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Metodologie e percorsi per la didattica, l’educazione,

la riabilitazione, il recupero e il sostegno


Collana diretta da Dario Ianes

Antonella Reffieuna

Come funziona
l’apprendimento
Conoscerne i processi per favorirne
lo sviluppo in classe
Indice

7 Introduzione
13 CAP. 1 Apprendimento e cervello
81 CAP. 2 Il processo di apprendimento
169 CAP. 3 L’apprendimento in età prescolare
237 CAP. 4 Prepararsi alla scuola: la school readiness
289 CAP. 5 L’apprendimento scolastico
353 Conclusioni
357 Bibliografia
Introduzione

Nella letteratura scientifica sull’apprendimento e sullo sviluppo è pos-


sibile trovare alcune espressioni non soltanto efficaci nella loro sintesi, ma
anche fortemente evocative: born to learn, cioè «nati per apprendere»; eager
to learn, cioè «ansiosi di apprendere»; from cradle to desk, cioè «dalla culla alla
scrivania»; the scientist in the crib, cioè «lo scienziato nella culla». Elemento
comune a tutte è l’importanza attribuita all’apprendimento nelle prime fasi
della vita. Il fatto che non solo le espressioni ma anche i testi nei quali sono
contenute uniscano al rigore scientifico accenti di vera e propria poesia non è
casuale e non è neppure dovuto alla particolare sensibilità di alcuni studiosi:
ciò corrisponde piuttosto all’estrinsecazione generalizzata di un senso di me-
raviglia e di fascinazione nello scoprire nei bambini capacità che fino a qualche
decennio fa si ritenevano completamente assenti.
In proposito le prime righe del libro The scientist in the crib (Gopnik,
Meltzoff e Kuhl, 1999), tradotto purtroppo in italiano con un pessimo titolo
(Tuo figlio è un genio), sono esemplificative del modo con cui la scienza può
riuscire a catturare l’attenzione anche di persone prive di preparazione specia-
listica, presentando dati scientifici ma in forma poetica.
Molti di noi pensano che sia l’immagine dell’innocenza, che sia privo
di difese, completamente dipendente dall’adulto. In realtà ciò che vediamo
nella culla è la mente più meravigliosa che sia mai esistita, la più potente
macchina capace di apprendere. La bocca e le minuscole dita sono strumenti
8 Come funziona l’apprendimento

che esplorano il mondo alieno che lo circonda con una precisione maggiore
dei robot inviati su Marte. Le orecchie assumono il ronzio incomprensi-
bile del rumore nel quale è immerso e impeccabilmente lo trasformano
in linguaggio pieno di significati. I grandi occhi, che talvolta sembrano
scrutare nella tua anima, riescono davvero a decifrare i tuoi sentimenti
più profondi. La testolina coperta di peluria contiene un cervello che ogni
giorno costruisce milioni di nuove connessioni nervose. Ciò, perlomeno, è
quanto ci è stato rivelato da tre decenni di ricerche scientifiche sui bambini.
«Ciò che vediamo nella culla è la mente più meravigliosa che sia mai
esistita, la più potente macchina capace di apprendere»: è questo il concetto-
chiave che sintetizza le numerose ricerche di carattere multidisciplinare volte a
migliorare la comprensione della mente umana. In un documento dell’Institute
for Learning and Brain Sciences di Washington (http://ilabs.washington.edu)
si afferma, in modo più generale: «Humans are exquisite learning machines»,
cioè «gli esseri umani sono raffinate macchine per apprendere». L’appren-
dimento (e in particolare l’apprendimento attraverso l’esperienza) è quindi
la caratteristica specie-specifica che ci contraddistingue come esseri umani.
Ciascun genitore, nonno, educatore di nido dell’infanzia, ciascuna inse-
gnante di scuola dell’infanzia sa bene quanto desiderio e quanto entusiasmo
di apprendere esistano nei bambini piccoli. Del resto è sufficiente pensare alla
differenza tra un bambino appena nato e un bambino di 6 anni per rendersi
conto di quanti apprendimenti egli ha dovuto realizzare: la massa di conoscen-
ze di cui dispone un bambino all’ingresso nella scuola primaria è tale per cui
nessun insegnante dovrebbe essere autorizzato ad affermare, qualche mese più
tardi, che egli «non apprende». Eppure è vero che numerosi bambini a scuola
incontrano difficoltà e spesso non riescono a imparare.
Indubbiamente l’apprendimento scolastico è radicalmente diverso da
quello che si realizza nella vita quotidiana. Ci si dovrebbe chiedere, però, se le
difficoltà siano dovute a un’impossibilità personale o non derivino piuttosto
da ciò che deve essere appreso e dal «modo» con cui ciò che deve essere
appreso viene proposto. Gli insegnanti dovrebbero quindi, più correttamen-
te, affermare che il bambino «incontra difficoltà nell’apprendere ciò che la
scuola gli propone». In ogni caso, tale precisazione non deve trasformarsi
in una semplice presa d’atto della situazione. Le difficoltà di apprendimento
scolastico sono infatti spesso accompagnate dallo sviluppo di più generalizzati
atteggiamenti negativi verso l’apprendimento. Occorrerebbe fare in modo che
l’entusiasmo mostrato nei primi anni di anni di vita, allorché i bambini sono
ansiosi di apprendere, a scuola non si trasformi in noia o, talvolta, addirittura
in rifiuto e quindi nella decisione di non impegnarsi più.
Introduzione 9

