla ricerca di altri traguardi, di altri limiti da
oltrepassare.
“Ho bisogno di adrenalina”, mi dice.
“L’adrenalina mi fa stare bene”.
E io gli credo. Del resto, l’adrenalina non è un ormone prodotto dalle
ghiandole surrenali? Il problema è che non le si può spremere ad oltranza e
sperare che diano sempre buoni frutti: prima o poi, c’è da aspettarsi che
restino “a secco”, per così dire.

!117 !117
“Non si può rimanere
con la tazza all’orlo colmata.
La lama battuta e affilata
a lungo non regge e declina.
La stanza piena d’oro e di gemme
nessuno protegge per sempre.
[…]
Ad opera fatta e compiuta
ritirarsi è la legge del cielo.”
Lao-tzu

In buona sostanza, la Paura serve a farci restare vivi. Lao-Tzu ci dice con
chiarezza che se ci portiamo al limite massimo delle nostre possibilità, non
potremo restare a lungo indenni in tale condizione.
Senza la Paura, non pigeremmo il piede sul pedale del freno quando il
semaforo è rosso, non rallenteremmo la nostra andatura in presenza di
nebbia o temporali, ci lanceremmo da un ponte attaccati ad una corda di
nylon, fiduciosi di potercela fare. Senza la Paura, non avremmo mai la
percezione di quelli che sono i nostri limiti e, di conseguenza, vivremmo
sempre un po’ “oltre” rispetto alle nostre possibilità, alle nostre riserve di
energia. Come dico sempre ai miei clienti, facendo loro un esempio assai
poco “cinese” ma molto comprensibile, le persone che non vivono in
armonia con la loro Paura, che cioè non si rendono conto di dove possono
arrivare e di quando è ora di rallentare o fermarsi, è come se ogni giorno
utilizzassero al massimo il loro telefono cellulare, non facendolo poi caricare
abbastanza. Per un po’ di tempo il telefono non darà problemi, perché la
sua riserva di energia gli permette comunque di funzionare, ma prima o poi
la piccola carica non basterà più, ed il telefono sarà inutilizzabile, magari
proprio in un’occasione importante e di emergenza. Se ci pensate, è un
luogo comune molto diffuso, che il telefono non funzioni proprio quando ce
n’è disperato bisogno: con il nostro corpo corriamo lo stesso rischio.

Ricordiamo che la Paura è il sentimento collegato ai Reni, che sono la sede


della nostra energia di riserva, la nostra scorta di batterie per le situazioni di
emergenza. Converrete con me che sarebbe triste rendersi conto di non

!118 !118
avere più benzina nel motore proprio quando servirebbe: una malattia, un
lutto da superare, un esame andato male, un licenziamento. Vi siete mai
chiesti come mai persone diverse reagiscono in modi così differenti rispetto
a situazioni analoghe? Perché, ad esempio, il lutto di una persona cara
provoca in alcune persone stati depressivi che durano mesi ed in altre
persone, invece, provoca solo il legittimo e naturale dolore, che si esaurisce
con il passare del tempo? Ancora, perché una persona licenziata, dopo un
momento di sconforto, si rimbocca le maniche e si cerca un altro posto di
lavoro e un’altra, invece, si suicida inghiottendo una scatola di sonniferi?
Che cosa è che fa la differenza?
La risposta è: l’energia di riserva. Se se ne è fatto un utilizzo parsimonioso,
ne troveremo dentro di noi al momento del bisogno, altrimenti ci
renderemo conto di quanto abbiamo sbagliato a sprecarla giorno dopo
giorno.

La Paura si manifesta in molti modi differenti e, spesso, è celata in persone


che, a prima vista, sembrerebbero proprio non averne. Lo abbiamo già
visto: chi direbbe mai che un tipo come Ernesto è pieno di paure? Nessuno.
Parimenti, pochi, forse, potrebbero pensare a Nicoletta come a una donna
piena di insicurezza, con un’autostima bassa ed il terrore di non essere
apprezzata e accettata, una donna inconsciamente spaventata dall’idea di
non essere abbastanza brava, abbastanza all’altezza.
Nel caso di Nicoletta, le sue insicurezze non vengono palesate, non
emergono dal suo intimo profondo così come sono, ma sotto forma di
eccessivo senso del dovere, di dedizione assoluta, di forza inesauribile.
Nicoletta ha talmente poca stima di se stessa (anche se non lo
ammetterebbe nemmeno sotto tortura) che il suo comportamento deve
sempre essere irreprensibile, per non dare adito a nessun tipo di
valutazione negativa, almeno dal suo punto di vista. Pertanto, Nicoletta non
molla mai la presa, anche se ciò significa andare oltre il normale “dovere”.
Una persona con una buona stima di sé, viceversa, sa perfettamente
quando ha compiuto il proprio dovere e, anche se tale dovere non
corrisponde alle aspettative degli altri, non se ne cura: è in pace con se
stessa, ha fatto ciò che doveva fare, ha dato il massimo di quello che poteva
dare, e ciò è sufficiente. Quello che potranno pensare gli altri è una

!119 !119
questione che non è nemmeno considerata. La persona che ha una buona
stima di se stessa agisce per se stessa, non per il plauso degli altri. La
gratificazione la trova in sé, non nei complimenti di chi sta intorno. Quando
una persona con una buona stima di sé ha fatto ciò che riteneva essere il
proprio dovere, è in armonia con la propria anima. Una persona con una
scarsa autostima, invece, non cesserà di domandarsi se non avrebbe potuto
fare di più, o fare meglio, e se gli altri saranno contenti del suo operato.
Nicoletta ha costruito un’immagine di sé che rispecchia tutto ciò che lei
vorrebbe essere, ma che non riesce a “sentirsi”: una donna sicura, vincente,
determinata, brillante, infaticabile. Per tenere fede a questo ruolo che si è
scritta con le sue mani, la sua vita è una corsa continua, senza pause, senza
soste. Il suo corpo, di tanto in tanto, prova a mandarle qualche segnale per
indurla a rallentare un po’: una febbre, un mal di schiena, un blocco al collo.
Lei, invece, non se ne cura e prosegue dritta per la sua strada, ignorando il
dolore e continuando a correre.
La verità, invece, è che quando uno è stanco, dovrebbe fermarsi, né più né
meno. Ci sarebbero molti meno mal di schiena, se ci si comportasse sempre
come suggerisce l’istinto.
Non vi avevo detto che la Felicità ce l’abbiamo in tasca?
È proprio così. Basterebbe ascoltarsi un po’ di più, fermarsi qualche volta a
rifiatare e chissà quanti problemi in meno avremmo!
Essere coscienziosi ed avere senso del dovere è normale e giusto, ma
ricordatevi che gli eccessi sono sempre indice di qualche cosa che non va.
Se il senso del dovere è troppo, ciò significa che per la persona afflitta da
questa disarmonia, la vita non riserva piaceri: non c’è posto per questi,
poiché tutto lo spazio disponibile è occupato da ciò che si deve fare. E non
bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché se doveste chiedere a
Nicoletta (come ho fatto io) se nella sua vita ci sia spazio anche per i
piaceri, lei vi risponderebbe (come ha risposto a me) che la sua vita è piena
di piaceri: pratica yoga due pomeriggi alla settimana, una sera la settimana
si vede con le amiche, un giorno alla settimana frequenta un corso di
decoupage. Il guaio è che Nicoletta ha trasposto il suo modo di essere
anche in queste attività, di per sé piacevoli e fonti di svago, ma trasformate
da lei in doveri da assolvere. Che rilassamento ci può essere a frequentare
un corso di decoupage se la sera, benché stravolta dalla fatica, Nicoletta

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non va a dormire se non ha finito il suo “compito” della settimana o se l’idea
di saltare una lezione, pur colpita dalla febbre, le mette addosso ansia e
disagio? Ma non dovrebbe essere uno svago, un divertimento? A casa mia,
un divertimento è una cosa che si fa se se ne ha voglia, come e quando lo si
desidera. Altrimenti, non è uno svago, un hobby, ma un lavoro, un compito.
Provate anche voi a farvi un piccolo esame di coscienza. Quante volte, nelle
attività che considerate svaghi o hobbies, mettete il “dovere” invece che il
“piacere”? Ogni volta che succede, state consumando un po’ della vostra
preziosa energia di riserva, e questo è un guaio, perché quando si consuma
l’energia di riserva, è molto difficile ripristinare le scorte.

Parlare di Paura, relativamente ad una donna come Elisa, è molto facile,


molto più semplice che farlo a proposito di Ernesto e Nicoletta. Eppure, lei
ha gli stessi problemi delle altre due persone delle quali abbiamo
raccontato la breve storia. Pertanto, non resta molto da dire. Ho riferito la
storia di Elisa solo per rendere ancora più palese quanto ho affermato in
precedenza e cioè che il troppo ed il troppo poco indicano comunque una
disarmonia in un determinato contesto, o ambiente o, per dirla con il
linguaggio dei medici cinesi, in una determinata Rete di organi. Questa
disarmonia può essere Yin ed esprimersi con un vuoto, una carenza, oppure
essere Yang, ed esprimersi con un pieno, un eccesso. Non è importante. La
cosa che conta è di non fermarsi alle apparenze, non giudicare una persona
senza paure solo perché, a prima vista, così sembrerebbe. Dire che Elisa è
piena di paure è facile: lei per prima non si piace, si mette di continuo in
discussione, è perennemente insoddisfatta di quello che fa e ritiene sempre
di sbagliare. La sua condizione è talmente radicata che a nulla valgono gli
incoraggiamenti e gli apprezzamenti sinceri di chi le sta intorno e le vuole
bene: la sua insicurezza ha radici molto profonda.
La considerazione importante da fare è che, ad una donna come Elisa, non
bisognerebbe mai e poi mai consigliare di vincere le proprie insicurezze e le
proprie paure, perché probabilmente è proprio questa la causa di tutti i suoi
problemi.
Per una questione di luoghi comuni e di educazione (e ci risiamo!),
purtroppo, ci viene insegnato che le paure bisogna vincerle. Bisogna
dominarle. Bisogna sconfiggerle. Dobbiamo essere forti e avere la meglio.

!121 !121
Le Paure non vanno affrontate, vanno accettate e comprese.

Ricordate la mia esperienza che vi ho raccontato qualche pagina fa? Ho


visto con i miei occhi quella mamma che spingeva a forza il suo bambino in
ascensore, proprio fuori della porta del mio studio, mentre il bambino
urlava come un disperato e si dimenava, terrorizzato all’idea di entrare in
quell’angusto spazio. Le ho consigliato, come vi ho detto, con gentilezza, di
utilizzare le scale, ma lei mi ha risposto in malo modo, con tutte le
conseguenze del caso (e delle quali non posso far altro che rallegrarmi!).

Pensate davvero che sia possibile, in questo modo, con violenza, far passare
una paura? A mio modesto avviso, si tratta solo di una violenza bella e
buona.
E se il bambino ha paura del buio e vuole dormire con un po’ di luce?
Quanti genitori, convinti in buona fede di dover educare loro figlio, lo
costringono a stare nel suo lettino, gli occhi sbarrati e il collo madido di
sudore freddo (il freddo dei Reni), nel buio più totale?
In questo modo, credetemi, non si fanno passare le paure, ma si gettano i
semi per situazioni di disarmonie future che vedranno persone adulte
ammalarsi pur di non fermarsi, pur di non ammettere di essere stanche, pur
di non dimostrare di avere “paura”.

Ai miei clienti dico spesso che, secondo me, una delle emozioni più belle è
proprio la Paura, quando ci si può permettere di provarla.
Che cosa c’è di più rilassante che dire: “basta, io mi fermo qui”, con l’animo
tranquillo, senza preoccuparsi minimamente di quello che diranno o
penseranno gli altri?
Io stesso ho vissuto un periodo della mia adolescenza in cui facevo cose
che non avevo voglia di fare solo perché le facevano anche gli altri e avevo
vergogna a dire che a me facevano paura. Quante volte sono salito sulle
montagne russe, per non essere l’unico a restare a terra e fare così la figura
del codardo. Quante volte ho seguito la compagnia di amici, quando avrei
voluto magari tirarmi indietro, solo per paura di essere considerato meno
forte, meno coraggioso, meno bravo.

!122 !122
Ora, dopo anni di trattamenti, di studi e di riflessioni, non ho nessun
problema a dire che non ho voglia di salire sulle montagne russe. E, se mi
chiedono perché, rispondo con tutta onestà che me la faccio sotto dalla
paura. Sto a terra, guardo i miei amici che si divertono come matti, e
intanto mi fumo una sigaretta, rilassato per essere con i piedi per terra e
non in cima ad una montagna russa, a testa in giù, con lo stomaco in gola.
Sono terrorizzato dall’idea di andare dal dentista e non farei mai il pilota di
formula uno, perché in curva non riesco a tenere schiacciato l’acceleratore e
mi viene l’istinto di frenare. Lo ammetto: ho paura di andare a sbattere.
Sono uno codardo? Non credo proprio. Forse sì, in ogni caso io non mi
sento tale. Mi sento semplicemente uno “normale”, con le sue debolezze, i
suoi (tanti) talloni d’Achille.
Vi dirò di più: ritengo che ci voglia molto più coraggio, soprattutto per un
uomo, ad ammettere di aver paura di fare qualche cosa, piuttosto che fare
qualche cosa contro voglia, solo perché lo fanno gli altri. Un po’ come per il
pianto, perché Paura e Tristezza sono proprio i due sentimenti nei quali gli
uomini possono indulgere meno.
Ci vogliono molte più palle, se mi si passa l’espressione, a restare al proprio
posto, piuttosto che seguire la massa controvoglia.
Ricordatevi che la Paura serve a mantenerci in vita. Ogni volta che vincete
una paura, o la affrontate, o cercate di superarla, state mancando di
rispetto a voi stessi e al vostro istinto, che vi suggerisce che una certa cosa,
per voi, non va bene e che una certa cosa, voi, è meglio che non la facciate.
Ho sottolineato volutamente “per voi” e “voi” perché non esiste una regola
precisa al riguardo. Ognuno di noi ha i propri punti deboli e le proprie
peculiarità, pertanto ognuno di noi può avere delle paure che altri non
hanno. Non esiste una scala assoluta di cose che fanno paura, quindi è
necessario fare un piccolo esame di coscienza e chiedersi “ma ho proprio
voglia di fare questa cosa?”.
Io, ad esempio, non ho avuto nessun problema a farmi tatuare mezza
gamba, provando un dolore che stento a descrivere, in un intervento durato
cinque ore solo per fare il disegno e altre cinque ore per colorare il tutto. Al
tempo stesso, seduto sulla poltrona del dentista, imbottito di anestesia,
senza provare alcun male, una volta su tre perdo i sensi.

!123 !123
Mia sorella riesce a farsi trapanare un dente senza anestesia solo perché ha
il terrore degli aghi: io, invece, mi farei fare quattrocento punture, pur di
evitare il rumore del trapano che mi entra in bocca.
Il consiglio che vi dò, quindi, è semplicemente quello di ascoltarvi un po’ di
più e di stare molto attenti a quello che vi suggerisce l’istinto, perché il
vostro istinto è il vostro più prezioso alleato e vi consiglia solo quello che è
meglio per voi.

In conclusione, ecco le regole da imparare a memoria:

RISPETTA LA TUA VESCICA: SE NON CE LA FAI, RITIRATI.


RISPETTA I TUOI RENI: SE HAI PAURA, TREMA.

!124 !124
QUINTO TASSELLO

SII SICURO DI QUELLO CHE FAI,


CONVINCITI DI VALERE
SENZA ASPETTARE IL PLAUSO DEGLI ALTRI.
TROVA IN TE STESSO LA SICUREZZA
E NON CERCARLA NELLE PAROLE ALTRUI.
DORMI SERENO QUANDO SAI DI AVER DATO
QUELLO CHE POTEVI DARE,
NON CHIEDERE MAI A TE STESSO
PIU’ DI QUELLO CHE SEI IN GRADO DI DARE.
DI TANTO IN TANTO
FERMATI A RACCOGLIERE LE FORZE
E ACCETTA LA STANCHEZZA
COME PARTE INTEGRANTE DELLA TUA ENERGIA.
CORRI PER TE STESSO
E MAI PER GLI ALTRI.
NON AVERE TIMORE DI RITIRARTI
PERCHE’ NEL RITIRO NON C’E’ VERGOGNA,
MA CORAGGIO E STIMA DI SE’.
NON ESSERE RIGIDO CON TE STESSO E
SII FLESSIBILE COME L’ACQUA,
CHE NON MUTA LA SUA ESSENZA
PUR MUTANDO FORMA.
ADATTATI ALLA VITA,
NON ERGERTI CONTRO DI ESSA:
NON CORRERAI IL RISCHIO DI SPEZZARTI.

!125 !125
ESERCIZI

SCRIVI I NOMI DI DIECI PERSONE VERSO LE QUALI TI SENTI IN DIFETTO


E CHIEDITI SE TI SENTI IN DIFETTO PERCHE’LORO TI CHIEDONO COSE
CHE TU NON PUOI DARE O SE, PIUTTOSTO, NON SI TRATTA DI UN
PROBLEMA TUO: DARE PRIMA CHE ABBIANO CHIESTO, DARE PIU’ DI
QUELLO CHE CHIEDONO.

PENSA A PERSONE CHE HANNO NEI TUOI CONFRONTI PRETESE


ECCESSIVE E TROPPO RIGIDE, CHE TI CHIEDONO SEMPRE DI FARE
L’IMPOSSIBILE, DI DARE IL MASSIMO, DI DARE DI PIU’.

PENSA A QUELLE PERSONE DALLE QUALI TI PIACEREBBE TANTO


RICEVERE UN COMPLIMENTO DI STIMA, UNA PACCA SULLA SPALLA
COME GRATIFICAZIONE PER QUELLO CHE HAI FATTO.

PENSA A TUO PADRE E PROVA A RICORDARE SE TI E’ STATO VICINO


QUANDO AVEVI PAURA, SE TI HA SFIDATO A VINCERE LE TUE
INSICUREZZE O SE, INVECE, SI E’ SEDUTO ACCANTO A TE PER
TRANQUILLIZZARTI.

PENSA A TUTTI GLI SFORZI CHE FAI E CHIEDITI DAVVERO PER CHI LI
STAI FACENDO.

PENSA ALLA TUA VITA FATTA DI CORSE E DI FATICHE E CHIEDITI CHE


COSA STAI CERCANDO DI DIMOSTRARE E, SOPRATTUTTO, A CHI.

PENSA INTENSAMENTE ALLE PERSONE DI CUI HAI SCRITTO IL NOME ED


IMMAGINATI DAVANTI A LORO, IN PIEDI, FIERO, MENTRE AMMETTI DI
ESSERE STANCO, DI NON ESSERE PIU’ IN GRADO DI REGGERE IL RITMO,
DI AVER VOGLIA DI FERMARTI UN PO’.

!126 !126
ELENCO:

1. _________________________________________

2. _________________________________________

3. _________________________________________

4. _________________________________________

5. _________________________________________

6. _________________________________________

7. _________________________________________

8. _________________________________________

9. _________________________________________

10. ________________________________________

!127 !127
PARTE TERZA:
APRIRE GLI OCCHI

!128 !128
IL MATERASSO VECCHIO

Che non sia venuto in mente a nessuno che il cervello, la


centrale operativa del nostro organismo, possa essere
responsabile di tutte le malattie, è quantomeno strano,
nell’era informatica.
(Dott. R. Hamer, fondatore della Nuova Medicina)

Ne abbiamo dette, di cose, fino ad ora. È probabile che molti di voi le


abbiano sentite dire per la prima volta e che siano un po’ scettici, oppure
addirittura scioccati. Bene, ciò vuol dire che, quanto meno, sono riuscito a
farvi fermare un attimo, a farvi entrare in testa il tarlo del dubbio. E poi a
me piacciono le persone scettiche, perché quando tornano da me per un
secondo appuntamento, la mia soddisfazione è ancora più grande. Già,
perché una persona che crede a tutto la puoi abbindolare con un po’ di
coreografia e qualche incenso, ma una persona scettica la devi convincere,
non con le parole, ma con i fatti.

Ne abbiamo dette di cose, dicevo. Sostanzialmente, se dovessimo


riassumere il percorso fatto fino ad ora, potremmo sintetizzare dicendo che

la causa dei nostri problemi, dei nostri acciacchi, dei nostri malesseri, non
è da ricercare in agenti patogeni esterni, ma dentro di noi, nel nostro
modo di vivere, di essere noi stessi, di esprimere quello cha abbiamo
dentro.

!129 !129
Sembra così strano? Ricordatevi dell’esempio che vi ho proposto all’inizio,
quello dello studente che si emoziona e che comincia ad avere mal di
pancia e a sudare.
Ma andiamo un po’ avanti, adesso.

Nel mio studio sono passate e passano tante persone, ognuna con problemi
diversi, mali diversi, acciacchi diversi. Per ognuna di loro, la causa del
problema è diversa, sebbene, a grandi linee, sia riconducibile ad una delle
cinque emozioni che abbiamo discusso prima e che non viene vissuta in
armonia.
Eppure, per chi viene da me, di norma, la colpa dei propri mali è da
attribuire solo ed esclusivamente a qualche causa esterna. Punto e basta.

Ho provato a tirare le fila dei discorsi che faccio quotidianamente con le


persone che vengono da me ed ho identificato quelli che sono, a detta loro,
i principali responsabili delle loro disgrazie. Vi assicuro che avrei potuto
stilare un elenco molto più lungo, ma ho preferito limitarmi alle credenze
più comuni, giusto per non divagare troppo. Allora, fra le principali cause
dei malanni che affliggono i miei clienti abbiamo:

1. il cibo;
2. l’aria condizionata;
3. il materasso vecchio;
4. le scarpe scomode;
5. il lavoro che si svolge;
6. lo smog.

Tutto qui.
Sembra assurdo e a me viene sempre da sorridere, se ci penso, ma
credetemi: per la maggioranza delle persone, la causa di tutti i problemi o
delle malattie è da ricercare in uno dei sei fattori che sopra ho esposto. Se
ci fermiamo a riflettere un istante, tuttavia, potremo scoprire quanto questa
idea sia semplicemente assurda e potremo capire ancora meglio il titolo di
questo libro: vi state rendendo conto che avete davvero sottomano tutto

!130 !130
quello che vi serve per stare bene, basta aprire gli occhi e usare un po’ il
cervello?

Durante i famosi corsi che tenevo per i miei clienti, usavo fare spesso
questo esempio, per introdurre l’argomento. Lo faccio anche a voi.
Poniamo che sia agosto e che ci siano trentasei gradi. Cento persone
entrano in un grande magazzino nel quale l’aria condizionata è molto alta.
Di queste cento persone, il giorno seguente, almeno trenta accuseranno
dolori o indolenzimento al collo e almeno cinque saranno bloccate. Siamo
sicuri che è proprio colpa solo dell’aria condizionata?

Ancora: poniamo il caso che cento persone mangino alla stessa mensa una
pietanza nella quale è finito per sbaglio del potente veleno industriale,
intollerabile per l’organismo umano. Il giorno seguente, quelle cento
persone saranno morte o in fin di vita a causa di intossicazione.

Queste due situazioni ci portano a considerare necessariamente quanto


segue (può sembrare una banalità, ma a quanto pare la maggior parte delle
persone non sembra badare ad una realtà così evidente):

possiamo dire che una cosa è dannosa, è responsabile di malesseri o di


malattie o di problemi se e solo se provoca la stessa reazione a tutti e
nella stessa misura.

Se non è così, allora si tratta di una “causa esterna”, della classica goccia
che fa traboccare il vaso, ma non possiamo addossarle tutta la
responsabilità di quel che ci accade.
In sintesi, rifacendosi agli esempi di cui sopra, possiamo dire con sicurezza
che il veleno presente nel cibo è intollerabile per l’organismo umano:
chiunque ne mangi, muore.
Viceversa, non possiamo dire che l’aria condizionata provoca il torcicollo,
perché a molte persone non viene, nemmeno se sottoposte a sbalzi
climatici considerevoli. Certo, l’aria condizionata è la causa ultima e perciò
più evidente. È innegabile che la responsabilità del collo che si blocca
all’uscita del grande magazzino sia dell’aria condizionata. Ma c’è solo quello

!131 !131
o c’è dell’altro? Perché a dieci persone si blocca il collo e a venti non si
blocca? Che cosa c’è che fa la differenza?
La differenza sta nel terreno su cui l’agente esterno agisce: se il terreno, il
nostro corpo, è fertile, cioè già debole a causa del modo di vivere della
persona, ecco che i sintomi prolifereranno. Basterà uno spiffero per avere
una settimana di dolori cervicali.
Se il terreno, invece, dal punto di vista dei sintomi, non è fertile, ecco che
allora il corpo potrà resistere alle intemperie e non sarà certo un po’ di aria
condizionata a creare problemi.
Queste argomentazioni sono importanti e meritano di essere tenute in
considerazione, perché ci permettono di comprendere molte cose che
abbiamo già sotto gli occhi e che, pur tuttavia, sfuggono sempre alla nostra
attenzione.
In buona sostanza, comprendere queste cose significa fare un importante
passo avanti circa la domanda che tutti dovrebbero porsi, prima di dare la
colpa alle scarpe o al materasso: “perché proprio a me?”.

Ora parliamo dei fattori a cui si dà la colpa di tutti i nostri mali.

CIBO
Cominciamo dal cibo che, a quanto pare, oggi giorno è oggetto
dell’attenzione di tutti. Le allergie e le intolleranze proliferano, il business
pure.
Partendo dal presupposto che, secondo me, in Natura non c’è nulla che
faccia male in assoluto e che una cosa fa male se fa male a tutti nella stessa
maniera, proviamo a considerare alcuni noti effetti di alcuni noti alimenti.
I peperoni, si dice, sono digeribili con gran fatica. Eppure, c’è chi ne mangia
in gran quantità e li digerisce alla perfezione, giusto o sbagliato?
Idem per le cipolle o per l’aglio. Qualcuno li mangia senza manifestare
problemi, altri non possono nemmeno sentirne l’odore per stare male.
E il caffè? C’è chi non può berlo se non a prezzo di trascorrere una notte
insonne e chi, invece, può gustarselo anche alle undici di sera (io, ad
esempio!) e addormentarsi all’istante, una volta a letto. È proprio colpa del
caffè? Se è così eccitante e nocivo per il sonno, perché io dormo lo stesso?

!132 !132
Lo sapete che è scientificamente dimostrato che “il caffè non fa aumentare
il livello di colesterolo nel sangue e non comporta alcun rischio aggiuntivo
per nessuna patologia cardiovascolare”? Non solo: “Nonostante la caffeina
acceleri il battito del cuore, si tende ad escludere rischi anche per chi soffre
di aritmie cardiache, a patto di non abusarne. L’aumento della pressione
sanguigna è modestissimo, […], lo stesso aumento che si verifica quando ci
alziamo in piedi o ci mettiamo a parlare”.11
E il salame che fa venire i brufoli? E quelli che lo mangiano e i brufoli non ce
li hanno?
E il burro che fa venire il colesterolo? Ma lo sapete che l’incidenza
dell’alimentazione sul livello di colesterolo cattivo è talmente bassa (lo
dicono i dati scientifici!) da poter essere quasi trascurata?
Se voi sapeste quante sono le clienti donne che vengono da me,
soprappeso e con livelli di colesterolo stellari, e che si lamentano perché
mangiano solo yogurt senza grassi e carote crude! Dovrebbero essere tutte
magre e senza problemi, se la causa dei loro problemi di salute fosse il cibo,
ma evidentemente non è così.
Il Dipartimento della Sanità del Massachussetts, a seguito di una ricerca
volta ad individuare potenziali fattori di rischio nelle malattie
cardiovascolari, ha redatto un verbale dal quale risulta in modo
inequivocabile che più del 50% delle persone sofferenti di disturbi
cardiaci non presentano fattori di rischio: non fumano, non hanno
pressione alta, non hanno diabete, non sono sovrappeso. Che cosa vuol dire
questo, secondo voi?

Vi ho posto alcuni quesiti e non ho assolutamente intenzioni di darvi


risposte, anche perché riposte assolute non ce ne sono: ogni persona
rappresenta un caso a sé. Spero solo che tutti questi interrogativi servano a
farvi aprire un po’ gli occhi e a farvi riflettere.
Certo, il cibo, a volte, provoca reazioni anche importanti in alcune persone,
nessuno lo nega.
Quel che si vuol sottolineare è che non è solo colpa del cibo, perché
altrimenti tutte le persone che ne mangiano avrebbero le medesime
reazioni. E lo si vuole sottolineare perché è inutile privarsi di un cibo, senza

11 Cannella C. e Carrada G., I miti dell’alimentazione, ed. TEA

!133 !133
conoscere la causa principale dell’avversione per un alimento. È come
scappare senza sapere chi ci insegue, è come infilare la testa sotto la
sabbia: evitare un cibo non ci risolverà il problema, perché il problema non
è nel cibo. Certo, a volte (e sottolineo: a volte) il sintomo cesserà di
disturbarci e noi avremo l’illusione di aver sconfitto la nostra malattia. Ma
siamo sicuri che sia proprio così? Nel capitolo successivo parleremo
approfonditamente di questo, per ora continuiamo ad analizzare le
ipotetiche cause di tutti i nostri mali.

SCARPE
Nel mio studio, pratico la riflessologia plantare. Ovviamente, la prima cosa
di cui si parla sono i piedi. Qualcuno ha male di qui, qualcuno ha male di là,
qualcuno non riesce a trovare le scarpe giuste, a qualcuno viene un callo di
qua e a qualcun altro il callo viene di là. Quando spiego che la colpa non è
delle scarpe, la gente casca dalle nuvole.
“Ah, no?”, mi dicono.
“Ma io credevo che…”, continuano.
Eppure, per come la vedo io, non dovrebbe essere difficile capire che le
scarpe non c’entrano nulla.
Tutti quelli che comprano un determinato modello di scarpe hanno male ai
piedi? E se, per ipotesi assurda, ce l’hanno, è uguale per tutti o cambia
collocazione e intensità?
E tutti quelli che si mettono un certo paio di scarpe sono afflitti dagli stessi
calli, di eguali dimensioni e posti nelle medesime zone?
E quelli che hanno male anche quando si tolgono le scarpe e camminano a
piedi nudi?
E quelli ai quali un giorno le scarpe fanno male ed il giorno dopo invece no?
Ci state riflettendo? State pensando a quante sciocchezze prendete per
buone, a quanti soldi spendete per le solette miracolose o per le scarpe
super arieggiate o super molleggiate, che il mal di piedi, se proprio deve
venirvi, ve lo fanno venire lo stesso?

ARIA CONDIZIONATA
Dell’aria condizionata ho già detto, ma vorrei ricordare che non è colpa
dell’aria condizionata se fa male il collo. Vorrei ricordarlo soprattutto a quei

!134 !134
clienti che, ad agosto, mi chiedono di spegnerla, facendomi morire di caldo,
perché temono che venga loro male alla cervicale, con quaranta gradi
all’ombra, mentre io sudo come una foca!

MATERASSI
Non parliamo poi dei materassi, la principale causa di tutti i mal di schiena e
di tutti i problemi di colonna vertebrale in generale.
A qualcuno viene mal di schiena perché dorme storto, a qualcun altro viene
perché dorme dritto.
Secondo alcuni, il materasso troppo morbido fa venire i dolori di schiena,
secondo altri questi dolori sono provocati dal materasso troppo duro.
Per qualcuno è impossibile dormire su un materasso che non sia di puro
lattice (e che costa quasi come una macchina, guarda caso…), per qualcun
altro è indispensabile il materasso ad acqua, per qualcun altro avere la rete
ortopedica sotto il materasso è questione di vita o di morte.
Ma voi avete mai visto come dorme un bambino piccolo? Avete presente le
posizioni che assume? Lo avete mai visto dormire in macchina, seduto,
sdraiato, sul tappeto, sul pavimento, con la testa storta, le gambe storte, la
schiena messa chissà come? E, dopo, lo avete mai visto anche solo
massaggiarsi il collo o la schiena indolenzite? Lo avete sentito lagnarsi per il
male nella parte bassa della colonna vertebrale? A quanto pare, per un
bambino piccolo, il materasso ortopedico conta assai poco. Certo, ad un
adulto che soffre oggettivamente di problemi di schiena, un buon
materasso garantirà un riposo più tranquillo e, per queste persone,
possiamo dire grazie alla scienza ortopedica. Ma prima di accusare il
povero materasso di essere la causa dei nostri mali, pensiamoci bene. Non
che al materasso possa fregare qualcosa di quello che dite voi. Fatelo per
voi. Non andate avanti a prendervi in giro. Aprite gli occhi.

