You are on page 1of 9

LA ZONIZZAZIONE: DEFINIZIONE ED ESEMPI

La zonizzazione è definita come la suddivisione del territorio in aree omogenee per una data
caratteristica, ad esempio delle sue funzioni o per determinati fattori fisici. Il Piano Ottocentesco
non poneva limiti aveva generato una forte immigrazione dalle campagne, problemi gestionali dei
centri storici in degrado, difficoltà di adempiere al controllo igienico ed alla scarsa viabilità
all’interno del territorio, e fu così che nel periodo compreso tra le due Guerre Mondiali venne
adottato il Piano Razionalista, che aveva come principio base la zonizzazione. La pubblica
amministrazione subentrò nel controllo dello sviluppo urbano definendo un sistema ordinato
impiegando l’esproprio preventivo e l’obbligatorietà delle licenze edilizie quali strumenti di
controllo dell’attività urbanistica. Il territorio risultò così diviso in aree completamente edificate ed
aree potenzialmente edificabili. In Italia però il principio della zonizzazione venne messo in pratica
soltanto dopo la legge urbanistica 1150/1942, inquadrata all’interno del Piano Post-Razionalista: in
questo caso ogni elemento del territorio è definito in modo rigido e preciso. I tre tipi di
zonizzazione sono:
Zonizzazione funzionale: trova applicazione sia in campo urbanistico che in campo ambientale. Il
territorio viene suddiviso in ampie zone in funzione dell’espletamento della funzione prevalente.
All’interno di tali aree però può avvenire che le funzioni secondarie nel tempo acquistino elevata
importanza fino a prendere il sopravvento: è il caso ad esempio della consistente presenza di
attività artigianali in zone a prevalente produzione primaria. In campo ambientale tale
zonizzazione è prescritta dalla Legge Quadro per le Aree protette 394/1991 per la pianificazione
del territorio interessato da parchi. Così il piano del parco prevede la suddivisione in: Zone A= zone
di riserva integrata, Zone B= zone di riserva generale orientata, Zone C= zone di protezione, Zone
D= zone di promozione economico-sociale (secondo un vincolo decrescente). In
particolare le zone A sono quelle a valore più elevato, perché più prossime alle condizioni di
naturalità; la loro gestione è indirizzata verso la libera evoluzione e la presenza dell’uomo è vietata
ad eccezione di corpi scientifici. Nelle zone B invece la tutela ecologica legata a tradizioni silvo-
pastorali è compatibile con la fruizione turistica, regolata e controllata. Nelle zone C ricadono
invece tutte quelle zone il cui assetto paesaggistico, economico e naturalistico legato alle attività
antropiche è incentivato nell’ottica della sostenibilità ambientale. Le zone D sono caratterizzate
dalla maggior pressione antropica, con sistemi di fruizione turistica notevoli. Tale zonizzazione non
è rigida ma è consentita la creazione di sottozone come la creazione delle sottozone B1 e B2, le
ultime con lo stesso pregio delle zone A ma legate alla presenza antropica anche se minima, come
le praterie secondarie.
Zonizzazione per destinazione d’uso: caratterizzata dall’assenza di elasticità in quanto prevede
una descrizione di ogni elemento nel quale la zone soggetta a pianificazione è frammentata.
Ebbene poco elastica però tale pianificazione risulta semplice e di chiara interpretazione ed in cui
la distinzione tra ciò che è lecito e ciò che non lo è risulta ben definita. In ambito ambientale è
utilizzata nella descrizione delle diverse destinazione d’uso del territorio, come è avvenuto per la
redazione della Carta di Uso del Suolo.
Zonizzazione mista: è ad esclusiva applicazione urbanistica e combina al meglio le caratteristiche
delle due precedenti. Formulata in Italia in seguito al decreto ministeriale 1444/68, prevede due
momenti: si suddivide inizialmente il territorio in aree omogenee in base alla loro funzione
prevalente( Zona A= agglomerato urbano di interesse storico, artistico o ambientale; Zona B= zona
edificata priva di interesse storico , artistico o ambientale; Zona C= area destinata allo sviluppo
abitativo; Zona D= area destinata a nuovi insediamenti produttivi; Zona E= territorio ad uso
agricolo; Zona F= attrezzature ed impianti di interesse generale) e solo in seguito si assegnato
Indici e standard urbanistici. Gli indici (limite massimo di densità edilizia) sono: Indici di altezza
massima (grandezza riferita alla distanza tra il piano di campagna e quello di gronda), Rapporto di
copertura (superfice netta destinata alla fabbricazione in mq) e Indice di Fabbricabilità (limiti
volumetrici comprendenti gli “aggetti”. Gli standard (limiti minimi di dotazioni in servizi)
prevedono il passaggio i una % di territorio edificabile privato all’amministrazione pubblica che ne
usufruirà per la creazione di spazi verdi e servizi come scuole, parcheggi e fognature.
