You are on page 1of 25

centre d'études supérieures de la renaissance

Université François-Rabelais de Tours - Centre National de la Recherche Scientifique

Daniele
Barbaro 1514-1570

Textes réunis par


Frédérique Vasco
Pierre Laura

Collection | Études Renaissantes 


Dirigée par Philippe Vendrix & Benoist Pierre

2017

© BREPOLS PUBLISHERS
THIS DOCUMENT MAY BE PRINTED FOR PRIVATE USE ONLY.
IT MAY NOT BE DISTRIBUTED WITHOUT PERMISSION OF THE PUBLISHER.
En couverture : Veronèse, Portrait de Daniele Barbaro, vers 1562, huile sur toile, 121 × 105,5 cm.
Amsterdam, Rijksmuseum, SK-A-4011.

Relecture, conception graphique & mise en page


Alice Loffredo-Nué

© Brepols Publishers, 2017


ISBN 978-2-503-57551-3
D/2017/0095/192
All rights reserved. No part of this publication may be reproduced stored in a retrieval system,
or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording,
or otherwise, whithout the prior permission of the publisher.

Printed in the E.U. on acid-free paper

© BREPOLS PUBLISHERS
THIS DOCUMENT MAY BE PRINTED FOR PRIVATE USE ONLY.
IT MAY NOT BE DISTRIBUTED WITHOUT PERMISSION OF THE PUBLISHER.
Table des matières

7 | Remerciements
9 | Avant-propos

17 | Deborah Howard
Daniele Barbaro and Two Ladies named Giulia
31 | Silvia Scattolin
Vita privata : Il rosion dil re d’Ingiltera di Daniele Barbaro
41 | Deborah Howard
Barbaro Family Portraits in the Cinquecento : Some Observations
59 | Tracy E. Cooper
Daniele Barbaro and the Commemoration of a Patriarchal Dynasty
71 | Ann E. Moyer
Daniele Barbaro and his Dialogue Della eloquenza
81 | Pierre Caye
Daniele Barbaro ou la veritas græca du De architectura de Vitruve
101 | Annarita Angelini 
Daniele Barbaro : l’architettura come methodus e machina del sapere
115 | Koji Kuwakino
La varietas in una sylva geometrica che «ricrea la mente stanca dal pensiero delle cose difficili»:
Daniele Barbaro e l’Orto botanico di Padova
137 | Pierre Gros
Forum et basilique dans le Vitruvio de Barbaro
153 | Frédérique Lemerle
Barbaro et les Annotationes de Philandrier sur Vitruve
165 | Manuela Morresi
Fonti bibliche nei Commentari a Vitruvio di Daniele Barbaro
187 | Antonio Becchi
I commenti di Daniele Barbaro al Proemio
della «terza parte principale dell’Architettura» (1556-1567)

© BREPOLS PUBLISHERS
THIS DOCUMENT MAY BE PRINTED FOR PRIVATE USE ONLY.
IT MAY NOT BE DISTRIBUTED WITHOUT PERMISSION OF THE PUBLISHER.
199 | Werner Oechslin
„Sciographia“, die vierte Darstellungsform („species dispositionis“):
Daniele Barbaro, Andrea Palladio und die Kodifizierung der Architekturzeichnung
221 | Laura Moretti
Ancora sulla scenographia : i manoscritti preparatori per la parte quarta
de La pratica della perspettiva di Daniele Barbaro (1568)
253 | Margaret M. D’Evelyn
“The most delightful presence of light”: Glimmers of Perspective
in Daniele Barbaro’s Manuscript Commentaries on Vitruvius
273 | Maria Losito
Daniele Barbaro inventore : il De horologis describendis libellus
e l’Horario universale nella teoria e nella pratica vitruviana
289 | Yves Pauwels
Quatre colonnes et un entablement : Palladio et Barbaro à Maser
297 | Luigi De Poli
Daniele Barbaro : du texte de la Predica aux images de Maser
307 | Francesco Trentini
Le machinationi etiche di Daniele Barbaro negli affreschi di Veronese a Maser
329 | Stefano Lorenzetti
«Quello che è consonanza alle orecchie è bellezza agli occhi».
Figure della musica nel commento a Vitruvio di Daniele Barbaro
341 | Vasco Zara
«Udire secondo le Idee». Daniele Barbaro e la musica degli affetti
373 | Daniel K. S. Walden
Daniele Barbaro, Nicola Vicentino, and Vitruvian Music Theory in Sixteenth-Century Italy
391 | Daria Perocco
Daniele Barbaro ambasciatore e letterato
409 | Carlo Alberto Girotto
Les éditeurs de Daniele Barbaro
421 | Shanti Graheli
Daniele Barbaro e la Repubblica delle Lettere
445 | Don Giacomo Cardinali
Daniele Barbaro corrispondente del cardinale Guglielmo Sirleto
455 | Carlo Alberto Girotto
Une lettre de Daniele Barbaro à Charles de Guise
(et quelques hypothèses pour la fortune de Barbaro en France)
465 | Fernando Marías, José Riello
La fortuna de Daniele Barbaro en la península ibérica
479 | Frédérique Lemerle
Les Vitruve de Barbaro au xviie siècle
489 | Pierre Caye, Eugène Priadko
Le Barbaro de Vasilij P. Zubov
492 | † Vasilij P. Zubov
De la vie et de l’activité scientifique de Daniele Barbaro

523 | Bibliographie
575 | Index

© BREPOLS PUBLISHERS
THIS DOCUMENT MAY BE PRINTED FOR PRIVATE USE ONLY.
IT MAY NOT BE DISTRIBUTED WITHOUT PERMISSION OF THE PUBLISHER.
Le machinationi etiche di Daniele Barbaro

Francesco Trentini
Università Ca’ Foscari, Venezia

Nonostante il catalogo di Daniele Barbaro non registri alcuna opera dichiaratamente dedicata a
questioni etiche, ad una lettura accurata della sua produzione colpisce la nutrita serie di luoghi
nei quali dimostra di avere un’idea molto chiara ed originale dei criteri che debbono orientare la
vita dell’uomo. Si ha l’impressione che insieme all’organizzazione metodica del sapere universa-
le egli avesse concepito anche una personale dottrina morale: un’idea suggerita, del resto, anche
dalla testimonianza resa da Sperone Speroni, suo maestro e amico carissimo, nell’introduzione
al Dialogo della vita attiva e contemplativa. Il dialogo, scritto da Sperone poco prima del 1540
nell’àmbito dell’impegno per l’affermazione di un’etica civile contrapposta agli otia intellettuali,
ha la peculiarità di presentare Barbaro come il testimone di una posizione morale che coniuga
l’orientamento al «vivere umanamente» – l’humanita – con lo studio dei «secreti della natura
e di Dio», privilegiando però la vita attiva sulla pura contemplazione filosofica1. Ciò corrisponde
ad un ritratto inedito del celebre prelato veneziano che siamo piuttosto abituati a pensare come
finissimo esponente del moderno enciclopedismo2.
In realtà negli anni dello studio universitario Barbaro ebbe occasione di misurarsi con la
stretta attualità del dibattito in corso all’interno della scuola padovana intorno a temi morali e
pratici che andavano dalla critica della tradizione antica alla contrapposizione tra determinismo
etico e libero arbitrio. Non bisogna dimenticare che nel 1537 egli ottenne l’insegnamento di
Filosofia Morale all’Università di Padova3, e che nel 1541 fece parte del gruppo di talenti da-
vanti ai quali Alessandro Piccolomini fu chiamato da Speroni a leggere e commentare l’Etica
Nicomachea nell’ambito dei lavori dell’Accademia degli Infiammati4.

