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“ Il Santo ”

Eccolo. È arrivato finalmente. Appena in tempo.


Sempre in sella alla sua bici riciclata. Non tanto vecchia, in
fondo. Una mountain viola, modello andato. Riconoscibile
da un personalissimo portapacchi posteriore in rete verde
da recinzione. A maglia larga. Sembra un contenitore per
conigli che tentano di uscire dal cilindro.
L’abbigliamento, al solito, inconfondibile. Pantaloncino corto
da calcio anni ‘70. Zoccolatura Dr. Sholl’s gommata nuova
da lui stesso. Imitazione artistica. Magliettina sbracciata
slabbrata, forse interna, quella che capita, ma sempre con le
cuciture in fuori. Niente orologi o altri oggetti superflui. La
regola è nessun fastidio.
Ma cosa si è messo in testa stasera? D’accordo, la sua
testa è sempre apparsa come un pianeta lontano ma, ma
quel disco cavo sfocato un po’ sollevato dalla chierica…
ricorda gli anelli di Saturno.
Che strano però, emana una luce sottile. E molto intensa.
Non l’avevo mai visto così. Eppure lo conosco da una vita.
Mi ha cresciuto anche lui, praticamente. Mi rivolgo a uno
spettatore in attesa del teatrino:
Ehi tu! Ehi!
Lo vedi quello lì? Quello un po’ strano, lì davanti.
Sì, sì,quello con la bicicletta parcheggiata proprio sotto il
palco! La vedi quella specie di aureola appena sopra il
cocuzzolo?
Mi risponde con voce nasale sformata:
eh magari stai vedendo un Santo! Pensa allo spettacolo va’!
E sta fermo con le mani addosso!
Replico incredulo:
Ma come non lo vedi? Non vedi quello che vedo io?
Stizzito, il vecchio mingherlino con pustole dappertutto mi
invita nervosamente a star zitto e a lasciarlo in pace,
dandomi del cretino. Mi scuso con lui rasserenandolo.

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Per tutto il finire della sera vidi quel figuro pelato, a
braccetto con la sua bici, così, con l’aspetto di un uomo
venuto dalle nuvole.
Quell’anello velato sulla testa aveva soppiantato i boccoli a
visiera che da giovane gli avevano riempito la fronte
colorandolo di castano. Il mattino dopo lo rividi inalterato. In
tutto. Aureola compresa. E così nelle settimane successive,
e per tutto il tempo a seguire.
Sì, era un Santo, non mi potevo sbagliare. Per me era un
Santo. E in fondo non perché lo vedevo in quella maniera,
ma perché lo consideravo tale. Un autentico, angelo.
E già, a pensarci, gli angeli, o santi che siano, sono quelli
capaci di fare ciò che quasi nessuno fa, usare l’amore.
Eppure la sua vita pare una tragedia, un’angoscia, un
tormento, una sventura.
Ma solo per gli altri, per chi lo sta a guardare. Non per lui.
Sveglia al mattino come per andare a lavorare. Discesa dal
letto, infilare le ciabatte e via a fare la colazione, quella di un
qualsiasi ragazzo di una volta: coppa di ceramica bianca e
cucchiaio d’acciaio da affondare nel pane a pezzo del giorno
prima messo a mollo nel latte.
Ci si siede. E alla fine ci si rialza. Si va al bagno: lavaggio
denti, viso, ascelle e pettinata finale a quel che resta.
Ci si veste. Pronti per la spesa come uno sposato. Si
scendono alcuni gradini. Breve e intensa passeggiata
d’andata. E al ritorno, una sola busta da poter portare.
Cucina con pietanze da uomo moderno e sapori antichi.
Pronti per il pranzo. Piatto unico, ma completo.
Servirsi delle posate, portarle alla bocca, pulire col
tovagliolo. Stavolta è il bicchiere che va alla bocca per bere,
e poi riscende. Acqua, ovviamente. La frutta sminuzzata non
può mancare. Ci si siede, e alla fine, ci si rialza.
Il pomeriggio non c’è tempo di riposare. Si va di nuovo al
bagno. Stavolta per il di dietro, e poi per il davanti. Da lavarli
entrambi, dopo. C’è da sedersi anche lì. E c’è da rialzarsi
ancora. La tv non serve, il cellulare solo per le urgenze.