Come numerosi psicologi dello sviluppo evidenziano, spesso succede


anche che i bambini mostrino una forma di «stupidità nevrotica» che si ma-
nifesta solo a scuola: «alla lunga, cozzando contro i molti ostacoli creati dal
silenzio, dalle reticenze, dalle spiegazioni sbagliate o incomplete, dai rimproveri
per troppa curiosità, un bambino — soprattutto se è timido — può rinunciare
a conoscere» (Oliverio Ferraris, 1992, p. 111). È però una stupidità apparente,
che non impedisce di realizzare apprendimenti anche molto complessi in altri
contesti e che anche a scuola può essere superata.
In passato l’apprendimento scolastico non era ritenuto essenziale per la
vita: a livello popolare si affermava addirittura che «è meglio un asino vivo
che un dottore morto». Ciò poteva anche essere vero in alcuni casi, ma le
condizioni di lavoro degli adulti erano molto diverse da quelle offerte dalla
società odierna. Molteplici documenti segnalano che se in passato anche le
persone con uno scarso livello di scolarizzazione potevano trovare un lavoro
ben pagato, oggi l’economia è invece fondata soprattutto sulla fornitura di
servizi e di conoscenze, per cui il raggiungimento di un buon livello di vita
richiede quasi necessariamente un elevato livello di competenze alfabetiche e
matematiche (National Research Council, 1999; 2002; Secretary’s Commission
on Achieving Necessary Skills, 1991; Murnane e Levy, 1996; Judy e D’Amico,
1997; Packer, 1997).
Il detto popolare, del resto, prescindeva dal considerare che la condizione
di «somaro» non è mai stata particolarmente gradevole: come ricorda Daniel
Pennac nel suo Diario di scuola (2007, p. 18), i somari erano afflitti dalla «sof-
ferenza di non capire», che però non veniva mai esplicitata ed era spesso celata
dietro comportamenti sociali negativi.
Oggi l’apprendimento viene considerato l’elemento centrale della vita
di un individuo a tutte le età: tutte le strategie degli organismi internazionali
(OECD, Unione Europea, ONU, Banca mondiale) sono incentrate sul lifelong
learning. Riferirsi al concetto di lifelong learning non significa però semplicemen-
te ritenere che i processi che un tempo si pensavano limitati all’infanzia e alla
giovinezza si prolunghino nel tempo o che ci si debba preoccupare (come oggi
spesso succede) unicamente delle metodologie di apprendimento adulto. La
prospettiva che le scienze dell’apprendimento invitano a considerare è semmai
inversa: il lifelong learning rivaluta in realtà l’importanza dell’apprendimento
precoce e dell’apprendimento scolastico, che costituiscono le fondamenta
dell’apprendimento adulto. Un bambino che non apprenda adeguatamente a
scuola rischia quindi di non poter apprendere da adulto e di vedersi precluse
molte professioni, oltre che uno sviluppo personale adeguato.
10 Come funziona l’apprendimento

Garantire che a scuola gli allievi possano apprendere nel modo migliore
significa uscire dall’autoreferenzialità di cui spesso la scuola è stata vittima e
passare a una prospettiva che vede invece gli anni di frequenza scolastica come
un periodo-chiave della vita di ogni individuo. Ciò richiede cambiamenti
radicali nelle metodologie di insegnamento, nell’organizzazione delle classi,
nel modo di pensare la relazione insegnante-allievo. Richiede soprattutto di
pensare all’allievo in modo diverso, come individuo che funziona unitariamente
e nel quale occorre quindi prendere in considerazione tutte le dimensioni che
lo costituiscono: sociale, cognitiva, emotiva ma anche biologica.
Ciò richiede che gli insegnanti riflettano accuratamente sulle teorie che
guidano la loro azione. Argyris (1976; Argyris e Schön, 1974; 1978) evidenziava
infatti come anche nei professionisti le teorie dichiarate non sempre coincidano
con quelle effettivamente utilizzate a livello operativo. Nella scuola si constata
spesso, ad esempio, come gli insegnanti facciano inconsapevolmente ricorso a
metodologie che sfruttano i principi del condizionamento operante anziché del
costruttivismo e come ciò si risolva, negli allievi, nell’acquisizione di abitudini
errate che risulta però molto difficile eliminare o quantomeno modificare: ne
sono un esempio gli esercizi di prescrittura utilizzati nella scuola dell’infanzia
e nel primo anno della scuola primaria, che spesso inducono ad apprendere
abitudini di scrittura errate.
In passato gli insegnanti disponevano di un «sapere intuitivo» partico-
larmente efficace, che si esprimeva in metodologie che oggi spesso vengono
recuperate a livello scientifico. Sfuggiva però loro il significato profondo della
propria azione e soprattutto sfuggiva spesso la possibilità di generalizzare le
soluzioni didattiche a cui erano giunti. Significativo in proposito è quanto mette
in evidenza un lavoro americano sulla ricerca scientifica in campo educativo
(National Research Council, 2002): si sottolinea infatti come la mancanza
di accumulazione di evidenze scientifiche sia stato il maggiore ostacolo alla
definizione di una scienza dell’educazione.
La mancanza di tale accumulo comporta che gli insegnanti si trovino
ad affrontare le proprie classi e a progettare il percorso di apprendimento dei
propri alunni senza riferimento a un quadro scientifico consolidato e, soprat-
tutto, condiviso.
Ovviamente ciò non significa che sia sufficiente consentire agli insegnanti
la padronanza delle teorie: essi necessitano anche di esempi concreti che mo-
strino loro come si può agire nella quotidianità. Se la teoria viene presentata
in modo isolato, con scarsa connessione con la dimensione operativa, nel mo-
mento del lavoro sul campo è come se le conoscenze e le concezioni educative
sviluppate durante il periodo della formazione iniziale o continua venissero
«lavate via» (Zeichner e Tabachnik, 1981; Reffieuna e Bonino, 2001).
Introduzione 11

