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MIZR é uno strumento di divulgazione Direttore responsabile:

interna che presenta studi Mauro Cerulli


sul Martinismo, la Libera Muratoria
e lo Gnosticismo.
Comitato scientifico:
La raccolta (che non ha periodicità Fabrizio Fiorini
ed é riservata ai soli membri della Arrigo Gareffi
Associazione Culturale MIZR) Vincenzo Malatesta
non é in vendita Luizio Capraro
e può essere stampata in proprio
scaricandola gratuitamente.

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considerata una testata giornalistica
o un prodotto editoriale ai sensi
della legge n. 62 del 07.03.2001. www.mizr.eu

Apis - Editoriale Pag. 1

Mizr - Presentazione del libro Pag. 6


“I Figli della Conoscenza”

Maathor - Il Numero, Pag. 12


alfabeto di Dio (parte prima)

Ahawa - Eliphas Levi: Pag. 38


tra Ideologismo magico
e Positivismo nella Francia
del 1800

Eleazar - Il Cavaliere Pag. 46


Beneficente della Città Santa
nella tradizione
libero-muratoria egizia

Arjuna - I suoni sacri Pag. 52


e la scienza dei mantra
in India

Hathor Go-Rex - Il valore Pag. 56


educativo del simbolismo
astrologico

Calendario Operativo 2018 Pag. 65

Anno 4 - n. 14 - primavera 2018


La cosa più difficile da fare nella vita
è conoscere se stessi.
Talete da Mileto
EDITORIALE
Apis

IL REGNO DELLA QUANTITÁ


(E IL SEGNO DEI TEMPI)

Non a caso, per i motivi che vedremo, abbiamo ritenuto di dare a questo editoriale lo
stesso titolo di una celebre opera di Renè Guènon.

Come abbiamo spesso detto (e come tutti possono facilmente constatare) il principale
male delle organizzazioni esoteriche, in primis della Massoneria, risiede nel fatto che esse, in
virtù di logiche profane e di una evidente miopia dei loro vertici, consentono l’ingresso nel
loro seno a personaggi che non possiedono le necessarie qualità per accedere ad un percorso
autenticamente iniziatico. In nome del “numero”, della “quantità”, della “massa cri-
tica”, si dimentica la qualità, con i risultati che è facile immaginare. Perciò individui
palesemente squilibrati, privi delle necessarie basi culturali e intellettive, emar-
ginati che vivono di espedienti, casalinghe frustrate e poveracci vari vengono
creati “martinisti” o “massoni” (ovviamente il più delle volte in Strutture desti-
tuite da ogni reale significato iniziatico) sentendosi in diritto non solo di parlare
di “martinismo” o di “massoneria” (spesso anche in un improbabile italiano) ma
anche, comicamente, sentendosi in diritto di voler impartire lezioni a chi REAL-
MENTE segue un Cammino di Conoscenza da svariati decenni! La totale inconsistenza
di costoro è agevolmente rilevabile sia dalle sciocchezze che affermano sia dalle notizie che
facilmente possono essere raccolte sul loro conto; rimane però il fatto, gravissimo, che qualcuno
ha ritenuto individui del genere idonei a ricevere un’iniziazione e ciò rappresenta
un evidente sintomo dell’enorme degrado del c.d.“mondo esoterico” attuale! Ai
nostri affezionati lettori offriamo, come prezioso spunto di riflessione su tale ar-
gomento, le parole di due grandi Maestri Passati. Ripetiamo inoltre un concetto
già più volte espresso: SE SI VUOLE ESSERE CREDIBILI NELLA VITA INIZIA-
TICA BISOGNA ESSERLO PRIMA NELLA VITA PROFANA!

“Quanto al fatto che queste organizzazioni sono “chiuse”, vale a dire, non ammet-
tono indistintamente tutti, esso si spiega semplicemente con la prima delle condizioni dell’ini-
ziazione che abbiamo esposto in precedenza, cioè in ragione della necessità che si possiedano certe
“qualificazioni” particolari, in assenza delle quali non si potrebbe trarre nessun beneficio reale dal ri-
collegamento a un’organizzazione del genere. Per di più, quando una simile organizzazione di-
viene troppo “aperta” e insufficientemente rigorosa sotto questo riguardo, essa corre il
rischio di degenerare a causa dell’incomprensione di coloro che ammette in tal modo
sconsideratamente, i quali non mancheranno di introdurre ogni sorta di vedute profane
e di far deviare la sua attività verso scopi che non hanno niente in comune con la
sfera iniziatica, come si vede anche troppo bene in ciò che ai nostri giorni ancora per-
mane in quanto a organizzazioni del genere nel mondo occidentale” (Rene’ Guenon:
Considerazioni sull’Iniziazione).

“Appare piuttosto evidente, a chi sia appena dotato di ragione, che un Ordine Iniziatico, per
essere realmente considerato tale, non può certamente superare poche dozzine di affiliati; pur, oggi,

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considerando l’aumento della sopravvivenza media e la diminuzione della mortalità infantile, onde si
tende ad invecchiare più facilmente di quanto avveniva ai tempi dei Padri Nostri, possiamo ammettere
che detto Ordine possa arrivare a contare fino ad un centinaio di membri e, mi si creda, si tratta dav-
vero già di una bella cifra! Oltre tal numero si cessa di chiamarsi “Ordine”, dovendo, più convenien-
temente definirsi quale “Associazione” o, perchè no, ci si potrebbe finanche definirsi quale “Club”! Forse
il nostro buon amico Dottor K. ambisce a far parte di un Club, ma poniamo anche di chiamarlo “Ac-
cademia”, suona meglio, non vi pare? Tanto il concetto è medesimo. Forse anche i Nostri Fratelli del
Grande Oriente d’Italia amano più le Associazioni, o i Club, rispetto agli Ordini,
ma noi, che volete, siamo all’antica, dunque continuiamo a voler godere del
privilegio di definirci “ORDINE” e non Club!” Leone Caetani di Ser-
moneta (N.R. Ottaviano-Ekatlos), Circolare interna A.O.E. 23
marzo 1913.

Dunque possiamo concludere che una delle maggiori


criticità delle attuali Obbedienze Massoniche e delle
Associazioni Esoteriche in generale risiede, senza
dubbio, nella “vexata quaestio” delle Tegolature, ovvero di quel
preventivo esame del candidato che dovrebbe poi condurre al-
l’ingresso di un nuovo Fratello, o di una nuova Sorella, all’interno
della Catena Iniziatica. La responsabilità dei Maestri incaricati di esa-
minare (ovvero di “tegolare”, come si dice in linguaggio libero murato-
rio) i profani è enorme, dato che essi si assumono la responsabilità di
immettere, all’interno della catena eggregorica di un Ordine Iniziatico, un nuovo anello, con
conseguenti gravi problematiche laddove tale nuovo Fratello o tale nuova Sorella si dimostrasse
inadeguato rispetto ai compiti che lo attendono. In virtù del principio secondo cui “l’Eggregoro
provvede ad allontanare coloro che non sono degni”, si finisce per sottovalutare tali responsabilità,
anche spesso in nome di una sorta di buonismo di matrice cattolicheggiante, in base al quale
si ritiene che a chiunque debba essere offerta una possibilità. É bene ricordare che un Ordine
Iniziatico Tradizionale possiede delle regole precise e che solo pochissimi e qualificati individui
(in merito a cosa si intenda per “qualificazioni” rimando al capitolo XIV del testo di Guènon

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“Considerazioni sull’Iniziazione”, testo che un buon Maestro Tegolatore dovrebbe conoscere a
memoria) sono adatti a farne parte. Durante la mia lunga vita massonica ho spesso incontrato
individui che, ad un più attento esame preventivo, non avrebbero dovuto
essere ammessi nel seno di un’Obbedienza Massonica ma che succes-
sivamente, anche in virtù della pochezza di tali Obbedienze, hanno ad-
dirittura finito con lo scalarne i vertici, con le tragiche conseguenze che
possiamo immaginare. Un esempio vale per tutti: il passato Gran Mae-
stro di una determinata Obbedienza italiana non faceva mistero di es-
sere ateo, eppure noi sappiamo bene che la credenza in un Essere
Supremo rappresenta la conditio sine qua non per l’essere ammessi nel
seno della Massoneria! Il caso è chiaro: trattandosi di personaggio in
vista dal punto di vista PROFANO i Tegolatori avevano ritenuto di dover
sorvolare su tale “particolare” (il suo ateismo) pur di inserire all’interno
di quella Obbedienza un personaggio che “poteva risultare utile”!

Le abituali indicazioni fornite ai Tegolatori da quelle che io definisco,


a ragione,“Massonerie profane”, sono in sostanza due:
1)- appurare se il bussante è uomo libero e di buoni costumi (alias
se il certificato del casellario giudiziale è immacolato o meno)
2)- appurare se egli è in grado di assolvere agli obblighi dello sta-
tus di Libero Muratore (formula ipocrita per stabilire se costui ha i sufficienti mezzi per pagare
le spesso esose “capitazioni” che tali Obbedienze richiedono).

Appare evidente ad ogni persona di buon senso che se tali sono i criteri di ammissione
nella Massoneria essa non può che trasformarsi in una autentica burletta non troppo distante
dai club service tipo Rotary o Lions, certo popolati da bra-
vissime persone (almeno presumo dato che non ne ho mai
fatto parte) ma che di iniziatico non hanno nulla!
Poichè il Nostro Ordine Iniziatico è l’espressione di
quella che il Rituale del 1° grado del Mizraim di Venezia (da
noi adottato nelle Logge Azzurre) definisce“Massoneria oc-
culta e sacerdotale” è giocoforza che nel nostro ambito va-
dano adottati dei rigidi ed accurati criteri di selezione dei
bussanti, criteri che, a scanso di ogni equivoco, andrò a spe-
cificare di seguito:

A) Il Rituale di 2° grado del Mizraim di Venezia am-


monisce sul fatto che il Massone deve essere “uomo suffi-
cientemente colto ed istruito” e ciò, a parer mio, è la prima
cosa da appurare. Infatti se mancano le basi culturali, filo-
sofiche, intellettive, come si potrà pretendere che il postu-
lante possa successivamente al suo ingresso tra noi
comprendere gli elementi essenziali della Teurgia e gli
aspetti operativi a cui il Nostro Ordine tiene così tanto?
Come potremo pretendere che egli possa studiare con pro-
fitto i testi esoterici che andremo a proporgli? Risulta perciò
evidente che il “tegolato” debba possedere un discreto li-
vello di istruzione e conoscere perlomeno i primi rudimenti
del sapere esoterico.

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B) Un altro punto essenziale riguarda l’indagine sulle REALI motivazioni del postu-
lante: quali sono i motivi per i quali egli chiede di essere ammesso tra noi? Cosa sta REAL-
MENTE cercando? É pleonastico affermare che la semplice curiosità o il c.d. “effetto
trascinamento”(tipo,“siccome il tal Fratello fa parte della tale Obbedienza mi fa-
rebbe piacere entrarne a far parte”) rappresentino motivazioni che debbono in-
durre i Maestri Tegolatori a ritenere quel candidato non idoneo. Bisogna essere
perciò certi che il bussante possieda una autentica motivazione interiore, cioè
che sia animato da un sincero desiderio di perfezionamento spirituale e di
evoluzione interiore.

C) Le caratteristiche psicologiche, temperamentali, interiori della persona debbono es-


sere ATTENTAMENTE vagliate: non abbiamo bisogno dei pavidi, degli incerti, degli indecisi,
né tanto meno di coloro che sono alla perenne ricerca di una “stampella” o peggio del “guru”
di turno. Se il bussante ha avuto molteplici esperienze“esoteriche”nei contesti più disparati (e

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lontani anni luce dagli autentici contesti iniziatici) è assai probabile che non sia adatto ai nostri
perimetri. Se sta cercando “effetti speciali” non è adatto a Noi!

D) É indispensabile valutare l’attitudine del postulante ad essere in grado di rispettare


l’ordinamento piramidale e gerarchico del Nostro Ordine. Persone che ritengono di poter ve-
nire tra noi privi del necessario atteggiamento di umiltà e di rispetto della Scala Iniziatica, o
peggio persone che ritengono di aver già compreso tutto (e magari di dover essere loro ad in-
segnare ad altri) vanno categoricamente escluse.

Se TUTTI (e dico TUTTI) si attenessero a


queste semplicissime regole (peraltro dettate da
un comune buon senso) si potrebbe in qualche
modo arginare la decadenza dei c.d. Ordini Eso-
terici, ma a quanto pare il senso delle considera-
zioni fatte da Guènon nel suo libro, il cui titolo
abbiamo scelto per questo editoriale, non sono
mai pervenute alla maggior parte dei molti,
troppi “gran-qualcosa” che affollano il variegato
panorama del c.d.“mondo esoterico italico”!

Nessuno dunque si meravigli se, tra pochi


decenni, i c.d.“Ordini Iniziatici Tradizionali”rap-
presenteranno solo un ricordo archeologico del

il cui volere deve sempre essere comunque accettato. n


passato. Ma se le cose devono finire così, è per determinazione di quelle Intelligenze Superiori,

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PRESENTAZIONE DEL LIBRO
«I FIGLI DELLA CONOSCENZA»
Mizr

Chi segue la nostra rivista sa che il nostro sforzo è teso sopratutto alla rettificazione di
quei Depositi Iniziatici,propri della Tradizione Occidentale, sulla cui mercifi-
cazione e sul cui gravissimo decadimento spesso ci siamo soffermati.
Dopo i suoi due libri sulla Massoneria Egizia (scritti a quattro
mani con il confratello Eleazar), pubblicati dalla prestigiosa casa edi-
trice Mimesis, ed il suo testo sulla storia del Martinismo (saggio in-
troduttivo a “Gli Illuminati nella Società
Umana”) pubblicato dalla casa editrice
Jouvence, che fanno chiarezza nei lettori
attraverso una rivisitazione storica coe-
rente e documentata di quei due importanti
Depositi Iniziatici della Tradizione Occidentale,
il fondatore di questa rivista, Apis, ha terminato una nuova fatica,
dedicata, questa volta, al complesso e variegato mondo dello
Gnosticismo e del Neo-Gnosticismo. In quest’ultimo libro,
che la Mimesis pubblicherà a brevissimo, dall’emblematico titolo“I Figli della Co-
noscenza”, Apis analizza in modo capillare il complesso fenomeno dello Gno-
sticismo ed è diviso in due parti.

Nella prima parte si affronta il tema dello Gnosticismo storico, ovvero di


quell’articolato movimento, sorto nei primi secoli
dell’era cristiana e fortemente combattuto dalla
chiesa di Roma che ha avuto in Basilide e Valentino
i suoi massimi interpreti.
Vengono descritte le diverse dottrine delle
molteplici scuole gnostiche, le loro origini ed i loro
aspetti più segreti. Infine vengono lungamente
analizzati il Manicheismo ed il Catarismo, movi-
menti indubbiamente derivati, almeno in parte,
dallo Gnosticismo antico.

Nella seconda parte viene analizzato il de-


licato tema del Neo-Gnosticismo, ovvero di quel fenomeno, idealmente
collegato alle antiche dottrine gnostiche che, a partire dal XIX secolo ha
coinvolto, unitamente alla massoneria ed al martinismo, moltissimi Valentino
esoteristi occidentali dando luogo alla nascita di diverse chiese.

Il testo si chiude con un lungo capitolo dedicato al grande psichiatra sviz-


zero Carl Gustav Jung ed ai suoi notevoli interessi per lo Gnosticismo.
In appendice vengono inoltre pubblicati, per la prima volta, alcuni rituali utilizzati dalle
moderne chiese neo-gnostiche oltre che frammenti di antichi testi gnostici.

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Con il consenso dell’Autore pubblichiamo,in anteprima, l’Introduzione.

«Non è certamente facile oggi parlare di Gnosticismo, sia perchè, in linea di massima,
qualunque argomento che abbia a che fare con l’esoterismo viene, in questi tempi caotici,
fatalmente annacquato da “divulgatori” improvvisati se non da veri e propri sè-dicenti “mae-
stri” che di “esoterico”, nell’autentico significato che dovrebbe essere dato a tale termine,
hanno poco o nulla, sia perchè ben poche dottrine hanno dovuto subire tante interpretazioni
distorte e tante calunnie quanto quelle gnostiche. Ciò è avvenuto in massima parte anche a
causa del fatto che fino al dicembre del 1945 (data nella quale fu ritrovata nella località egi-
ziana di Nag Hammadi una notevole quantità di testi gnostici) non esistevano, in pratica,do-
cumenti ufficiali che potessero
consentire agli studiosi di ef-
fettuare una ricostruzione
coerente del movimento
gnostico e le uniche fonti
a disposizione erano dei
frammenti estremamente
brevi e lacunosi prove-
nienti da opere dei dottori
gnostici, opere delle quali
la Chiesa di Roma aveva
ordinato la distruzione, op-
pure le affermazioni dei c.d.
Clemente Alessandrino Ireneo da Lione “confutatori dello Gnostici- Origene
smo”come i vescovi cristiani Clemente, Ireneo, Origene o il pagano Plotino. Sebbene in alcuni
casi vada riconosciuta a tali confutatori una certa dose di onestà intellettuale, tutti sappiamo
che una storia dei vinti scritta dai vincitori inevitabilmente presenterà imprecisioni e parzia-
lità, se non vere e proprie menzogne e mancherà, in genere, di obbiettività; per tali motivi la
scoperta di Nag Hammadi ha determinato una notevole modificazione ed un enorme arric-
chimento degli studi sulla Gnosi e sullo Gnosticismo.