1 Speroni 1740, Dialogo della vita attiva e contamplativa, ii, p. 1-2.


2 Angelini 1999.
3 Facciolati 1757, p. 314.
4 Vianello 1988, p. 105.
Il segno lasciato da queste esperienze giovanili nella sensibilità di Daniele Barbaro è un
capitolo non più trascurabile, se si vuole comprendere appieno il significato contestuale della
308 sua proposta culturale. Nondimeno tale aspetto può essere studiato efficacemente solo tenendo
conto di un’ulteriore testimonianza ancora troppo poco considerata dagli storici della cultura:
F RA N C E S CO T R E N T I N I

gli affreschi della villa che egli fece realizzare da Andrea Palladio entro il 15595 e decorare da Paolo
Veronese verso il 15606 per sé e il fratello Marcantonio. A questo scopo può essere utile con-
centrarsi sul gruppo di ambienti costituito dalla Sala dell’Olimpo e dalle adiacenti stanze dette
rispettivamente del Cane e della Lucerna che, ad un’attenta rilettura, si rivelano come un’ecce-
zionale ‘macchina simbolica’ capace di orientare al ‘vivere umanamente’ chi l’attraversa in modo
intelligente.

La prudenza dell’uomo politico


[Daniele Barbaro] toglieva al cielo con somme lodi quei virtuosi, i quali vivono
umanamente, cose operando, con le quali mentre onorano se medesimi, giovino
altrui, e qua e là travagliando pongano in pace i lor cittadini7.

Delineandone il progetto etico, Speroni indica con molta chiarezza nella dimensione politica il
contesto entro cui l’humanita secondo Barbaro può compiutamente attuarsi. Ma preliminare a
qualsiasi discorso sull’agire politico, per l’uomo del Rinascimento, è il problema della Fortuna
intesa come Sorte, primo elemento perturbatore nelle vite degli uomini, immagine della varia-
bilità delle occasioni. In questi anni della Fortuna s’indaga a fondo ogni aspetto: la si studia, la
si odia, la si vorrebbe favorevole, si cerca riparo nelle sicurezze della virtù perché la si teme. La si
affronta per luoghi comuni, ad esempio denunciandone il carattere capriccioso il più delle volte
sfavorevole all’uomo di valore e d’intelletto. Vi ritornano di frequente i repertori di emblemi,
da Guillaume de la Perrière a Francesco Marcolini, immancabilmente contrapponendo la buona
sorte del bifolco o del fannullone che riceve ricchezze ed insegne regali di ogni genere, alla cat-
tiva dell’uomo di valore8, l’uomo dallo spirito distinto e onorevole che non riuscirebbe ad ave-
re lo stesso felice esito nemmeno se dovesse «lavorarci per cinquant’anni»9. Vi ritorna Jacopo
Tintoretto all’inizio degli anni Quaranta, nell’Allegoria della Fortuna oggi a Brera, scoprendo
nella fisima umanistica un contenuto universale. Pur senza dimenticare la proverbiale frustrazio-
ne dell’intellettuale, rappresentato dal vecchio col copricapo rosso, egli rappresenta l’iniquità
del caso facendo piovere corone e flagelli su degli uomini tutti genericamente abbigliati e privi di
particolari qualifiche: un contrasto fra una democratica rappresentazione dell’umanità e l’anti-
democratica azione della Sorte/Fortuna10.
Anche la stanza del Cane a villa Barbaro contiene una complessa e coerente meditazione
sulla Fortuna, interpretata questa volta attraverso il classico contrasto con la virtus. È proprio lei

5 Vedi il contributo di Donata Battilotti in Puppi 1999, p. 469-471.


6 Puppi 1999, p. 471.
7 Speroni 1740, p. 2.
8 Marcolini 1540, p. 40 (Destino).
9 La Perrière 1544, emblema xxix : Plutost sera Fortune favorable.
10 Gentili 2012, p. 17-19.
309

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O
La Fortuna spodesta un re

(fig. 1), la dispensatrice di ricchezze o di pene già apparsa nelle Sorti di Marcolini, a comparire nei
panni di un’avvenente giovane donna al fianco del vecchio re addormentato: lo dichiarano senza
ombra di dubbio gli attributi della catena, della corda e della corona, identici a quelli dell’inci-
sione11. L’immagine ci ricorda che la Fortuna, oltre ad essere totalmente cieca – o meglio perver-
sa – nel distribuire i suoi privilegi, è anche straordinariamente volubile e pronta a riprenderseli
indietro. «Nempe addit cuicumque libet Fortuna rapitque / Irus et est subito, qui modo Croesus
erat»12, scriveva Ovidio alla giovane amica Perilla mettendola in guardia dai rovesci di fortuna e
suggerendole l’antidoto della vita intellettuale. Il monito ovidiano riecheggia anche nella stanza
del Cane, ove infatti la Fortuna capricciosa si riprende la corona togliendola ad un ricco sovrano
colpevole di essere sprofondato in un sonno imprudente13.
La fortuna –  scriveva Cervantes  – «per l’imprudente poco dura»14. Per questo a villa
Barbaro, dove la fuga dal mondo concessa a Perilla non è messa in conto, s’invita lo spettato-
re, attraverso adeguati ammonimenti figurati, a bilanciarne l’azione con il valore. Del resto già
Machiavelli non aveva dubbi: «[Fortuna] dimostra la sua potentia dove non è ordinata virtù
a resisterle, e quivi volta li suoi impeti, dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tener-