LAVORO
Come non parlare del “lavoro”? Facendo il mestiere che faccio, ho scoperto
che i dolori di schiena sono attribuiti dalla gente “normale” alle troppe ore
di macchina (così mi dicono camionisti, autisti, taxisti, agenti di
commercio); alla cattiva qualità della sedia (secondo impiegati e

!135 !135
insegnanti); al peso dell’asciugacapelli (secondo la mia parrucchiera); alle
troppe ore trascorse seduti; alle troppe ore trascorse in piedi.
Tuttavia, non posso non rilevare che non tutti i camionisti hanno mal di
schiena, che ad alcuni insegnanti fa male il collo e ad altri no, che la
parrucchiera che dava la colpa di tutti i suoi mali al modo che ha di reggere
il phon è decisamente un caso isolato, e vi giuro che non me lo sono
inventato.
Siamo alle solite: o un lavoro fa male a tutti nella stessa maniera, oppure
significa che non è colpa del lavoro se una persona accusa malesseri o
disagi fisici.
Ve la butto lì: non sarà che il mal di schiena viene a chi va a lavorare
controvoglia, a chi usa solo il senso del dovere ed ha perduto il piacere in
quello che fa?

SMOG
Da ultimo, il più terribile di tutti i mali, il responsabile di tutte le nostre
sventure. Lo smog provoca le ben note malattie ai polmoni, ma non solo. Si
attribuiscono allo smog anche altri effetti collaterali, come le allergie, le
intolleranze, le malattie della pelle, la perdita dei capelli ed altre amenità del
genere.
Non sprecherò altro tempo a tempestarvi di domande retoriche, perché
spero che abbiate capito il concetto. Punterò semplicemente la vostra
attenzione su un fatto: in un condominio qualsiasi di una qualsiasi città, su
cento persone, dieci hanno problemi respiratori, un paio hanno allergie
alimentari, sette o otto soffrono di calvizie precoci. Gli altri hanno malattie
ed acciacchi vari, tanto che, se si dovesse stilare una casistica, risulterebbe
probabilmente che per un gruppo di cento persone ci sono almeno cento
sintomi diversi. Senza contare quelli che non hanno niente. Eppure, vivono
tutti nello stesso condominio, nella stessa città, e respirano la stessa aria,
tutti i santi giorni. Non credo serva aggiungere altro.

Claudia Rainville, nel suo bellissimo libro intitolato “Metamedicina, ogni


sintomo è un messaggio”, punta giustamente il dito sul fatto che una storia
simile può produrre manifestazioni molto diverse in diverse persone. D’altro
canto, una medesima malattia o affezione può avere cause molto diverse

!136 !136
fra loro. Queste considerazioni vanno a confortare quello che ho appena
detto e che, cioè, non si può affermare che un determinato lavoro o un
determinato agente esterno provochino sempre ed automaticamente lo
stesso effetto.
Sempre nel già citato libro, la Rainville conclude le sue riflessioni
sull’argomento dicendo: “Quando si vuole sfuggire ad una situazione che
comporta una lezione importante per la nostra evoluzione, la malattia
può aiutarci ad affrontarla”.12

Vi ho tempestato di domande retoriche, lo so. Non siete stupidi, so


perfettamente anche questo, così come so perfettamente che una parte di
voi, tutte le cose che abbiamo detto, le aveva già pensate e le sapeva già.
Eppure, sono anche sicuro che la maggior parte di voi, quando si trova di
fronte ad un malessere improvviso, ad un dolore, ad una piccola
indigestione, ad un fastidio al collo, pensa immediatamente a che cosa ha
mangiato, a che movimenti bruschi può aver fatto, a come ha dormito, allo
spiffero che può aver preso.
Qualche volta, ci casco ancora pure io, in questo tranello teso dal nostro
cervello ben educato per distrarci dalla reale fonte dei nostri mali.
Pertanto, spero che questo ripasso vi abbia fatto bene, vi abbia almeno un
po’ svegliato dal torpore delle risposte preconfezionate per voi da altre
persone che hanno tutto l’interesse (soprattutto economico)a tenervi
nell’ignoranza. Il consumatore perfetto è quello che prende per vero tutto
quello che gli si dice. Come potrebbero vendervi un materasso da
cinquemila euro, se saltasse fuori che non è colpa del materasso se viene
mal di schiena?
Come potrebbero vendervi al triplo del loro reale valore di mercato tutti i
cibi senza colesterolo, senza zucchero, senza farina, senza glutine, etc. etc.,
se saltasse fuori che non è mai colpa del cibo se una persona sta male?

La mia insegnante ripete spesso una frase che vorrei citarvi, perché
riassume benissimo tutto quello che ho detto fino ad ora.

12 Rainville Claudia, Metamedicina,ed. Amrita

!137 !137
“La salute non interessa a nessuno, perché con la salute non ci guadagna
nessuno. Con la malattia, invece, ci guadagnano tutti”.

Lo so, è uno schifo. Ma pensateci.

!138 !138
SESTO TASSELLO

LIBERA LA MENTE
ROMPI GLI SCHEMI.
DIMENTICA CIO’ CHE TI HANNO INSEGNATO
USA LA TESTA.
NON SCAPPARE,
NON METTERE LA TESTA SOTTO LA SABBIA.
DI OGNI COSA CHE TI CAPITA, CHIEDITI:
“PERCHE’ PROPRIO A ME?”
“PERCHE’ PROPRIO ORA?”.
OGNI VOLTA CHE IL TUO CORPO TI CHIAMA
NON PUNTARE IL DITO
CONTRO OGGETTI INANIMATI
CHE NON POSSONO FAR MALE,
MA PENSA A TE STESSO,
ALLA PARTE DI TE CHE HAI TRADITO,
A CHI HAI VOLUTO ACCONTENTARE.

POI, CHIEDI SCUSA.


A TE STESSO,
PER IL MALE CHE TI SEI FATTO,
E PROMETTI
CHE LA PROSSIMA VOLTA
PROVERAI A VOLERTI PIU’ BENE.

!139 !139
ESERCIZI

FAI UN ELENCO DI ALMENO CINQUE PROBLEMI CHE TI AFFLIGGONO DI


FREQUENTE. NON DEVONO ESSERE NECESSARIAMENTE “MALATTIE”,
MA, PIUTTOSTO, COSE DI TUTTI I GIORNI, PICCOLI ACCIACCHI, COME UN
CALLO CHE DUOLE, UN PO’ DI MAL DI SCHIENA, UN GINOCCHIO CHE
OGNI TANTO SI FA SENTIRE, E COSI’ VIA.

ORA, ELENCA QUELLE CHE, FINO AD OGGI, TU HAI PENSATO CHE


FOSSERO LE CAUSE, AL DI LA’ DELL’INTERPRETAZIONE CHE PUO’
AVERTI FORNITO UN MEDICO. PER ESEMPIO, LE SCARPE STRETTE O
SCOMODE, IL TIPO DI POSIZIONE CHE MANTIENI AL LAVORO, L’ARIA
CONDIZIONATA E COSI’ VIA.

PER CONCLUDERE, RELATIVAMENTE AD OGNI POTENZIALE CAUSA DEI


TUOI MALESSERI, ELENCA ALMENO CINQUE PERSONE CHE SONO
SOGGETTE ALLE MEDESIME SOLLECITAZIONI (PER ESEMPIO, CINQUE
COLLEGHI CHE LAVORANO CON TE, CINQUE AMICI CHE USANO LA
STESSA MARCA DI SCARPE, ETC.)

ORA VERIFICA SE TUTTE QUESTE PERSONE SOFFRONO DEI TUOI


STESSI DISTURBI, NELLE STESSE MODALITA’, CON LA STESSA INTENSITA’
E FREQUENZA, NELLO STESSO MOMENTO.

RIFLETTICI UN PO’ SOPRA.

NON NOTI NULLA DI STRANO?

!140 !140
ELENCO DI “SINTOMI”.

1. ____________________________

2. ______________________________

3. ______________________________

4. ________________________________

5. _______________________________

ELENCO DELLE “CAUSE”.

1. ____________________________

2. ______________________________

3. ______________________________

4. ________________________________

5. _______________________________

!141 !141
IL CORPO CHE PARLA

Allora non è la tecnica che va migliorata, ma è la


comprensione dell’essere umano nella sua essenza che
va potenziata. Non si tratta di proporre rimedi
onnipotenti, ma di comprendere le radici del malessere
e di fondare l’intervento della nuova psicosomatica su
un nuovo linguaggio della malattia: il linguaggio degli
organi.
(Anna Zanardi, psicologa e giornalista, esperta in
naturopatia e medicina psicosomatica)

Il nostro corpo ci parla, quotidianamente. Giorno dopo giorno, ci trasmette,


attraverso una serie di segnali, una sorta di “bollettino metereologico”, di
“diario di bordo”, la nostra situazione fisica ed emotiva, il nostro livello di
stress e di tensione. Non solo, ci fornisce anche un preciso rendiconto di ciò
che non ha funzionato, delle emozioni che abbiamo trattenuto, dei disagi
che abbiamo provato e che non abbiamo scaricato.

Il corpo è il nostro migliore amico, il nostro più fedele alleato. Non ci


mente mai, non ci consiglia mai nulla che potrebbe danneggiarci.
Cominciamo ad ascoltarlo e a seguire i suoi consigli.

Se solo ci prendessimo la briga di ascoltarlo, un poco alla volta riusciremmo


a comprenderne il linguaggio, senza nemmeno doverci dedicare a chissà

!142 !142
quali studi misteriosi, e già avremmo fatto un importante passo avanti nel
nostro percorso alla ricerca della “felicità in tasca”.

Scrive Donato Santarcangelo, psicologo e psicoterapeuta: “Impariamo,


allora, a rispettare tutte le esigenze del nostro corpo. Staremo senz’altro
meglio. Il corpo, infatti, è capace di recepire in maniera straordinaria i
messaggi della psiche. Forse questa non ha altro modo di farsi ascoltare se
non attraverso il corpo. Che sottolinea, con i suoi rifiuti, le sue strane voglie
e i piccoli malanni, sovente incomprensibili, i messaggi a volte troppo
astratti per noi. […] Il corpo è il vero dato primario, è l’essenza del nostro
esistere con il suo modo certo simbolico e non così lineare di reagire e di
farsi ascoltare, ma in ogni caso ineludibile”.13

Ma, chiederete voi, come si fa a sapere quando il corpo parla? E che cosa
bisognerebbe fare quando il corpo parla? Nella letteratura in materia
(alcuni titoli sono elencati nella bibliografia) si fa spesso l’esempio del
cruscotto della macchina, per spiegare quanto ho accennato prima. È un
esempio molto chiaro e utile, non solo perché ci illumina in maniera precisa
circa il funzionamento del nostro corpo fisico, ma anche perché utilizza un
linguaggio molto comprensibile da noi occidentali abituati a ragionare in
maniera meccanicistica. Non solo, questo esempio spiega fin troppo
chiaramente quelli che sono i nostri consueti atteggiamenti di fronte ai
segnali che il nostro corpo ci propone e ci dimostra quanto siamo “stupidi”,
se mi si passa l’espressione, poiché di norma riserviamo alla nostra
automobile, un oggetto che costa solo qualche migliaio di euro, più
attenzioni e cura di quante non ne dedichiamo al nostro corpo fisico, un
bene talmente unico e prezioso da non avere prezzo.

Veniamo al nostro esempio.


Immaginate di essere al volante della vostra auto, una qualsiasi. State
percorrendo una strada quando, all’improvviso, ecco che si accende una
lampadina sul cruscotto, per segnalarvi qualcosa che non va.
Voi che cosa fate? Se conoscete il significato della lampadina che si è
accesa, vi recate presso una stazione di servizio o un meccanico e chiedete

13 Tratto dalla rivista YOURSELF, numero 7, agosto 2004.

!143 !143
che vi controlli la tal cosa o che vi rabbocchi il tal livello. Se, invece, non
conoscete il significato di quella particolare spia luminosa, vi recherete
comunque da una persona competente in materia, vi farete spiegare quel
che la lampadina accesa sta a significare e procederete alla riparazione o al
controllo necessari. È così, vero?
Bene. L’automobile, come avrete già intuito, rappresenta il nostro corpo
fisico. Le spie luminose che si accendono sul cruscotto rappresentano
invece i sintomi che compaiono di tanto in tanto. Non pensate alle gravi
malattie, ma alle piccole cose di tutti i giorni, quelle che, proprio perché
sono piccole, vengono sottovalutate ed ignorate. Che ne so, un mal di testa,
un dolore ad un’articolazione, una stomatite, un po’ di mal di Stomaco, un
po’ di stitichezza, i dolori mestruali, il mal di schiena, una stanchezza
eccessiva, e così via.
Quello che noi facciamo di solito in merito alle nostre spie luminose è
esattamente il contrario di quello che facciamo con la nostra automobile.
Ovvero, se si accende una lampadina sul cruscotto, ecco che subito
andiamo a farci sistemare il guasto che la lampadina ha segnalato. Non ci
sogneremmo mai e poi mai di ignorare un segnale così evidente ed
importante: la paura di restare a piedi o di rompere l’automobile sarebbe
troppo forte.
Se, invece, si accende una lampadina sul nostro corpo, ecco che subito
assumiamo qualche farmaco per “spegnere” il sintomo, per non avvertire
più il disagio. È come se svitassimo la lampadina, tanto per il gusto di avere
il cruscotto spento, senza segnali. Una cosa che, ripeto, se si trattasse di
una automobile, non faremmo mai.
Se provaste a tenere questo comportamento con la vostra automobile,
sarete d’accordo con me che, prima o poi, avreste qualche brutta sorpresa.

Poniamo il caso, a puro titolo esemplificativo, che vi si accenda la


lampadina che segnala che il livello di olio sta esaurendosi. Poniamo il caso
che voi svitiate la lampadina per non vedere più la fastidiosa luce sul
cruscotto. All’inizio, in apparenza, sembra che l’automobile non abbia più
problemi: sul cruscotto non ci sono più spie luminose accese. Dopo cento
chilometri, tuttavia, avrete senz’altro fuso il motore e la macchina sarà
inutilizzabile. Dovrete comprarne una nuova.

!144 !144
Parimenti, se continuate a spegnere con antidolorifici o antinfiammatori le
lampadine che vi si accendono addosso, prima o poi ne pagherete il prezzo.

NON SI POSSONO IGNORARE I SEGNALI CHE IL NOSTRO CORPO CI


MANDA!

La mia non è una minaccia e, credetemi, non sto portando sfortuna, non sto
“gufando”: ve la prendereste con il vostro meccanico se dovesse dirvi che,
se non mettete olio quando lampeggia la spia dell’olio, vi si fonderà il
motore? Non credo proprio, perciò non prendetevela con me. A lui
rispondereste che la sua osservazione è ovvia e banale. Fate lo stesso con
me, grazie.

A tal proposito, nel suo libro “Dimmi dove ti fa male e ti dirò perché”, Michel
Odoul afferma:

La malattia ci consente quindi due cose. Ci permette innanzitutto di liberare


le energie tensive immagazzinate e, in tal senso, gioca un importante ruolo
di valvola. Possiamo riflettere seriamente su ciò che il modo “moderno”,
ovvero allopatico (farmaci chimici), di curare le malattie rappresenta,
imbavagliandole o persino “uccidendole”, quando sono in embrione o nella
loro massima intensità, impedendo loro di esprimersi. Ma la malattia serve
anche da segnale di allarme di una precisione grande quanto quella dei
traumi. Essa ci parla con grande meticolosità di ciò che avviene all’interno di
noi stessi e ci fornisce importanti indicazioni per il futuro.14

Rudiger Dalhke, medico e psicoterapeuta, dal canto suo, scrive:

La differenza che più colpisce con la medicina abituale consiste nella nostra
valutazione positiva dei sintomi. Invece di allearci con il paziente contro i
suoi sintomi, come di solito accade, ci alleiamo, per così dire, coi sintomi
stessi per capire che cosa manca al malato e perché ha quei sintomi.

14 Odoul Michel, Dimmi dove ti fa male e ti dirò perché, ed. Il punto d’incontro.

!145 !145
Liberato dal giudizio negativo, il sintomo può rivelarsi un prezioso
indicatore delle carenze e aiutare a divenire più completi e più sani.
[…]
Il problema ora è questo: vogliamo continuare a tentare di eliminarli [i
sintomi], come facciamo inutilmente da millenni, oppure vogliamo fare lo
sforzo di riconoscerli come veri e propri segnali stradali e seguirli?
[…]
La medicina tradizionale rinuncia alla ricerca del significato come la
maggior parte dei rimedi naturali: queste due scuole sono più simili di
quanto in genere si creda e si basano sulla stessa visione meccanicistica del
mondo. Esse cercano le cause nel passato e gareggiano tra loro nel cercare
più in profondità e nell’eliminare con le terapie i sintomi più inquietanti.
Anche la scelta delle armi è più simile di quanto comunemente si pensi. Chi
scende in campo contro i sintomi ha bisogno di armi e propugna
chiaramente l’impostazione allopatica, che punta contro l’avversario e cerca
di eliminarlo con i migliori rimedi a sua disposizione.15

Vorrei soffermarmi, in particolare, sull’ultimo passaggio del brano che avete


letto.
Molte persone, infatti, sono convinte di avere più probabilità di successo,
nella cura delle loro malattie, solo perché, invece del farmaco tradizionale,
utilizzano rimedi cosiddetti alternativi, come i rimedi omeopatici, erboristici
o anche i massaggi orientali, come quelli che faccio io.
Purtroppo, lo dico sempre anche ai miei clienti, non è così. Se si rinuncia ad
analizzare il significato dei nostri sintomi, se non si comprende che le
malattie sono segnali che il corpo ci manda perché noi possiamo
interpretarli, ebbene le possibilità di riuscire a stare davvero bene, di guarire
sul serio, in via definitiva, sono molto esigue. Certo, è vero che assumere
capsule dell’erba tal dei tali può essere meno dannoso (ma a volte anche
più inutile) che assumere farmaci di origine chimica, ma l’approccio al
problema resta lo stesso:

ho un problema, individuo la cura che più mi piace (medicina, erba,


granello omeopatico, massaggio, etc.), cerco di far passare il sintomo.

15 Dahlke Rudiger, Malattia linguaggio dell’anima, ed. Mediterranee

!146 !146
Bisogna fare un passo avanti.

Bisogna che l’approccio si modifichi in questi termini:


ho un problema, cerco di comprendere che cosa il mio corpo vuole dirmi,
cerco di risolvere a monte il mio problema e, se da solo non riesco, nel
frattempo posso aiutarmi con qualche rimedio fra quelli che mi sono più
congeniali.

Solo così può funzionare. Non lasciatevi ingannare dai miracoli promessi
dalle cure alternative o naturali, perché se l’approccio non è come quello
descritto, nella maggior parte dei casi sarete destinati a cocenti delusioni.
Ve lo anticipo ora, anche se tratteremo l’argomento più diffusamente
quando svilupperemo il parallelo tra le medicine orientali e la medicina
occidentale: nessuno vi chiede di non assumere più medicine per lenire le
sofferenze o i fastidi, ci mancherebbe. Per fortuna le medicine ci sono,
altrimenti quanti giorni, a causa del mal di testa, non sarei riuscito a
lavorare! Quello che sto cercando di dirvi è che, pur assumendo un farmaco
per “spegnere una lampadina”, in noi dovrebbe essere sempre presente la
consapevolezza di ciò che il nostro corpo ha voluto trasmetterci, del
messaggio che ha voluto darci. Prendiamo pure l’analgesico, ma con la
consapevolezza di ciò che abbiamo fatto (o meglio, di ciò che non abbiamo
fatto) per arrivare al sintomo. In questo modo, forse, la prossima volta che
ci troveremo di fronte ad una situazione analoga, la affronteremo in
maniera diversa, pensando alle conseguenze del nostro agire.

“Ogni sintomo è un messaggio”, dice Claudia Rainville, importantissima


studiosa della metamedicina, disciplina che si occupa, appunto, di
interpretare quel che il corpo ci trasmette con i suoi segnali. È vero, è
proprio così.
L’unica difficoltà è che non conosciamo la lingua che parla il nostro corpo,
troppo abituati a trascurare quegli importanti segnali dei quali parlavo
prima. Si tratta solo di imparare una nuova lingua, tutto qui. Quando, però,
avrete imparato a leggere il vostro corpo con occhi nuovi e diversi, più
consapevoli, ecco che la vostra comprensione di voi stessi e del mondo che

!147 !147
vi circonda sarà tale da permettervi di vivere molto più liberamente, non più
trovando nel vostro corpo fisico un ostacolo o un avversario (questo non lo
posso fare perché… questo non lo posso magiare perché… ), ma un prezioso
amico ed alleato.

Il risultato più stupefacente e più importante sarà quello di passare dal


“non posso” al “non voglio”.

Dire “non posso” indica passività, sottomissione, schiavitù, giogo.

Dire “non voglio” implica consapevolezza, scelta, libertà, affrancatura


dalla schiavitù.

Già, perché è proprio così. Siamo schiavi e non ce ne rendiamo nemmeno


conto. Il nostro corpo ci urla tutti i giorni il suo disagio, le sue sofferenze, le
mancanze di rispetto cui lo costringiamo in nome della buona educazione,
delle buone maniere, del “si deve” e “non si deve”, del “questo fa bene” e
“questo fa male”, ma noi siamo sordi. L’unica cosa che sappiamo fare è
prendere la nostra bustina o la nostra pastiglia e aspettare che il male passi.
Ormai, però, se avete letto con attenzione i capitoli precedenti, dovreste
aver ben capito che un sintomo, uno qualsiasi, non capita mai a caso,
perché altrimenti tutti ci ammaleremmo delle stesse malattie facendo o
mangiando le stesse cose. Non è così, ora ve ne rendete conto. Quindi, se
un determinato segnale viene proprio a voi e proprio a seguito di
determinate condizioni, state pur certi che vuole comunicarvi qualcosa.

Nulla accade mai a caso e nulla di ciò che accade è una coincidenza o un
caso fortuito.

Un brufolo, vuol dire qualcosa. Un brufolo sulla fronte, vuol dire qualcosa;
un brufolo sul mento vuol dire qualcosa d’altro; un brufolo su una spalla
vuol dire qualcosa d’altro ancora.
Vi gira la testa, vero?

!148 !148
In questo momento il vostro cervello sarà un turbinio di “ma allora se ho
questo vuol dire che…”, “ma allora ecco perché a me capitava questo e a lui
no…”, “ora capisco!”.
Non solo: immagino che fra cinque minuti sarete completamente assorbiti
da un’ispezione approfondita del vostro corpo, alla ricerca di brufoli, dolori,
protuberanze, segnali di qualsiasi tipo.
Bene, è un buon inizio. State solo facendo una cosa che, probabilmente,
non facevate più da quando eravate piccoli: vi state guardando, toccando,
ispezionando. Avete presente i bambini? State solo riscoprendo voi stessi e
quello che di voi stessi avevate dimenticato. Vi state solo ricordando di
avere un corpo fisico che non è una macchina da mettere in garage, la sera,
dopo averla utilizzata.

Il vostro corpo siete voi, indissolubilmente, innegabilmente,


inevitabilmente, voi.

A questo punto, quindi, siamo pronti per una nuova, piccola regola, o
meglio per un altro importante tassello per trovare quella “felicità” che
andate cercando chissà dove. Si tratta di un pensiero molto semplice che,
spero, non venga giudicato troppo banale, ma solo semplice ed
assolutamente vero.
È una regola universale, valida per chiunque ed in qualunque contesto, da
tenere sempre bene a mente ogni qualvolta il nostro cervello vorrà
ingannarci, facendoci fuggire dalla verità del corpo in nome di false
informazioni, falsi rimedi, false speranze:

la consapevolezza rende liberi e migliora la qualità della nostra vita,


l’ignoranza ci rende strumenti utilizzabili dagli altri e ci impedisce di
vivere con serenità le nostre scelte.

!149 !149
SETTIMO TASSELLO

SEI LA COSA PIU’


IMPORTANTE
CHE HAI.

IL TUO CORPO
E IL TUO SPIRITO
SONO I DONI PIU’
PREZIOSI.

ACCAREZZATI.
COCCOLATI.
TOCCATI.

GUARDATI ALLO SPECCHIO


E CERCA DI VEDERTI
PER COME SEI,
NON PER COME TI VEDONO.

SIEDITI E ASCOLTA,
OGNI DETTAGLIO,
OGNI PICCOLO RUMORE,
OGNI SINGOLA NOTA,
TUTTO TI PARLA DI TE,
DI COME SEI,
DI DOVE STAI ANDANDO,
DI DOVE VORRESTI ANDARE.

!150 !150
ESERCIZI

QUANDO SEI SOLO (O SOLA), TRANQUILLO, SENZA FRETTA, PROVA A


“ESPLORARTI”, A PRENDERE COSCIENZA DEL CORPO FISICO IN MODO
UN PO’ DIVERSO DAL SOLITO.
STAI IN ASCOLTO: QUALI PARTI DEL TUO CORPO SENTI DI PIU’ E QUALI
DI MENO? HAI PERCEZIONE DI OGNI SINGOLA PARTE DEL TUO ESSERE?
DOVE TI SENTI BLOCCATO, IMPACCIATO, E DOVE TI SENTI INVECE
LIBERO, SCIOLTO?
DOVE TI SENTI PESANTE E DOVE LEGGERO?
CI SONO ZONE CHE SENTI PESANTI, CARICHE, AFFARDELLATE?
CI SONO ZONE CHE DOLGONO PIU’ DI ALTRE?
ANNOTA LE CONSIDERAZIONI CHE TI VENGONO IN MENTE E SCRIVI
QUELLO CHE SCOPRI. RILEGGENDO LE TUE ANNOTAZIONI, FERMATI A
RIFLETTERE SU QUANTO POCO CONOSCI IL TUO CORPO, SU QUANTO
POCO TEMPO DEDICHI ALLA CURA DEL TUO COMPAGNO PIU’FEDELE,
CHE DEVE SOPPORTARE LE PERIPEZIE DELLA VITA DI OGNI GIORNO.
SOPRATTUTTO, PROVA A CHIEDERTI CHE COSA FAI PER LUI, PER
QUESTO MERAVIGLIOSO STRUMENTO CHE FINO AD ORA HAI
TRASCURATO.

ANNOTAZIONI.

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MEDICI DI NOI STESSI

Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore


sapienza.
(Friedrich Nietzsche, filosofo)

Qual è, se c’è, la regola per essere felici, insomma?

Facciamo il punto di quanto abbiamo scoperto fino ad ora e forse la


risposta alla vostra domanda apparirà più chiara perché, in effetti, la
risposta a questo mistico quesito è già sotto i vostri occhi.

1. AD OGNI ORGANO O VISCERE DEL NOSTRO CORPO CORRISPONDE


UN’EMOZIONE, CHE ANDREBBE “SCARICATA”, CIOE’ VISSUTA.

2. PER MANTENERE SANO IL NOSTRO FEGATO E LA NOSTRA VESCICA


BILIARE, DOVREMMO FARCI RISPETTARE, ALZARE LA VOCE E BATTERE I
PUGNI.

3. PER MANTENERE SANO IL NOSTRO CUORE E IL NOSTRO INTESTINO


TENUE, DOVREMMO RIDERE, PARLARE, ESSERE SINCERI.

4. PER MANTENERE SANO IL NOSTRO STOMACO E LA NOSTRA MILZA,


DOVREMMO CHIEDERE AIUTO E NON ESITARE AD ESPRIMERE I NOSTRI
DUBBI, I NOSTRI CONFLITTI.

!152 !152
5. PER MANTENERE SANI I NOSTRI POLMONI E IL NOSTRO COLON,
DOVREMMO LAMENTARCI QUANDO CI SENTIAMO SOLI E PIANGERE
QUANDO CI SENTIAMO TRISTI.

6. PER MANTENERE SANI I NOSTRI RENI E LA NOSTRA VESCICA,


DOVREMMO RICONOSCERE ED ACCETTARE LE NOSTRE PAURE E
FERMARCI QUANDO SIAMO STANCHI.

7. LE EMOZIONI SONO MOLTO SEMPLICI DA INDIVIDUARE, SENZA


RICORRERE ALLA MEDICINA CINESE: BASTA OSSERVARE UN BAMBINO
PICCOLO, NON ANCORA EDUCATO.

8. IL NOSTRO CORPO CI PARLA ATTRAVERSO I SUOI DISAGI, I SEGNALI


CHE “BUTTA FUORI” GIORNO DOPO GIORNO: BASTA FERMARSI AD
OSSERVARLI.

Detto questo, non credo che servano altri strumenti per volersi un po’ più
bene ed essere il più felici possibile, fermo restando il significato che
attribuiamo alla parola “felicità”, che non ha nulla a che vedere con la
macchina più grossa o con lo stipendio più ricco, ma che riguarda la sfera
dell’armonia e dell’equilibrio personale.

Essere felici non significa non soffrire per una preoccupazione, non star
male per una mancanza di rispetto, evitare le malattie o la perdita dei
propri cari, perché ciò non sarebbe possibile.

Essere felici, per come la vedo io, significa solo stare bene con se stessi,
essere il più possibile in armonia con la propria indole, con la propria
parte più vera e nascosta.

Una volta raggiunta questa armonia, le cose spiacevoli della vita non
cambieranno di certo, ma almeno avremo l’energia per poterle affrontare e
superare.

!153 !153
Avere una autovettura solida e funzionante non significa, mentre si guida,
trovare solo discese o tratti di strada senza curve, lungo il nostro
percorso, perché la strada, cioè la nostra vita, è fatta di discese e salite,
rettilinei e curve.

Avere una autovettura solida e funzionante, però, ti permette di


affrontare una salita e superarla senza fermarti a metà strada, di superare
una curva difficile senza uscire dalla carreggiata.
Se il motore funziona, l’impianto elettrico non dà noie, le gomme
tengono e la carrozzeria non è ammaccata, il viaggio sarà senz’altro più
sicuro.
Per avere una autovettura solida e funzionante, però, non basta affidarsi
alla buona sorte: bisogna averne cura, tenerla sempre sotto controllo,
stare sempre molto attenti ai segnali che essa ci dà e provvedere alle
piccole riparazioni prima che il motore si rompa o che qualche pezzo,
troppo trascurato, ceda di schianto e ci lasci a piedi.

E ora torniamo al nostro corpo e a quello che ci comunica senza che


nemmeno ce ne rendiamo conto. Scopriremo così che i migliori medici di
noi stessi siamo proprio noi e che abbiamo tutti gli strumenti che ci
servono per mantenerci sereni, armoniosi, equilibrati.

Dire che potremmo anche essere, volendo, “medici di noi stessi”, non
significa assolutamente che potremo sempre fare a meno di un aiuto
esterno, che si tratti un medico “ufficiale” con le sue medicine piuttosto che
di un medico “alternativo” con i suoi rimedi naturali.
Un aiuto serve sempre, non commettete l’errore gravissimo di peccare di
questo tipo di presunzione. Non siete né migliori né più bravi degli altri,
avete bisogno di una mano esattamente come tutti quelli che vi
circondano. Ricordatevi che abbiamo lo Stomaco apposta per chiedere
aiuto quando ci serve e abbiamo i Reni proprio per renderci conto quando
non possiamo più proseguire da soli.