GERARCHIA DEI SOGGETTI E DEGLI STRUMENTI DELLA PIANIFICAZIONE
Ogni soggetto della pianificazione territoriale è sottoposto alle direttive di livello superiore e detta
prescrizioni a se stesso e ai soggetti di grado inferiore. In ordine gerarchico sono:L’Unione
Europea: essa dispone di diversi atti vincolanti quali le Direttive, le Decisioni ed i Regolamenti.
Possono essere citate la Direttiva Uccelli 79/409/CEE e la Direttiva Habitat 92/43/CEE: la prima
mira alla salvaguardia delle varietà e superfici sufficienti di habitat di tutte le specie europee
specialmente ornitofauna, mentre la seconda salvaguarda la biodiversità mediante la
conservazione degli habitat. Entrambe concorrono alla formazione della Rete Natura 2000, rete
ecologica di scala europea costituita da aree ZPS(zone di protezione speciale) e ZSC(zone speciali
di conservazione), che sono individuate dalle Regioni per lo Stato Italiano: Il Ministero
dell’Ambiente fa da mediatore con la Commissione Europea, che li approva, e dopo ciò spetta alle
stesse regioni gestirle con specifici piani. LO STATO: esso
recepisce le Direttive dell’Unione Europea ed impone le proprie ai soggetti di livello inferiore. Le
leggi in campo ambientale sono numerose: a partire dal Regio decreto-legge Serpieri del 1923
sulla tutela dei boschi e dei territori montani mediante imposizioni di vincoli idrogeologici; La LN
1497/39 sulla Protezione delle Bellezze Naturali ne impone il vincolo mediante l’obbligo della
redazione del Piano Paesistico; venne poi emanata la legge urbanistica 1150/42 per il controllo
della ricostruzione del secondo dopoguerra, impone il vincolo sui beni storici ed ambientali e
definisce i Piani Territoriali di Coordinamento. Il DM 1444/68 regola l’applicazione di Indici e
Standard Urbanistici all’interno delle zone omogenee della superfice comunale mentre la Legge
Galasso 431/85 ribadisce l’importanza dei piani paesistici ed il vincolo alle bellezze naturali quali
aree umide, fiumi, ghiacciai, mentre le aree protette sono regolamentate dalla Legge Quadro sulle
Aree Protette 394/91. Il Codice Urbani 42/04 ha sostituito il DL 490/99, testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali. Il DL 152/06 tratta di procedure
per la stesura della VIA e della VAS, nonché della difesa del suolo e tutela delle acque. Infine il
Codice Rutelli introduce il reato di “frode paesaggistica”
LA REGIONE:essa esprime il proprio ruolo attraverso le leggi regionali, che nel caso della Regione
Veneto è la legge urbanistica 11/2004 che promuove uno sviluppo sostenibile e d assicura un
elevato livello di protezione ambientale, regolato dal fatto che regione, provincia e comune
devono provvedere alla VAS di tutti i piani approvati ai sensi della Direttiva 2001/42/CEE. Secondo
tale legge la pianificazione si articola in: PIANO TERRITORIALE REGIONALE DI COORDINAMENTO,
costituito da relazione, cartografia ed archivi vari e norme tecniche; tale piano deve essere
sottoposto alla VAS( in una tabella a doppia entrata vengono inseriti i progetti di tale piano e gli
obbiettivi di sostenibilità, ed i risultati sono rappresentati da “faccette-simboli” che indicano il
raggiungimento o meno dell’obbiettivo prefissato) ed alla VIA( che in Veneto è risultato non
comportare incidenze significative). Il PIANO DI SVILUPPO RURALE, quale altro strumento della
pianificazione appartenente alla Regione,stabilisce le strategie e gli interventi nel settore agricolo
e forestale , è di natura economica e stabilisce la disponibilità di fondi da destinare ad iniziative e
progetti. LA PROVINCIA: a seguito della legge 142/90 recepisce le leggi degli organi
superiori e ne disciplina l’esecuzione ai Comuni su vari settori quali difesa del suolo , risorse idriche
ed energetiche ed i rifiuti. Lo strumento che utilizza è il PIANO TERRITORIALE PROVINCIALE , nel
caso della regione Veneto con la legge 11/2004 regola la predisposizione da parte delle province di
un piano territoriale di coordinamento, che tutela gli aspetti sovracitati ed ha funzione paesistico
ambientale. IL COMUNE: sempre secondo la legge
1172004 la pianificazione comunale utilizza come strumenti il PIANO DI ASSETTO DEL TERRITORIO
(necessita approvazione della provincia),essa fissa gli obbiettivi e le condizioni di sostenibilità di
interventi e trasformazioni ammissibili dai comuni ad esempio recepisce i siti di interesse quali
parchi e riserve, facendo riferimento a particolari cartografie quali carta della fragilità e vincoli. In
tale piano sono inoltre recepiti a livello internazionale i siti SIC e ZPS. L’altro strumento è il PIANO
DI INTERVENTI (non necessita di approvazione), corrisponde al vecchio piano regolatore e
parallelamente al PAT ne regola gli interventi in relazione al bilancio comunale. Obbliga inoltre i
comuni alla VAS.