Per questa ragione la nostra trattazione teorica risponderà a due obiettivi:


far comprendere le ragioni delle scelte operative e permettere la generalizzazione
di tali scelte. Il nostro auspicio è che questo libro possa essere utilizzato non
soltanto nella fase della formazione iniziale ma anche come guida didattica per
la progettazione delle attività in classe. Ovviamente non si tratta di una guida
che contiene un insieme di ricette. Vuole essere invece una sintesi dei risultati
più recenti delle ricerche scientifiche in campo psicologico e neuroscientifico,
selezionati dal punto di vista di ciò che è utile agli insegnanti. Speriamo perciò
possa chiarire efficacemente le ragioni della necessità di ben precise scelte
in termini di contenuti e di metodologie e possa soprattutto rammentare la
necessità di avere costantemente presente, come riferimento ineliminabile, il
funzionamento della mente e del cervello degli alunni.
1
Apprendimento e cervello

Diventare persone

Nell’ultimo decennio sono stati pubblicati molti affascinanti libri in campi


che tradizionalmente non avevano rapporti diretti con i problemi della scuola.
Chi però intenda affrontare tali problemi con una prospettiva non limitata
dovrebbe forse leggerli attentamente, perché il legame con la scuola è molto
più diretto di quanto possa sembrare.
Già i titoli denunciano il fascino dei contenuti: Coltivare l’umanità (Nuss-
baum, 1998), Diventare persone (Nussbaum, 2000), Capacità personale e democra-
zia sociale (Nussbaum, 2003), Lo sviluppo è libertà (Sen, 1999) sono testi costruiti
intorno a una rivisitazione del concetto di persona, collegato alla sostituzione
dell’espressione «diritti umani» con i termini «capacità» e «funzionamento».
Tale approccio comporta una prospettiva nuova: occorre chiedersi che cosa le
persone siano realmente in grado di fare e di essere (Nussbaum, 2000) e dun-
que occorre identificare le capacità umane fondamentali, di natura universale
e quindi superiori a ogni distinzione culturale, etnica, di genere.
Le riflessioni di Nussbaum e Sen apparentemente riguardano gli adulti che
vivono in paesi non sviluppati; in realtà non soltanto i ragionamenti proposti
valgono anche per molta parte della popolazione dei paesi cosiddetti «svilup-
pati», ma soprattutto per chi si occupi dello sviluppo dei bambini. Secondo il
capability approach, infatti, ogni essere umano evidenzia sia capacità sia bisogni
14 Come funziona l’apprendimento

ed è vulnerabile nei confronti di una serie di fattori che lo possono rendere


incapace o che gli possono impedire l’esercizio delle funzioni necessarie per
raggiungere l’obiettivo fondamentale, costituito dalla realizzazione di una vita
soddisfacente (Nussbaum e Glover, 1995). Se leggiamo i testi prescindendo
dalla cornice economica e geografica, possiamo forse affermare che è come
se Nussbaum e Sen si occupassero soprattutto della fase finale dello sviluppo
individuale (quella adulta): agli psicologi e agli educatori (oltre che ai politici)
il compito di occuparsi delle fasi precedenti.
D’altra parte anche nella letteratura psicologica e pedagogica troviamo
testi che richiamano (anche se ovviamente in prospettiva diversa) concetti
analoghi. La psicologia dello sviluppo ha evidenziato come anche il bambino
molto piccolo debba essere considerato una persona e come egli abbia davanti
a sé il compito di diventare una persona pienamente realizzata, pienamente
funzionante e quindi in possesso di tutte le capacità che gli saranno necessarie
nella vita adulta. Per tutti i bambini, qualunque sia la cultura e il paese a cui
appartengono, occorre allora prendere in considerazione i fattori negativi che
possono comprometterne il pieno sviluppo e dunque il pieno funzionamento.
All’interno della Human Development Capability Association (http://www.
capabilityapproach.com/index.php) esistono molti contributi di studio relativi sia
ai bambini poveri che vivono nei Paesi occidentali sia, più in generale, alla realizza-
zione dell’equità e alla relazione esistente tra sviluppo delle capacità e istruzione.
Significativo, però, che nel gruppo tematico dell’Associazione che si occupa di
bambini siano rappresentati economisti, antropologi, demografi, statistici, sociologi,
psicologi, ma non ci siano né pedagogisti né persone che si occupino di scuola.
Eppure la domanda-chiave dovrebbe essere la stessa: come è possibile
promuovere il pieno sviluppo e il pieno funzionamento degli allievi?
Se gli studiosi dell’Human Development Capability Approach forniscono
il quadro di riferimento filosofico ed economico più generale, le risposte ope-
rative devono essere ricercate in altri campi: principalmente nella psicologia
dello sviluppo, nelle scienze cognitive e nelle neuroscienze.
Elemento comune a tutte le prospettive è in ogni caso il seguente: gli
esseri umani sono contraddistinti dal fatto che il loro sviluppo è mediato da
processi di apprendimento che, rispetto agli altri esseri viventi, presentano una
stupefacente complessità e raffinatezza. L’apprendimento scolastico si presenta
solo come una tra le tante tipologie di apprendimento di cui gli esseri umani
sono capaci, ma, dopo la prima infanzia, riveste il ruolo di processo-chiave, dal
quale dipenderà la qualità dell’essere adulti.
Proporsi di far apprendere in modo adeguato i propri allievi non significa
quindi preoccuparsi solo di una più efficace memorizzazione dei contenuti delle
Apprendimento e cervello 15