!154 !154
“Poter essere medici di se stessi” significa allora, molto semplicemente, che
possiamo essere noi stessi parte di quel processo di “guarigione” che di
solito affidiamo ad altri, senza chiedere spiegazioni.
In altre parole, possiamo interagire.
Il corpo, la vita, la salute, sono cose che ci appartengono, non lasciamole in
balìa di altre persone, non decliniamo le nostre responsabilità, perché si
tratterebbe di una terribile forma di maleducazione verso Chi (non importa
come volete chiamarLo) ci ha fatto quel meraviglioso regalo che è la Vita.
Sarebbe come ricevere da nostro Padre una meravigliosa automobile nuova
e lasciarla all’aperto, senza utilizzarla, senza curarcene mai, esposta alle
intemperie e ai danni dell’usura.
Aiutiamoci noi per primi, così che tutti coloro che poi si prodigheranno per
darci una mano, avranno il compito meno arduo.

Il corpo parla, il corpo pensa, il corpo è costantemente vigile e


costantemente all’erta, sempre pronto a fornirci le indicazioni su ciò che
non va e sempre pronto a fornirci anche la soluzione migliore per risolvere il
problema. Insomma, anche se può sembrare strano, il corpo si fa sempre
auto-diagnosi e si prescrive istantaneamente la terapia appropriata!
Sembra fantascienza, ma non lo è. Tratteremo in seguito l’aspetto
s c i e n t i fi c o d i q u e s t a i m p o r t a n t e a s s e r z i o n e c h e r i g u a r d a ,
fondamentalmente, il sistema endocrino ed il sistema immunitario, veri e
propri “organi pensanti”, sempre vigili ed all’erta (eh già, scientifico: le cose
che vi sto dicendo hanno anche un riscontro scientifico, non sono favole).
Per ora concentriamoci su quello che il corpo ci dice.

Ascoltare le esigenze del proprio corpo equivale a rispettarsi e a stare


meglio. Questa è una delle chiavi per raggiungere l’armonia.

L’aspetto emotivo, collegato ai cinque sentimenti, l’abbiamo già affrontato.


Qui va solo ribadito che dovremmo sempre, per quanto possibile,
assecondare il nostro istinto e lasciare libero sfogo alle emozioni che,
istintivamente, saremmo portati ad esprimere, fregandocene altamente di
ciò che ci hanno insegnato in merito all’educazione, alle regole di bon-ton,
ai dettami del vivere civile.

!155 !155
Passiamo in rassegna, pertanto, tutto quel che potete fare, fin da subito, per
migliorare il vostro stato emotivo e, di conseguenza, il vostro livello di
benessere psico-fisico.

1.
Il vostro corpo vi fa provare il sentimento della Rabbia? Ebbene, urlate.
Sbattete una porta. Alzate la voce più del vostro interlocutore. Non si tratta
di maleducazione, nessuno vi dice di dire brutte parole o di insultare o di
offendere (non confondete le cose… si può urlare anche con gentilezza,
come ad esempio urlando NO GRAZIE!), ma di un’esigenza insopprimibile
del vostro Fegato e della vostra Vescica Biliare. Si tratta di preservarci e di
non farci prevaricare da chi urla più di noi. È ovvio che urlare sempre non si
può e che qualche volta è necessario, per esigenze oggettive, scendere a
compromessi. Va bene. Il punto è: non farlo sempre. Non soccombere
sempre. Soprattutto voi gentili signore, ricordate che avete gli stessi diritti a
farvi valere dei vostri colleghi uomini, che alzare la voce non è una
prerogativa maschile e che se sarà necessario sbattere una porta o gettare
un piatto per terra per attirare l’attenzione, allora dovrete farlo, senza
timore di essere, per questo, giudicate donne sbagliate.

2.
Il vostro istinto vi fa provare l’esigenza di parlare, di ridere, di dire quello
che pensate? Ebbene, fatelo. Il Cuore e l’Intestino Tenue hanno bisogno di
Gioia e questo, in sostanza, significa mettere da parte le false illusioni, le
costruzioni che il nostro cervello razionale produce per farci tollerare
situazioni che, altrimenti, richiederebbero prese di posizioni rigide. Il vostro
cervello vi fa vedere la realtà così come vuole lui, per addolcirvi la pillola.
Ebbene, voi non ne avete bisogno. Se la pillola è amara, la mangerete
amara. Guardate dentro voi stessi e guardate in faccia la realtà. Siate onesti,
con gli altri ma soprattutto con voi stessi. Non fatevi piacere cose che non
vi piacciono. Siate voi stessi. E se agli altri non piacete, chi se ne frega.
Dovete piacere solo a voi stessi. Piuttosto che essere circondati da una
moltitudine di persone con le quali, per essere accettati, avete bisogno di

!156 !156
fingere, è preferibile avere un solo amico, con il quale però non avrete
bisogno di indossare una maschera che non vi rappresenta.

3.
Il vostro istinto vi fa sentire l’esigenza di chiedere aiuto, di ricevere una
conferma circa i vostri dubbi e le vostre perplessità? Ebbene, chiedete.
Chiedete e chiedete, senza farvi riguardo, senza mai temere di essere
“pesanti” o di disturbare, perché il vostro Stomaco e la vostra Milza
necessitano proprio di questo, per stare bene e continuare a funzionare
egregiamente, a svolgere le loro funzioni fisiologiche in tutta tranquillità.
Non caricate sulle vostre spalle le responsabilità che non vi competono, non
preoccupatevi anche dei problemi degli altri e, soprattutto, non esitate a
scaricare sugli altri un po’ dei vostri fardelli. Parlate delle vostre
preoccupazioni, esprimete i vostri conflitti. Non è detto che riceverete dagli
altri l’aiuto di cui avete bisogno ma, almeno, avrete chiesto, vi sarete tolti,
letteralmente, un peso dallo Stomaco.

4.
Il vostro istinto vi induce a lamentarvi, ad esprimere il senso di solitudine
che avete dentro, magari con un bel pianto liberatorio? Ebbene, fatelo, non
trascurate i vostri Polmoni e il vostro colon. Soprattutto voi maschietti,
ricordate che piangere non è un segno di debolezza, ma uno sfogo
necessario che esprime la vostra sensibilità, che di certo avete ma che
probabilmente tenete nascosta, relegata in un angolo buio del vostro io
profondo. La solitudine fa parte della nostra esistenza, è inutile cercare di
fuggire sempre da essa come se si trattasse di una pestilenza o di una
malattia. Piuttosto, dovremo cercare l’armonia fra la nostra parte maschile e
la nostra parte femminile, per sentirci meno soli quando il nostro partner
non saprà darci ciò di cui abbiamo bisogno, o quando non avremo una
spalla sulla quale piangere, o quando nessuna mano sarà lì ad accarezzarci
dolcemente la pelle, proprio quando ne avremmo più bisogno. In ogni caso,
per sicurezza, tenete sempre una bella tavoletta di cioccolata nella
dispensa, non si sa mai!

!157 !157
5.
Il vostro istinto vi suggerisce di fermarvi, di non fare una certa cosa, di
ritirarvi da un’impresa che non vi convince o di allontanarvi da una persona
che, a pelle, non vi piace? Ebbene, date ascolto a questo istinto: sono i
vostri Reni e la vostra vescica che parlano. Guai a non ascoltarli! Non c’è
nulla di male nell’ammettere di essere stanchi, non c’è nulla di male
nell’ammettere di non essere in grado di fare qualcosa o di svolgere un
determinato compito. Il senso del dovere va bene, ma la vostra vita non
deve diventare un unico, immenso dovere. Dimenticatevi quello che vi
hanno insegnato: non è vero che si deve vincere sempre, che si deve
sempre essere all’altezza, che si deve sempre finire ciò che si comincia. Si
può anche arrivare secondi ed essere contenti, se si sa di aver dato il
massimo. Si può anche fare del proprio meglio e comunque non
raggiungere il livello di aspettativa che altri avevano posto su di noi. È un
problema degli altri, lasciate che cambino le loro aspettative. Voi dovete
vivere e agire per ciò che siete e sentite, non per ciò che gli altri si
aspettano da voi. Si può anche interrompere un lavoro a metà, ritirarsi da
un’impresa già cominciata, scendere da un treno in corsa. Il mito del “dover
finire ciò che si comincia” è falso e conduce solo ad esaurire anzitempo le
proprie risorse energetiche. Questo non è né un invito alla mediocrità né
un’esortazione alla resa, ma semplicemente una riflessione sull’opportunità
di agire secondo quello che ci suggerisce il nostro istinto, che conosce i
nostri limiti e i nostri punti critici molto meglio di noi.

6.
Assecondate il più possibile i vostri bisogni fisiologici e lasciate perdere
quello che vi dicono gli esperti o le pubblicità televisive. Sapete voi ciò di
cui avete bisogno e in quale misura, non il comitato di esperti tal dei tali o
l’esperto Pinco Pallino. Tenete a mente che ogni persona è non solo
emotivamente, ma anche fisicamente, diversa da qualsiasi altra persona al
mondo. Ciò significa che ogni persona ha ritmi diversi, funzionalità
fisiologiche che percorrono strade diverse, esigenze e bisogni diversi.
Pertanto, diffidate dalle regole che vanno bene per tutti, perché non
esiste nulla che possa andare bene per tutti nella stessa misura.

!158 !158
Non siamo né computer, né robot, né macchine, ma esseri umani, individui,
microcosmi.
Per esempio, bevete quando avete sete. I famosi due litri di acqua al giorno
servono a farvi comprare dieci volte di più l’acqua che comprereste se
doveste ascoltare la vostra sete.
Non sono un medico e il mio è un consiglio non medico, né terapeutico,
privo di qualsiasi valore scientifico e senza alcun secondo fine, né tanto
meno il mio consiglio deve farvi trascurare ciò che magari vi è stato
prescritto da un medico o da qualcuno più bravo ed esperto di me (scusate
la precisazione, ma sapete, a dire cose del genere si rischia la galera,
conviene cautelarsi!).
Non sono un medico, ma sono un Uomo e ascolto non il comitato di super
esperti ma il Cuore, ascolto il mio istinto. Ascolto le esigenze del mio corpo
e credo ciecamente nel fatto che il mio corpo non sbagli mai, a suggerirmi
quello che è meglio per me. Se non ho sete, non bevo, punto e basta.
Conosco persone che, pur di arrivare ai due litri di acqua al giorno, bevono
controvoglia fino quasi a star male. Ma come fa a far bene una cosa che
bisogna introdurre con la forza nel nostro corpo e che il nostro corpo
rifiuta? Se il corpo esprime rifiuto, vuol dire che giudica non adatto
all’esigenza del momento ciò che gli stiamo facendo.
Certo, è pur vero che, dopo, si urina molto. E lo credo bene! Ricordatevi
però che le urine sono un mezzo attraverso il quale il corpo si libera dalle
tossine che i Reni, i quali filtrano sangue (e non acqua: l’informazione
pubblicitaria travestita da informazione medica arriva a tal punto che molti
credono che bevendo molta acqua si “lavino” i Reni!) hanno detratto dal
tessuto ematico. Se bevete due litri di acqua senza averne necessità fisica,
la piscerete fuori così come l’avete bevuta. Potreste rimetterla in bottiglia e
usarla un’altra volta, tanto avrebbe lo stesso identico sapore. Avrete solo
fatto fare ginnastica alla vostra vescica, e non vi è costata neppure poco, se
pensiamo a quello che costa l’acqua! Dietro questa esigenza del bere ad
ogni costo si cela un business di proporzioni colossali. Numerosi dossier su
importanti riviste italiane uscite proprio di recente confermano queste
considerazioni. Personalmente, ritengo che in qualunque campo in cui siano
le regole del business a farla da padrone, gli interessi delle persone
vengano sacrificati a vantaggio degli interessi del commercio. Del resto,

!159 !159
amici miei, vi mangereste due etti di pasta al forno senza avere fame?
Andreste a letto senza avere sonno? Andreste in bagno senza avvertire lo
stimolo? E allora perché dovreste bere senza avere sete? Il corpo sa meglio
di voi se ha bisogno di liquidi e, se ne ha bisogno, state pur certi che vi farà
venire sete.
Ma come fa un esperto che neppure sa chi siete a consigliarvi, a priori, che
avete bisogno di bere una determinata quantità di acqua?
Ma vi ha visitato?
Ma vi ha controllato il livello di liquido che ristagna nei vostri tessuti?
Ma vi ha visto in faccia?
Come potete credere che un uomo alto un metro e novanta che pesa
centoventi chili e che lavora in un cantiere edile, abbia bisogno della
medesima quantità di acqua di una donna alta un metro e sessanta, che
pesa quaranta chili e che trascorre le sue giornate davanti alla televisione?
In effetti non è possibile, direte voi adesso. E magari siete fra quelli che la
mattina si fanno venire il vomito pur di bere il loro mezzo litro di acqua a
stomaco vuoto. Bisogna riflettere attentamente e allora sarà chiaro che
qualcosa non torna. Eppure, le etichette delle acque minerali parlano chiaro
e promettono il miracolo: su ogni etichetta c’è scritto che l’acqua che state
bevendo può avere effetti diuretici. Per forza! Anche il the freddo, se è per
questo. Anche la candeggina, se vogliamo essere pignoli: a berne due litri,
prima o poi (se non ci lasciate le penne) dovrete pisciarla fuori. Insomma, è
come se sulla scatola di spaghetti ci fosse scritto che la pasta può avere
effetti sulla defecazione. Mangiate un chilo di pasta e una paio di polli
arrosto e il giorno dopo sarete seduti sulla tazza del gabinetto, garantito. E
quanta ne farete!
Chiedete ai vostri genitori o ai vostri nonni se, ai loro tempi, c’era l’usanza
che abbiamo oggi di andarsene tutti in giro con una bottiglia di acqua in
tasca. Bevevano a pranzo e a cena o quando avevano sete e vi posso
assicurare che le patologia renali non erano più gravi o più comuni di
quanto non lo siano oggi, anzi. E come facevano una volta, che non c’era
l’acqua con poco sodio o con tanto sodio, con il residuo fisso, con i sali
minerali, l’acqua leggera, magra, snella, pesante, dimagrante, drenante?
Voi pensate solo che, per andare sul sicuro, dovreste bere l’acqua del
rubinetto, che è quella più attentamente controllata e che, come unico

!160 !160
difetto, può presentare quello di non avere un buon sapore. Per il resto, è
pur vero che molte acque presenti in commercio hanno composizioni
diverse, ma gli effetti sul nostro organismo non sono poi così macroscopici
come vorrebbero farci credere.
Lo ripeto, il ragionamento che ho fatto mi viene dal Cuore e prendetelo così
com’è. È stata una chiacchierata, ma mi auguro che vi abbia fatto riflettere,
per lo meno su tutti quei comportamenti che pratichiamo giorno dopo
giorno solo perché ci viene detto di farlo. Riappropriamoci di noi stessi,
usiamo la nostra testa! Abbiamo tutti gli strumenti che ci servono per
sapere che cosa ci serve, basta stare attenti!
Non vi sto consigliando di non bere, beninteso. Vi sto consigliando di
ascoltare le vostre esigenze, prima di eseguire pedissequamente gli ordini
che vi vengono imposti dall’alto. Avete la vostra testa per ragionare, perciò
usatela. Non siete meno competenti del fantomatico esperto della salute,
per quanto riguarda voi stessi, anche perché voi vi conoscete molto meglio
di qualsiasi altra persona.

La verità è che, secondo me, la scienza non ha tutte le risposte. Io sono una
persona piuttosto razionale, amante di tutto quello che viene dalla scienza
e dalla scoperta scientifica, eppure non credo che solo quello che dice la
scienza sia vero, perché la scienza non vede tutto e, soprattutto, non riesce
a dimostrare tutto. E non è che, se una cosa non si vede, allora non esiste.
Pensate, ad esempio, che noi esseri umani vediamo solo una piccolissima
parte di quel che c’è da vedere, perché i nostri occhi sono tarati per essere
colpiti da onde che hanno solo una determinata frequenza. Altri animali,
invece, possono vedere molto di più di noi, perché dispongono di una vista
per così dire a raggi infrarossi, che permette ai loro occhi di essere colpiti
anche da onde aventi frequenze diverse. Quindi, il fatto che noi non
vediamo al di sotto della soglia del rosso, non significa che al di sotto di
quella soglia non ci sia nulla: significa solo che noi non lo vediamo.
I dati scientifici sono numeri che, se non interpretati nel contesto di una
realtà soggettiva, vogliono dire tutto oppure nulla, lasciando perdere
l’ipotesi obbrobriosa degli interessi personali che spesso “pilotano” i dati
rilevati in una direzione piuttosto che in un’altra.

!161 !161
D’altro canto, molti di noi (ero così anch’io, una volta, prima di lasciare che il
Cuore prendesse il sopravvento), hanno bisogno di “numeri” per stare bene,
per avere certezze, per sentirsi tranquilli. Tuttavia, permettetemi di ribadire
che i “numeri” non sono tutti, c’è molto di più, molto altro.
Se così non fosse, non saprei come spiegarmi quei clienti che vengono da
me afflitti da dolori o mali insopportabili, eppure sono clinicamente
sanissimi, con tutti i valori al posto giusto e nessuna alterazione fisica
riscontrabile. Del pari, non saprei spiegarmi nemmeno quei clienti che
vengono da me allarmati perché ogni loro valore è sballato, eppure stanno
benissimo, non avvertono alcun sintomo, non percepiscono alcun problema.
Non voglio dare risposte, vi punzecchio con queste domande parzialmente
retoriche solo per stimolarvi la curiosità, per invitarvi alla riflessione, ad una
visione più consapevole della realtà che vi circonda. Pensate e pensate.
Usate la vostra testa. Prendete coscienza, è il primo passo verso lo star
bene.
Chiudo questo paragrafo con un passo tratto dal meraviglioso libro “Il
piccolo Principe”, di Antoine De Saint-Exupery, che parla proprio di quanto
abbiamo detto fino ad ora.

“[…]per i grandi che amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo
amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: “Qual
è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di
farfalle?”. Ma vi domandano: “Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa?
Quanto guadagna suo padre?”. Allora soltanto credono di conoscerlo.
Se voi dite ai grandi: “Ho visto una bella casa in mattoni rosa, con dei gerani
alle finestre e dei colombi sul tetto”, loro non arrivano ad immaginarsela.
Bisogna dire: “Ho visto una casa di centomila lire”, e allora esclamano:
“Com’è bella”.
Così se voi gli dite: “La prova che il piccolo principe è esistito, sta nel fatto
che era bellissimo, che rideva e che voleva una pecora. Quando uno vuole
una pecora è la prova che esiste”.
Bè, loro alzeranno le spalle e vi tratteranno come un bambino. Ma se voi
invece gli dite: “Il pianta da dove veniva è l’asteroide B612”, allora ne sono

!162 !162
subito convinti e vi lasciano in pace con le domande. Sono fatti così. Non c’è
da prendersela. I bambini devono essere indulgenti con i grandi”.16
Così, se vi dico che la Paura è collegata ai Reni e all’emozione del tremito, i
Grandi non mi ascoltano. Ma se dico loro che un forte spavento, dal punto
di vista fisiologico, provoca una reazione a livello del nostro sistema
endocrino e, in particolare, uno stress delle ghiandole surrenali, le quali
producono una quantità eccessiva di adrenalina la quale, a seguito di un
fenomeno di vasocostrizione-vasodilatazione, fa venire la tremarella, allora
nessuno ha niente da obiettare.
Vogliamo per un po’ smettere di essere Grandi e ragionare come Bambini?
Ma avete idea di come sarebbe tutto più semplice, di quanto meglio
staremmo?

7.
Il corpo vi parla anche e soprattutto attraverso il linguaggio del cibo.
Abbiamo già visto che, secondo la Medicina Tradizionale Cinese, ogni
organo ha una corrispondenza con un particolare sapore e che, pertanto,
ogni organo ha anche bisogno, per funzionare bene, di un determinato
apporto di quel sapore. La nostra psicologia conferma questa teoria,
quando parla di “cibo terapeutico” e quando associa a determinati “tipi”
caratteriali alcune caratteristiche alimentari.
Ogni organo, quindi, va gratificato con il suo sapore corrispondente e, di
conseguenza, con il cibo adeguato.
Quale e in quale quantità? E chi lo sa!
Lo saprete meglio voi di me, basta stare attenti a quello che il vostro corpo
vi dice.
Una disciplina scientifica relativamente moderna (ma che sta fa facendo
passi da gigante, per fortuna), chiamata psiconeuroimmunologia (ne
parleremo più approfonditamente in seguito), ha dimostrato, tramite lo
studio del cervello e della produzione di determinate sostanze prodotte in
risposta a determinati stimoli, che il nostro corpo è “pensante”, cioè si auto-
analizza ininterrottamente e si tiene costantemente all’erta in merito ai
bisogni, alle carenze, alle situazioni di allarme. Quando il corpo ha bisogno
di qualche sostanza, ecco che questa viene prodotta istantaneamente.

16 Saint-Exupery, Antoine De, Il piccolo principe, ed. Bompiani

!163 !163
Quando, però, questo processo, per qualche ragione, soprattutto per
troppo “stress” è alterato o rallentato, allora il corpo ricerca all’esterno
quello che non trova all’interno. Il nostro corpo non conosce le farmacie,
non sa che hanno inventato supposte, integratori, bustine, pastiglie. Il
nostro corpo conosce solo quello che l’istinto atavico, regolato ed in
armonia con Madre Natura, gli fa conoscere. Lo sapevano bene i primi
medici cinesi, quando ad ogni organo hanno abbinato un particolare
sapore. Ricordiamoli: l’aspro per il Fegato, l’amaro per il Cuore, il dolce per
lo Stomaco, il piccante per i Polmoni, il salato per i Reni.
Il nostro corpo, dunque, non sbaglia mai nel consigliarci qual è il cibo
migliore per un determinato momento e, per costringerci ad assumerlo, ce
ne fa “venire voglia”.
Avete presente quei momenti in cui avete il desiderio irrefrenabile di una
fetta di torta piuttosto che di un buon caffè, piuttosto che di un bel fritto
misto con tante patatine?
Oppure, avete presente quelle persone che nella loro alimentazione
abbondano particolarmente di un sapore o di un cibo? Quelli che, ad
esempio, non vivono senza almeno sette o otto caffè al giorno? Quegli altri
che si mangiano un peperoncino rosso al giorno? Quelli che proprio non
possono proprio fare a meno dei dolci?
Tutte queste persone dimostrano che il loro corpo li induce a cibarsi in una
maniera ben specifica. Noi, magari, crediamo che si tratti semplicemente di
una questione di gusti ed in effetti, dal punto di vista generale, è così, ma la
domanda da porci è: perché una persona ha quel particolare gusto e
un’altra persona ne ha un altro? Possibile che si tratti solo di coincidenze?
Il consiglio è quindi quello di non negarsi mai cose di cui il corpo ci fa
venire voglia.

Mangiare quello che si vuole, nella quantità che si desidera.

Il cibo non fa mai male e, anche se è assunto in quantità eccessive e


provoca “alterazioni” dei nostri valori metabolici, non necessariamente
questi valori sono indice di qualche cosa che non va ma, magari, ci stanno
risparmiando qualche disagio più grave.

!164 !164
So benissimo che siamo talmente educati a certi concetti che l’asserzione
di cui sopra farà storcere il naso a molti.

Il fatto è che viviamo costantemente entro confini che altri ci hanno


prefissato e impostiamo le nostre convinzioni su stereotipi che non ci
prendiamo mai la briga di analizzare con attenzione.

Ve lo ripeto, il primo segreto per trovare la “felicità in tasca” è quello di


aprire gli occhi, di vivere la nostra vita in modo critico.
Se alcuni cibi provocano il colesterolo, perché non tutti quelli che ne
mangiano hanno le stesse reazioni metaboliche? In un interessante
esperimento condotto da un’equipe di ricercatori qualche anno fa, ad alcuni
gruppi di cavie erano state somministrate sostanze per innalzare i loro livelli
di colesterolo. Ogni gruppo di cavie era affidato ad un ricercatore che
conduceva le sperimentazioni in maniera identica a tutti gli altri. Di tutti i
gruppi presi in esame, solo uno non aveva sviluppato gli stessi, gravi valori
di colesterolo. Si è scoperto che il ricercatore cui era affidato quel gruppo si
tratteneva spesso con i suoi topolini e li coccolava, parlava con loro, ci
passava del tempo. Fantasie, direte. Forse. Ma forse no.
Di certo, non è una fantasia che cento grammi di burro contengono la
stessa quantità di colesterolo di un uovo e che, per mangiare cento grammi
di burro, ci vuole un bel po’ di tempo. Non è nemmeno una fantasia il fatto
che il burro sia più dannoso della margarina, poiché per “costruire”
quest’ultima si utilizza un procedimento, detto di idrogenazione, che
consiste nel trasformare i grassi di origine vegetale (insaturi) in grassi di
origine animale (saturi). Alla fine, la margarina fornisce le stesse
caratteristiche del burro, con la non trascurabile differenza che è meno
buona e che non contiene vitamina D, della quale, invece, il burro è ricco.
Pensate a quante persone rinunciano al burro, convinte di star meglio!
Andiamo avanti con le domande, comunque. Se il salame fa venire i brufoli,
perché non tutti quelli che lo mangiano li hanno?
Se la cioccolata fa venire i brufoli, perché non sempre vengono a chi ne
mangia?
La risposta è che “la comparsa dei brufoli sulla pelle ha poco a che vedere
con quello che mangiamo. Un brufolo, infatti, è una ghiandola sebacea

!165 !165
infiammata in seguito all’infezione di un lievito o di un batterio. La funzione
delle ghiandole sebacee è quella di fornire alla pelle il sebo, la sostanza
grassa che la rende così morbida, ed il funzionamento di queste ghiandole è
sotto il controllo ormonale. […]. La cioccolata non contiene alcuna sostanza
capace di influire sugli equilibri ormonali”.17
Se i dolci fanno venire il diabete, perché non viene a tutti quelli che
mangiano torte e zuccheri in quantità?
Se il caffè agita e non fa dormire, perché ci sono persone che ne bevono a
litri (per esempio, molte popolazioni sudamericane, che assumono caraffe
intere di caffè per mantenersi freschi… e rilassati!) e non hanno problemi di
insonnia?
Perché se il fumo fa venire il cancro ai Polmoni, in un reparto di oncologia
solo il 50% dei malati di cancro ai Polmoni è composto da fumatori? E quelli
che muoiono di cancro ai polmoni senza aver mai toccato una sigaretta?
Poveri loro, tante rinunce per niente!
Perché la vostra amica mangia solo carote crude e yogurt senza grassi,
eppure non dimagrisce di un solo etto e ha i valori del colesterolo alle
stelle?
Chiamatele come volete. Coincidenze, caso fortuito, sfiga. Il fatto è che
queste cose, la scienza non le spiega. E sapete perché? Perché gli scienziati
non sanno come spiegarle. Si trincerano dietro i loro termini da
combattimento come “genetico”, “predisposizione ereditaria”,
“metabolismo predisposto”, “alterazioni delle ghiandole” o, ancora peggio,
“psicosomatico” o “stress”. Troppo comoda, dico io. Quando non sanno che
cosa dire, i medici dicono “congenito” o “psicosomatico”, fateci caso.
Può anche essere vero. Può anche essere che, come spiegazione oggettiva
ad una reazione particolare ad un cibo particolare, ci sia uno
“psicosomatismo”, un “congenitismo”, una “intolleranza alimentare”. Ma
tutto questo ancora non risponde alla domanda che ci ha spinto in questa
ricerca e che ci ha portato fino a qui: perché? Perché una persona diventa
intollerante ai peperoni? Perché una persona si ammala a causa di uno
psicosomatismo?

17 Cannella C. e Carrada G., I miti dell’alimentazione, ed. TEA

!166 !166
Se siete arrivati fino a qui, forse adesso avrete le idee un po’ più chiare in
proposito. Tuttavia, se le vostre idee sono ancora un po’ confuse, state
tranquilli: ne parleremo ancora.

“Gli scienziati si sono in gran parte formati alla scuola del materialismo. È
una matrice estremamente rigida composta da un insieme di dogmi che
non sono necessariamente spiegati scientificamente! Ad esempio, affermare
che la nostra esistenza non è altro che un intreccio biologico senza cercare
di comprendere tutto ciò che non rientra in questo insieme –col pretesto
che non è “scientifico”- è non solo un dogma: peggio, è una superstizione!
La scienza è piena di superstizioni, di credenze di ogni genere… ma ciò che
più sconcerta è che la gente è persuasa che la scienza abbia una risposta a
tutto”
(John Eccles, premio Nobel per la medicina)

Tornando al nostro cibo e alle regole per star bene, quindi, vi ripeto:
mangiate quello che volete e, soprattutto, quando ne avete particolare
voglia, perché in quel momento il vostro corpo vi sta mandando un
messaggio importante.
In pratica, il vostro corpo ha trovato dentro di voi una carenza nell’energia
di un determinato organo o metabolismo, dovuta al fatto, come abbiamo
visto, che non c’è armonia relativamente ad un particolare sentimento. C’è
tensione, c’è conflitto, c’è disequilibrio.
Così, visto che il vostro cervello non vi permette di vivere l’emozione e di
alimentare la rispettiva energia, il vostro istinto vi suggerisce di alimentare
almeno la materia relativa all’organo che sta soffrendo. Se voi, a questo
punto, vi fidate del vostro intuito e assecondate i vostri pensieri, ecco che,
così facendo, avrete almeno compensato le vostre carenze emozionali con il
rimedio naturale più opportuno: non è la stessa cosa che vivere
compiutamente l’emozione, ma almeno i danni sono limitati. Se, viceversa, a
causa dei dettami della falsa informazione secondo i quali “questo fa male”,
“questo fa ingrassare”, “questo fa venire il colesterolo” etc., vi asterrete
dall’assecondare le vostre voglie e dal soddisfare i vostri bisogni, ecco che
avrete combinato, senza volerlo, un bel pasticcio.

!167 !167
Non solo, infatti, avete negato a voi stessi lo sfogo liberatorio di
un’emozione, ma vi siete negati anche la “medicina” naturale per
compensare a questa mancanza.
Rivediamo, ora, giusto per dare una rinfrescata alla memoria, i sapori che la
medicina cinese attribuisce agli organi che vi mantengono in vita.

ORGANO SAPORE ESEMPIO


FEGATO ASPRO LIMONE
CUORE AMARO CAFFE’, CACAO AMARO
STOMACO DOLCE PANE, PASTA
POLMONI PICCANTE PEPERONCINO
RENI SALATO PESCE

È ben vero che si dovrebbe mangiare un po’ di tutto ed in misura equa, ma


quando ciò non accade, aspettiamo, prima di prendere decisioni affrettate
su noi stessi o prima di dare un giudizio su qualcuno che ci è vicino.
Cioè, prima di rinunciare ad un cibo solo perché ci hanno detto che fa
male, pensiamo almeno al fatto che quel cibo, probabilmente, ci
servirebbe per dare un po’ di energia, un po’ di carburante, ad un organo
al quale abbiamo negato la voce.
Parimenti, prima di decidere che una persona “sbaglia” perché si abbuffa di
un determinato sapore, riflettiamo sul fatto che quella stessa persona,
probabilmente, sta compensando con quel cibo una particolare carenza.
Ancora, la prossima volta che ci capiterà di incontrare persone che
mangiano solo determinate cose e detestano completamente il sapore di
altre, proviamo a pensare che cosa stanno cercando di comunicare i loro
corpi.
Naturalmente, dopo aver letto queste pagine, vi verrà l’istinto di “forzare”
un po’ la mano, magari introducendo nella vostra dieta un sapore o un
alimento che proprio non tollerate, pur di avere “equilibrio”. Non fatelo.
Ricordatevi di ascoltare il vostro corpo, anche quando vi comunica
attraverso segnali come il rifiuto di un cibo. Non bisognerebbe mai sforzarsi
di far nulla, perché ogni volta che ci si sforza, che ci si costringe a fare
qualcosa che non ci va, si commette una piccola violenza su noi stessi. È

!168 !168
vero che la verdura fa bene, insomma, ma se proprio uno non ne ha voglia,
non bisogna costringerlo a mangiarla! E poi non fate come quella mia
cliente alla quale, per suo marito e i suoi figli, avevo consigliato l’aggiunta
delle melanzane nella loro alimentazione: gliele ha preparate per settimane,
mattino pomeriggio e sera, sette giorni su sette! I poveretti non ce la
facevano più!