LA VALUTAZIONE DI INCIDENZA (VINCA)


È un procedimento di carattere preventivo al quale è sottoposto qualsiasi piano o progetto che
possa avere incidenze significative su un Sito della Rete Natura 2000, sia ricadente all’interno che
confinante, ma comunque in grado di ripercuotersi sul suo stato di conservazione. Essa è prevista
dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE, in ambito nazionale deve essere presentata al ministero
dell’ambiente nel caso di progetti sulla pianificazione nazionale, mentre per quelli regionali va
presentata alle regioni o alle province autonome, che ne definiscono le modalità di presentazione.
La VONCA si articola in 4 fasi, non necessariamente consecutive.
Fase 1 (screening): serve ad individuare l’incidenza del piano sullo stato di conservazione del sito;
viene però inizialmente valutata se le misure previste siano finalizzate alla gestione del sito stesso
in relazione agli obbiettivi di conservazione dello stesso, in questo caso tale procedimento non
sarebbe più necessario. Poi si passa alla descrizione dei vari elementi del piano al fine di definire la
valutazione cumulativa con la previsione degli impatti nel loro insieme. È importante evidenziare
quali siano le caratteristiche che mirano alla conservazione del sito. Per la valutazione possono
anche essere utilizzati alcuni indicatori come la frammentazione e la perdita di habitat. S
l’incidenza risulta negativa è necessario passare alla fase successiva.
Fase 2 (valutazione appropriata): fase in cui bisogna quantificare gli effetti prodotti e proporre
delle misure di mitigazione. Si procede inizialmente alla verifica della completezza dei dati raccolti
nello screening, si passa poi alla previsione degli impatti, classificandoli in diretti/indiretti, breve e
lungo termine e in base al momento in cui verrebbero a crearsi in fase di realizzazione di progetto.
Individuati gli effetti negativi è necessario predisporre misure di mitigazione per attenuare o
eliminare tali effetti. Queste riguardano i tempi di realizzazione, gli strumenti da impiegare,
l’impiego di specie autoctone pioniere della potenziale successione vegetazionale. Se nonostante
tali modifiche l’incidenza risulti ancora negativa, si passa alla fase successiva. Fase 3 (analisi
soluzioni alternative): il progetto deve essere essenzialmente riformulato mettendo in evidenza
le alternative esistenti come scadenze temporali e modalità di costruzione. Se non vengono
evidenziate alternative idonee si passa alla fase 4 (individuazione misure compensative) solo per
motivi imperativi di rilevante interesse pubblico che giustifichino la realizzazione del progetto. In
altro caso, si torna alla fase 1. Tra le misure di compensazione vi possono essere il ripristino
dell’habitat o la creazione di uno nuovo di pari valore a quello perso. È previsto poi il monitoraggio
per verificarne l’effettiva efficacia.