discipline scolastiche: significa in primo luogo aiutare gli alunni a comprendere,


«imparando ad andare in profondità nei testi e nei fatti e a risolvere problemi
complessi, propri del mondo reale» (Sawyer, 2006, p. XIII) e poi metterli nella
condizione di poter «rendere visibile» questa comprensione, estrinsecandola
in un comportamento capace di affrontare positivamente compiti critici.

Sviluppo, crescita e apprendimento: il ruolo del cervello

La comprensione piena e corretta del processo di apprendimento ne richiede


in primo luogo la collocazione all’interno del più generale processo di sviluppo.
Le definizioni più generali considerano lo sviluppo come «il prodotto
del flusso di transazioni [cioè di comunicazioni] tra persona e contesto» (Ford
e Lerner, 1992, p. 65) e quindi come il processo attraverso il quale, nel corso
del tempo, l’individuo realizza modificazioni progressive (Sugarman, 2001).
Pertanto: sviluppo = cambiamento.
Non tutti i cambiamenti sono però sinonimo di sviluppo: essi devono
comportare la realizzazione di un incremento nei parametri che regolano la
vita di una persona. Gli studi di Baltes (1987) hanno evidenziato come non
tutti i mutamenti debbano avere tale caratteristica: lo sviluppo comporta
infatti sia «guadagni» sia «perdite» (ad esempio una delle tappe più im-
portanti dello sviluppo consiste nell’acquisizione della stazione eretta e della
deambulazione autonoma, ma essa comporta la perdita parziale della capacità
di gattonare, in precedenza particolarmente efficace; si veda figura 1.1). Ciò

Fig. 1.1 Un esempio di sviluppo come processo di guadagni e perdite.


16 Come funziona l’apprendimento

che conta è il bilancio finale: esso deve essere tale da evidenziare comunque
un aumento in termini di complessità, differenziazione, flessibilità, velocità,
automatismo. Il cambiamento che determina lo sviluppo è quindi sempre
di tipo incrementale.
Il processo di guadagni e perdite riguarda tutti gli aspetti dello sviluppo:
quindi non solo le capacità motorie, ma anche quelle cognitive.
Come vedremo più avanti, ciò influenza da vicino anche l’apprendimento
scolastico.
I cambiamenti che contrassegnano lo sviluppo e che hanno natura in-
crementale possono essere raggruppati in tre categorie (si veda tabella 1.1).

TabELLA 1.1
Categorie dei cambiamenti (Ford e Lerner, 1992)
Crescita Maturazione Apprendimento
Aumento permanente della Progressiva differenziazione Processo attraverso il quale
massa totale del corpo o di una ed elaborazione delle strutture le conoscenze e le capacità
sua parte. biologiche e delle capacità vengono acquisite, elaborate o
funzionali che conducono gli modificate attraverso lo studio,
individui verso gli stati stazio- l’addestramento e l’esperienza.
nari caratteristici degli individui
adulti.

Queste tre categorie di cambiamenti sono presenti in tutti gli esseri vi-
venti di natura animale, ma negli esseri umani si presentano con caratteristiche
parzialmente diverse.
Finora la scuola ha pressoché espunto dalle sue riflessioni i mutamenti
legati alla crescita e alla maturazione, ritenendo che dovessero interessare altre
categorie professionali (principalmente i medici) e che, comunque, avessero
scarsi riflessi sulla capacità di imparare degli allievi. Ciò non è stato casuale; è
stata piuttosto la diretta conseguenza dell’aver ignorato l’esistenza dell’influenza
che il corpo (inteso secondo la prospettiva dell’embodiment, in base alla quale
tutti i processi cognitivi, anche quelli più astratti, dipendono e fanno uso di
strutture di carattere biologico, per cui il comportamento intelligente è il frutto
della reciproca interazione tra mente, corpo e mondo esterno) e soprattutto
un organo di importanza primaria quale il cervello esercitano sui processi
cognitivi (si veda box 1.1).
Crescita e maturazione assumono infatti un significato particolarmente
pregnante se riferiti al cervello.
Apprendimento e cervello 17