Trovare la felicità in tasca vuol dire cominciare a stare bene e ad essere


sereni nella vita di tutti i giorni, che è già complicata e difficile per i fatti
suoi: ci mancano solo le rinunce e i sacrifici sul cibo, che è uno dei più
importanti piaceri della vita, anzi che è la vita stessa!

Pensate ad una povera donna che non riceve coccole dal marito, il quale la
sera la lascia sola per andare con gli amici. La sua consolazione è guardarsi
la televisione con un barattolo di gelato e un sacchetto di patatine sul
divano. Vi sentireste di dirle che il gelato potrebbe alzarle il livello di
glicemia e che le patatine potrebbero affaticarle il Fegato? Credete che una
donna del genere starebbe meglio se non mangiasse cose del genere e si
sgranocchiasse una carota cruda, che fa tanto bene alla dieta? Ma che razza
di consolazione è, una carota cruda! Datela al vostro coniglio, forse lui sarà
contento!

Il cibo deve diventare la nostra coccola, il nostro amico, il nostro


personale benzinaio che ci fa il pieno di energia, il nostro alleato per star
meglio.

Allora, avete capito che i primi dottori che vi visitano tutti i giorni siete voi?
E avete capito che tutte le medicine che vi servono ve le prescrivete da
soli?
Mi auguro di sì. Ora andiamo avanti.

!169 !169
OTTAVO TASSELLO

SII SINCERO CON TE STESSO


E CHIEDITI CHE COSA TI PIACE,
CHE COSA TI PIACE DAVVERO.

PENSA AI COLORI,
AI SAPORI,
AI PROFUMI,
ALLE COSE.

HAI CIO’ CHE DESIDERI?


MANGI CIO’ CHE TI PIACE?
TI VESTI COME VUOI?

ASCOLTA IL CUORE,
NON GLI ALTRI.

GUARDA DENTRO DI TE,


NON LE IMMAGINI
CHE TI VENGONO MESSE
DAVANTI AGLI OCCHI.

CREDI A QUELLO CHE TI DICE IL CORPO,


CREDI AI SUOI DESIDERI,
CREDI AI SUOI BISOGNI.

DAGLI CIO’ CHE DESIDERA,


CIO’ CHE CHIEDE,
CIO’ DI CUI HA BISOGNO.

!170 !170
ESERCIZI

A QUESTO PUNTO DOVETE FARVI UN’ATTENTA ANALISI DI COSCIENZA.


NON RISPONDETE IN FRETTA, PRENDETEVI TUTTO IL TEMPO CHE VI
S E RV E , P E R C H E ’A LT R I M E N T I R I S C H I E R E ST E D I R I S P O N D E R E
AUTOMATICAMENTE, SECONDO IL VOSTRO SCHEMA MENTALE ATTUALE
E NON SECONDO LA VOSTRA VERA INDOLE.
A VOLTE, SIAMO COSI’ ABITUATI A FARE QUELLO CHE VA BENE AGLI
ALTRI CHE CI DIMENTICHIAMO QUELLO CHE DAVVERO CONTA PER NOI.
PERCIO’, PRIMA DI RISPONDERE, RIFLETTETE BENE.

PENSATE ALLE COSE CHE VI PIACCIONO DI PIU’: CIBI, SAPORI, COLORI E


ANNOTATE LE VOSTRE SCELTE.
GUARDATE LA LISTA E CHIEDETEVI: QUANTE DI QUESTE COSE SONO
PRESENTI NELLA MIA VITA?
A QUANTE RINUNCIO?
SE RINUNCIO A QUALCHE COSA CHE MI PIACE, PERCHE’ LO FACCIO?
CHI MI HA DETTO DI FARLO?
L’AVERCI RINUNCIATO MI HA DAVVERO PORTATO I BENEFICI CHE MI
ERANO STATI PROMESSI?

(Riflettete molto su quest’ultimo punto, anche se sembra banale. Una mia


cliente presentava alcuni valori “fuori posto” ed il suo medico le ha
prescritto una dieta molto severa, che prevedeva l’eliminazione di molti
alimenti per i quali la mia cliente andava “matta”. Dopo un anno di sacrifici
e sofferenze, i valori in oggetto non erano cambiati per nulla e io, allora, le
ho chiesto il perché di tutte quelle rinunce. Avere i valori alti mangiando
cose che piacciono o avere i valori alti mangiando cose che non piacciono,
le ho detto, allora tanto vale mangiare come si vuole! “Non ci avevo
pensato” ha detto lei).

ADESSO STENDETE UNA PICCOLA LISTA DI COSE CHE FATE


CONTROVOGLIA, MAGARI PERCHE’ VE LE HA CONSIGLIATE UN’AMICA O
UN AMICO, MAGARI PERCHE’ AVETE LETTO QUALCHE ARTICOLO

!171 !171
INTERESSANTE SU QUALCHE RIVISTA, MAGARI PERCHE’ “…GIRA VOCE
CHE…”.
PER ESEMPIO: FRA LE COSE DA INSERIRE NELLA LISTA, CI POTREBBE
ESSERE IL MANGIARE IN UN CERTO MODO, IL MANGIARE GRANDI
QUANTITA’ DI DETERMINATI ALIMENTI, IL BERE PARTICOLARI QUANTITA’
DI ACQUA, ASSUMERE INTEGRATORI, ETC.
NON SEGNATE LE COSE CHE FATE PERCHE’ VI PIACCIONO O NE AVETE
BISOGNO, QUELLE CHE FARESTE COMUNQUE. SEGNATE SOLO LE COSE
CHE FATE DIETRO SUGGERIMENTO DI QUALCUNO E CHE VOI, DA SOLI,
NON VI SARESTE MAI MESSI A FARE.
ORA CHIEDETEVI:
QUELLO CHE MANGIO MI PIACE?
SONO SODDISFATTO DI CIO’ CHE ASSUMO?
BEVO CONTROVOGLIA O SOLO QUANDO HO SETE?
OTTENGO RISULTATI ADEGUATI IN BASE AI SACRIFICI CHE SONO
COSTRETTO A FARE?
QUANTE ALTRE VOLTE HO PROVATO A FARE LA PARTICOLARE DIETA, A
RINUNCIARE ALLA PARTICOLARE COSA?
QUANTE VOLTE HO AVUTO RISULTATI DURATURI?
MA ALLORA, SERVE DAVVERO TUTTO QUELLO CHE FACCIO?

NOTA:
Quelle che precedono sono semplicemente riflessioni. Non si tratta di
consigli medici né, soprattutto, le mie riflessioni devono essere interpretate
come un invito a disattendere ciò che, per la vostra salute, vi è stato
prescritto da persone competenti. Sono riflessioni rivolte a tutte quelle
persone che, da sole, per i fatti loro, suggestionate da articoli “esagerati” o
da dicerie infondate, si buttano a capofitto in avventure alimentari o in
stress fisici che non solo non danno i risultati sperati, ma a volte producono
anche spiacevoli conseguenze.
Sono considerazioni, per finire, che hanno solo la finalità di stimolare la
riflessione e la consapevolezza di ciò che si fa giorno dopo giorno, senza,
spesso, chiedersi il perché dei nostri gesti e delle nostre azioni.

!172 !172
I MIEI CIBI, COLORI, SAPORI PREFERITI

CIBO, COLORE, SAPORE… SONO PRESENTI NELLA


MIA VITA?
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.

DOPO AVER COMPLETATO LA TABELLA, CONSIDERATE CHE DOVRESTE


AVERE, COME MINIMO, SETTE RISPOSTE AFFERMATIVE ALLA DOMANDA
“SONO PRESENTI NELLA MIA VITA” (si intende: in maniera considerevole
o, quanto meno, nella misura in cui si desiderano).
SE LE RISPOSTE AFFERMATIVE SONO MENO DI SETTE, RIFLETTETE E
RILEGGETEVI IL CAPITOLO!

!173 !173
LE COSE CHE FACCIO (MANGIO, BEVO…) CONTROVOGLIA

COSE CHE FACCIO, MANGIO, BEVO… MI SERVE DAVVERO?


CONTROVOGLIA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.

SE AVETE RIEMPITO TUTTA LA TABELLA, SIETE GIA’ NEI PASTICCI. MI


AUGURO ALMENO CHE TUTTO QUELLO CHE FATE CONTROVOGLIA VI
SERVA DAVVERO.
SE, INVECE, AVETE RIEMPITO LA TABELLA E AVETE UNA MAGGIORANZA
DI RISPOSTE NEGATIVE ALLA DOMANDA “MI SERVE DAVVERO?”,
RIFLETTETE A LUNGO E RILEGGETE IL CAPITOLO!

POTRA’ SEMBRARVI STRANO, MA LA COMPRENSIONE DI QUESTE


TABELLE UNITAMENTE, SOPRATTUTTO, AL CAMBIAMENTO DEI VOSTRI
COMPORTAMNETI IN RAGIONE DI QUELLO CHE AVETE APPENA LETTO,
PUO’ DAVVERO FARVI FARE UN ENORME PASSO AVANTI NEL
RAGGIUNGIMENTO DEI VOSTRI OBIETTIVI!

!174 !174
RESTIAMO IN CONTATTO

Quel che c’è di più profondo nell’uomo è la pelle


(Valere)

Continuiamo a parlare di quello che, per noi, possiamo fare noi stessi, prima
di rivolgerci ad altri.

Immaginate un bambino piccolo che accusa all’improvviso dolori di pancia.


Che cosa fa? Si tocca il pancino e comincia a massaggiarselo. Non forte, ma
piano, con movimenti circolari lenti e profondi. Lui non lo sa, ma sta
eseguendo un linfodrenaggio in zona addominale con una manualità da far
invidia alla vostra estetista.
Immaginate un bambino che ha un braccio pieno di punture di zanzare. Che
cosa fa, quando ha prurito? Si lecca la puntura e trova sollievo. Lui non lo sa
(ma il suo istinto lo sa perfettamente) che nella saliva è contenuto un
enzima con forti proprietà antistaminiche (cioè, un enzima che fa passare il
prurito), e così va avanti convinto a dare delle belle leccate.
Immaginate un bambino che cade a terra e prende una botta al ginocchio. Il
suo ginocchio diventa rosso e caldo. Lui che cosa fa? Naturalmente,
piangerà e griderà come un matto ma, dopo le medicazioni della mamma,
finché la botta sarà ancora “calda”, ci appoggerà una mano sopra e, anche
se non lo sa, metterà in atto un principio chimico che si chiama osmosi e
che, per farla breve, permette che un po’ del calore eccessivo del ginocchio

!175 !175
(infiammazione) passi alla mano che, in quel momento, è meno calda del
ginocchio stesso.
Immaginate un bambino che ha dolore ad un gomito e non riesce ad
utilizzarlo bene, magari perché un giorno prima ha preso una botta. Ora il
gomito non fa più male, ma l’articolazione è un po’ impacciata. Il bambino
che cosa fa? Si frega energicamente in modo da svolgere (anche se lui non
lo sa) una forte azione iperemiante (cioè: “chiama” sangue in una zona in
cui ce n’è poco) e da lubrificare l’articolazione, in modo da ripristinare il
funzionamento dell’articolazione stessa.
Immaginate, infine, una mamma che vuol sapere se il suo bambino è
malato. Che cosa fa? Gli appoggia una mano sulla fronte per sentire se il
piccolo è caldo, gli fa tirare fuori la lingua, controlla se ha gli occhi lucidi,
prende le piccole mani del suo bambino fra le sue.

Avete capito dove voglio arrivare?


Se non ci siete arrivati, vi do una mano io.

Allora, qual è stata l’ultima volta, se ve la ricordate, in cui vi siete toccati?


Per “toccati” intendo non accidentalmente, quello lo facciamo tutti e tutti i
giorni. Toglietevi quel sorrisetto dalla faccia, perché non intendevo
nemmeno fare nessun doppio senso!
Volevo solo portare la vostra attenzione sul fatto che, nella nostra società
così attenta a promuovere le relazioni sociali e, al tempo stesso, così attenta
a fare in modo che tali relazioni non possano neppure cominciare, non ci si
tocca più: le malattie, i contagi, i batteri, i germi…
L’unica forma di contatto che per fortuna sopravvive (anche se in molti
casi, purtroppo, è in via di estinzione) è quella fra la mamma ed il suo
bambino. Per il resto, niente. Eppure, toccare il corpo è un’esperienza
fondamentale, perché permette di capire molte più cose di quelle che si
possano immaginare. Provateci anche voi.
Rilassatevi e toccate con delicatezza alcune parti del vostro corpo, per
esempio un ginocchio, la coscia, l’avambraccio, l’addome, il torace.
Come minimo, anche se non siete massaggiatori esperti, avrete notato che
alcune zone sono più fredde di altre. Con un po’ più di attenzione, avreste
potuto anche notare che alcune zone possono presentarsi più secche di

!176 !176
altre, altre zone possono essere gonfie, o molli, o dure. Inoltre, in alcune
parti del vostro corpo, la vostra mano avrà trovato peluria più o meno folta,
in altre parti del corpo avrà trovato un brufolo, oppure un neo.
Se poi, oltre a toccarvi, avete anche dato una fugace occhiata, ecco che
avrete senz’altro scoperto zone più rosse di altre, zone pallide, zone scure,
e così via.
Insomma, la morale è che il nostro fisico, oltre che con i sintomi con i quali
esprime i nostri disagi interiori, si esprime anzitutto con… se stesso.

Un medico cinese, ancora oggi, nell’anno 2004, una volta fattivi


accomodare nello studio, per prima cosa vi tasterebbe i polsi e vi farebbe
tirare fuori la lingua. Poi, inizierebbe a farvi domande sulla vostra vita, le
vostre abitudini, i vostri problemi. Strano, vero?
Sembra strano a noi, ma credetemi che non è strano per niente. Il dottore di
una volta, il “nostro” dottore, faceva lo stesso. Veniva a casa, ti toccava la
fronte, ti infilava la paletta di legno in bocca e ti ispezionava torace e
schiena. Si rimboccava le maniche e si dava da fare (senza guanti o
mascherine) e poi, a cose fatte, si dava solo una bella lavata con acqua e
sapone. Tutto qui.

I miei clienti sono molto più di semplici clienti, sono persone e su questo
importante concetto ho imperniato la mia attività. Ritengo che il rapporto
umano sia la chiave del successo per approcciarsi alle persone, vincere le
loro ritrosie e le loro chiusure, avvicinarsi un poco ai segreti della loro anima
e del loro Cuore. Le persone lo capiscono. Alcuni clienti al loro primo
appuntamento, stupiti, guardano addirittura con diffidenza ad un
personaggio così diverso dal solito (che poi sarei io, che strano non sono
proprio, a parte un tatuaggio di Batman sul bicipite destro e un bel dragone
di mezzo metro su una gamba!), così davvero interessato ai loro problemi,
ai loro guai, ai loro casini di tutti i giorni.
Non sono un missionario e non ho nessuna vocazione alla santità.
Semplicemente, sono un personaggio che chiede “come va?” e che, per
fortuna, dà l’impressione di essere interessato sul serio alla risposta che
riceverà, un personaggio che si prende la briga di toccare i loro corpi, sani o

!177 !177
malati che siano, senza guanti di plastica e senza mascherine sulla bocca
per evitare batteri, germi, contagi.
Una volta, una cliente affetta da una grave forma di psoriasi (enormi
macchie cutanee e squame, tanto per intenderci), voleva addirittura
impedirmi di toccarle le zone colpite dalla malattia, perché si faceva
riguardo e non le sembrava giusto che io dovessi toccare “quella roba”. Ci
ho messo quasi venti minuti a convincerla che era proprio necessario che io
la toccassi, per sentire come si presentava il tessuto, ma che fatica!

Quante volte mi sono soffermato a riflettere su questo aspetto del mio


lavoro, quello del contatto, dell’interesse per la persona prima ancora che
per i suoi problemi. Sono un uomo moderno, non un santone, un mistico
guaritore o un eremita di un altro tempo. Sono un uomo affascinato dalla
tecnologia, tanto da aver disseminato ogni angolo della mia abitazione e
del mio studio di aggeggi modernissimi.
Eppure, quando si tratta dei rapporti con le persone, con i miei clienti,
metto tutto da parte e lascio che a guidarmi siano i miei sensi e il mio
intuito.
I miei occhi per guardare e provare a vedere;
la mia bocca per parlare e dire;
il mio naso per annusare e cogliere ogni segnale;
le mie orecchie per mettermi a disposizione ed ascoltare tutto quello che la
gente vuole comunicarmi;
le mie mani per toccare e sentire il caldo e il freddo, il secco e l’umido, il
molle ed il duro.
E poi il Cuore, il Cuore sopra di tutto, per fare del mio meglio sempre e
comunque, e farlo con sincerità e amore. Dal mio punto di vista, del resto,
non si tratta di niente di eccezionale. Ai miei clienti dico sempre che se
andassero, il giorno stesso nel quale vengono a trovare me, nell’anno 2004,
da un medico cinese (non uno stregone o un mago, ma proprio un dottore
vero!), la prima cosa che egli farebbe, sarebbe tastar loro il polso ed
osservare la lingua. Poi, li guarderebbe con attenzione da capo a piedi e si
metterebbe a parlare, interrogandoli sul loro modo di vivere, ben attento a
cogliere qualsiasi possibile sfumatura degna di nota.

!178 !178
Nel sentire questo, spesso i miei clienti mostrano stupore o incredulità. Ma
come, un dottore che guarda la lingua? Un dottore che tocca il suo
paziente a mani nude, senza guanti di lattice e senza lo scafandro
antiradiazioni? Ma da che pianeta viene, ma non sa che ci sono i contagi,
che così si trasmettono i virus, che i batteri e i germi volano nell’aria e se ne
vanno in giro tutto il giorno?
Io sorrido sempre, di fronte a questa legittima incredulità, poiché
comprendo. Anche io, da adulto, prima di intraprendere la via sulla quale
sto ancora camminando, mi ero dimenticato di queste cose e, nel
riscoprirle, ho provato io stesso candido stupore. Eppure, a ben pensarci,
quando ero piccolo, se ero malato e il dottore della mutua veniva a casa,
prima di visitarmi, mi appoggiava una mano sulla fronte per sentire la
temperatura e mi faceva tirare fuori la lingua e dire “AHHHH”, mentre mi
infilava fino in gola la fatidica palettina di legno, aiutandosi a volte con le
sue grosse dita, che chissà che cosa avevano toccato prima!

Una volta, lo facevano. Non è vero che i medici cinesi sono strani e
alternativi, dico sempre ai miei clienti, e che praticano chissà quale strana
scienza: semplicemente, osservano il corpo nel suo insieme, visto e
considerato che non siamo fatti a compartimenti stagni e che, se una parte
di noi non sta bene, tutto il nostro essere ne è in qualche misura segnato. I
medici cinesi fanno tuttora quello che una volta facevano anche i nostri
dottori e che, forse, dovrebbero fare ancora, a partire da un attento esame
della superficie della lingua, che dice molto di più sullo stato di salute di
una persona di quanto a volte non faccia un esame del sangue. Soprattutto,
lo dice molto più velocemente e molto prima.
Il medico cinese, o comunque il terapeuta che si ispiri ai principi della
filosofia orientale non ha alcun interesse a curare la malattia: il suo interesse
è quello di guarire la persona, prima che la malattia prenda il sopravvento.
Amo citare spesso una massima che si ritrova in tutti i Trattati sulla
Medicina Tradizionale Cinese: IL MEDICO OCCIDENTALE CURA LA
MALATTIA, IL MEDICO ORIENTALE CURA L’AMMALATO.
Non sono di certo un fanatico, un maniaco delle cose “alternative” ad
oltranza. Anzi, da persona pragmatica e ragionevole quale spero di essere,
chiarisco sempre a tutti che il mio intento non è assolutamente quello di

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fare preferenze, di decidere che cosa sia meglio o peggio, perché in fondo,
credo io, non esiste né un meglio né un peggio. La Medicina Cinese ha
caratteristiche importantissime ed utilissime, ma anche dei limiti,
esattamente come quella Occidentale. Non si dovrebbe scegliere fra l’una e
l’altra, piuttosto utilizzare l’una o l’altra, a seconda del bisogno. Non si tratta
quindi, secondo me, di criticare per partito preso un tipo di medico a
vantaggio di un altro, ma di riconoscere che molte delle caratteristiche che
dovrebbero essere comuni ad entrambe le figure di Medico, considerata la
loro funzione ed il loro ruolo, purtroppo sono andate perdute.
Io insisto sempre nel chiedere, alle persone con le quali per caso finisco per
fare questi discorsi, quanti dottori, ad una prima visita, si prendono la briga
di toccare il polso, di sentire con le loro mani se la persona (che è una
persona, non un numero sul libretto sanitario) che hanno davanti è calda o
fredda, se è sudata o se ha la pelle secca, se le sue carni sono molli o sode.
Eppure, il nostro corpo denuncia proprio con questi segnali il suo
malessere, di qualsiasi natura esso sia. Una mano calda ed un corpo freddo,
significano qualcosa. Una mano fredda ed un corpo temperato, significano
qualcosa. Un colorito non uniforme, significa qualcosa. Una lingua sporca o
un occhio spento, significano qualcosa. Possibile che si trascurino elementi
così importanti? Possibile che, a volte, il medico non guardi nemmeno in
faccia la persona che ha bisogno, che magari ha paura e che si rivolge a lui
non solo per la ricetta ma anche per un consiglio o per una parola di
conforto, per vedere se è pallida o colorita, se ha un segno nero sotto gli
occhi o un’atonia del tessuto, se la sua espressione esprime serenità o
preoccupazione, dolore o angoscia?
Per me, e di questo ho fatto il principio portante del mio lavoro con le
persone, è sufficiente sapere che il nostro corpo parla per noi (e con noi) e
ci comunica molto più di quello che non siamo disposti a credere.
Del resto, secondo me, questo è giusto il motivo per il quale tutte le
discipline “alternative” stanno riscuotendo un così grande consenso,
sebbene non tutte diano risultati immediati e soddisfacenti e, soprattutto,
sebbene molte volte siano praticate da personaggi “improvvisati”, che
vendono a poco prezzo la loro scarsa preparazione, riempiendosi la bocca
di belle parole senza però che queste siano poi seguite dalla sostanza. Anzi,
colgo l’occasione per lanciarvi un monito, io che sono un Riflessologo e che

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faccio parte della schiera degli “alternativi”: diffidate sempre, diffidate di
tutti, diffidate delle promesse e dei bei discorsi. Fidatevi solo dei risultati,
sempre e solo di quelli. Non basta dire di essere un bravo terapista, di
conoscere l’ayurveda, di essere un eccellente conoscitore dei fiori di Bach:
bisogna dare risultati concreti e voi dovete credere solo a quelli. Per quanto
riguarda poi l’intrinseca efficacia dei vari rimedi naturali… beh, direi che
ogni rimedio può essere efficace, a suo modo, in relazione a ciò che ci si
aspetta. Spiegarvi questo, naturalmente, è compito di chi vi propone il suo
rimedio. Personalmente, quando mi chiedono se è possibile sistemare un
collo bloccato con i fiori di Bach, sorrido…
Tornando a quanto dicevo prima, e cioè che il successo di molte tecniche
alternative sia da ricercare nel disperato bisogno di contatto delle persone,
sono proprio convinto di questo fatto e cioè che, aldilà dell’indubbia
efficacia di alcune di queste tecniche, quello che veramente conta è il
rapporto umano instaurato fra la persona che ha un problema e chi si
prende cura di lei. Ed è proprio questo rapporto che, purtroppo, viene
spesso a mancare con la figura del medico cosiddetto “tradizionale”, il
quale spesso e volentieri assolve ad una mera funzione di prescrittore di
medicine.
Una persona va dal dottore, gli enumera i sintomi che ritiene di avere e
questi gli scrive una bella ricetta con tutti i medicinali che occorrono. La
maggioranza delle volte, senza nemmeno prendersi la briga di osservare chi
gli sta di fronte, di spogliarlo, di toccarlo, di parlargli e di provare a capire il
motivo che ha provocato il disagio.
I Medici “alternativi”, quindi (che poi, in effetti, non sono alternativi a
niente), non fanno cose strane: osservano quello che la persona vuole far
vedere, attraverso il suo corpo, lo stesso corpo che è a disposizione di
chiunque si voglia prendere la briga di guardarlo. Il corpo ce lo abbiamo
tutti sotto gli occhi.
E, a volte, non serve una laurea in medicina per riconoscere e comprendere
un disagio od una sofferenza. Basta guardare, osservare.
A quanto pare, si tratta di un problema molto sentito, se una corrente di
pensiero piuttosto corposa contrappone al modello di medicina “incentrata
sulla malattia” un modello di medicina “incentrata sul paziente”.

!181 !181
Egidio A. Moja, ordinario di Psicologia Generale all’Università degli Studi di
Milano e direttore del centro C.U.R.A. (Centro Unitario Ricerca Aspetti
Comunicativo-Relazionali in Medicina), sul mensile di psicologia YOURSELF
(numero di agosto 2004), scrive: “Questo modello [di medicina incentrata
sul paziente], allargato ma non certo alternativo rispetto al modello
tradizionale, suggerisce al medico di valutare l’opportunità di esplorare
nelle visite –oltre alla malattia ed al trattamento- la prospettiva del paziente.
[…] La medicina incentrata sul paziente ha uno specifico interesse per gli
scambi comunicativo-relazionali che caratterizzano le visite mediche. […] Se
il mio scopo è quello di formulare una diagnosi precisa e di comprendere le
interpretazioni di malattia del paziente, dovrò inevitabilmente rivolgermi a
lui –momento relazionale- per comprendere, tramite la comunicazione e
l’ascolto, la sua prospettiva. […] Il medico incontra persone e non malattie.
[…] La letteratura dimostra che una visita medica incentrata sul paziente
produce informazioni cliniche più complete, a parità di tempo, di una visita
centrata sulla malattia; è seguita da una maggior soddisfazione sia del
medico sia del paziente; aumenta il grado di aderenza alla terapia;
diminuisce le cause di errore”. 18

Sono assolutamente sicuro del fatto che ogni persona sa molto più di
quello che crede di sapere. Tutti gli strumenti per un’anamnesi del nostro
stato di salute sono intorno all’essere umano e dentro di lui. Naturalmente,
nessuno ha i raggi X al posto degli occhi, così nessuno è o sarà mai in grado
di diagnosticare la scomposizione di una frattura o le esatte dimensioni di
un’ulcera. Ma è necessario avere un osso rotto o un’ulcera di due centimetri
per poter dire di star male? E tutto il resto? E poi, non ci si poteva
accorgere prima di essere in procinto di avere un’ulcera?
E’ importante non fare confusione, però. Così, io sottolineo sempre a tutti di
non essere assolutamente in disaccordo con la cosiddetta “medicina
convenzionale”, anzi. Essa offre una serie di strumenti favolosi ed utilissimi,
in grado di fare davvero dei miracoli e di salvare vite umane con una
velocità ed una tempestività altrimenti irraggiungibili. Sarebbe solo bello ed
auspicabile che questi strumenti fossero usati solo quando sono davvero

18 Rivista YOURSELF, anno I, numero 7, agosto 2004.

!182 !182
necessari e che, a loro vantaggio, non fosse per forza sacrificato il contatto
di una mano comprensiva.
Con l’avanzare della tecnologia, l’uomo è riuscito a raggiungere livelli
sempre più profondi di conoscenza. È riuscito a vedere persino l’atomo e
poi, non pago, è andato oltre, fino alle particelle subatomiche e poi ancora
più in là. A furia di sforzarsi di vedere cose così piccole, però, quello stesso
uomo ha perduto la capacità di vedere le cose più grandi, semplici ed
evidenti.

Siamo in tanti, oggi. Le nostre città sembrano formicai. Dovunque ci


muoviamo, siamo pigiati gli uni sugli altri, in un contatto forzato, come
sardine nella scatola.
Eppure, ecco un capitolo sulla necessità del restare “in contatto”.
Da un lato, abbiamo appena visto come sia importante riprendere
confidenza con il nostro corpo, perché esso ci parla attraverso una serie di
segnali visivi (colore, conformazione , distribuzione di macchie e peli…) e
tattili (caldo e freddo, rughe, tessuti molli o duri, gonfi o contratti…), e ci
racconta la nostra storia, ci dice con precisione dove e come qualcosa non
sta funzionando.
D’altro lato, non dobbiamo dimenticare che il nostro corpo è fatto e
conformato proprio per entrare in contatto con gli altri.
La nostra pelle, infatti, è il confine tra il nostro io profondo e il resto del
mondo: è un confine, ma è anche un tramite, il canale con il quale
comunichiamo e riceviamo informazioni. È proprio attraverso la pelle,
infatti, che sappiamo subito, quando incontriamo qualcuno, se ci piace
oppure no, se è il caso di proseguire il contatto o se è meglio lasciarlo
perdere (una persona ci piace “a pelle”, oppure ci è antipatica “a pelle”,
senza altri motivi concreti o razionali).
I nostri Polmoni, poi, attraverso il processo di scambio di ossigeno fra
l’ambiente interno (noi) e l’ambiente esterno (il mondo), fanno in modo che
una parte di noi sia sempre “trasmessa” all’esterno e, contemporaneamente,
che un po’ del mondo venga immagazzinato dentro di noi.
Come si capisce, è quindi impossibile restare isolati dal resto dell’universo.
Non è un caso, se ci pensate, che le persone ricoverate in reparti di terapia
intensiva, nei quali sono isolate dal resto del mondo e respirano solo

!183 !183
attraverso tubi (in pratica, è loro preclusa ogni forma di contatto con
l’esterno), siano particolarmente soggette a sviluppare la polmonite
(malattia collegata ai Polmoni e, quindi, allo “scambio”, al contatto con gli
altri), nonostante l’ambiente nel quale sono degenti sia probabilmente il
massimo che l’uomo civilizzato è riuscito a costruire in fatto di pulizia,
igiene, sterilità. Ma dove sono i batteri in quelle stanze chiuse?
La nostra struttura fisica, i nostri meccanismi biologici, del resto, sono
proprio deputati a questo: abbiamo al nostro interno un tale sistema di filtri,
di depuratori, di sostanze disinfettanti e di centrali per lo smaltimento dei
rifiuti da garantirci la sopravvivenza agli “scambi” con l’ambiente esterno.
Il nostro corpo è, di fatto, programmato per permetterci di interagire con
l’ambiente esterno e tutti i suoi abitanti, compresi germi, microbi, batteri.
La nostra “evoluzione”, oggi, ci ha portato a vivere in ambienti sempre più
asettici, sempre più sterili, e ci ha portato ad avere rapporti con le persone
solo se questi rapporti sono protetti: a partire proprio dal medico, che è la
persona che dovrebbe prendersi cura di noi e che non ci si avvicina
nemmeno se non ha una bella mascherina di protezione sulla bocca e un
paio di guanti di lattice sulle mani. Questioni di igiene, diranno. Eppure, una
volta, il medico tutti questi accorgimenti non li prendeva e non risulta dai
libri di storia che si siano mai verificate epidemie o morti improvvise fra i
seguaci di Ippocrate.
Questa mania di sterilizzare tutto fino all’ossessione inizia molto presto, e io
me ne sono reso conto con l’arrivo di mia figlia: se avessi seguito tutte le
istruzioni alla lettera, ora vivrei in una camera a tenuta stagna, asettica,
sterilizzata, senza finestre. Toccherei mia figlia solo con i guanti e le darei
da mangiare solo cibi sterilizzati, disinfettati, ripuliti, sottovuoto e chissà
che cosa. E poi pensiamo a quello che ci insegnano fin da piccoli: non
mettere le mani in bocca perché abbiamo toccato lo sporco, non mettere in
bocca niente perché è tutto pieno di germi e batteri, non toccare questo,
non toccare quello.
Avete mai riflettuto sul fatto, però, che in questa epoca in cui la cultura per
le precauzioni igieniche è al massimo livello e le stesse precauzioni hanno
raggiunto livelli praticamente di perfezione, proliferano tuttavia allergie di
ogni tipo, intolleranze varie e problemi di pelle che mai, in nessun’altra
epoca, si erano verificati in tale abbondante quantità?