11 Marcolini 1540, p. 91 (Sorte).


12 Tristia, III, 7.
13 La sottile impressione che la donna stia insidiando il re addormentato fu rilevata già da Medea 1960, riveduta
e corretta in anni recenti da Tagliaferro 2005, p. 44-46.
14 Schevill, Bonilla 1922, p. 56.
la»15. In particolare, secondo una tradizione che risale ad Aristotele, sono prudenza e vigilanza
a dover governare ogni atto dell’uomo politico16, poiché servono a discernere il vero dal falso,
310 distinguendo l’invidiosa calunnia dalla nuda verità. Per questo Veronese introduce nella coppia
di statue della parete meridionale, la giovane fanciulla e la terribile vecchia vizzosa con il ser-
F RA N C E S CO T R E N T I N I

pente in mano, un’allusione potentemente brachilogica alla Calunnia di Apelle. Al prudente


discernimento sulla parola ricevuta, l’uomo politico deve unire una costante azione di vigilanza
nei confronti delle lusinghe della vita politica. L’avvertimento sarebbe venuto dall’allusione alla
Continenza di Scipione celata nelle due statue ai lati della finestra sul lato nord, dove la fanciulla
che, secondo Polibio, era stata presentata come regalo al romano conquistatore si copre entrambi
i seni nell’estremo atto di pudore sotto gli occhi del guerriero romano dall’aria severa, capace di
tenere lontano dal munus civile gli stimoli dei sensi.
Vigilanza e prudenza, però, dipendono dalla virtù della modestia, qualità indispensabile
che purtroppo manca alla giovane donna riccamente vestita del riquadro centrale della volta
(fig. 2). Lo dimostra il fatto che, una volta giunta al cospetto di Abbondanza, non ha alcun pudo-
re ad allungare la mano per afferrare la cornucopia, infrangendo ogni regola, smascherando la sua
arroganza e non ottenendo altro che il netto rifiuto della bella dea17. La protervia della giovane si
riverbera nella figura del leone feroce minacciosamente in piedi a puntare l’Abbondanza, come
pure nella strana compagna dall’aspetto vagamente caprino, animata da intenzioni tutt’altro che
buone come denuncia il grosso coltello che tiene nascosto in grembo. La genericità nella presen-
tazione di questa donna autorizza a rilevarne il carattere insidioso e doppio ma non consente di
assegnarle alcun nome, mentre la giovane donna al centro della composizione essendo descritta
con un buon grado di dettaglio e con diversi attributi può e deve essere identificata con maggiore
precisione. La coroncina e il filo di perle ad arricchire l’acconciatura sono ben noti attributi di
verginità, e non c’è dubbio che il bracciale all’omero sia attributo caratteristico di Afrodite. Nella
cultura visiva veneziana, la sola figura in cui le caratteristiche di purezza virginale e i valori tra-
scendenti della Venere celeste si presentino assieme in modo significativo è l’allegoria di Venezia,
secondo una consolidata tradizione letteraria ed iconografica18. Venezia, dunque: accompagnata
dal fedele leone e vestita di bianco, verde e oro, proprio come appare in un dipinto di Bonifacio
de’ Pitati ai Camerlenghi. Ma una Venezia sorprendentemente negativa, una sorta di monito per
immagini a operare nella vita politica con modestia, incastonato nel sistema iconico dell’intera
stanza con la forza di un exemplum ex negativo.
Lavorando sui temi di Fortuna, prosperità ricercata, virtù civili, scelta dei tempi giusti, nella
stanza del Cane Daniele Barbaro mette a punto una sorta di ‘specchio iconografico dell’uomo
civile’ perfettamente in linea con il pragmatismo politico già professato da Speroni19. Perciò non
dovremmo stupirci se gli stessi temi tornano con forza in apertura all’Historia Vinetiana di Paolo
Paruta, laddove l’autore, col pretesto di presentare il pensiero dei senatori veneziani all’indoma-

15 Il Principe, 25, Inglese 1995, p. 73.


16 Viroli 1994, p. 19-28.
17 Larcher Crosato 1982; Larcher Crosato, 2001.
18 Per una sintesi sull’argomento si veda in particolare Loechel 1996; e Tagliaferro 2005 p. 6-15.
19 Snyder 1989.
311

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O
ni di Agnadello, tratteggia la sua moderna idea di politica con modi molto prossimi agli affreschi
veronesiani:
312
Riducevano alla memoria tutte le cose humane reggersi con certa varietà et muta-
tione, in modo che con perpetuo giro qual’hora crescere, et qual’hora diminuire si
F RA N C E S CO T R E N T I N I

veggano; havere la loro Repubblica per lungo tempo goduta una continuata pro-
sperità; hora convenirsi saper tollerare alcuna cosa adversa; variata la conditione
de’tempi, poter facilmente risorgere la sua prima riputatione et riaquistarsi l’impe-
rio et l’antica gloria; però convenirsi di usare tale prudentia et temperamento che
per voler far violenza al tempo troppo accelerando la rinascente grandezza della
Repubblica non si venisse a condurla all’ultima ruina20.

La quies
Nel dialogo Della eloquenza, Daniele Barbaro indica l’origine dell’etica in ciò che chiama ‘il
riposo della verità’: «L’anima adunque, nella quale la ragione si dee porre, acciò che dia luogo
alle pruove, et accettar possa la buona opinione, et iscacciare la contraria, deve essere riposata et
quieta, et non in modo niuno affettionata, et travagliata»21. Non per caso, quindi, egli aveva fat-
to rappresentare nella Stanza della Lucerna, un Ercole a riposo e una donna che regge uno spec-
chio (fig. 3). L’abbandono dell’eroe mollemente reclinato sul fianco al termine delle sue fatiche
(la clava e la leontea ce lo ricordano) rappresenta l’ingresso nella condizione di quies garantito
dall’onesta e virtuosa fatica22. Inoltre il viso dell’eroe, che con un evidentissimo scarto rispetto
alla tradizione iconografica ed alle rappresentazioni coeve si presenta segnato da un’evidente
calvizie e da una fronte fittamente solcata da rughe, riferendosi al tipo del filosofo antico avrebbe
costituito per Barbaro e i suoi dotti interlocutori un richiamo a certe interpretazioni allegori-
che dell’eroe come immagine della pratica filosofica, sul genere di quella ben nota proposta da
Erodoro di Eraclea: «[Ercole] grazie alla clava, che è l’anima dotata di fortezza, e alla pelle, che è
l’arditissimo saggio ragionamento, vinse la battaglia terrena contro il cattivo desiderio, pratican-
do la filosofia fino alla morte»23.
Il primo passo verso la contemplazione etica è dunque l’epochè filosofica. Il successivo è
indicato dalla donna in primo piano, non un’allegoria della Prudenza che inviti a proiettare lo
sguardo sugli esiti dell’agire umano24 ma una figura probabilmente destinata a rimanere senza