I METODI PROCEDURALI: CARATTERISTICHE ED ESEMPI


Essi sono l’insieme delle strategie di pianificazione che seguono procedure codificate a livello
individuale e collettivo al fine di realizzare specifici obiettivi settoriali all’interno di un sistema
unitario. Tutti hanno uno sviluppo comune articolato in 4 fase che sono: individuazione degli
obiettivi, formazione delle ipotesi, scelta dell’ipotesi migliore e d applicazione. La moderna
pianificazione è sempre caratterizzata da 3 caratteri fondamentali che sono: razionalità(indica il
procedere senza personalismi ne influenze emotive o di carattere economico), la sistematicità
(articolare le fasi secondo un determinato ordine), e la continuità (la possibilità se necessaria di
tornare alle fasi precedenti). Nel tempo si sono sviluppati vari metodi procedurali differenti.
Il metodo Mc Lauglin: esso definisce uno schema processuale che ha inizio con un atto politico (la
decisione di adottare la pianificazione quale metodo della pianificazione) per poi seguire lo
sviluppo in fasi precedentemente descritto.
Il metodo Chadwickè un evoluzione del precedente in quanto affianca al metodo logico uno
informatizzato che fornisce una simulazione oggettiva garantendo scientificità. Viene utilizzato
nella sistemazione idraulico forestale e nell’assestamento.
Il metodo Mc Harg si distingue dai precedenti per l’introduzione del principio di gerarchia nella
conoscenza del territorio, e dall’analisi dell’idoneità, cioè la congruenza tra destinazione d’uso del
suolo e caratteristiche stazionali massimizzandone la resa. Altro fattore che lo contraddistingue
dagli altri metodi è il coinvolgimento dei cittadini. Esistono diversi metodi di coinvolgimento, che
vanno dalle hearingpubbliche( forum pubblici in cui vengono presentate delle proposte) ai
sondaggi di opinione( vengono posti quesiti di tipo conoscitivo ai cittadini) alla metodologia EASW
(presentazione di scenari simulati ai cittadini residenti e ad esperti). Il metodo Mc Harg consta di
11 fasi: le prime 4 fasi sono caratterizzate da all’analisi dei problemi e delle potenzialità del
territorio e gli obbiettivi del piano, nonché la raccolta dei dati seguendo un preciso ordine
gerarchico. La fase 5 prevede gli studi in dettaglio secondo il principio di idoneità; essi ad esempio
prevedono una prima fase in cui si analizzano i fattori che determinano le destinazioni d’uso del
suolo come pendenza ed erosione,ottenendo cosi una prima zonizzazione e poi per ogni fattore,
un valore di idoneità per ogni uso del suolo. Si trasferiscono i dati sulla carta, e sovrapponendo le
varie carte otteniamo le aree più idonee ad un determinato uso del suolo. I successivi atti sono di
natura politica come la formulazione dell’ipotesi di piano. Il coinvolgimento dei cittadini è
intrinseco a tutte le fasi in modo”continuo”. L’ultima fase è di attuazione del piano, e tale fase si
relazione con la prima.
Il metodo La Padula ideato in Italia nel 1978 consta di 14 fasi e obbliga alla fissazione del tempo di
partenza della pianificazione t0 ed al tempo massimo entro cui realizzare gli obbiettivi t1. Si
ottengono così delle proiezioni al tempo t1 grazie alle quali scegliere l’ipotesi pianificatoria
migliore.