I termini “Gnosticismo” e “Gnosi”, tuttavia, evocano ancora profondi timori e vivaci


reazioni da parte di quella che Arturo Reghini definiva “quell’oscura potenza
straniera che siede sull’altra sponda del Tevere”, potenza che nel corso
dei secoli ha cercato, per più che evidenti motivazioni di tipo so-
prattutto politico, di soffocare, perseguitare, distruggere, ban-
dire, tutto ciò che con lo Gnosticismo e con la Gnosi potesse
avere una sia pur vaga relazione; abbiamo conferma di ciò
leggendo quanto alcuni scrittori di chiaro orientamento cat-
tolico hanno avuto modo di affermare, anche in tempi re-
centi, a proposito dello Gnosticismo. Va anche precisato che
in soccorso dei fedeli sudditi di Santa Romana Chiesa hanno
spesso agito, loro malgrado, anche molti esponenti del c.d.
“Neo-Gnosticismo”i quali, da Doinèl in poi, ben poco vantaggio
hanno arrecato alla causa dello Gnosticismo medesimo eviden-
ziando spesso comportamenti incongrui, se non al limite del patolo-
gico ed in alcuni casi trasformando la nobile dottrina gnostica in Jules-Benoît Doinel
una sorta di burletta catto-spiritistica condita da “balletti rosa” o da “balletti verdi”, tirando in
tale modo acqua al mulino dei nemici dello Gnosticismo, Chiesa Cattolica Apostolica Romana

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in primis. Sui motivi dell’idiosincrasia di “Santa Romana Chiesa”nei confronti
dello Gnosticismo risulta certamente illuminante il seguente brano di Vin-
cenzo Soro:

“Lo Gnosticismo era un’idea: era, per sovrappiù, l’essenza interiore del Cristiane-
simo. Non poteva dunque morire. E non morì: si nascose. Quando Roma credeva di averne
cancellato anche le tracce, esso era più vivo che mai. Lo Gnosticismo divenne così un
Ordine segreto: e fu il germe e lo spirito di tutte le scuole occulte e di tutti i collegi
iniziatici che dovevano poi via via sorgere in Occidente per custodire, preservare e
trasmettere la Tradizione Sacra; come fu il germe e lo spirito di tutte le ribellioni
del Pensiero e della Ragione contro la Chiesa Romana, anche se per la maggior parte
quelle ribellioni degenerarono in errori non meno gravi ed antignostici di quello che
avevano respinto ed in intolleranze non meno deplorevoli e crude di quella contro la quale erano
sorte. Sbanditi dal profanato santuario che i Padri loro avevano costruito perchè fosse di tutte le
Chiese e non di una Chiesa particolare, la quale era pur la più incolta e la più lontana dalle fonti
della dottrina, cacciati a ferro e a fuoco a somiglianza di bestie pericolose,
gli Gnostici costituirono nel segreto la loro Chiesa, assegnandole la grande
missione di vegliare sui destini dell’umanità rifatta schiava e di preparare
l’avvento del Paracleto. E questa Chiesa Interiore, questa Chiesa Mistica
e Occulta, che continuava la pura tradizione joannita ricongiungendo
la Fede con la Ragione, la Religione con la Scienza, la Croce con la Rosa,
ebbe il merito grande di conservare accesa durante la lunga notte del-
l’Alto Medioevo la Sacra Lampada dalla duplice fiamma, portandola
intatta fino a noi malgrado le più spaventose persecuzioni.” (Vincenzo
Soro: La Chiesa del Paracleto).

Venendo alla presente opera ed alla sua strutturazione


noi siamo convinti con Antoine Favre che ogni studio esoterico
debba essere condotto con un rigoroso atteggiamento scien-
tifico, ovvero con obiettività e lucidità storica, analizzando i
fatti in modo asettico, senza indulgere in alcuna parzialità e
basandosi essenzialmente su documenti la cui veridicità sia
inoppugnabile e dimostrabile. Ogni misticismo, ogni senti-
mentalismo, ogni cedimento al proprio personale modo di
sentire è inammissibile per uno storico serio dell’esoterismo poiché lo
storico si basa su FATTI non su teoremi, ipotesi ed astrazioni. Su queste nostre
convinzioni ci siamo basati nelle nostre precedenti opere pubblicate dalla casa
editrice Mimesis e dalla collegata casa editrice Jouvence e che avevano come
argomento la Massoneria Egizia ed il Martinismo; inevitabilmente ci atter-
remo agli stessi principi anche in quest’opera sullo Gnosticismo e anzi, per i
motivi che analizzeremo, avremo cura di adoperare una ancor maggiore ri-
gorosità ed un ancor maggiore senso critico poiché la parola Gnosticismo (e la
parola Gnosi) evocano oggi, nell’immaginario collettivo, dottrine,personaggi e
scuole che con lo Gnosticismo correttamente inteso non hanno veramente
nulla a che vedere. Spacciare,ad esempio, per “Gnosi” o per “Scuole Gnostiche” le
sincretistiche e pasticciate teorie di Samael Aun Weor (il fondatore della c.d. “Gnosi
Samaeliana”) o i deliri a sfondo sessuale di Krumm- Heller, o ,peggio ancora ,le farneticazioni
dei moderni nipotini di Crowley (la famigerata “Grande Bestia 666” , individuo non privo di
una certa dose di genialità ma spesso portato ad elaborare dottrine confuse e stravaganti e

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morto in gravi condizioni di alienazione ed in stato di dipendenza da morfina ed alcool) non
è che uno dei molteplici aspetti del kali-yuga epoca nella quale, storicamente, è assai arduo
dividere la pula dal grano. Purtroppo il delirio mediatico di quest’epoca degenerata, nella
quale internet si è sostituito alle biblioteche e nessuno legge più niente ma al contrario tutti
pubblicano tutto (spesso ricorrendo alle c.d. auto-pubblicazioni che tanto vanno di moda
oggi) fa sì che oggi vengano spacciati per “studiosi di Gnosticismo” alcuni imbonitori diso-
nesti, autentici fantasisti dell’esoterismo, ignoranti come capre e che spacciano per “onesta
divulgazione” una indigesta brodaglia nella quale Basilide ed il Vangelo di Giuda vengono

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disinvoltamente mescolati con la
Chiesa del Thelema e con altre stra-
vaganti farneticazioni a sfondo ero-
tico-sessuale. Non finiremo mai di
deprecare i danni prodotti da per-
sonaggi simili (molti dei quali però
risultano propriamente al soldo del
c.d.“Dominium Petri”) né di denun-
ciarne imbrogli e ciurmerie, ma se i
“naviganti della rete”non iniziano a
svegliarsi un po’ ed a imparare che non è nei social network che ci si può formare una buona
cultura esoterica, riteniamo che tra non molti anni di autentico esoterismo in circolazione ne
rimarrà veramente poco.

Quanto alle molteplici “Chiese Gnostiche presenti nel mondo (e naturalmente in Ita-
lia) o a Movimenti che si auto-attribuiscono la qualifica di “Gnostico” (magari abbinando tale
qualifica ad altre, tanto per aumentare l’appetibilità del prodotto) vedremo come, nella mag-
gior parte dei casi, esse sono prive non solo di alcuna connessione con lo Gnosticismo storico,
ma neppure possiedono una Filiazione legittima ed una discendenza regolare rispetto alla
primitiva Struttura, inizialmente fondata da Doinèl e poi totalmente riformata da Papus, che
può essere definita, come avremo modo di vedere, il primo atto di nascita del c.d.“Neo-Gno-
sticismo” anche se, come vedremo nella parte specificatamente dedicata a tale argomento, il
tema “filiazioni” e “discendenze”, già delicato in ambito massonico, in ambito neo-gnostico di-
viene, a dir poco, problematico.

Allo scopo di poter offrire ai nostri lettori un opera organica, completa ma di facile
lettura, divideremo dunque questo testo in due parti: nella prima esamineremo i caratteri
fondamentali dello Gnosticismo storico e dei suoi epigoni con particolare riferimento alle
dottrine dei suoi maggiori esponenti, mentre nella seconda analizzeremo il sorgere, lo svi-
lupparsi (e purtroppo, in molti casi, il deviarsi) del c.d. Neo-Gnosticismo con particolare ri-
ferimento alle principali Chiese Gnostiche ed alle loro dottrine. Non
intendiamo fungere da“traduttori dei traduttor d’Omero”(rischiando
perciò di subire le stesse critiche che Foscolo muoveva al Monti) per
cui eviteremo inutili ripetizioni rimandando, nel caso, alle opere dei
massimi studiosi contemporanei dello Gnosticismo come Jonas ma,
soprattutto, a nostro avviso, come Rochè, Hutin e Soro che a dif-
ferenza del primo erano non solo degli studiosi e degli storici eru-
diti ma anche dei grandi Iniziati; perciò ci limiteremo ad una
analisi sintetica e tuttavia esaustiva dei più importanti Sistemi
Gnostici dell’antichità e dei movimenti Neo-Gnostici moderni.
Dedicheremo anche un apposito capitolo al rapporto tra

stico antico.» n
il grande psichiatra svizzero Carl Gustav Jung ed il pensiero gno-

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IL NUMERO, ALFABETO DI DIO
(PARTE PRIMA)
Maathor
In questo numero della rivista MIZR inizia una serie di studi dedicati alla Geometria Sacra, cioè a quel-
l’insieme di rapporti e formule che permettono all’uomo di rimanere in contatto con tutte le emanazioni energetiche
che giungono costantemente dal kosmos. Essa studia l’Ordine e le Leggi dell’Universo attraverso la Scienza delle
Forme e delle Proporzioni, al fine di identificarne i principi fondamentali ed i rapporti che governano ed intercon-
nettono Macrocosmo e Microcosmo. Lo scopo è dunque comprendere l’Unità che permea tutta la Vita.
Conosciuta già nei tempi più antichi, questa Scienza Occulta la si ritrova nei santuari dedicati a Iside come
nelle piramidi (nella Grande Piramide tutte le misure sono rapportate al cubito sacro, che è pari a 0,63566... esat-
tamente la milionesima parte del raggio polare
terrestre, che fu misurato scientificamente sol-
tanto nel secolo scorso: gli antichi Egizi avevano
sviluppato una straordinaria conoscenza sul po-
tere evocatore dei simboli geometrici i cui codici
erano tenuti rigorosamente segreti.
Tale conoscenza è stata poi tramandata
nei tempi attraverso le società segrete di carattere
spirituale, o misteriosofiche, giungendo fino ai
nostri giorni nei quali i ricercatori dello Spirito
continuano ad indagare, con metodi e strumenti
scientifici contemporanei, la Vita e la sua Strut-
tura Germinativa.
É importante utilizzare la Geometria
Sacra come lettura simbolica rappresentativa del-
l’Universo. É presente in ogni cosa e nell’armonia
geometrica di ogni struttura si ritrova la propor-
zione evolutiva di ogni elemento dell’universo, di
cui rappresenta la verità trascendentale. Con la geometria l’iniziato li può percepire, leggere ed utilizzare per la
comprensione della Causa Prima, poichè inserisce l’uomo in un sistema di ritmi e armonie affini a ritmi e armonie
naturali. Se l’uomo vive e sperimenta correttamente gli stimoli prodotti dall’osservazione dei Simboli Geometrici
Sacri egli potrà favorire e alimentare e sostenere l’armonia con se stesso accordandola con l’armonia della creazione.
La Geometria Sacra è dunque, in estrema sintesi, la struttura morfogenetica che sta dietro alla realtà
stessa, ed è alla base delle stesse leggi matematiche. I numeri costituiscono il linguaggio primario della realtà; perciò
la legge universale della forma genera tutte le leggi fisiche. A volte la Geometria Sacra viene chiamata “linguaggio
della luce” e a volte “linguaggio del silenzio” perchè essa è, assolutamente, uno dei Linguaggi Divini attraverso il
quale Egli genera ogni cosa; un Idioma che, per sua natura, ha una perfetta e costante ed assoluta fluidità senza in-
terruzioni, continuando a dispiegarsi sino alla creazione di tutto l’Universo (uni-versum).
Con la Geometria Sacra si percepisce chiaramente come ogni singola parte
abbia legami con il tutto.

Possiamo cominciare da qualsiasi punto e rintracciare l’intero linguaggio


della creazione attraverso una proporzione sacra fondamentale, che viene definita
Proporzione Aurea. Tale rapporto è stato considerato, sin dalla sua scoperta, come
rappresentazione della legge universale dell’armonia.
Ecco il tema di questo primo lavoro.

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PREMESSA

“L’evoluzione è la legge della vita.


Il numero è la legge dell’universo.
L’unità è la legge di Dio”.
(Pitagora)

Tutto è connesso.
“Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso”
rischia però di essere un modo di dire, una frase fatta priva di significati reali ed operativi.
Se “è vero”, ed “è vero senza errore, è certo e verissimo (...) per fare il miracolo di una cosa
sola...”, allora esistono Leggi che legano l’alto con il basso. Occorre capire cosa significa,
quale funzioni generali, macrocosmiche e microscopiche, rendono comuni - o almeno ana-
logiche - queste due dimensioni (o modalità): l’alto ed il basso.
Una delle vie privilegiate per dimostrare questa tesi è quella della Geometria Sacra
(sacra perchè la geometria è lo strumento utilizzato da Dio per creare l’Universo).
Diceva Pitagora che “L’universo è costruito secondo
armonia”, perchè “Tutto è numero”; ed anche che ogni
cosa si adatta al numero, ed è lì che occorre indagare. Per
questo fa scrivere sulla porta della sua Accademia: “Qui
non si entra se non si è geometri”, dove la parola geometra
deve essere evidentemente accostata a ciò che ci viene
suggerito dalla parola “iniziazione”.
Galileo Galilei sosteneva che “la filosofia è scritta in
questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi
a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima
non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri ne’ quali
è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son
triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi
è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è
un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”.
Nella Bibbia, nel libro della Genesi, Dio si dichiara:
“Io ho fatto il mondo con misura, numero e peso”, e qui si
intuisce perchè gli iniziati che hanno redatto i testi sacri
indicassero il Creatore come Grande Architetto. Non a caso la Libera Muratoria indica, da
sempre, Dio con l’acronimo G.A.D.U., cioè “Grande Architetto Dell’Universo”.
Tutto ciò esalta ulteriormente l’aspetto geometrico e matematico dell’es-
senza stessa dell’intera Creazione di cui Pitagora (che s’incardina proprio sulla
comprensione del mistero della scienza dei numeri, di cui la Creazione ne sarebbe
il frutto stesso), e ancor prima di lui gli antichi Egizi, avevano ben intuito e asso-
lutamente compreso.
La Tavola Smeraldina proclama, preliminarmente, che tutto è regolato dalle
stesse leggi generali, dal minuscolo DNA all’espansione degli ammassi galattici.
La geometria sacra, indagando sui rapporti numerici e geometrici che esistono
nell’Universo dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, esprime l’Ordine
(Kosmos) con il quale tutto fu generato.
Se, nell’Egitto antico, i Neteru sono le Leggi che formano e mantengono la
Vita, il nome dell’antico Neter di Memphis, Ptah, ben definisce la sua funzione: è
“colui che plasma, che dà forma” (il suo nome deriva dal verbo pth = modellare). Egli

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“creò l’universo con il suo cuore e con la sua lingua, modellando il mondo con il potere della parola”.
Ptah, lo scultore della terra, creava forme usando una ruota da vasaio: egli era l’ARTE. Creare si-
gnifica fissare un punto iniziale e stabilire una scala di emanazione.
Perciò, nel mondo umano della terra di Memphis, l’arte era disciplina sacra, regolata da
ferree leggi matematiche e geometriche. Abbiamo dei Neteru che sono preposti ad essa: Ptah,
Seshat, Khnemu, Hathor, Maat e Tehuthi. Con Ptah, è necessario conoscere l’astrologia, l’al-
chimia, i cieli e la terra. Con Seshat, dea dell’architettura, i ritmi settenari, le manifestazioni
simultanee, la scrittura e i segni cosmici, i tempi e modi di costruzione, e una volta
ancora i cieli e la terra nei loro rapporti dinamici. Con Theuthi il suono delle lettere,
le scienze mediche e magiche. Con Hathor la musica ed il suo potere chiamato“tri-
plice bellezza”, nonchè la danza e l’afflato universale, cosmico. Con Khnemu biso-
gna conoscere i sacri impasti, i materiali e, ancora una volta, le rotte celesti lungo le
quali far navigare le Barche del Cielo. Con Maat ecco le leggi matematiche, quelle
geometriche, la Verità e la Giustizia: per questo mi piace pensare che la parola ma-
tematica (prima ancora che dal greco Mathèmatikè, ‘il sapere della scienza’, affine a

Mathèo,‘investigo’ e a Mathetès,‘discepolo’) derivi essenzialmente dal Neter MAAT


(grecizzato in MAT), dea dell’Ordine e del Giusto in sè (MAThèMATikè include, cu-
riosamente, due volte MAT: il che accomuna l’Ordine in Alto e quello in Basso).

