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Architetti d’Italia.

Edoardo Persico,
il critico
By
Luigi Prestinenza Puglisi
-
5 febbraio 2019

Scomparso a soli 35 anni, Edoardo Persico seppe regalare all’architettura un nuovo respiro. Più vasto e finalmente
libero dall’ossessione per la funzionalità.

Edoardo Persico morì a trentacinque anni, troppo presto per decidere cosa avrebbe voluto fare. Studiò
giurisprudenza senza terminarla, si occupò di politica, frequentò Piero Gobetti, scrisse un romanzo,
tentò di diventare editore, fece il critico d’arte. Si occupò intensamente di architettura come polemista,
conferenziere, condirettore di Casabella e progettista.
Realizzò allestimenti unanimemente riconosciuti meritevoli di attenzione, ma di cui forse ancora non
abbiamo capito appieno la rilevanza nella storia dell’architettura. L’ultimo, il più importante, il Salone
d’Onore nel Palazzo dell’Arte, dove confluivano arte e architettura, non riuscì a vederlo realizzato. Dal
racconto degli amici, pare che sapesse che non lo avrebbe mai visto in opera.
A rendere misteriosa la vita di Persico è la scarsità di fonti che la raccontano e le circostanze della
morte. Ucciso dalla polizia fascista? Deceduto per un infarto? Perché fu trovato nudo, nella sua casa
poverissima e fredda, con il fegato spappolato? Era un antifascista o un informatore della polizia
pentito? Perché le sue carte sono scomparse, sequestrate da uno studioso che non si sa che fine abbia
loro fatto fare? Sulla sua vita si potrebbe costruire un libro giallo, e difatti lo scrittore Andrea Camilleri
lo ha fatto, con successo. Ma sollevando le obiezioni degli storici che nel ritratto del romanziere non
riescono a riconoscere Edoardo Persico, un uomo dolcissimo e tristissimo, vissuto in povertà, religioso,
forse omosessuale, con un fallimentare matrimonio alle spalle. Racconta Lisa, la figlia di Gio Ponti, che
un senso di angoscia prendeva lei e la sorella bambine quando questo uomo, sempre avvolto nel suo
cappotto, veniva a fare visita al padre e alla madre. Eppure, come raccontano gli amici, era oltremodo
sincero, intransigente e disinteressato. “Una luce” ‒ ricorda Lionello Venturi ‒ “che non si è estinta né
si estinguerà fino a che alcuno di noi, che ne fu illuminato, saprà conservarla dentro nell’animo”.
Edoardo Persico – Scritti d’architettura (1927-1935) (Vallecchi, Firenze 1968)

LA CRITICA
Di Persico, dicevamo, rimangono poche cose e tra loro diverse. A cominciare dai ritratti: quelli di Carlo
Levi ce lo mostrano come un signore precocemente attempato, mite, con la bombetta, contraddetti da
quello di Francesco Menzio che ce lo restituisce con i baffi, più magro e giovanile, e da quelli sul letto
di morte eseguiti da Fiorenzo Tomea e da Gabriele Mucchi, che sembrano ritrarre un’altra persona.
D’altronde, anche dalle poche foto che abbiamo di lui, tra le quali una da artista maledetto con i baffi e i
capelli lunghi e una da borghese, ben rasato, stempiato e intabarrato con l’inseparabile cappotto secondo
il racconto di Lisa Ponti, è difficile farci una precisa idea del suo aspetto, come se la stessa fisionomia
fosse in linea con il carattere fuggitivo della sua esistenza.
Nonostante i pochi scritti di architettura lasciatici, non esiterei a definire Persico il più importante critico
italiano d’architettura del Novecento. Per le intuizioni e, soprattutto, per la costruzione concettuale che
parte da una intuizione di quel Lionello Venturi, personaggio rivoluzionario della critica d’arte, di cui
abbiamo poco prima riportato una citazione. L’intuizione è che l’arte moderna nasce non dall’astrazione
del Cubismo, ma dal senso di coinvolgimento dell’uomo con la natura che è proprio della visone
impressionista. In questo senso l’Impressionismo è stato la più rilevante rivoluzione della tecnica
sviluppatasi in parallelo a un tentativo di espressione della nostra modernità che alla separazione tra
uomo e mondo contrappone la reintegrazione.
Era una visione che aveva, negli anni del fascismo, una potente carica eversiva. Voleva infatti dire
abbandonare le velleità superomistiche e fare a meno della retorica monumentale, dei riferimenti alti,
assoluti e perenni alla Storia. Riportare l’attenzione poetica alla vita nel suo darsi. Elogiare la modestia
che avrebbe dovuto rappresentare al meglio l’etica di una nuova Europa, vagheggiata dagli intellettuali
più sensibili, ma che stava andando a pezzi per colpa di totalitarismi di ogni colore. In Venturi, pensiero
e politica coincidevano. E difatti fu uno dei pochissimi professori universitari che non giurò fedeltà al
fascismo e scelse la via dell’esilio.
Da critico d’arte, Persico abbracciò con entusiasmo l’idea impressionista di Venturi. Organizzò nel 1929
una mostra di artisti che avevano intimamente assimilato la pittura di luce: Jessie Boswell, Gigi
Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico Paulucci.
Erano sei, esattamente come sei erano i pittori che avevano inaugurato nel 1922 il movimento opposto
del Novecento che puntava, invece, al ritorno all’ordine e al rigore classico delle forme. Persico fece un
importante lavoro di gallerista, individuando altri talenti poco inclini alla retorica. E capì la grandezza
incontrastata di Lucio Fontana, al quale dedicherà uno dei suoi ultimi scritti. Soprattutto ‒ ed è qui
l’importanza del personaggio ‒ intuì che doveva sviluppare nella critica d’architettura il pensiero di
Venturi, smontando l’equivoco cubista e razionalista. Per porre fine all’architettura pensata come una
combinazione, per quanto colta, di figure geometriche, che produceva, da un lato, forme morte e,
dall’altro, un arido classicismo.
A testimoniarlo sono tutti i suoi scritti e, in particolare, il testo della conferenza più importante, Profezia
dell’architettura, tenuta la sera del 21 gennaio 1935 presso la Società Pro Cultura Femminile
dell’Istituto Fascista di Cultura a Torino. Come ci racconta Giulia Veronesi, Persico vi traccia le linee
essenziali di una storia dell’architettura moderna che si proponeva di scrivere ma che non scriverà mai
perché di lì a poco meno di un anno, il 10 gennaio 1936, sarà trovato morto.
Edoardo Persico – La città degli uomini d’oggi (Hacca, Matelica 2012)