20 Paruta 1605, p. 14.


21 Barbaro 1557, p. 14.
22 Il significato del riposo di Ercole era ben espresso da una cornalina appartenuta a Fulvio Orsini, raffigurante
l’eroe a riposo, che riportava il motto Ponos tou kalos hsyxazein aitios. Iconografia e motto furono ripresi alla
fine del Cinquecento da Annibale Carracci nel Camerino del cardinale Odoardo Farnese a Palazzo Farnese con
il chiaro intento di rimarcare la vocazione ricreativa dell’ambiente in contrapposizione ai pressanti negotia cui
era dedicata la maggior parte della vita del committente: Martin 1956; Volpi 2000.
23 Discorso su Eracle, fr. 14, Felix Jacoby (hrsg.) Die Fragmente der Griechischen Historikern, Weidmann, Berlin,
1923-30, I, 31, 502. La fonte era contenuta in diverse compilazioni di cronache antiche: Ecloga Historiarum
(=Cod. Par. 1630); Georgius Cedrenus 1.33; Anecdota Parisiensia 2.380.22 (Paris, Bibliothèque national
de France, Grec 854, c. 236); Excerpta de virtutibus et vitiis. Cfr.: Moore 2013, <http://www.personal.psu.
edu/crm21/herodorus.pdf>, ultimo accesso: 22-09-14. Sulla tradizione di Ercole filosofo si veda Ramelli,
Lucchetta 2004, p. 72-74, n. 82.
24 L’identificazione con la virtù cardinale è proposta per la prima volta da Larcher Crosato 1982, p. 242, e
ripresa senza variazioni di rilievo dalla critica successiva.
313

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O
Ercole e lo specchio

nome, funzionale a richiedere allo spettatore lo sforzo di riflettersi nello specchio, cioè di ogget-
tivare la visione della propria interiorità passando da una sorta di incoscienza alla profonda co-
noscenza di sé. Non a caso lo specchio è il simbolo che Alciati fa corrispondere al celebre motto
di Chilone spartano – reso celebre dall’uso che ne fece Socrate – «gnothi sauton»25.
La coppia è concettualmente molto prossima al simbolo lix del libro ii delle Symbolicarum
quaestionum di Achille Bocchi, pubblicato appena cinque o sei anni prima degli affreschi della
villa. Accompagnata dal motto «En viva e speculo facies/ splendente refertur,/ hinc sapies, po-
terisque omnia,/ dum ipse velis», l’incisione rappresenta il filosofo Socrate intento a mostrare
allo spettatore, assieme ad un suo discepolo, uno specchio che è stato scoperto solo in minima
parte. I versi a commento esplicitano l’idea che attraverso lo specchio l’uomo possa fare intro-
spezione valutando la condizione morale in cui si trova. Emblema, immagine e testo si muovono
sulla contrapposizione tra la facies riflessa, cui corrisponde la deformità del corpo che in chiave
platonica corromperebbe il profilo morale dell’uomo, e le categorie di intus-virtus-voluntas che
rappresentano il vero oggetto d’indagine del rispecchiamento26. Anziché presentare una dottri-
na, Socrate porge uno strumento – lo specchio – rispetto al quale mettere in gioco la volontà ed
il discernimento27. Analogamente l’Ercole-filosofo con la sua quies pone le premesse perché lo
spettatore decida di misurarsi con lo specchio: la logica è la stessa.

25 Alciato 1546, c. 32, dove all’emblema intitolato Dicta VII. Sapientium corrisponde l’immagine di una don-
na che esamina la propria immagine riflessa in uno specchio circolare e tra i vari distici si legge: «Noscere se
Chilon Spartanus quenque iubebat / Hoc specula in manibus, vitraque sumpta dabunt».
26 Bocchi 1555, p. 121: «Quid faciam? Dices. Illa est suprema voluntas / imploranda tibi, te intus ut inspicias / Tum
vero aeternae flagrans pietatis amore, / ne dubita: poteris mox simul atque voles».
27 Su Achille Bocchi ed il simbolo si veda Angelini 2003, p. 54, n. 141. La stessa autrice ha discusso la prossimità
ideale e metodologica tra Daniele Barbaro e Achille Bocchi anche in Angelini 1999. Sul simbolo LIX si veda
Di più l’immagine veronesiana inserisce un secondo termine di paragone. Con cenno ele-
gante, infatti, la donna punta l’indice giusto sopra la sua testa verso il riquadro del soffitto (fig. 4)
314 invitando così lo spettatore a misurare il proprio stato interiore. Qui è rappresentato il momento
finale dell’ascesa al monte compiuta da un pellegrino con le gambe e le braccia cosparse di pia-
F RA N C E S CO T R E N T I N I

ghe, al cospetto di due donne: una, più in evidenza, con l’indice alzato a indicare l’Ouroboros in
cielo, è la Fede, riconoscibile per i diversi simboli religiosi che la accompagnano (calice, Bibbia,
filatteri ebraici); l’altra è la Mansuetudine, opportunamente associata all’agnello, animale dal
mite carattere. La logica complessiva della scena suggerisce di interpretare la piaga dell’uomo in
senso morale, secondo un’antica metafora ritornata in auge negli anni del dibattito intorno alla
Giustificazione28, che Barbaro conosceva bene, tanto da utilizzarla nello scambio epistolare con
la zia suor Cornelia: «il peccato è infirmitate che macula la persona e la natura nella volontate, e
la natura nella carne»29.
Tuttavia, tanto nelle lettere quanto nella Stanza della Lucerna egli si tiene a margine delle
questioni strettamente dogmatiche reimpostando il problema sul piano etico. Quasi ignorando
il merito dello scontro dottrinale, infatti, affronta la questione del peccato opponendo ai conte-
nuti un metodo: «già vi è noto quale sia l’ordine della divina giustizia, cioè che il bene eterno sia
preferito al bene commutabile, l’onesto all’utile, ed il volere di Dio al piacer nostro, acciocchè il
giudizio della ragione drittamente governi la nostra sensualitate»30. L’uomo, dunque, potrà ri-
costituire la sua humanita se, scoprendosi «infirmo», tenderà sempre al «bene eterno». La stes-
sa contrapposizione fra «commutabile» ed «eterno» era rappresentata nel riquadro. Infatti, il
caduceo e la cornucopia, coppia di attributi che sin dall’antichità classica identifica la Fortuna
come Fœlicitas Publica, ovvero dispensatrice di beni terreni31, sono a terra, ignorati o addirittu-
ra calpestati. In cielo la sfera circondata dall’Ouroboros, invece, promette all’uomo infermo il
bene divino dell’unità nell’eternità. In conclusione, se all’uomo nella vita attiva si raccoman-
da prudenza e vigilanza, allo stesso nella sfera contemplativa è richiesto di rivestirsi di quella
Mansuetudine che Barbaro considerava la virtù fondamentale per accedere ai beni eterni32.