!184 !184
Eppure, non è forse vero che una volta non c’erano gli sterilizzatori? Che i
bambini potevano giocare rotolandosi per terra senza poi dover fare un
bagno di acido per uccidere tutti germi?
Quando ero piccolo io, ero l’unico bambino in tutta la scuola elementare a
soffrire di allergie. Ero la mosca bianca, tutti mi guardavano come se avessi
qualche cosa di strano.
La mamma di un mio piccolo cliente di otto anni mi raccontava proprio di
recente che, nella classe di suo figlio, su diciotto alunni, quattordici sono
affetti da qualche forma di allergia.
I conti non tornano.
Non so a voi, ma a me, questa, sembra una contraddizione in termini.
La pubblicità e l’informazione ci dicono che oggi si mangia meglio, più
sano, più pulito, più sterilizzato. Ci dicono che non dobbiamo preoccuparci
di germi e batteri, perché c’è il disinfettante per i pavimenti, il materasso
anti-polvere, lo sterilizzatore, il sottovuoto.
Eppure, quasi ogni persona è intollerante o allergica a qualcosa. Provate a
riflettere, provate a pensare alle persone e ai bambini che conoscete.
Lo smog e l’inquinamento, diranno.
Se così fosse, se la colpa fosse tutta ed esclusivamente dello smog (che
pure, di certo, non collabora a farci star meglio), tuttavia, ognuno di noi
svilupperebbe gli stessi sintomi, nella stessa misura. Siamo sempre al solito
discorso: perché lo smog provoca ad un bambino l’intolleranza al glutine e
ad un altro l’allergia alle muffe?

Da un lato, perciò, ci viene detto che viviamo meglio: più puliti, più
igienici, più sicuri.
D’altro canto, l’evidenza dei fatti ci dimostra che stiamo peggio.

I dati sulle intolleranze e sulle allergie parlano chiaro e sono inequivocabili:


la percentuale di persone “afflitte” da qualche problema del genere è
sempre più alta ed il trend è in costante aumento.
Cavolo, quasi tutti i bambini di oggi soffrono della sindrome chiamata
“febbre da fieno”, eppure questi bambini vivono fra i palazzi delle città e il
fieno, se va bene, lo vedono solo in televisione!
Come si spiega tutto ciò?

!185 !185
Per farvela breve, come al solito (non state leggendo un libro di medicina…
ma se siete curiosi, potete anche documentarvi su qualche testo specifico!),
dovete sapere che il nostro sistema immunitario è deputato alla nostra
protezione da agenti esterni, dai “nemici” che vengono da fuori. Il nostro
sistema immunitario, però, non li conosce tutti, ma ha bisogno di incontrare
i suoi “nemici” per poterli studiare e per preparare le opportune difese, in
modo tale da potersi poi difendere nella maniera più adeguata.
“Conosci il tuo nemico”, diceva Sun-tzu nel suo libro “L’arte della guerra”.
Come fa il sistema immunitario a diventare forte, quindi? Deve conoscere il
maggior numero di nemici possibile, per poter essere sempre pronto ad
ogni evenienza.
Il principio di cui sto parlando è il medesimo in virtù del quale vi vengono
iniettati i vaccini: viene iniettato nel nostro corpo un “nemico” in quantità
tollerabile, in maniera che il sistema immunitario prepari le difese necessarie
e si predisponga ad un eventuale futuro attacco.
Concludendo, come fa il sistema immunitario di un bambino a farsi forte?
Conoscendo tutti i suoi nemici.
I bambini, del resto, hanno l’istinto di mettere tutto quello che trovano in
bocca, e questo è l’unico sistema che hanno, fin dai primi giorni di vita, per
conoscere il mondo esterno. “Conoscere” in senso molto ampio, come
vedete, cioè anche dal punto di vista degli “abitanti” del mondo esterno,
compresi microbi, germi, batteri.
Nessun bambino è mai morto per essersi messo in bocca un ciuccio caduto
per terra, eppure oggi sembra che questa esperienza sia di gravità inaudita.
Ai piccoli di oggi è, scusate se generalizzo, vietato toccare cose che non
siano state preventivamente sterilizzate. È vietato mettere in bocca gli
oggetti. È vietato, addirittura, toccare i propri genitori se prima questi non
si sono sterilizzati le mani con l’apposito gel battericida, e credetemi che
non esagero: provate a leggere qualche rivista specializzata e ve ne
renderete conto.
Non parliamo poi del cibo. Ci lamentiamo che i nostri figli non mangiano
questo o quello, che sono allergici a questo o a quello, che sono intolleranti.
E come possiamo pretendere il contrario se continuiamo a nutrirli con
pappe pronte insapori, incolori, inodori, naturalmente sterilizzate a dovere?

!186 !186
I bambini dovrebbero stare semplicemente a tavola con i genitori e toccare
e mettere in bocca tutto quello che desiderano. Provare…sperimentare…
verificare… farsi le ossa, per così dire.
Invece, nulla. Come possiamo pretendere che un bambino apprezzi i cibi
saporiti e colorati, se lo si abitua a mangiare solo pappe che non sanno di
nulla, senza sale, senza colore, senza sapore?
Ma vi rendete conto?

L’igiene è una grande conquista ed un gran bene per la salute di tutti, ma


l’eccesso a cui è stata portata è proprio la causa principale di tutte le
allergie e le intolleranze presenti ai nostri giorni!

I “sapienti” e i “dottori” rideranno di questa idea. Io non conosco la loro


scienza, sono solo un tizio qualunque che, prima di bersi d’un fiato gli
slogan e i vari proclama che vengono strombazzati ai quattro venti, prova a
pensare con la propria testa e a guardare con i propri occhi, magari proprio
le cose che altri non vogliono che io veda. Che cosa volete che vi dica, forse
sbaglierò, ma io mi fido di quello che vedono i miei occhi: le allergie ci sono,
si o no? Le intolleranze ci sono, si o no? Eppure, stando alle dichiarazioni
d’intenti dei vari prodotti igienizzanti e della propaganda in genere, non ci
dovrebbero essere.
Conoscerete qualcuno che è allergico agli acari della polvere. Provate a
chiedergli se, per pulire casa, utilizza gli appositi strumenti anti-acaro e se
ha cambiato il materasso. Poi, provate a chiedergli se la sua allergia è
passata.
Vi lascio con il compito di riflettere anche su questo tema: datevi da fare,
chiedete in giro, provate a verificare se le mie affermazioni sono
farneticazioni di un pazzo o se trovano qualche riscontro in realtà.
Non vi chiedo di credermi sulla parola: vi esorto ad indagare.
Avanti!

!187 !187
NONO TASSELLO

LIBERA TE STESSO,
APRI LE PORTE AL MONDO,
RESPIRA ARIA A PIENI POLMONI,
ENTRA IN CONTATTO CON TUTTO
CIO’ CHE TI STA ATTORNO.

LIBERA I TUOI POLSI


DALLE PESANTI CATENE
CHE ALTRI HANNO MESSO

E TOCCA
E ABBRACCIA
E ACCAREZZA
E STRINGI.

NON TI FARA’ MALE.

NON ESSERE AVARO


E DISTRIBUISCI AL MONDO
LE TUE CAREZZE SUL VISO,
PACCHE SULLE SPALLE,
CAPELLI SCOMPIGLIATI
BACI D’AFFETTO, D’AMORE, DI COMPASSIONE.

!188 !188
ESERCIZI

QUESTO ESERCIZIO E’ LA PROSECUZIONE DEL PRECEDENTE E


RIGUARDA LA PRESA DI COSCIENZA DEL PROPRIO ESSERE. PRIMA
ABBIAMO RIFLETTUTO SU CIO’ CHE CI PIACE E SU CIO’ CHE NON CI
PIACE. ORA RIFLETTIAMO SU CIO’ CHE SIAMO A LIVELLO FISICO, SUI
MESSAGGI CHE IL NOSTRO CORPO CI TRASMETTE 24 ORE SU 24.
PER QUESTO, PROVATE AD “ESPLORARVI”: TOCCATEVI PIANO, CON
DELICATEZZA, DAPPERTUTTO, E PRESTATE ATTENZIONE (MOLTA!) A
QUELLO CHE SENTIRETE.
PROVATE A CERCARE LE ZONE PIU’ CALDE E LE ZONE PIU’ FREDDE.
PROVATE A CERCARE LE ZONE PIU’ MORBIDE E QUELLE PIU’ DURE, PIU’
ISPESSITE.
PROVATE A CERCARE LE ZONE PIU’ LISCE E QUELLE PIU’ RUVIDE O
MAGGIORMENTE RICOPERTE DI PELI.

STATE ATTENTI ALLE SENSAZIONI CHE PROVERETE ENTRANDO IN


CONTATTO CON OGNUNA DI QUESTE DIVERSE ZONE.

SE VOLETE, ANNOTATE LE SITUAZIONI PIU’ ECLATANTI: LE PARTI PIU’


FREDDE E QUELLE PIU’ CALDE, LE ZONE CHE, SE TOCCATE, VI DANNO
SOLLIEVO E QUELLE CHE SUSCITANO IN VOI FASTIDIO…
RIPETETE QUESTA ESPLORAZIONE SALTURIAMENTE, MESE DOPO MESE,
E VERIFICATE SE CI SONO CAMBIAMENTI. QUANDO NE TROVERETE,
SAPRETE CHE IL VOSTRO CORPO VI STA PARLANDO, CHE E’ VIVO, CHE
E’ MUTEVOLE E CHE VI TIENE AGGIORNATI MINUTO DOPO MINUTO,
BASTA SOLO METTERSI IN ASCOLTO.

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ANNOTAZIONI

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LA SOLUZIONE… IN TASCA

Pensa, pensa, pensa!


(Winnie the pooh)

Sapete che cosa mi dicono, di solito, quando arrivo a questo punto del
discorso, quando cioè ho finito di spiegare tutto quello che ho spiegato a
voi fino ad ora?

TROPPO BELLO PER ESSERE VERO, ecco quello che mi dicono.

“Troppo facile.”
“Troppo comodo.”
“Così semplice?”
“Possibile che basti appena fare così?”

E se anche fosse?

Noi Occidentali abbiamo questa strana ossessione per le soluzioni


complicate, costose e difficili da realizzare che perdiamo spesso di vista la
strada più breve, più comoda e più facile da praticare.

!191 !191
Io sono Occidentale e sono molto contento di esserlo: mi piace dove e
come vivo. Non sono un fanatico ad oltranza di tutto quello che è Orientale,
ve lo ripeto a scanso di equivoci. Anche gli Orientali hanno i loro problemi e
la loro vita è caratterizzata da aspetti che non potrei mai sopportare.
Tuttavia, su certe cose, mi hanno sempre dato l’impressione di capirne un
po’ più di noi.

Un dato statistico che si evince da numerosissime ricerche di marketing


effettuate su campioni di consumatori standard è che, di norma, la gente
crede che, se un prodotto costa di più, necessariamente vale di più.
Se una medicina è molto costosa, allora vuol dire che è molto buona. Per
esempio, in campo farmacologico, esiste un principio attivo chiamato
Nimesulide che ha proprietà anti-infiammatorie e che per anni è stato
commercializzato da un’unica azienda, con un marchio molto famoso e
conosciuto (che, per ovvie ragioni, non posso citare). Da quando sono stati
introdotti i cosiddetti farmaci generici, molte altre case farmaceutiche
hanno proposto lo stesso principio attivo, solo con nomi diversi e a prezzi
inferiori. Ebbene, ci sono persone (molte) che continuano ad acquistare il
prodotto “famoso”, perché, in cuor loro, sono convinte che sia più efficace.
In effetti, non è così: 100mg di Nimesulide, in qualunque confezione e con
qualunque nome siano venduti, restano 100gm di Nimesulide. Non ci sono
altri componenti che possano fare la differenza, altre molecole che possano
veicolare il principio attivo più o meno rapidamente, più o meno
efficacemente. No. Nelle bustine ci sono solo 100mg di Nimesulide. Eppure,
forse anche voi siete fra quelli che preferite acquistare il Nimesulide di
marca, perché vi sembra che vi faccia meglio. Un mio cliente me l’ha
proprio detto: “Prendo quello [il prodotto famoso] perché mi sembra che
mi faccia star meglio”.
Similmente, per la maggior parte delle persone, se un problema è grave e
all’apparenza molto complicato da risolvere, allora richiederà,
necessariamente, una soluzione molto complicata, difficile da realizzare, di
certo faticosa e costosa.
A volte, ciò può essere anche vero, ma di sicuro non si tratta di una
condizione necessaria e sufficiente.

!192 !192
Molto spesso mi sono trovato a risolvere situazioni in apparenza davvero
complesse, che magari si protraevano da molti anni, con soluzioni
semplicissime e rapide, tanto da destare stupore nella persona che si
rivolgeva a me, fino quasi a farle gridare “al miracolo”.

Nessun miracolo, credetemi. Quello che stupisce, in effetti, è solo il fatto


che, spesso, basta “schiacciare” qualche pulsante, o dal punto di vista fisico
o da quello psicologico, per ottenere risultati strepitosi.
Oppure, basta semplicemente guardare la persona nel suo complesso, non
limitandosi all’analisi del “pezzetto” che duole, per arrivare a comprendere
come un sintomo localizzato non sia altro che il segno di un disagio più
profondo e radicato altrove. Compreso il disagio, compresa cioè la vera
causa del malessere o del problema, ecco che il malanno se ne va. Tutto
qui.
Semplicissimo.
Ora, il fatto che risolvere il problema sia semplice, da questo punto di vista,
non significa che arrivare alla comprensione del disagio e alla rimozione del
trauma che ha provocato il malessere sia un processo breve e privo di
difficoltà, perché a questo punto entrano in gioco molteplici fattori (il
nostro “bagaglio a mano”, del quale parleremo dopo), tra i quali il bagaglio
educativo fornito dai genitori e dall’ambiente sociale, il tipo di esperienze
vissute dal soggetto, i suoi problemi precedenti e concomitanti, la sua
capacità reattiva, il tipo di stress che deve subire quotidianamente. In ogni
caso, seguendo questa strada, è solo una questione di tempo, ma il
successo è assicurato, cosa che mai si può dire quando si praticano altre
strade, nelle quali ci si limita a contenere il danno, a sedare il sintomo senza
preoccuparsi mai della causa prima che lo ha originato.

Ribadisco ora e ribadirò in seguito che non si tratta di un problema di


scelta, per quanto concerne l’approccio alla malattia, perché gli strumenti
che ci vengono offerti sono molteplici e tutti molto validi, a modo loro: si
tratta solo di affrontare la questione con vedute più ampie, con un po’ più
di consapevolezza e di coscienza di sé.
Si tratta, a volte, di guardarsi dentro invece che di girare il mondo alla
ricerca di soluzioni che si trovano solo ed esclusivamente dentro di noi.

!193 !193
Si tratta solo, a volte, di ricordare che la soluzione più semplice, di solito,
è quella da preferirsi.
Si tratta solo di ricordare che la felicità non è nascosta chissà dove, non
dobbiamo andare a cercarla su un altro pianeta, perché, davvero, ce
l’abbiamo in tasca.

Parliamo un po’ del nostro “bagaglio a mano”, ora, cioè di tutto l’insieme di
caratteristiche che ci portiamo dietro da quando siamo piccoli e anche da
prima. Si tratta di un patrimonio che, nel bene e nel male, ci rende unici e
che va considerato con estrema attenzione, perché può fornire molte
risposte interessanti ad alcuni dei quesiti che sono stati sollevati in
precedenza.
Ad esempio, perché due persone di pari età, cultura ed estrazione sociale,
in un identico ambiente lavorativo, reagiscono in modi diversi di fronte ad
un sopruso da parte di un collega? Perché uno grida e l’altro subisce?
Ancora. Perché due uomini, simili in tutto e per tutto, esprimono le loro
emozioni in modo così diverso, davanti agli stessi eventi, l’uno piangendo,
l’altro chiudendosi in un ostinato silenzio?
Potremmo andare avanti per molto. Quello che preme sottolineare è solo il
fatto che siamo tutti diversi l’uno dall’altro e questo va compreso per
spiegare le diversità di reazione di fronte ad eventi simili e, soprattutto, la
diversità di reazione alle sollecitazioni di un terapista che dovesse applicare
i principi che sopra abbiamo esposto.
Perché, tornando ai nostri esempi, ad un cliente riesco a sbloccare il collo in
sole due sedute e ad un altro riesco a dare un buon risultato solo dopo due
mesi di lavoro?
Perché un cliente ha uno sfogo emotivo molto forte dopo solo un incontro
e un altro, dopo un anno, ancora non riesce ad aprirsi?
Non scenderò nel dettaglio, perché questa non è la sede appropriata per un
simile approfondimento. Vi farò solo presenti alcuni fattori che concorrono
e che hanno contribuito a farci diventare quello che siamo. È importante
rifletterci anche alla luce di quello che dicevo all’inizio del libro e cioè che
non può esistere un “manuale” che contenga le istruzioni per essere

!194 !194
felici, proprio perché non esiste alcuna regola che possa essere applicata
universalmente a tutti.
O meglio: ci sono dei principi (urlare, piangere, ascoltarsi etc.) che sono
validi per tutti, ma non tutti riescono a farli diventare parte integrante della
loro vita. Quindi, qualsiasi regola che dovesse basarsi su imperativi del tipo
“per essere felici bisogna fare questo e quello” sarebbe sbagliata in
partenza.

Ogni persona ha compiuto un percorso ben preciso per arrivare dove è


arrivata e necessita di un suo personalissimo percorso per proseguire il
viaggio.

Detto questo, vediamo i principali fattori che caratterizzano il nostro


“bagaglio a mano”.

1. L’energia del padre al momento in cui vi ha concepiti. Sui manuali


di medicina cinese si parla di “energia ancestrale”. Per farla semplice,
pensate ad un caricabatteria: se il caricabatteria con cui siete stati
concepiti aveva tanta energia, le vostre pile saranno molto cariche,
se ne aveva un po’ di meno, le vostre pile saranno leggermente
meno cariche. Un’ottima definizione di questa energia è contenuta
nel già citato libro di Michel Odoul, “Dimmi dove ti fa male e ti dirò
perché”: […] l’energia ancestrale produce il supercarburante, che
implica la forza del momento, la resistenza, la tipologia caratteriale e
la qualità dell’energia che un essere trasmette (se procrea in quel
determinato momento). Quest’energia ancestrale svolge un
importante ruolo di regolatore qualitativo e quantitativo dell’energia
vitale. Infatti, se la qualità dell’energia essenziale lascia a desiderare
perché presenta uno squilibrio […], l’energia ancestrale interviene
attingendo “al proprio stock” […]. Quest’energia ancestrale racchiude
in sé i ricordi degli antenati. […] La quantità di energia ancestrale,
differente per ognuno di noi, è determinata una volta per tutte. La
sua quantità diminuisce quindi nel corso della vita, secondo un dato
ritmo biologico, come un serbatoio che si svuota progressivamente e
regolarmente attraverso un rubinetto che non è possibile chiudere

!195 !195
del tutto. Il ritmo sarà più o meno accelerato, in funzione delle
sollecitazioni provocate dal nostro comportamento e quindi dalla
nostra amministrazione del capitale in questione. Tale energia
ancestrale determina la longevità di ciascuno di noi.19

2. Il vissuto psico-fisico della mamma durante la gravidanza. Vostra


madre vi ha tenuto nove mesi in pancia e, durante questo periodo,
ha vissuto più o meno intensamente tutte le emozioni delle quali
abbiamo parlato fino ad ora: voi, di riflesso, le avete vissute più o
meno intensamente con lei. Questo tema trova molto spazio, oggi,
anche nella Medicina cosiddetta tradizionale: gli ultimi studi di
biologia e neurologia sono dedicati proprio a questo importante
argomento. È stato dimostrato che i cosiddetti ormoni dello stress
prodotti dalla mamma attraversano la placenta e raggiungono il feto,
alterandone alcune funzioni metaboliche, come ad esempio il battito
cardiaco. “Le emozioni”, dice Marina Enrichi, ginecologa
all'Università di Padova e vicepresidente Anep, ”influenzano la nostra
biochimica e quindi hanno delle ripercussioni sullo stato di salute o
malattia. La stessa cosa accade durante la vita fetale, influendo sulla
biochimica del bimbo. Molte malattie che compaiono in età adulta
hanno un’origine fetale: possono essere sia fisiche che psichiche: di
certo sia la salute che la malattia affondano le loro radici nella vita
prenatale”. Se, per esempio, vostra madre ha caricato il suo Fegato
per non aver espresso l’emozione collegata alla Rabbia, ecco che il
vostro Fegato porterà dentro di sé le tracce di questa emozione non
vissuta, dal punto di vista prettamente fisico (ed è il campo della
biologia) e dal punto di vista energetico (ed è il nostro campo).
Insomma, tenete presente che vostra madre vi ha letteralmente
costruito, come un bravo muratore. E, come un bravo muratore, vi ha
costruito con i pezzi che aveva a disposizione: se un muratore ha a
disposizione dieci mattoni, ne userà dieci, se ne ha a disposizione
cento, ne userà cento. Sgomberate subito il campo, perciò, da
pensieri negativi nei confronti di vostra madre, solo perché ritenete,
magari dopo aver letto le pagine precedenti, che vi abbia dato pochi

19 Odoul Michel, Dimmi dove ti fa male e ti dirò perché, ed. Il punto d’incontro

!196 !196
“mattoni”. Tornando al nostro esempio, non ci sono muratori più o
meno bravi, ci sono solo muratori che, per sorte, hanno più o meno
mattoni da poter utilizzare per costruire la loro casa. Non potete
giudicare con disprezzo un muratore solo perché ha costruito la sua
casa con dieci mattoni, se quei mattoni erano tutto quello di cui
disponeva: è altrettanto meritevole di amore e stima di un muratore
che ne ha usati cento, se quelli erano a sua disposizione.

3. L’educazione ricevuta dai vostri genitori. Per educazione si intende


non solo l’insieme degli insegnamenti trasmessi a voce: “questo si fa
e questo non si fa”, “ci si comporta così o ci si comporta cosà”. Per
educazione si intende, soprattutto, quello che vi è stato insegnato
con l’esempio. Poniamo il caso che voi, da piccoli, abbiate visto
vostro padre subire passivamente i soprusi del suo datore di lavoro
senza mai reagire e che vi sia stato, di conseguenza, trasmesso il
messaggio: “se qualcuno ti manca di rispetto, abbassa la testa e vai
avanti”. Da adulti, come pensate che reagirete in condizioni
analoghe? Abbasserete la testa e sopporterete con pazienza.
Ancora. Se non avete mai visto vostro padre piangere nei momenti
di tristezza, perché “un vero uomo non si lascia andare ai sentimenti
da femminucce”, pensate forse che sarete in grado, da adulti, di
scaricare le vostre tensioni con un bel pianto liberatorio? Purtroppo,
è un luogo comune che di fronte ai figli piccoli non ci si debba
lasciar andare all’espressione delle emozioni: davanti ai piccoli non si
grida, non si piange, non si discute. Ma chi l’ha detto? Come può un
bambino imparare a farsi rispettare con un urlo se non ha mai
sentito urlare? Come potrà avere la forza di piangere, se nessuno
accanto a lui lo ha mai fatto? Anche in questo caso, rifuggite subito
la tentazione di puntare il dito contro i vostri genitori e di cominciare
ad accusare e ad elargire colpe, perché colpe non ce ne sono. Ci
sono responsabilità, è vero, ma non ci sono colpe. Supponete che
vostro nonno abbia insegnato, con tutto l’amore di un padre, al
vostro papà che 2+2=5. Il vostro papà, in buona fede, con pazienza e
amore, vi avrà insegnato che 2+2+=5. Potete in cuor vostro fargliene
una colpa? Voi stessi, a meno di incontrare qualcuno che vi dica “ehi!

!197 !197
Guarda che 2+2=4!”, commettereste lo stesso errore con i vostri figli.
Sareste colpevoli? Solo responsabili, non colpevoli.

4. Le esperienze della vita. È ovvio che la vita non riserva a tutti le


stesse sorprese e che, purtroppo, per alcune persone l’esistenza è
tormentata da difficoltà oggettive o da eventi funesti che lasciano
tracce indelebili e provocano traumi profondi che poi queste
persone si trascineranno dietro per gli anni a venire. Anche questo,
dunque, fa parte del nostro bagaglio a mano ed è bene tenerne
conto per non lasciarsi scoraggiare, nel caso che il percorso che
state affrontando vi si presenti ostico e difficile da praticare:
ricordatevi sempre che, in questo campo, non ci sono persone più o
meno brave, più o meno intelligenti, ma solo persone più o meno
fortunate, che si trovano a partire con un fardello più o meno
leggero.

Mi sono dilungato in tutto questo lungo discorso solo per spiegare che
trovare la felicità in tasca non è per nulla difficile, credetemi.

Serve solo liberarsi di qualche vecchio schema mentale e abbracciare


l’idea che nella strada semplice si trova la soluzione anche a problemi
complicati.
Ognuno di noi, per giungere a destinazione, dovrà compiere percorsi
diversi, più o meno lunghi, più o meno irti di difficoltà, perché ognuno di
noi parte per il suo viaggio con un diverso zaino sulle spalle.
Se lo zaino è leggero, camminare sarà più semplice.
Se lo zaino è più pesante, ecco che il cammino sarà un po’ rallentato, ma
non c’è dubbio che, alla fine, si riesca comunque a raggiungere la meta.
Cadrete, vi rialzerete, dovrete fare lunghe soste, dovrete farvi aiutare da
qualcuno con uno zaino un po’ più leggero, ma la vostra scalata vi
condurrà alla cima del monte e, da lì, non dovrete far altro che respirare a
pieni Polmoni e godervi il vostro successo.
Buon viaggio, di tutto Cuore.

!198 !198
IL NONNO CINESE!

“E’ la fine della vecchia medicina ottocentesca, quella


ancora attardata sul modello meccanicista, che vede la
malattia come prodotto lineare di un’aggressione
esterna, batterica o virale. Medicina che aveva staccato
la testa dal corpo dell’essere umano […], che aveva
sezionato questi monconi in tanti organi e patologie
specialistiche non comunicanti fra loro e che aveva
affidato il proprio potenziale terapeutico alla tecnologia
chirurgica e a quella chimica”20
(Francesco Bottaccioli, a proposito delle rivoluzionarie
scoperte della psiconeuroimmunologia)

Una domenica qualsiasi di qualche mese fa mi trovavo con la mia famiglia a


pranzo da mia nonna, l’unica ancora in vita fra gli avi, una anziana signora di
ottant’anni in discreta forma fisica ed in eccellente forma mentale. Una
signora di paese che ne ha viste di cotte e di crude e sul cui viso, tra le
rughe, si intravede una saggezza maturata con gli anni, quel tipo di
saggezza che non si apprende a scuola.
Ad un certo punto, durante il pranzo, nel bel mezzo di una gallina ruspante
ripiena cucinata a meraviglia, mia moglie ha cominciato a grattarsi con
insistenza un braccio, come se fosse scossa da uno spasmo irrefrenabile,
fino a farsi uscire addirittura un po’ di sangue da alcuni punti, su cui erano
presenti alcune crosticine, segno di passate “grattate”.

20 Bottaccioli Francesco, Psiconeuroimmunologia, ed. Red

!199 !199
“Come mai ti gratti così tanto?”, le ha chiesto mia nonna incuriosita (per la
verità lo ha chiesto in dialetto: la traduzione in italiano è opera mia).
“E’ Rabbia. Monica (mia moglie) sta sopportando una situazione che la fa
arrabbiare…”, le ho risposto io senza pensare, togliendo le parole di bocca a
mia moglie.
Mi è uscita così. Osservavo mia moglie in preda a quello spasmo e dentro di
me stavo giusto riflettendo sulla situazione che lei stava suo malgrado
sopportando e che le provocava, appunto, quegli incredibili attacchi di
prurito. Ero così assorto che ho risposto d’istinto. Non volevo
assolutamente mettere mia nonna in difficoltà con le dottrine dei medici
cinesi: la risposta è arrivata così, su due piedi.
Mia nonna mi ha guardato con aria interrogativa, come se non capisse il
nesso logico di quello che avevo appena detto. Che cavolo di risposta le
avevo dato?
“Sai nonna”, ho continuato con il mio tono da bravo maestro, “secondo la
Medicina Tradizionale Cinese, il sentimento della Rabbia è collegato con il
Fegato e, quando una persona non scarica la sua Rabbia attraverso un urlo
o un gesto, possono comparire alcuni sintomi di disagio sul corpo, che
segnalano che il Fegato sta soffrendo, per così dire. Il prurito, provocato da
un eccesso di un ormone che si chiama istamina e che è prodotto dalla
vescica biliare, è proprio uno di questi segnali.”
Insomma, le ho spiegato in due parole quello che ho spiegato a voi fino ad
ora.
“Ah, ho capito”, ha replicato lei (in dialetto), “è per questo, allora, che si dice
mangiarsi il Fegato dalla rabbia!”.

Sono rimasto folgorato. Non so se ho assunto un’espressione idiota, del tipo


“bocca aperta e forchetta a mezz’aria”, ma di certo il mio cervello ha
ricevuto una bella scarica elettrica.
Già, ho pensato fra me e me, è proprio per questo che si dice mangiarsi il
Fegato dalla rabbia. Non lo Stomaco o la Milza, non i Polmoni o il Cuore,
nemmeno i Reni. No: mangiarsi il Fegato dalla rabbia.
Ma allora, mi sono detto, lei lo sapeva già!
E, come lei, lo sapevamo tutti!

!200 !200
Lo sappiamo tutti, solo che non sappiamo di saperlo!

E io che, quando ho scoperto il collegamento dell’organo Fegato con il


sentimento della Rabbia mi sono esaltato come uno scolaretto, come se
avessi scoperto chissà quale arcano mistero! Mi sarebbe bastato andare a
trovare mia nonna, nel suo piccolo e sperduto paese in mezzo ai campi, per
avere le risposte che stavo cercando.
A quel punto, nella mia testa ho iniziato a sentire rumore di ferraglia… ho
cominciato a pensare alla velocità della luce. È stato come se mi si fosse
aperta davanti agli occhi una porta. Ho cominciato a ricordare, allora, tutte
quelle cose, quei detti, quelle usanze, anche quei proverbi, che fanno parte
della nostra cultura di una volta e che, solo in quel momento ho cominciato
a rendermene conto, contengono in sé molta più saggezza di quanto a
volte non crediamo. Li sentiamo dire tutti i giorni, ce li sentiamo ripetere fin
da quando siamo piccoli, noi stessi chissà quante volte li utilizziamo, eppure
non abbiamo mai prestato sufficiente attenzione (almeno, io non ho
prestato sufficiente attenzione). Li abbiamo ascoltati mille volte, eppure
non ci siamo mai dati la pena di rifletterci un po’ sopra. Io stesso ho
commesso l’errore di cui ho tacciato gli uomini occidentali: alla ricerca del
particolare, ho tralasciato l’evidenza macroscopica.