Tutta la vita proviene da una Forza Genitrice così ricca di motivazione da contenere la
«inevitabilità», così densa di Funzioni da contenere in sé tutte le forme, così generativa che ogni
atto ed aspetto della creazione vengono provocati dalla sua esistenza. Tale Forza - che per Dante
era“l’Amore che fa muovere le stelle”- é ciò che definisce e crea in senso fisico la Vita. É attraverso
questo Motore Universale che ogni esistenza acquisisce la sua «Forma»; e ciò vale comunque
e dovunque nell’universo (che é uni-versum perchè ogni esperienza si sottomette alla stessa
Legge), sia per le stelle che per le cellule, per l’uomo come per una rosa o un diamante: tutto
nasce e vive perché“Amore”lo provoca e dunque ciò che vediamo é il riflesso sensibile dell’Idea,
un effetto che risulta visibile tanto nel macro-cosmo che nel micro-cosmo.
«Ciò che sta in alto é come ciò che sta in basso, e ciò che sta in basso é come ciò che sta in
alto...» é dunque un indizio di quella Legge Universale che oggi gli scienziati stanno ri-trovando
poco a poco, ma che già Ermete Trismegisto, nell’Alessandria egizia del IV secolo A.C., aveva
scolpito nella sua “Tavola di Smeraldo”: in essa si riconosce che - poichè la Vita é una - anche la
Forza Generatrice é una.
Globalità dei meccanismi della creazione, glo-
balità della Vita, globalità delle Necessità, globalità del-
l’essere uomo. Dunque, coincidenza tra “uomo” ed
“universo”: la meravigliosa avventura della conoscenza,
allora, non é altro che la via delle successive approssi-
mazioni per avvicinarsi a questa Legge.

La matematica sembra essere dotata di una di-


mensione estetica che comunica direttamente all’animo
umano tramite la semplice contemplazione delle forme
che cesella. Pitagora, Archimede, Giamblico, Diogene
Laerzio, Platone, Porfirio; e, in tempi più moderni Leo-
nardo, fra’ Luca Pacioli, Pico della Mirandola, e poi
Newton, Keplero, Agrippa, Goethe, Gurdjeff, Reghini,
fino Jung e a Le Corbusier... centinaia di autori, nell’arco
di duemilacinquecento anni di storia, hanno tentato di

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indagare il mondo delle proporzioni e delle analogie fra i ritmi del “Creatore” e quelli
del “Creato”, nello sforzo di risalire dai secondi ai primi. Impossibile non ricordare,
tra gli altri, Giordano Bruno (1548-1600). Questi, uomo di libero pensiero, in alcune
sue opere analizza il concetto di Unità e di Creato: tra le quali cito per brevità“De
la Causa, Principio et Uno” e “De Infinito, Universo e Mondi” (entrambe scritte a
Londra nel 1584). In questi scritti Bruno afferma che il rapporto tra il Principio
Universale (Mens), il Creatore (Intellectus) e la Natura (Materia) è sempre molto
stretto. La Materia, per assumere le diverse forme, non può fare a meno dell’In-
tellectus, quindi quest’ultimo“empie il tutto, illumina l’universo e indirizza la natura
a produrre le sue specie” (da De la Causa, Principio et Uno).
Filosofi, matematici, musicisti e tradizionalisti hanno costruito così un
Corpus (talvolta chiamato “Via Pitagorica”) nel quale matematica, musica e fi-
losofia perdono il loro aspetto diventato specialistico e frammentario per ac-
quisire una naturale, originale unitarietà sapienziale, un significato unificato -
o, meglio,“unicato” - dall’amore per la conoscenza.
In questo il Numero Aureo rappresenta un eccezionale esempio di ana-
logia tra le bellezze, una proporzione armoniosa tra le dimensioni, il colore, il suono e il tempo,
un rapporto che incontriamo ovunque, nella natura e nell’arte, e che contribuisce alla bellezza
di quanto ci circonda: per questo é detto “d’Oro” (Sectio divina presso i naturalisti del XVI se-
colo). Tutta la creazione divina sottostà alla legge di questo numero aureo e delle sue divine
proporzioni. È secondo la medesima legge che si forma, oltre al tempio fisico, il tempio interiore:
la Merkaba metafisica (la parola Mer-Ka-Ba è composta da tre sillabe corrispondenti alle im-
portanti tre parole egizie Mer, Ka, Ba; altri, invece, la fanno derivare dall’ebraico merkaba/mer-
kava, cioè il “carro”, che nella visione di Ezechiele era il trono di Dio).

Tale rapporto particolarissimo stabilisce che «il pic-


colo sta al medio come il medio sta al grande» e ricorre
con sorprendente frequenza in ogni scala di grandezza: la
sua conoscenza induce a riformulare una visione di tutto
l’universo e a darci la consapevolezza che noi siamo parti
organiche di questa realtà totale, di cui riflettiamo e con-
temporaneamente siamo in grado di scoprirne le leggi:
come già Pitagora che nel VI sec. a.C. aveva definito l’uomo
simile ad un microcosmo sistematico e regolare, in ogni sua
parte egli è espressione delle leggi cosmiche universali.

Nel IX e X secolo la cultura araba, che si era diffusa sulla costa settentrionale dell’Africa
e della Sicilia, é ben superiore a quella dell’Europa, indebolita da diverse guerre e sottoposta al
controllo della Chiesa. Quando la quasi totalità della popolazione europea é analfabeta e la
scienza rimane gelosamente rinchiusa tra le mura dei conventi, nelle grandi città a cultura araba
funzionano a pieno ritmo sale di lettura pubbliche ed operano numerose scuole superiori arabe,
ebree e cristiane che collaborano pacificamente tra loro. Nel 1200 gli alchimisti italiani riescono
a distillare alcool a 96° (aqua vitae), un po’ il simbolo di una antica volontà di ricerca che si fa
sempre più pressante. Anche l’industria é vivace: quella dell’acciaio pregiato passa da Damasco
a Toledo, le raffinate lavorazioni dei tessuti iniziano ad essere conosciute (come il “damasco”,
da Damasco o la“mussola”, dalla città di Mossul); zucchero, riso, albicocche, datteri, fichi, arance
e cotone sono altrettanti doni che gli Arabi fanno all’Europa delle carestie e degli stenti.
Il monaco benedettino Gerberto introduce le cifre indo/arabe per le opere scientifiche
confinate nei conventi, cifre che si rivelano molto più pratiche di quelle romane, contribuendo

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allo sviluppo della matematica. Gerberto, nato verso il 945 in Francia
ad Aurillac nell’Aquitania, frequentò le scuole degli Arabi a Cordova
dove studiò matematica e filosofia. Con il nome di Silvestro II (tra il
999 ed il 1003) é il primo papa francese della storia. La sua vita é ca-
ratterizzata da una prodigiosa attività culturale e scientifica. Sul va-
lore della sua scienza geometrica ed astronomica si sono scritte cose
sbalorditive testimoniate da due suoi opuscoli. Costruì un globo ce-
leste per esporre i movimenti degli astri e dei pianeti in modo nuovo;
inventò un apparecchio che segnava l’ora durante la notte; sempli-
ficò l’arte del calcolo e su questo scrisse un poderoso trattato. Intro-
dusse le cifre indo/arabe ad uso interno dei monasteri, per le loro
opere scientifiche, portando dalla Spagna le cifre della scrittura araba
magrebina usata dai saggi virtuosi del «calcolo su sabbia».
Gli arabi hanno intensi scambi commerciali con Venezia, Genova e Pisa, città che si
erano ormai lanciate verso tutti i paesi del bacino mediterraneo. Intorno al 1200 i pisani hanno
empori lungo tutta la costa africana, con centro a Bugja (nell’attuale Marocco) a capo del quale
viene messo un commerciante noto con il nome di Bonaccio. Egli chiama a sé la famiglia, tra
cui il figlio Lorenzo, nato a Pisa nel 1175. Al seguito del padre, apprende i fondamenti della
geometria euclidea prima a Venezia, poi a Bugja approfondisce lo studio della matematica araba,
arricchendo infine le sue conoscenze in Egitto ed in Siria. Di Leonardo Pisano esiste una bio-
grafia di Bigollo Törpel che lo chiama anche Filius Bonaccii, da cui é derivato il nome di «Fibo-
nacci» con il quale é noto nella letteratura matematica. Nel 1202
appare un libro che ha enorme influenza per il risveglio scientifico
che poco a poco doveva operarsi in Occidente: il Liber Abaci, che
introduce nel mondo medioevale il sistema di numerazione posi-
zionale, portando in Europa la conoscenza dell’«algebra».
Nel 1228 Leonardo elabora una seconda edizione per lo
scozzese Michele Scoto, astrologo di corte di Federico II, in cui Leo-
nardo Pisano presenta la soluzione al problema della somma in una
serie di numeri, detta“successione del Fibonacci”, nella quale esiste
una relazione per cui «ogni termine successivo é uguale alla somma
dei due immediatamente precedenti»: questo rapporto vale 0,618
ed identifica la Sezione Aurea.
É il Numero d’Oro.

IN GEOMETRIA

Le forme sono il primo aspetto intuitivo della realtà che l’occhio umano percepisce. La
Proporzione Aurea, chiamata anche Proporzione Divina, Numero Aureo, costante di Fidia; sequenza
numerica di Fibonacci (da cui deriva la spirale di Fibonacci) sono
rapporti matematici e geometrie che gestiscono le forme fisiche.
É detta anche Canone di Maat...
La Sezione Aurea è il punto di divisione di un segmento
in modo che il suo rapporto con la parte maggiore sia lo stesso
di quello che questa ha con la minore: questo numero vale 0,618.
Gli antichi greci conoscevano bene la sezione aurea; non
vi è dubbio che essa fu usata consciamente da alcuni architetti e
scultori greci, particolarmente nella struttura del Partenone. Il ma-
tematico Mark Barr pensava a questo quando nel 1918 dette al rapporto

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il simbolo di f (è la prima lettera greca nel nome del grande Fidia, che ha usato con frequenza
il rapporto aureo nelle sue sculture).
Ma Aureo non è solo un numero o un angolo, bensì si riferisce anche ad alcune figure

aureo con il terzo lato, f : 1 (1,618 : 1) e angoli di 36°, 72° e 72°. Per il fatto di avere
geometriche. Il triangolo aureo è un triangolo isoscele avente i due lati uguali in rapporto

gli angoli alla base di ampiezza doppia (72°) rispetto l’angolo al vertice (36°), bi-
secando uno di questi, è possibile ricavare una successione infinita di trian-
goli aurei minori. Continuando infatti verso il micro come verso il macro,
si instaura una proporzione continua, che possiamo far proseguire al-
l’infinito, in cui compare costantemente tale rapporto.
Con 10 triangoli aurei costruiamo un decagono regolare; in esso,
il raggio del cerchio circoscritto, rispetto al lato, é la Sezione Aurea. Colle-
gando alternativamente i vertici del decagono regolare otteniamo un pen-
tagono regolare con angoli rispettivi di 72° e angoli sulle punte di 36°: la
generazione dal triangolo isoscele di partenza é evidente, e le diagonali del
pentagono si intersecano determinando Rapporti Aurei. Queste diagonali sono le generatrici
della Stella a Cinque Punte, che é il simbolo del rapporto armonioso che é consentito dalla Se-
zione Aurea. Questa stella, dentro di sè, può continuamente e perpetuamente risorgere.
Già nota nell’antica India, essa é il Pentaculum Salomonis, la Stella “Sigillo” di
Salomone; godeva della considerazione di Pitagora perchè tutti i segmenti che la co-
stituiscono stanno tra loro in Rapporto Aureo; si trova effigiata nelle decorazioni dei
Templari come Stella dalla cui Luce scaturisce la conoscenza trascen-
dentale; nel Medioevo tedesco, era chiamata la «Drudenfuss», piede di
strega, e le erano attribuiti poteri straordinari (Goethe la fa mettere dal
Dottor Faust sulla porta del suo studio: così che, quando questi invita Mefi-
stofele ad andarsene, questi deve rifiutare riconoscendo: “non posso uscire / me
lo impedisce un piccolo ostacolo / il piede di strega sulla soglia”).
Un tipo particolare di forma, legata alla sezione aurea, è stata studiata
da Koch. Chiameremo questo frattale“Merletto aureo”perchè abbiamo sosti-
tuito il segmento iniziale con quattro segmenti di uguale ampiezza in modo tale che il triangolo
isoscele che si forma sia aureo (cioè con gli angoli alla base pari a 72°). La particolarità del frat-
tale finale sta nel fatto che ogni triangolo isoscele che si viene a formare è sempre aureo (nel
Merletto di Koch classico (angoli alla base di 60°) tutti i triangoli che si venivano

di questo frattale è 1/f2. Si tratta di un valore superiore a quello del merletto di


a formare erano invece equilateri. Il fattore di omotetia k legato alla costruzione

Koch equilatero in quanto il merletto aureo riempie maggior-


mente il piano). Nel frattale costruito dentro il penta-
gono, cioè a base 5, la costruzione è
analoga a quella del Fiocco di neve di
Koch a base 6. Il pentagono frattale legato al
pentagono regolare ne eredita le proprietà geo-
metriche ed otteniamo ancora una forma a stella.
Caratteristica particolare di questo frattale è quella
di contenere infinite copie del pentagono aureo
tutte perfettamente incastrate fra di loro. Nella fi-
gura a fianco le copie del pentagono frattale sono
messe in evidenza con colori diversi: in questo modo è possibile os-
servare che sono presenti i vari passi della costruzione del pentagono frattale. Le parti in grigio
corrispondono al passo 0, quelle in rosa al passo 1, quelle in giallo al passo 2 e così di seguito:

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un vero e proprio riassunto infinito della costruzione del pentagono frattale.
La spirale costruita con elementi proporzionali al numero aureo ha permesso,
in meccanica, di risolvere moltissimi problemi fisici (dal sollevamento dell’acqua
dai pozzi al funzionamento degli orologi). Se estesa tridimensionalmente, indi-
vidua il codice genetico nei suoi elementi primigenii; individua il moto di
espansione delle galassie, l’uscita dall’orbita di un pianeta, la forma dei ca-
nali auditivi (organo di Corti), i rapporti armonici fra le note della scala pi-
tagorica, la forma delle conchiglie...

La “spirale di Fibonacci” è una spirale che approssima la spirale aurea


autentica, tracciando in contiguità una successione archi di 108° di ampiezza.
La spirale logaritmica cresce nel raggio per una unità angolare che é proporzionale al raggio
stesso: quando i tre raggi MA, MB ed MC formano degli angoli uguali fra loro, il raggio cen-
trale MB é medio proporzionale tra il più piccolo
MA ed il più grande MC. Lo sviluppo, l’evoluzione
di questo tipo di spirale é nuovamente una spirale lo-
garitmica. Il matematico svizzero Jacob Bernoulli
(1654-1705), che scoprì questa legge, la considerò
simbolo dell’evoluzione e dunque della resurrezione
e per questo la volle incisa sulla sua pietra tombale
con la scritta «Eadem mutata resurgo» (“restando la
stessa, risorgo mutata”, anche se lo scalpellino che pre-
parò la sua pietra tombale sbagliò clamorosamente il tipo di spirale, incidendo non
la spirale logaritmica, ma una comune spirale di Archimede).

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Nei poligoni regolari, il teologo e matematico to-
scano Luca Pacioli nel 1509 pubblicò a Venezia un trattato
in tre volumi sulle proprietà del Rapporto Aureo chiamato
Compendio de Divina Proportione ufficializzandone l’esi-
stenza anche al mondo dei non matematici. Keplero
(1571-1630) riscontrò i Rapporti di Sezione Aurea nei nu-
meri che avevano relazione con le orbite dei corpi celesti
(“La geometria è l’archetipo della bellezza del mondo”, diceva).

La Sezione Aurea, dunque, sembra essere una di-


mensione fondamentale, che gioca un ruolo in ogni strut-
tura regolare nella natura e nel cosmo, generalmente
comparendo in una proporzione continua, cosa che si può
simboleggiare in una serie di Stelle inscritte.