Box 1.1
Il processo di guadagni e perdite nell’apprendimento scolastico

Anche nell’apprendimento scolastico si verificano costantemente processi di guadagni


e perdite: a ogni acquisizione di abilità e competenze di ordine superiore vengono par-
zialmente perdute abilità e competenze di ordine inferiore.
È possibile riscontrare tali processi soprattutto nelle modalità di memorizzazione.
Fino a circa 7 anni il bambino utilizza esclusivamente la memoria biologica e non è capace
di utilizzare memorie esterne. Egli, quindi, memorizza efficacemente solo ciò che possiede
una forte coloritura emotiva, un’accentuata ritmicità o musicalità, oppure ciò che stimola
la formazione di immagini mentali (Bonino e Reffieuna, 2006) o che può essere accostato
secondo il criterio dell’analogia. Ciò spiega perché il bambino memorizza efficacemente
le fiabe e non ci si può permettere di modificare le parole utilizzate per raccontarle.
L’apprendimento della lingua scritta comporta due grandi cambiamenti, riferiti alla pro-
gressiva capacità di fare ricorso a strategie di tipo logico e classificatorio e di utilizzare
memorie esterne, quali i libri o gli appunti. Quando tale apprendimento sarà compiuta-
mente realizzato e il bambino saprà utilizzare le nuove strategie, la memoria analogica
sarà meno efficace ed egli potrà ad esempio incontrare difficoltà nel ricordare ciò che
viene trasmesso solo oralmente.
Questo esempio permette di comprendere molto chiaramente perché i guadagni devo-
no essere superiori alle perdite: l’utilizzo di memorie esterne e il ricorso a strategie di
tipo logico devono infatti consentire di ricordare un numero di informazioni molto più
elevato e molto più complesso di quello reso possibile dalla memoria analogica. Se ciò
non si verifica vuol dire che non si è realizzato un reale apprendimento e che quindi non
si è prodotto uno sviluppo.
Allorché sono in gioco lo sviluppo cognitivo e l’apprendimento scolastico, il computo di
guadagni e perdite è certamente molto difficile da realizzare, ma è il criterio di valutazione
più interessante, in quanto non guarda isolatamente al prodotto dell’attività dell’alunno ma
prende in considerazione ciò che si è verificato all’interno della sua mente. Ovviamente
non è un criterio utilizzabile quotidianamente, anche perché i tempi dello sviluppo non
sono mai brevi. Sarebbe però opportuno che nel corso dell’anno scolastico almeno un
paio di volte si sottoponessero gli alunni non alle consuete prove di verifica, ma a prove
volte a stabilire che cosa hanno «guadagnato» e che cosa hanno «perduto».

Le sinapsi
Alla nascita il cervello presenta dimensioni pari ai 2/3 di quella dell’età
adulta (National Research Council, 2000a). La crescita del cervello riguarda
tre dimensioni: il peso, il volume e il numero di connessioni esistenti tra i
neuroni (cioè le sinapsi).
L’elemento che influenza più direttamente l’apprendimento è riferito
però alle connessioni esistenti tra i neuroni, che corrispondono all’esistenza
5
L’apprendimento scolastico

Da 0 a 6 anni

«Tra il primo giorno di vita e il primo giorno di scuola, lo sviluppo pro-


cede a un ritmo velocissimo, quale non si verifica in altri momenti della vita»
(Shonkoff e Phillips, 2000, p. 89): l’interesse appassionato con cui il neonato
guardava fissamente gli altri bambini si è trasformato in capacità di coopera-
zione, di empatia e amicizia; i tentativi di fare i primi passi sono evoluti nella
capacità di fare piroette, salti, equilibrismi arditi; il neonato del tutto inconsa-
pevole è diventato un bambino capace di descriversi in modo dettagliato e il
cui comportamento è parzialmente motivato da come egli ritiene lo vogliano
e lo giudichino le persone che lo circondano; il primo risoluto «no!» si è tra-
sformato nella capacità di elaborare ragionamenti complessi; il bambino che
non sapeva se i suoi giocattoli continuavano a esistere anche quando erano
nascosti da una coperta è diventato capace di spiegare l’elaborata sequenza
causale attraverso la quale mescolando farina, acqua, sale e polvere colorata si
ottiene un impasto per giocare.
A questo punto il bambino è pronto per affrontare l’ingresso nella scuola
primaria, che si presenta come una delle transizioni più significative della vita
di un individuo (Snow, 2006), accompagnata sia da forti aspettative sia da
forti ansie. I bambini, che sanno cogliere l’essenziale, vi giungono convinti che
finalmente potranno imparare a leggere e scrivere «come i grandi». Lettura e
scrittura, infatti, sono considerate attività «adulte» per eccellenza.
290 Come funziona l’apprendimento