Nei giorni seguenti, per fare ammenda di questa mia “leggerezza”, mi sono
messo d’impegno per provare a ricordare tutti i detti e tutti i proverbi che
avrebbero potuto avere attinenza con le regole della Medicina Cinese. Ho
chiesto ad amici e conoscenti, ho spiegato il problema ai miei clienti e ho
sollecitato tutti a fare ricerche in questo senso, a portarmi le loro personali
“perle di saggezza”. La mole di materiale che mi è arrivata è
impressionante.
Se un proverbio di mia nonna dice la stessa cosa di un testo cinese di
diecimila anni fa, può anche essere una coincidenza.
Dieci proverbi che, a modo loro, esprimono alla perfezione il sapere medico
cinese sono già un po’ di più di una coincidenza.
Quando sono arrivato a oltre cinquanta, fra detti e proverbi, ho cominciato
a credere che non ero di fronte ad una coincidenza, anche perché non
stiamo parlando di concetti vaghi o di teorie nebulose da interpretare a

!201 !201
piacimento, ma di precisi riferimenti fra organi ed emozioni. Non può
essere un caso.
Da quel momento, quando mi sono reso conto che il materiale che avevo
per le mani aveva un certo peso, ho deciso di fare un passo in avanti, spinto
dalla mia solita curiosità e da una notizia scientifica che avevo appena letto
su una rivista di scienza. La notizia in questione diceva che un gruppo di
scienziati inglesi era finalmente riuscito (nell’anno 2003!) a dimostrare in
laboratorio, con prove fisiche inoppugnabili, che quando una persona ride,
una parte del suo cervello stimola la produzione di determinate sostanze
che vanno ad esercitare un benefico effetto sul sistema cardiovascolare,
producendo un rilassamento dei vasi sanguigni e, quindi, del Cuore.
Allora, mi sono detto, le cose stanno così! Il passo seguente è stato quello
di collegare tutto, secondo un preciso schema come quello che vi illustro
ora. Si parte dalla dottrina della Medicina Cinese, la si confronta con il
sapere popolare di persone che la Cina non l’hanno vista nemmeno in
fotografia e che non hanno studiato, poveri loro, perché ai loro tempi c’era
la guerra e bisognava pensare al mangiare e basta, per finire si va a dare
un’occhiata a quello che hanno scoperto in questi ultimi anni i nostri
illuminati scienziati.

Facciamo un esempio.

1. La Medicina Cinese, e parlo di teorie che hanno diecimila anni, dice che
l’emozione collegata al Cuore è la parola e che il suono collegato al Cuore è
la risata. In pratica, dicono i cinesi, ridere serve a far star bene il Cuore e il
sistema cardiovascolare.

2. Un proverbio delle nostre parti dice: riso fa buon sangue. (Avete capito?
Avete letto bene? È una coincidenza che mia nonna colleghi la risata con il
sangue, cioè con il sistema cardiovascolare?)

3. I nostri scienziati hanno appena dimostrato, dopo anni di ricerche in


laboratorio, che la risata produce ormoni che fanno star bene il Cuore.

!202 !202
Tutti dicono la stessa cosa, tutti collegano il Cuore alla risata. È solo una
coincidenza? Non mi sembra proprio, e a voi? La portata di questo
collegamento, a mio avviso, è davvero eccezionale. Da un lato, rivaluta
enormemente teorie di fronte alle quali la maggior parte dei medici e delle
persone normali sorride. D’altro lato, dimostra come diecimila anni di
esperimenti in laboratorio sono solo riusciti a dimostrare nero su bianco
cose che i nostri nonni sapevano già da un bel pezzo. C’era proprio bisogno
di dimostrarle in laboratorio? Perché siamo così ossessionati dai numeri,
dalle prove fisiche, dai dati dei computer, al punto da trascurare una serie di
altri elementi che, sebbene non riducibili a sterili numeri, hanno comunque
un valore indiscutibile? Non ci si poteva fidare un po’ di più di noi stessi, dei
nostri sensi, del nostro corpo?
Come ho detto pagine fa, la nostra ossessione per la ricerca del particolare
sempre più piccolo ci ha fatto perdere di vista le cose più evidenti. Siamo in
grado di guardare un atomo e non riusciamo a vedere un corpo di novanta
chili, in carne ed ossa, davanti a noi. Guardiamo, eppure non vediamo.
Non trovate che ci sia qualcosa che non va?

Ma ora andiamo avanti e vediamo che cosa ho trovato. Analizzerò prima i


collegamenti che la Medicina Cinese ha trovato riguardo ad ogni organo,
con particolare riferimento alla già citata LEGGE DEI CINQUE ELEMENTI
DELL’AGOPUNTURA TRADIZIONALE CINESE.
Si tratta di una parziale ripetizione di alcuni concetti già sottolineati in
precedenza e di un’aggiunta di alcuni concetti nuovi. Vogliate perdonare la
ripetizione, ma è necessaria, soprattutto per i neofiti che ancora non hanno
dimestichezza con il linguaggio del corpo e delle emozioni. Inoltre, è
opportuno avere immediatamente sott’occhio i collegamenti fra le teorie
della Medicina Cinese e, appunto, l’antica saggezza popolare, senza dover
di volta in volta andare a sfogliare le pagine precedenti alla ricerca di una
conferma o di un nesso logico.
A seguire, citerò alcuni proverbi o detti popolari che richiamano in maniera
palese ed inequivocabile i principi che si trovano nei libri di Medicina
Cinese. Ne ho trovati molti, durante le mie ricerche: menzionerò solo quelli
più significativi, che pure ho trovato in molteplici varianti.

!203 !203
Per finire, vi segnalerò alcuni studi e ricerche che sono state effettuate dalla
scienza moderna e che vanno a suffragare sia l’antica Medicina Cinese, sia
l’antica saggezza popolare.

In particolare, ho già accennato alla profonda rivoluzione che sta portando


la psiconeuroimmunologia, oppure psiconeuroendocrinoimmunologia,
branca della biologia che ha “scoperto”, appunto, come le emozioni siano
direttamente collegate al nostro corpo “pensante” e provochino vere e
proprie reazioni fisiologiche e nervose, che coinvolgono il sistema
immunitario ed il sistema endocrino.
Non entrerò volutamente nel dettaglio tecnico, poiché non credo che
disquisire a lungo di nozioni di anatomia e fisiologia sia l’obiettivo di un
libro come questo. Chiedo scusa in anticipo, anzi, per tutte le imprecisioni,
per il linguaggio assolutamente non tecnico e per tutti i termini non
appropriati che dovessi utilizzare: sapete già che non sono un medico e che
di medicina non me ne intendo per nulla.

L’evidenza del fatto che, come dicevo, non si tratta di coincidenze, ma di


corrispondenze precise e dettagliate, vi balzerà agli occhi con la stessa
forza con la quale è balzata davanti ai miei occhi, lasciandomi a bocca
aperta.
Spero che il mio lavoro vi lasci sorpresi (almeno un po’) e che vi
incuriosisca almeno un poco, facendovi riflettere, così come ho riflettuto io,
su tutte le cose che sappiamo e che non sappiamo di sapere. Soprattutto, e
lo ripeto per l’ennesima volta, che la vostra riflessione sia su quanto spesso
corriamo in lungo e in largo alla ricerca di chissà quale risposta quando
basterebbe guardarsi intorno con umiltà per scoprire che molte verità le
abbiamo già a disposizione, basta fermarsi ad ascoltare.

!204 !204
PROVERBI E DETTI… NEL VERDE.

COLLEGAMENTI DELLA AGOPUNTURA CINESE

Anzitutto, ricordiamo che il sentimento della RABBIA è collegato al


FEGATO e alla VESCICA BILIARE. Di conseguenza, il collegamento è anche
con la BILE, il liquido secreto, appunto, dalla VESCICA BILIARE.
Ricordiamo anche che il colore collegato all’emozione della RABBIA e al
FEGATO è il VERDE, che l’organo di senso corrispondente è LA VISTA e
che la RABBIA si scarica o con l’URLO, oppure con IL PUGNO, cioè con
un’attività fisica delle mani.

DETTI E PROVERBI COMMENTATI

MANGIARSI (o RODERSI) IL FEGATO DALLA RABBIA.


(Direi che ogni commento è superfluo. Il collegamento Fegato/Rabbia è
assolutamente perfetto! Brava nonna!).

ESSERE ACCIECATI DALLA RABBIA.


(In questo caso, la Rabbia è collegata con la vista come organo di senso).

“MI SI E’ ANNEBBIATA LA VISTA PER LA COLLERA”.


“ERO COSI’ ARRABBIATO CHE AVEVO GLI OCCHI FUORI DALLA TESTA
(OPPURE: CHE NON CI VEDEVO PIU’)”.
(Anche in questi due modi di dire è evidente il collegamento tra una forte
emotività collegata alla Rabbia e gli occhi, intesi appunto come organo di
senso visivo).

ESSERI VERDI DI RABBIA.


(In questo caso, il collegamento è tra la Rabbia ed il colore verde. A questo
proposito, vorrei anche farvi presente che uno dei personaggi più popolari
dei fumetti e della televisione, cioè l’Incredibile Hulk, quando si arrabbia e
perde le staffe, diventa VERDE. Sarà un caso…).

!205 !205
ESSERE COSI’ ARRABBIATI DA SPUTARE BILE.
(Questo modo di dire, in tutte le sue varianti, associa chiaramente la forte
ira con la secrezione di bile dalla cistifellea).

FARSI VENIRE IL FEGATO GROSSO PER LA RABBIA.


(No comment!).

ESSERE COSI’ ARRABBIATI CHE PRUDONO LE MANI.


(In questo caso, il collegamento è, da un lato, con la gestualità del pugno e,
d’altro lato, con il prurito che, ricordiamo, è provocato da un ormone
irritante chiamato istamina, prodotto dalla vescica biliare).

CAN CHE ABBAIA NON MORDE.


(Ho inserito questo proverbio perché mi sembra pertinente con una
considerazione che ho fatto nei primi capitoli e che, cioè, non bisogna
confondere l’aggressività con la violenza. Ho detto, infatti, che se una
persona esprime la propria aggressività volta per volta, senza aspettare di
“scoppiare”, non si abbandonerà mai agli eccessi ed eviterà di diventare
violento. Questo proverbio sembra deporre in tal senso).

PROVERBI E DETTI… NEL ROSSO

COLLEGAMENTI DELLA AGOPUNTURA CINESE

Il sentimento della GIOIA, nella Medicina Tradizionale Cinese, è collegato al


CUORE e all’INTESTINO TENUE. La GIOIA si esprime con la PAROLA e con
il suono della RISATA. L’organo di senso collegato al CUORE e alla PAROLA
è la LINGUA, il colore è il ROSSO e l’elemento naturale che influenza questo
metabolismo è il FUOCO.

DETTI E PROVERBI COMMENTATI

!206 !206
RISO FA BUON SANGUE.
RIDERE DI CUORE.
(Il collegamento è fra la Risata ed il sistema cardiovascolare che, come è
evidente, si riferisce al Cuore).

AVERE IL CUORE GONFIO DI GIOIA.


“PER LA GOIA MI SALTA IL CUORE NEL PETTO”.
(Qui il nesso è direttamente fra Cuore e Gioia).

“MI SI SPEZZA IL CUORE”.


MORIRE DI CREPACUORE.
STRUGGERSI IL CUORE.
AVERE IL CUORE GROSSO PER IL DISPIACERE.
(In questo caso il collegamento non è diretto. Procedendo a contrario,
tuttavia, risulta evidente che se la Gioia nutre il Cuore, la negazione della
Gioia, che sia una profonda Delusione o una amara Disillusione, va a togliere
energia proprio al Cuore. Messa in questi termini, il collegamento mi sembra
comunque pertinente).

IN VINO VERITAS.
(Ho voluto inserire questo detto latino perché conferma le tesi già esposte
sopra. Tenete presente che il vino, o meglio l’alcol in esso contenuto, è un
vasodilatatore ed agisce, di conseguenza, sul sistema cardiovascolare, sui
vasi sanguigni, come dicono, del resto, anche i dottori che consigliano di
bere almeno un bicchiere di vino al giorno per mantenere sano il cuore. A
questa proprietà “fisiologica” è abbinata una qualità, cioè quella di “far dire
il vero”. Ebbene, non abbiamo forse detto che per “scaricare” il Cuore è
necessario parlare e dire quello che si pensa veramente, cioè dire la verità.
Ancora una volta, la saggezza degli antichi ci conferma i collegamenti tra
Cuore, Sangue, Parola, Gioia e Verità. Inoltre, è scientificamnte dimostrato
che il vino aiuta a proteggere il cuora, grazie soprattutto a due sostanza,
l’alcool ed il resveratrolo, una sostanza appartenente al gruppo dei
polifenoli, che la vite produce per combattere le infezioni, il cui effetto
combinato è quello di abbassare il livello di colesterolo nel sangue che,
come ben sappiamo, è una causa importante di mortalità coronarica).

!207 !207
MORSICARSI LA LINGUA PER NON DIRE QUELLO CHE SI PENSA.
(Questo detto conferma il collegamento tra la Parola, nel senso di Parola
che esprime con sincerità l’emozione provata da Cuore, e l’organo di senso
Lingua che al Cuore è collegato. Un detto simile, a proposito della Parola,
che cito fra parentesi perché non è di così immediata evidenza, è “avere
qualcosa sulla punta della lingua”, un detto che serve ad evidenziare ancora
una volta, comunque, il nesso tra Parola e Lingua).

FARSI IL SANGUE CATTIVO.


(In genere, si usa questa espressione quando si parla di situazioni nelle quali
ci si trattiene dall’esprimersi e si tace, mentre si avrebbe voglia di parlare e
di dire tutto quello che si pensa. Agendo in questo modo, però, facciamo
soffrire il Cuore e, di conseguenza, il sistema dei vasi sanguigni. Il nesso è
evidente).

AVERE IL CUORE DI GHIACCIO.


(Questo modo di dire è riferito a persone che non provano il sentimento
della Gioia o che, quanto meno, danno l’impressione di non viverla. Il detto è
interessante perché collega ancora una volta il sentimento della Gioia al
Cuore).

SENTIRSI AVVAMPARE PER L’EMOZIONE.


(Situazione tipica di chi riceve una forte sollecitazione emotiva che
coinvolge sentimenti quali la Gioia, l’Emozione, l’Imbarazzo e così via.
Quello che è importante notare è che è assolutamente pertinente il
collegamento con il Fuoco, elemento della Medicina Cinese collegato al
Cuore, e con le Fiamme).

Per concludere questo breve paragrafo, ricordo che, secondo i più recenti
studi di laboratorio, ridere è un’attività definita “energetica” che aumenta il
battito cardiaco e la pressione del sangue e che, pertanto, svolge azione
tonificante sulle pareti dei vasi sanguigni.
Inoltre, sempre secondo i risultati di ricerche di laboratorio, ridere è un
modo per stimolare la risposta immunitaria: una bella risata sollecita la

!208 !208
produzione di sostanze chimiche naturali, catecolamine ed endorfine, che ci
tonificano. Ridendo, inoltre, cresce l'ossigenazione del sangue.
Credo che ogni altro commento sia superfluo!

PROVERBI E DETTI… NEL GIALLO

COLLEGAMENTI DELLA AGOPUNTURA CINESE

Lo STOMACO è collegato con la PREOCCUPAZIONE e con la RICHIESTA DI


AIUTO, con tutto ciò che ha a che fare con DUBBI, CONFLITTI,
RESPONSABILITA’. Il colore dello STOMACO è il GIALLO, il sapore dello
STOMACO è il DOLCE.

DETTI E PROVERBI COMMENTATI

AVERE UN PESO SULLO STOMACO.


(Il riferimento è a tutte quelle situazioni in cui si avverte l’impellente
bisogno di parlare e di confidarsi ma non lo si fa. Sottolineo che il fatto
stesso di confidarsi rappresenta un tentativo di “alleggerirsi” da un qualche
tipo di fardello e, in ultima istanza, rappresenta quindi una richiesta di
aiuto).

AVERE LO STOMCO ANNODATO PER LA PREOCCUPAZIONE.


(Questo detto, come moltissimi altri simili che non cito per non essere
ripetitivo, sottolinea il nesso tra gli stati ansiosi dominati da preoccupazioni,
dubbi e conflitti e le reazioni fisiche che le persone percepiscono in tali
momenti. Tutte queste reazioni possono essere accomunate dal fatto che ci
si sente lo Stomaco “chiuso” o “aggrovigliato” e che non si riesce a
deglutire e ad ingoiare nulla, nemmeno la classica capocchia di spillo).

Purtroppo non ho trovato molto altro, in merito allo Stomaco, poiché tutti i
detti e i proverbi sono davvero troppo simili per essere riportati tutti.
PROVERBI E DETTI… NEL BIANCO

!209 !209
COLLEGAMENTI DELLA AGOPUNTURA CINESE

I POLMONI e l’INTESTINO CRASSO sono collegati con il sentimento della


TRISTEZZA, con l’emozione del LAMENTO e del PIANTO e, in generale, con
la SESSUALITA’ che, ricordiamo, è cosa diversa dalla genitalità e riguarda il
rapporto tra i sessi, a livello di ruolo sociale. I POLMONI sono poi collegati
con il sapore PICCANTE e con il colore BIANCO. Inoltre, i POLMONI,
tramite il RESPIRO e LA PELLE, rappresentano l’INTERSCAMBIO CON IL
MONDO ESTERNO.

DETTI E PROVERBI COMMENTATI

AVERE UN NODO ALLA GOLA.


(E’ la più comune fra le espressioni che caratterizzano le persone colte da
improvvisa tristezza. Sebbene il collegamento con i Polmoni possa non
sembrare immediato, ricordiamo che l’apparato respiratorio non è limitato
ai Polmoni, ma comprende anche le vie respiratorie e i canali di accesso che
sono la laringe, la faringe, la trachea. Queste vie di accesso sono collocate
proprio in quella zona in cui, quando si è tristi o commossi, si avverte una
sorta di contrattura, di “nodo”).

BRILLANO GLI OCCHI DI DESIDERIO.


DIVORARE CON GLI OCCHI.
MANGIARE CON GLI OCCHI.
(Anche in questo caso il collegamento non appare immediato. Tuttavia, è
opportuno tener presente che in tutte le riflessoterapie, cioè le scienze che
studiano le zone riflesse sul corpo, gli occhi come organo, e non come vista,
sono collegati direttamente alle ghiandole sessuali, sia nell’uomo sia nella
donna. Quando si desidera qualche cosa che piace molto, allora, ecco che
gli occhi si lubrificano, in attesa della soddisfazione del piacere in questione
che, comunque, appartiene alla sfera della sessualità. Messa in questi
termini la questione, ecco che il collegamento fra questo detto e l’ambiente
dei Polmoni è forse un po’ più chiaro).

!210 !210
AVERE SENSAZIONI… A PELLE.
(I Polmoni, attraverso la respirazione, permettono il contatto e
l’interscambio con il mondo esterno. La pelle è il nostro più grande organo
respiratorio, di conseguenza essa è il nostro principale sensore per ciò che
concerne tutto ciò che estraneo a noi. Per questo motivo, le sensazioni
epidermiche non sono mai da sottovalutare, ma da tenere in grande
considerazione. Se una persona, “a pelle”, ci piace, possiamo fidarci: il
nostro istinto non sbaglia mai).

Parlando della Tristezza, abbiamo già detto che l’organo principale


collegato a questo sentimento sono i Polmoni. Vivere o meno questo
sentimento, quindi, può mantenere in salute o meno il nostro apparato
respiratorio e, fra le altre cose, renderci più o meno soggetti a sindromi che
colpiscono, appunto, il nostro apparato respiratorio.
A tal proposito, uno studio condotto dal ricercatore Sheldon Cohen e dai
colleghi della Carnegie Mellon University e pubblicato dal periodico
“Psycosomatic Medicine” ha fornito dati molto interessanti.

I ricercatori hanno preso in esame 334 persone in salute e le hanno tenute


sotto osservazione per circa due settimane, dopo aver inalato a ciascuna di
loro un rhinovirus, il germe responsabile del raffreddore. Il risultato finale ha
dimostrato senza ombra di dubbio che tutte le persone per così dire felici,
rilassate e, in generale, serene, con un buona capacità di esprimere le loro
emozioni, sono state contagiate in misura decisamente inferiore (i dati sono
così evidenti che non è possibile parlare di coincidenze) dal rhinovirus
rispetto ai soggetti tendenzialmente depressi, irosi o con difficoltà dal
punto di vista emozionale.

A proposito del pianto, vorrei brevemente rilevare che le lacrime, oltre ad


assolvere la funzione di pulizia del bulbo oculare, contengono encefalina, un
“tranquillante” naturale rilasciato dal cervello per anestetizzare il dolore,
tanto che dopo un bel pianto, di norma, ci si sente più calmi e tranquilli.
Altro dato molto interessante è che le lacrime che servono solo per pulire
l’occhio hanno una composizione proteica differente dalle lacrime che
vengono secrete a seguito di uno stress emozionale. Queste ultime,
pertanto, servono a ripulire il corpo dalle sostanze chimiche stressogene
che ci intossicano se non espulse. Anche queste considerazioni devono

!211 !211
farci riflettere sulla “utilità” del pianto, anche e soprattutto per gli uomini:
ripulirsi da sostanze chimiche dannose non sembra essere un privilegio da
concedere alle sole donne, ma uno strumento necessario di cui tutti
dovrebbero avvalersi.

Per finire, vorrei anche far notare come, nel linguaggio di tutti i giorni, si
utilizzi spesso l’aggettivo “piccante” per definire situazioni o momenti che
hanno, direttamente o indirettamente, una connotazione sessuale. Per
esempio, si parla di un film piccante, di una cenetta piccante, di una
situazione piccante. Non è una coincidenza, credo, che si sia scelto proprio
questo aggettivo, questo “sapore”, per riferirsi a tali situazioni, poiché il
sapore piccante è proprio quello collegato all’organo Polmoni e, di
conseguenza, a tutto quello che riguarda la sessualità.

PROVERBI E DETTI… NEL NERO

COLLEGAMENTI DELLA AGOPUNTURA CINESE

I RENI e la VESCICA, collegati al colore NERO, sono da mettere in relazione


con emozioni quali la PAURA e il senso del LIMITE. Tali emozioni si
scaricano con il TREMITO, oppure RITIRANDOSI. I RENI sono da
relazionare anche alla nostra ENERGIA DI RISERVA, tanto è vero che più di
una volta li abbiamo paragonati alle nostre “batterie”. I RENI sono collegati,
infine, al sapore SALATO e all’elemento ACQUA.

DETTI E PROVERBI COMMENTATI

AVERE LE RENI ROTTE PER LA STANCHEZZA.


(In questo detto, la saggezza popolare ha identificato il collegamento che
esiste tra una eccessiva dose di fatica e i nostri Reni, che sono appunto i
primi a soffrire quando ci si sforza troppo e si esauriscono le riserve.
Immagino che chi abbia coniato questo modus dicendi non abbia fatto altro
che ascoltare il proprio corpo, così come dovremmo fare i noi, tutti i giorni).

!212 !212
TREMANO LE GAMBE PER LA PAURA.
(Questo detto associa la paura, o lo spavento, a seconda delle varianti del
detto medesimo, ad un tremore nelle gambe. Il tremito, guarda caso, è
proprio citato nei testi di Medicina Cinese come lo “scarico” del sentimento
collegato dei Reni. Per di più, la nostra scienza ha scoperto e confermato
che forti stress psicologici come paure molto forti o improvvisi spaventi
stimolano la produzione, da parte delle ghiandole surrenali, di enormi
quantitativi di adrenalina, ormone che, fra le altre cose, provoca forte
arteriolo -costrizione e quindi un innalzamento della pressione sistolica.
Passato lo spavento e rientrati nella norma i valori di adrenalina, l’effetto
percepito a livello di tessuti è quello di tremori più o meno forti. Ancora una
volta, a quanto pare, i Cinesi, i nostri nonni e i dottori del 2000 sembrano
essere completamente d’accordo!).

(PER LO SPAVENTO) TRASFORMARE IL SANGUE IN ACQUA.


(Anche questo detto popolare sembra avere una stretta attinenza con le
dottrine della Medicina Tradizionale Cinese, soprattutto per quanto riguarda
il nesso tra la Paura come sentimento e l’Acqua come elemento. Come al
solito, potrebbe trattarsi di una coincidenza… ma allora il sangue avrebbe
potuto anche trasformarsi in vino, no?).

PISCIARSI ADDOSSO DALLO SPAVENTO.


(Oppure: farsela addosso per lo spavento. In ogni caso, il collegamento
evidente è tra un forte spavento e la Vescica, della quale si perde il controllo
fino, appunto, a “farsela” nei pantaloni. I bambini che soffrono di incubi
notturni, tra l’altro, hanno la tendenza a bagnare il letto e non hanno alcuna
possibilità di controllare questo evento. Anche la nostra scienza moderna,
infine, riconosce come evidente il nesso tra forti traumi emotivi violenti ed
improvvisi e un rilassamento incontrollabile dei muscoli della vescica e dello
sfintere).

!213 !213
Una più precisa spiegazione di quel che accade a livello fisico in caso di una
forte paura è data da Francesco Bottaccioli, nel suo già citato libro
“Psiconeuroimmunologia”, in un capitolo molto interessante interamente
dedicato alla produzione di ormoni, da parte del corpo fisico, in risposta a
vari stress emotivi (tengo a precisare che stiamo parlando di fatti
comprovati a livello scientifico, non di teorie astratte o di vaneggiamenti di
qualche scienziato pazzo):

“La visione del pericolo mette in funzione quella via direttissima […] che
collega il cervello, tramite il sistema nervoso simpatico, alla midollare del
surrene, le cui cellule vengono indotte a produrre, in quantità dieci volte
maggiore del normale, una miscela eccitante composta per l’80% da
adrenalina e per il 20% da noradrenalina. È questa miscela il responsabile
dello stato di allerta e di sollecitazione generale di fronte al bicchiere che
sfugge di mano o al ragazzino che sbuca all’angolo della strada, ma se il
pericolo perdura e se dobbiamo tenere più a lungo di qualche secondo lo
stato di massima allerta, allora all’interno del nostro corpo i cambiamenti
sono ancora più significativi di quelli prodotti dagli ormoni “eccitatori”. In
questo caso con l’adrenalina entrano in gioco altri ormoni”. 21

Per concludere questo paragrafo sui Reni e la Paura, vorrei ricordarvi anche
che qualsiasi nonno che si rispetti vi confermerà che la stagione dell’anno
che meno ama è l’Inverno, stagione che nella Medicina Cinese è associata
all’età della vecchiaia e che è caratterizzata dal Freddo. Per cui, non sembra
essere un caso che soprattutto le persone vecchie lamentino di avvertire un
forte “freddo nelle ossa”, proprio d’inverno: se ci ricordiamo il nesso fra i
Reni, la Paura, il Freddo e l’Apparato scheletrico, ecco che i conti, ancora
una volta, tornano in maniera sorprendentemente evidente.

21 Psiconeuroimmunologia, di Francesco Bottaccioli, ed. Red

!214 !214
PROVERBI E DETTI… IN GENERALE

Come vi dicevo, di detti e proverbi che richiamino in maniera palese un


collegamento fra situazioni emotive e determinati organi e visceri, ne ho
trovati parecchi. Ho menzionato solo quelli più significativi.

Mi è capitato altresì di imbattermi, per esempio, anche in:

MENS SANA IN CORPORE SANO,


antico brocardo latino che sottolinea come un corpo in buone condizioni
fisiche sia strettamente collegato ad una mente agile e scattante, “sana”,
appunto.
Gli antichi usavano questo detto per evidenziare il fatto che fosse
necessario dedicarsi ad attività fisiche, oltre che ad attività intellettuali: quel
che a noi interessa, comunque, a prescindere dallo spunto che ha dato
origine al detto, è che era evidente per tutti che le condizioni di salute della
mente e del corpo non erano valutabili separatamente, ma erano legate da
un filo indissolubile. Impossibile non dirsi d’accordo!

Ho trovato poi un interessante proverbio mantovano che sembra ispirato


proprio ai principi della diagnosi clinica che si trovano enumerati nei trattati
di Medicina Tradizionale Cinese.

CHI NON CREDE AI MIEI DOLORI, GUARDI I MIEI COLORI.


Mi sembra che questo proverbio sottolinei l’importanza di osservare il
corpo fisico nella sua interezza, per dare una valutazione “clinica” dello
stato di salute della persona. Poiché ogni colore è collegato ad un organo,
la prevalenza di un colore nella persona sarà l’indice di una disarmonia o di
un disequilibrio in un determinato metabolismo. L’osservazione dei colori
del corpo fisico, come ho già detto, è una pratica tuttora considerata di
primaria importanza da qualsiasi medico cinese che, ne sono sicuro, di
proverbi mantovani non ne conosce molti!

!215 !215
Sempre fra i proverbi mantovani ho trovato un altro detto interessante, che
ha a che fare con quel discorso che abbiamo già affrontato a proposito dei
sintomi e del loro significato.
Abbiamo detto che i sintomi non sono altro che segnali che il corpo utilizza
per, da un lato, evidenziare situazioni di disagio e, d’altro lato, per
“eliminare” tensioni che non si sono scaricate altrimenti. Secondo questa
ottica, la persona che presenta sintomi non è una persona malata, perché in
qualche modo “butta fuori” e, in questa maniera, si salva. L’esperienza
comune, se ci pensate bene, insegna che le persone piene di acciacchi, le
cosiddette “vecchie carrette”, sono quelle che campano più a lungo.
Il proverbio, allora, dice:

DURA PIU’ UNA PENTOLA CREPATA DI UNA SANA.

PERLE DI SAGGEZZA

SOLO I MALATI SI SENTONO ESISTERE


(Maine de Biran, Cahier-Journal)

NON CI SONO MALI IMMAGINARI


(Anatole France, Le sette mogli di Barbablù)

LE MALATTIE SONO PIU’ INTELLIGENTI DI NOI, TROVANO LA RISPOSTA


DEI NOSTRI PROBLEMI PRIMA DELLA RAGIONE
(Gina Lagorio, La spiaggia del lupo)

QUELL’AGENTE PATOGENO MILLE VOLTE PIU’ VIRULENTO DI TUTTI I


MICROBI, L’IDEA DI ESSERE MALATI
(Proust, I Guermantes)

NIENTE DA DIRE CONTRO I MEDICI, GENTE GRANDIOSA: PRIMA


QUANDO SI AVEVA UNA PUNTURA DI ZANZARA CI SI GRATTAVA, OGGI
CI POSSONO PRESCRIVERE DODICI POMATE DIVERSE, E NESSUNA
SERVE
(Gottfried Benn, Invecchiare: problema per artisti)

!216 !216
Questa piccola parentesi è terminata: se volete, per gioco, mettervi a
cercare altri detti e proverbi, potete farlo, ma ad una condizione: dovete
mandarmi una copia di tutte le vostre ricerche, così potrò aumentare il mio
piccolo personale patrimonio di curiosità!

!217 !217
PARTE QUARTA:
STORIELLE

!218 !218
LA STORIELLA DEL VASO

Prima di raccontarvi qualche breve storiella, devo premettere che le pagine


che seguono non sono farina del mio sacco: si tratta di qualche piccola
storia che mi è stata recapitata attraverso la posta elettronica: sapete, quei
messaggi che vi arrivano tramite e-mail, con allegato l’obbligo di “girarle” al
più alto numero possibile di amici.
Per farla breve, queste storielle non le ho inventate io, ma mi sono talmente
piaciute e le ho trovate talmente attinenti al discorso, che ho pensato di
allegarle ora poiché, dopo tutto quello che abbiamo detto, mi sembrano
davvero pertinenti, nel nostro percorso alla ricerca della “felicità in tasca”.
Forse le giudicherete scontate, forse penserete che sono retoriche. A me
hanno trasmesso un’emozione, spero che facciano lo stesso con voi.
Da ultimo, devo sottolineare che non conosco gli autori di questi scritti che
viaggiano su internet, perciò non li ho citati. Ringrazio però questi autori,
perché in qualche maniera hanno contribuito alla realizzazione di questo
libro.