Bisogna anche, certo, riconoscere che non tutto,


nella natura, è misura ed armonia. L’ordine sembra convivere con il disordine, almeno appa-
rente. Ma occorre capire coloro che, dai tempi antichi sino ad oggi - in ambienti non solo cri-
stiani ma anche ebraici, musulmani, buddisti, non dimenticando la tradizione delle Logge -
dicono di scorgere nella «sezione aurea» le impronte digitali del Deus absconditus, del Dio che
si cela e al contempo si rivela, lasciando tracce, indizi, segnali nella Sua creazione.

NEL REGNO VEGETALE

La formula del Numero Aureo deriva dal rapporto tra la diagonale ed il lato
di un pentagono regolare. La lunghezza e l’altezza di una foglia di rosa, per esem-
pio, sono in rapporto 1 : 0,618.
Gli angoli che definiscono le po-
sizioni dei petali (in frazioni di

male di semplici multipli di f


angolo giro) sono la parte deci-

(phi). Il primo petalo è a un

x f) di giro dal petalo 0; il secondo


0,618esimo (la parte decimale di 1

2 x f) dal petalo 1 e così via.


è a un 0,236esimo (la parte decimale di

Poiché la crescita delle piante avviene mediante divisione delle cellule, le dimensioni
fondamentali delle piante di diversa età, negli stessi periodi dell’anno, si presentano come la
serie di Fobonacci, o come numeri dei Rapporti Aurei: se misuriamo lo stelo di una pianta da
un germoglio all’altro, troviamo il rapporto AB : BC : CD : DE ecc., ossia ritroviamo la Se-
zione Aurea. E questo vale non solo per la crescita di un germoglio della
pianta, ma anche per l’intera ramificazione. Per esempio, la foglia del
Cerfoglio (Anthriscus vulgaris), a sinistra, o del finocchio (Oenanthe
phellandrium), a destra. Il Piumino, nome comune di diverse piante,
ha le lunghezze degli assi laterali che sono fra loro in rapporto
come i numeri della Successione Aurea; e poichè questi assi laterali
sono sistemati ad elica attorno al fusto, la loro proiezione su di un
piano dà una spirale logaritmica.

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Il caso più documentato della successione di Fibonacci riguarda la fillotassi. Essa studia
il modo in cui le foglie e i rami si distribuiscono intorno al fusto: la successione delle foglie e
dei rami tende ad avere un andamento rotatorio con l’avanzare verso l’alto. Partendo da una
foglia qualunque, dopo uno, due, tre o cinque giri della spirale si trova sempre una foglia alli-
neata con la prima. La disposizione è tale da permettere che le foglie non si coprano fra
di loro, ma che ognuna riceva il massimo possibile di luce e di pioggia; e si scopre che
questi schemi sono esprimibili in termini matematici ed hanno un legame con la serie
Aurea. Infatti, il numero di giri compiuti per trovare la foglia allineata con la prima è
generalmente un numero di Fibonacci. La crescita delle foglie
segue infatti una «spirale vegetativa»: le linee rette che congiun-
gono il centro del fusto e l’abbozzo della foglia formano un «an-

è la differenza tra 360° e 360°/f, cioè: 360°/f = 222,5°; per cui


golo di divergenza» di 137° 30’ (chiamato angolo aureo). 137,5°

l’angolo minore è 360° - 222,5° = 137,5°. Con quest’angolo i


germogli posti lungo la spirale generatrice risultano più fitti e
sfruttano lo spazio con più efficienza; si hanno le migliori con-
dizioni di energia minima consumata dalle gemme nel posizio-
narsi l’una dall’altra e offrono i migliori risultati per omogeneità
e autosomiglianza.

Il quoziente di fillotassi (cioè il rapporto tra il numero di giri


e il numero di foglie tra due foglie simmetriche) è quasi sempre il
rapporto tra due numeri consecutivi o alternati della successione di
Fibonacci. Ad esempio, se occorrono 3 giri completi e passare attraverso
8 foglie per ritornare alla foglia allineata con la prima, il quoziente di fillotassi è 3/8 . Nei tigli
le foglie si dispongono intorno al ramo con un quoziente di fillotassi pari a 1/2; nel nocciolo,
nel faggio e nel rovo è di 1/3; il melo, l’albicocco e alcune specie di querce hanno le foglie ogni
2/5 di giro e nel pero e nel salice piangente ogni 3/8 di giro.
Oltre alle foglie, nelle piante anche altri elementi si dispongono
secondo schemi basati su numeri appartenenti alla serie di Fibo-
nacci. L’ananas ne è un magnifico
esempio, ognuna delle squame che
rivestono l’infruttescenza appartiene
a tre diverse spirali che, nella mag-
gior parte di questi frutti, sono in numero di 5, 8 e 13 (dunque,
ancora i numeri di Fibonacci).
Non meno spettacolare è il centro dei girasoli dove è possibile
notare due serie di spirali che si avvitano l’una in senso orario l’altra
in senso antiorario. É interessante anche osservare la distribuzione
di foglie e spine nelle piante grasse o nelle brattee della pigna, .

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Naturalmente, anche se infiniti fiori, foglie e frutti sono generati
dal numero 5, questa non é una regola assoluta, anche i numeri 3, 4 e 6
compaiono con grande frequenza negli edifici vegetali: é piuttosto una
norma generale che si ripete con sconcertante fre-
quenza (molti fiori presentano un numero di petali
pari ad altri numeri della serie di Fibonacci,
come 13, 55 e perfino 377). Quanti di noi, al-
meno una volta nella vita, hanno interrogato
i petali della margherita intorno alla roman-
tica domanda“m’ama?...non m’ama”? La mag-
gior parte delle margherite di campo hanno
13, 21 o 34 petali, numeri di Fibonacci (ma si
noti che i primi due sono dispari: perciò comin-
ciando con m’ama... l’esito favorevole è assicurato).

Già Leonardo nei suoi studi sulla natura frattale affermava: “tutti
i rami degli alberi in ogni grado della loro altezza giunti insieme sono equali
alla grossezza del loro pedale. Tutte le ramificazioni dell’acque in ogni grado di
loro lunghezza, essendo d’equal moto, sono equali alla grossezza del loro prin-
cipio”. La frattalità, o autosomiglianza, in natura è molto comune e dif-
fusa: pensiamo a un abete in cui è facile notare come ogni singolo
rametto riproduca in scala ridotta il proprio ramo e, in miniatura, l’albero
nella sua grandezza, cioè la forma dell’intero disegno. Un frattale (dal la-
tino fractus, frammentato) è infatti un agglomerato di repliche di se stesso
in scale differenti.
Un caso meraviglioso lo si trova dal fruttivendolo o al supermer-
cato, nel periodo invernale, con una varietà di broccolo verdognolo (Bras-
sica oleracea L. botrytis, varietà ‘romanesco’, Famiglia delle Brassicaceae) che
esibisce la parte centrale come un insieme di piccoli torrioni in stile ba-
rocco assemblati nella forma di una spirale: l’infiorescenza del cavolfiore completo è costruita
con tanti micro cavoletti autocopiati all’infinito con sequenze a struttura spiraliforme, identici
indipendentemente dal variare della scala. Nell’infiorescenza di carota selvatica (Daucus carota,

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fam. Ombrelliferæ) la struttura di base è ripetuta un nu-
mero ‘n’ finito di volte: dalla particolare angolazione della
foto in alto si vede che essa assomiglia a fiocchi di neve,
anch’essi a loro volta frattali; nell’immagine in basso è del
tutto riconoscibile l’andamento a spirale della fioritura.

Applicando lo stesso meccanismo geometrico ed


usando come partenza un triangolo equilatero, la figura
che si ottiene è chiamata Tappeto o Triangolo di Sierpiski ed
è composta da tre copie di se stessa ognuna delle quali
costituita da un triangolo di lato pari a metà del lato del
triangolo di partenza. Quest’ultima configurazione trova
spesso riscontro nel mondo naturale, per esempio come
motivo ornamentale sulla conchiglia di diverse specie di
molluschi che vivono negli oceani, per esempio l’Oliva
Porphyria. Il concetto di frattale coglie, qui, un aspetto in-
timo ed essenziale della natura che precedentemente era
stato trascurato, ovvero che persino i suoi tratti più casuali possiedono simmetrie nascoste. Ciò
significa che simmetria e caos sono due facce della stessa medaglia: la forma complessiva (che
apparentemente sembra caotica) riflette la prima faccia, ed i particolari intricati la seconda.
L’anello di congiunzione tra la scala micro e macro è dunque rappresentato dall’autosimilarità.

L’utilizzo della matematica frattale si è rivelato utilissimo in molti campi, per esempio
in quello della medicina. Nel corpo umano e animale, infatti, svariati organi presentano tale
struttura. Uno è il fegato, suddiviso in diversi lobi ognuno irrorato da una diversa ramificazione
della Vena Porta. Se, poniamo il caso, qui si dovesse scatenare un tumore, si può isolare solo il
lobo malato e asportarlo senza danneggiare tutto il resto, perché utilizzando gli strumenti di
calcolo della geometria frattale a partire dalla versione ridotta della Vena Porta si può risalire
alla sua versione complessiva e intervenire in modo mirato.

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Nel broncogramma polmonare si vede
come anche qui che la struttura base è ripetuta
innumerevoli volte. La costituzione frattale
consente di comprimere nel minimo spazio
grandi estensioni di superficie. Basti pensare
che le strutture bronchiali e alveolari dei pol-
moni, pur in volume limitato dispiegano, svi-
luppano una superficie enorme: nell’uomo,
quasi la superficie di un campo da tennis!
E nell’immensamente grande? Il no-
stro Sistema Solare, per esempio, è certamente
governato da leggi matematiche che ne defi-
niscono la sua struttura, tuttavia è anche sog-
getto al caos nella forma dell’imprevedibilità
orbitale di milioni e milioni di corpi minuti
non predicibili che interagiscono tra loro, non-
chè nella dinamica di titanici vortici atmosfe-
rici come la Grande Macchia Rossa su Giove (grande abbastanza da contenere un paio di Terre),
quella Scura su Nettuno, e le insolite formazioni nuvolose di Saturno, originate da venti che
superano i 1800 km/h. Ovviamente tutto questo vale anche per le complesse dinamiche delle
stelle, di ammassi di stelle come dei moti turbolenti che avvengono nelle nebulose sparpagliate
per la galassia e, in ultima analisi, di tutta la materia che la compone. Ma aumentando ancora
lo zoom, dal momento che l’universo è formato da miliardi di galassie, viene spontaneo do-
mandarsi fino a che scala si spinge il“gioco a incastri”dell’autosimilarità. Potrebbe, cioè, il cosmo
esprimersi in un disegno frattale... dalla trama del DNA (lo spessore medio di questa molecola
è di circa 22 Angstrom) fino a quella degli spazi siderali di infiniti anni-luce (1 anno-luce è pari
a circa 9.461 miliardi di chilometri, cioè 63.241 volte la distanza fra la Terra e il Sole)?
Oggi si è scoperto che tale moto di allontanamento delle galassie da noi sta accelerando
sempre più, sospinto da una forma di materia ed energia che non conosciamo e non rileviamo.
“Ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso”... La scienza ha però, oggi, final-
mente integrato ed adottato proprio questo concetto: “L’infinitamente piccolo
svelato dall’infinitamente grande: il Microcosmo si lega al Macrocosmo”
(CERN, Ginevra).

Gli esempi sono infiniti. Alcuni sono intimamente


legati ai miti più antichi e segnalano lo stupore del-
l’uomo di fronte alla bellezza del loro schema. Come
quando, a tavola, sezioniamo una mela con un ta-
glio perpendicolare all’asse centrale e scopriamo
che i suoi semi stanno in alveoli contenuti entro
una Stella a Cinque Punte.
Forse proprio per questo la mela é stata
scelta da molte culture come simbolo fonda-
mentale della Scienza Sacra: per esempio nel Ge-
nesi, é definito il frutto dell’Albero della Conoscenza.
Mangiare la mela, dunque, significa assimi-
lare il Seme della Sapienza nascosto dentro l’Albero
della Vita: ed é esattamente quello il cibo capace di trasfor-
mare radicalmente l’intera esistenza dell’Uomo.

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28
NEL REGNO ANIMALE

Il Rapporto Aureo si riscontra anche nel mondo degli animali. Nella gazzella la lun-
ghezza totale della schiena viene divisa secondo il Rapporto Aureo dal groppone;
l’altezza della schiena dalle parti genitali; l’al-
tezza globale dal garrese; la lunghezza totale
della testa dall’occhio.
Nel pesce persico, come in altri pesci si-
mili, il punto della pinna divide la lunghezza
totale determinando una Sezione Aurea; lo stesso si
può vedere per la parte anteriore della pinna caudale.
La stella di mare é a 5 punte;
la conchiglia Nautilus (radiogra-
fia lettera A) è il più celebre
esempio di una perfetta spirale logaritmica. Lo schema governato
dalla spirale aurea ha, tra le sue più sorprendenti proprietà, quella
di non alterare la forma e le dimensioni con la crescita: il nautilus
nella sua conchiglia aumenta in grandezza e si costruisce camere
sempre più spaziose, abbandonando e sigillando quelle inutilizza-
bili perché troppo piccole.
Il crostaceo Telescoptum ha la forma di una spirale logarit-
mica tridimensionale, come evidenzia la radiografia, lettera B;
il riccio di mare (Cidarius coronata) quella di un dode-
caedro regolare; la Circogonia icosahedra, un minu-
scolo organismo marino unicellulare la cui
conchiglia ha il diametro di 0,7 mm circa, ha la
forma di un icosaedro regolare. Le conchiglie Sola-
rium Perspectivum e la bivalve Cardium Pseudolima sono costruite nello stesso modo.

29
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Parecchie varietà di comuni organismi marini, dal plan-
cton alle lumache, presentano, come dicevamo, spirali auree nelle
loro fasi di sviluppo o nelle loro conchiglie, come in un bellissimo
genere di molluschi gasteropodi marini, gli Haliotis, comune-
mente noti come Orecchie di Venere.
Nel micro, i Foraminiferi sono protozoi ameboidi marini.
La loro cellula è protetta e rivestita esternamente da un guscio,
spesso mineralizzato. Il Numero d’Oro vi è presente, come lo è
nei Radiolari.

Accennando solo brevemente agli insetti, il ragno della


famiglia Araneidae tesse la sua tela secondo una spirale costruita
attraverso l’unione della seta in vari punti ben precisi perché la
ragnatela regga la tensione, la pressione e il peso. Il suo carico di rottura è confrontabile con
quello dell’acciaio di alta qualità, ma con una densità molto inferiore all’acciaio stesso.
Ecco qualcosa di interessante e curioso sulle api (genere Apis, Famiglia delle Apidae),
gli insetti sociali per eccellenza: l’albero genealogico di un fuco presenta chiaramente i numeri
della sequenza di Fibonacci. Sappiamo che in uno sciame non tutte le api sono uguali: ci sono
innanzitutto le api (femmine) e i fuchi (maschi). Le femmine sono tutte generate dal-
l’unione dell’ape regina con un fuco e si dividono in operaie e regine. Le api regine
sono api operaie nutrite solo con pappa reale ma, diversamente dalle operaie, sono
in grado di produrre uova. I maschi nascono dalle uova dell’ape regina.
Quindi possiamo dire che le femmine hanno 2 genitori (l’ape regina e un fuco),
mentre i fuchi hanno un solo genitore, l’ape regina. Ecco allora l’albero genealogico di un fuco:
1 fuco ha 1 genitore che ha sua volta ha 2 genitori che a loro volta hanno 3 genitori che a loro
volta hanno 5 genitori e così via. Sono i numeri di Fibonacci.

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Anche per mammiferi la crescita delle corna (per la famiglia dei caprini, l’esempio è
l’ariete), delle zanne (ad esempio degli elefanti), degli artigli e delle code di alcune specie,
segue lo stesso principio di crescita delle conchiglie dei gasteropodi. Le code più sorprendenti
sono quelle del camaleonte e del cavalluccio marino (radiografia lettera C).

An

Anche nei comportamenti si può riscontrare in Numero d’Oro.


Quando le oche selvatiche volano in formazione istintivamente si comportano come
un unico corpo e si dispongono con un angolo di 36°.
Il falco pellegrino, durante la caccia, per ghermire la preda non sceglie una traiettoria
rettilinea, più breve e più veloce, perchè gli occhi del falcone guardano lateralmente e l’uccello
dovrebbe ruotare la testa per vedere l’obiettivo, ma tale assetto peggiorerebbe la sua aerodi-
namica: così l’animale tiene la testa dritta seguendo una spirale aurea in modo da non perdere
di vista la preda e al tempo stesso massimizzare la velocità.