UN PROGETTO DI LIBERTÀ
Per capire l’architettura contemporanea, affermerà Persico, occorre fare riferimento a un progetto di
libertà. E, per raccontarlo, rievoca Elsie, la protagonista di una novella di Sherwood Anderson: “Elsie
corse nell’immensità dei campi, gonfia di un unico desiderio. Voleva evadere dalla sua vita per entrare
in una vita nuova e più dolce, ch’ella presentiva nascosta in qualche angolo dei campi”.
Vi rendete conto del potere dell’immagine? L’architettura moderna, d’ora in poi, non può essere
liquidata come una ricerca di funzioni, di standard, di giochi sapienti. È di più: è un sogno che
suggerisce una esistenza diversa. Una “sostanza di cose sperate”, come dirà alla fine della conferenza
utilizzando un’immagine diventata celebre, entrata di forza nel nostro immaginario, anche se ancora
forse non ne abbiamo compreso l’intera portata.
Chi è l’architetto che ha dato maggiore intensità all’intuizione impressionista? Certo non Le Corbusier.
Ma Frank Lloyd Wright il quale, secondo Persico, può essere considerato il Cézanne dell’architettura
nuova. Intuizione che sposta il nostro asse concettuale verso una dimensione organica e paesaggistica
straordinariamente contemporanea.
Mai, prima di Persico, un critico ha avuto una visione così ampia dell’architettura, e basterebbe il solo
testo Profezia dell’architettura per rendercelo indimenticabile e amato.
L’architettura può essere, infatti, poesia solo se racconta, precostituendolo, il futuro: un nuovo ordine
morale, un tentativo di organizzazione moderna dell’Europa, attraverso la scoperta della libertà dello
spirito.
Parole così alte corrono il rischio di rimanere un puro esercizio di critica, astratto dalle opere che
Persico stesso ha costruito: oltretutto dei suoi allestimenti abbiamo scarsa documentazione e in questi si
tende a sottovalutare il suo contributo, considerandoli come risultato di collaborazione con progettisti
più strutturati quali Marcello Nizzoli e Giancarlo Palanti.
Sarebbe invece importante cercare di capire come l’idea impressionista dello spazio, la ricerca di libertà
si sia concretizzata in due opere: il negozio Parker in Largo Margherita a Milano (1934) e la Sala delle
Medaglie d’Oro alla mostra dell’Aeronautica Italiana a Milano del 1934.
Dove lo spazio trasparente è ritmato da strutture leggerissime che volano nell’aria, suggerendo pluralità
di direzioni e apertura di improvvisi orizzonti. Esattamente l’opposto dell’architettura giocata sulla
geometria e sulla massa del fascismo.
Vi è una terza opera. È il capolavoro più rilevante: il Salone d’Onore nel Palazzo dell’Arte alla VI
Triennale di Milano, un sacello ospitante la Nike scolpita da Lucio Fontana. Il ricordo classico diventa
leggero, grazie ai setti in stoffa generosamente spaziati e alle vibrazioni luministiche generate e riflesse
dalla statua, che diventa parte dell’architettura (così come, d’altronde, questa diventa parte della
scultura). Da consumato architetto, Persico capisce che è proprio il talento sconfinato di Lucio Fontana
il sostegno poetico su cui realizzare una indimenticabile architettura. L’insieme ricorda ‒ sia pure
trasposto su un versante mitologico ‒ proprio la corsa di Elsie evocata in Profezia dell’architettura.
Ogni costruzione ha un senso solo se vive, e può farlo solo se racconta, con maestria impressionista,
l’immensità di una vita gonfia di desiderio.

‒ Luigi Prestinenza Puglisi

Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano


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Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
Architetti d’Italia #51 ‒ Vittorio Sgarbi
Architetti d’Italia #52 ‒ Fabrizio Carola

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Andrea Camilleri - Dentro il labirinto (Skira, Milano 2012)

Edoardo Persico - Scritti d'architettura (1927-1935) (Vallecchi,

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Edoardo Persico - La città degli uomini d’oggi (Hacca, Matelica

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