Un’immagine della Natura iuxta propria principia


Il significato di una decorazione di villa non può essere correttamente compreso se si prescinde
da due presupposti fondamentali: 1. che la funzione abitativa degli ambienti ed il criterio di
attraversamento degli stessi previsto dall’architetto, impone alle immagini una sintassi che un
buon pittore non può ignorare; e 2. che il proprietario committente è il primo destinatario del
messaggio affidato alle immagini.
Nel caso di villa Barbaro, ad esempio, una valutazione generale dell’articolazione interna
dell’edificio fa pensare che il piano padronale fosse articolato in uno spazio di rappresentan-
za, costituito dalle sei stanze affrescate da Paolo, culminante nella crociera-portego e nella Sala

anche il recente contributo di Packwood 2011, <http://www.kunsttexte.de> ultimo accesso: 18-09-14.


28 Trentini 2011.
29 Barbaro 1829, lettera xii, p. 51 (il corsivo è mio).
30 Ibid., lettera XIV, p. 56.
31 Cohen 2014, p. 293.
32 Barbaro 1569, p. 309: «Illa enim terra supercoelestis Hierusalem non fit spolium contentiosorum, sed haereditas
proponitur mansueti et patientibus viris».
315

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O

La promessa dei beni eterni all’umanità peccatrice


316
F RA N C E S CO T R E N T I N I

I quattro libri
dell’architettura

dell’Olimpo, ed in quello privato dei sei ambienti disposti – tre e tre – nelle barchesse (fig. 5).
Entro questo schema le due piccole stanze del Cane e della Lucerna, nelle intenzioni di Palladio
assolvono la funzione di vestiboli pensati in relazione al movimento dagli ambienti privati verso
la sfera pubblica e viceversa, dunque vissuti in strettissima connessione con la Sala dell’Olimpo.
Il vincolo funzionale, tuttavia, pare infranto dalla scelta tematica degli affreschi di quest’ul-
tima sala che per la presenza dei quattro elementi e delle sette divinità planetarie si propone
immediatamente come una «macchina del mondo»33 (fig. 6). Solidamente ancorate a tematiche
naturalistiche proprie della cultura scientifico-enciclopedica coeva, le immagini si presentano in
problematica discontinuità con i temi etici delle due stanze adiacenti.
Le allegorie dei quattro elementi, rappresentati da Cibele, Nettuno, Giunone e Vulcano,
sospesi sulle nubi più basse del cielo illusivamente aperto nelle decorazioni del soffitto descrivo-
no la materia e il mondo sublunare. Secondo la fisica antica tutta la realtà materiale è l’esito del
rimescolamento in varie proporzioni di questi quattro principî, aria, acqua, terra e fuoco, ciascu-
no dei quali presenta caratteristiche intrinseche che vengono espresse in varia misura anche nel
miscuglio che dà origine ai corpi.

33 Barbaro 1829, lettera VI, p. 27.


317

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O

La macchina del mondo


Questo tema s’inserisce nel più ampio dibattito sulla Natura, che all’epoca di Barbaro
è fatta oggetto di rinnovato interesse per lo sviluppo della cultura tecnica e scientifica di cui
318 anche la villa palladiana è autentica espressione. Nello sforzo di governare la terra attraverso i
nuovi saperi si crea lo spazio per rilanciare vecchie questioni mai risolte: la Natura è una base
F RA N C E S CO T R E N T I N I

in sé buona che l’uomo deve semplicemente amministrare e valorizzare, oppure è sostanzial-


mente l’antagonista avara e ostile all’uomo, domabile solo attraverso la tecnologia? Sono gli
stessi anni in cui si diffonde il gusto per la rappresentazione dello stato primitivo dell’umanità,
e anche qui si dividono su posizioni opposte coloro che ritengono aurea la vita umana all’o-
rigine, e chi invece la considera una condizione totalmente svantaggiata da cui l’umanità si è
sollevata grazie al progresso della civiltà34.
Nel dialogo Della eloquenza Barbaro fornisce un’esatta definizione della sua idea di
Natura, che coincide con il mondo materiale e non è a esso sovrastante, è sempre conforme a sé
stessa, è una realtà creata e non la madre dell’universo. I cieli non le sono subordinati. Non v’è
alcuna divinizzazione di questo principio, circoscritto da Barbaro entro il mondo elementare.
Semplice e schietta, ma soprattutto «dalle molte mammelle»35, Natura compare anche a villa
Barbaro nella figura femminile semisdraiata che fa stillare latte dai suoi quattro seni raffigurata
nel monocromo ovest.
Con il dettaglio delle molte mammelle s’introduce la maternità universale di Natura, nella
quale s’intravvede l’idea della Gran Madre già alla base dell’incisione di Natura nelle Sorti di
Francesco Marcolini, ove si rappresenta una donna che con il latte dei suoi seni conferisce vita
ad un ammasso informe di membra umane36. E così anche la sottostante rappresentazione di
Giustiniana Giustinian e della vecchia nutrice, pur non perdendo del tutto il suo carattere di
trompe-l’œil riferito alla realtà dello spettatore, viene sussunta entro il complesso sistema sim-
bolico della volta, facendo della maternità dell’una e della funzione nutritiva (ormai esaurita)
dell’altra un’efficace rappresentazione per analogia del concetto di Natura Madre.
Lo stesso archetipo, con tutto il carico edenico ed utopico che le compete, è ribadito an-
che nel monocromo nord, dove, prendendo spunto dalla numismatica antica, Veronese e Barbaro
presentano l’immagine di una donna seduta presso un altare pagano, con una grande cornucopia
ed un’anfora accanto a sé. Gli elementi sono quelli che connotano le raffigurazioni dell’Annona
Augusta sul verso di diverse monete romane di età imperiale37, da cui deriva persino il gesto della
donna con la mano destra aperta sopra il recipiente come per farci cadere dentro qualcosa. Tuttavia,
se si tiene conto del collegamento con la grande rappresentazione in lunetta di Bacco e Cerere,
divinità del vino e del grano38, e con la fertile e fruttifera Cibele, che la affianca; e se si considera la
relazione logica e tipologica con le figure degli altri tre monocromi, allora l’Annona di villa Barbaro

34 Cassirer 2012; Bono 1995, p. 167-193.


35 Barbaro 1557, p. 34
36 Marcolini 1540, p. 51 (Natura). Sulla base di questa incisione e di una estesa tradizione iconografica che
associa valori positivi all’immagine dei seni che stillano latte deve essere respinta la proposta di Lewis 1987, p.
300-301, che legge la figura come Malus Daimon e il dettaglio come una sorta di stolta dissipazione di sostanza.
37 Augustín 1592, p. 69.
38 Cfr. Virgilio, Georgica, I, 7-12.
319