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NELL’UOMO

Ho già anticipato qualcosa nella sfera della fisiologia umana con il fegato ed i
bronchi. Scopriamo ora se e dove la “Proporzione di Dio” può essere presente.
Per esempio, esiste anche nei microtubuli del cervello, che sono quelle parti
deputate al controllo dell’interazioni di
tipo quantistico le quali, secondo gli
scienziati, consentono all’uomo di
avere coscienza di se stesso. Sembra
che al loro interno, con la funzione di
gestire gli errori di memoria, siano presenti dei
pattern molecolari ripetuti che compaiono con
la frequenza del Rapporto Aureo.
La cellula umana non ha proporzioni esatta-
mente sferiche, bensì più vicine a quelle dell’ovoide aureo, dove lunghezza e larghezza stanno
in rapporto aureo. Anche l’utero dell’età di maggiore fertilità femminile sembra rispettare
nelle stesse grandezze l’identico va-
lore (nell’immagine a sinistra, il fol-
licolo ovarico quasi perfettamente
ovoide).
In una inchiesta piuttosto vasta
condotta da un’ università austriaca
(ben 150.000 soggetti di entrambi i
sessi controllati e seguiti per anni) si è riscontrato che hanno mi-
glior salute e speranza di vita più elevata coloro che hanno un
rapporto tra pressione arteriosa massima e minima pari a 1,618.

La scienza delle proporzioni dell’uomo, proporzioni


ideali, era già nota nell’antico Egitto, nella Grecia classica ed a Roma. Vitruvio indicava che
l’uomo, in piedi con gambe chiuse e braccia distese orizzontalmente, può essere inscritto in un
cerchio il cui centro cade sulle parti genitali; la lunghezza totale del corpo viene tagliata dalla
vita in due segmenti di cui il più lungo é una Sezione Aurea.
Se in piedi con gambe divaricate e braccia leggermente inclinate verso il basso, può es-

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sere contenuto in un penta-
gono regolare il cui centro
coincide ancora con i geni-
tali. Leonardo da Vinci, Dürer,
Cornelius Agrippa di Nette-
stheim, Francesco di Giorgio
(Harmonia Mundi), Cesare Cesariano
(“Homo ad circulum”), fra’ Giocondo da
Verona e molti altri ancora, fino ai
giorni nostri, hanno studiato e
confermato la tendenza aurea del
corpo umano (ricordo Le Corbu-
sier con il suo “Modulor”).

Nel 1870 il belga Lambert


Adolphe Jacques Quételet (1796-
1874), il fondatore della statistica
di frequenze, studiando un uni-
verso congruo di europei di statura
normale, ha rilevato che la lunghezza
totale del corpo umano viene divisa dalla
vita secondo Proporzione Aurea. Con
braccia e gambe pendenti, la punta del dito medio divide a sua volta la lunghezza totale de-
terminando un Numero Aureo. Le spalle e i genitali dividono infine la lunghezza totale in tre
pezzi che stanno in rapporto 3 : 5 : 8, dati che coincidono sorprendentemente con il
pensiero dello scultore greco Policleto (ca. 430 a.C.), che dettò un Ca-
none Aureo con gli stessi rapporti. Proseguendo, Quételet ri-
levò che la distanza tra i genitali e la laringe viene
tagliata dall’ombelico in un rapporto
aureo, mentre quella tra la testa e l’ombe-
lico analogamente é tagliata dalla laringe:
questo rapporto aureo si ritrova anche nella di-
stanza tra le spalle e la punta del dito medio,
divisa dal polso; nella distanza tra il punto di
circonferenza massima della coscia e la pianta dei
piedi, divisa dal ginocchio. Se moltiplichiamo per 1,618 la distanza che in una persona
adulta e proporzionata va dai piedi al suo ombelico, otteniamo la sua statura. Così la distanza
dal gomito alla mano (con le dita tese), moltiplicata per 1,618, dà la lunghezza to-
tale del braccio e la distanza che va dal ginocchio all’anca, moltiplicata per
il Numero d’Oro, fornisce la lunghezza della gamba dall’anca al mal-
leolo. Anche nella mano i rapporti tra le falangi delle dita medio e
anulare sono aurei.
Infine, nel capo, la fronte divide l’altezza totale determinando
la Proporzione Divina; la bocca divide la parte inferiore del viso
determinando a sua volta un Numero Aureo, e così via: il volto
umano è tutto scomponibile in una griglia i cui rettangoli hanno
i lati in rapporto aureo.
Addentriamoci ora ancora più nella dimensione micro attra-
verso il microscopico elettronico.

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Nel DNA, con il computer, si è po-
tuto descrivere la sua struttura sia in
sezione longitudinale (doppia elica)
sia in sezione trasversale (poligono
stellato a 10 vertici). Si riconosce su-
bito, come basilarmente proprio, il
rapporto di sezione aurea tra lato e
raggio del decagono regolare. Questa
struttura è sintetizzata geometrica-
mente in un rosone: i vertici dei dieci
“petali” sono i punti di incrocio di
linee di forza spirali di 20 propaga-
zioni (10 orarie e 10 antiorarie) e non
sono complanari all’immagine, ma
sono i vertici di 10 pentagoni sovrap-
posti su altrettanti piani e ruotati di
36° ognuno rispetto al successivo, così
da formare in sezione trasversale una
figura decagonale. Il DNA contiene 10
volte il triangolo aureo!

I due filamenti paralleli della dop-


pia elica sono costituiti ciascuno da
una catena alterna di residui di desos-
siribosio (uno zucchero) e di gruppi fosfato: lo zucchero si aggancia gravitazionalmente me-
diante un atomo di ossigeno al vertice di un petalo, che lo tiene in equilibrio tra le direzioni
attrattive del sistema, e quindi al vertice del pentagono terzo successivo ruotato di 72°, e così
via; il gruppo fosfato, lungo lo stesso filamento, lega tra loro i residui di zucchero consecutivi.
L’altro filamento presenta la stessa catena spostata di un piano e di 36° rispetto al primo fila-
mento. É fondamentale il fatto che le due catene presentano polarità opposta.

Dunque, anche il DNA è scritto con l’alfabeto matematico di Dio.

Nel mondo vegetale quanto in quello animale e nell’uomo, volendo verificare in uno
specifico soggetto l’esattezza del Rapporto Aureo, ci si troverà di fronte ad una approssima-

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zione che tende alla misura ideale.
Perchè il Numero non é esattamente verificabile per ciascuno ed in ogni caso?
Qui entra in gioco la storia relativa del soggetto, intesa come somma di quella infinita
catena genitore-figlio nella quale ognuno ha portato o
perso qualcosa: é, insomma, la stessa ragione per cui una
soluzione soprassàtura di sale purissimo genererà un cubo
perfetto, mentre sale o acqua non puri non potranno mai
dare un cristallo precisamente regolare.
É ragionevole pensare, dunque , che “ogni essere ha”,
per usare le parole di Claudio Lanzi, “una sua «serie» aurea
che non é descritta dalle sole misure del suo corpo, ma da qualcosa
che va, pitagoricamente, vissuto all’interno ed all’esterno, come
ritmo, come musica, come danza. Musica del cuore, dell’intelletto
o del corpo unitariamente vissute”.

Nel prossimo numero di MIZR ripartiremo proprio dalla musica, per continuare poi

con l’Astronomia dell’incommensurabilmente grande. n


con vari esempi nell’Arte, nell’Architettura, in alcuni Oggetti quotidiani e concludere, infine,

37
ELIPHAS LEVI:
TRA IDEOLOGISMO MAGICO E POSITIVISMO
NELLA FRANCIA DEL 1800
Ahawa
“Il più gran mago sarebbe
chi sapesse incantare se stesso
fino al punto che le sue stesse magie
gli apparissero fenomeni estranei.”
(Novalis)

Alphonse-Louis Constant (1810-1875), vero nome di Éliphas Lévi, nasce a Parigi nel
1810, da padre calzolaio e madre religiosa ma analfabeta. La Francia di Constant ha attraver-
sato il processo rivoluzionario, ma la presa del potere da parte della borghesia è stata bloccata
dal ritorno, anche se parziale, dell’ancien regime, mentre nel contempo si assiste all’irruzione
della rivoluzione industriale. In tale situazione non è difficile pensare quanto difficoltoso possa
essere stato trovare una solidità di pensiero, visto la continua oscillazione tra la determina-
zione di valori sicuri ed indiscutibili ricercati nel passato e nella tradizione e la ricerca di pro-
spettive di trasformazione prettamente scientifiche.
In questa atmosfera Constant compie i primi studi grazie all’abate Hubault Mailmason
che dispensava le prime basi dell’istruzione scolastica ai bambini poveri della sua parrocchia.
Nel 1825 continua gli studi al seminario minore di Saint Nicolas du Chardonnet, diretto dal-
l’abate Colonna, che come riportano alcune fonti, gli avrebbe trasmesso il primo interesse per
la magia. Nel 1830, anno della morte del padre, passa prima al seminario d’lssy per continuare
il biennio in filosofia e poi a quello di Saint Sulpice per dedicarsi alla teologia. Nel 1835, la
madre di Adèle Allenbach, una sua allieva, lo prega di seguire la figlia, istruendola a parte e
proteggendola. Constant s’innamora perdutamente dell’allieva, in cui arriva addirittura a cre-
dere di vedere l’incarnazione della santa Vergine. Il 19 dicembre 1835 viene ordinato diacono,
ma nel giugno del 1836, prima di ricevere il sacramento dell’ordine, abbandona il seminario
pur di non rinunciare alla passione per Adèle.
La relazione con la ragazza, tuttavia, finisce. La madre di Constant, vecchia e
malata, avendo riposto tutte le speranze nella carriera ecclesiastica del figlio, si suicida;
e così, a causa di ciò, medita di ritirarsi in un convento
di trappisti, ma gli amici lo dissuadono. Ritenta la vita
sacerdotale e raggiunge l’abbazia di Solèsmes, dove
vorrebbe passare il resto dei suoi giorni. L’abbazia pos-
siede un’immensa biblioteca, con circa 20.000 volumi,
a cui attinge a piene mani. Qui studia la dottrina degli
antichi gnostici, quella dei Padri della Chiesa Primi-
tiva, i libri di Cassiano e degli altri asceti, oltre ai trat-
tati di mistica e agli scritti di Guyon. É da tenere
presente che Lévi fu un ricercatore dotato di una
vastissima erudizione, che amava indossare le vesti del grande iniziato, ma che
non riuscì mai a decidersi d’esserlo veramente. A causa di dissapori con l’abate di Solè-
smes, lascia il convento prima della fine dell’anno trovandosi in gravi difficoltà economiche.
Grazie all’intervento dell’arcivescovo di Parigi, ottiene un posto di sorvegliante al collegio di
Juilly. Il salario è pessimo ed i superiori lo maltrattano: per reazione scrive la“Bible de la Libertè”.

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Le copie furono sequestrate dopo un’ora dalla data di uscita del libro. Molte copie furono na-
scoste alla censura, ma Constant fu arrestato il 1 aprile 1841. L’11 maggio si svolse il processo
e fu condannato a 8 mesi di detenzione e ad un’ammenda di 300 franchi. Constant, che non
possiede i franchi necessari per pagare, deve scontare 11 mesi nella prigione di Sainte Pèlagie.
In carcere si cerca con tutti i mezzi di provocare il
suo suicidio, accusandolo di essere una spia e mettendolo
in cattiva luce di fronte agli altri detenuti. Grazie ai favori
di una ricca amica, M.me Legrand, riesce a mitigare la du-
rezza della sua detenzione. A seguito della sua condotta
esemplare il vescovo di Evreux s’interessa del suo caso ed
è pronto ad intercedere per lui, a condizione che adotti il
cognome materno per non far capire che è l’autore di“Bible
della Libertè”. Constant accetta e diventa quindi l’abate Be-
aucourt. Parte per Evreux ed inizia a predicare, riscuotendo
un grande successo e scatenando le gelosie degli altri chie-
rici. Ma nel giugno dello stesso anno il sotterfugio viene
scoperto. Constant legge la“Cabala Denudata”di Knorr de
Rosenroth, studia gli scritti di Boehme, Saint-Martin e
Sweedenborg. Nel 1850 l’abate Migne chiede a Constant
di scrivere un dizionario della letteratura cristiana. L’opera
esce nel 1851 suscitando un grande stupore per le pro-
fonde conoscenze dell’autore. Comincia allora a lavorare al prossimo libro, “Dogme et Rituel
de la Haute Magie”, ed assume lo pseudonimo di Éliphas Lévi Zahed, traduzione ebraica di
Alphonse Louis Constant. Su richiesta di un iniziato agli alti gradi, Éliphas si cimenta in una

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serie di evocazioni magiche. Durante una di queste gli appare lo spirito di Apollonio
di Tiana, che gli indica Lourdes come il luogo dove potrà trovare Nyctemeron, di cui
aveva parlato in “Dogme et Rituel de la Haute Magie”. Éliphas Lévi si ripromette allora
di non cimentarsi più nella magia operative. Quando in seguito avrà degli allievi, farà
loro prestare un giuramento di rinuncia agli esperimenti magici e di impegno
esclusivo nella parte speculativa della filosofia occulta.
Soffermandoci su quest’episodio, si ha l’esatta dimensione di un uomo che
distillava le sue convinzioni più sui libri, di quanto non facesse nella vita quotidiana.
Éliphas Lévi fu anzitutto un teorico più che un operatore come Papus e del resto la
sua vicenda non è stata caratterizzata dall’interesse esclusivo per la philosophia occulta,
ma piuttosto da variegate passioni che ne hanno contrassegnato l’evoluzione del pensiero.
Dal sacerdozio all’occultismo, passando per la politica: un cammino esistenziale al-
quanto travagliato più che una scelta di vita vera e propria. Éliphas Lévi, del resto, non aveva
alcun problema a mettersi nei panni dello studioso che assembla documenti ed informazioni
variegate e disparate, perché era in grado di amalgamare ecletticamente nei suoi libri il pro-
fluvio dei dati. Egli aveva la mentalità del sincretista, ma non del sistematico. Appare evidente
il tentativo di Éliphas Lévi di conciliare il sovrannaturale con la scienza moderna.
Del resto questo sincretismo è peculiare a tutti gli occultisti, ma è soprattutto
con quelli del XIX secolo che si manifesta la propensione a dimostrare come queste
teorie possano convivere con gli assunti della scienza, senza per questo uscirne
ridimensionate o reinterpretate.
In “Il Dogma dell’Alta Magia” Éliphas Lévi riconosce l’esistenza di una
filosofia occulta che sarebbe la nutrice o madrina di tutte le religioni, di tutte le
forze intellettuali, di tutte le “forze oscure”. Questa dottrina primordiale costi-
tuisce il tronco nascosto di tutte le sacre scritture e di tutte le iniziazioni, assunte
così a ramificazioni particolari e contingenti dell’unico albero. Essa germina tutte le
tradizioni iniziatiche e religiose dell’Egitto, dell’India brahmanica, della Grecia, della
Persia. La conoscenza di questa dottrina rende gli adepti in grado di esercitare un con-
trollo assoluto sulla materia.
La dottrina primordiale non è altro che la Cabala, arbitrariamente identificata
con la scienza dei magi, la cui alleanza originale con il cristianesimo è stata disconosciuta
per paura ed ignoranza. Riconoscere
questa concordanza significa, per
Lévi, riuscire a conciliare la scienza
con il dogma, la ragione con la fede, ten-
tando di articolare questa commistione
adattandola alla gergalità scientifica del-
l’epoca, con il risultato di continuare
nell’oscillazione interna alla dicotomia
scienza-arcano del suo tempo.
Nel 1859 pubblica l’ “Histoire de la
Magie”, che riscuote un notevole successo
e gli fa conoscere molti esponenti del-
l’esoterismo dell’epoca. Il 14 maggio 1861
riceve l’iniziazione massonica. Dopo il
rito, alla presenza di un grande numero di
Fratelli, gli viene concessa subito la parola
per spiegare l’origine cabalistica del sim-
bolismo massonico: tuttavia il tentativo