La lingua scritta come regolatore


Le aspettative dei bambini corrispondono a quella che dovrebbe essere
la struttura-cardine del curriculum della scuola primaria: l’apprendimento
della lingua scritta si presenta infatti come elemento-chiave, tale da influenzare
tutti gli apprendimenti disciplinari. La progressiva padronanza della lingua
scritta delinea dunque una «agenda dello sviluppo» (Sameroff, 1989) con
cadenze temporali molto ben definite e contrassegnate dalla progressiva ac-
quisizione non solo di nuove capacità e abilità strumentali ma anche di nuove
modalità di funzionamento mentale e di nuove forme di pensiero: mentre al
momento dell’ingresso nella scuola primaria il bambino è fondamentalmen-
te un individuo analfabeta, con un linguaggio e un pensiero contrassegnati
dall’oralità primaria, dopo cinque anni dovrebbe essersi trasformato in un
individuo pienamente alfabetizzato, «padrone» delle strutture della lingua
scritta e delle forme superiori di pensiero, quindi capace di apprendere ogni
disciplina. La progressiva competenza nella lingua scritta funziona pertanto
da «regolatore» dell’intero processo dell’apprendimento scolastico.
La presenza di tale progressione e la lunga durata (ben cinque anni)
della scuola primaria comportano che quest’ultima non possa essere consi-
derata un periodo omogeneo: ogni annualità possiede infatti caratteristiche
precipue, che occorre prendere in considerazione se si intendono organizzare
percorsi di apprendimento che portino al successo. In particolare, le diverse
modalità di apprendimento che caratterizzano ciascuna di queste annualità
corrispondono a modalità di funzionamento mentale molto diverse, rese
però coerenti dal fatto di concorrere tutte allo sviluppo negli alunni di forme
di pensiero «superiore».
La stretta relazione tra costruzione della competenza nella lingua scritta e
sviluppo del pensiero, già evidenziata da Vygotskij (1930-1931), non sempre
è però sufficientemente presente nella consapevolezza degli insegnanti, i quali
ritengono troppo spesso che l’apprendimento della lettura e della scrittura
sia assimilabile esclusivamente all’acquisizione di una «tecnica» e, soprat-
tutto, pensano all’apprendimento della lingua scritta come processo separato
dall’apprendimento delle altre discipline.
La prospettiva che intendiamo proporre fa invece riferimento alla lingua
scritta come strumento cognitivo, che rende possibile e accompagna (oppure
ostacola) ogni altro apprendimento scolastico. Evidenzieremo pertanto quali
aspetti gli insegnanti dovrebbero porre al centro dell’attenzione in ogni an-
nualità della scuola primaria, sottolineando le relazioni esistenti tra lettura e
scrittura da un lato e capacità di pensiero dall’altra.
L’apprendimento scolastico 291

Come già abbiamo ricordato nel capitolo 4, in età prescolare il bambino


può essere considerato a pieno titolo un individuo analfabeta anche se vive in
un contesto alfabetizzato e ha quotidianamente contatto con la lingua scritta.
Il suo linguaggio obbedisce infatti alle leggi dell’oralità: è narrativo, ritmico,
ripetitivo, ridondante. Di conseguenza, anche il suo pensiero è condizionato
dall’oralità: ha bisogno di riferimenti concreti e non riesce a costruire relazioni
logiche formali. Ciò che risulta interessante (e che si è potuto constatare ad
esempio nei bambini anticipatari, si veda Reffieuna, 2003) è il fatto che anche
qualora raggiunga precocemente la capacità di leggere e scrivere, il bambino
continua a funzionare come individuo «orale». Le insegnanti riferiscono
infatti che «è come se i bambini attribuissero alla lingua scritta un significato
diverso rispetto ai compagni».
Che fin verso i 7 anni il bambino non consideri la lingua scritta come
strumento è confermato dal fatto che quasi sempre prima dei 6 anni i bambini
non utilizzano autonomamente la scrittura per esprimere propri pensieri e
non sono in grado di imparare da ciò che leggono: essi amano scrivere perché
amano riprodurre le forme complesse delle lettere e delle parole e sono in
grado di decodificare messaggi scritti, ma non riescono ad esempio a capire il
significato di una frase letta sul libro o sul fumetto.
Ciò trova riscontro nelle osservazioni che ogni genitore e ogni insegnante
possono a proposito realizzare e che depongono a favore dell’ipotesi (ormai
confermata dalle ricerche neuroscientifiche) secondo cui la maturazione
biologica del cervello influenza profondamente il funzionamento mentale del
bambino. Infatti fin verso i 7 anni il bambino utilizza esclusivamente la memoria
biologica e quindi non è in grado di usare quella che si può considerare una
memoria esterna per eccellenza, cioè la scrittura. Tale limite richiama però
contemporaneamente l’attenzione su un elemento particolarmente significa-
tivo: l’apprendimento della lingua scritta potenzia enormemente la memoria
dell’individuo, proprio perché gli permette di disporre di forme di memoria
esterne rispetto alla sua mente e a cui può fare ricorso in momenti temporali
diversi.
Questo fatto, su cui gli insegnanti scarsamente si soffermano, si richiama
anche a quanto Fischer (OECD-CERI, 2007) evidenzia quando rammenta
come verso i 4, i 7 e gli 11 anni si verifichino improvvisi «scatti in avanti», per
cui se i soggetti si trovano in condizioni ottimali (a livello individuale e con-
testuale) riescono ad avere performance che sono le migliori che un soggetto
di quell’età possa avere. Il fondamento biologico di tali «scatti» è ovviamente
fuori discussione e ci induce una volta di più a sottolineare l’importanza di
agire in modo che gli apprendimenti realizzati siano coerenti con lo sviluppo
292 Come funziona l’apprendimento

del cervello: le diverse fasi di competenza nella lingua scritta da una parte ri-
chiedono un cervello che sia giunto a un certo livello di sviluppo, ma dall’altro
facilitano tale sviluppo. Anche in campo scolastico, quindi, fattori biologici e
fattori esperienziali agiscono insieme.