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O
Cupido punto dalle api

non può che perdere il suo significato tecnico di gestione e distribuzione delle derrate alimentari da
parte dello Stato conservando di esso solamente l’idea sottintesa di Natura Abbondante39.
Così i due monocromi intervengono a ridimensionare l’apparente senso di conflittuali-
tà con l’elemento naturale contenuto in un passo dei Commentari, dove l’arte è indicata come
il metodo con il quale «si vince la natura in quelle cose nelle quali essa natura vince noi»40.
Piuttosto, alla luce delle allegorie di villa Barbaro, sembra d’intuire che la machinatione umana
– e l’arte è proprio questo – può contare sulla positività di Natura, ed ha il suo punto di forza
nella capacità di esaltarne l’indiscusso valore rimuovendone le accidentali imperfezioni.
Il monocromo sud (fig.  7) presenta un’iconografia senza precedenti, un’assoluta inven-
zione di Veronese come al solito fondata su una selezione di fonti testuali ed iconografiche au-
tonomamente rielaborate. In un ridente prato fiorito, presso un albero carico di frutti, si trova
Cupido reclinato a terra, che con la mano sinistra brandisce l’arco e sembra schermarsi il volto
con il braccio. La faretra è appoggiata ad un frammento di trabeazione dorica. La particolare po-
stura di Cupido è derivata evidentemente dalla statua del Galata caduto, all’epoca in collezione
Grimani. Ma la ripresa non si limita al livello formale. Il fanciullo, infatti, appare evidentemente
in difficoltà e sembra volersi difendere da una misteriosa minaccia proveniente dal cielo. Il con-
testo agreste, la presenza dell’albero, la figura di Cupido in difficoltà richiamano senza replicarla
l’iconografia di Cupido punto dalle api resa celebre da Lucas Cranach il vecchio. La fonte di
Cranach è stata indicata nell’idillio XIX Il ladro di miele dello pseudo-Teocrito, uno scherzo
poetico tipicamente alessandrino sul tema di Eros dulce-amaro che racconta dello scambio di

39 Noreña 2011, p. 114-117.


40 Barbaro 1556, p. 254.
320
F RA N C E S CO T R E N T I N I

Fortuna stabilis

battute tra un Cupido dolorante e risentito per essere stato punto dalle api mentre cercava di
rubare loro del miele, ed una Venere ironica e divertita dal singolare contrappasso occorso al
figlio41. Come in Cranach, anche in Veronese è presente l’albero di mele, allusione alla dolcezza
di Amore42, e si possono leggere le api in alcune macchie di biacca sul nero dello sfondo proprio
sopra la testa del dio mentre una di loro, una macchia scura sullo stinco del fanciullo, è uscita
dallo sciame con intenzioni non certo amichevoli. Molto altro, certo, manca: dalla dea Venere al
favo rubato. Ma nella logica potentemente allusiva dei monocromi il rinvio alla fonte teocritea
è perfettamente riuscito.
L’inserimento della scena al livello degli elementi invita però a trascendere il dato lette-
rario riconoscendo nel soggetto una perfetta restituzione simbolica dei due principi opposti,
Amore e Odio, indicati da Empedocle come le forze fondamentali e universali che governano
il mondo elementare. L’aneddoto del Cupido aggredito dovette sembrare il più appropriato
in quanto al dulce dell’attrazione amorosa associava indissolubilmente l’amarum della repul-
sione in dinamica interazione.
Il criterio dell’aggregarsi e disgregarsi del mondo elementare, per Empedocle, è la Fortuna,
intesa come principio irrazionale che governa il divenire del mondo. Sorprenderà quindi ritro-
varla nella Sala dell’Olimpo distesa a terra e con la ruota spezzata, come «Fortuna fermata» o
«Fortuna stabilis»43 (fig. 8). Quest’ultimo dettaglio, infatti, parla dell’esaurimento del potere
dinamico di Fortuna e con questo significato, ad esempio, si ritrova nella medaglia di Nicolò
di Marco Giustinian coniata in occasione della sua morte44. Esclusa ogni accezione funeraria
in villa, non resta che intendere l’allegoria come un’antitesi. In questo singolare emblema della
Fortuna allora dovremmo leggere il superamento della casualità che i filosofi materialisti antichi
reputavano al governo degli elementi. E dunque come Speroni nel suo Dialogo sopra la Fortuna
affermava che solo per ignoranza «molti vani fanno dea la Fortuna, e signora di questo mondo

41 Wind 1985, p. 113, n. 31; Leeman 1984; Bath 1989.


42 Valeriano 1575, c. 394r.
43 Wind 1992, p. 203, n. 17.
44 Ibid., p. 203, n. 17.
materiale»45, così Barbaro in villa vuole sottrarle qualsiasi autorità sugli elementi, ribadendo
piuttosto il principio di causalità operante anche sulla materia.
In definitiva, non si può che concordare con chi ha ravvisato un’ispirazione naturalista 321
debitrice alla filosofia di Empedocle nelle rappresentazioni della sala46, a condizione però di am-

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O
mettere che si tratta di un Empedocle riveduto e corretto, privato del suo lato inquieto e desta-
bilizzante per essere ricondotto ad un ordine causale che davvero non gli appartiene. Anche per
questo i quattro monocromi insieme ai quattro riquadri d’angolo del soffitto della sala costitu-
iscono un raffinato saggio di rappresentazione di Natura iuxta propria principia in linea con la
cultura delle Accademie di cui Barbaro fu promotore entusiasta. Nella pacificante prospettiva
del metodo artificioso con cui le accademie manipolano tanto la conoscenza quanto la realtà,
la materia elementare perde il suo lato oscuro per ridursi a fenomeno meccanico garantito da
rigorose leggi che ne consentono un positivo sfruttamento.

La consueta lettura dell’ottagono (fig. 9) come immagine dell’armonia cosmica47 ha il pregio di