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non riscuote un grande successo.
Nel frattempo Éliphas continua le sue lezioni
sulle scienze occulte di fronte ad un grande numero
di eruditi, appartenenti all’aristocrazia parigina. Il 21
agosto 1861 la Massoneria gli conferisce il grado di
maestro. Durante la presentazione di un lavoro in
Loggia sui misteri dell’iniziazione, viene confutato
da un Fratello, il professor Ganeval. Éliphas, abituato
ormai alla deferenza e a non essere contraddetto, la-
scia la Loggia e la Massoneria. Falliti tutti i tentativi
di fargli cambiare idea, nel 1865 la Loggia di Éliphas,
intitolata “Rose du Parfait Silence”, cade interamente
in sonno. Il 29 agosto del 1862 edita“Faubles et Sym-
boles”, opera essenziale sul simbolismo, in cui ana-
lizza nel dettaglio i simboli del pitagorismo, dei
Vangeli apocrifi e del Talmud.
Intanto frequenta i circoli dello spiritismo, più
che altro per documentarsi sul fenomeno. Nel 1865 scrive un nuovo libro sui simboli “La
Science des Esprits”. Nell’estate dello stesso anno il suo editore gli chiede di scrivere un trattato
sulla Cabala, si dedica così a tempo pieno alla stesura di “Les Livre des Splendeurs”, incentrato
principalmente sui contenuti dello Zohar, che uscirà postumo. Lévi, dopo aver fatto sfoggio
di erudizione e di avere citato diversi miti come forme distinte e riconducibili all’unico segreto,
rivela che il libro che “riunisce tutto il genio filosofico e il genio religioso”, “tesoro cinto di spine,
diamante nascosto”, non è altro che il Talmud in cui si nasconde “la vera filosofia segreta e tradizio-
nale”. In questo libro, sempre secondo Lévi, si nascondono le chiavi di lettura della vera
Cabala, che si troverebbe alla base delle religioni e della scienza. Nella Cabala si con-
cilia l’alleanza della ragione con il Verbo e la fede,“il potere con la libertà, la scienza
col mistero, essa ha le chiavi del presente, del passato e dell’avvenire”.
Dunque la Cabala è il principio e la radice di tutti i rami della conoscenza;
la sua padronanza garantisce il superamento dell’aporia ragione-fede. Contesta
la validità del cogito cartesiano: infatti, anziché principiare dal “Cogito, ergo sum”,
sarebbe preferibile farlo dall’“Ego sum qui sum”, con cui inizia la rivelazione divina
nell’uomo. Quest’ultima è la manifestazione della ragione universale a quella umana,
è il trait d’union in grado di realizzare l’Uomo-Dio. Secondo Éliphas Lévi non ha senso
sostenere con Descartes che l’autocoscienza si produce dalla certezza di pensare, perché da
quest’ultima scaturisce piuttosto la dimostrazione dell’esistenza dell’Essere superiore. Dunque
il Verbo divino regala la scintilla del pensiero razionale all’uomo, ma nello stesso tempo gli si
rivela come suo fondamento. Lévi dunque risale all’esistenza di una Causa prima aristotelica,
ma elabora una serie di teorie del tutto estranee al pensiero dello stagirita.
Per Lévi il Verbo è il velo dell’essere, identificato con l’idea platonica del principio ani-
potetico (idea della Verità assoluta, assolutamente indimostrabile). Ma la forma è, sempre per
Lévi, a sua volta il velo del Verbo; quindi l’idea (essere) è la madre del Verbo e la ragion d’essere
della forma. Il velo simboleggia qui la dissimulazione della realtà segreta; per converso lo sve-
lamento equivale alla rivelazione, alla conoscenza. Per Lévi è quindi l’idea a strutturare la
forma, secondo il principio delle corrispondenze espresso dalla Tavola Smeraldina “Ciò che è
in alto è come ciò che è in basso, ciò che è in basso è come ciò che è in alto”. La forma è dunque
proporzionale all’idea, dato che quest’ultima è la matrice del Verbo e del mondo formale e
materiale. Ma se è vero che possedere l’idea significa plasmare la forma, allora in virtù della
rivelazione del Verbo divino “Sono colui che sono”, l’uomo deve avere il potere latente di pa-

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droneggiare l’immaginazione-rappresentazione che forgia la ma-
teria. Quindi se l’immaginazione è in grado di ricollegare il pen-
satore all’idea suprema, o se si preferisce all’essere, per Lévi è
evidente l’unità di una sola ragione, di una sola filosofia.
Questo principio unico, che Lévi chiama “Dogma”, non è
altro che l’identità tautologica dell’essere con se stesso, che si con-
cretizza in una metafisica monista. Il divenire, i fenomeni visibili
diventano allora manifestazione dell’invisibile. Il principio su-
premo che determina gli enti transeunti, nel suo “Dogma dell’Alta
Magia”, è in altre parole l’identità autoreferenziale dell’essere.
É verosimile pensare che Éliphas Lévi dovesse conoscere
l’idealismo tedesco, la filosofia di Fichte, Hegel, Schelling, cono-
scenze acquisite probabilmente nel periodo giovanile degli studi
in seminario. A questo proposito si deve rammentare l’enorme
impatto dell’idealismo, specialmente del pensiero di Hegel, sulla
teologia e la filosofia della religione. Tuttavia, alla presunta cono-
scenza della dialettica hegeliana, si deve aggiungere anche la più
sicura padronanza di Lévi della teoria cabalistica sull’emanazione delle Sefirot. Tutti e due i
sistemi di pensieri, dialettica hegeliana e Cabala, forniscono una spiegazione di come possa
scaturire dall’identità la differenza - ossia gli altri numeri dall’uno - senza trascurare nemmeno
la possibilità che Lévi avesse letto Fichte, autore, tra l’altro, come lui legato alla Massoneria.
Con “idealismo magico” si designa una branca esoterica dell’idealismo che si rifà appunto a
Fichte e secondo il quale la realtà che viviamo è esclusivamente una realtà mentale in cui
all’IO (il soggetto) si oppone un non-lO (l’oggetto) da egli stesso prodotto nel processo di
rappresentazione della realtà personale. Tale rapporto può essere definito “magico” nel mo-
mento in cui l’IO si riconosce come creatore della
propria realtà, infrangendo la barriera che lo di-
vide dal resto del mondo ed instaurando un rap-
porto“magico”con l’esistenza di cui egli è il primo
motore: ciò che deve fare è assumere una diversa
prospettiva sulle cose.
Ruolo fondamentale, in questo processo, è as-
sunto da quella che Fichte definisce “immagina-
zione produttiva”, la facoltà inconscia del soggetto
trascendentale (l’Io) di produrre la propria realtà.
In base a ciò il mago è quindi colui in grado di in-
traprendere un percorso interiore al fine di pren-
dere il pieno controllo di tale facoltà inconscia e
dunque del processo creativo della propria realtà
vissuta, divenendo così consapevole dell’Universo
che alberga presso sè, nel tentativo di sprigionare
l’immensa forza creatrice che a malapena sospet-
tiamo di possedere.
Sfiorando in tal modo l’Assoluto, ne diveniamo
padroni.
L’uomo è infatti dotato di una potenza magica,
per lo più ancora inutilizzata, che può essere at-
tiva se si ridesta la creatività di cui egli è inconsa-
pevolmente capace, diventandone consapevole e

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usandola coscientemente e volontariamente. Ciò può essere il frutto di un esercizio di vigi-
lanza e di attenzione tali da trasformare l’inconsapevole in consape-
vole e da sviluppare le facoltà dell’uomo, incrementandone
l’attività. In questo senso, quanto più diventiamo attivi (di-
minuendo la nostra inerzia), tanto più il mondo esterno
perde potere su di noi, essendo esso null’altro che la no-
stra inerzia (spirito addormentato). Sicché vincere l’iner-
zia significa vincere la resistenza del mondo nei nostri
confronti, recuperare le forze latenti, estendere il dominio
della volontà.
Nel 1874 una bronchite persistente, unita a un gon-
fiore alle gambe, mette a dura prova la salute di Eliphas Levi
ed il 31 maggio 1875 si spegne all’età di 65 anni. Seppellito al ci-
mitero d’Ivry, nel 1881 i suoi resti sono riesumati e gettati in una fossa
comune. Ma nella Francia di Eliphas è in agonia anche l’idealismo magico; considerato
un’inutile astrazione metafisica, soppiantato dal positivismo, fautore del metodo scientifico
da applicare a tutte le sfere della conoscenza e della vita dell’uomo.
É un mutamento repentino e molto più incisivo di altri accorsi nei secoli precedenti,
che stravolge non solo le dimensioni spazio-temporali ma anche quelle intellettuali dell’uomo.
Egli ripone la sua fiducia nella sola ragione come mezzo per conseguire la “pubblica felicità”,
accantonando l’atavica esigenza del sapere come processo infinito per cui la creazione della
realtà vissuta avviene principalmente mediante i sensi ma, finché non prendiamo il controllo
della nostra interiorità, vivremo l’esistenza in maniera prettamente passiva. L’idealismo ma-
gico nasce con lo scopo di ribaltare questa condizione.
“Ciò che distingue l’idealismo magico è il suo carattere essenzialmente pratico: la sua esigenza
fondamentale è non di sostituire una intellettuale concezione del mondo ad un ‘altra, bensì di creare

(“L’idealismo magico”, Julius Evola, pp.91). n


nell’individuo una nuova dimensione e una nuova profondità di vita...”

45
IL CAVALIERE BENEFICENTE
DELLA CITTÁ SANTA
NELLA TRADIZIONE LIBERO-MURATORIA
EGIZIA
Eleazar
Il Grado di Cavaliere Beneficente della Città Santa (in francese Chevalier Bien-
faisant de la Citè Sainte ed in inglese Knight Beneficent of the Holy City) appartiene
alla Scala Iniziatica del Rito di Misraïm di Venezia del 1788: si trova al 67° Grado
della Terza Serie ed Undicesima Classe di quella Scala, ma si hanno poche
notizie sulla sua effettiva pratica da parte di quella Comunione Iniziatica e a
noi sono giunti solo pochi frammenti di un testo che ha caratteristiche evi-
dentemente mutuate da altre tradizioni muratorie, prima di tutto la sua evidente ca-
ratura cristica ed il richiamo alle virtù teologali in maniera molto più marcata
rispetto ad altri gradi. Non a caso non troviamo un grado corrispondente nella pa-
rallela Scala del Rito di Memphis di Etienne Marconis de Nègre e neppure nella Scala rivisitata
di John Yarker sia a 95 che a 33 gradi. Parimenti non abbiamo elementi nell’opera di Théodore
de Tschoudy, i cui elaborati hanno grande importanza nei Regimi Egizi,
che in qualche modo possano aver ispirato questo testo.
Siamo quindi portati ad ipotizzare, con tutte le cautele del caso,
che questo grado sia stato in qualche modo derivato dal corrispon-
dente Grado del Rito Scozzese Rettificato, un Rito che è stato codifi-
cato in occasione del Convento di Wilhelmsbad nel 1782 sotto la
presidenza del duca Ferdinando de Brunswick-Lunebourg che in
quello stesso convento venne eletto alla Gran Maestranza.
Il Rito Scozzese Rettificato, rispetto alle coeve tradizioni mu-
ratorie che si limitavano a chiedere ai loro adepti l’esistenza in un Es-
sere Supremo, generalmente noto come Grande Architetto dell’Universo, ha come
caratteristica principale quello di pretendere dai suoi membri una forte ed incrollabile fedeltà
alla religione cristiana.
Questo Rito prevede unicamente sei gradi e, pur essendo ancor oggi suffi-
cientemente praticato, soprattutto in Francia, i suoi rituali sono stati oggetto di
pochissime modifiche dal XVIII secolo ad oggi.
Durante quel convento vennero stesi i rituali dei tre primi gradi simbolici
e l’articolazione del Quarto Grado (Maestro Scozzese) dove sono stati integrati
alcuni elementi dell’Ordine degli Eletti Cohens1.
In quel contesto avvenne anche la riforma di quello che era chiamato il
“Codice Muratorio delle Logge Riunite e Rettificate di Francia” (Code Maçonnique
des Loges Réunies et Rectifiées de France), detto anche Codice di Lione, e quello
del Codice Generale dei Regolamenti dell’Ordine dei Cavalieri Beneficenti della
Città Santa. Questo lavoro era avvenuto al fine di formare il “Codice Muratorio

1
L’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohens dell’Universo è stato fondato nel 1760 quando
Jacques de Livron de la Tour de la Case Martines de Pasqually incominciò ad iniziare i suoi primi allievi in
una Loggia chiamata “Josué”, fondando un Capitolo massonico operativo, denominato Tempio degli Eletti Cohens, cui
seguì una seconda Loggia chiamata “La Française”. Martinez ebbe nel 1767 a riunire i vari capitoli fondati in Francia
nell’unico Sovrano Tribunale dell’ Ordine del Cavalieri Massoni Eletti Cohens dell’Universo.

47
delle Logge Riunite sotto il Regime Scozzese Rettificato”(detto anche Codice de Wilhelmsbad) e me-
glio disciplinare l’Ordine dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa, affidato ad un gruppo di
segretari. Questi lavori avrebbero poi dovuto essere ratificati da un successivo Convento che
non si tenne mai a causa del sopravvenire della Rivoluzione Francese.
Questo studio venne comunque proseguito e portato in qualche modo a termine da
Jean-Baptiste Willermoz2 e costituisce la prima completa versione dei rituali, i quali fra il 1787
ed il 1820 vennero per tre volte rivisitati sulla base delle esperienze fatte in
precedenza dall’estensore nel campo dello spiritismo e dell’alchimia.
Ancora oggi il Cavaliere Beneficente della Città Santa,
spesso designato con la sola sigla CBCS, costituisce un
grado del Rito Scozzese Rettificato basato sui rituali re-
datti da Jean-Baptiste Willermoz.

La caratteristica di questo Ordine Muratorio è quella


di avere una struttura organizzativa fortemente gerarchizzata
che culmina in un ordine interiore, chiamato appunto Ordine dei
Cavalieri Beneficenti della Città Santa.
In un Regime Egizio, per la sua natura, questo grado riveste più che
altro un interesse a livello storico: per il suo contenuto intrinseco, non ha al-
cuna ragione di essere praticato, a meno che non si operi in un contesto
prettamente gnostico.

DISPOSIZIONE DEL TEMPIO

Il Consesso dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa, che nel Misraïm di Venezia
prende il nome di Sovrano Consiglio, operava secondo quel testo in una camera di forma
triangolare al cui vertice, posto ad Oriente, è posto il Trono del Presidente, chiamato Eminen-
tissimo Gran Priore.
Le Logge locali erano chiamate anche Capitoli di Prefettura, in ottemperanza all’antica
tradizione della ripartizione territoriale fissata nel 1782. Le loro pareti sono decorate intera-
mente con tendaggi bianchi. Al di sopra del Trono è posto il Tetragrammaton con inciso il
Nome Ineffabile in lettere ebraiche. Alla destra della porta di ingresso vi è un’urna o cassetta
di legno chiusa con tre diverse serrature sulla quale sono incise le lettere P∴, L∴ e A∴. La
Loggia è illuminata da 67 Luci (il testo veneziano non precisa come queste luci debbano essere
raggruppate o posizionate).
Questa disposizione del Tempio è stata da molto tempo abbandonata e le versioni più
recenti di questo Grado, ove praticato, prevedono una camera rettangolare ed un arredamento
del Capitolo molto più ricco (queste informazioni derivano da un rituale in lingua inglese che
risale al secolo XX, tuttora utilizzato negli Stati Uniti, il cui testo presenta molteplici analogie
con un testo francese più antico ed è molto probabile che ne costituisca una traduzione).
I tendaggi sono, per tutte le pareti, di colore rosso e di identico colore è il baldacchino
posto all’Oriente sopra la cattedra del Gran Priore.
Sull’Altare, coperto da un panno rosso, è posto il Libro della Legge Sacra ed un can-
delabro a tre luci con candele di colore rosso, che viene acceso dal Maestro delle Cerimonie

2
Jean-Baptiste Willermoz (Lione 1730-1824), allievo di Martinez de Pasqually, è un libero muratore francese che nel
secolo XVIII ha giocato un ruolo estremamente importante nella costruzione dei cosiddetti Alti Gradi, elaborando testi
rituali in gran parte adottati ancora oggi in alcuni paesi europei.

48
prima dell’apertura dei Lavori e portato nel Tempio all’ingresso dei Cavalieri.
Sotto il baldacchino è appeso uno scudo con una te-
schio e la scritta“Memento mori”; più in basso un secondo
scudo con una fenice ed il motto “Perit ut vivat”; altri tre
scudi sono posti sulle pareti d’Oriente, uno con una fenice
ed una croce patente, uno con un pellicano ed uno con un
cavallo che ha in sella due cavalieri.
Sul tavolo del Gran Priore viene posto all’apertura dei La-
vori un candelabro a nove luci con candele di colore
rosso che rappresenta il simbolo dell’Ordine.
All’Oriente, all’estrema destra del Gran Priore (cioè sul
lato sud) è posto un trofeo d’armi ovvero una rappresentazione di un cavaliere con una com-
pleta armatura e munito di lancia che verrà mostrato al Neofita alla fine della cerimonia di
elevazione al Grado.
Sulle pareti laterali sono appesi due medaglioni per lato. Al centro del capitolo sono
presenti due croci patenti rosse appese con un nastro bianco.
Tutti i cavalieri hanno una spada a disposizione posta vicino ai loro seggi.
All’Occidente è posta una poltrona per il Maestro delle Cerimonie, che siede davanti
al Cavaliere di Guardia.
Vi è un gabinetto di riflessione dove sono presenti numerosi oggetti da utilizzare du-
rante la celebrazione della cerimonia di ricezione di un Neofita (chiamato anche Novizio):
il questionario, una brocca che contiene acqua, un bacile, un tovagliolo e la tunica
nera che dovrà indossare il Neofita.
Durante la cerimonia di ricezione sul tavolo del Gran Priore oppure su quella
del Prefetto sono presenti i paramenti da consegnare al Neofita, fra i quali spicca
l’anello d’oro.