IL MODELLO DPSIR
È uno schema composto da 5 fasi le cui iniziali compongono il nome, e sono Determinanti,
pressioni, Stato, Impatti e Risposte, collegati tra loro da rapporti causa effetto; tale modello
rappresenta la corretta procedura per la costruzione di una relazione ambientale, perché
attraverso queste 5 fasi vengono evidenziati gli elementi che caratterizzano un dato fenomeno
ambientale e risposte alle decisioni politiche intraprese verso tale fenomeno.
DETERMINANTI: vengono analizzate le cause di innesco di ogni alterazione ambientale, positive o
negative, derivate da azioni umane. Alcuni indici ed indicatori possono aiutare come lo studio della
popolazione, delle aree residenziali, ecc. Ciò che le determinanti provocano, come inquinamento e
rifiuti, costituisce le PRESSIONI. Vengono valutate mediante indicatori (per la perdita di
biodiversità vengono analizzate frammentazione, riduzione aree umide, riduzione aree boscate,
ecc). Si passa poi alla valutazione dello STATO, cioè delle condizioni generali del territorio
mediante la descrizione delle sue componenti allo stato attuale (aria, acqua, clima), e lo fa
utilizzando Indici in grado di il funzionamento dell’ecosistema che subiste le pressioni. GLI IMPATTI
possono essere sia positivi che negativi, e sono gli effetti derivati dai fattori precedenti facendo
particolare attenzione alle ripercussioni sulla vita dell’uomo( l’incidenza sulle malattie, la
disoccupazione). Se risultano essere eccessivamente negativi, gli interventi per ridurre il degrado
ecologico possono risultare troppo onerosi. Si arriva alla formulazione delle RISPOSTE che sono le
risposte dell’uomo ai problemi ambientali, come azioni di prevenzione o controllo degli impatti, o
di promozione di misure di sostegno all’attività ecosostenibile; Ciò può avvenire ad esempio con la
promozione del PSR, che rappresenta un incentivo economico a tutte quelle attività in ambito
rurale per la messa in atto di valide risposte.