evidenziare il fondamento astronomico dell’iconografia facendo riferimento alla teoria delle sfe-
re celesti, ma ha anche il grosso limite di ricondurre l’intera rappresentazione ad un fondamento
platonizzante che in realtà non la riguarda direttamente.
Pur essendo intrinsecamente legato al mondo sopralunare, il tema dell’armonia che si ge-
nera dal movimento regolare dei corpi che lo popolano corrisponde a un modo estremamente
parziale di considerare i fenomeni astronomici, funzionale a fare della bellezza un mezzo di li-
berazione dell’uomo dai vincoli della materia. A villa Barbaro la rappresentazione dell’ottagono
seleziona senza ambiguità il registro scientifico in perfetta e coerente continuità con il discorso
svolto negli otto riquadri che lo incorniciano. Lo dimostra la completa assenza di riferimenti alla
musica o alle muse, presenze pressoché necessarie nelle allegorie planetarie d’ispirazione plato-
nica, e la palese insistenza sul dato astronomico evidente in primo luogo nella scelta di presen-
tare le sette divinità planetarie in relazione alle dodici costellazioni dello zodiaco e ribadita nel
dettaglio dell’angioletto alle prese con una sfera armillare alle spalle di Diana/Luna e Mercurio.
Un indizio delle effettive finalità di questa immagine celeste viene semmai dal singolare
ordine con cui i segni sono distribuiti lungo il perimetro dell’ottagono. In senso orario, infatti,
troviamo Ariete ma subito dopo Scorpione, quindi Sagittario insieme ai Pesci, e poi Capricorno
con Acquario, Cancro, Vergine con Gemelli, Bilancia con Toro e infine Leone, non dunque se-
condo la distribuzione dell’eclittica bensì raggruppati ed ordinati in relazione ai pianeti di cui
sono i domicili. Un’antichissima tradizione astrologica spiegava come ciascuno dei sette pianeti
esprimesse pienamente la propria potenza solo quando si trovava in relazione con alcune costel-
lazioni, che perciò furono chiamate case o, appunto, domicili. Questo modo di presentare i segni
zodiacali, che già si ritrova nelle serie dei Planetenkinder e non può essere confuso con un tema
natale, tenendosi ben lontano dalle derive magico-divinatorie dell’astrologia giudiziale, espri-

45 Speroni 1740, Dialogo sopra la fortuna, ii, p. 336-344 : 340.


46 Così Lewis 1987, p. 300-301, di cui però non accolgo la lettura dei quattro monocromi come Malus Daimon,
Odio, Mala Fortuna e Amore.
47 Ivanoff 1961; Ivanoff 1970; Larcher Crosato 1982; Larcher Crosato 2001.
322
F RA N C E S CO T R E N T I N I

Il mondo sopralunare

meva in modo convincente l’idea della causalità celeste, cioè l’azione esercitata dai corpi celesti
sugli elementi e sulla materia del mondo sublunare che costituiva la struttura portante della fisica
aristotelico-araba48.
Data questa cornice astronomica, e quella fisica di cui già si è detto, le diverse interpre-
tazioni proposte per la fanciulla a cavallo del dragone, tanto quelle vagamente platonizzanti49
come pure le eventuali declinazioni in chiave apocalittica50, paiono francamente fuori luogo. Per
prima cosa si dovrà riconoscere nella bestia l’ennesimo riferimento astronomico, questa volta alla
costellazione del Dragone, di cui Veronese ci fa vedere praticamente solo la testa e la coda, una
zampa e delle ampie ali da pipistrello seminascoste dalla gonna celeste della giovane. Nei suoi
Astronomica, Igino lo descrive come un gruppo di quindici stelle che si snodano al colmo dell’e-

48 Gregory 2007, p. 48.


49 Larcher Crosato 2001, p. 499.
50 Reist 1985a, p. 536-542.
misfero celeste settentrionale, tra l’Orsa maggiore e l’Orsa minore51. Fu proprio la sua posizio-
ne alta nel cielo, da dove non tramonta mai, a guadagnargli un’altissima considerazione presso
gli astronomi ebrei che lo riconobbero come il responsabile del movimento delle stelle fisse52. 323
Inoltre, poiché la testa e la coda della costellazione si estendevano tanto da sovrapporsi ai punti

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O
in cui la Luna incontra l’eclittica solare, fu ritenuta responsabile di temibili eclissi e per questo
guardata sempre con un misto di venerazione e paura.
Anche la fanciulla andrà interpretata a partire dal dato astronomico tenendo conto che,
sulla mappa celeste, la groppa della costellazione del dragone su cui sta seduta corrisponde al
Polo Nord celeste. Quest’ultimo, coincidente con l’intersezione tra l’asse terrestre e la sfera delle
stelle fisse, ha la caratteristica di essere il solo punto immobile del cielo boreale, cosa che indusse
le civiltà antiche a immaginare delle divinità che vi risiedessero. Oltre a Mithra, Helios e Abrasax,
furono identificate con il polo anche divinità femminili come Afrodite, Iside o Demetra/Brimò
e, ciò che più conta, in tale veste furono tutte considerate signore delle sfere celesti53. La me-
moria di questa tradizione, che risaliva a forme archetipiche di culto dell’asse cosmico in rela-
zione alla Dea Madre attestate presso le principali civiltà protostoriche, raggiunse l’uomo del
Rinascimento attraverso le pagine delle Metamorfosi di Apuleio dove Lucio si rivolge a Iside
come alla dea che conserva il cosmo nel suo ordine universale: «Tu muovi il mondo sul suo asse,
tu accendi il fuoco del sole, tu governi l’universo, tu poni il Tartaro sotto i tuoi piedi. Gli astri
sono docili alla tua voce, le stagioni ritornano per la tua volontà, gli dei gioiscono alla tua vista,
gli elementi sono ai tuoi ordini»54.
Con ciò non vogliamo dire che nella donna a cavalcioni del Dragone, Barbaro abbia voluto
rappresentare Iside, o perlomeno non in senso letterale. D’altra parte questa fanciulla non ha
nulla a che vedere con l’iconografia di Iside con il serpente ed il sistro in mano55. Della divinità
invocata da Lucio essa conserva semmai il potere sulle sfere celesti, esplicitato da Veronese attra-
verso lo sguardo supplice che le rivolgono le divinità planetarie, ma soprattutto nel doppio gesto
delle mani, la destra distesa sul fianco a imprimere alle sfere il loro movimento orizzontale, la
sinistra abbassata verso lo spettatore a spingere la sua energia verso il basso. Urge sull’interpreta-
zione di Barbaro l’immagine dantesca del Bene Divino che «volge e contenta» le sfere celesti,
facendo «esser virtute sua provedenza in questi corpi grandi», cioè nei pianeti56.
Tuttavia il passo di Apuleio rimane comunque fondamentale per la lettura dell’intero
soffitto, perché con maggior chiarezza rispetto a quello dantesco manifesta uno strettissimo
vincolo di necessità che lega alla divinità non solo i cieli, ma anche la materia, e ne regola
deterministicamente il comportamento. Lo straordinario sistema iconografico che ne deriva
avrebbe permesso a Barbaro di vedere rispecchiato in figura tutto il dinamismo contenuto
nella sua idea di “macchina del mondo”:

51 De Astronomia, II, 3.
52 Tretti 2007, p. 205.
53 Mastrocinque 2005, p. 171-172.
54 Metamorphoseon, XI, 25.
55 Cartari 1556, c. 26v.
56 Paradiso, VIII, 97-99.
Però sapere si deve quanto può operare questa natura corporea quaggiù, acciocché
non siamo in errore. Dico adunque che gli influssi del cielo possono fare distinta
significazione degli anni, dei mesi e dei giorni, come di ce la Scrittura […] non
324 però sono segni certi delle cose contingenti, né possono sopra il nostro libero arbi-
trio. Laonde il tutto le è sottoposto, e niente la domina se non Dio: non elementi,
non cieli, non destini, non fortuna, non cosa diversa dal suo fattore. Ringraziamo
F RA N C E S CO T R E N T I N I

adunque Dio, ed amiamo il nostro fattore, che per noi ha fatto il tutto, e noi per
se; e sappiamo che siccome Iddio ordinatamente ha fatto le cose quanto al tempo,
e disposte quanto al sito, e le governa quanto all’influenza; così la sacra Scrittura le
narra ordinatamente quanto alla sufficienza della dottrina57.