UFFICIALI ED ABBIGLIAMENTO

Il Presidente del Sovrano Consiglio è chiamato Eminentissimo Gran Priore. Egli siede
all’Oriente e nelle tornate normali si limita a recitare le preghiere rituali, affidando la direzione
del Capitolo al Reverendissimo Prefetto (o Precettore), e cede il maglietto al Gran Priore solo
durante le cerimonie di elevazione al Grado.
Gli Ufficiali, o Governatori, sono chiamati semplicemente Cavalieri. Fra di essi vi sono
le figure del Maestro delle Cerimonie, del Decano, che è la figura più anziana della Loggia, e
che funge da Oratore sedente ad Oriente alla sinistra del Gran Priore, del Copritore Interno,
detto Cavaliere di Guardia, che siede ad Occidente, dell’Ospitaliere, che siede sulla colonna
del Sud e del Tesoriere, che siede sulla colonna del Nord. All’Oriente, alla destra del Gran
Priore e del Prefetto, siede il Cancelliere del Capitolo, che ha funzioni di Segretario. Ad occi-
dente, con funzioni di Primo Sorvegliante, siede un Cavaliere Priore Anziano, mentre a mez-
zogiorno all’altezza dell’altare siede il Cavaliere Priore che assume le funzioni di Secondo
Sorvegliante.
Anticamente, secondo il rituale di Venezia, tutti i Cavalieri erano dotati di una spada,
portavano un grembiule bianco bordato e foderato di rosso, come quello dei Maestri del Rito
Scozzese. Al centro del grembiule era disegnata una cassetta sulla quale erano incise le lettere
P∴, L∴ e A∴). Essi portavano anche una fascia bianca listata di rosso con sopra incise sul da-
vanti le lettere S∴ C∴ D∴ C∴ B∴ C∴ S∴ e la cifra 67. La fascia serviva anche come bando-
liera per la spada. I rituali più recenti hanno soppresso il grembiule e mantenuto solo la fascia
o sciarpa bianca che non porta alcuna scritta ed alla quale viene appesa una croce di S. Andrea

49
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oppure ricamata o appesa una croce patente rossa che ha funzioni di gioiello del grado.
Il grembiule è stato sostituito da un collare di colore rosso al quale è appesa, all’altezza
del cuore, una croce patente rossa, oppure questa croce è ricamata sul collare.
I Cavalieri indossano anche un mantello bianco con ricamata sul lato sinistro una croce
patente rossa, identico a quello dei Templari.
Essi portano anche, come già accennato, al dito mignolo destro un anello d’oro, sim-
bolo di fedeltà e solidarietà.

Il compito principale dei Cavalieri è quello della beneficenza: per questa ragione tre
volte al mese il Gran Priore incarica un Cavaliere, scelto fra i più anziani, di distribuire a fa-
miglie indigenti, una certa quantità di aiuti determinata in precedenza. Quando vi è scarsità
di fondi, il Gran Priore può rivolgere un appello ad ognuno dei Cavalieri membri del Consiglio
affinché provvedano, nel limite delle loro possibilità, ad integrare i fondi medesimi.

Le due fonti spirituali di quest’Ordine Cavalleresco sono, da una parte, la dottrina eso-
terica di Martinez de Pasqually (la cui essenza è l’origine prima, condizione attuale e destino
ultimo dell’uomo e dell’universo) e la Tradizione occidentale. Queste due dottrine si sosten-
gono a vicenda contribuendo “a formare Uomini/Templi di Dio”: diceva Gabriele D’Annunzio,
“...gli Ordini Cavallereschi sono stati e sono l’espressione visibile e tangibile dei più alti fra i senti-
menti che possono albergare nell’animo umano: fortezza, spirito di sacrificio, valentia, fedeltà all’idea
e alla parola data sino alla morte, ed oltre”. n

51
I SUONI SACRI
E LA SCIENZA DEI MANTRA
IN INDIA
Arjuna

È da tempo immemore che in India viene trasmessa una scienza basata


sui suoni per raggiungere i più alti stati di coscienza, è l’antica scienza dei man-
tra, le vibrazioni essenziali dei nomi divini capaci, se cantati con l’intonazione
giusta, nei centri energetici giusti di cambiare la coscienza e di portare il pra-
ticante agli stati di trance chiamati“samadhi”. Inoltre capaci di mettere in con-
tatto l’adepto con le Divinità che risiedono secondo questa scienza all’interno
del praticante stesso nei 7 chakra principali, dentro la sua colonna energetica
chiamata “Sushumna-nadi”.
Esistono degli Shastra, cioè dei libri di conoscenza, dove la scienza dei mantra viene
spiegata nei minimi dettagli. Fu l’arduo compito di Artur Avalon di tradurre i“Mantra-shastra”
in inglese, di cui è famoso il libro “Ghirlanda di lettere” (Varnamala).
I mantra si dividono sostanzialmente in due categorie, quelli basati su dei suoni che
fanno vibrare il corpo sottile del praticante, il cui effetto nasce solo unicamente dalla vibra-
zione, e tutta quella famiglia dei vari nomi delle Divinità appartenenti all’ampio
Phanteon induista. I primi sono chiamati“bija-askhara“e non hanno necessa-
riamente una traduzione, i secondi “nama mantra”. I principali bija-askhara
sono circa una quindicina e si trovano frequentemente nelle scritture. Sono
per esempio “Kliim”,“Hriim”,“Aiim”,“Gam” etc., e sono nati dalla chiarou-
dienza degli antichi Rishi, i Santi-veggenti, che ascoltando le vibrazioni al-
l’interno di loro stessi in profonda meditazione, le hanno poi tradotte in questi
tipi di suoni che variano un pochino tra il Nord ed il Sud dell’India, quello che
da un lato dell’India è chiamato “Kliim” da un altro lato dell’India poteva essere
chiamato “Kliing”, oppure se nel Sud c’è “Aiim” nel Nord troviamo “Aing”. Possiamo bene o
male notare che i suoni sono sempre più o meno gli stessi. É appannaggio del Buddhismo
tantrico tibetano il grande utilizzo di questi suoni per invocare le Divinità che risiedono sia
nel microcosmo, quindi all’interno del praticante, che nel macrocosmo, situate invece, nei vari
piani di coscienza (Loka).
Questi suoni sono molto molto potenti e devono essere attivati perché funzionino. É
tradizione in India passare dei periodi a volte
anche abbastanza lunghi come apprendista nella
casa del maestro, chiamata Gurukula (Gu: luce
che rimuove; Ru: oscurità; kula: radice). La casa
del maestro in genere era nella foresta perché
queste scienze hanno bisogno di un ambiente
molto calmo. Inoltre, l’adepto a questa scienza
deve dedicare ad essa molto tempo affinché la
sua mantra-sadhana (pratica occulta basata sul
suono sacro) possa portare il frutto desiderato.
In genere, l’apprendista seguiva un periodo di
servizio piuttosto lungo, in cui tagliava la legna,

53
puliva la casa, cercava il cibo per il maestro e intanto si bagnava nelle sacre vibrazioni del
campo aurico del Guru, potentemente risvegliato. L’apprendista veniva parzialmente risve-
gliato grazie alla sua devozione e al suo servizio al Guru in questo periodo, ma non era poi
detto che il maestro accettasse di iniziare l’apprendista alla sacra scienza che era in genere o
quella del soffio o quella del suono. Queste scienze in realtà miravano a risvegliare il cosiddetto
potere serpentino, cioè il potere dello Spirito Santo come lo chiameremmo nella nostra tradi-
zione, che una volta risvegliato all’interno del corpo del
praticante nel centro del coccige (Kunda), secondo i rac-
conti dei mistici, si innalza potentemente verso la testa.
Questo potere di milioni e milioni di Watt sale lungo la
sushumna, il canale centrale, ed Ida e Pingala i due canali
laterali per fissarsi in maniera definitiva sopra la testa
come un grande fuoco esattamente come dipinto e de-
scritto nel risveglio che avevano avuto i discepoli di Gesù
Cristo nel momento della Pentecoste. Questa risalita in-
fatti apre la corona e
fa poi discendere da
sopra la testa delle
energie cosmiche
superiori, che fon-
dendosi con esso si
fissano definitiva-
mente sopra la corona, sopra il settimo centro nella forma di una grande fiamma chiamato Ji-
vatman o “centro filtro” dell’Atman situato invece a un metro e mezzo sopra la testa. Il
Jivataman è quindi un ottavo centro di coscienza.
I bijashkara (come i suoni citati sopra) hanno la capacità di unire le energie di più Cha-
kra, per esempio il suono“Kliim”unisce le energie partendo dal muladhara (primo centro ener-
getico) fino all’Anahata Chakra. Per questo viene chiamato
Kamaraja mantra o mantra che concede di governare
l’energia del desiderio. Il suono “Hriim” invece unisce il
Chakra della gola al chakra del terzo occhio donando
enorme quantità di Shakty (Potere). La combinazione di
questi mantra è una faccenda molto complessa. Per esem-
pio combinando prima Kliim e poi Hriim si ottiene un certo
effetto psichico, mentre la combinazione contraria fa otte-
nere un’effetto psichico completamente diverso. Queste
combinazioni verranno fatte tramite la profonda capacità
dell’insegnante di vedere all’interno del fisico sottile del
praticante, i suoi nodi psichici chiamati “Granthi” e saper
calibrare i mantra in maniera proporzionale alle difficoltà
che l’aspirante incontra.
Quindi questa scienza non era una scienza studia-
bile e praticabile da soli. Aveva, ed ha, sempre e comunque
bisogno di uno stretto rapporto tra maestro e discepolo o Guru-shishya. Per questo si viveva
con questi esseri, con questi maestri nella foresta, che guardando attentamente il discepolo
capivano immediatamente quali erano i nodi che egli aveva ancora da sciogliere, perché quegli
stessi nodi che bloccavano le energie nel canale centrale o“Via Regia”o“Shushumna”del pra-
ticante si potevano verificare nel carattere del discepolo.
A volte, prima di donare un’iniziazione al mantra, il discepolo trascorreva anche dieci

54
o vent’anni a prestare servizio e veniva testato molte volte, alcune anche ingiustamente, a
volte veniva anche insultato o scacciato, denigrato per verificare il suo stato di umiltà, di de-
vozione, di sottomissione: questo, perchè i mantra danno molto potere e risvegliano veloce-
mente la coscienza, ma anche le zone del carattere più nascoste, più subconscie.
Il Guru doveva quindi occuparsi di quegli aspetti del carattere come l’attaccamento,
l’invidia, la gelosia, la collera.
Quindi la distruzione degli aspetti negativi del carattere e la ricostruzione dello stesso,
sulla base delle leggi universali. Questo era l’arduo compito che veniva metodicamente intra-
preso dal Maestro prima dell’iniziazione formale.

Poi, durante l’iniziazione, il suono veniva insufflato nell’orecchio sinistro del discepolo
intriso di “prana shakty” o energia vitale del Guru, che assieme al suono, gettava dentro al di-
scepolo il potere di realizzazione al mantra. Senza questo passaggio di Forza,
o Shaktypath, il mantra potrebbe essere equiparabile ad una medicina sca-
duta. Il passaggio di Forza, è paragonabile un pochino a quando un poco di
yogurt viene messo in un contenitore di latte, sufficientemente riscaldato.
Lasciando depositare il tutto per parecchie ore, tutto il latte diviene na-
turalmente yogurt. Allo stesso modo la potenza del Guru attraverso
l’iniziazione viene trasferita dal Maestro al discepolo.
Successivamente il discepolo dove isolarsi e trovare il
tempo di cantare il mantra un certo numero di volte ogni giorno,
accumulando giorni e giorni di pratica fino ad arrivare a cantare il
mantra almeno 16 milioni di volte. Per chi non ha ricevuto l’inizia-
zione si parla di 60 milioni di volte. Concluse tali austerità, il mantra in ge-
nere, veniva accettato dal corpo sottile del discepolo e si auto-cantava da solo. Il praticante
arrivato a questo punto, avendo accumulato molta Shakty, bastava che ascoltasse il mantra ri-
petersi dentro di lui nella sua mente o nel suo cuore, dato che tutto il suo corpo sottile era im-
pegnato da quel tipo di vibrazione. Il mantra era definitivamente entrato e questa vibrazione
Divina faceva parte del discepolo. A quel punto era facile poi il ritorno al Sè spirituale del di-
scepolo perché egli non doveva più occuparsi di ripetere il mantra ma poteva occuparsi di
ascoltare il mantra ripetersi da solo, e ascoltandolo poteva successivamente occuparsi di os-
servare “Chi” stava ascoltando il mantra; da che punto di se stesso veniva ascoltato. Veniva
quindi scoperto quello che è chiamato anche “Shakshy”, il testimone.
Ecco che si apriva la porta della Coscienza e dalla Coscienza poi la porta della Consa-
pevolezza. Infatti la Coscienza sta a metà tra i vari corpi del discepolo - chiamati in India Pra-
kriti o Natura inferiore del discepolo (corpo mentale, emotivo, pranico, eterico, fisico) - ed il suo
stesso Sé, che è invece è la Sua parte spirituale. Il Discepolo ha quindi usato il mantra per
uscire dal vortice di pensieri, dal vortice delle emozioni, per disidentificarsi; e quindi fatto que-
sto, riusciva a rimanere completamente immobile in questo stato di pura osservazione“Shakshy
Bhava”. Nel momento in cui lo stato di pura osservazione era prolun-
gato sufficientemente, allora Kundalini si risvegliava perché attivata
dal “calore” prodotto dallo stato di immobilità concentrata, e risaliva
sopra il capo cercando di unirsi a Shiva (Padre Divino).

Ecco che dallo stato di Coscienza, il discepolo diventava con-


sapevole della propria Vera Natura, del Sè infinito senza forma che è
oltre il chakra della Corona.n

55
IL VALORE EDUCATIVO
DEL SIMBOLISMO ASTROLOGICO
Hathor Go-Rex
“La superstizione sta alla religione come l’astrologia sta all’astronomia,
la figlia pazza di una madre prudente.”
[Voltaire]

“Lo cielo i vostri movimenti inizia;


non dico tutti ma posto ch’io ‘l dica,
lume v’è dato a bene e a malizia
e libero voler; che, se fatica,
nelle prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si nutrica”
[Dante-Purgatorio XVI, 73]

Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi.


Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi;
crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi.
Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini,
che possiamo modificare il corso degli eventi,
persino lo Zodiaco.”
[Giordano Bruno]

“L’Antica Saggezza insegna che lo spazio è un entità e l’astrologia si occupa della vita di que-
sta entità” scrive la Baeily riguardo tale disciplina, materia pratica, occulta e meta-
fisica, un connubio di scienza, religione e filosofia che studia le influenze
planetarie, i movimenti cosmici e le forze che ne sono alla base. Indissolubil-
mente legata all’astronomia con essa unisce il visibile (materia) all’invisibile
(forze agenti su di essa) come anima e corpo e basandoci sul fatto che “questo
mondo è necessariamente collegato ai movimenti del mondo superiore” (Arioistotele,
Trattato del cielo), lo studio dell’astrologia possiede quindi un valore edu-
cativo nella conoscenza di se stessi in rapporto sia alla massima affermata
dal Trismegisto,“come in alto così in basso”, che all’analogia tra macrocosmo
e microcosmo (universo e uomo) quali riflesso l’uno dell’altro.
L’astrologia si basa sull’idea che vi sia un’unità e un’interdipendenza
tra tutti i componenti del cosmo (principio applicabile anche all’essere
umano) nonchè sul fatto che i corpi celesti e gli individui siano animati dalla medesima energia.
Le influenze planetarie sull’uomo, sulla natura, non sono quindi né un dato trascura-
bile, né frutto di superstizione ma un meccanismo da comprendere studiando dapprima sin-
golarmente ogni ingranaggio e in seguito le loro varie combinazioni.
Il simbolismo dello zodiaco, la cui valenza è universale, e le previsioni astrologiche,
contengono quindi un messaggio tutt’altro che assoluto poiché soggetto a innumerevoli va-
riabili che, se trascurate, renderebbero la previsione imprecisa o errata. Tali previsioni conten-
gono inoltre un doppio significato: uno exoterico alla portata di tutti, l’altro esoterico, la cui
sfumatura occulta potrà essere colta solo da coloro che abbiano intrapreso un cammino ini-
ziatico e da cui potranno trarre un prezioso strumento di conoscenza di sè. Riconoscendo e