Articolazione temporale e processualità dell’apprendimento


L’organizzazione temporale della scuola primaria non dovrebbe prescin-
dere da tali considerazioni e non dovrebbe essere legata (come invece spesso
accade) a motivazioni estrinseche. Se si è davvero convinti della centralità che
riveste l’apprendimento della lingua scritta, allora l’articolazione dovrebbe
essere la seguente:
– Classi prima e seconda → apprendimento strumentale della lingua scritta;
– Classe terza → passaggio dall’apprendimento strumentale
all’apprendimento funzionale: introduzione
allo studio e al linguaggio disciplinare;
– Classe quarta e quinta → apprendimento funzionale della lingua scritta
e dei fondamenti delle discipline.
Tale articolazione temporale è la conseguenza diretta del fatto che l’ap-
prendimento della lingua scritta si configura come processo che avviene nel
corso del tempo e risulta quindi caratterizzato dalla sequenzialità.
Può sembrare un’affermazione tautologica: non solo nelle pubblica-
zioni scientifiche ma anche in quelle didattiche si parla spesso di processo
di scrittura e di lettura; in passato si sono sovente invitati gli insegnanti a
valutare i processi e non soltanto i risultati. Il problema sta nel fatto che non
si è mai precisato che cosa comporti fare riferimento a un processo e ciò
ha spesso comportato conseguenze negative in termini di risultato finale
dell’apprendimento.
Comprendere che cosa implica un processo è invece, nell’istruzione
scolastica, particolarmente importante in quanto non soltanto permette di
definire come progressivamente si costruisce una competenza, ma consente
altresì di capire come si manifestano le difficoltà e i disturbi di apprendimento.
Il termine processo richiama fondamentalmente il fatto che esiste un
risultato finale conseguito nel corso del tempo attraverso una serie di fasi
che si presentano in una sequenza abbastanza rigida e tra le quali esiste un
ordine gerarchico (Bordens e Abbott, 2008; Rescher, 1996; si veda box 5.1).
Il processo richiama quindi necessariamente l’esistenza di una direzione, di
una progressione realizzata attraverso attività che diventano mano a mano più
L’apprendimento scolastico 293

Box 5.1
L’ordine di sviluppo delle capacità

La progressione che caratterizza ogni apprendimento richiama il fatto che per ogni capa-
cità è possibile individuare un ordine di sviluppo. Alcune delle fasi possono parzialmente
sovrapporsi, ma in linea generale la sequenzialità e la gradualità rimangono valide. È
necessario però sempre rammentare che non si tratta di un ordine estrinseco, definito a
priori, ma corrisponde al modo con cui le diverse capacità emergono nel bambino nel
corso del tempo.
Può essere considerato paradigmatico l’ordine di sviluppo della capacità di scrittura, in
cui è possibile definire le seguenti fasi.

1. Impugnatura della penna


2. Scarabocchio
3. Riproduzione di forme geometriche
4. Sequenzialità da sinistra a destra e da alto in basso
5. Riproduzione delle lettere come forme
6. Codifica
7. Separazione tra parole
8. Ortografia
9. Punteggiatura
10. Coerenza logica tra le frasi
11. Scrittura di un testo
12. Tipologie diverse di testi.

Ovviamente nella realtà l’ordine non è così rigido e alcune di queste fasi possono anche
parzialmente sovrapporsi. Nell’insieme, però, la sequenzialità rimane valida e, se rispettata,
può evitare l’emergere di difficoltà di apprendimento, legate al fatto che gli alunni talvolta
si trovano ad affrontare compiti più complessi a età inferiori e compiti più semplici in
età successive.

complesse, più differenziate, più organizzate, più specifiche e più gerarchizzate


(Werner, 1940), come si coglie facilmente ad esempio nello sviluppo motorio.
La presenza di fasi come elemento caratterizzante ogni processo induce a
riflettere con maggiore attenzione sulle attività proposte agli alunni e sugli stessi
contenuti, a precisare come si realizza l’apprendimento nonché a individuare i
fattori che influenzano il risultato finale (Averch et al., 1972).
Parlare di processo di apprendimento della lingua scritta significa, quin-
di, fare riferimento a un elevato numero di strategie, le quali, se presentate
attraverso attività congruenti e supportate adeguatamente dall’insegnante,
permettono agli allievi di diventare «buoni lettori» e «buoni scrittori». E sono
294 Come funziona l’apprendimento