A questo punto, dobbiamo ritornare al monocromo della Fortuna stabilis per leggerlo in re-
lazione tanto alla scimmia sulla balaustra sottostante – esattamente come s’è fatto abbinando
la Giustinian alla Natura lactans – quanto alla fanciulla sul dragone. Da questa triangolazione
la Fortuna con la ruota spezzata si rivelerà essere una perfetta allegoria della Causalità seconda
che governa il mondo elementare. Per descriverla Tommaso d’Aquino aveva fatto ricorso a un’e-
spressione metaforica presentandola come «imitazione imperfetta» della Causalità prima58. In
modo analogo, negli affreschi di villa Barbaro era stata associata all’animale imitatore chiudendo
il discorso sulla ruota della perfetta Necessità disegnata con la figura e il gesto dalla divina fan-
ciulla al centro del soffitto.
La sala dell’Olimpo si presenta dunque come il teatro della Necessità, ove il tema del libero
arbitrio è deliberatamente bandito almeno tanto quanto è insistentemente ribadito nelle due
stanze attigue. Eppure, proprio per via fisico-enciclopedica, l’immagine recuperava il tema etico
che nei riquadri circostanti all’ottagono sembrava essere stato abbandonato. La chiave sta negli
scritti di Barbaro, laddove, presentando quella che egli stesso chiama «macchina del mondo»,
egli parla del governo della virtù superiore sugli elementi, e specifica: «Ma qui bisognerebbe
entrare in un largo pelago di filosofia morale: il che non penso sia a proposito»59. Senza dubbio
il riferimento di Barbaro è alle conseguenze etiche del determinismo fisico, quelle che avevano
indotto Pomponazzi a rinunciare all’autonomia etica garantita dalla dottrina del libero arbitrio
in nome di una causalità necessaria universale che governa l’essere e l’agire degli uomini. Con
pochi dettagli sapientemente inseriti nella cosmologia veronesiana, Barbaro riesce a dare figura a
uno dei più difficili nodi del dibattito etico padovano, avvertito da molti come particolarmente
serio per le evidenti implicazioni con il tema della predestinazione60. Ciò che non aveva inteso
approfondire nelle sue lettere teologiche fu da lui scelto come il centro della riflessione morale
condotta a villa Barbaro.

57 Barbaro 1829, p. 28-29.


58 Summa Theologica, I, q. 66, art. 1; dello stesso autore vedi anche Commentarium in Dyonisii De Divinis
Nominibus, I, 4, 12.
59 Barbaro 1829, p. 27.
60 Non è un caso che le opere in cui Pomponazzi trattò diffusamente il tema, pur essendo state realizzate nel 1520,
non videro la luce che nel 1556-1557 e per l’iniziativa dell’eretico Guglielmo Grataroli; vedi: Maclean 2005, p.
17-19.
325

L E M AC H I N AT I O N I E T I C H E D I B A R B A R O
L’impresa di Daniele Barbaro

Riepilogando: libero arbitrio nelle stanze, necessità nella sala dell’Olimpo. La villa non si capi-
sce se non ci si muove attraverso di essa. Bisogna ritornare all’idea di un vissuto plasmato dallo
spazio architettonico. Solo così di due immagini in antitesi, parziali e paralizzate, si potrà otte-
nere un’immagine plastica e viva. Il movimento dalle stanze verso la sala e viceversa collocava
fisicamente lo spettatore nel difficile rapporto tra i due poli di un dibattito sull’etica da tempo
giocato tra Provvidenza divina e Libero arbitrio. Soprattutto, collocava lo spettatore nello spazio
dinamico della risposta personale ad un sistema di immagini che in fondo altro non era se non
l’enunciazione di una domanda.
In conclusione, tenendo conto della sintassi architettonica e delle funzionalità degli spazi, le
stanze del Cane e della Lucerna, convergenti sulla Sala dell’Olimpo, definiscono un sistema icono-
grafico ben temperato di sollecitazione della volontà alla virtù e di coscientizzazione all’azione di
Provvidenza e Natura nella vita umana. Relegata la temibile Fortuna entro i limiti della vita politi-
ca, Barbaro consacra in villa una nuova dialettica etica in cui la virtus interagisce con la Natura sive
Providentia, nella sua duplice manifestazione come causa prima e causa seconda.
Lo stesso equilibrio dinamico era stato ricercato ed espresso da Barbaro nell’emblema
(fig. 10) consegnato a Girolamo Ruscelli per la sua raccolta di Imprese illustri61. Qui, attraver-
so la riproposizione dell’esperimento d’ispirazione aristotelica consistente nel trasferimento
di una fiamma da un corpo acceso ad uno spento ma fumante, con l’interpolazione del motto
«Volentes», Barbaro crea un’immagine di sintesi dell’azione integrata delle tre realtà, divina,
naturale e umana nella sfera morale, e lo fa attraverso l’impalpabile realtà del fumo e del fuoco
astrale. Una catasta di legna viene eletta a rappresentare la ‘persona terrena’ alla quale sovrastà
una stella cometa, metafora della virtù divina la cui grazia scende in forma di fiamma verso il
basso. Il centro dell’emblema, però, è il fumo, che insieme al motto rappresenta la realizzazio-

61 Ruscelli 1566, p. 457-458.


ne dell’umana natura che tende con la sua volontà al ‘voler di Dio’ e ne viene infiammata. Per
Barbaro l’etica non può essere racchiusa in un sistema rigido, ma è giocata tutta sull’esperienza
326 della medietas, tutt’altro che marginale nelle intenzioni del grande intellettuale veneziano. In un
tempo segnato dallo scontro fra un modello fatalista conseguente alla negazione del libero arbi-
F RA N C E S CO T R E N T I N I

trio in àmbito protestante ed uno efficientista in àmbito cattolico, entrambi basati sul confronto
e scontro tra uomo e Dio, egli propone un paradigma laico di piena attuazione dell’uomo nella
sua natura, chiedendo di trovare un consapevole equilibrio tra l’esercizio della virtù e la certezza
dell’azione benevola di Natura e di Provvidenza.

You might also like