SIGNIFICATO DI INDICI E INDICATORI


Sono degli strumenti di conoscenza, monitoraggio e divulgazione di informazione riguardanti un
dato fenomeno. Gli UNDICATORI sono dei parametri che esprimono un valore che riguarda una
caratteristica( quantità di co2 in aria); l’INDICE è invece un valore derivante da più parametri
aggregati in vario modo (indice della qualità dell’aria). Entrambi sono però caratterizzati da alcuni
requisiti che sono:RAPPRESENTATIVITA’(deve avere una relazione funzionale con il fenomeno che
rappresenta e confrontabile con le diverse realtà), ACCESSIBILITA’( di semplice realizzazione e
comprensione), OPERATIVITA’ (utile e chiaro per la comunità a cui è riferita), RILEVANZA ED
UTILITA’( credibili e di facile diffusione), FLESSIBILITA’ ( confrontabile con altri modelli),
MISURABILITA’( adattabili alle varie procedure).
Indici ed Indicatori vengono classificati in qualitativi ( possono descrivere le caratteristiche di una
data situazione) e qualitativi (corrispondenti a dati numerici manipolabili). . Le zone fitoclimatiche
individuate da Pavarisono invece esempio di indicatore qualitativo: essi infatti comprendono i
nomi delle specie identificative di un dato ambito territoriale, al quale corrispondono alcuni
parametri tecnici, limiti geografici, flora forestale tipica ecc. Le zone fitoclimatiche individuate
sono Lauretum, Castanetum, Fagetum, Picetum, Alpinetum.
Tra gli indicatori quantitativi è il modello PSIAC per la stima dell’erosione superficiale di un bacino
idrografico, che prevede l’assegnazione di un valore da 0 a 10 per la produzione di sedimenti da
parte dei vari fattori quali suolo e topografia, e poi la somma di tali valori per ottenere un indice
quantitativo da 0 a 130, compreso in un range di 5 classi di erosione superficiale media annua
stimata.
Indici ed indicatori quantitativi si dividono poi in relativi ed assoluti: i primi hanno significato solo
se confrontati tra di loro perché non esistono massimi e minimi di riferimento come invece
avviene per gli assoluti, che si possono collocare in precisi campi di variabilità e sono definiti in
modo univoco. Un esempio di indice assoluto è l’indice biotico esteso IBE che classifica la qualità
delle acque correnti sulla base delle classificazioni tassonomiche delle specie di macroinvertebrati
presenti. Il calcolo di tale valore, compreso tra 1 e 13, è il risultato dei dati inseriti in una tabella a
doppia entrata tra la presenza dei taxa esigenti di elevata qualità ambientale e la loro ricchezza
totale riscontrata nella comunità. Un indice relativo è invece la biodiversità, cioè l’abbondanza di
specie in un dato territorio, ed è un indice relativo perché per ottenerlo è necessario confrontare i
dati raccolti in diverse aree di saggio col grado di biodiversità noto di altre aree che hanno
condizioni stazionali simili che ne permettono il confronto.
INDICE DI VALORE FAUNISTICO
Permette di classificare un dato territorio in relazione alle specie animali che esso ospita, dando un
diverso grado di vincolo in funzione del suo valore faunistico. Esso si utilizza nella gestione delle
aree protette. Gli indici faunistici sono anche impiegati nella VINCA per valutare gli effetti degli
interventi dei siti Natura 2000. La realizzazione delle opere può comportare infatti perdita di
habitat specie per l’avifauna (molto suscettibile a modificazioni). Gli indici faunistici sono divisi in
biologici e sociali.
Gli indici biologici si riferiscono alla conoscenza ecologica della specie e sono ad esempio livello
trofico: si riferisce alla posizione che ogni specie occupa all’interno della piramide alimentare, si
articola in 5 classi che vanno da consumatore primario a consumatore secondario di terzo grado.
L’indice di sensibilità si riferisce all’atteggiamento dell’animale nei confronti dell’uomo. La
stenoeciaindica il legame di una specie a particolari condizioni ecologiche in funzione ad esempio
delle sue necessità trofiche. Le specie sono divise in 5 classi dalle meno esigenti alle più esigenti.
L’indice di rarità territoriale si basa sulla percentuale di presenza in un luogo rispetto alla
popolazione media tipica. Le specie sono divise in 5 classi da molto diffuse a molto rare. L’indice di
distribuzione permette di valutare la localizzazione delle specie rispetto al loro areale di
distribuzione. L’indice di presenza riproduttiva considera quanto le specie si riproducono, e va dal
voto1 a quelle che non si riproducono nell’area a voto5 quelle che si riproducono normalmente.
L’indice di presenza stagionale nell’area permette di valutare la presenza dei specie non stanziali,
va da quelle che sono presenti per meno di 1 mese l’anno (voto1) a quelle che sono presenti tutti
l’anno (voto5).
Invece gli indici sociali si riferiscono alla godibilità da parte dell’uomo in relazione alla presenza
delle specie animali, fattore importante nei casi di territori interessati da fruizione turistica.
Mentre gli indici biologici vengono stimati da esperti, quelli sociali vengono elaborati da interviste
e sondaggi ad appassionati ma comunque sempre persone competenti. Essi sono la
contattabilità(possibilità da parte dei visitatori di venire a contatto con le specie animali mediante
avvistamenti o richiami), la gradevolezza (piacere suscitato dalla visione di una specie), il valore di
immagine (grado di stimolazione della fantasia ed evocazione di sensazioni positive indotte dalla
visione), ed infine il valore venatorio (legato alle attività di caccia e pesca)