proprio le modalità attraverso cui raggiungere questo obiettivo che, a nostro


avviso, confermano la necessità dell’articolazione temporale sopra riportata.
Nell’ambito della scuola primaria, infatti, l’allievo acquisisce prima le capacità
di codifica e decodifica di un testo scritto, poi passa a una fase di scrittura
autonoma in cui però l’attenzione si indirizza prevalentemente all’ortografia
e alla sintassi, per giungere infine a una fase in cui invece l’attenzione si può
indirizzare verso il contenuto e l’organizzazione (Goldstein e Carr, 1996).
Richiamare la presenza di fasi non significa però propugnare un ap-
prendimento di carattere lineare e prescrittivo. L’apprendimento della lingua
scritta è infatti un processo di carattere ricorsivo che richiama numerose
strategie procedurali e che quindi risulta influenzato anche dall’individua-
lità dell’allievo. Occorre pertanto tenere presente che la rigidità si riferisce
alla successione delle fasi, ma che all’interno di ciascuna di esse esiste la più
ampia libertà in termini di attività, materiali, strategie.
In questo quadro l’insegnante assume il ruolo di facilitatore (Co-
hen, 1994; Rogoff, 1998; Sawyer, 2004; 2006) e non di colui che fornisce
un’istruzione diretta: non tiene lezioni, ma cerca di comprendere come stia
avvenendo il processo e quale supporto si renda necessario (Pritchard e
Honeycutt, 2007).
Soprattutto, anch’egli risulta attivamente coinvolto nel processo in
quanto persona che ha effettuato la stessa esperienza e ciò risulta particolar-
mente produttivo dal punto di vista dello sviluppo professionale in quanto
conduce a una comprensione profonda del processo stesso (Pritchard e
Honeycutt, 2007). Per insegnare a leggere e scrivere occorre cioè ricordare
quando a propria volta si è imparato a leggere e scrivere, nonché soffermarsi
sulle difficoltà che si sono personalmente incontrate per poter poi riflettere
su quelle che incontrano gli allievi.

Modelli gerarchici di apprendimento


La riflessione personale non è però sufficiente: occorrono voci «ester-
ne» che indirizzino l’attenzione verso variabili e situazioni che non sempre
l’insegnante, da solo, riesce a individuare. Per questo risulta particolarmente
produttivo fare riferimento alle ricerche di due studiose: Jeanne Chall (1983)
e Uta Frith (1985; 1986). Entrambe hanno delineato modelli gerarchici di
apprendimento della lettura accomunati dal fatto che l’acquisizione delle
capacità di ogni livello presuppone la piena padronanza delle capacità del
livello precedente. Rientrano quindi pienamente in un approccio processuale
allo sviluppo della lettura.
L’apprendimento scolastico 295

Box 5.2
Le ricerche di Jeanne Chall (1921-1999)

Le ricerche di Jeanne Chall furono incentrate sulle modalità di prevenzione delle diffi-
coltà di lettura. Erano gli anni in cui a scuola risultavano prevalenti i metodi globali di
insegnamento, contrapposti ai metodi che privilegiavano il riferimento alla decodifica
e quindi a processi di tipo analitico. Chall si propose di definire quale fosse il metodo
migliore per insegnare a leggere a un bambino. Significativamente il suo primo libro si
intitolava Why Johnny can’t read and what you can do about it (1955). Nel 1967 pubblicò
Learning to read: The great debate, che sintetizzava i risultati del suo lavoro di ricerca sugli
studi realizzati tra il 1910 e il 1965 sul processo di lettura. Chall concluse che le ricerche
scientifiche deponevano a favore dei metodi di tipo fonetico. Che i metodi globali fossero
stati presentati come efficaci dipendeva solo dal fatto che ci si riferiva esclusivamente ai
risultati ottenuti nel primo anno di scuola. In realtà i bambini mancavano delle capacità
per affrontare la lettura delle singole parole e quindi non potevano affrontare il passaggio
alla lettura autonoma. I metodi fonetici si fondano invece sulla logica e quindi, secondo
Chall, sono preferibili. Chall ritiene comunque che per far apprendere a leggere e scri-
vere non si deve far riferimento a un solo metodo di insegnamento, in quanto nessun
singolo metodo può, da solo, garantire il successo nell’apprendimento. Il metodo globale
non deve pertanto essere totalmente abbandonato: può invece essere utilizzato per
apprendere a leggere parole irregolari e per consentire ai bambini un avvio anticipato
alla lettura nei primi anni di vita.
In ogni caso, oggi non esistono più dubbi sul fatto che per apprendere a leggere e scrivere
il bambino debba disporre della consapevolezza fonologica ed è stato confermato che i
metodi di tipo fonetico non permettono solo l’apprendimento dei processi di decodifica
e codifica, ma migliorano anche la comprensione del significato di ciò che il bambino
legge (Moore, 2004).
Molti dei testi successivi di Chall sono incentrati sull’importanza della dimensione
fonetica. Quello più innovativo è comunque The stages of reading development (1983),
in cui la studiosa illustra le fasi necessarie per imparare a leggere in modo adeguato, ma
riveste particolare interesse anche la lettura del suo ultimo testo, pubblicato postumo
nel 2000 (The academic achievement challenge), dove, secondo quello che fu il suo stile
di lavoro, Chall invita a riflettere sul fatto che i metodi di insegnamento di tipo direttivo
sono più efficaci di quelli incentrati sull’allievo.
L’importanza degli studi di Jeanne Chall, del tutto sconosciuti in Italia, è confermata
dal numero di citazioni ottenute in pubblicazioni scientifiche (si veda in proposito
Google scholar).

I due modelli fanno riferimento a estensioni temporali diverse: il mo-


dello di Chall giunge fino all’età adulta e propone come ultima fase quella
relativa all’acquisizione della capacità di decostruire e ricostruire il testo (si
veda box 5.2).

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