Ecco la prima storiella:

!219 !219
Un professore di filosofia, in piedi davanti alla sua classe, in una enorme aula
di una importante università, prese da un cassetto un grosso vasetto di
marmellata vuoto e cominciò a riempirlo con dei sassi, di circa 3 cm di
diametro, che aveva preparato sulla scrivania, in un sacchetto.
Una volta fatto questo, chiese agli studenti se il contenitore fosse pieno ed
essi risposero di sì.

Allora, il Professore tirò fuori da un cassetto una scatola piena di piccoli


piselli. Ne prese una manciata e li versò dentro il vasetto, dopo di che
scosse delicatamente il recipiente di vetro.
Ovviamente i piselli si infilarono negli spazi vuoti lasciati tra i vari sassi.

Ancora una volta il Professore chiese agli studenti se il vasetto fosse pieno
ed essi, ancora una volta, dissero di sì.

A questo punto, il Professore tirò fuori dal cassetto della scrivania una
scatola piena di sabbia, ne prese una manciata e la versò dentro il vasetto.
Quindi, scosse con delicatezza il recipiente di vetro. Ovviamente la sabbia
riempì ogni altro spazio vuoto lasciato e coprì tutto.
Ancora una volta il Professore chiese agli studenti se il vasetto fosse pieno e
questa volta essi risposero di sì, senza dubbio alcuno.

Per finire la sua dimostrazione, il Professore tirò fuori, da sotto la scrivania,


2 lattine di birra, le aprì e le versò completamente dentro il vasetto,
inzuppando la sabbia. Gli studenti risero.

"Ora," disse il Professore non appena svanirono le risate, "voglio che voi
capiate che questo vasetto rappresenta la vostra vita.
I sassi sono le cose importanti - la vostra famiglia, i vostri amici, la vostra
salute, i vostri figli - le cose per le quali, se tutto il resto fosse perso, la
vostra vita sarebbe ancora piena.
I piselli sono le altre cose per voi importanti: come il vostro lavoro, la vostra
casa, la vostra auto.
La sabbia è tutto il resto...... le piccole cose, quelle magari più futili o
comunque meno importanti di quelle già citate.

!220 !220
Se voi metteste dentro il vasetto per prima la sabbia," continuò il Professore
"non ci sarebbe più spazio per null’altro. Questo significa che se voi
dedicaste tutto il vostro tempo e le vostre energie alle piccole cose, non
avreste spazio per le cose che per voi sono davvero importanti. Dedicatevi
alle cose che vi rendono felici: giocate con i vostri figli, portate il vostro
partner al cinema, uscite con gli amici. Ci sarà sempre tempo per lavorare,
pulire la casa, lavare l'auto. Prendetevi cura dei sassi per prima, cioè delle
cose che veramente contano. Fissate le vostre priorità ......il resto è solo
SABBIA".

Una studentessa, allora, alzò la mano e chiese al Professore cosa


rappresentasse la birra.
Il Professore sorrise. "Sono contento che me l'abbia chiesto. Era giusto per
dimostrarvi che non importa quanto piena possa essere la vostra vita,
perché c'è sempre spazio per un paio di birre."

Abbiamo detto che non ci sono regole, per essere felici. Abbiamo anche
detto, però, che possiamo trovare nelle nostre tasche tanti piccoli tasselli
che, uniti gli uni agli altri, possono rendere la nostra vita più serena. Questi
tasselli non possono aiutarci a risolvere i problemi oggettivi della vita
quotidiana: potrete anche studiare a memoria tutte le pagine che ho scritto,
ma il vostro conto in banca non ne trarrà giovamento alcuno, così come il
carattere del vostro datore di lavoro non migliorerà per nulla, così come il
dolore per la perdita di una persona cara continuerà a bruciare nel vostro
Cuore.
Tuttavia, questi tasselli possono aiutarci, quanto meno, a sistemare le cose
nel loro giusto ordine di importanza, a dare delle priorità e a non fare
confusione tra ciò che conta e ciò che conta di meno, tra ciò per cui vale la
pena soffrire e consumare energia e ciò per cui, invece, non vale la pena
affannarsi troppo.
Questa storiella va ad aggiungersi agli altri “tasselli” e ci aiuta a riflettere su
quanta energia sprechiamo, giorno dopo giorno, nell’inutile rincorsa di cose
che non ci servono. Inoltre, credo io, può aiutarci a riflettere su un fatto
molto importante e cioè sul fatto che molto spesso non ci sentiamo
appagati e/o contenti perché viviamo di falsi miti e riteniamo erroneamente

!221 !221
che la nostra felicità dipenda da situazioni o oggetti che noi ci siamo
convinti di considerare indispensabili al raggiungimento della nostra
serenità ma che, invece, indispensabili non sono per niente. È sufficiente
riconsiderare gli obiettivi, dare il giusto peso solo alle cose che contano
veramente, per rendersi conto che molte delle nostre corse e dei nostri
sforzi sono dettati solo dall’illusione di trovare altrove ciò che non riusciamo
a trovare in noi stessi.

!222 !222
NONO TASSELLO

FERMATI.
FERMATI.
FERMATI.
LASCIA CHE LA CORSA
ALLA RICERCA DELL’IDOLO D’ORO
LA FACCIA UN ALTRO.

FERMATI
E GUARDATI INTORNO.

PER UN SOLO ATTIMO


PENSA ALLE COSE CHE
NON SI POSSONO PAGARE
CHIEDITI SE LE HAI
E SE SEI ABBASTANZA
GRATO PER QUESTO.

PENSA ALL’AFFETTO DI UN CONIUGE,


AD UN PRANZO IN FAMIGLIA,
ALLE BRACCIA SPALANCATE
DI UN BIMBO CHE TI CORRE INCONTRO,
ALLO SCONDINZIOLIO DI UN CANE
E ALLE SPALLE SU CUI APPOGGIARSI
QUANDO SEI TRISTE.

SE QUESTE COSE LE HAI,


FERMATI E NON CERCARE OLTRE.
SE QUESTE COSE MANCANO,
FERMATI E RICOMINCIA DA CAPO.

NON E’ MAI TROPPO TARDI.

!223 !223
LA STORIELLA DEL TEMPO

Immagina che esista una Banca che ogni mattina accredita la somma di
Euro 86.400 sul tuo conto. Questa generosa banca, tuttavia, non conserva il
tuo saldo giornaliero.


Ogni notte, questa banca, cancella qualsiasi quantità del tuo saldo che non
sia stata utilizzata durante il giorno. Ciò vuol dire che, ogni giorno, devi
spendere 86.400 euro, altrimenti gli euro non spesi ti verranno presi.
Che cosa faresti? Sono sicuro che ritireresti fino all'ultimo centesimo ogni
giorno, ovviamente!!!!


Ebbene, ognuno di noi possiede un conto corrente in questa favolosa e


generosa Banca. Il nome di questo conto corrente? Ebbene, il suo nome
è ...TEMPO.


Ogni mattina questa Banca ti accredita 86.400 secondi.



Ogni notte questa Banca cancella e dà come perduta qualsiasi quantità di
questo credito tu non abbia investito in un buon proposito.

Questa Banca non conserva saldi né permette trasferimenti.

Ogni giorno ti apre un nuovo conto, ogni sera lo chiude.
Ogni notte elimina il saldo residuo del giorno.

Se non utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua.
Non esistono accrediti sul deposito di domani.
Investi in questo modo per ottenere il meglio nella salute, felicità, nei
rapporti con chi ami e nel successo.


L'orologio continua il suo cammino.


Per questo, prova ad ottenere il massimo da ogni giorno.


Per capire il valore di un anno, chiedi ad uno studente che ha perduto un


anno di studio a scuola.


!224 !224
Per capire il valore di un mese, chiedi ad una madre che ha partorito
prematuramente il suo piccolo bambino.


Per capire il valore di una settimana, chiedi all'editore di un settimanale che


cosa significhi uscire in tempo.


Per capire il valore di un'ora, chiedi a due innamorati che attendono di


incontrarsi e soffrono nell’attesa.


Per capire il valore di un minuto, chiedi a qualcuno che ha appena perso il


treno che lo avrebbe portato ad un incontro.


Per capire il valore di un secondo, chiedi a qualcuno che ha appena evitato


un incidente solo per un briciolo di distrazione.


Per capire il valore di un milionesimo di secondo, chiedi ad un atleta che ha


vinto la medaglia d'argento alle Olimpiadi e si è visto scappare dalle mani
l’Oro.


Dai valore ad ogni momento che vivi.

!225 !225
Tutta la filosofia orientale, che si tratti di meditazioni religiose, di disciplina
per samurai o di considerazioni mediche, è permeata dal concetto per cui
bisogna vivere ogni giorno della nostra vita come se fosse l’ultimo.
Non si tratta di pessimismo o di fatalismo, ma di un invito a sfruttare
appieno il Tempo che ci è concesso.
L’esempio che ci porta la storiella di cui sopra è davvero ben riuscito. Forse,
immaginando il nostro tempo come un deposito bancario da spendere per
forza, riusciremo a renderci conto di quanto sprechiamo, giorno dopo
giorno, in maniera irrimediabile. Parlando di soldi, forse ci sentiremo toccati
più da vicino e questo ci porterà a riflettere.
Così come la storiella precedente, anche questa ci può essere utile, come
ulteriore tassello del nostro ipotetico puzzle, per renderci conto che il
primo passo da fare è sempre quello di assegnare alle cose il giusto ordine
di priorità.
Non rimandiamo a domani quello che possiamo fare oggi, per noi e per i
nostri cari, poiché, come anche diceva un certo Lorenzo De’ Medici, “del
doman non v’è certezza”.

Penso a mia figlia, che è piccola e sta crescendo. Ogni volta che rincaso
tardi non posso fare a meno di dirmi che sto sbagliando, perché ogni ora
che tolgo a lei, adesso, è un’ora perduta che non riuscirò a recuperare mai
più. Ripeto sempre a mia moglie: “bella così non sarà mai più. Il tempo di un
batter d’ali e non sarà più il nostro frugoletto che si lascia coccolare, che
gioca con noi e per la quale noi siamo l’universo intero”.
Penso a queste cose e mi riempio di tristezza.
Come vedete, fra le persone che hanno bisogno di fermarsi a riflettere, ci
sono anch’io. Anch’io sono certo di avere la mia felicità in tasca, eppure
spesso mi lascio ancora ingannare dal ritmo frenetico e dalle distrazioni e
mi scordo che basterebbe allungare la mano e metterla in tasca, per trovare
tutto quel che mi serve.

Penso anche a tutte le persone care che ho intorno e anche in questo caso
devo ricordarmi, giorno dopo giorno, che non dovrei mai rimandare le cose
da dire e le cose da fare, i sentimenti da esprimere e le confidenze da
regalare.

!226 !226
Queste persone le vedo tutti i giorni e per questo incorro nel madornale
errore nel quale molti inciampano: do per scontato che le vedrò sempre,
che ci saranno sempre. Non è così, e lo sforzo principale che dobbiamo
sostenere è proprio quello di ricordare che non è così, che il Tempo passa e
che non si può recuperare. Quello che non si spende in un giorno, non ci
verrà accreditato sul nostro conto corrente il giorno seguente. Saranno
soldi persi.
Facciamo e diciamo quello che ci suggerisce il Cuore, quando è il momento
opportuno, senza rimandare, perché la verità (e non è pessimismo) è che
potrebbe non ricapitare una seconda occasione. E, se ci si lascia scappare
dalle mani l’occasione propizia, potremmo trascorrere il resto della nostra
vita a rimpiangere di non aver fatto, o detto, quando avremmo potuto farlo.
Facciamolo per noi stessi: cogliamo al volo le occasioni, non sprechiamo
tempo.
Ed eccoci, così, ad un nuovo tassello.

!227 !227
DECIMO TASSELLO

AMA LA VITA
COME UN DONO SPECIALE,
VIVI LA VITA
COME UN’ESPERIENZA
UNICA, MAGICA,
IRRIPETIBILE.

PRENDI QUEL CHE LA VITA


TI OFFRE,
QUANDO TE LO OFFRE,
COSE BELLE O BRUTTE,
MOMENTI SERENI O TRISTI,
PROBLEMI O FORTUNE.

SII CERTO CHE NULLA


CAPITA A CASO,
CHE OGNI EVENTO TI PORTERA’ ALTROVE.

DEVI SOLO CREDERCI,


E LASCIARTI GUIDARE,
SENZA DIRE
“DOMANI, FORSE”.
HAI SOLO L’OGGI,
USA SOLO L’OGGI.

!228 !228
LA STORIELLA DEL SIGNOR COLERA

La storiella che segue non mi è arrivata da internet, ma è riportata in diversi


testi che trattano gli argomenti di psicosomatica, linguaggio del corpo,
emozioni collegate alle malattie.
Questa storiella è relativa al discorso che abbiamo fatto a proposito
dell’importanza del vivere bene e di non lasciarsi condizionare troppo da
tutto quello che ci viene detto o proposto dai mezzi di comunicazione,
perché molte volte fa più danni un’informazione sbagliata di una malattia.
Non solo: molte volte, provoca più danni la paura di essere malati che la
malattia vera e propria.
Sono certo che avrete sentito mille volte di persone che “ce l’hanno fatta”
grazie alla fiducia, all’ottimismo, alla voglia di vincere. Ebbene, il piccolo
racconto che segue parla proprio di questo.
Poiché l’ho trovata riportata in più libri, scritti da autori diversi, non so
proprio a chi attribuire la paternità di questo piccolo racconto. In ogni caso,
alla fine del libro, troverete una breve bibliografia essenziale: in alcuni dei
testi che vi segnalerò è contenuta, appunto, la storiella che vado a
raccontarvi. Attribuirete voi il merito a chi di dovere.

!229 !229
C’era un volta, tempo fa, un vecchio saggio che viveva in un remoto paese
dell’India. Quest’uomo era rinomato per la sua sapienza e per la sua
rettitudine. Un giorno come un altro, il vecchio saggio stava percorrendo
con calma una strada di campagna per raggiungere un villaggio nel quale
avrebbe dovuto incontrare alcune persone.
Ad un certo punto, sul suo cammino, incrociò uno strano personaggio.
“Buon giorno”, disse il vecchio saggio.
“Buon giorno a lei”, disse lo strano personaggio.
“Posso chiederle chi è lei, gentile signore”, chiese il vecchio saggio.
“Certo. Io sono il signor Colera!”.
Il vecchio saggio rimase molto stupito nell’apprendere che si trovava di
fronte proprio al tanto temuto Colera, così tristemente famoso dalle sue
parti.
Tuttavia, non perse la calma.
“Gentile signor Colera, posso chiederle dove sta andando?”, chiese il
vecchio saggio.
“Ma certo”, rispose il Colera, “sto andando al villaggio che si trova in fondo
a questo sentiero, perché devo prendere tremila anime”.
Il vecchio saggio, sebbene scosso da quella triste notizia, non provò
nemmeno a convincere il signor Colera a desistere dal suo proposito:
sapeva bene che non c’era nulla da fare. Pertanto, salutò il signor Colera e
se ne andò per la sua strada, lasciando che il signor Colera andasse a fare
quel che doveva fare.

Dopo alcune settimane, al vecchio saggio capitò fra le mani un giornale


locale, sul quale era scritto che una forte epidemia di Colera in un villaggio
della zona era costata la vita a seimila persone.
Il vecchio saggio si risentì molto.
“Ma come”, pensò, “il signor Colera mi ha preso in giro. Mi aveva detto che
avrebbe portato con sé tremila anime, ed invece ne ha prese seimila. Se mi
capitasse di incontrarlo di nuovo, lo redarguirò per questo!”.

Trascorse altro tempo e un bel giorno al vecchio saggio, mentre stava


procedendo lungo un sentiero, capitò di incontrare ancora il signor Colera.
“Buon giorno, signor Colera”, disse il vecchio saggio.

!230 !230
“Buon giorno a lei, caro signore”, rispose il Colera.
“Sono molto in collera con lei”, osò dire il saggio.
“Ah sì? E perché mai?”, chiese il Colera.
“Si ricorda del nostro ultimo incontro?”, disse il vecchio.
“Mi ricordo, ebbene?”, chiese il Colera.
“Lei mi aveva detto che stava recandosi presso un villaggio e che là avrebbe
preso con sé tremila anime. Ho saputo, invece, che ne ha prese ben seimila,
di anime. Perché mi ha ingannato?”, disse il vecchio saggio.
Il Colera rise.
“Vede, caro signore”, disse poi, “io non l’ho ingannata. Io mi sono davvero
recato in quel villaggio e ho davvero preso con me tremila anime”.
“Il fatto è”, proseguì il signor Colera, “che al villaggio ho incontrato anche il
signor Paura. Le altre tremila anime le ha prese lui”.

!231 !231
LA STORIELLA DELLE SCARPE STRETTE

Per concludere questa breve parentesi fatta di raccontini e storielle, vi


lascio con un aneddoto simpatico. Si tratta solo di uno scherzo, di una
battuta. Nulla di serio… a meno che il “signore con le scarpe strette” siate
proprio voi. In tal caso, avrete poco da ridere, ma avrete l’occasione per
riflettere. Vale la pena condurre una esistenza priva di soddisfazioni, fatta
unicamente di doveri, di sacrifici per gli altri, in cui si trascura tutto quello
che riguarda noi? Quanto poco bene vi volete? Quanto fate per voi stessi?
Quanto fate per migliorare le cose, che si tratti della moglie, del marito, del
datore di lavoro, dei figli? Vale la pena trascorrere i vostri giorni in questo
modo?

Ricordate che, per quanto a prima vista possa sembrare che non ci siano
vie d’uscita, in realtà vie d’uscita ce ne sono sempre, se non da tutti i vicoli
ciechi della nostra vita, almeno da buona parte di essi.

!232 !232
Un signore entra in un negozio di scarpe e si guarda intorno alla ricerca di
qualcosa. Finalmente, sembra aver trovato quello che fa per lui. Chiama il
commesso e gli chiede di poter provare un paio delle scarpe che ha scelto.
“Che numero le porto?”, chiede il commesso.
“Io ho il 43, ma mi porti il 42”, risponde il cliente.
Il commesso, senza obiettare, porta al signore il numero 42. Il signore si
accomoda e, a fatica (ovviamente!), riesce a infilarsi le scarpe. Ci cammina
un po’ dentro ma poi, insoddisfatto, chiede al commesso di portargli un
numero ancora più piccolo, il 41.
Il commesso, ancora una volta, non eccepisce e ritorna con un paio di
scarpe numero 41.
Il cliente, stavolta facendo davvero fatica, riesce a infilarsi le scarpe. Prova a
camminare e addirittura zoppica, tanto sono strette le sue scarpe. Eppure,
dopo la prova, sembra soddisfatto e chiede di poterle acquistare. Il
commesso, a questo punto, si lascia tentare dalla sua curiosità.
“Mi perdoni, signore, ma posso chiederle perché, se lei calza un 43, ha
acquistato un 41, che le va stretto e le è di ostacolo?”.
“Vede”, risponde il signore con un sorriso triste, “sul lavoro, il mio capo non
lo sopporto. Con mia moglie non ho più dialogo da vent’anni e i miei figli mi
parlano solo per chiedermi soldi. Non ho molti amici e quei pochi amici che
ho sono sempre troppo impegnati per dedicarmi un po’ del loro tempo.
Così, ho preso l’abitudine di acquistare scarpe molto strette che, durante il
giorno, mi provocano forti fastidi e forti dolori. Almeno, quando torno a
casa la sera, mi tolgo le scarpe e provo un senso di sollievo enorme. È la mia
unica soddisfazione nella vita!”.

!233 !233
LA STORIELLA DEL CONTADINO CINESE

Non credo alla Fortuna. Credo che la vita di ogni uomo sia costellata di
meravigliose opportunità, di cose belle e di cose meno belle. Credo, anzi,
che ogni cosa sia, in sé stessa, sia bella sia brutta, che abbia nella sua
essenza aspetti positivi e aspetti meno positivi. Così come asseriva un noto
filosofo a proposito della bellezza (“la bellezza è negli occhi di chi guarda”),
ritengo che la Fortuna sia nelle mani di chi la cerca.
È la legge del Tao, ne abbiamo già parlato.
Noi possiamo osservare ogni singolo evento della nostra vita e trovarci
aspetti positivi ed aspetti negativi, possiamo commiserarci per la cattiva
sorte o, viceversa, provare a leggere il messaggio contenuto nell’evento
stesso. Perché è successa questa cosa? Dove mi porterà tutto questo?

Imparare ad osservare le cose nella loro interezza, nei loro aspetti buoni ed
in quelli meno buoni non è facile ottimismo ad oltranza, ma comprensione
profonda della realtà che ci circonda e percorso di crescita interiore. Non
lasciarsi scoraggiare da accadimenti poco piacevoli e credere che,
comunque, anche le cose peggiori che possono capitarci hanno la funzione
di portarci da qualche altra parte, è un passo avanti molto importante in
questo cammino che stiamo facendo insieme.
La storiella che segue, trovata forse (non ricordo) in un testo di Medicina
Cinese, è illuminante.

!234 !234
In un villaggio cinese, qualche centinaio di anni orsono, abitava un
contadino con sua moglie e suo figlio.
Un bel giorno, a causa di una distrazione, il miglior cavallo della stalla
scappò dalla fattoria.
Saputo dell’evento, tutti i vicini di casa del contadino commiserarono il
pover’uomo per la sfortunata vicenda.
“Che sfortuna”, gli dissero tutti.
“Sfortuna? Fortuna? Chi può dirlo?”, rispose loro il contadino.

Dopo qualche giorno, il cavallo che era scappato ritornò alla fattoria,
portando con sé alcuni magnifici esemplari di cavalli che vivevano allo stato
brado.
“Che colpo di fortuna!”, dissero tutti i vicini di casa al contadino.
“Fortuna? Sfortuna? E chi lo sa!”, rispose loro il contadino.

Qualche giorno dopo, il figlio del contadino provò a domare uno di questi
bellissimi cavalli ma, nel tentativo, fu disarcionato e si ruppe un braccio ed
una gamba.
Questa era davvero una grave tragedia e tutti i vicini di casa del contadino
si recarono da lui per consolarlo.
“Che tragedia! Che sfortuna!”, dissero tutti.
“Sfortuna? Tragedia? Chi può dirlo?”, rispose loro il contadino.

Dopo qualche tempo scoppiò nel Paese una grande guerra. L’imperatore
mandò i suoi emissari in tutti i villaggi per reclutare soldati.
Quando gli emissari giunsero alla casa del contadino, trovarono il figlio a
letto, con la gamba ed il braccio rotti. Così, non poterono reclutarlo per la
guerra.
Tutti i vicini di casa, i cui figli erano partiti per il triste viaggio, si rallegrarono
con il contadino per la fortuna che gli era capitata.
“Che fortuna!”, dissero tutti.
“Fortuna? Sfortuna? E chi può saperlo”, rispose il contadino.

!235 !235
PARTE QUINTA:
SCELTE

!236 !236
QUALE STRADA?

“Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile


agli occhi”.
(Antoine De Saint-Exupery)

Ne abbiamo fatta di strada, fino ad ora. Abbiamo parlato di un sacco di


argomenti molto interessanti e spero di avervi fatto fermare a riflettere un
po’ su alcune cose.
Cose che non sapevate, ma anche cose che credevate di sapere e che,
invece, avete scoperto, non sapevate affatto. Cose che, infine, credevate di
non sapere e che, invece, sapevate benissimo.

A questo punto, mi aspetterei da voi la domanda fatidica che mi rivolgono


sempre tutti i miei clienti.

“Devo rinunciare alle medicine? Devo farmi curare con la Medicina Cinese
e lasciar perdere il mio dottore?”.

Credo di aver disseminato, lungo il corso delle pagine, abbastanza indizi


per farvi sapere come la penso. Tuttavia, permettetemi di chiarire ancora il
mio punto di vista.

!237 !237
Vedete, cari amici, quando si tratta della salute, non si tratta di scegliere
una cosa o un’altra, di preferire il bianco o il nero, di operare una scelta
rigida a favore di una disciplina piuttosto che di un’altra.
Quando c’è di mezzo la salute, sarebbe meglio avere a disposizione la più
ampia gamma possibile di soluzioni, per poter scegliere volta per volta
quella più opportuna, più efficace, meno complicata, meno dannosa.

Preferisco la medicina occidentale o la medicina cinese? Preferisco la


medicina che mi serve per stare bene!

Ripeto che non si tratta di un problema di scelte assolute. Siamo noi


occidentali ad avere una visione della vita in cui una cosa è bianca oppure è
nera, in cui o si fa una cosa o se ne fa un’altra.
La verità è che, oltre al bianco e al nero, esiste anche il grigio. Esistono le
sfumature.
Nella cultura orientale, in ogni cosa bianca c’è un po’ di nero e in ogni cosa
nera c’è un po’ di bianco.

L’unica cosa davvero importante, a mio avviso, è avere la piena


consapevolezza delle scelte che sono a disposizione, perché la maggior
parte delle volte crediamo di scegliere ed invece non scegliamo affatto,
perché le nostre possibilità di scelta sono limitate e condizionate da altri.

Poniamo il caso che io vi inviti a pranzo e che vi chieda se preferite gli


spaghetti al pomodoro o gli spaghetti al pesto. Una volta che mi avrete
risposto, avrete operato una scelta. Ma si tratta di una scelta libera? Che
cosa mi avreste risposto se vi avessi detto che in dispensa tengo altri venti
tipi di condimento diversi?

La conoscenza è l’unica chiave per scegliere la strada giusta per noi.

Per scegliere la strada giusta, quindi, è opportuno conoscere esattamente e


il meglio possibile dove ci conduce ogni sentiero che ci troviamo davanti.
Può essere utile, a questo punto, provare a vedere quali sono i due approcci
diversi che caratterizzano la medicina occidentale e la medicina cinese.

!238 !238
Nel bellissimo testo “Tra cielo e terra, una guida alla medicina cinese” di H.
Beinfield e E. Korngold (ed. Il Castello) è proposta un’interessante
dicotomia.

Nella Medicina Occidentale, si dice, il corpo umano è visto e considerato


come una macchina, composta da tanti pezzi diversi, ognuno dei quali
soggetto a proprie regole di funzionamento ed avente le proprie
caratteristiche. Partendo da questo presupposto, è ovvio che la figura del
medico sia paragonabile a quella di un meccanico. Quando la macchina (il
corpo) non funziona bene, ecco che il meccanico svolge un’indagine per
scoprire che cosa non va e procede poi o rabboccando il livello dell’olio o
del liquido dei freni, oppure stringendo un bullone, oppure, in casi estremi,
cambiando un pezzo guasto.
L’aspetto positivo di questo medico-meccanico è che è in grado di
cambiare i pezzi rotti e che è quindi in grado di restituirci la nostra
macchina funzionante, qualora qualche guasto ne pregiudichi il
funzionamento.
L’aspetto negativo di questo approccio è che il medico-meccanico si
disinteresserà della nostra macchina fino a che non ci saranno problemi:
finché la macchina va (o meglio, finché sembra che vada bene), egli non
interverrà. Un altro grosso problema con un approccio del genere è dato
dal fatto che molte volte la macchina non ci dà segnali prima di rompersi: i
pezzi possono cedere di schianto o può bastare una qualsiasi condizione
avversa per provocare danni irreparabili. Pensiamo alle pastiglie dei freni, in
condizioni pessime senza che noi ce ne rendiamo conto: un forte temporale
potrebbe essere fatale.

Nella Medicina Orientale, invece, il corpo è visto come un giardino. Come


qualsiasi giardino, la sua rigogliosità sarà determinata da fattori quali la
pioggia, il sole, il vento, la fertilità del terreno, le cure del giardiniere e così
via.
Secondo questa visione, ecco che il medico non è più un meccanico, ma un
giardiniere. Come un bravo giardiniere, il suo compito sarà quello di tenere
sempre tutto sotto controllo: mettere concime dove serve, trapiantare un
germoglio quando sarà il caso, dare più o meno acqua a seconda delle

!239 !239
condizioni climatiche, strappare le erbacce dannose prima che divorino o
soffochino le piante buone. In questo modo, il giardino sarà sempre in
buone condizioni e anche eventi climatici bruschi non dovrebbero creare
danni eccessivi.
L’aspetto positivo di questo approccio è evidente: si mantengono le
situazioni ad un buon livello di “benessere”, per evitare grossi ed irreparabili
danni improvvisi.

In un trattato di Medicina Cinese scritto nel secondo secolo a.C., il Nei Jing,
è scritto: “Il principio supremo della saggezza è mantenere l’ordine
piuttosto che correggere il disordine. Curare la malattia dopo che è apparsa
è come scavare un pozzo quando si ha già sete, o forgiare un’arma a guerra
iniziata”.

L’aspetto negativo di questo approccio è altrettanto evidente: non farei


cambiare la coppa dell’olio della mia auto all’uomo che mi cura il prato!

Torniamo al nostro quesito: che cosa scegliere? Che cosa è meglio?


Scegliete il meccanico o scegliete il giardiniere?

NON DOVETE SCEGLIERE, PERCHE’ AVETE A DISPOSIZIONE SIA IL


MECCANICO SIA IL GIARDINIERE!

La cosa importante è non chiedere al giardiniere di fare il lavoro del


meccanico e viceversa.
La cosa importante è mettersi bene in testa che fare il meccanico non è né
meglio né peggio che fare il giardiniere: sono solo cose diverse.
Del pari, non si possono fare confronti tra un meccanico o un giardiniere,
perché i loro campi di intervento sono diversi e le loro competenze sono
diverse. Tutt’al più, potrete fare un confronto fra due meccanici o fra due
giardinieri, insomma tra persone che fanno le stesse cose.

Detto questo, noi abbiamo una immensa fortuna che i nostri antenati, per
questioni storiche, geografiche, economiche, non hanno mai avuto: la
possibilità di scegliere.

!240 !240
Abbiamo a disposizione tutto quel che di meglio ci offre il progresso
tecnologico e, al tempo stesso, tutto quel che ci è stato tramandato
dall’antica saggezza dei nostri avi. Perché mortificare una cosa a vantaggio
di un’altra?
Perché sorridere con disprezzo di fronte all’ipotesi che un malessere sia
provocato da un disagio emotivo e che possa essere curato con un
riequilibrio energetico dell’emozione stessa?
Perché, d’altro canto, ricusare cocciutamente e per principio ogni forma di
intervento con farmaci, se questi possono esserci utili a star meglio, anche
se temporaneamente, o magari levarci da qualche brutta situazione?

Ricordate che gli atteggiamenti estremi indicano sempre qualche cosa che
non va: l’eccessiva rigidità e il sarcasmo con i quali i fautori ad oltranza della
medicina occidentale giudicano la medicina orientale, indicano scarsa
apertura mentale e preconcetti che non hanno ragione di esistere, poiché
quando si rifiuta qualche cosa senza conoscerla, ciò indica pochezza
d’animo e scarsa intelligenza.
Viceversa, quelle persone che odiano i dottori e che si ostinano per
principio a non prendere mai medicine, sottovalutano uno strumento di
vitale importanza che la scienza ed il progresso hanno messo a nostra
disposizione per permetterci di risolvere alcuni dei nostri problemi. Un
rifiuto ad oltranza indica, anche in questo caso, scarsa elasticità mentale e
poca intelligenza.
Come potete ben vedere, quindi, il problema della scelta è in realtà un
falso problema, perché non c’è proprio nulla da scegliere.
C’è solo da aprire la dispensa e prendere l’ingrediente che ci serve, al
momento giusto, in relazione a quello che stiamo cucinando.
Qualsiasi medico occidentale coscienzioso ed intelligente vi dirà volentieri
che le medicine è preferibile usarle con parsimonia, solo quando servono
davvero.
Qualsiasi medico cinese, dal canto suo, vi consiglierà di rivolgervi al miglior
chirurgo, qualora si profilasse la necessità di intervenire sul corpo fisico in
tal senso.