57
controllando le reazioni agli influssi cosmici agenti sulla personalità e imparando così a porci
rispetto agli eventi in una posizione quanto più distaccata possibile, potremo divenire osser-
vatori delle nostre emozioni e non succubi e, attraverso meditazione e introspezione, trarre
da tali forze metafisiche uno strumento di evoluzione. Una volta comprese le cause relative
alle manifestazioni impareremo a dirigerle a nostro vantaggio e, non essendone più mera-
mente assoggettati, diventeremo attivi costruttori del nostro destino, «Parte una nave diretta
verso Est, ne parte un ‘altra diretta verso Ovest, mentre il vento soffia in una direzione. Così è l’assetto
delle vele, e non il vento che determina la meta da raggiungere».
Il segno zodiacale sotto cui nasciamo racchiude e indica gli aspetti qualitativi, le incli-
nazioni, le attitudini che ci caratterizzano lungo il corso di suddetta esistenza e il tema natale
l’interezza delle condizioni karmike soggettive e relative sia alla nostra attuale incarnazione
che a quelle precedenti.
Sicuteri afferma: “Il linguaggio astrologico è strutturato sul rapporto fra il cielo e l’uomo,
dove il cielo è il significante e l’uomo il significato. Quindi il cielo, al momento esatto di una nascita,
con la sua particolarissima configurazione astrale è il significante dell’individuo che nasce e costui,
mediante la lettura del suo tema natale, potrà prendere coscienza del proprio firmamento interiore e
del suo valore archetipico. Ogni uomo, al momento della nascita, è inquadrato in una determinata
configurazione astrale e questa configurazione è come fotografata nella psiche inconscia sotto forma
di messaggio o memoria archetipica”.
Le forze planetarie agiscono in qualità di stimoli od ostacoli poiché esse condizionano
ma non determinano le nostre azioni, evolvere od involvere
portando o meno a termine il proposito dell’anima nel per-
corso di vita è sempre frutto di libero arbitrio, “i corpi celesti
sono la causa di ciò che avviene in questo mondo sub-lunare; agi-
scono indirettamente sulle azioni umane ma non tutti gli effetti
che producono sono inevitabili” (San
Tommaso d’Aquino, Somma). Il
tema natale sta a indicare quali
sono le condizioni karmike che
noi stessi abbiamo costituito nelle
incarnazioni passate nonché le
opportunità più consone alla per-
sonale progressione interiore. La
situazione in cui nasciamo non è
quindi mai frutto del caso, ma conseguenza del passato nonché
seme per il futuro,”l’uomo racchiude in se un’influenza ben più grande
di quella degli astri; se vive secondo giustizia supererà le influenze, ma
se segue le proprie cieche inclinazioni e si abbassa al rango dei bruti e
degli animali, vivendo come questi, allora il re della natura non coman-
derà più ma sarà quest’ultima a comandarlo” (Tycho Brahè).
Ognuno di noi ha quindi il compito di utilizzare i di-
fetti che si trascina dietro al pari dei talenti che gli sono stati
elargiti come strumenti di evoluzione, conoscenza e consa-
pevolizzazione di sè, attraverso lo studio delle simbologie zo-
diacali la cui importanza è ben affermata dalle parole di un
grande studioso quale Mircea Eliade, secondo cui “le imma-
gini, i simboli, i miti, non sono creazioni irresponsabili della psiche;
essi rispondono ad una necessità e adempiono ad una funzione im-
portante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere”.

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Il progresso scientifico dell’epoca moderna ha reso la nostra mente così razionale da
renderci dimentichi che oltre la carne ognuno di noi è costituito di anima, spirito ed emozioni,
e che ogni manifestazione fisica è conseguenza di una forza metafisica, una fitta rete di energie
invisibili regolano l’intero universo e solo imparando a conoscerle potremo armonizzarci con
esse. Astrologia, in ebraico, ha una ghematria di 330, numero corrispondente alla parola ar-
chetipo, assioma che ne palesa le profonde analogie. Il concetto di archetipo si riferisce e agi-
sce secondo esperienze innate e inconsce da sempre presenti nella psiche e che si manifestano
risvegliate da immagini equivalenti come ad esempio, nel caso specifico, i simboli astrologici
intrisi propriamente di tale funzione, conforme a quella delle favole, delle parabole e delle al-
legorie mitologiche. Così è avvenuto per gli astri nelle cui
qualità l’uomo primitivo ha riversato le proprie emozioni ri-
specchiandovi gli eventi, la natura e le esperienze inconsce
delle proprie esistenze in un analogia interpretativa sorpren-
dente se pensiamo che essa risulta sostanzialmente simile
seppur palesata da civiltà disparate sia culturalmente che
geograficamente come affermano le parole di un grande
astrologo quale Barbault: “Di fronte a questi miti e leggende
dalle origini così poco uniformi - concepite da popoli tanto diversi
e tanto lontani gli uni dagli altri, ma così straordinariamente si-
mili al punto da stabilire un simbolo universale, unico, come il
suono della campana - la sola spiegazione possibile è che questa
mitologia rappresenta una realtà psicologica: sorta di substrato
ancestrale dell’anima collettiva (inconscio collettivo), l’immagine arcaica del mito è stata proiettata
sul cosmo sotto l’aspetto di un’entità divinizzata.”.
L’astrologia racchiude quindi in sè e nella sua simbologia una rappresentazione del
mondo, delle energie che lo costituiscono nonché la loro proiezione e influenza nel microco-
smo umano. Pitagora sosteneva che ogni astro nel suo movimento emanasse una vibrazione
unica e che tale energia correlata alle altre, for-
masse nell’insieme un’armonia musicale che de-
nominò “la musica delle sfere”.
Ognuno di noi, come il tassello di un grande
puzzle, ne è parte, tale assioma può così farci in-
tuire quanto ogni essere sia responsabile per se
stesso ma non solo poiché fa parte di un sistema
più ampio che arriva ad abbracciare il tutto e l’im-
portanza di vivere in sintonia con esso. Su tale
concetto si basavano ad esempio le diagnosi di un
grande medico quale fu Paracelso che, prima di
prescrivere un medicinale ad un paziente, esigeva
di conoscere la sua carta astrologica proprio per
cercare di comprendere le cause della malattia
che sosteneva collegarsi ad una mancata sintonia
con le energie del cosmo. Egli ripeteva sempre:
“Fino a quando non conoscerò la posizione delle stelle
nel momento in cui quest’uomo è nato, mi sarà im-
possibile afferrare le note della sua sintonia interiore.
E se non conosco questa sintonia interiore, come posso
pensare di guarire quest’uomo?”
L’astrologia, nata in Mesopotamia nel terzo

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millennio a.C., si diffuse poi in
Grecia perfezionandosi nell’attri-
buzione ai singoli pianeti delle
qualità analoghe e corrispondenti
alle divinità mitologiche elleniche,
tali aspetti nelle loro innumerevoli
sfumature di interazione vennero
sintetizzati e unificati per la prima
volta nel sistema tolemaico e am-
pliate nei secoli successivi da innu-
merevoli astrologi. Le previsioni e i
riferimenti alla carta del cielo eb-
bero un influenza predominante su
filosofia, religione e scienza per
molte epoche finchè il razionali-
smo materialistico cominciò a
prendere posizione e con esso la
moderna scienza occidentale che
vede l’universo come una mac-
china inanimata, priva di qualsiasi
impulso metafisico, idea diametral-
mente opposta ai fondamenti della
scienza astrologica che vede invece
il cosmo come il prodotto non ac-
cidentale di un’intelligenza superiore e del cui perfetto disegno, privo di qualsiasi casualità,
fa parte la vita di ogni singolo individuo.
Nella civiltà ellenistica i principi archetipali su cui basano i presupposti astrologici,
sono quindi personificati nelle figure mitologiche, caratteristica peculiare e straordinaria del-
l’antica cultura greca, che associa ad ogni astro delle specifiche qualità. Il sole e la luna, ri-
spettivamente associati al principio maschile, Yang e quello femminile Yin trovano la loro

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personificazione in Helios e Selene, sua sorella, e
rappresentano due tipi di energie l’uno il carattere,
la personalità, la coscienza di sé, l’espressione che
caratterizza la persona, l’altra il subconscio, i lati na-
scosti, psichici, emotivi di cui spesso non abbiamo
coscienza, l’uno il principio attivo, l’altro quello ri-
cettivo. Il pianeta Mercurio impersonato da Hermes,
il messaggero degli Dei e psicopompo, non a caso
rappresenta l’intelletto quale ponte comunicativo per
eccellenza con i mondi interiori. L’archetipo di Venere
trova la sua espressione mitologica nella figura greca
di Afrodite, dea dell’amore, della bellezza della sen-
sualità, Marte rappresenta il rapporto aggressivo con
il mondo esterno, e viene personificato da Ares, Dio
della guerra. Giove viene associato a Zeus, re dell’Olimpo archetipo del successo, della for-
tuna, dell’ottimismo e dell’arricchimento sia spirituale che materiale e trova il suo opposto in
Saturno, il Dio del tempo Cronos, e nei suoi aspetti di restrizione, oppressione, provvisorietà,
invecchiamento, morte, termine delle cose, ma contenente anche la funzione regolatrice di
morte-rinascita. Tale funzione è inoltre correlata al processo di evoluzione spirituale nel le-
game tra le varie incarnazioni e le conseguenze alle azioni in esse compiute, in Saturno vige
quindi anche l’archetipo positivo della spoliazione ossia della purificazione necessaria. Urano
si rispecchia nella figura di Prometeo, archetipo della forza decisionale, della ribellione, del-
l’improvvisa liberazione, di drastici cambiamenti interiori ma anche nei lati oscuri dove la
qualità, portata al suo eccesso, si fa vizio. Nettuno trova la sua corrispondenza archetipale in
Poseidone, Dio del mare e perciò collegato alle acque primordiali, all’energia di creazione co-
smica (Kundalini) ma anche nel suo opposto, a quella di distruzione (la Divoratrice, Dea
Madre Kali), simboleggia l’unione mistica e nel suo opposto la distorsione della realtà, estrema
consapevolezza o confusione in tutto ciò che concerne le energie psichiche. L’archetipo di
Plutone trova riferimento nel dio greco degli inferi, e quindi all’interiorità della terra, meta-
foricamente interpretabile come i nostri mondi più infimi, impuri e nascosti.
Tale sopradescritta personificazione dei
principi archetipali è quindi il palese fon-
damento di illustri e antiche filosofie come
quella platonica o socratica quanto diame-
tralmente opposta ed estranea a quella
odierna e materialistica. Interessante è
inoltre riflettere sull’idea che le forze
agenti nel macrocosmo siano le stesse e si
riflettano quindi parallelamente nel micro-
cosmo, da ciò si evince che gli archetipi
planetari agiscono sia sul mondo psichico
dell’individuo che sugli eventi del mondo
fisico, ma non tuttavia in modo assoluto
viste due imprescindibili verità quali il li-
bero arbitrio umano e l’Onnipotenza divina; esempio lampante di ciò viene suggerito proprio
nei versetti biblici della genesi in cui Dio rassicura Adamo che, diversamente dalla predizione
astrologica che ne decretava l’impossibilità ad avere figli, sarebbe divenuto padre:“Lo fece uscire
all’aperto e gli disse: ‘Osserva il cielo e conta le stelle, se puoi contarle’. E soggiunse: ‘Così numerosa
sarà la tua discendenza’. Egli ebbe fiducia nel Signore che gliela ascrisse a merito” Genesi (15:5-6).

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Il libero arbitrio, ossia la possibilità di agire secondo propria volontà, è la chiave pre-
ziosa in grado di non farci soccombere inerti alle fatalità degli eventi ma trasformare attiva-
mente il nostro destino, il primo passo per fare ciò è acquisire conoscenza e dominio di se
stessi ma non solo, importante è anche accettare le necessità delle leggi che regolano la natura
senza esserne soggiogati ma governandole in modo da trarne il maggior beneficio evolutivo.
Le simbologie degli astri, dei segni zodiacali, le loro caratteristiche e le mitologie a essi cor-
relate se accuratamente studiate, sono un valido strumento per scrutare in noi stessi ma non
solo, poiché lo zodiaco incarna oltremodo metaforicamente il susseguirsi delle fasi di trasfor-
mazione descritte nell’Opus alchemicum e suddiviso in tre fasi esplicate altrettante volte ma
in modo diverso nei quattro elementi, poiché nei 12 segni si rispecchia il percorso di evolu-
zione interiore, e la conseguente progressiva trasformazione del rapporto personale tra Spirito
e materia, sia rispetto il proprio corpo che nei confronti dell’ambiente che ci circonda.
Le tre fasi si suddividono in putrefazione, sublimazione e infine fissazione del nuovo
stato di consapevolezza, un processo ciclico e individuabile solo prendendo coscienza di sè e
dei mutamenti del nostro stato interiore, cambiamento che vedremo rispecchiarsi linearmente,
simbolicamente e analogamente nel susseguirsi delle stagioni astronomiche nonchè dei segni

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zodiacali e dei quattro elementi che li caratterizzano.
L’ariete, il primo dello zodiaco, rappresenta il
Fuoco del risveglio ed è associato alla primavera interiore,
al germogliare di una nuova nascita, all’iniziazione; il toro
rappresenta la Terra in cui tali germogli dobbiamo affon-
dare, al lavoro interiore, la fase di nigredo necessaria; la
discesa nei nostri inferni sarà poi seguita da una risalita,
simbolicamente rappresentata dall’elemento Aria che ca-
ratterizza i Gemelli, in cui prende vita un nuovo stato del-
l’essere il cui sviluppo figura nel segno del Cancro,
collegato all’Acqua quale linfa di conoscenza.
Il nuovo stato sarà tuttavia instabile, passeggero e
necessiterà di ardore per sussistere, l’ardore del Fuoco del
Leone, espressione di forza e azione, una fiamma che darà
la spinta a perseverare nel percorso per ritrovare stabilità,
un equilibrio a cui potremo arrivare scavando di nuovo in
noi stessi, ma in una terra fertile e non più oscura come la
precedente quella della Vergine, da cui potremo trarre co-
scientemente l’insegnamento non essendo più completa-
mente succubi e inermi come in precedenza dinnanzi alle
forze interiori, che ora potremo spiritualizzare, penetran-
dole. Da questa Terra raccoglieremo quindi i frutti di una
nuova elevazione più stabile correlata all’Aria della Bilancia, in cui dovremo prendere coscienza
del nostro compito quale parte di un organismo più vasto, per la cui armonia ogni singolo in-
dividuo ha una funzione preziosa. Questa nuova consapevolezza ci porterà a vivere con pon-
derazione, in un tale stato di pace interiore che tenderemo a conservare eccessivamente,
rischiando di farlo diventare involutivo e stagnante quale è l’Acqua dello Scorpione.

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E sarà qui doveroso l’intervento di un nuovo Fuoco, quello del Sagittario che, diver-
samente dai precedenti, intensi e brucianti, irradierà un’energia calma e co-
stante in grado di dirigerci al nostro stato originario fino alla totale
consapevolezza del nostro essere Spirituale.
Liberi dai vincoli materiali saremo finalmente privi di ogni at-
trattiva della Terra rappresentata dall’elemento che caratterizza il Ca-
pricorno, per poi giungere all’elevazione finale nell’Aria dell’Acquario,
in cui ormai non saremo più succubi delle illusioni dei sensi del qua-
ternario, a cui moriremo definitivamente nell’Acqua della Conoscenza
rappresentata dall’ultimo segno dello zodiaco, quello dei Pesci e che segna
quindi la fine del percorso evolutivo dell’anima. Da questo cammino, che
palesa uno degli aspetti simbolici della ruota dello zodiaco, possiamo facilmente
renderci conto come il movimento sia costante e necessario per una metamorfosi dell’essere e
come gli archetipi contenuti nei segni zodiacali mostrino la via che ognuno di noi deve compiere
e siano quindi preziosi strumenti attraverso i quali comprendere noi stessi e le leggi del cosmo.

“L’universo è un organismo
nel quale tutto ciò che vive
compie una funzione,
discerniamo la nostra,
e convogliamo tutte le energie al suo compimento”
(O.Whirt, Il simbolismo astrologico).n

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CALENDARIO OPERATIVO 2018

03:25 ° ° Luna piena


03:18 l
Martedì 2
Gennaio Mercoledì 17 l Luna nuova
Mercoledì 31 14:27 ° Equinozi/Solstizi

Febbraio Giovedì 15 22:06 l

01:52 °
14:14 l
Venerdì 2
Sabato 17
Marzo
Martedì 20 17:15 Equinozio di Primavera
Sabato 31 13:37 °
Lunedì 16 02:59 l
01:59 °
Aprile
Lunedì 30
Martedì 15 12:49 l
15:21 °
Maggio
Martedì 29
Mercoledì 13 20:45 l
Giugno Giovedì 21 12:07 Solstizio d’Estate
Venerdì 28 05:54 °
Domenica 13 03:49 l
21:22 ° (N.B. - il 27 è visibile in Italia l’eclisse lunare)
Luglio
Venerdì 27
Sabato 11 10:59 l
12:58 °
Agosto
Domenica 26
Domenica 9 19:02 l
Settembre Domenica 23 03:54 Equinozio d’Autunno
Mercoledì 26 03:55 °
Martedì 9 04:48 l
17:47 °
Ottobre
Mercoledì 24
Mercoledì 7 17:03 l
Novembre Venerdì 23 06:41 °

Venerdì 7 08:22 l
Dicembre Venerdì 21 23:22 Solstizio d’Inverno
Sabato 22 18:50 °

Le ore indicate tengono già conto dell’Ora Legale, perciò non occorre aggiungere 1 ora

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