STIMA DEL VALORE VEGETAZIONALE DI UN TERRITORIO ATTRAVERSO LA NATURALITA’ DI UN


ECOSISTEMA
Viene utilizzata per la pianificazione di territori mediante attribuzione di diversi gradi di valore in
base al grado di vincolo; viene anche usato per la compilazione della VINCA in quanto permette il
confronto tra il valore vegetazionale prima e dopo l’applicazione del piano, riuscendo così a
quantificare la pressione antropica. La stima del valore vegetazionale è legata all’analisi della
naturalità di un territorio, che sarà tanto più naturale quanto meno è la pressione antropica. Un
ecosistema naturale si trova in condizione di omeostasi, e ciò determina una condizione di
stabilità, intesa come resistenza (capacità dell’ecosistema di contrastare un disturbo) e di
resilienza ( capacità di ripristinare le condizioni precedenti al disturbo). Il problema però sta nel
calcolo di tali condizioni, che non può essere matematico, così come anche l’analisi delle piramidi
ecologiche (piramide dei numeri, piramide della massa, piramide dell’energia) risulta
eccessivamente lunga. La stima del valore di un territorio può essere fatta mediante la sua
complessità, cioè l’abbondanza delle specie vegetali. Si inizia dallo studio dello strato erbaceo, in
diverse aree di saggio scelte a random o in zone stazionalmente omogenee. Bisogna tenere conto
che in condizioni di pionierismo avremo poche specie ma di elevato numero, mentre in prossimità
del climax avremo pochi individui ma di moltissime specie. Tale concetto è numericamente
definibile mediante gli indici di complessità, come l’indice di MARGALEFF: iv= (s-1)/logN e l’indice
di MEHNINICK iv=S/√N, dove s è il numero delle specie e N il numero complessivo degli
individui.Entrambi sono indici relativi perché necessitano di un confronto tra i valori ottenuti. Ci
sono poi gli indici di similitudine per valutare l’eterogeneità di un territorio, tanto più lo è e tanto
più risulta di valore perché in grado di garantire la sua perpetuità. Essi sono l’indice si SORENSEN
PS=2c/(a+b) dove a è il numero di specie della prima lista, b della seconda e c le specie comuni. Se
le aree non hanno specie comuni allora il risultato è 0, mentre se le condividono tutte si ottiene 1.
Nell’analisi dell’assetto vegetazionale di un territorio bisogna però tenere anche conto della
relazione tra componente floristica ed assetto stazionale. In condizioni di naturalità aree con
assetto stazionale uguale generano la stessa vegetazione. Bisogna quindi applicare gli indice solo
ad aree omogenee, stimate grazie
L’ALGORITMO DI DISTANZA MULTIPLA DI MINKOWSKY
Dove j ed i sono le aree analizzate a coppie ed m il loro numero totale.
Il calcolo della similitudine per aree è assenziale anche nelle Cluster Analisys, per aggregazione di
aree simili e l’individuazione delle loro superfici, passando da informazioni puntuali a spaziali.

CLUSTER ANALYSIS: significato e criteri di applicazione

La Cluster Analysis è uno strumento che permette di compiere delle aggregazioni tra aree sulla
base del loro grado di somiglianza. Ai fini gestionali, infatti, non è sufficiente avere dei dati puntuali
di un territorio, bisogna delimitare delle superfici (zonizzazione) per individuare a esempio zone ad
alta, medio o bassa complessità. La zonizzazione, per elementi ben definiti, come il tipo di roccia o
il tipo di suolo, risulta molto facilitata, ma quando si tratta di caratteri continui (caratteri per cui
può esistere qualsiasi valore all'interno di un campo di variabilità) la delimitazione delle superfici
risulta difficoltosa.
Nel caso degli indici di valore vegetazionale (carattere continuo), la trasformazione delle
informazioni di dettaglio ad informazioni spaziali, viene quindi eseguita attraverso questa analisi
dei gruppi (Cluster Analysis): analisi per l'aggregazione di aree simili e l'individuazione delle loro
superfici. Alla fine dell'analisi, la serie campionaria di aree di saggio, risulterà divisa in un certo
numero di gruppi che avranno la caratteristica di essere il più possibile simili al loro interno, ma
nella complessità, sicuramente differenti dagli altri gruppi.
A livello matematico, per eseguire l'aggregazione delle aree di saggio, si procede innanzitutto a
creare delle matrici dove, all'incrocio delle righe e colonne, si andranno a leggere i valori di
differenza. Individuate le aree più simili, si considera che queste possono essere considerate come
fossero una e quindi vengono fuse, così da ridurre di un'unità la matrice. Per rappresentare
un'unica serie numerica riferita a due aree si può procedere in tre modi: il più logico è quello di
calcolare i valori medi (legame con media aritmetica), nella pratica però si usa il legame semplice,
che prevede l'assegnazione del valore più basso delle due aree, invece, con il legame completo si
attribuirebbe il valore più alto. Dopo aver ridotto la matrice, si procede a identificare le nuove aree
con la maggiore similitudine (differenza più bassa) che verranno nuovamente fuse, con la
conseguente riduzione di un'altra unità della matrice. Questo processo poi si reitera fino alla fine
delle aree di saggio. Ovviamente ad ogni nuova fusione il livello di differenza, tra le aree di saggio,
sarà sempre maggiore perchè, le differenze precedenti si annullano nella fusione delle aree. Ad
esempio, se l'asse orizzontale mi rappresenta il livello di differenza 0 ed identifico l'area 1 e 2 come
le più simili, differenza pari a 0.07, nel momento in cui le fondo è come se spostassi l'asse
orizzontale al nuovo valore (0.07), in quanto, non esistono più differenze inferiori e, le aree
successive, potranno avere livelli di differenza solo superiori.
I grafici che rappresentano i vari gradi di differenza tra le aree considerate, si chiamano
dendrogrammi: in cui in orizzontale sono disposti i vari campioni e in verticale i diversi livelli di
differenza. Le aree simili, disposte nell'asse orizzontale, sono rappresentate attraverso la loro
unione con un archetto orizzontale in corrispondenza del valore di differenza (asse verticale): le
aree 1 e 2 presenteranno l'archetto a livello del valore di differenza 0.07 e poi questo sarà collegato
ad un'altra area mediante un nuovo archetto ad un livello di differenza superiore, per il motivo
precedentemente spiegato. Ecco che, scelta una certa soglia di differenza, ad esempio soglia del
50%, si individueranno tutti quei gruppi che avranno livelli di differenza superiori al 0.5 ed al
variare di questa si otterranno un numero maggiore (soglia <50%) o inferiore di gruppi
(soglia>50%).