Abbiamo risolto il quesito sulla strada giusta da prendere, insomma.

!241 !241
Resta da sottolineare che, prima di rivolgerci al medico (cinese o
occidentale), dovremmo considerare il fatto che i primi medici di noi stessi
siamo proprio noi e, poiché è indubbio che un buono stato di salute sia una
delle chiavi per poter parlare di felicità, allora non v’è dubbio che la
responsabilità di mantenerci in salute spetta anzitutto a noi.
Ho parlato di responsabilità non a caso: si tratta di un lavoro costante e
faticoso, che richiede uno sforzo di comprensione e consapevolezza. Di
certo, si tratta di un modo di vivere più scomodo di un subire passivo gli
eventi che occorrono.
Essere medici di se stessi non vuol dire prescriversi le erbe o le medicine
che crediamo possano esserci di aiuto: quella sarebbe solo arroganza,
prevaricazione di un ruolo che non ci compete.
Essere medici di se stessi vuol dire esercitare un controllo quotidiano su noi
stessi, vuol dire riflettere su ciò che siamo, su ciò che facciamo, vuol dire
ascoltare e provare ad interpretare qualsiasi segnale il corpo ci mandi.

Scrive Claudia Rainville:


Assumere la responsabilità di ciò che viviamo significa riconoscere e
accettare che i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri atteggiamenti […]
abbiano dato luogo sia alle situazioni felici e infelici in cui ci siamo imbattuti,
sia alle difficoltà e alle gioie che viviamo attualmente […]. Nulla è frutto del
caso.22

Ora, è evidente che poche persone conoscono le “chiavi” per interpretare il


linguaggio del corpo. Coloro che le possiedono, tuttavia, non sono né più
né meno intelligenti di chi le chiavi non le conosce: si tratta solo di aver
studiato un po’ di più. Del resto, io che di mestiere faccio proprio questo,
non mi reputo né più né meno intelligente di un mio amico architetto:
facciamo cose diverse e, se si trattasse di progettare casa mia, non proverei
nemmeno ad avvicinarmi ad un foglio di carta. Chiamerei lui e gli lascerei
fare il lavoro per il quale ha studiato e si è preparato.
Non tormentatevi, quindi. Come dicevo sempre ai partecipanti dei miei
corsi che si lamentavano di non riuscire a ricordare tutto, non è importante
il numero di nozioni che si apprendono. Davvero, non importa sapere che

22 Rainville Claudia, Metamedicina, ed. Amrita

!242 !242
cosa vuol dire preferire un certo colore o che cosa vuol dire un mal di testa.
Quel che importa è sapere che vuole dire qualche cosa, sapere che non si
tratta di una coincidenza, ma che, in qualche modo, il corpo ci sta dicendo
qualcosa di noi.

Basta questa riflessione per renderci creature più consapevoli e di


conseguenza più libere.

Ippocrate, che di certo non aveva studiato con i Medici Cinesi e che non
sapeva nulla di medicina psicosomatica, ha detto: “Se sei malato, scopri
prima di tutto che cosa hai fatto per diventarlo”.
Platone, dal canto suo, ha detto: “Non bisogna cercar di guarire il corpo
senza cercare di guarire l’anima”.

Basta una consapevolezza del genere per poter affermare che abbiamo
fatto tesoro di tutti i tasselli che ci siamo trovati fra le mani e che abbiamo
cominciato a cercare la nostra felicità proprio laddove non avevamo mai
pensato di andare a sbirciare, cioè nelle nostre tasche.

Ricordatevi: non importa sapere che cosa vuol dire il nostro corpo
quando ci parla, importa solo saper che ci sta parlando e che vuole dirci
qualche cosa d’importante!

La traduzione del messaggio spetterà a chi se ne intende, a chi ha studiato


il “libretto di istruzioni” e quindi è in grado di spiegarvi quel che il vostro
corpo vuol dirvi. Una volta che avrete “interpretato” il messaggio, scegliete
la strada che vi è più congeniale, badando bene a utilizzare i rimedi
appropriati: è inutile usare una bomba per distruggere una zanzara, così
come sarebbe inutile pensare di riparare un osso fratturato bevendo una
tisana di erbe mediche.
Usate la testa, usate la testa, usate la testa. Non siate rigidi, siate morbidi ed
elastici, prendete il meglio per voi da ogni cosa, sfruttate al massimo le
potenzialità di ogni disciplina, di ogni tecnica, di ogni arte.

!243 !243
La vita e l’esperienza millenaria dell’uomo vi garantiscono una rosa di
possibilità praticamente illimitata: sarebbe davvero un peccato limitarsi per
pigrizia, ottusità o ignoranza.

!244 !244
CAMBIARE?

Quello che dico sempre ai miei clienti, dopo qualche trattamento, è che
spero diventino un po’ più egoisti. La maggior parte dei miei clienti, a
questo punto, storce il naso.
“Ma come?”, mi dicono. “Diventare egoista? Ma io non sono cattivo!”.

Io non spero che i miei clienti diventino persone cattive, insensibili, senza
scrupoli, egoiste nel senso deteriore del termine. Quello che io auspico è
che le persone che si rivolgono a me trovino in loro stesse un po’ di “sano”
egoismo.

Che cosa vuol dire SANO EGOISMO? Vuol dire semplicemente volersi un
po’ più bene, rispettarsi un po’ di più, considerare anche i propri bisogni, i
propri gusti, le proprie necessità. Ciò non significa stravolgere
completamente la propria personalità e diventare ciò che non si è, perché
questo vorrebbe dire andare contro natura. Quel che si spera è trovare una
giusta via di mezzo, come sempre.
Se siamo abituati a dire sempre “si” quando vorremmo dire “no”, il sano
egoismo ci porterà, qualche volta, a provare la gioia di rispondere “no”. Non
sempre, non è necessario. I compromessi dobbiamo farli tutti, per vivere e
sopravvivere. Siamo animali sociali e la nostra intera esistenza è permeata
di rapporti sociali, da quelli che si svolgono in famiglia a quelli che si
instaurano nel mondo dell’amicizia, dello sport, del lavoro. È ovvio che siano
necessari dei compromessi: posizioni sempre troppo rigide ci
condurrebbero all’isolamento. L’importante è che la nostra vita non sia solo
compromessi, ma ci sia anche uno spazio per l’affermazione del nostro io
profondo, che ha esigenze e richieste tanto importanti quanto quelle degli
altri.
La giusta via di mezzo, insomma, come si è detto mille volte fino ad ora.

Imparare, qualche volta, a mettere anche noi stessi nel novero delle
persone da accontentare.

!245 !245
Imparare ad inserire anche i nostri problemi, nella lista dei problemi da
affrontare.
Imparare a tenere in considerazione anche ciò che piace a noi, quando si
tratta di decidere che cosa fare e dove andare.

Qualche volta dovremo piegare la testa e seguire chi ci sta accanto, ma


qualche volta lasciamo che siano gli altri a seguire noi.
Una volta per uno non fa male a nessuno, dicono le mamme ai bambini che
fanno i capricci. Ebbene, anche nella nostra vita, con le persone con le quali
siamo in contatto, dovrebbe valere la stessa sacrosanta regola.

Sano egoismo, allora, vuol semplicemente dire farsi rispettare per ciò che
si è, imporsi per ciò che si desidera, affermare a voce alta quello in cui si
crede.

Le persone alle quali faccio questi discorsi, spesso, associano questo fatto
del diventare un po’ più egoisti con il fatto che sia necessario “cambiare” o
che gli altri debbano “cambiare”.

NESSUNO DEVE CAMBIARE PER GLI ALTRI

Sarebbe profondamente ingiusto (e dannoso) se una persona cambiasse


per adeguarsi ad un’altra persona o ad una situazione, così come sarebbe
profondamente sbagliato pretendere che altre persone cambino per
adeguarsi a noi. Nessuno deve cambiare per gli altri, lo ripeto.
Non c’è il giusto e lo sbagliato, quando si parla di rapporti fra le persone.
Ognuno ha pieno diritto di essere quel che è, nel bene e nel male. Ognuno
ha il sacrosanto diritto di chiedere ciò che desidera, di ribellarsi di fronte
alle cose che non gli piacciono, di provare ad affermare la sua indole, i suoi
gusti, i suoi desideri. Ogni altra persona, d’altro canto, ha il sacrosanto
diritto di fare la stessa cosa e di ribellarsi alle ingerenze degli altri. Sembra
una lotta sul filo del rasoio, me ne rendo conto. Un sottile gioco di equilibri
in cui ognuno dei partecipanti prova ad invadere un po’ dello spazio di chi
gli sta intorno, mentre altri provano ad invadere il suo. Si tratta di un tiro
alla fune fra il dare e il non dare, il concedere ed il negare, l’accettare ed il

!246 !246
subire. Del resto, la vita stessa è una lotta, a partire dallo sforzo che si fa per
venire al mondo, passando dai primi “no” con i quali un bambino cerca di
imporsi, transitando per tutte le conquiste da fare con il sudore sulla fronte
e a prezzo di chissà quali fatiche, fino ad arrivare alla morte. Chi ha visto
morire qualcuno, sa bene che persino morire è una lotta, uno sforzo, una
fatica.
Anche la Natura è un universo in cui convivono lotte continue, da quelle
degli elementi a quelle degli animali: non si può sfuggire a questa realtà.

Allora, lottiamo, senza cambiare e senza pretendere che gli altri cambino
per noi. Troviamo il giusto compromesso fra ciò che accetteremo dagli
altri e ciò per cui varrà la pena lottare e imporsi.

Lo ricordo ancora una volta: non c’è il giusto e lo sbagliato. Non ci sono
persone più o meno brave. Ci sono persone diverse, punto e basta.
Da me vengono numerose coppie, mariti e mogli che trascorrono i loro anni
nelle reciproche infelicità e frustrazioni, causate dalla diversità di caratteri,
di gusti, di visioni.
Quando ascolto una moglie che si lamenta del marito, sembra che questo
povero marito le abbia davvero addosso tutte.
Quando ascolto un marito che si lamenta della moglie, sembra che questa
moglie non ne combini mai una giusta. Eppure, non ci sono mariti e mogli
bravi, oppure mariti e mogli non bravi.
“Buono” e “cattivo”, nel mio campo, sono concetti che non esistono.
Il vero problema è solo uno: l’assortimento.
Se io potessi prendere tutti i miei clienti e, come se fossero delle pedine su
una scacchiera, potessi muoverli a mio piacere e riassortire, per gioco, tutte
le coppie, trasformerei in un baleno dieci coppie/venti persone infelici in
dieci coppie/venti persone felici. E la stessa persona che si sente sbagliata
e fuori posto si troverebbe di colpo ad essere serena, a sentirsi compresa
ed accettata.

Per questo, ribadisco che l’unico cambiamento da fare, alla luce di tutto
quel di cui abbiamo parlato, è da fare in noi stessi e per noi stessi. Si tratta
di fermarci ad ascoltare quel che ci dice il corpo, di prestare orecchio ai

!247 !247
bisogni e ai lamenti del nostro essere e di lottare per loro, per noi stessi.
Senza mancare di rispetto a nessuno, ma lottare. Lottare per una pizza, se
ci piace la pizza e ci vogliono portare al ristorante. Lottare per un film di
avventura, se ci vogliono portare a vedere solo film d’amore. Lottare per il
rosso, se ci piace il rosso. Lottare per un sorriso o una parola, se ci nasce
dal Cuore e nessuno sembra essere disposto ad ascoltare.
Lottare non vuol dire ottenere necessariamente ciò per cui si lotta, l’ho già
detto all’inizio del libro a proposito delle emozioni. Ottenere tutto ciò che si
desidera è utopico e, se anche succedesse davvero, sarebbe
necessariamente a prezzo di rinunce e sacrifici altrui, un prezzo troppo alto
che nessuno dovrebbe mai mettersi in condizione di pagare.
Lottare significa solo volersi bene e affermare se stessi nei confronti degli
altri. Quel che ne seguirà non è molto importante. Alla fine della nostra
giornata, noi sapremo di aver fatto ciò che era giusto, e tanto basta.

Cambiare non è così facile, tuttavia. A qualcuno potrà risultare facile, per
qualcun altro sembrerà un’impresa titanica, impossibile, impraticabile.
In verità, affrontare da soli un compito del genere è davvero una cosa ardua
e me ne rendo ben conto, giorno dopo giorno, cliente dopo cliente.
La maggior parte delle persone che si rivolge a me, in effetti, sa benissimo
quel che va e quel che non va nella sua vita e, soprattutto, sa perfettamente
quel che servirebbe per sistemare le cose. Tuttavia, quasi tutte le persone
non riescono nel loro intento e si rivolgono a me. Molti la fanno facile e
dicono che si tratta solo di una questione di volontà. Non è vero, non
sempre almeno.

“E’ più forte di me”, mi dicono.


“Io vorrei… ma non ci riesco proprio”, dicono.
“Arrivo lì lì per farlo e poi… mi fermo”, dicono.

Sottolineo questo perché mi rendo conto che è molto frustrante “sapere”


quel che vorreste fare e non riuscire a farlo. Potreste sentirvi meno in
gamba di altri che, invece, una volta capito quel che devono fare, mettono
in atto i loro propositi senza difficoltà. Potreste sentirvi meno bravi, meno

!248 !248
capaci, meno intelligenti. Niente di tutto questo. Non è una questione né di
bravura né di intelligenza né di volontà.
Facciamo un esempio.
Supponete che io adesso vi dica che ho appena parcheggiato davanti a
casa vostra una bellissima auto, nuova fiammante. Vi consegno le chiavi e vi
spiego per filo e per segno come si guida un bolide del genere.
La chiave si mette lì… i fari si accendono così… quando arrivi a duecento
all’ora devi schiacciare quel pulsante lì… dalla prima alla seconda devi fare
così…
Voi prendete nota e uscite: siete pronti, sapete tutto quel che dovete fare.
Salite sul vostro bolide, infilate la chiave e… sorpresa, la macchina non va!
Ma come! Sapete tutto! Conoscete a memoria le istruzioni! Vi sforzate,
usate tutta la vostra buona volontà e tutta la vostra intelligenza, eppure la
macchina non va!
Il problema è che se nella vettura non c’è benzina, qualsiasi cosa voi
possiate sapere a proposito di motori si rivelerà vana.
Capite che non si tratta di buona volontà, né di intelligenza?
Vi serve solo un benzinaio. Potrei essere io, oppure qualunque collega che
si occupa di quel di cui mi occupo io, cioè farvi un bel pieno di carburante e
lasciarvi guidare la vostra macchina, dove volete e come volete.

A questo proposito, mi permetto di darvi un consiglio da amico: un


benzinaio, a prescindere dal tipo di benzina che può mettere, è sempre e
solo un benzinaio. Diffidate dai benzinai che vi dicono anche quel che
dovete fare, che vi indicano le strade che dovete percorrere o che vi
impongono le loro direzioni, oppure che vi costringono ad andare a far
sempre benzina da loro, perché non è così che funziona.

Ognuno, al volante della propria auto, deve fare quello che vuole: andare
alla velocità che preferisce, prendere le strade che trova più comode, fare
tutte le soste che sono necessarie.
La vita è un viaggio e voi siete i piloti della vostra macchina. Quelli come
me servono solo a fare benzina, di tanto in tanto, per non farvi restare a
piedi. Voi guidate come vi piace e pensate solo a godervi il tragitto.

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FIORI DI CILIEGIO

“UN LAMPO”

A COSA PARAGONARE LA NOSTRA VITA?
A UN LAMPO O A UNA GOCCIA DI RUGIADA…
COSI’ PENSO – MA GIA’ NON E’ PIU’

MAESTRO SENGAI

Nella cultura giapponese, il fiore di ciliegio (sakura, in giapponese) riveste


una grande importanza. Addirittura, il Giappone celebra l'inizio della
primavera ammirando la fioritura dei ciliegi: questa usanza prende il nome
di "hanami" ed è una pratica che coinvolge tutti i giapponesi fin
dall’antichità. In genere, quando si raffigura il fiore di ciliegio, è uso
disegnarlo con un petalo staccato, trasportato dal vento. Il fiore di ciliegio
rappresenta la nostra vita: è bellissima, ma estremamente fragile. Basta un
alito di vento per spezzare l’incanto. Il ciliegio, così, è quella manifestazione
della natura che suscita stati d'animo contrastanti, fatti di gioia davanti a
tanta delicata bellezza e di profonda disperazione per l'imminente caduta.
Il ciliegio è il simbolo della caducità della vita. Apprezzare un fiore di
ciliegio quando è al suo massimo splendore significa avere compreso che
ogni giorno della nostra esistenza che ci viene regalato non va sprecato
invano.

!250 !250
Questo è l’ultimo tassello.

Per essere felici, non vi serve altro.

  

A questo mondo umano


effimero somiglia
il fiore di ciliegio:
lo vedo sbocciare e intanto
ecco, già sta sfiorendo.

(Utsusemi no
yo ni mo nitaru ka
hanazakura
saku to mishi ma ni
katsu chirinikeri)

Poeta Anonimo.

!251 !251
IMPLICAZIONI

Per il momento, abbiamo finito.


Dico “per il momento” perché, a proposito dei temi che abbiamo affrontato,
ci sarebbero così tante cose da dire che servirebbero chissà quanti libri, per
parlare di tutto in modo davvero approfondito, e forse non sarebbero
abbastanza nemmeno quelli.

L’universo del linguaggio del corpo, della psicosomatica e delle medicine


per così dire alternative è davvero vasto. Forse, un domani, avrò la fortuna
di poter scrivere qualche cosa d’altro e di approfondire alcuni temi. Magari
un domani, ma non oggi. I miei Reni mi dicono che ho fatto, e detto,
abbastanza.
In ogni caso, spero di avervi trasmesso almeno un po’ del mio entusiasmo e
di avervi incuriosito, quel tanto che basta per farvi riflettere. Lo considererei
già un successo. Avete scoperto, nel corso di queste pagine, una serie di
notizie, di dati, di concetti, che avrete trovato “strani”, “bizzarri”,
“incredibili”, “impossibili”.
Mi rendo conto che molte nuove realtà sono sempre difficili da accettare e
digerire, soprattutto quando ci si trova a dover combattere un retaggio
culturale che dura da secoli e, soprattutto, un intero sistema economico che
basa la sua egemonia sull’attento controllo delle informazioni.
Oggi come oggi, la triste realtà ci dice che non è vero ciò che è vero, ma è
vero ciò che sembra essere vero.
La gente crede solo a quello che le si dice, anche se ciò che viene detto
stride con l’evidenza dei fatti o non ha nessun valore oggettivo. Il problema
è che chi ci fornisce le informazioni non detiene il segreto della verità
assoluta, ma questo fatto, ovviamente, non viene divulgato. Pertanto,
scardinare dogmi e pregiudizi è un’impresa titanica e con poche speranze
di avere successo.
Fra i miei lettori ci saranno senz’altro persone che avranno scosso la testa
con scetticismo e avranno usato il loro sarcasmo per commentare quel che
ho scritto.

!252 !252
A loro dico semplicemente che la storia della scienza è fatta di rivoluzioni
che, mentre vengono fatte, hanno tutta l’aria di essere vere e proprie eresie:
solo il tempo, in questi casi, aggiusta le cose.
Ci sono dottori, oggi, che vengono incarcerati a causa delle loro idee. Sto
parlando di carcere, di prigione, in senso letterale, non metaforico. È il caso,
ad esempio, del dottor Hamer, scopritore e fondatore di quella che viene
chiamata “la nuova medicina” e che propone un approccio alla malattia del
secolo (il cancro) che definire rivoluzionario è dire poco. Questo dottore, a
causa delle sue idee, è stato radiato dall’albo dei medici e messo in
prigione, senza peraltro aver torto un capello a nessuno.
Sembra una cosa assurda, eppure se pensiamo alle implicazioni di un
approccio come quello proposto dal medico austriaco, ecco che il tutto
sembra assumere contorni ben diversi.
Se le teorie di Hamer, infatti, venissero accettate (e non si vede perché non
dovrebbero essere accettate, visto che esiste una casistica così numerosa
di successi che i dati sono inoppugnabili), ecco che l’intero business della
ricerca sul cancro, che produce un giro d’affari che nemmeno riuscite ad
immaginare, avrebbe perso la sua ragion d’essere. Bisognerebbe chiudere i
rubinetti ai finanziamenti per la ricerca sul cancro. Il danno economico, per
alcuni soggetti, sarebbe di proporzioni cosmiche. Così, il dottor Hamer
viene bollato come eretico e rinchiuso in cella.
Ma non si diceva che fosse eretico anche un certo Galileo, quando osò dire
che la Terra girava intorno al sole?
La scienza ufficiale, troppo spesso, si arroga il diritto di dirvi che cosa è
vero e che cosa non lo è, ma la storia ci insegna che non sempre quel che
dice la scienza ufficiale si rivela poi, in realtà, esatto. Pensate ancora a
Galileo: la scienza ufficiale asseriva che la Terra era piatta, e nessuno
doveva osare mettere in dubbio questa asserzione. Oggi la scienza ufficiale
ha rettificato: ops, scusate, la Terra è rotonda. E domani?

Sempre parlando di approcci rivoluzionari alle malattie, pensate anche al


nostro dottor Di Bella: poco importa se i test effettuati per verificare la
bontà delle sue scoperte sono stati falsati in modo scioccante, addirittura
alterando i medicinali che andavano somministrati alle “cavie” con sostanze
tossiche, pur di dimostrare la loro inefficacia. Anche se tali fatti sono emersi

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e sono stati dimostrati, il dottor Di Bella è stato screditato e messo al
bando. La Scienza ufficiale ha mietuto un’altra vittima, in nome dei suoi
esclusivi interessi. Potere dell’informazione.

Un celebre oncologo, il dottor Simonton, durante una conferenza, ha avuto


il coraggio di dire, parlando di potenziali malati di cancro: “queste persone
hanno molto spesso la tendenza a sacrificarsi per la famiglia, la professione,
insomma per gli altri. In questo modo negano completamente i loro bisogni
e non si concedono abbastanza piacere. È essenziale, per loro, adottare un
atteggiamento radicalmente diverso, occupandosi innanzi tutto di loro
stessi”.
Speriamo che la Scienza ufficiale non metta al bando anche lui, così come
ha già fatto con Hamer e Di Bella!

Io sono un riflessologo e faccio parte di quella categoria di “alternativi” di


cui tanti si discute. Noi della categoria siamo al centro di una vera bufera
legislativa: riconoscerci o non riconoscerci? Accettarci o meno?
“Ammettere” che quel che facciamo funziona davvero o negare tutto,
magari costringendoci a “chiudere”?
Mi ha incuriosito il fatto che una della poche discipline “alternative” ad
essere riconosciute, di recente, è stata l’omeopatia. Il mio stupore è stato di
breve durata, quando mi sono reso conto che i rimedi omeopatici sono
venduti in farmacia e prescritti dai medici. Siamo alle solite. Se una cosa
può produrre reddito e rimpinguare le tasche di imprenditori senza
scrupoli, allora è buona. Se una cosa non fa guadagnare nessuno ma rischia,
anzi, di far crollare le vendite di qualche prodotto, ecco che la cosa non è
buona, è illegale, eretica.
Accettare un lavoro come quello che faccio io o accettare le teorie di un
Hamer di turno, significa accettare il fatto che le persone possono guarire
da sole, che la causa del loro male è in loro stesse e che in loro stesse è
possibile trovare la cura.
E chi ci guadagna? Io non vendo niente a nessuno, se non il mio tempo.
Non prescrivo erbe, pillole o granelli vari. Mi sembra logico che, allora, quel
che faccio io venga bollato come “inutile” e “inefficace”. Scommetto che se

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dovessi proporre ai miei clienti farmaci rari e costosi, avrei presto nel mio
studio un bel certificato di approvazione ufficiale per il mio lavoro!

Non mi dilungo oltre. Ho scritto queste righe solo per chiedervi, prima di
giudicare, di provare, di toccare con mano, di sperimentare altre strada,
anche se vi viene detto che non servono a nulla.
Chiedetevi sempre, quando qualcuno insiste a proporvi una cosa, il perché
della sua insistenza. Se ci sono soldi in ballo, trarrete le vostre conclusioni.
Io, per conto mio, credo ciecamente in tutto quello che ho scritto e sono
certo di avere la mia felicità a portata di mano. Sto facendo di tutto per
trovarla, per mettere insieme un tassello dopo l’altro. Non so quanto durerà
il viaggio e non so nemmeno se otterrò tutto quello che sto cercando.
Almeno, sono convinto di cercare nella direzione giusta. Mi auguro che
questo libro abbia indicato anche a voi la giusta direzione.
E ora, cercate.

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RINGRAZIAMENTI

“Son le ultime parole che ho pensato in questa stanza, e


sono poi le sole
e non sono mai abbastanza
per dire che Grazie, vi ringrazio tanto
tutti quelli che han suonato,
che sono stati accanto,
quelli che hanno un po’ aspettato
che fosse la fine
e non so più davvero, se è tutto bello o tutto brutto,
quanto c’è di sincero e quanto ho fatto il farabutto,
comunque si va avanti…”
(Claudio Baglioni, “Fine”)

Come al solito, a cose fatte, amo ringraziare le persone che hanno


contribuito al mio lavoro, in un modo o nell’altro.

Un ringraziamento speciale ai miei genitori, che hanno fatto del loro meglio.
Quindi, grazie alla mia mamma, che si è incaricata di correggere questo
manoscritto e che lo ha fatto in maniera fin troppo precisa: qualsiasi errore
che doveste trovare nel testo è solo ed esclusivamente opera mia. E grazie
al mio papà, che quando è orgoglioso di me mi fa stare proprio bene.

Un super ringraziamento alla mia bellissima bambina Aurora. La


motivazione è che è bella, brava, buona, dolce (etc. etc.) e mi dà tanta
felicità, anche quando mi infila le dita negli occhi.

Vorrei ringraziare di Cuore, a questo punto, tutti le persone che hanno


varcato, nel corso di questi anni entusiasmanti, la porta del mio studio e che
si sono affidati a me con fiducia e pazienza, facendomi le loro confidenze
ed aprendomi il loro Cuore. Alcune di loro vengono ancora a trovarmi, altre
si sono perse per la strada, come sempre capita. In ogni caso, mi sarebbe

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piaciuto nominarle tutte, una per una, perché senza di loro questo libro non
sarebbe mai stato scritto. L’impresa è ardua, così si dovranno accontentare
di un ringraziamento cumulativo. Mi vengono in mente nomi su nomi:
Ernesto, Claudia, Chiara, Ivano, Angelo, Ilaria, Mariangela, Cinzia, Fabio,
Luigina, Angiolina, Mirko, Nazarena, Luisa, Lucia, Gianni, Ivan, Paola,
Giuseppe, Cristina, Mauro, Anita, Marina, ancora Mauro, un altro Gianni,
un’altra Luisa… insomma, non posso davvero riuscire in questo intento.
A tutti, comunque, Grazie.
I miei clienti mi hanno fornito una materia prima preziosa e introvabile
altrove, mi hanno aiutato a crescere, mi hanno fatto ridere e disperare, mi
hanno dato tante soddisfazioni (e pazienza per le delusioni). Perciò, ancora
una volta, grazie di Cuore. Questo libro è per voi.

Menzione speciale per tutti i clienti che, a conoscenza di questo mio


progetto, mi hanno aiutato dandosi molto da fare per fornirmi spunti, idee,
titoli di testi da leggere. In particolare, vorrei ringraziare Mauro, che mi ha
tenuto sempre aggiornato su tutte le novità della “rete”, indirizzandomi
sempre sui siti più “caldi” del momento e Paola, che mi ha rifornito di
“storielle”, anche se non ho potuto utilizzarle tutte. Il loro supporto è stato
prezioso.

Per concludere, un super grazie a Cinzia la quale, senza saperlo, ha salvato


la prima stesura di questo libro che, a causa di un guasto tecnico, avrei
altrimenti perduto per sempre. Se così fosse stato, non so davvero se mi
sarei rimesso a scrivere dall’inizio. Quindi, nel dubbio, posso dire che se
questo libro esiste è anche merito suo.
A proposito, Cinzia: ora puoi smetterla, con le melanzane!

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BIBLIOGRAFIA DIVULGATIVA

Qui di seguito sono elencati alcuni preziosi ed importanti testi che possono
essere letti da tutti, senza alcuna difficoltà (o quasi) e che possono essere
molto utili per una prima comprensione delle leggi della Medicina
Tradizionale Cinese e dei principi che sostengono gli studi di psicosomatica
e linguaggio del corpo.

AGOPUNTURA TRADIZIONALE, LA LEGGE DEI 5 ELEMENTI,


di Dianne M. Connelly,
ed. Il Castello

LA MEDICINA SOTTOSOPRA: E SE HAMER AVESSE RAGIONE?,


di Giorgio Mambretti e Jean Sèraphin,
ed. Amrita

IL LINGUAGGIO DEGLI ORGANI,


di Anna Zanardi,
ed. Tecniche Nuove

LE MALATTIE E LE LORO EMOZIONI,


del Dott. Gèrard Charpentier,
ed. Il Punto D’Incontro

METAMEDICINA, OGNI SINTOMO E’ UN MESSAGGIO,


di Claudia Rainville,
ed. Amrita

LIBERA LE TUE EMOZIONI,


di Rika Zarai,
ed. Essere Felici

LA REGOLA CELESTE,
di Lao-Tzu, a cura di Paolo Ruffilli,
ed. Bur

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LA SAGGEZZA DEI MAESTRI ZEN NELL'OPERA DI SENGAI,
a cura di Paolo Lagazzi,
ed. Corbaccio

CONVERSAZIONI CON IL DALAI LAMA, LE EMOZIONI CHE FANNO


GUARIRE,
a cura di Daniel Goleman,
ed. Mondadori

DIMMI DOVE TI FA MALE E TI DIRO’ PERCHE’,


di Michel Odoul,
ed. Il Punto d’Incontro

PERCHE’ LE DONNE NON SANNO LEGGERE LE CARTINE E GLI UOMINI


NON SI FERMANO MAI A CHIEDERE?
e
PERCHE’ GLI UOMINI LASCIANO SEMPRE ALZATA L’ASSE DEL WATER E
LE DONNE OCCUPANO IL BAGNO PER ORE?
di Allan e Barbara Pease,
ed. Sonzogno

L’IMMENSA BALLA DELLA RICERCA SUL CANCRO,


a cura di Lorenzo Acerra,
ed. Macro Edizioni

I MITI DELL’ALIMENTAZIONE,
di Carlo Cannella e Giovanni Carrada,
ed. TEA

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BIBLIOGRAFIA TECNICA

I testi che seguono sono altrettanto interessanti di quelli citati prima. Sono
solo un po’ più complicati. Tuttavia, se volete lanciarvi comunque nella
lettura, buon lavoro.

TRA CIELO E TERRA, UNA GUIDA ALLA MEDICINA CINESE,


di Harriet Beinfield e Efrem Korngold,
ed. Il Castello

TAO TE CHING,
a cura di J.J.L. Duyvendak,
ed. Adelphi

MEDICINA CINESE,
di Ted J. Kaptchuk,
ed. Red

RIFLESSOTERAPIE,
di Jochen M. Gleditsch,
ed. Red

TRATTATO DI RIFLESSOLOGIA OLISTICA,


di Avi Grinberg,
ed. Red

INTRODUZIONE ALLA NUOVA MEDICINA e


IL CAPOVOLGIMENTO DIAGNOSTICO,
del dott. Ryke Geerd Hamer
ed. Amici di Dirk

PSICONEUROIMMUNOLOGIA,
di Francesco Bottaccioli,

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ed. Red

MALATTIA E DESTINO,
di Rudiger Dahlke,
ed. Mediterranee

MALATTIA LINGUAGGIO DELL’ANIMA,


di Rudiger Dahlke e Thorwald Dethlefsen,
ed. Mediterranee

IL LINGUAGGIO DEL CORPO


di Alexander Lowen,
ed. Feltrinelli

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