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Dieci flessioni e una corsettina nel corridoio per rimanere in
forma. Un album dei Beatles in sottofondo e un po’ di
chitarra d’accompagnamento sulla voce, quando è possibile,
giusto per tenersi allenati. E poi lavare, strizzare, stendere i
panni.
Con i panni fa un lavoro strano: li mette insieme, tre o
quattro, e invece dello stendino li adagia sul tavolo, li
accosta e li nastra l’un l’altro creandone uno unico. Un
enorme pannolone 24 ore.
Poi spolverare, un po’ di scopa elettrica, mettere a posto gli
oggetti. Ogni volta che passa ne elimina alcuni. Lentamente
sta denudando quella casa come un cadavere da portare
all’obitorio in attesa dell’autopsia.
Una volt’a settimana, al bagno si va per la pulizia totale. Ci
si sveste. Si pulisce tutto. Fino al naso, alle orecchie e ad
altri luoghi nascosti e intimi.
Si asciugano i ciuffi dei capelli, il cambio della biancheria, le
mutandine, il reggiseno, la maglia interna. Infilarsi i pantaloni
larghi, la camicetta, le calze, le scarpe, il giubbino d’inverno,
il cappellino di cashmere.
All’imbrunire arriva la passeggiata, visita alla chiesa inclusa
nel percorso. Si può stare soltanto scomodamente seduti,
guardando i burattini eseguire il movimento di rito che
prevede l’alternanza con lo stare in piedi.
Si rientra a casa. È l’ora della cena. Ci si siede. Una pasto
da umili, naturalmente. Al sabato non si rinuncia alla pizza
apparecchiando il necessario a corredo del cartone. La
solita liturgia del mangiare. Si sparecchia. Ci si rialza per
l’ultima volta nella giornata. Finalmente a letto. Ci si sveste
per dar forma a quei pigiami rigati appesi alle spalliere
laterali. Il meritato riposo del dormire.
C’è odore di donna, accanto a lui. Ma senza più fragranza.
Già, questa vita si svolge a quattro mani, a quattr’occhi, a
quattro gambe, e chissà, forse a quattro orecchie.
Certamente a due bocche da sfamare, due buchi di culo da
gestire, due genitali da ripulire.

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Lui, è quella sedia con le ruote sotto.
Lui è quel letto matrimoniale protetto ai lati.
Lui, è quel pannolone gigante realizzato in serie con diritti
d’autore.
Lui è i suoi occhi, lui è le sue parole.
Lui è il suo vivere.
È sua sorella, quelle braccia collegate alle sue mentre
camminano. È sua sorella, quelle gambe fronte alle sue
mentre camminano. E’ sua sorella, quella bocca in più.
Ha il morbo di Alzheimer. Allo stato avanzato. I denti che gli
restano, la schiena sferica, una mano viola, un ictus. Non ha
più parole. E forse neanche pensieri. Profilo aguzzo, gambe
di pietra incernierate, braccia penzolanti e ventre gonfio,
ciuffetti da neonato cosparsi sul capo, pelle bianca interrotta
dalle piaghe da decubito. Pare essere il custode di un
vecchio campanile abbandonato, dove il tempo ha i giorni
contati. E Dio la può vedere!
E un giorno, un giorno Dio è riuscito a vedere anche lui!
Come si dice: aiuta, che Dio ti aiuta.
E Dio lo ha aiutato. Ha pensato a lui.
Non è vero che Dio non esiste!
Da quel momento egli ha cominciato a esistere. E gli ha
inviato un pacco regalo. Un pacco regalo a misura d’uomo.
Anzi, di donna. Un involto gigante con dentro un angelo
peccatore tutto per lui. Iniziandolo, incredulo lui stesso che
ci potesse essere ancora un anziano da iniziare.
Quell’ angelo dai fianchi larghi e dalle cosce di pane, dalle
mammelle strizzate e penzolanti, dalle labbra di rossetto
viola e le palpebre abbinate, dai capelli racchiusi in una
coda, già ammaritato e con il ventre gonfiato e sgonfiato per
due volte tanto tempo fa. Una creatura a sembianza di
ragazza con le ali cresciute fino all’età dell’adolescenza, e
poi lasciate lì in attesa di volare. Una creatura con ancora il
bisogno di un affetto vero e puro, che va a trovarlo quando
può per svuotare i serbatoi in tutti i modi, come dice lui.
Senza null’altro a pretendere.

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Per la verità, per quanto incalcolabile fosse il debito verso di
lui, anche il Diavolo gli ha spedito i suoi pacchi regalo del
medesimo tipo. Ma dopo averci giocato un po’, lui ne ha
sentito la puzza di fumo, preferendo il suo caro angelo.
Quante cose abbiamo da imparare.
Fino ad imparare che non possiamo capire.
Ma continuare comunque a volere imparare.
E a chiederci cosa sia un santo, cosa sia un angelo, cosa
sia un uomo.
Se soltanto in ciascuno ci fosse un po’ di quella vita.
Fare per nostra madre quando invecchia in un ospedale
esaurendo le forze. Fare per nostra zia senza doverla
rinchiudere in un ospizio. Fare per nostra sorella fin che le
batte il cuore.
Avere un nome e cognome che non ci va di dire a nessuno
perché non serve.
Allora, senza offesa, come dice lui, per gli altri Santi,
io ti santifico nel nome di tua madre e di tua sorella.
Perché solo chi ama il vivere degli altri conosce il vivere più
di ognuno. Perché solo chi combatte la morte degli altri ha
capito anche la vita.

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