OBIETTIVI PRINCIPALI DELL’ECOLOGIA DEL PAESAGGIO


L’ecologia del paesaggio è una disciplina nata dalla combinazione tra alcune discipline quali
architettura, scienze agrarie, botanica ed urbanistica. Studia la relazione tra i vari ecotopi, unità
funzionali omogenee nelle quali il paesaggio viene diviso. La distribuzione di questi ecotipi nel
paesaggio è alla base della realizzazione delle reti ecologiche, che è lo strumento operativo di base
dell’ecologia del paesaggio. Il principale obiettivo della disciplina è di far convivere le necessità
dell’uomo e quelle della natura nell’ottica della sostenibilità. Per poterlo ottenere è necessaria la
realizzazione di una rete ecologica capillare; si mira a massimizzare l’eterogeneità, cercando di
ravvicinare il più possibile diversi ecotopi riducendo al minimo le spese gestionali. Altro obiettivo è
incrementare la percezione del paesaggio stesso sia da parte dell’uomo che della fauna. I vari
percorsi devono essere ben visibili cosi come anche le situazioni di rifugio ed i grandi alberi.
Tutti questi obiettivi generali però si concentrano nella creazione e gestione delle reti ecologiche. I
nodi della rete ecologica devono essere dotati di almeno 2 vie di fuga e le aperture devono essere
proporzionali alla distanza dispersiva delle specie chiave( massima distanza tra habitat che
consentono ad una specie di espletare le sue funzioni fisiologiche. Tale fattore è importante anche
nella pianificazione della distanza tra le macchie ( se la distanza è troppa l’animale può
abbandonare il territorio. Da valutare anche l’estensione minima necessaria all’insediamento delle
specie più rappresentative, per favorirne lo sviluppo.
Le siepi sono di particolare importanza perché permettono l’insediamento di specie spontanee.
Sono poi ottimali quando tutto il biospazio specie in senso verticale risulta occupato
dall’insediamento di specie erbacee, arbustive ed arboree. A seconda della funzione poi se ne
possono scegliere di diverse: se sono a funzione difensiva si possono usare le spinose come
biancospino, invece se servono ad attirare l’evifauna si può usare il sambuco nero.
La combinazione tra interessi umani e salvaguardia ambientale si può quindi raggiungere con la
creazione sul territorio di reti ecologiche che favoriscono la naturalità senza compromettere le
attività antropiche.

You might also like